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CAPITOLO 1: UN APPROCCIO STRATEGICO AL COMPORTAMENTO ORGANIZZATIVO.

ELEMENTI DI BASE DEL COMPORTAMENTO ORGANIZZATIVO (OB).

Nell’attuale panorama competitivo, l’abilità di capire, apprezzare e utilizzare efficacemente il


proprio capitale umano è un aspetto cruciale comune a tutti i settori. Un approccio strategico al
comportamento organizzativo si focalizza su questi temi. S’introduce il concetto di comportamento
organizzativo e si spiega come osservarlo attraverso delle lenti strategiche, cosi da migliorare la
performance organizzativo.
Le risorse più importanti per tutte le tipologie di organizzazione d’impresa sono rappresentate dalla
tecnologia, dai sistemi distributivi, dagli asset di tipo finanziario, dai brevetti, e dalle conoscenze e
abilitò detenute dalle persone. Il comportamento organizzativo riguarda le azioni intraprese da
individui e gruppi di persone in un determinato contesto organizzativo. Gestire il
comportamento organizzativo significa focalizzarsi sull’acquisizione, sviluppo e sfruttamento
delle conoscenze da loro detenute. L’approccio strategico del comportamento organizzativo
si poggia sulla premessa che le persone costituiscano il fondamento del vantaggio competitivo di
un’organizzazione.
Se si organizza e gestisce in maniera efficace, le conoscenze e abilitò delle persone saranno in grado
di guidare l’organizzazione verso un vantaggio competitivo sostenibile e una performance
finanziaria positiva nel lungo periodo. Pertanto, l’approccio strategico al comportamento
organizzativo ha a che vedere con il saper organizzare e gestire le conoscenze e abilità individuali in
maniera efficace cosi da implementare la strategia organizzativa e ottenere un vantaggio
competitivo.
I fattori individuali, interpersonali e organizzativi determinano il comportamento e valore ultimo
delle persone all’interno di un’organizzazione. Con riferimento a quelli individuali, fattori come
l’abilità d’imparare e auto-gestirsi, le abilità a livello tecnico e i valori a livello personale sono tutti
elementi molto importanti. Questo elementi rappresentato o sono correlati a capacità importanti. A
livello interpersonale, fattori come la qualità della leadership, la comunicazione intra e inter-gruppo,
e i conflitti all’intero di uno stesso gruppo o tra gruppi diversi sono tutti elementi importanti da
prendere in considerazione. Questi elementi influiscono sul grado con cui le capacità individuali
vengono lasciate libere di esprimersi ed essere utilizzate all’interno dell’organizzazione . Infine, a
livello, organizzativo, la cultura e le politiche decise dall’organizzazione sono tra i fattori più
importanti poiché influiscono sulle potenzialità del talento e sulle attitudini positive delle persone
affinché l’impresa sia in grado di sfruttarli positivamente in termini di performance.
I fattori appena descritti interagiscono per produrre risultati positivi in termini di produttività,
soddisfazione e successo organizzativo. La produttività si riferisce agli output d’individui e gruppi,
mentre la soddisfazione si riferisce ai sentimenti che questi sviluppano riguardo al proprio lavoro e
al proprio luogo di lavoro. Il successo organizzativo è definito in termini di vantaggio
competitivo e performance finanziaria. Quindi un approccio strategico al comportamento
organizzativo richiede la comprensione di come i fattori individuali, interpersonali e organizzativi
influenzino il comportamento e valore delle persone facenti parte di un’organizzazione, dove il
valore si riflette nella produttività, soddisfazione, vantaggio competitivo e, pertanto, nel successo
finanziario dell’organizzazione.

L’IMPORTANZA DELL’UTILIZZARE DELLE LENTI STRATEGICHE.

Studiare il comportamento strategico attraverso delle lenti strategiche è prezioso per i manager
operanti a qualsiasi livello dell’organizzazione, cosi come per gli stessi lavoratori che si accingano a
portare a termine i propri compiti di base. Ad esempio, i senior manager più efficaci spendono
molto del loro tempo parlando con insider e outsider della visione, della strategia e delle altre
principali tematiche che possano essere considerate cruciali per la direzione di un’organizzazione.
Sono i senior leader a prendere le decisioni strategiche dell’impresa. Le abilità nel concettualizzare ,
comunicare e capire le prospettive degli altri sono d’importanza critica per queste discussioni; e a
tutte queste abilità vengono individuate attraverso un comportamento organizzativo strategico. I
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senior manager spendono il proprio tempo aiutando i middle-level manager nel definire e ridefinire i
propri ruoli e nella gestione del conflitto. Le abilità nel saper ascoltare, gestire il conflitto, negoziare e
motivare le persone sono cruciali per queste attività. Infine, i senior manager investono parecchio
tempo nel dar forma alle norme interne all’organizzazione e alle pratiche informali.
Di recente, i senior manager sono stati classificati come leader strategici. Tuttavia, esercitare una
leadership strategica non costituisce una funzione all’interno dell’organizzazione, ma è piuttosto un
problema di focus e comportamento. I leader strategici pensano e agiscono strategicamente e
utilizzano le succitate abilità a motivare le persone e costruire relazioni di fiducia che aiutino
nell’implementazione della strategia d’impresa. Sebbene il loro compito primario differisca da quello
dei senior manager, i manager di medio e più basso livello possono agire anch’essi come leader
strategici nello svolgimento dei propri incarichi.
I middle-level manager più efficaci impiegano la maggior parte del proprio tempo nel selezionare
idee strategiche interessanti insieme ai senior manager, aiutando l’impresa a capire come adattarsi.
Essi ricomprano anche un ruolo importante nell’implementazione della strategia dell’impresa.
Lavorano con gli altri middle- and lower- level manager per costruire i processi e avviarli
nell’implementazione della strategia. I middle-level manager impiegano parte del proprio tempo
anche nell’esaminare dati e informazioni che dovranno, poi, essere utilizzate dagli individui a tutti i
livelli dell’organizzazione necessitando, perciò, che essi dispongano di abilità sia analitiche sia
comunicative. Nel traferire le iniziative strategiche ai manager di livello gerarchicamente inferiore, le
abilità nella comunicazione, nella motivazione, nelle comprensione dei valori e nella gestione dello
stress sono, di certo, tra quelle più importanti . Un approccio strategico al comportamento
organizzativo individua ciascuno di questi aspetti del lavoro manageriale.
I lower-level manager pin efficaci investono molto del proprio tempo nell’addestrare i dipendenti
dell’impresa. Le abilità nell’insegnare, ascoltare, capire le diverse personalità e gestire lo stress sono
tra le principali nello svolgimento di queste attività. I lower-level manager rimuovono gli ostacoli
affrontati dai dipendenti, aiutandoli nella risoluzione dei problemi personali che influiscono sul
lavoro . Le abilità nella negoziazione e nell’influenzare gli altri sono d’importanza critica per la
rimozione degli ostacoli, mentre le abilità nella consulenza e nel capire le varie personalità possono
diventare determinanti nel risolvere i loro problemi personali. Infine, i lower-level manager
investono parecchio tempo nel design delle mansioni, nello strutturare i team e nello stabilire i
sistemi di premio e ricompensa. Le abilità analitiche, negoziali e nella gestione delle dinamiche di
gruppo sono tra le più importanti nello svolgimento di queste attività.
I lower-level manager saranno più efficaci quando saranno in grado di capire la strategia
organizzativa e come il loro lavoro e quello dei dipendenti possa adattarsi meglio alla strategia. La
maggior parte di ciò che essi fanno viene richiesto per implementare la strategia. È altresi utile per
questi manager adottare una visione più di lungo termine. Se non sarà adottato un approccio
strategico, è probabile che molti di questi manager tenderanno a focalizzarsi su problematiche di
breve termine. Invero, essi possono enfatizzare la risoluzione dei problemi senza esaminare come se
ne possa impedire la futura manifestazione. L’adozione di un approccio strategico li mette nelle
condizioni ideali per poter utilizzare le proprie abilità e impedire l’affiorare di problemi,
implementando la strategia in modo efficace e completando in modo efficiente i propri compiti, pur
rimanendo focalizzati sul futuro.
Malgrado la rilevanza degli studi formali di comportamento organizzativo, alcuni credo che i
manager possano avere successo solamente sulla base di un senso comune. La verità è che il mettere
a frutto il potenziale delle persone richiede sottigliezze complesse e di difficile gestione . Il senso
comune non può costituire l’unico fondamento all’azione manageriale. I manager più efficaci
capiscono come la vera fonte del proprio successo sia la profonda conoscenza delle persone e delle
organizzazione.
A conclusione di questa discussione sull’importanza del capire il coronamento organizzativo , ci si
focalizza ora sui risultai delle due ricerche. In entrambi gli studi, i ricercatori hanno esaminato
l’impatto di un’educazione formale al business nello sviluppo di abilità nel raccogliere informazioni,
operare analisi quantitative e saper gestire gli altri. È significativo come i risultati dicano che
l’educazione al business abbia avuto effetti positivi nello sviluppo di tali abilità, con particolare

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riferimento alle abilità interpersonali nella leadership e nell’aiutare la crescita degli altri. Questi
risultati dimostrano come capire l’importanza di un approccio strategico al comportamento
organizzativo possa apportare valore alle nostre conoscenze e abilità manageriali.

I FONDAMENTI DELL’APPROCCIO STRATEGICO AL COMPORTAMENTO


ORGANIZZATIVO.

Idee provenienti da varie discipline ci aiutano nella comprendo del comportamento organizzativo. Il
campo di studi si fonda sulle discipline della scienza comportamentale, tra cui la psicologia, la
psicologia sociale, la sociologia, l’economia e l’antropologia culturale. Tuttavia, un approccio
strategico al comportamento strategico differisce da queste discipline in due aspetti importanti:
1. Esso integra le conoscenze provenienti da tutte queste aree per capire il comportamento
all’interno delle organizzazioni; esso non individua i fenomeni organizzativi secondo la
prospettiva limitata di ognuna di queste discipline.
2. Esso si focalizza sui comportamenti e sui processi che aiutano nella creazione del vantaggio
competitivo e del successo finanziario; a differenza delle discipline sociali di base l’intento
dell’approccio strategico al comportamento organizzativo è migliorare la performance delle
organizzazioni.

Un approccio strategico al comportamento organizzativo integra i concetti utili appresi in altre


discipline enfatizzando nel contempo, i loro risvolti applicativi alle organizzazioni. Ottenere una
conoscenza effettiva del comportamento organizzativo aiuta la crescita di chi voglia divenire un
manager di successo.

UNA DEFINIZIONE DI ORGANIZZIONE.

Come già messo in evidenza, il comportamento organizzativo si focalizza sulle organizzazioni e su


ciò che succede al loro interno. Ciò è importante poiché le organizzazioni ricoprono un ruolo
determinate nella società moderna. Sebbene sia a volte difficile definire con precisione il termine
organizzazione, la maggior parte delle persone concorda nel fatto che essa sia caratterizzata dalle
seguenti peculiarità.
- Network d’individui;
- Sistema;
- Attività coordinate;
- Divisione del lavoro;
- Orientamento agli obiettivi;
- Continuità nel tempo;
Pertanto, viene definita organizzazione un insieme d’individui che formi un sistema coordinato di
attività specialistiche finalizzate all’ottenimento di uno specifico obiettivo in un determinato periodo
di tempo. Un’illustre tipologia di organizzazione è la cosiddetta business organization. Esistono altre
importanti tipologie di organizzazione. Le organizzino appartenenti al settore pubblico. L’approccio
strategico al comportamento organizzativo può essere applicato anche alle organizzazioni del settore
pubblico, cosi come a quelle no-profit. Alcune organizzazioni possono avere più problemi
motivazionali di altre, ma la conoscenza di come motivare i lavoratori è d’importanza cruciale per i
manager in ogni tipo di situazione.

