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Mai come in questo periodo la pedagogia ha attraversato una diffusa crisi di identità
dovuta principalmente ad una sua peculiarità: essa si caratterizza per la sua competenza
sugli ideali, che però non possono prescindere dal dover fare i conti con l’empirica realtà
dei soggetti e delle situazioni coinvolti nel processo educativo.
Se dessimo uno sguardo al passato potremmo vedere come molti pedagogisti, pur
riconoscendo l’importanza della pedagogia sociale, si sono mostrati incapaci di
prospettare una visione educativa atta a cogliere gli aspetti del vivere sociale e le esigenze
che da esso scaturiscono.
Un altro aspetto problematico deriva dal considerare la pedagogia incapace di una reale
autonomia rispetto alle scelte politiche, uniche in grado di determinare un reale sviluppo
sociale. Si tratta di avere un approccio diretto ai problemi dell’educazione capace di
garantire una profonda ristrutturazione della personalità che determina un saldo
fondamento del progresso sociale e dello sforzo umano verso la libertà e la civiltà.
Da qui l’esigenza di poter disporre di operatori che in qualsiasi situazione operino, siano in
grado di favorire il progresso culturale, capace di prospettare situazioni esistenziali nuove
nelle quali sia possibile sperimentare in prima persona valori decisivi come quello
dell’impegno, della responsabilità ecc…
Senza dubbio l’allarme sull’educazione è andato negli ultimi anni crescendo, fino a
generare l’espressione emergenza educativa. Essa va intesa in senso etimologico,
facendo riferimento all’affiorare di aspetti della vita umana che, magari a partire da
situazioni di crisi, vengono posti sotto i riflettori e richiedono nuove e più approfondite
attenzioni sia da un punto di vista teorico che pratico.
Oggi tutti noi paghiamo, per così dire, lo scotto di vivere quello che Lyotard ha definito la
condizione post-moderna caratterizzata dal venir meno di sicuri punti fermi cui far
riferimento. A causa di ciò, Galimberti sostiene che l’uomo contemporaneo privato di valori
certi, deve fare necessariamente appello alle proprie risorse interne, abilità e competenze,
per raggiungere quei risultati in virtù dei quali, in genere viene valutato.
In questo senso occorre fronteggiare a livello complessivo le nuove sfide determinate dai
processi di mutamento che investono l’uomo del nuovo millennio e che determinano nei
giovani un indebolimento della dimensione normativa, una propensione a condurre
esperienze estreme e conseguentemente il camaleontismo identitario.
Pedagogia è il termine con cui oggi si indicano sia le conoscenze intorno all’educazione,
sia l’organizzazione/progettazione/realizzazione/gestione degli interventi attraverso cui si
svolge il processo educativo.
Quando si è passati dalla preistoria alla storia, e quindi alle testimonianze dirette, non è
stato difficile trovare nei poemi classici espressioni di saggezza educativa.
Al tempo dei greci, nelle famiglie agiate, vi era uno schiavo colto detti pedagogo proprio
perché aveva il compito di accompagnare il fanciullo da casa, in palestra e a scuola,
facendogli ripetere le lezioni e seguendolo nell’esecuzione dei compiti assegnati.
In tale prospettiva fece capolino negli studi del tempo l’espressione scienza
dell’educazione al posto di pedagogia.
Agli inizi del ‘900, si verificò poi il passaggio dall’uso singolare all’uso plurale di scienze
dell’educazione, grazie ad importanti contributi forniti da Dewey che considerava
necessario per la scienza dell’educazione disporre di una pluralità di scienze.
In sintesi è possibile definire oggi la pedagogia come scienza generale della formazione e
dell’educazione dell’uomo che si avvale di un organico sistema di saperi che le
consentono una maggiore padronanza dei processi educativi e delle qualità delle
relazioni interpersonali che rendono possibili tali processi.
In base a quello fin ora detto, la pedagogia si configura oggi come un sapere trasformativo,
contestativo e permanentemente in crisi che pur tenendo conto i contesti all’interno dei
quali opera, risulta costantemente aperto al futuro.
In questo senso l’utopia, viene intesa come direzione e non come meta, che consente alla
pedagogia di generare una diffusa emancipazione e liberazione umana.
