Le due Sonate op.102 furono composte nel 1815 e dedicate alla contessa Anna-Marie von Erdödy a
cui Beethoven era particolarmente legato. Grande dama dell'aristocrazia imperiale, aveva accolto con
simpatia l'ascesa del giovanotto di Bonn, originale pianista e compositore.1 Beethoven andava spesso
a trovare i coniugi Erdödy nella loro villa di Jedlersee, subito fuori Vienna e durante una visita nel
1815 incontrò il violoncellista Joseph Linke, ospite presso i conti. Beethoven e Linke avevano già
avuto modo di conoscersi e di apprezzare reciprocamente le loro grandi qualità. I due musicisti,
insieme al violinista Schuppanzigh, nel 1808 suonarono per la prima volta i Trii op.70 (dedicati
anch'essi alla contessa Anna-Marie) e nel 1814 l'op. 97, Trio «L'Arciduca». Linke era inoltre il
violoncellista del quartetto Schuppanzigh, nato su richiesta del conte Rasumovsky, ambasciatore
russo a Vienna. Il quartetto fu però sciolto a seguito dell'incidente avvenuto nella notte di capodanno
del 1815, in cui il palazzo di Razumovsky prese fuoco. Linke venne allora preso sotto l'ala protettrice
degli Erdödy e Beethoven compose l'op.102 appositamente pensando a lui.
La Sonata presenta delle interessanti novità formali. Si articola in due soli movimenti strutturati
entrambi in un tempo veloce preceduto da un'introduzione lenta. Questo schema venne utilizzato già
nelle due Sonate op.5, ma nell'op.102 n.1 Beethoven modifica le proporzioni in modo tale che
l'architettura della composizione non tenda alla grandiosità, imponenza o monumentalità, ma, al
contrario, risulti lineare e asciutta. Tra l'Andante introduttivo, costruito polifonicamente, e il seguente
Allegro vivace troviamo un netto contrasto, determinato dall'aggressività ritmica e dal carattere
mutevole che spesso ritroviamo nella musica dell'ultimo Beethoven. 2 Il secondo tempo si apre con
un breve Adagio in cui vengono riproposti alcuni frammenti melodici dell'Andante iniziale. Segue il
secondo Allegro vivace dal carattere brillante e giocoso.
La Sonata di Schubert D.821 non è nata per essere suonata sul violoncello, bensì su un singolare
strumento: l'arpeggione, chiamato anche chitarra d'amore. Era un ibrido tra il violoncello e la chitarra:
veniva suonato con l’arco e tra le ginocchia come il violoncello, ma contava sei corde come la chitarra
della quale riprendeva anche la forma della cassa e della tastiera. 3 Fu inventato dal liutaio Johann
Georg Stauffer, che ne costruì il primo esemplare nel 1823 ed ebbe una certa diffusione grazie al
violoncellista Vincenz Schuster. Secondo Stauffer, questo strumento avrebbe potuto dare nuove
possibilità sia ai chitarristi sia ai suonatori dell'ormai obsoleta viola da gamba, ma ciò nonostante, nel
giro di una decina d’anni l'arpeggione scomparve completamente dalla scena musicale rimanendo un
misterioso oggetto da museo di cui oggi si conservano soltanto tre esemplari in Germania.
Schubert scrisse la Sonata D.821 nel 1824, probabilmente su richiesta di Schuster, che infatti la eseguì
lo stesso anno. Tuttavia rimase manoscritta fino al 1871 quando fu finalmente pubblicata. In quegli
anni però l’arpeggione era ormai caduto in disuso e infatti fin da subito vennero realizzate numerose
trascrizioni per altri strumenti. Tra tutti, la viola e il violoncello sono gli strumenti che più si
avvicinano all’originale per suono e timbro. Le trascrizioni risultano però ampiamente più difficili
rispetto al manoscritto schubertiano. Nel caso della viola e del violoncello, ad esempio, è necessario
realizzare su uno strumento a sole quattro corde i complessi passaggi tecnici che sulle sei corde
dell'arpeggione risultavano indubbiamente più agevoli.