IL RUOLO DEL CAPITALE UMANO NELLA CREAZIONE DEL VANTAGGIO COMPETITIVO.


LA NATURA DEL CAPITALE UMANO.

La base di risorse detenuta da un’organizzazione include sia risorse tangibili che intangibili.
Proprietà, stabilimenti, attrezzature e scorte di magazzino sono tutti esempi di risorse tangibili.
Storicamente, questo tipo di risorse ha costituito la fonte primaria della produzione e competizione.
Ciò è meno vero oggi poiché le risorse intangibili sono divenute molto più importanti affinché le
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imprese potessero compete con successo nell’economia globale. Le risorse intangibili sono gli asset
non fisici di cui dispone un’organizzazione per la creazione del valore. Tali asset, spesso, sono
profondamente radicati nella storia ed esperienza dell’impresa poiché tendono a svilupparsi giorno
dopo giorno, accumulandosi nel tempo.
Il capitale umano è una risorsa intangibile d’importanza critica. Il capitale umano è la
sommatoria delle abilità, conoscenze e attributi generali dei membri di un’organizzazione. Esso
rappresenta la capacità di cui si disponga per il lavoro da effettuare oggi e il potenziale per sfruttare
le opportunità del domani. Il capitale umano ricomprende non solo abilità facilmente osservabili ma
anche le abilità, conoscenze e capacità dei manager e dipendenti nell’apprendimento,
comunicazione, motivazione, costruzione della fiducia e capacità di lavorare efficacemente in team.
Esso include anche alcuni valori di base, credi e attitudini.
Il capitale umano non perde di valore all’aumentare del suo utilizza, ma piuttosto, acquisisce valore
con il maggior uso. Ciò lo differenzia dalle risorse tangibili la cui capacità produttiva e il cui valore
diminuiscono con il maggior uso. Ovvero, più si applicano le conoscenze correnti, più si apprende.
Pertanto, la conoscenze è infinitamente espandibile e aumenta di valore tanto più la si utilizzi e
condivida nel tempo. La conoscenza è diventata una risorsa critica per molte imprese rivestendo un
ruolo chiave nella conquista e mantenimento del vantaggio competitivo. Le imprese che abbiano
maggiori conoscenze con riguardo a se stesse, ma anche a clienti, mercati, tecnologie e concorrenti,
possono utilizzare questo patrimonio intangibile per ottenere il proprio vantaggio competitivo;
poiché la maggior parte di questa conoscenza è posseduta da manager e dipendenti, le imprese
necessitano di continui investimenti nello sviluppo del proprio capitale umano. L’obiettivo è
incrementare l’apprendimento organizzativo e costruire le conoscenze e abilità che serviranno
all’impresa.

IL CONCETTO DI VANTAGGIO COMPETITIVO.

Si ha un vantaggio competitivo quando un’organizzazione sia in grado di portare a termine alcuni


aspetti del suo lavoro in maniera migliore rispetto ai concorrenti o quanto tali aspetti vengano
portati a termine in un modo che i concorrenti non siano in grado di duplicare.

IL CAPITALE UMANO COME FONTE DEL VANTAGGIO COMPETITIVO.

Sebbene il capitale sia cruciale per la creazione del vantaggio competitivo, non tutte le
organizzazioni dispongono delle risorse umane necessarie per il successo. Il grado con cui il capitale
umano sia utile nella creazione del vantaggio competitivo è determinato dal suo valore, rarità e
difficoltà d’imitazione.

VALORE.

In senso generale, il valore del capitale umano può essere definito come il livello con cui gli individui
siano capaci di occuparsi del lavoro basilare di un’organizzazione. Più direttamente, il valore del
capitale umano può essere definito come il livello con cui gli individui siano in grado di produrre
un lavoro che sia di supporto alla strategia dell’organizzazione cosi da renderla competitiva sul
mercato. In generale, le imprese enfatizzano una delle due strategie di base. La prima riguarda la
creazione di prodotti/servizi a basso costo per il cliente, pur mantenendo una qualità buona o
accettabile. La seconda strategia riguarda la differenziazione di prodotti/servizi rispetto a quelli
realizzati dai concorrenti sulla base di speciali o superiori caratteristiche qualitative che consentono
all’impresa d’impronte prezzi più elevati alla lue del maggior valore dei propri output.
Il capitale umano riveste un ruolo importante nello sviluppo e implementazione di
queste strategie.

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RARITÀ.

La rarità del capitale umano rappresenta il livello di unicità delle abilità e talento delle persone
che lavorino in una determinata organizzazione. In alcuni casi gli individui con abilità rare sono
arruolati dall’organizzazione , in altri casi, le persone sviluppano le proprie abilità più rare
all’interno dell’organizzazione stessa. vi sono programmi di guida e addestramento che assistono il
personale in questo sforzo.

IMITABILITÀ.

L’imitabilità del capitale umano è il livello con cui le abilità e il talento dei lavoratori di
un’organizzazione possano essere copiati da un’altra organizzazione.
Solitamente, le abilità e talenti più difficili da imitare sono quelli più complessi e sviluppati
all’interno di una particolare organizzazione. Tipicamente, queste abilità hanno a che vedere con le
conoscenze tacite: una tipologia di conoscenza che le persone possiedono, ma che non sono in grado
di articolare. Come risultato, le imprese capaci di gestire efficacemente le proprie conoscenze
possono rendere le proprie abilità e capacità di difficile imitazione per i rivali. La cultura di
un’organizzazione rappresenta valori condivisi che, a loro volta, determinano parte le abilità e
comportamenti attesi da manager e dipendenti. In alcuni casi, la cultura organizzativa promuove lo
sviluppo e sfruttamento di abilità e comportamenti di difficile imitazione.

IL POTENZIALE COMPLESSIVO DEL VANTAGGIO COMPETITIVO.

Perché il capitale umano sia alla base del vantaggio competitivo sostenibile, esso dovrà soddisfare le
tre condizioni discusse in precedenza: dovrà essere di un valore tale da consentire l’esecuzione della
strategia d’impresa, dovrà essere raro all’interno del settore e dovrà essere difficile da imitare.
Un’organizzazione che assuma individui di valore, ma con abilità piuttosto comuni, non disporrà di
una base sufficiente alla creazione di un vantaggio competitivo poiché un suo rivale potrà facilmente
procacciarsi quelle stesse abilità sul mercato del lavoro. Il capitale umano di questa organizzazione
potrà contribuire al solo raggiungimento di una parità competitiva. Un’organizzazione che assuma
persone in possesso di abilità più rare deterrà la chiave per la creazione di un vantaggio competitivo,
benché forse solo nel breve periodo.Perché si possa avere un vantaggio di lungo termine attraverso le
persone, un’organizzazione necessiterà di un capitale umano che sia di valore, raro e di difficile
imitazione.
Sebbene il valore, la rarità e la scarsa imitabilità di abilità e talenti siano cruciali per il vantaggio
competitivo , se prese una per volta, tuttavia, si tratta di caratteristiche insufficienti . Questi tre
fattori determinano il potenziale del capitale umano. Per tradurre tale potenziale in un vantaggio
effettivo, un’organizzazione dovrà sapere come far leva efficacemente su tali risorse. Essa potrà
disporre di grandi talenti e di manager e dipendenti con abilità uniche; ma se a queste persone non
saranno fornite la giusta motivazione e le risorse appropriate per supportarne il lavoro, esse non
daranno mai un contributo positivo. Pertanto, il vantaggio competitivo sostenibile attraverso il
fattore umano non dipenderà solo dalle abilità e dal talento di tali persone, ma anche da come
queste saranno trattate e impiegate.

IL COMPORTAMENTO ORGANIZZATIVO POSITIVO.

Il comportamento organizzativo positivo viene fuori dalla psicologia organizzativa positiva


sviluppatasi al fine di evitare di focalizzarsi troppo sul cercare di aggiustare ciò che non vada bene
nelle persone. Piuttosto, il comportamento organizzativo positivo si focalizza sull’alimentazione dei
maggiori punti di forza delle persone, aiutando queste ultime e sfruttarli a beneficio personale e
dell’organizzazione per cui lavorino. Un comportamento organizzativo positivo suggerisce come sia
più probabile che gli individui lavorino meglio ove abbiano una buona confidenza in se stessi, siano
ottimisti e abbiano una certa forza e flessibilità.

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Le persone stanno meglio e sono più produttive se in possesso di grande determinazione e fiducia in
se stesse con riferimento al lavoro da svolgere. Pertanto, i manager dovrebbero cercare di costruire
tale determinazione e fiducia nei propri dipendenti. In aggiunta a ciò, una ricerca recente testimonia
l’importanza di determinazione e fiducia nella performance dei team: ove un team si convinca di
essere capace di poter portare a termine un certo incarico assegnatogli, la performance complessiva
del team potrà essere più elevata. I leader che pratichino un comportamento organizzativo positivo
costruiscono legami più forti con i propri dipendenti e pari grado. In alternativa, i leader possono
ricostruire la fiducia sviluppando un capitale psicologico positivo tra i propri dipendenti; e quando si
abbia un capitale psicologico positivo tra unità e organizzazioni, gli individui tenderanno a essere
maggiormente motivati e a dare di più nel perseguimento degli obiettivi offrendo una performance
di livello superiore.
Gli individui che siano gestiti in maniera positiva a che abbiano un approccio personale positivo per
ottenere da se stessi prestazioni migliori rispetto agli altri saranno spesso in una forma migliore sia a
livello fisico che mentale. Come tali, i manager dovrebbero aiutare i dipendenti a sviluppare
emozioni positive in se stessi e negli altri: ciò li aiuterebbe a sviluppare e implementare i giusti
strumenti per conseguire il successo di un’organizzazione.
fornire una leadership che incoraggi e alimenti emozioni positive richiede sovente l’applicazione
dell’intelligenza emozionale. I leader che usino l’intelligenza emotiva costruiscono relazioni di
fiducia con i propri dipendenti, mostrano ottimismo e costruiscono l’efficacia dei sottoposti fornendo
loro il necessario addestramento. L’approccio dei leader che fa uso di un comportamento
organizzativo positivo richiama il concetto di management ad alto coinvolgimento.

IL MANAGEMENT AD ALTO COINVOLGIMENTO.

Il management ad alto coinvolgimento richiede che tutti riconoscano nel capitale umano la risorsa
più importante dell’organizzazione. A volte conosciuto come management ad alta performance,
l’approccio del management ad alto coinvolgimento richiede l’attenta selezione e
addestramento dei dipendenti, a cui occorre dare il giusto potere nel processo decisionale, nonché le
giuste informazioni e incentivi. La combinazione del potere decisionale con importanti informazioni
tattiche e strategiche offre ai dipendenti l’abilità di decidere o influire sulle decisioni su come portare
a termine i vari compiti, cosi da creare valore per l’organizzazione. Dare ai dipendenti potere e
autonomia attraverso un management ad alto coinvolgimento consente loro di utilizzare al meglio le
proprie conoscenze e competenze.
In generale, la prativa dell’autonomia può incrementale le possibilità che i dipendenti diano il
massimo nel proprio lavoro, includendo anche la volontà di:
I. Lavorare duramente per servire il miglior interesse dell’organizzazione;
II. Affrontare diverse mansioni e ottenere le abilità tecniche necessarie a lavorare in varie attività;
III.Lavorare utilizzando sia il proprio intelletto che la propria manualità:

LE CARATTERISTICHE CHIAVE DEL MANAGEMENT AD ALTO COINVOLGIMENTO.

