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L’ARTE DURANTE I REGIMI TOTALITARI

Arte e Fascismo
Benito Mussolini conquistò il potere nel 1922, Adolf Hitler nel 1933. Era stata la mobilitazione politica
dei reduci della guerra a nutrire i partiti a vocazione totalitaria. La Grande Guerra era stata il primo
conflitto di massa e i regimi autoritari che ne derivarono ebbero un dato comune: la sottomissione
dell’individuo alla collettività, che tendeva a identificarsi in capi carismatici.
Il consenso delle folle era ottenuto con precise strategie di propaganda: per l’allestimento di parate,
manifestazioni, comizi furono stanziate enormi risorse e convocati i migliori scenografi. Arte, architet-
tura, grafica, e in generale le immagini e la comunicazione visiva, diventavano aree privilegiate di
intervento.
Mussolini e il suo ministro della cultura Giuseppe Bottai continuarono a sopportare il Futurismo senza
censurarlo, ma lo isolarono in favore del gruppo Novecento. Alla pittura, del resto, il regime preferì
l’arte del cinema, a cui, dal 1932, venne dedicata la Mostra del Cinema, presso il Lido di Venezia, come
articolazione della Biennale.
Quanto a quest’ultima, nel 1942 venne dedicata solo alla cultura militare e per tutti gli anni Trenta per-
se il suo carattere realmente internazionale.

Tra arte di regime e opposizione: il caso di Corrente


Nel corso degli anni Trenta in Italia l’ala più a destra del Fascismo, capeggiata da Roberto Farinacci,
avviò il progetto di un’attività artistica direttamente ispirata agli ideali del regime. A tale scopo venne
istituito il Premio Cremona (1939-1941), partecipando al quale gli artisti erano obbligati all’anonimato
e dovevano affrontare temi quali “Auscultazione alla radio di un discorso del Duce”, “La battaglia del
grano”, “La gioventù italiana del Littorio”.
L’ala più illuminata del Fascismo, capeggiata da Bottai,
diede segni di tolleranza appoggiando ufficialmente il
più aperto Premio Bergamo (1939-1942). Nella sua ulti-
ma edizione fu premiata una provocatoria Crocifissione
(1941) di Renato Guttuso (1912-1987).
Formatosi in Sicilia, nel 1931 Guttuso si era trasferito
a Roma dove, in quell’anno, espose alla Prima Mostra
Quadriennale che era stata inventata come contrappun-
to italiano alla Biennale di Venezia, di impronta interna-
zionale. Nel biennio 1935-1937 Guttuso visse a Milano,
a contatto con artisti come Renato Birolli e Giacomo
Manzù.
Dal 1940 fu membro del Partito Comunista e partecipò
attivamente a Corrente, il gruppo nato nel 1938 intorno
a una rivista di opposizione al regime fondata da Erne-
sto Treccani. A Corrente parteciparono artisti in cerca di
un’alternativa all’estetica di Novecento, ma anche, a ri-
prova del fermento che animò il movimento, filosofi della
scuola milanese: Enzo Paci, Dino Formaggio, Giulio Pre-
ti, Luciano Anceschi. La rivista fu soppressa nello stesso
1940, ma il gruppo restò compatto per qualche tempo
grazie all’impegno del mecenate Alberto della Ragione.

Manifesto per la prima Esposizione Internazionale d’Arte


cinematografica alla XVIII Biennale di Venezia, 1932.

1 STORIA
CONTEMPORANEA
La Crocifissione di Guttuso
Nella Crocifissione, che di Corrente fu il massimo momento espressivo e che segnò un punto fonda-
mentale nella reazione al Novecento Italiano, notiamo come l’impegno civile si esprima in termini
formali attraverso il rinnovamento di una scena sacra tradizionale.
L’impianto dell’opera è quadrato e non si spinge in verticale come voleva la tradizione: la crocifissione
resta, cioè, un atto di prepotenza umana più che un momento di manifestazione divina.
Citando esplicitamente Guernica nella testa ritorta del cavallo in primo piano, Guttuso dichiara il suo
debito a Picasso e accomuna i due tragici eventi; la nudità di tutti i personaggi accentua la novità ico-
nografica e la drammaticità della scena, sottolineata anche dai toni rossi e comunque accesi del colo-
re, dall’incrociarsi concitato delle linee, dallo scorcio che pone Cristo, uomo umiliato tra gli altri, dietro
il primo ladrone di spalle, e ancora dall’affollarsi rumoroso dei personaggi in una scena dipinta non
nel “dopo”, come nell’iconografia classica, ma nel “durante” dell’azione, come attestano gli attrezzi in
primo piano.

