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Sessualità e affettività nella disabilità cognitiva e complessa

. “Dalla diversità alla diversa abilità” sottolinea proprio il concetto di come i bisogni affettivi e
sessuali siano uguali per le persone con disabilità, anche se è necessario una rimodulazione
differente e individualizzata rispetto al modello sociale dominante normotipico.

Quali sono infatti le problematiche più ricorrenti che si riscontrano per quanto riguarda il rapporto
tra disabilità e sessualità?
Primo, la sessualità e l’espressione sessuale delle persone disabili continuano ad essere controverse
e gravide di pregiudizi .Vi sono barriere di natura attitudinale GENERALE, ossia atteggiamenti e
comportamenti di familiari, operatori e specialisti che denotano una tendenza a disconoscere o
misconoscere il diritto all’espressione di una naturale (in senso di biologica) sessualità da parte
delle persone con disabilità complessa. La persona con disabilità viene vista come l’eterno
bambino, persona asessuale o riconosciuta nella sua sessualità e affettività solo nei comportamenti
problema.
Vi sono poi barriere di tipo attitudinale SPECIFICO: gli adolescenti disabili hanno meno contatto
con i compagni al di fuori del contesto scolastico e/o familiare con la conseguenza che anche nella
fase successiva della vita le persone con disabilità usufruiscono di una rete sociale di supporto e di
relazioni amicali ed affettive decisamente meno estesa e gratificante.

La definizione aggettivale e quindi esclusivamente qualificativa di disabilità è un cappello enorme,


all’interno del quale esistono tutta una serie di variabili e tutta una serie di mondi.
Innanzitutto: disabilità fisica o disabilità mentale?
Nel caso della persona con disabilità fisica siamo di fronte ad una “incapacità di fare”; nel caso di
quella con disabilità cognitiva e/o complessa si tratta di una “incapacità nella responsabilità di fare”
con livelli di gravità e di competenza diversi.
Ad esempio, le donne con disabilità cognitiva e/o complessa possono essere maggiormente o in
generale più esposte al rischio di subire un abuso, perché hanno minori possibilità di difesa sia dal
punto di vista fisico sia dal punto di vista emotivo-relazionale. Un’ulteriore difficoltà per loro è
quella della contestualizzazione e del conseguente riconoscimento dell’abuso subito.
Dall’altra parte, esperienze avverse nell’infanzia come abusi fisici, psicologici, sessuali,
trascuratezza materiale e disfunzionalità familiari hanno effetti psicobiologici anche sullo sviluppo
cognitivo, e possono portare alla strutturazione di una disabilità intellettiva oltre che alla comparsa
di patologie psichiatriche .
La stessa Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità, approvata nel
2007 e successivamente ratificata in Italia – sia con un esplicito riferimento all’esercizio della
sessualità sia indirettamente – riconosce ripetutamente in diversi articoli, a livello di obblighi
generali, di diritto alla casa ed alla famiglia, di diritto alla vita, di libertà, di inclusione, di vita
indipendente, di educazione e di salute, la necessità di non discriminare le persone con disabilità per
quanto riguarda il pieno godimento dei propri diritti, definendo una base etico giuridica agli
interventi che sostengono l’educazione e la tutela della sessualità umana anche per le persone con
disabilità.
Affermare dunque l’importanza del sostegno all’affettività e alla sessualità nelle persone con
disabilità, attraverso una cultura del ‘differente‘ che però garantisca gli stessi diritti pur declinati
nell’individuale, diventa doveroso dal punto di vista etico, legislativo ma anche tutelante per il
benessere psicofisico.
La sessualità è legata infatti a due dimensioni fortemente intrecciate tra loro: una rimanda alla
relazione, al desiderio di incontro e scambio globale, ai sentimenti d’amore e d’affetto
(componente relazionale); l’altra a componenti quali la genitalità, l’erotismo, la corporeità, la
ricerca del piacere (componente fisica).
Concetto chiave dello sviluppo di un’affettività e sessualità competenti è trasformare i bisogni in
desideri, poiché il desiderio implica un impulso volitivo, modulabile nel tempo e nello spazio,
diretto a un oggetto esterno specifico e implica esso stesso l’immaginazione e l’affettività.
Ma la sessualità disabile è poco “normalizzabile”, in quanto non allineabile ai modelli dominanti.
L’esercizio della sessualità disabile viene quindi relegato ad una dimensione “cover” solo della
componente fisica, al di fuori della relazionalità, in stretta associazione – persino logistica – con le
pratiche di confine dell’igiene personale, delle funzioni corporee, del massaggio. Oppure viene vista
solo nella sua presunta modalità infantile e fisica, e quindi percepita come comportamento
problema perché «troppo relazionale» e relegata al controllo farmacologico o alle tecniche di
rieducazione e spostamento del sintomo.
Poiché lo sviluppo relazionale-sociale, e poi sessuale, cominciano nel corso dell’infanzia e
progrediscono nel corso della vita, le persone con disabilità devono poter essere aiutate a muoversi
verso la maturità sociale e sessuale, e necessitano di opportunità ed occasioni per sviluppare le
amicizie e le relazioni. Ovvero la sessualità va insegnata e appresa attraverso l’affettività, la
socializzazione e le relazioni sin dall’infanzia attraverso la famiglia.