Sono cinque le caratteristiche chiave del management ad alto coinvolgimento: - assunzione


selettiva; - assunzione estensiva; - potere decisionale; - condivisione delle
informazioni; - incentivo sui compensi.

L’ASSUNZIONE SELETTIVA.

Un sistema di selezione che sia saggio e sensato è una caratteristica che contraddistingue l’approccio
del management ad altro coinvolgimento. Se i manager avranno necessità di delegare autorità e
informazioni ai dipendenti, un’organizzazione dovrà poter selezionare le persone adatte. Nel
processo di selezione, è importante che si disponga di un’ampia base di scelta tra le domande di
lavoro e che i candidati siano sottoposti a un processo di rigida valutazione. Gli individui selezionati
nel corso di un processo cosi accurato avranno riguardo per l’integrità dell’organizzazione.

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Un’altra parte importante del processo di selezione riguarda l’esame della compatibilità e
adeguatezza dei candidati con la cultura e missione dell’organizzazione. Selezionare i nuovi assunti
solo sulla base delle loro abilità tecniche è un errore. Nelle situazioni in cui la maggior parte o tutte
le abilità tecniche necessarie allo svolgimento di un lavoro possano essere impartite all’interno
dell’organizzazione, è piuttosto ragionevole fare meno attenzione alle abilità già esistenti ponendone,
invece, di più nei confronti della compatibilità culturale, un certo numero di studi mostra l’impatto
della compatibilità culturale sulla soddisfazione , sull’intenzione di abbandonare l’organizzazione e
sulla performance lavorativa.

L’ADDESTRAMENTO ESTENSIVO.

L’addestramento costituisce la seconda componente essenziale del management ad alto


coinvolgimento. Senza un’educazione e addestramento appropriati, i nuovi assunti non potranno
offrire una performance in linea con le attese; e anche quando questi ultimi dovessero essere ben
addestrati per una determinata posizione, sarà importante aiutarli a costruire le abilità e capacità
che saranno loro necessarie al di là di quella mera posizione. In più, la socializzazione nel rispetto
delle norme dell’organizzazione è una parte importante dell’addestramento iniziale. Per i dipendenti
già esistenti, un addestramento ininterrotto nell’uso delle tecnologie e strumentazioni più recenti
appare assolutamente fondamentale.

IL POTERE DECISIONALE.

La terza dimensione chiave del management ad alto coinvolgimento è il potere decisionale: ossia
fornire ai dipendenti l’autorità d’intraprendere alcune importanti decisioni invitandoli, nel
contempo, a influire su molte altre. In molti casi, il potere decisionale è affidato ai dipendenti che
siano membri di un team. Invero, i team auto-gestiti o auto-diretti costituiscono una parte centrale
delle organizzazioni ad alto coinvolgimento.
Negli anni, sono stati condotti diversi studi sul poter decisione. In genere, essi supportano la pratica
del dare ai dipendenti una certa (limitata) autorità e capacità di influenza.

LA CONDIVISIONE DELLE INFORMAZIONI.

La quarta caratteristica del management ad altro coinvolgimento è la condivisione delle


informazioni. Perché i dipendenti possano prendere decisioni efficaci e fornire input rilevanti alle
decisioni prese dai manager, essi dovranno prima di tutto essere informati in maniera appropriata.
In più, la condivisione delle informazioni tra i membri dei team promuove la collaborazione, il
coordinamento e l’elevata performance di tali team. Esempi di informazioni che potrebbero essere
condivise includono i risultati operativi d’impresa e il business plan, i costi dei materiali e i risultati e
limitazioni provenienti dalle negoziazioni con i fornitori.

GLI INCENTIVI E LA RETRIBUZIONE.

La quinta e ultima dimensione del management ad alto coinvolgimento è costituita dagli incentivi e
dalla retribuzione. Questo tipo di compenso può assumere diverse forme, tra cui le seguenti:

- Dei sistemi individuali di retribuzione a scaglioni, dove i dipendenti vengano compensati in base
all’ammantare prodotto o venduto;
- Dei sistemi d’incentivo a livello individuale, dove i dipendenti ricevano dei bonus sulla base della
loro performance di breve o lungo termine;
- La condivisione dei guadagni, dove i dipendenti prendano parte a una porzione dei risparmi
generati dai suggerimenti di miglioramento proposti da un lavoratore;

Gli incentivi nella retribuzione abbiano influito positivamente sulla produttività e competitività

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ALCUNE EVIDENZE DELL’EFFICACIA DEL MANAGEMENT AD ALTO
COINVOLGIMENTO.

Considerando i cinque aspetti del management ad alto coinvolgimento come un sistema coerente, i
risultati della ricerca empira supportano l’efficacia di tale approccio.
Altri studi hanno mostrato come i sistemi ad alto coinvolgimento promuovano relazioni più forti nel
posto di lavoro e forniscano ambienti in cui manager e dipendenti sentano di essere investiti di una
certa autonomia. Come tali, essi manifestano una maggior soddisfazione lavorativa e produttività.
Essi servono la clientela dell’impresa in maniera efficace, promuovendone un livello elevato di
soddisfazione.

RICHIESTE PER I MANAGER.

Qualora un approccio ad alto coinvolgimento presentasse tutte le caratteristiche evidenziate in


precedenza, ciò vorrebbe dire che i dipendenti avrebbero ricevuto un appropriato livello di
empowerment. I manager ad alto coinvolgimento danno molta importanza all’empowerment,
poiché dei dipendenti che godessero di una certa autonomia e potere avrebbero gli strumenti e il
supporto necessari a creare valore per l’organizzazione. Tuttavia, i manager che implementassero
approcci ad alto coinvolgimento dovrebbero intraprendere azioni specifiche e ben ragionare per
promuovere l’empowerment.
Poiché essi credono fermamente nell’empowerment dei dipendenti, i manager ad alto
coinvolgimento cercano d’identificare costantemente le situazioni appropriate in cui delegare le
responsabilità. L’intento è spostare il processo decisione ai livelli più bassi della gerarchia
organizzativa, dando ai dipendenti le informazioni e conoscenze sufficienti a poter prendere
decisioni. Le persone che si sentiranno rispettare per i propri valori, saranno motivate ad agire in
modo prudente ed esplicito nel completamento dei compiti a loro assegnati. La fiducia ta manager e
dipendenti è un fattore rilevante nelle organizzazione ad alto coinvolgimento. La fiducia tra i
dipendenti e chi sia responsabile del loro comportamento abbia un effetto positivo sulla
performance finanziaria dell’organizzazione. Confidenti nelle abilità proprie e dei loro dipendenti, i
manager ad alto coinvolgimento riconoscono di non essere i depositari di tutta la conoscenza
necessaria perché la propria organizzazione abbia successo. Come risultato, essi lavoreranno con i
propri pari grado e dipendenti per trovare soluzioni ai problemi che potranno affiorare nel tempo. I
manager che adotteranno un approccio ad altro coinvolgimento nella gestione dei propri dipendenti
manifesteranno molte delle caratteristiche dei leader trasformazionali.
I manager ad alto coinvolgimento pensano di continuo a come utilizzare al meglio il capitale umano
per la creazione di un vantaggio competitivo. Le imprese se utilizzano i propri punti di forza per
offrire valore al cliente; e i punti di forza sono tipicamente basati sul capitale umano.

CAPITOLO 2: LA DIVERSITÀ ORGANIZZATIVA.

Nelle organizzazioni più efficaci, manager e dipendenti capiscono il valore della diversità e
capitalizzano su di essa per migliorare la performance. In più, manager e dipendenti non possono
sfuggire alla diversità insita nei gruppi di lavoro e nelle organizzazioni. Differenze di genere, razza,
background funzionale e cosi via dicendo sono sempre intorno a noi. La diversità, se gestita in modo
appropriato, può essere utile nella creazione di un vantaggio competitivo: per esempio, assumere e
trattenere manager e dipendenti di varie etnie può aiutare un’organizzazione a capire e servire
meglio una determinata base di clienti già esistenti e diversi. La diversità tra i dipendenti può anche
essere utile d attrarre ulteriori clienti provenienti da altre etnie.
Molte persone si sentono maggiormente a proprio agio ove interagiscano e lavorino con individui
che siano a loro più simili sotto diversi punti di vista. Tuttavia, esse devono imparare a lavorare con
tutti per conseguire gli obiettivi dell’organizzazione. In un luogo di lavoro che sia davvero aperto
all’inclusione delle diversità, tutti si sentono apprezzati e tutti i dipendenti si sentono motivati e
coinvolti nel perseguimento della missione dell’organizzazione. Si tratta di un risultato consistente

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con un ambiente di lavoro ad alto coinvolgimento e che può aiutare nella conquista del vantaggio
competitivo.

UNA DEFINIZIONE DI DIVERSITÀ.

La diversità può essere definita come una caratteristica di un gruppo di persone in cui esistano
delle differenze riguardo a uno o più dimensioni rilevanti, come il genere. Da notare come la
diversità costituisca una caratteristica di gruppo, non individuale. Dunque, è inappropriato riferirsi a
un individuo come diverso.
In pratica, la diversità è definita spesso in termini di dimensioni particolari, più comunemente con
riferimento al genere, alla razza e all’etnia. Vi sono anche altre dimensioni importanti. Queste
includono l’età, la religione, la classe sociale, l’orientamento sessuale, la personalità, l’esperienza
funzionale e il background geografico. Qualsiasi caratteristica in grado d’influire sull’identità di una
persona o sul modo in cui essa si approcci ai problemi e interpreti il mondo può essere molto
importante nella definizione del concetto di diversità. Gli attribuiti visibili, quelli direttamente
correlati alla performance lavorativa e gli attribuiti più rari sono quelli che sono da considerarsi più
importanti.
I programmi di azione affermativa differiscono dai programmi di gestione della diversità. I
programmi di azione affermativa sono delle misure specifiche prese da un’organizzazione per
rimediare alla (o impedire) discriminazione. L’idea di base è assicurare un’equa rappresentazione di
donne e minoranze etniche o razziali nel luogo di lavoro. Aspetto centrale dei programmi di azione
affermativa è l’inclusione delle analisi di utilizzo, che indicano la proporzione di donne e minoranze
assunte dall’impresa e occupanti varie posizioni; obiettivi e tempi per rimediare al sottoutilizzo delle
donne e delle minoranze; specifiche pratiche di reclutamento volte all’assunzione di donne e
minoranze; e la previsione di opportunità di sviluppo. I programmi di azioni affermativa non
richiedono l’implementazione di quote di assunzione specifiche o un abbassamento degli standard
per la selezione e promozione. Inoltre i programmi di azione affermativa rappresentano solitamente
un’azione temporanea.
Di contro, i programmi di gestione della diversità sono messi in atto per migliorare la performance
delle organizzazioni. Per via dei loro diversi obiettivi, questi programmi differiscono dai programmi
di azione affermative. I programmi di gestione della diversità inquadrano il concetto da diversi punti
di vista. Essi sono spesso finalizzati a cambiare la cultura organizzativa, cosi da renderla più
inclusiva e da rendere i dipendenti più autonomi. In aggiunta, sono focalizzati sullo sviluppo delle
abilità delle persone nel saper lavorare insieme.
Quando la diversità sia gestita con successo, il risultato sarà la nascita di un organizzazione
multiculturale. Un’organizzazione multiculturale è un organizzazione in cui la cultura
organizzativa promuova e valorizzi le differenze. A seguito dell’efficace gestione delle diversità, vi
sono pochi conflitti tra i gruppi. Oltre alle organizzazioni multiculturali, troviamo anche quelle di
tipo plurale o monolitico.
Le organizzazioni plurali dispongono di una forza lavoro molto variegata e tentano di essere
inclusive e rispettose delle persone provenienti da contesti culturali differenti. Tuttavia, la diversità è
tollerata, piuttosto che apprezzata promossa. Mentre le organizzazioni multiculturali intraprendono
azioni speciali per rendere inclusivo il proprio ambiente e assicurare che tutti i membri si sentano
apprezzati; le organizzazioni plurali si focalizzano sulla legge e sull’evitare casi di lampante
discriminazione. Inoltre, le persone con un diverso background possono non essere integrate
attraverso l’attribuzione d’incarichi come avviene per quelle multiculturali. Infine, ci si aspetta un
maggior conflitto tra gruppi nell’ambito delle organizzazioni plurali rispetto a quelle multiculturali
poiché la diversità non è gestita in modo produttivo.
Infine, le organizzazioni monolitiche sono omogenee. Queste organizzazioni tendono ad avere
un’estrema segregazione dal punto di vista occupazionale, con i gruppi minorati che ricoprono
tipicamente status più modesti. Si tratta di organizzazioni che scoraggiano attivamente la diversità.
Perciò, chiunque sia diverso dalla maggioranza riceve forti pressioni per conformarsi al gruppo.