L’utopia agisce nella prospettiva del cambiamento che comporta l’impegno di agire in
direzione di ragione ovvero che riconosce la parità dei valori, idee, culture e linguaggi i
quali devono essere curati, difesi e protetti. Si tratta di un’interpretazione del concetto di
cambiamento che richiede e comporta un rinnovato modo di ‘vivere’ a favore di una
cooperazione tra tutti gli uomini nella prospettiva di un’etica planetaria sostenuta da Morin.
Dopo aver delineato i caratteri generali di tale disciplina occorre procedere definirne i tratti
contraddistintivi della sua struttura epistemologica, ovvero la natura e le funzioni delle
diverse componenti che costituiscono il sapere pedagogico.
Il duplice piano di riflessione della pedagogia rivolto da un lato dalla dimensione tecnica
e dall’altro alla dimensione pratica non può non avvalersi di una molteplicità di linguaggi
che svolgono una pluralità di funzioni: linguaggio esplicativo volto a fornire
chiarificazioni sulla specificità del soggetto della formazione; linguaggio autobiografico
volto ad interpretare il modo in cui i processi di apprendimento sono vissuti dai soggetti
in formazione; linguaggio seduttivo mira ad individuare la direzione del processo
educativo; linguaggio del senso comune comprende frasi, concetti e approcci tipici
del senso comune in riferimento alle tematiche educative; linguaggio simbolico-
metaforico si caratterizza per l’utilizzo di frasi o concetti simili o ambigui che intendono
specifici significati.
La teoria dopo aver affrontato il banco di prova della prassi torna su se stessa per
elaborare modelli più maturi e comprensivi per costruire nuove ipotesi a un livello di
ulteriore teoreticità (paradigma ricerca-azione).
ricerca comparata mette a confronto modelli diversi che permette di individuare punti
di forza e criticità;
ricerca clinica allarga l’analisi al vasto panorama dei bisogni educativi della persona e
delle problematiche che possono condizionare le dinamiche educative rinnovando metodi
finalizzati al raggiungimento di nuovi equilibri;
In prima istanza bisogna evidenziare gli elementi distintivi tra i termini educazione e
formazione.
Il termine formazione invece definisce il percorso che porta il soggetto ad una lenta e
continua acquisizione della specifica dimensione individuale.
Per Acone, viceversa, la formazione è più stimolo esterno e non valorizza adeguatamente
l’autorealizzazione ed in questo senso essa è condizione necessaria ma non sufficiente
per avviare l’educazione.
Spesso nel linguaggio comune per illustrare meglio un’idea si ricorre ad una
rappresentazione allegorica. La Pedagogia nel corso del tempo ha fatto grande uso di
metafore e miti per rendere più evidenti le argomentazioni su cui faceva leva.
L’effetto Pigmalione ne è un esempio. Esso il più noto dal punto di vista pedagogico ed è
anche conosciuto con il nome di profezia che si auto-adempie: si tratta di una forma di
suggestione psicologica per cui le persone tendono a conformarsi all’immagine che gli altri
individui hanno di loro, sia essa positiva o negativa.
È chiaro che in un contesto sociale o di relazione diadica con un altro ‘essere’ l’astensione
del giudizio permette in buona misura di evitare conflitti legati all’incomprensione reciproca.
Un altro effetto che va ricordato è l’effetto Lucifero definito così da Zimbardo, dopo aver
condotto un esperimento nella prigione di Stanford. L’esperimento prevedeva
l’assegnazione, ai volontari che accettarono di parteciparvi, dei ruoli di guardie e prigionieri,
al fine di poter studiare le capacità adattive dei detenuti. In realtà l’esperimento divenne
famoso per le osservazioni relative al comportamento assunto dal gruppo delle guardie
che in pochissimo tempo assunsero comportamenti sadici e violenti tali da determinare la
sospensione dell’esperimento.
Bisogna anche sottolineare che ciascuno di noi subisce una forte influenza/fascino da
quanto crede possa valorizzare la propria persona e conseguentemente mette in atto
comportamenti che supportano tali credenze (effetto Barnum).
Per spiegarlo è necessario fare un passo indietro e soffermarsi su un dilemma nella storia
dell’educazione che ha angosciato la quasi totalità degli autori: occorre guidare o lasciar
crescere?