La Sonata è strutturata in tre movimenti. Il primo è un ampio Allegro moderato in forma-sonata,
1
Piero Rattalino, dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia, Roma, 2 Febbraio 1991
2
Arrigo Quattrocchi, dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana, Roma, 14 febbario 2014
3
Cesare Fertonani, dal libretto inserito nel CD allegato al n.144 della rivista Amadeus
dolcemente malinconico, ma sempre elegante. Il primo tema, in la minore, è introdotto dal solo
pianoforte e viene poi ripreso e ampliato dal violoncello. Al suo lirismo si contrappone lo spirito
capriccioso e virtuosistico del secondo tema in do maggiore. Segue un breve Adagio in mi maggiore
in cui possiamo apprezzare il caratteristico chiaroscuro schubertiano di minore e maggiore che sembra
offuscare la tersa limpidezza del tema. 4 L’Adagio sfocia direttamente nell’Allegretto finale in forma
di rondò. Risulta piuttosto evidente che sia l’Adagio sia l’Allegretto furono concepiti in modo tale da
dare il massimo risalto alla cantabilità dello strumento ad arco, relegando il pianoforte al ruolo di
accompagnatore.5
Il talento del giovane César fu presto evidente, tanto che la sua famiglia, nella speranza di raggiungere
fama e riconoscimenti, nel 1835 decise di trasferirsi a Parigi per permettergli di frequentare il
Conservatorio. Qua ebbe la possibilità di studiare con Antonín Reicha, professore di Liszt, Berlioz e
Gounod. Sfortunatamente, il successo tanto atteso non arrivò. Colpito costantemente dalla critica e
messo sotto pressione dalla famiglia, Franck decise di ritirarsi dalla sfera pubblica e di dedicarsi
all’insegnamento. Nel 1858 venne però richiesto dalla Basilica di Sainte-Clotilde in qualità di
organista ed è da questo momento che cominciò ad ottenere i dovuti riconoscimenti. Le sue
improvvisazioni divennero leggendarie e lo stesso Franz Liszt, dopo averlo ascoltato nel 1866, lo
paragonò a Bach. Si dedicò alla composizione soltanto negli ultimi anni di vita, dal 1875 alla morte.
La Sonata in la maggiore fu composta nel 1886 come regalo di nozze per il violinista e amico Eugène
Ysaÿe, che fece conoscere quest’opera per la prima volta a Bruxelles il 16 dicembre del 1886 con la
pianista Madame Bordes-Pène e l’anno successivo a Parigi. Sicuramente uno dei capolavori della
musica da camera dell’Ottocento, fu trascritta anche per altri strumenti, tra cui il violoncello.
Franck scrisse la Sonata secondo il principio ciclico, a lui caro, per cui temi, idee e loro variazioni si
intrecciano tra i movimenti creando continuità attraverso l’unificazione motivica, aggregando
coerentemente e in modo originale il materiale.6 Il primo movimento è un Allegretto ben moderato
che ricorda una morbida berceuse. Il violoncello espone il primo tema, ondeggiante e molto dolce.
Questo tema corrisponde all’idea ciclica ricorrente dell’intera Sonata e man mano si sviluppa in arcate
via via sempre più intense ed ampie. Il successivo movimento è suddiviso in tre sezioni. L’Allegro si
caratterizza per gli accenti appassionati e palpitanti, a volte drammatici ed inquieti. Nella sezione del
Quasi lento troviamo uno sviluppo ricco di sorprese. Il terzo movimento è un meraviglioso saggio di
fantasia e stile, libertà di invenzione, ma anche dominio scrupoloso dell’architettura musicale. 7
L’Allegretto poco mosso conclusivo è senza dubbio una delle creazioni più belle di Franck. La
struttura è quella del rondò alla francese in cui la rielaborazione della linea tematica è particolarmente
articolata, con canone all’ottava tra il pianoforte e il violino e accompagnamento contrappuntistico.
4
Cesare Fertonani, dal libretto inserito nel CD allegato al n.144 della rivista Amadeus
5
Carlo Cavalletti, dal programma di sala del concerto dell'Accademia Filarmonica Romana, Roma, 6 aprile 1995
6
Marino Mora, dal libretto inserito nel CD allegato al n. 291 della rivista Amadeus
7
Ibidem