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LE FORZE DEL CAMBIAMENTO.

Negli ultimi vent’anni, i cambiamenti avvenuti hanno condotto a focalizzare maggior attenzione
sulla diversità; e ci si attende che questi trend possano continuare ancora lungo. I cambiamenti più
importanti sono: 1) i mutamenti nelle caratteristiche demografiche della popolazione; 2)
un’importanza crescente dell’economia dei servizi; 3) la globalizzazione del business; 4) l’adozione di
nuovi metodi manageriali che richiedano il ricorso al lavoro in team.

I CAMBIAMENTI NELLE CARATTERISTICHE DEMOGRAFICHE DELLA POPOLAZIONE.

Negli ultimi divieni anni, più di un vero delle persone facenti parte della forza lavoro statunitense è
stato membro di minoranze etniche o razziali. Oggi, ci si aspetta una crescita indefinita della
proporzione di tali minoranze all’interno ella forza lavoro: si tratta di una situazione simile a quella
di molti paesi europei. Un trend relativo all’invecchiamento costante della popolazione statunitense.
Negli Stati Uniti, tra i 2015 e il 2025, cioè nel momento in cui ci faccia parte di questa generazione
andrà in pensione, ci si attende una notevole carenza di posti di lavoro. Pertanto, sarà anche più
importante per le organizzazioni essere in grado di attirare e trattenere i propri dipendenti più
talentuosi. Un altro aspetto collegato all’invecchiamento della popolazione influirà anche sulla
composizione della forza lavoro. La proporzione di uomini e donne all’interno della popolazione
dovrebbe rimanere stabile. Questi trend creano la necessità di politiche che prendano in
considerazione le problematiche familiari e che si preoccupino dei diversi problemi dei lavoratori
con figli rispetto a coloro che non ne abbiano.

L’INCREMENTO DELL’ECONOMIA DEI SERVIZI.

L’agenzie delle statistiche in tema di lavoro ha previsto che il numero d’impieghi nei servizi crescerà.
È importante notare come un’economia basata sui servizi necessiti obbligatoriamente d’interazioni
d’alta qualità tra le persone, sia che si tratti di parrucchieri e loro clienti, che di lavoratori in campo
sanitario e loro pazienti e cosi via. A causa della crescente diversità tra i gruppi di clienti, l’economia
dei servizi richiede una maggior comprensione e apprezzamento della diversità.

L’ECONOMIA GLOBALE.

La globalizzazione del business a livello mondiale rappresenta un trend in costante accelerazione,


frutto dell’incremento nella facilità di comunicazione, dell’apertura di nuovi mercati e della continua
crescita d’impresa multinazionali. Le più grani imprese del mondo sono i principali possessori di
asset stranieri su scala mondiale. Queste stesse imprese impiegano milioni di lavoratori al di fuori del
proprio paese d’origine. In più, molte di queste necessitano che i lavoratori da occupare nei propri
paesi riescano a collaborare con altri provenienti da altre parti del globo. Infine, molte imprese,
adesso, vanno alla ricerca di manager e dipendenti su scala mondiale; il che significa che il mercato
del lavoro odierno sia un mercato di dimensioni mondiali. La continua crescita della globalizzazione
indica come le persone lavoreranno sempre per imprese di paesi diversi dal proprio e, soprattutto, di
diversa cultura e a un tasso sempre crescente. Inoltre, molti dipendenti si troveranno a lavorare con
colleghi di paesi sempre più diversi e che parleranno lingue sempre più diverse, dovranno adattarsi
alle più diverse pratiche di business e con punti di vista tra i più svariati. Al crescere di questo trend,
crescerà il bisogno di gestire sempre meglio la diversità.

LA NECESSITÀ DEL LAVORO IN TEAM.

Le organizzazioni che mirano al successo avranno bisogno di rispondere alla crescente


globalizzazione, a una tecnologia in costante mutamento e a una domanda sempre crescente di
capitale umano qualificato. Il lavoro in team è un modo per fornire prodotti e servizi di migliore
qualità poiché gli individui hanno la tendenza a un maggior commitment verso gli obiettivi
dell’organizzazione quando siano membri di team molto forti e rappresentativi. Il lavoro in team
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necessita che tutti gli individui che lo compongano possano lavorare bene insieme. Disporre di
diversi team offre la possibilità di conseguire effetti sinergici, dove la varietà delle esperienze,
attitudini e punti di vista dei loro membri conducono lo stesso team a una performance superiore.
Tuttavia, per conseguire tali effetti positivi, occorre saper gestire efficacemente la diversità.

LA GESTIONE DELLA DIVERSITÀ E LE ORGANIZZAZIONI AD ALTO COINVOLGIMENTO.

Le organizzazioni ad alto coinvolgimento si aspettano che i propri dipendenti rispettino, imparino e


si aiutino gli uni con gli altri. Esse riconoscono anche che questi debbano essere coinvolti
nell’organizzazione, cosi da utilizzarne le informazioni e il potere decisionale nel modo più
appropriato nel corso dell’addestramento. Gestire efficacemente la diversità è essenziale per il
conseguimento di tali obiettivi. Di ciò ne potranno beneficiare gli individui, i gruppi, le
organizzazioni e anche la stessa società.

I RISULTATI A LIVELLO INDIVIDUALE.

Le percezioni che i dipendenti abbiano riguardo al livello con cui siano apprezzati e supportati
dall’organizzazione hanno un considerevole effetto sul loro grado di commitment verso
l’organizzazione , ma anche in termini di proprio coinvolgimento e soddisfazione lavorativa . Nel
caso di dipendenti che siano differenti rispetto a quelli intorno a loro, un clima positivo e inclusivo
della diversità si renderà necessario per un loro pieno impegno nel lavoro. In aggiunta, nel caso in
cui un’organizzazione incoraggiasse e supportasse la diversità, le persone si sentirebbero meno
discriminate e trattate più equamente. Qualora le persone sentissero di essere trattate ingiustamente,
esse reagirebbero negativamente ritirandosi, offrendo una performance scadente o presentando una
denuncia. Un ambiente lavorativo in cui viga una cultura che sia sensibile, rispettosa e aperta ad
accettare lo stile di vita delle altre persone produrrà, molto probabilmente, un dipendente più
motivato, soddisfatto, impegnato e performante.
Con riferimento agli individui facenti parte della maggioranza, i programmi di gestione della
diversità dovranno essere rispettosi e prendere in considerazione anche le loro necessità. Altrimenti,
gli ideali di gestione della diversità non saranno rispettati e i risultati di performance di alcuni di essi
saranno inferiori alle aspettative. Per assicurare commitment, soddisfazione e performance tra
coloro che compongano la maggioranza, i leader dell’organizzazione dovranno: 1) costruire
attentamente e comunicare il tema del rispetto della diversità citando le forze del cambiamento
trattate in precedenza; 2) assicurare un processo decisionale corretto e onesto a beneficio di tutti.
Le organizzazioni che creino, incoraggino e supportino la diversità faranno si che i propri
dipendenti possano sentirsi apprezzati, potendo accedere a opportinotà che consentano loro di
sfruttare appieno il proprio potenziale. Questa è una condizione necessaria dell’organizzazioni ad
alto coinvolgimento. Posta in termini diversi, la creazione e gestione di successo della diversità è una
condizione necessaria per la realizzazione di ambienti lavorativi ad alto coinvolgimento.

I RISULTATI A LIVELLO DI GRUPPO.

La diversità dovrebbe avere effetti positivi sui risultati dei gruppi facenti parte delle organizzazioni,
con particolare riferimento al processo decisionale, alla creatività e alla gestione dei compitivi più
complessi. Questo avviene perché individui diversi avranno idee, punti di vista e conoscenze
differenti per contribuire alle attività d’impresa, offrendo una maggior varietà d’alternative da poter
considerare. Gli individui che differiscano per età, genere, razza affronteranno i vari temi in
discussione in maniera diversa. Malgrado i benefici potenziali, la diversità è stata descritta come un
mezzo fallimento in termini di risultati per i gruppi organizzativi. Invero, la ricerca ha prodotto
risultati contrastanti, con alcuni che hanno mostrato effetti positivi, ma altri che non hanno
riscontrato alcun effetto. Sono due gli aspetti da considerare nell’interpretare tali risultati della
ricerca. Innanzi tutto, delle faglie possono verificarsi in situazioni caratterizzate da diversità. Queste
si hanno quando due o più dimensioni della diversità siano correlate tra loro: ad esempio, se quasi
tutti i soggetti giovani nelle task force inter-funzionali rappresentassero il marketing e quasi tutti gli
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individui più anziani rappresentassero l’engineering del prodotto, allora esisterebbe una faglia.
Quelle persone fondano insieme identità multiple per porre delle barriere all’efficace collaborazione
all’interno di un gruppo. La ricerca su questo fenomeno è relativamente recente, ma ha già prodotto
dei risultati che suggeriscono un esito scadente a livello di gruppo.
Secondo, in tutte le situazioni caratterizzate da un certo livello di diversità possono scaturire vari
problemi. Solitamente, le persone denominano i membri dei gruppi che siano diversi dal proprio
come out-group members, con un’accezione di certo negativa il cui risultato sia rappresentato da
difficoltà incrementali nella risoluzione dei problemi e nella gestione del processo decisionale. I
gruppi organizzativi diversi si trovano ad assistere più spesso a situazioni di conflitto personale, a
problemi di comunicazione e a conflitti tra sottogruppi.
L’obiettivo diviene quello di facilitare gli effetti positivi della diversità tentando di sradicarne quelli
potenzialmente negativi. Una maniera per cercare di mettere a frutto il potenziale positivo della
diversità di un gruppo è stabilire un’identità comune focalizzandosi sugli obiettivi comuni. Quando
un’impresa abbia una cultura positiva della diversità, i problemi associati alla diversità di un gruppo
saranno molto meno frequenti. Un’organizzazione che implementerà con efficacia i propri
programmi di gestione della diversità tenderà a evitarne i problemi consentendole, invece, di
ricavarne i principali benefici.

I RISULTATI A LIVELLO ORGANIZZATIVO.