In fine possiamo richiamare un ultima metafora, l’effetto Butterfly: il battito di ali di una
farfalla in California può determinare un uragano in Cina! Questo paradosso sottolinea che
nelle grandi trasformazioni possono intervenire anche fattori apparentemente trascurabili
che però introducono dei cambiamenti nel contesto imprevedibili. Sono proprio questi
ultimi che caratterizzano quelle strategie lillipuziane che trovano nel fattore educativo e
soprattutto nell’ottimismo dell’educatore un terreno fertile di azione positiva e prospettica.
Il primo invece si configura come una cura che non si limita al bisogno dell’altro, ma è
diretta alla sua esistenza, formazione e ai suoi desideri. È una cura che lascia all’altro
progettualità e libertà, affinché egli diventi capace di aver cura, egli stesso, di sé e del
mondo. In questo senso la cura può essere definita come la pratica che consente all’altro
di scoprire e sperimentare la proprie potenzialità e di iniziare a costruire la propria forma.
Come è stato possibile constatare, l’ascolto attivo si basa sui principi dell’accettazione e
dell’empatia.
L’ascolto non deve essere confuso con il sentire. L’ultimo rappresenta un’azione
fisiologica, mentre il primo va considerato come una vera e propria relazione educativa
dinamica.
Per diventare attivo, l’ascolto deve essere aperto e disponibile non solo verso l’altro e a
quello che dice, ma anche verso se stessi, per ascoltare le proprie reazioni, per essere
consapevoli dei propri limiti. I principali elementi che caratterizzano una buona attività di
ascolto sono: sospendere i giudizi che sono l’effetto di un voler classificare il proprio
interlocutore inserendolo in categorie codificate; osservare ed ascoltare acquisendo più
informazioni possibili; mettersi nei panni dell’altro dimostrando empatia ed assumendo il
punto di vista del proprio interlocutore; certificare la comprensione attraverso domande;
curare la logistica facendo attenzione all’ambiente in cui si può quindi parlare di ascolto
pedagogico, un ascolto profondo che consente di realizzare un’autentica relazione fra
persone in virtù della quale è data la possibilità di sentire l’altro.
8. Luoghi e modi dell’agire educativo
Se è vero che l’educazione avviene per tutto il corso della vita è anche vero che sono
infinite le occasione e le modalità in cui essa si realizza. Vi è un aspetto che accomuna le
pratiche positive di formazione dell’uomo: quello di assicurare alla persona una condizione
di benessere fisico, mentale e sociale. Infatti lo star bene dal punto di vista fisiologico,
può anche significare non soffrire eccessivamente. È quindi necessario specificare le
cornici in cui il benessere viene inserito, poiché altrimenti si rischi di essere vaghi. È
evidente quindi che l’azione educativa può essere effettuata in relazione al livello di
benessere/normalità e di disagio/devianza/marginalità presenti nei soggetti cui sono
rivolte.
Come si può ben intuire è difficile individuare indicatori adeguati per determinare in
maniera univoca la presenza di condizioni di disagio. Molto spesso il disagio si presenta in
maniera a-sintomatica rendendo difficile il riconoscimento e stabilirne gli indicatori.
Vi sono poi le marginalità culturali prodotte dal mancato riconoscimento dei diritti e delle
pari opportunità.
1. Forma punitiva che dovrebbe svolgere un’azione deterrente nei confronti della
commissione di un reato: quanto più quest’ultimo è grave tanto più si inasprisce la
pena! È possibile constatare che ciò non avviene mai poiché ciò richiederebbe
l’applicazione della pena di morte.
2. Forma correttiva che si regge sulla convinzione che il crimine possa essere
contrastato tramite interventi specifici svolti in contesti istituzionali.
3. Forma di tipo meccanico che consiste nel frapporre ostacoli fisici alla eventuale
commissione di reati.
La prima consiste nel promuovere interventi mirati a controbilanciare tutti quei fattori che
in genere sono considerati causa di risposte individuali criminogene. Molto spesso tali
iniziative risultano essere inconcludenti in quanto si opera quasi esclusivamente su
condizioni contestuali piuttosto che assumere come obiettivo dell’azione preventiva il
coinvolgimento dei diretti interessati al cambiamento.