La sessualità dunque non è secondaria rispetto ad altri aspetti, come l’integrazione scolastica,
sociale e l’inserimento lavorativo. Lavorare sulla sessualità non può prescindere dal lavorare su tutti
gli aspetti della personalità a seconda dello sviluppo cronologico e cognitivo.
Diventa importante in questo senso programmare visite ginecologiche e andrologiche, esattamente
come avviene nell’adolescenza normotipica, e caldeggiare una formazione degli operatori sanitari
specialistici, perché visitare una persona con una disabilità complessa richiede spesso una
collaborazione multidisciplinare, un ‘saper’ e ‘saper fare’ capace sugli aspetti comportamentali.

Il supporto invece alla sessualità nella disabilità complessa grave si rivolge soprattutto agli oss,
ai caregivers, attraverso counseling(aiutare a trovare dentro di sé le risorse per aiutarsi) o percorsi
psicoterapeutici anche prima del sopraggiungere della pubertà del figlio/a e al di fuori del contesto
familiare (quando possibile) attraverso formazioni ad hoc.
Quando emergono comportamenti sessuali inappropriati – aspetto poco curato, scarsa igiene
personale, mancata acquisizione del senso comune del pudore sociale, interessi specifici e
ossessioni-compulsioni sessuali, indifferenziata o promiscua scelta del partner, stalking, poca
capacità di riconoscere o rifiutare un’interazione sessuale non gradita – va sempre considerata quale
sia la causa o le concause sottostanti alla problematicità rilevata. Spesso infatti i comportamenti
problema di tipo sessuale sono sintomi di difficoltà più sommerse che riguardano la cognizione,
l’affettività e l’emotività.
In particolare in molte disabilità complesse, e soprattutto nei disturbi dello spettro autistico,
l’affettività ha un’espressione percettiva, ovvero la particolarità dell’attaccamento risulta ‘guidato’
dall’ ipo o ipersensorialità recettiva.
Nel libro di Hilde De Clercq «Il labirinto dei dettagli», Thomas, il figlio dell’autrice, è un bambino
autistico: si fida delle donne bionde con la coda di cavallo come la sua mamma; quando il nonno va
via, lo saluta solo se viaggia nella macchina verde, “Quando Thomas ancora non guardava,
selezionava già un odore, magari il mio profumo, e gli attribuiva, secondo noi, un significato
esagerato.”

Disturbi nell’emotività e nell’empatia sono altrettanto comuni in molte disabilità intellettive e nei
disturbi dello spettro autistico. Le emozioni, soprattutto negative, sono vissute allora in modo
confuso e auto-eteroagite; quelle positive possono esprimersi con scariche eccitatorie, manierismi o
comportamenti sessuali ossessivo-compulsivi. Vi è in questi casi l’attivazione della modalità
preverbale per esprimere le proprie emozioni proprio per un deficit di mentalizzazione degli stati
emotivi. Spesso la comprensione dell’emotività propria e altrui non si evolve naturalmente, ma
deve essere appresa nei suoi aspetti “cognitivi-affettivi”.
Diventa quindi fondamentale aiutare i ragazzi a farsi un’idea concreta (non intuitiva) di quello che
gli altri pensano, sentono, provano, a regolare le proprie emozioni e ad imparare le regole e le
distanze sociali.
Più a monte ancora, nello sviluppo della sessualità nella disabilità, va contrastata culturalmente
l’infantilizzazione o il pregiudizio di “non competenza a priori”. I ragazzi con disabilità, fin in
epoca precoce e in modo individualizzato, devono essere sostenuti nell’autonomia personale, nella
cura di sé e nella gestione delle relazioni. Allo stesso tempo, va contrastata anche la risposta sociale
“positiva” o compiacente a comportamenti inadeguati per l’età, quali abbracciare gli estranei o
baciarli.
In conclusione, la sessualità è un comportamento appreso e come tale necessita
di apprendimento … ma è un apprendimento che nasce da lontano, da quando si è piccoli,
prendendo consapevolezza della propria identità e ruolo di genere fino all’orientamento sessuale e
alla capacità di stare con gli altri in modo adattativo.

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