La diversità può condurre ad avere dipendenti più motivati, soddisfatti e coinvolti, capaci di ottenere
una performance più efficace nei propri compiti individuali. Se gestita bene, la diversità potrà
portare sia a una miglior performance che a una maggior innovatività dei gruppi. Quindi, è
probabile che la diversità influisca sulla performance finale dell’intera organizzazione.
Malgrado l’importanza di questo tema sono pochi gli studi a essersi occupati d’indagare in maniera
esplicita se la diversità della forza lavoro di un’impresa avvia effetti immediati e diretti sulla sua
performance finale. Un eccezione è rappresentata da uno studio che ha esaminato l’impatto delle
diversità, su vari aspetti della performance di parecchie imprese, si è riscontrato come la diversità
non avesse alcun effetto immediato e diretto sulla performance. Gli studiosi hanno concluso come le
organizzazioni necessitano di gestire più efficacemente le diversità, specie per via dei potenziali
benefici da essa offerti. Ciò significa che la diversità in se stessa non garantisca una buna
performance, ma è semmai ciò che l’impresa sceglierà di fare in tema di diversità che conterà
veramente. La ricerca suggerisce come la diversità nelle aree funzionali, nel background educativo, e
nei network sociali/professionali possano avere effetti positivi sulla performance delle imprese grazie
a un miglior processo decisionale. Una volta di più, la diversità deve essere gestita in maniera
appropriata perché se ne possano vedere i maggiori benefici.

I RISULTATI A LIVELLO SOCIALE E MORALE.

Perché una società possa basarsi su onestà e giustizia, la legge proibisce la discriminazione dei
lavoratori in base alla loro età, genere, razza, colore, origine, religione e disabilità. La
discriminazione è costosa per le imprese.
Le imprese soffrono delle perdite qualora si trovino a subire delle denunce, tra cui costi legali,
pubblicità negativa, possibili boicottaggi e una riduzione delle domande di lavoro. Uno studio ha
riscontrato come il prezzo delle azioni delle imprese che avessero utilizzato programmi di azioni
affermative e di gestione delle diversità fosse salito, mentre fosse diminuito quello delle imprese che
avessero subito una pubblicità negavi a seguito di casi di discriminazione. I singoli stati possono
anche avere delle leggi che proteggano dalla discriminazione sulla base di altre caratteristiche, come
l’orientamento sessuale e lo stato maritale. Le imprese che sappiano gestire la diversità non
discrimineranno e sarà più difficile che i loro dipendenti possano far loro causa per discriminazione.
Tuttavia, gestire la diversità significa ben di più. Oltre alle ragioni di tipo legale che riguardino la
diversità, esistono anche ragioni di ordine etico. L’obiettivo della maggior parte dei programmi di
gestione della diversità è spingere per un senso d’inclusione fornendo a tutti gli individui le stesse
opportunità.
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I LIMITI ALLA DIVERSITÀ

I principali limiti alla creazione di un luogo di lavoro che sia inclusivo delle diversità.

IL PREGIUDIZIO E LA DISCRIMINAZIONE.

Il pregiudizio si riferisce a un’attitudine negativa e ingiusta che si è soliti adottare riguardo a


persone che appartengono a gruppi sociali o cultura diversi dal proprio. Il pregiudizio influenza il
modo in si giudichino gli altri gruppi o può anche condurre a reazioni di tipo emotivo come odio,
paura, disgusto, sdegno e ansia. Un’ingiusta discriminazione consiste in un comportamento che si
manifesti in un trattamento iniquo nei confronti di determinati individui, sulla base
dell’appartenenza o meno a un certo gruppo di persone. Esempi di discriminazione includono il
pagare una donna meno di un uomo per l’esecuzione dello stesso lavoro.
Pregiudizio e discriminazione non devono per fora essere manifesti o ovvi. Pregiudizio e
discriminazione esistono ancora, sebbene in forme più sottili, un fenomeno a cui spesso ci si riferisce
con la locuzione razzismo moderno. Si ha razzismo moderno quando le persone sappiano tanto
sia sbagliato avere pregiudizi verso altri gruppi razziali e, perciò, si convincano di non essere affatto
razziste; tuttavia, essendo fortemente radicato e, forse, a livello inconsapevole, il pregiudizio esiste
ancora in queste persone, in pieno conflitto con il loro credo che il razzismo sia qualcosa di molto
sbagliato.
I razzisti moderno on insultano, né maltrattano mai apertamente qualcuno appartenente a una
razza diversa. Tuttavia, possono discriminare ogni qualvolta ve ne sia l’opportunità attribuendo, poi,
il comportamento discriminatorio ad altre cause o, semplicemente, nascondendo tale
comportamento. In alcuni casi, la discriminazione non è intenzionale.
In più i membri dei gruppi minoritari potrebbero avere delle attitudini negative verso quelli dei
gruppi maggioritari, cosi come potrebbe avvenire tra un gruppo minoritario e un altro gruppo,
senza alcun riguardo per la fonte di origine, pregiudizio e discriminazione possono impedire alla
persone di lavorare efficacemente, di andare d’accordo le une con le altre, e di raccogliere i benefici
potenzialmente derivanti dalla diversità della forza lavoro.
Pregiudizio e discriminazione possono operare come barriere alla gestione efficace della diversità
portando a situazioni di stress, scarsa performance, sentimenti d’ingiustizia, e a un commitment
organizzativo scadente da parte delle vittime. Oltre a impedire alle organizzazioni di diventare dei
loghi di lavoro ad alto coinvolgimento, pregiudizio e discriminazione possono anche costare molto
alle imprese in termini di denunce e pubbliche relazioni mediocri.

GLI STEREOTIPI.

Uno stereotipo è un insieme generalizzato di convinzioni riguardo alle caratteristiche di un gruppo


d’individui. Si tratta di qualcosa d’irrealisticamente rigido, spesso negativo e solitamente originato
da errori che s’ispirino a determinati fatti. Quando le persone di dedicheranno allo stereotipare, esse
crederanno che tutti i membri di un determinato gruppo siano in possesso di certi tratti o
caratteristiche.
Il problema che si ha con gli stereotipi è la tendenza a sottostimare che gli individui docenti parte di
un certo gruppo possano variare significativamente. Possiamo trovare sempre esempi di persone che
rispecchiano i nostri stereotipi; al tempo stesso, si possono trovare facilmente esempi contarti.. è
molto difficile eliminare gli stereotipi per varie ragioni. Innanzi tutto, essi sono molto difficili da
dissipare. Quando s’incontri qualcuno le cui caratteristiche non rispecchino gli stereotipi si tende a
ignorare le discrepanze, distorcendo le informazioni che non confermino il proprio credo, vedendo
l’individuo come un’eccezione alla regola, o semplicemente, sottovalutando le nuove informazioni
ottenute.
Secondo, gli stereotipi guidano l’informazione di cui si vada alla ricerca.

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Terzo, gli stereotipi sembrano costruire una qualità umana duratura nel tempo; tutti hanno degli
stereotipi. Si tratta di una pratica frequente poiché, in parte, consente di semplificare le informazioni
utili di giorno in giorno per potersi relazionare con gli altri. Un altro motivo è che essi contento di
creare una sorta di senso di prevedibilità. Ciò significa che, se si conosca un individuo appartenente
a un certo gruppo, si crederà di possedere informazioni aggiuntive su di esso per il sol fatto che
costui appartenga a quel gruppo. Perciò, gli stereotipi forniscono le informazioni su altre persone,
cosi da poterne prevedere il comportamento e s sapere come rispondervi.
Poiché gli stereotipi possono guidare il comportamento guidando ad assunzioni false o irrealistiche
sui membri di un certo gruppo, essi possono avere effetti estremamente nocivi dal punto di vista
relazionale; possono anche avere effetti diretti sulle carriere causando trattamenti iniqui. Quando ci
si affida agli stereotipi per esprimere un giudizio su una persona, piuttosto che ricercare
informazioni oggettive e fattuali, ci si sta impegnando in un processo decisionale sbagliato che
potrebbe causare anche molti danni.

LE DIFFERENZE NELL’IDENTITÀ SOCIALE.

L’identità sociale di ognuno si basa, in parte, sull’appartenenza a vari raggruppamenti sociali questo
aspetto dell’auto-identità è conosciuto come identità sociale. L’identità sociale è definita come la
consapevolezza di una persona di appartenere a un certo gruppo sociale, dove tale appartenenza
implichi un significato emotivo.
Avere un’identità sociale diversa da quella della maggioranza può essere molto difficile per varie
ragioni:
Primo: l’identità sociale di una persona diventa più saliente quando questa appartenga a una
minoranza in un aspetto importante. In tal senso, è più probabile che le minoranze razziali o etniche
affermino come la propria appartenenza a un gruppo razziale o etnico costituisca una parte
importante del concetto che hanno di se stesse. Quando l’identità sociale di una persona
appartenente a una minoranza diverrà più saliente, l’individuo sarà più consapevole di essere
diverso dalla maggioranza delle altre persone.
Secondo: avere un’identità sociale differente dalla maggioranza può far si che le persone si sentano
di doversi comportare in modi per loro innaturali rispetto al contesto. Sentendo di star mettendo in
atto una recita in cui si trovino a ricoprire un falso ruolo, esse inizia a provare stress e
insoddisfazione.
Terzo: tema risultante dalle differenze nell’identità sociale è quello di come, spesso, alcuni membri
di gruppi minoritari temano di perdere la propria identità sociale. L’identità sociale è sovente fonte
di orgoglio e onore. Pertanto, essere obbligati a dichiarare la propria identità sociale all’ingresso crea
un senso di predita e sconforto in molte persone.
Quarto: tema collegato alle differenze d’identità sociale concerne il fatto che le persone tendano a
valutare gli altri sulla base della loro appartenenza a gruppi sociali. Si tende a favorire le persone
appartenenti al proprio gruppo poiché la loro appartenenza è spesso legata a sentimenti di auto-
stima elevata. Si tende a classificare le persone a seconda che esse appartengano o meno al nostro
stesso raggruppamento, favorendo le prime rispetto alle seconde.
Le dinamiche dell’identità sociale possono costituire una forte limitazione nell’implementazione di
un approccio alla gestione della diversità poiché promuovono la formazione di raggruppamenti
causando stress e insoddisfazione in chi appartenga alle minoranze.

I DIFFERENZIALI DI POTERE.

Il potere non è distribuito equamente tra gli individui e i gruppi di un’organizzazione. Gli individui
acquisiscono potere in molti modi: come per il fatto di possedere delle competenze o di trovarsi in
posizioni di potere formale; tramite il controllo di ambite ricompense o importanti risorse. Dall’altro
canto, alcune persone vengono private o attribuite del proprio potere e del proprio statu per ragioni
che nulla hanno a che vedere con la propria vita lavorativa. L’attribuzione di uno status

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rappresenta una posizione e un potere assegnati da norme culturali dipendenti dall’appartenente a
un determinato gruppo. In altre parole, la cultura sociale definisce chi abbia il potere e chi no.
1. La ricerca ha dimostrato che gli individui con uno status elevato parlino di più e utilizzino delle
tattiche per influenzare le cose molto più di quanto non facciano coloro che abbaiano uno status
inferiore. Perciò, questi ultimi hanno molte meno possibilità d’influire sul processo decisionale e
sulla risoluzione dei problemi. Quando le persone non si sentano libere di parlare apertamente,
verrà perduto uno dei principali punti di forza della diversità poiché i punti di vista e le idee
differenti non saranno messe in evidenza. Questo fenomeno causa anche altri problemi poiché
perpetua i differenziali di status conducendo a frustrazione e insoddisfazione tra le persone che
sentano di non potersi esprimere liberamente.
2. Le persone appartenenti a gruppi con un diverso ammontare di potere e di status potrebbero
evitare d’interagire tra loro formando delle cricche composte esclusivamente da individui
appartenenti allo stesso gruppo. I gruppi di status più elevato potrebbero degradare i membri dei
gruppi con uno status inferiore. Questi ultimi potrebbero trovarsi a evitare il contatto con i primi,
cosi da non incorrere in umiliazioni o rifiuti. Questa tendenza a formare cricche mette a
repentaglio qualsiasi sforzo volto all’introduzione della gestione positiva della diversità,
incrementando le possibilità di conflitto tra i vari raggruppamenti.