La terza riguarda tutti gli interventi che vengono messi in atto nei confronti di soggetti che
presentano molto più che disturbi, sintomi e patologie comportamentali: si tratta di soggetti
che appaiono collocato all’interno del range dell’antisocialità in cui è necessario operare
attraverso un taglio indicato che se non viene svolto adeguatamente rischia di innescare
circoli viziosi. Diversa è la prevenzione che agendo all’interno di situazioni di normalità e di
quotidianità riduce di fatto i rischi di incontro con il malessere e il disagio. Tale prospettiva
mira principalmente allo sviluppo della persona. La prevenzione promozionale equivale
a prevenzione educativa, attenta a tutte le peculiarità personali e alle specificità
contestuali.
Lavorare nell’ottica della promozione, significa rendere forte l’individuo, fare in modo che
possa sentirsi adeguato alle diverse situazioni che si trova ad affrontare, potendo far
ricorso a differenti risorse che gli consentono di costruire un progetto futuro e di affrontare
con efficacia le situazioni contingenti.
9. Analisi pedagogica di una problematica emergente: il bullismo
Quasi ogni giorno appaiono su youtube le ‘imprese’ di adolescenti con i loro filmini che
ritraggono scende di bullismo.
I comportamenti bullistici sono frutto di una serie di correlati legati al clima familiare e
scolastico: stili educativi permissivi e tolleranti; definizione e articolazione delle strutture
gerarchiche; coesione tra i membri che compongono i vari contesti; sistema dei valori
condiviso; strategie utilizzate per fronteggiare le difficoltà.
Una posizione particolare occupa la vittima diversa, diversa per cultura, svantaggio socio
ambientale o per una qualche disabilità: tale vittima è più sensibile degli altri coetanei alle
prese in giro, non sa o non può difendersi adeguatamente a causa della sue
caratteristiche fisiche o psicologiche.
Infine vi è il difensore colui che consola e difende la vittima o cerca in qualche modo di far
smettere le prepotenze purtroppo per la vittima, il difensore non è onnipresente.
9b. Le forme
Questa prima forma di bullismo è prevalente tra i maschi e si manifesta già nella scuola
primaria. I segni lasciati dall’aggressione fisica possono essere facilmente rilevati
dall’adulto che potrà quindi avvalersi di questi segnali per intervenire.
Una seconda forma è il bullismo verbale caratterizzato da prese in giro, derisioni, insulti
frequenti. È una forma che sul piano quantitativo non presenta evidenti differenze tra
maschi e femmine, mentre in relazione all’età compare più tardi rispetto a quello fisico. In
tale forma è possibile rintracciare due differenti modalità di attuazione manifesta, in cui
vengono apertamente presi di mira gli aspetti personali o quelli relativi nella famiglia della
vittima; e quella occulta che si caratterizza per la diffusione di maldicenze in riferimento
ad aspetti personali o familiari, in assenza della vittima.
Vi è poi il bullismo psicologico relazionale che mira ad escludere la vittima dal gruppo
nel quale è inserita.
Qui si iscrivono 2 sottocategorie: quella sociale che si caratterizza per uno stato di
isolamento crescente in cui si tende a configurare la vittima, e quella manipolativa che
consiste nell’intervenire attivamente sui rapporti di amicizia di cui gode la vittima,
manipolandoli e rompendoli. In tal modo la vittima rimane isolata e perde di conseguenza
anche il sostegno emotivo e sociale che gli derivava da quelle che riteneva amicizie salde
e sicure. Infine vi è il bullismo elettronico che consiste nell’infliggere vessazioni via e-
mail o sms o la fotografa/filma in momenti in cui questa non desidera essere ripresa e poi
invia le sue immagini ad altri con lo scopo di diffamarla.
Questa forma ha stravolto il ‘vecchio’ volto del bullismo lasciando invariate le conseguenze
per la vittima. Esso opera all’interno di uno scenario che può raggiungere un vasto
gruppo rispetto al bullismo tradizionale; la vittima non ha la possibilità di sottrarsi a tali
vessazioni; risulta essere maggiormente nascosto agli adulti; consente di mettere in
essere azioni prevaricanti anche da parte di soggetti che nella conflittualità sociale diretta
non potrebbero mai ricoprire il ruolo di bullo; il senso di responsabilità da parte di chi
agisce diminuisce notevolmente.