R. Guttuso, Crocifissione, 1941. Olio su tavola, 200x200 cm. Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna.
Esposto alla quarta edizione del Premio Bergamo (1942), il quadro suscitò polemiche e accuse di blasfemia che fecero guadagnare
all’autore l’appellativo di “pictor diabolicus”.

2 STORIA
CONTEMPORANEA
Arte e Nazismo
A differenza di Mussolini, Adolf Hitler aveva nei confronti dell’arte un’attenzione precisa: sognava
di diventare pittore e architetto, ma fu bocciato più volte all’esame di ammissione all’Accademia di
Vienna. Giunto al potere, si scagliò contro la “pseudoarte” moderna, di cui non era riuscito a diventare
un protagonista.
Nei suoi discorsi accusava il Cubismo, il Dadaismo, il Futurismo e anche l’Impressionismo, perché
alla base di questi movimenti, nati su suolo straniero, stava una concezione della vita antieroica, che
sminuiva l’originario vitalismo germanico: a parer suo l’arte, come lo sport, doveva rappresentare un
tipo fisico ariano, rigettando ogni deformità e ogni sperimentalismo tecnico per rendere le immagini
più comprensibili alla massa.

L’architettura di Albert Speer 1.


Dominato dalla passione per l’architettura, Hitler passava
intere giornate con il giovane architetto Albert Speer (1905-
1981), al quale aveva affidato il progetto per la trasforma-
zione urbanistica di Berlino: grandi viali per consentire
trionfali parate militari e un’immensa residenza personale
che dominava la città, arricchita con giardini pensili, laghi
artificiali e cupole dorate. La più vasta cupola avrebbe do-
vuto accogliere 130 000 persone per le cerimonie ufficiali;
con i suoi 250 metri di altezza avrebbe superato ogni al-
tro edificio circostante; il suo diametro sarebbe stato sette
volte quello della cupola di San Pietro a Roma; al suo in-
terno si sarebbero generate nuvole dall’evaporazione del
fiato della folla; l’unico problema sarebbe stato trovare al
Fürher una collocazione abbastanza evidente da non farlo
sembrare piccolissimo nell’immensità del locale.
Dei piani di Speer venne realizzato solo lo Stadio di No-
rimberga, e per metà: la guerra bloccò i lavori che invece
nell’Italia fascista, progettati su scala meno monumentale,
condussero alla realizzazione quasi completa della cosid-
detta Terza Roma all’Eur e del suo centro, il Palazzo della
1. Speer mostra a Hitler i progetti per Berlino.
Civiltà Italiana.
2. Modello dello “Stadio tedesco” di Norimberga.

2.

3 STORIA
CONTEMPORANEA
Visitatori della Mostra dell’Arte degenerata.

La Mostra dell’Arte degenerata


I musei tedeschi furono spogliati dal Nazismo delle opere cubiste,
astrattiste, dadaiste, espressioniste. Vennero prelevati seimila tra
quadri e sculture, in parte destinati al rogo, in parte venduti all’a-
sta in Svizzera e da qui giunti in molti casi nei musei internazionali.
Il programma culminò con la Mostra dell’Arte degenerata che
aprì a Monaco nel 1937. Essa fu inaugurata da un lungo discorso
di Hitler ed espose, con intento denigratorio, seicento opere se-
questrate ai musei e destinate alla distruzione.
Nella mostra le opere erano accompagnate da scritte dispregiative e anche da un’indicazione del
prezzo, altissimo, che i musei avevano pagato agli “speculatori ebrei”. L’apertura ebbe luogo il giorno
dopo l’inaugurazione di una Grande Rassegna d’Arte Germanica che esponeva opere gradite al regi-
me.
Per un effetto indesiderato e destinato a diventare un boomerang, la Mostra dell’Arte degenerata
attirò un pubblico tre volte più vasto di quella dedicata all’arte ufficiale: la sua apertura dovette
essere prolungata e per mesi folle raccolte in file ordinate attesero ore per vederla, attirate anche dallo
scandalismo per il quale essa era stata vietata ai più giovani.
Si trattò inoltre della prima mostra itinerante d’Europa, a proprio modo esportatrice di un modello:
tra le sedi toccate ci furono Berlino, Düsseldorf, Francoforte, Amburgo, Salisburgo, Vienna entro il 1941.
Il pubblico complessivo fu il più vasto mai raccolto fino ad allora da una mostra: più di un milione di
persone. Il risultato fu un’enorme pubblicità all’estetica “degenerata”, pronta a diffondersi ovunque
solo pochi anni dopo, a Nazismo finito.

4 STORIA
CONTEMPORANEA

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