LA SCARSA INTEGRAZIONE STRUTTURALE.

Potreste aver sentito locuzioni come ghettizzazione rosa e soffitto di vetro. Tali locuzioni riguardano
la tendenza delle donne e dei membri di minoranze etniche e razziali di rimanere bloccate in certe
posizioni lavorative o a certi livelli di un’organizzazione. Un criterio perché si possa avere una vera
organizzazione multiculturale è che le persone provenienti da gruppi meno rappresentati siano,
invece, presenti a tutti i livelli e in tutte le posizioni lavorative.
La scarsa integrazione di donne e minoranze nelle organizzazioni può presentare diverse limitazioni
alla creazione di un ambiente multiculturale, come nei seguenti casi:
• Una scarsa integrazione crea potere e differenziali di status che, poi, vengono associati al genere o
alla razza;
• Una scarsa integrazione promuove la creazione di stereotipi negativi;
• Qualora l’integrazione fosse scadente, la maggior parte delle donne e delle minoranze potrebbero
ritenere impossibile per loro raggiungere posizioni a livello di top management.

I PROBLEMI DI COMUNICAZIONE.

La comunicazione può costituire un’autentica limitazione alla creazione di un ambiente in cui


gestire efficacemente la diversità. Un problema comunicativo potenziale si potrebbe avere quando
non tutti parlassero la stessa lingua in modo scorrevole. Coloro che fossero meno sciolti nell’uso della
lingua dominante potrebbero trattenersi dal prendere parte alle conversazioni. In più, si potrebbero
formare vari gruppi tra coloro in grado di parlare la stessa lingua, con conseguente esclusione di
quelli non in grado. Inoltre, a seguito di differenze a livello linguistico, potrebbero affiorare
parecchie incomprensioni.
Un altro problema di comunicazione nasce dal fatto che diverse culture abbiano norme differenti su
cosa sia o non sia appropriato. Le aree di fraintendimento più comuni a livello di comunicazione tra
diverse culture includono le seguenti:
• La volontà di dissentire apertamente;
• Il modo di definire gli accordi;
• La volontà di parlare con decisione;
• le modalità di comunicazione;
Mentre vi sono differenze di comunicazione tra le persone in possesso di background diversi, sarà
importante non ricadere negli stereotipi. Alcune persone con un certo background non
condivideranno le loro preferenze comunicative a questo spesso associate.

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LA CREAZIONE ED EFFICACE GESTIONE DELLA DIVERSITÀ.

Le organizzazioni affrontano molte limitazioni nella creazione di un ambiente multiculturale, ma si


tratta di limitazioni non proprio insormontabili. Negli ultimi anni, la maggior parte delle grandi e
molte piccole imprese hanno istituito alcune tipologie di pianificazione per la gestione della
diversità. Questi piani sono stati piuttosto vari in termini di efficacia: da alcuni di grande successo
nel creare un luogo di lavoro che fosse molto diverso, inclusivo e produttivo, ad altri di scarsa o
nessuna efficacia o con effetti persino negativi. Poiché sono stati istituiti programmi tra loro cosi
diversi, disponiamo d’informazioni sufficienti su ciò che funzioni e ciò che non funzioni. Uno studio
ha svelato diversi criteri per il raggiungimento del successo, includendo il commitment da parte dei
leader dell’organizzazione, l’integrazione del programma all’interno del piano strategico
dell’impresa, nonché il coinvolgimento di tutti i dipendenti.

IL COMMITMENT DEI LEADER DELL’ORGANIZZAZIONE.

Il primo criterio per l’ottenimento di un programma di gestione efficace della diversità è un


autentico commitment da parte delle alte sfere gerarchiche dell’organizzazione. Un supporto
ipocrita della diversità rischia di essere nocivo. Sono gli stessi leader a doversi far carico d’iniziative a
sostegno della diversità e a dover comunicare efficacemente la propria visione, secondo cui
l’inclusione sia un aspetto da ritenersi molto importante. Tra le azioni principali che i leader hanno
intrapreso in tal senso ricordiamo le seguenti:
• I leader dei livelli gerarchici più elevati mandano comunicazioni rilevanti attraverso canali
multipli;
• Un leader di alto livello guida personalmente le manovre necessarie all’affermazione delle
politiche di gestione della diversità.
• I leader carismatici sponsorizzano la formazione di comitati di lavoratori per promuovere la
comunicazione inter-culturale;
• I manager di tutti i livelli sono responsabili per il proponimento d’iniziative in favore della
diversità;

Gli stessi manager debbano farsi carico di promuovere ambienti lavorativi positivi. Le azioni
raccomandare hanno importanza per i lavoratori, ma sono ancor più importanti per gli stessi
manager poiché producono i principali effetti sulla cultura dell’organizzazione.

L’INTEGRAZIONE NELLA PIANIFICAZIONE STRATEGICA.

Il secondo criterio per l’ottenimento di un programma di efficace gestione della diversità richiede
che quest’ultima sia legata al piano strategico dell’impresa. Ciò implica quanto sia importante essere
chiari nello stabilire i modi in cui la diversità possa contribuire agli obiettivi strategici, alla direzione
e pianificazione dell’organizzazione. L’organizzazione deve sviluppare modi per definire e misurare
l’efficacia della diversità e, poi, utilizzare tali misure nei processi di pianificazione strategica. Le
misure più comuni dell’efficacia della diversità di concentrano su:
• Un incremento della quota di mercato e della nuova base di clienti;
• Vari premi e riconoscimenti esterni per gli sforzi nella gestione della diversità;
• La soddisfazione lavorativa dei dipendenti;
• La soddisfazione di manager e dipendenti con riferimento al clima che si respiri nel luogo di
lavoro;
Un’altra tattica per elevare la diversità a livello strategico riguarda il fatto di renderla un valore core
dell’organizzazione, oltre che parte della sua stessa missione. Molte imprese che attribuiscano
autentico valore alla diversità ne danno espressione nella propria missione, includendone i propri
convincimenti tra i valori principiali da esprimere.

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IL COINVOLGIMENTO DEI DIPENDENTI.

Il terzo criterio per l’ottenimento di un programma di gestione efficace della diversità necessita del
coinvolgimento di tutti i dipendenti. I programmi in favore della diversità possono creare sospetto o
sensazioni d’ingiustizia in alcuni, specie se l’obiettivo di tali programmi venga interpretato
erroneamente. È importante che tali programmi si preoccupino d’individuare le necessità sia delle
minoranze che della maggioranza. Le organizzazioni possono ricorrere a molti metodi per ottenere
input dai propri dipendenti. Alcuni di questi includono:

• Gruppi di discussione composti da tutte le tipologie di dipendenti che aiutino nello sviluppo,
implementazione e valutazione del programma;
• Indagini sulla soddisfazione dei lavoratori;
• Feedback informali da parte dei lavoratori;
Un altro metodo comune per coinvolgere i dipendenti nei programmi di gestione della diversità è
sviluppare e supportare i cosiddetti gruppi di affinità. Ossia gruppi che condividano interessi comuni
e che operino come meccanismi attraverso cui trasferire ai manager le idee prodotte dai dipendenti.
I gruppi di affinità sono anche delle ottime fonti di feedback sull’efficacia delle iniziative in favore
della diversità. Infine, questi gruppi possono fornire ai propri membri opportunità di networking,
supporto alle carriere e anche a livello emotivo.
Per finire, un altro modo per coinvolgere tutti i dipendenti è tramite l’addestramento. Spesso, i
programmi di addestramento includono una spiegazione delle necessità di business per la gestione
efficace della diversità, insieme all’addestramento dell’empatia, all’istruzione della conoscenza a
livello inter-culturale, e a esercizi per aiutare i dipendenti a evitare gli stereotipi. Per creare un
ambiente genuinamente inclusivo, i programmi in favore della diversità devono poter insegnare alle
persone anche come apprezzare e rispettare la diversità, piuttosto che limitarsi a tollerarla.

CAPITOLO 3: IL COMPORTAMENTO ORGANIZZATIVO IN UN CONTESTO GLOBALE.

Per creare vantaggi di costo, perseguire la crescita o diversificare il rischio fra i diversi mercati, molte
imprese hanno adottato strategie che implicassero forti investimenti in altri paesi. Tale impegno può
essere visto in varie forme, tra cui la creazione di strutture di proprietà nel marketing e nelle vendite,
e/o la costituzione di alleanze con imprese posizionate a livello locale. In tutti i casi, essere capaci di
gestire le differenze di tipo culturale tra i vari mercati è un aspetto d’importanza cruciale.
L’implementazione di strategie efficaci sarebbe impossibile se non si capisse prima come tali
differenze potrebbero impattare le relazioni giornaliere tra manager e dipendenti, cosi come le
relazioni con gli stakeholder esterni (quali clienti e fornitori).

LE FORZE DELLA GLOBALIZZAZIONE.

In un’economia globale, prodotti, servizi, persone, tecnologie e capitali finanziari si muovono


piuttosto liberamente attraverso i confini nazionali. Le tariffe, le leggi sulla valuta, le restrizioni al
commercio o all’immigrazione e altre barriere a queste varie tipologie di flussi interazioni sono
meno difficoltose da gestire.
La globalizzazione è aumentata sensibilmente negli ultimi trent’anni. Malgrado la recessione che
ha colpito l’ammontare complessivo d’investimenti diretti esteri (FDI) questi sono comunque
cresciuti anche a seguito della spinta esercitata da parte d’imprese localizzate nei paesi più avanzati.
Gli FDI rappresentano un crescente interesse nella produzione di beni e servizi da parte dei paesi
stranieri. Le esportazioni di beni e servizi sono cresciute a un tasso elevato negli ultimi anni, ad
eccezione del periodo di maggior recessione a livello internazionale. Negli ultimi anni, è interessante
notare come un significativo ammontare di tali investimenti abbia riguardato le economie
emergenti. Inoltre, questi paesi, a loro volta, hanno investito considerevolmente all’estero. Il loro
crescente potere economico è evidenziato dalle proiezioni future, secondo cui entrambi i paesi,
rispettivamente, dovrebbero divenire la più grande e la terza maggiore economia del mondo.
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Molti leader nazionali promuovono la globalizzazione come strumento per la crescita economica
all’interno dei propri paesi, cosi come in tutte il mondo. Vari economisti concordano nel dire che la
globalizzazione dell’economia sia di beneficio per gran parte delle nazioni. Fluttuando liberamente
tra i confini, i prodotti, i servizi e le risorse riducono i costi del business facendo da stimolo alla
crescita economica. Le economie emergenti all’interno delle quali gli standard di vita sono in
continuo miglioramento all’unisono con l’espansione del commercio globale. Sono più di mille le
imprese multinazionali che abbiano scelto di avere la propria sede principali nelle economie
emergenti.
Malgrado i potenziali benefici economici, molti in diversi paesi hanno espresso preoccupazione sugli
effetti che la globalizzazione potrebbe avere nel lungo periodo a livello di cultura sociale. La cultura
riguarda la condivisione di valori e assunti di base su come agire e pensare. Molti temono che alcune
culture molto uniche in tutto il mondo finiranno per scomparire nel tempo se il mondo dovesse
davvero diventare un mercato unico per i beni e servizi. Essi sostengono che la peculiarità culturale
sparirà non appena prodotti e servizi simili verranno venduti in tutto il mondo.
Nelle nazioni in via di sviluppo, vi è altresì preoccupazione con riguardo allo sfruttamento del lavoro
e all’esaurimento delle risorse. Nelle nazioni più ricche, vi è preoccupazione con riguardo
all’esportazione di posti di lavoro in paesi stranieri con salari più bassi e con riguardo alla possibilità
che tali paesi più ricchi possano essere corretti a ridurre la propria struttura salariale per poter
competere a livello internazionale. Dal punto di vista della singola impresa, vi sono parecchie
ragioni per dover considerare l’avvio di una sostanziale espansione internazionale:
• Innanzi tutto, un’impresa potrebbe volere espandere le proprie vendite oltre confine per essere
in grado di sostenere la crescita;
• In secondo luogo, un’impresa potrebbe essere in grado di ridurre il proprio livello di rischio
attraverso la vendita di prodotti e servizi in un certo numero di paesi esterni: diversificando le
vendite in varie regioni del mondo, un’impresa potrebbe equilibrare le difficoltà interne dovute
alla crisi economica, operando in aree differenti in cui la crisi sia meno sentita;
• Terzo, un’impresa potrebbe beneficiare di maggiori economie di scala espandendosi a livello
internazionale: questo particolarmente vero per le imprese manifatturiere;
• Quarto, localizzandosi a livello internazionale, un’impresa potrebbe godere di vantaggi di
localizzazione come quelli riguardanti il costo del lavoro, le competenze specialistiche o altre
risorse di valore.