Se fino a qualche anno fa erano solo i ragazzi a fare i bulli oggi si può affermare
l’esistenza di un bullismo femminile, meno basato sullo scontro fisico e maggiormente
caratterizzato dall’aspetto verbale/indiretto e si concretizza nella manipolazione dei
rapporti di amicizia. Oltre la variabile di genere è significativa quella relativa all’età. A
giudizio unanime degli studiosi la fascia di età compresa tra i 7 e i 16 anni è considerata
quella con maggiore frequenza di episodi di bullismo. I soggetti coinvolti sono gli alunni
delle scuole elementari e medie; con il passaggio alla scuola secondaria di 2° il bullismo
evolve nelle forme di bullismo specializzato. In questa fase sebbene il bullismo
diminuisca in quanto numero di frequenza, si modifica ed assume sfumature diverse più
pericolose.
I luoghi in cui avvengono gli episodi di violenza sono soprattutto riguardanti la scuola.
Nella scuola elementare gli spazi prediletti sono i bagni, cortili e ambienti poco controllati.
Un esempio che rappresenta il modo in cui è possibile comprendere gli stati d’animo altrui
è la tecnica del role playing un gioco che dà l’occasione di liberare le emozioni e i
sentimenti che non si possono esprimere per via di regole o condizionamenti sociali. I
vantaggi di questa tecnica consistono nel fatto che: il processo si sviluppa come gioco di
ruolo e pertanto non avrà conseguenze nella vita reale; a conclusione del role playing è
previsto un momento di debriefing in cui si riflette sui significati che i diversi
comportamenti veicolano, al fine di esplorare le relazioni tra la situazione rappresentata e
l’esperienza reale dei soggetti.
Altra tecnica che permette di sviluppare una maggiore empatia e consapevolezza degli
altri è il Teatro dell’Oppresso che è stato ideato negli anni ’60 in Brasile da Augusto Boal,
che usa il teatro come linguaggio e mezzo di conoscenza e di trasformazione della realtà
interiore relazionale e sociale che gli spettatori vivono nel corso della ‘performance’ messa
in scena.
A livello di più specifica prassi scolastica, possiamo fare riferimento alla pratica del
Cooperative learning, che favoriscono la costruzione di un senso di appartenenza
responsabile che porta al rinforzo dell’autostima e a comunicare ed aiutare gli altri.
Come agire quando l’atteggiamento bullistico assume i connotati delle costanze
comportamentali?
- fermare gli episodi nel preciso momento in cui vengono osservati e solo
successivamente cercare di capire le cause;
- sostenere innanzitutto le vittime, anche quando non sembrano simpatiche o si ritiene che
colludano con l’aggressione;
- sviluppare e favorire il lavoro attraverso la sinergia tra i diversi soggetti che si occupano
di educazione e formazione.
Ma oltre ad una più approfondita conoscenza del problema è necessario che si inneschi
una convergenza di intenti con l’obiettivo di individuare criteri di azione e strategie
educative, come si diceva, che possano rappresentare una solida piattaforma preventiva
sollecitando i genitori e insegnanti relazionali positivi, rispettosi, incoraggianti sia a casa
che a scuola; realizzando una vera e propria ‘rete’ tra le agenzie e istituzioni
extrascolastiche che possono rappresentare un punto di riferimento per l’adolescenza.
Dare spazio e attenzione a queste pratiche a scuola significa lavorare per favorire
condizioni adeguate alla costruzione di abilità socio-relazionali stabili e efficaci per la
promozione dell’autostima, l’assunzione di responsabilità, di partecipazione attiva, di
rispetto per gli altri in un clima di benessere.
Per questo alcuni autori sottolineano il carattere di provvisorietà proprio perché il suo
significato è sfuggente in quanto fa riferimento a elementi teorici e prassici. Pertanto
quando si parla di competenze è più corretto fare riferimento alla convergenza di capacità,
conoscenze, aspetti immateriali e concreti. Una nozione corretta di competenza dovrebbe
contemplare al suo interno sia ciò che è comportamentalmente osservabile sia aspetti
performativi di una persona, il suo empowerment.
Proprio per questo è un processo che presenta alcuni caratteri essenziali quali dinamicità
e processualità, contestualità e complessità.
Quanti degli operatori impiegati nei più svariati settori che si confrontano con la diversità
possiedono le competenze necessarie per poter meglio rispondere alle ‘domande’ che
provengono dell’altro diverso da me?
- apprezzamento e l’integrazione.
In questo quadro di riferimento trovano un loro naturale spazio gli aspetti metacognitivi
delle competenze, che si concretizzano in strumenti di riflessione al servizio del processo
di presa di coscienza delle aree fondamentali della propria competenza.