LE ISTITUZIONI.

Gli ambienti istituzionali di ciascun paese sono importanti per le imprese nazionali ed estere già
operanti o che considerino di entrarvi. Le istituzioni formali come le leggi e le politiche economiche
dettano le regole che le imprese debbano seguire per fare business in una specifica location. A volte,
sapersi destreggiare in tali ambienti può essere difficile per via della complessità caratterizzante tali
istituzioni, con un insieme di leggi, regolamenti e politiche che sono emanate a diversi livelli. Nei
paesi in cui le istituzioni di tipo formale siano deboli, quelle informali sono utilizzate spesso come
sostituto.
Chiaramente, la globalizzazione e il valore che può essere ottenuto dal partecipare a scambi
internazionali stanno trasformando l’economia rendendo molto difficile la competizione per molte
di queste imprese. Anche le imprese di dimensione più ridotte o più giovani stanno approcciandosi
ai mercati internazionali. L’apertura dei mercati e gli avanzamenti tecnologici offrono opportunità
per le giovani e piccole imprese, cosi come per quelle di maggiori dimensioni. Queste opportunità
nei mercati interazioni sono state sollecitate dai mutamenti che si sono verificati negli ambienti
istituzionali di molti paesi. In tal modo, le loro economie sono cresciute maggiormente e le loro
imprese hanno appreso nuove capacità, consentendo loro di competere con maggior efficacia sia a
livello domestico che all’esterno. Pertanto, gli ambienti istituzionali dei vari paesi influiscono sulle
strategie delle imprese a livello domestico e internazionale contribuendo alle opportunità. Tali
potenti forze incoraggiano le imprese a espandersi nei mercati internazionali, pur essendovi diversi
rischi sostanziali. Tali rischi possono essere classificati come politici, economici e manageriali.

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• Rischio politico: si riferisce all’instabilità dei governi nazionali, alla minaccia di guerre civili e
alla minaccia del terrorismo. Questi rischi creano incertezza e possono portare alla distruzione
degli astri e all’interruzione negli afflussi di risorse. Una delle situazioni più difficili si avrebbe nel
momento in cui un governo decidesse di nazionalizzare un settore, con conseguente confisca di
tutti gli asset delle imprese private.
• Rischio economico: si riferisce alle possibili fluttuazioni nel valore delle valute straniere e alla
possibile e improvvisa contrazione dell’economia di alcuni paesi. Qualora la valuta di un paese
perdesse valore rispetto a quella di un altro, gli asset e gli introiti ottenuti nel primo perderebbero
anch’essi valore; inoltre, esportare dal primo al secondo diventerebbe più oneroso poiché il
trasferimento di tali beni costerebbe di più.
• Rischio manageriale: si riferisce alle difficoltà relative alla gestione dei complessi flussi di
risorse necessari alla maggior parte delle imprese internazionali. Le tariffe e le differenze
linguistiche possono diventare un problema significativo ogni qualvolta un’impresa voglia
espandersi in nuovi mercati/paesi.

L’ESPERIENZA DELLA GLOBALIZZAZIONE PER MANAGER E DIPENDENTI.

Per manager e dipendenti ,a livello individuale, l’esposizione ed esperienza interazione potranno


avvenire in diversi modi.

LE PROFESSIONI CON UN FOCUS INTERNAZIONALE.

Un individuo potrebbe lavorare direttamente su tematiche internazionali come parte del suo lavoro
di ogni giorno. Sebbene confrontarsi con aspetti finanziari, problemi di tipo contabile, e quant’altro
possa essere molto impegnativo in un contesto puramente domestico, l’aggiunta di una dimensione
di respiro interazione crea, solitamente situazioni molto complesse. Gli individui che si trovino a
proprio agio con tali sfide sono adatti a questi ambienti.
Di frequente, i manager e dipendenti che abbiano un lavoro di spettro internazionale saranno anche
membri di team dispersi a livello geografico. Molti di questi team si occupano di questioni relative a
nuovi programmi di marketing, progetti di sviluppo di nuovi prodotti e altre iniziative non
routinarie; altri team si focalizzano su temi di routine, come il flusso di prodotti provenienti dalle
strutture manifatturiere centrali. In parecchi casi, i manager e dipendenti che operino in team
geograficamente dispersi avranno stili decisionali e lavorativi differenti per via di differenze culturali.
Per facilitare il lavoro, i membri dei team utilizzano un insieme complesso di strumenti di
comunicazione, tra cui la posta elettronica, le chat room, degli incontri faccia a faccia occasionali. In
più, il coordinamento è un elemento centrale del lavoro poiché i membri, pur lavorando insieme,
devono rispettare i diversi fusi orari trovandosi ad affrontare ulteriori difficoltà.
Poiché i team internazionali si affidano molto ai mezzi di comunicazione elettronica per coordinare
ed eseguire il proprio lavoro, li si indica molto spesso con la locuzione team elettronici virtuali.
Sebbene i team virtuali siano efficienti è il contesto perfetto per la nascita d’incomprensioni ed errori
percettivi. Uno studio ha dimostrato come i team virtuali con differenze inter-culturali sostanziali
esibiscano spesso un minor godo di fiducia l’onestà e il non impegnarsi in scelte politiche negative
sono tutti aspetti nocivi per il lavoro dei team. Gli studiosi hanno scoperto diversi risultati
potenzialmente negativi per i team virtuali con bassa fiducia, un scarsa risoluzione dei conflitti, una
scarsa mitigazione del rischio, e la mancanza di capacità di aggiustamento al format virtuale per lo
svolgimento del lavoro.
Le prime comunicazioni da parte di un team virtuale composto da membri con varie culture
potrebbero essere particolarmente importanti nello sviluppo della fiducia. Qualora le comunicazioni
iniziali fossero focalizzare sui compiti da svolgere e fossero positive e reciproche, si avrebbe un
fenomeno conosciuto come fiducia repentina. Essa si ha qualora le persone che non abbiano una
storia di lavoro comune alle spalle, ma che abbiano ben chiari i compiti da svolgere, sviluppassero

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velocemente un rapporto di fiducia reciproca attraverso la comunicazione interpersonale. La
comunicazione sociale potrebbe aiutare a mantenere alto tale livello di fiducia.
Di fronte a possibili problemi legati alla fiducia, è importante che i manager aiutino i membri a
identificarsi con il team. Secondo la teoria dell’identità, ove un individuo s’intensifichi con un team,
egli vi si sentirà connesso prendendo molto seriamente il proprio ruolo di membro; di contro, il non
riuscire a identificarvisi risulterà spesso nel rifiuto d’impegnarsi nei progetti nel team.
Innanzi tutto, è importante fornire un addestramento nella negoziazione interazione e risoluzione
dei conflitti: le migliori tecniche saranno quelle che si dimostreranno sensibili alle differenze culturali
e che si focalizzeranno sulla collaborazione per il raggiungimento dei risultati.
In secondo luogo, è importante che i membri del team sviluppino un’unica visione: l’esperienza
condivisa nel discutere il futuro del team, i suoi obiettivi e potrà avvicinar le persone tra loro.
Infine, è utile che i membri del team spendano del tempo di incontri faccia a faccia incrementano
le possibilità che i membri del team identifichino i vari aspetti in comune, ossia quelli che
contribuiranno alla comprensione reciproca e successiva collaborazione. In assenza d’interazioni
faccia a faccia, l’uso di videoconferenze offrirà una più ricca comunicazione rispetto alle chat room e
alle teleconferenze perché il potersi vedere in viso avrà una valenza superiore.
Gli individui che apprezzino diversità, flessibilità e autonomia potranno offrire un contributo
migliore sia agli aspetti lavorativi che a quelli sociali del team. Una disposizione generale alla fiducia,
un grado significativo di affidabilità, le abilità relazionali e nella comunicazione tramite strumenti
elettronici sono anche esse caratteristiche importanti per il successo dei team virtuali.

L’ASSEGNAZIONE DI LAVORI ALL’ESTERO.

Le persone possono accettare incarichi all’estero affrontando direttamente le complessità


dell’operare in un contesto culturale diverso. Ci si riferisce a questi individui con il termine
expatriates. Un’esperienza all’estero può essere eccitante. Le opportunità che si sviluppano al di
fuori dell’ambito lavoratori per imparare a vivere in una cultura differente hanno anch’esse molto
valore. Molte imprese indicano come l’esperienza internazionale conduca a una carriera più rapida
e renda i dipendenti più attrattivi agli occhi delle altre imprese a seguito delle maggiori conoscenze e
capacità sviluppate. In aggiunta a tali conoscenze sviluppate, tali esperienze forniscono anche i
mezzi tramite cui trasferire le conoscenze dalla casa madre alle sussidiarie estere. In altre parole, gli
expatriates portano con sé la conoscenza del settore, della tecnologia e dell’impresa. L’utilizzo degli
expatriate manager facilita anche il coordinamento internazionale delle attività. Gli incarichi
internazionali sono comunemente assegnati per coprire delle lacune nelle unità organizzative estere,
per lanciarne di nuove, per facilitare il trasferimento tecnologico in un altro paese, e per aiutare nella
creazione di una competenza manageriale all’interno di tale unità estera.
Gli incarichi internazionali, tuttavia, dovrebbero essere studiati con cura: infatti, molto cose
potrebbero non andare per il meglio causando una scarsa performance e la necessità di un rapido
rientro in patria. Lo shock culturale è un fattore chiave alla base di molti fallimento. Questa
forma di reazione allo stress potrebbe colpire un individuo che si trovasse di fronte a una condizione
di cambiamento comportamentale, inculcando delle incertezze su quelli che potrebbero essere
considerati dei comportamenti accettabili.
Al di là dell’esperienza di mandare o dipendenti con il fenomeno dello shock culturale, anche uno
sposo potrebbe trovarsi sotto stress. Uno studio, in particolare, ha sottolineato come l’adattamento
dello sposto avvenga sulla base di tre dimensioni:
1. Efficacia nella costruzione di relazioni con individui del paese ospitante;
2. Efficacia nell’aggiustamento alla generica cultura locale;
3. Efficacia nel coltivare la sensazione di essere a casa propria, anche in un contesto diverso come
quello estero.

Le attività familiari facilitano l’aggiustamento. In breve, la famiglia riveste un ruolo cruciale


nell’abilità del dipendente o manager di aggiustarsi ed essere efficace nello svolgimento di un
compito all’estero. Gli individui esposti all’etnocentrismo nello svolgimento di un compito

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all’estero possono trovarsi anch’essi in condizioni di stress. L’etnocentrismo è il convincimento che la
propria cultura sia superiore alle altre, giungendo perfino a sviluppare forme di discriminazione od
ostilità.
Vari rimedi sono stati proposti per ridurre o eliminare lo stress di questi individui. Nella maggiori
parte dei casi, tali rimedi includono un’attenta selezione e addestramento prima della partenza, un
addestramento e un consistente supporto a livello sociale una volta giunti a destinazione, e un
ulteriore supporto una volta rientrati in patria. Le attività che precedano la partenza creano le
condizioni per il successo. Nella selezione, esse includono la preferenze per individui in possesso di
caratteristiche personali da poter associare al successo nello svolgimento di un incarico all’estero. Un
addestramento precedente alla partenza gioca un ruolo superiore a qualsiasi caratteristica a livello
personale. Un esperto nell’addestramento degli expatriates ci ha fornito i seguenti suggerimenti:

• Addestrare l’intera famiglia, se la famiglia sono scontenti, vi sono maggiori probabilità che
l’incarico dell’espatriate possa andare male;
• Completare le pratiche di orientamento uno due mesi prima della data di partenza . Il dipendente
o manager e la sua famiglia potrebbero dimenticare le informazioni fornitegli troppo tempo
prima, o se venisse svolto troppo a ridosso della data di partenza essi potrebbero essere troppo
preoccupati da altri aspetti per trattenere quelle informazioni;
• Includere nell’addestramento informazioni rilevanti riguardanti la cultura del posto ;
• Concentrare molto del tempo nell’addestramento alla conversazione nella lingua locale. L’abilità
di conversare con gli altri è più importante dell’abilità di conoscere la grammatica o saper
scrivere;
• Essere preparati a convincere famiglie molto impegnate della necessità di ricevere un
addestamento.

Dopo l’arrivo, può essere utile ricevere un ulteriore addestramento. L’addestramento nella lingua
locale potrebbe proseguire e l’effettiva esposizione iniziale alla nuova cultura potrebbe far nascere
domande e nuove problematiche. Potrebbe essere fondamentale anche il supporto sociale nel nuovo
paese, specie nei primi mesi. Coloro che fossero già familiari con la nuova location potrebbero
assistere i nuovi attivati nel fare scoprire loro il funzionamento del nuovo posto.
Infine, anche il reintegramento nel paese d’origine dovrebbe avvenire con una certa attenzione; e le
imprese dovrebbero essere consapevoli di come avvantaggiasi delle conoscenze che tali individui
abbiano acquisto nel corso della loro esperienza all’estero. Infatti, l’apprendimento sviluppato da
manager e dipendenti potrebbe offrire loro importanti capacità aggiuntive, incrementandone la
motivazione e performance lavorativa successivamente al rientro in patri. Ciò poiché i vecchi
network sociali o politici potrebbero non essere rimasti rimasti intatti; la tecnologia delle
informazione potrebbe essere cambiata; e leader importanti con cui esistevano precedentemente
relazioni, ormai, potrebbero aver lasciato l’impresa. Ognuno di questi fattori potrebbe essere
decisivo nella decisione di lasciare l’impresa. La pianificazione delle carriere internamente a
un’impresa potrebbe essere d’aiuto per chi compisse scelte cosi difficili come quella di espatriare.
Sebbene la partecipazione delle donne sia in aumento, storicamente, esse non hanno beneficiato
delle stesse opportunità di espatriate avute dagli uomini. Non concedendo le stesse opportunità di
crescita internazionale alle donne, le imprese si tanno privando dell’occasione di sviluppare le
conoscenze e capacità delle proprie dipendenti per lavori di livello superiore. Come risultato, queste
organizzazioni potrebbero non essere in grado di sfruttare le opportunità strategiche che
affioreranno nei mercati internazionali a seguito della mancanza di un adeguato capitale umano; ed
è interessante notare che una parte della ricerca suggerisca come le donne siano spesso più abili nel
ricoprire ruoli internazionali poiché tendono a essere più flessibili e a sviluppare un’identità che
consenta loro di essere più efficaci in diverse situazioni. Il capitale umano rappresentato da queste
donne costituisce un’opportunità di business significativa. Le imprese che utilizzeranno con efficacia
il proprio capitale umano avranno maggiori probabilità di ottenere un vantaggio competitivo.

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LAVORARE DI FIANCO A CITTADINI STRANIERI.

Oltre ad acquisire nuove esperienze attraverso l’esecuzione di un incarico all’estero o il


coinvolgimento in un lavoro con implicazioni di valenza internazionale, un manager o dipendente
potrebbe acquistare esperienza internazionale in vari modi: ad esempio, questi potrebbe trovarsi a
lavorare in un’unità organizzativa a livello domestico, ma di collaborazione con soggetti provenienti
da altri paesi; o a dover dar conto della propria attività a una manager straniero che si sia trasferito
in quell’unirò all’estero. Lavorare a fianco d’individui provenienti dai paesi più diversi può costituire
un’esperienza premiante e in grado di arricchire, benché possa anche essere fonte di problemi.
Come già notato, persone provenienti da posti molto diversi possono anche divergere nel modo di
pensare, cosi come diversi possono essere i loro valori culturali. Sebbene tali differenze possano
rappresentare fonte di creatività e ispirazione, esse possono essere altresi fonte di attriti.
Un aspetto chiave degli effetti a livello culturale scaturenti dall’interesse relazioni lavorative di tipo
internazionale è quello dei valori di alto vs basso contesto culturale. Nelle culture ad alto-
contesto gli individui attribuiscono molto valore alle relazioni personali, sviluppano gli accordi
sulla base della fiducia e preferiscono una negoziazione lenta e rituale. Essere familiare con il
background di una persona e con le sue attuali condizioni di vita è d’importanza cruciale e
certamente alla base della costruzione di un rapporto di fiducia. Nelle culture a basso-contesto
gli individui attribuiscono molto valore a performance e competenze, preferiscono sviluppare
accordi a livello formale e impegnarsi in negoziazioni efficienti.
Un aspetto collegato alla cultura è quello dell’orientamento temporale mono-cronico vs policronico.
Gli individui con un orientamento temporale mono-cronico preferiscono eseguire un compito
o attività per volta. Essi non apprezzano l’essere multi-tasking, ma preferiscono non distrarre mai la
propria attenzione da ciò che stiano già facendo. Di contro, gli individui con un orientamento
temporale poli-cronico sono a proprio agio nell’impregnarsi contemporaneamente in diversi
compirti e non hanno difficoltà a essere interrotti di frequente. Per questi individui, il tempo non è
una forza decisiva e i piani sono flessibili.
Comprensibilmente, le persone provenienti dal primo dei due contesti possono avere difficoltà a
lavorare con quelle provenienti dal secondo. Chi provenga da una cultura ad alto contesto può avere
difficolta a capire o apprezzare le domande dirette e l’orientamento agli obiettivi di coloro che
provengano dal contesto opposto. Come risultato, chi provenisse da una cultura ad altro contesto
potrebbe fare esperienza di situazioni spiacevoli trovandosi in uno stato di disagio rispetto a queste
altre persone. Allo stesso modo, chi provenisse da una cultura a basso contesto potrebbe essere
frustrata dai ritmi focus di una cultura ad altro contesto . In più, gli individui mono-cronici
potrebbero trovarsi in conflitto con quelli poi-cronici.. per alleviare tali differenze di matrice multi-
culturale, l’addestramento alle differenze culturali diventa cruciale per costruire l’intelligenze
culturale dei manager. L’intelligenza culturale aiuta le persone a capire i comportamenti altrui,
con l’abilità di separare gli aspetti di tipo umano da quelli che siano unici di una persona, cosi come
da quelli che si basino su una cultura differente. Ciò permette ai manager di saper capire e
rispondere efficacemente alle persone provenienti da culture differenti. L’intelligenza culturale è
molto importante per i manager poiché essi devono essere sensibili a tali differenze, specie al
momento di lavature la performance dei lavoratori e di decidere se assegnare ricompense alla luce
dei risultati ottenuti.

LE OPPORTUNITÀ DI UNA PARTECIPAZIONE INTERNAZIONALE.

Per dipendenti e manager, le opportunità di acquisire un’esperienza internazionale variano da


impresa a impresa. Le imprese più strettamente domestiche offrono poche opportunità in tal senso,
con l’eccezione, forse, della possibilità di lavorare con colleghi stranieri che siano stati assunti per
poter competere meglio con i concorrenti stranieri operanti nello stesso mercato di riferimento.
Di solito, le imprese con un impegno più sostanziale nello svolgimento di operazioni internazionali
offrono anche maggiori opportunità internazionali; ma l’ammontare e tipologia di opportunità
variano al variare della strategia adottata. Inoltre, i diversi approcci adottati nei vari paesi da parte

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di queste imprese influiscono sul comportamento di manager e dipendenti, oltre che sul livello di
soddisfazione lavorativa. Le imprese di questo tipo possono essere classificare in multi-domestiche,
globali e transnazionali.

LE IMPRESE MULTIDOMESTICHE.

Le imprese che perseguono una strategia multi-domestica scelgono di adeguare i propri


prodotti e servizi alle caratteristiche dei paesi o delle regioni oggetto della propria attività di business.
Spesso, le imprese trasferiscono il proprio potere dal quartier generale alle sussidiarie collocate nei
paesi o nelle regioni di riferimento. Solitamente, queste unità organizzative sono indipendenti e
autonome: esse sviluppano da sole la propria ricerca, producono da sé i propri beni e servizi, e da sé
ne stabiliscono la distribuzione sul mercato. Si tratta di un approccio molto dispendioso poiché
queste unità non condividono risorse e non si aiutano l’un l’altra allo stesso modo di altre imprese
che, al contrario, abbiano adottato un diverso approccio internazionale. Dunque, potrebbe essere
fondamentale attribuire a tali unità un sufficiente livello di autonomia, specie ove dovesse esservi
grande distanza tra l’unità organizzativa estera e la casa madre.
Tra le imprese aventi un maggior impegno a livello internazionale, quelle adottanti una strategia
multi-domestica offriranno minori opportunità ai propri dipendenti e manager di medio e basso
livello gerarchico di partecipare ad attività di matrice internazionale. Infatti, le persone tenderanno
a lavorare nel proprio contesto domestico e ad avere una scarsa interazione con chi si trovasse in
aree geografiche differenti. In ciascuna unità organizzativa, gli individui saranno focalizzati sul
proprio paese o regione di riferimento. Un apprendimento incrociato tra le diverse divisioni, cosi
come un trasferimento o coordinamento tra di esse, sarà da considerarsi piuttosto raro per questa
tipologia d’imprese.

LE IMPRESE GLOBALI.

Le imprese che perseguono una strategia globale scelgono di offrire prodotti e servizi
standardizzati nell’ambito dei paesi oggetti della propria attività di business. Qualora le pressioni
dovute ai costi troppo elevati richiedessero un uso efficiente delle risorse e qualora un adattamenti ai
gusti locali non fosse da ritenersi necessario, un’impresa dovrebbe fare il possibile per gestire
efficientemente le proprie risorse.
Non avendo delle strutture manifatturiere posizionate specificamente in ogni mercato estero e
avendo un’ampia scala di produzione in location specificamente selezionate, questa è un’impresa
decisamente in grado di utilizzare le proprie risorse in modo efficiente, dedicando altrettanta
attenzione al tema del coordinamento a livello globale: essendo le varie unità dipendenti dalle
decisioni e risorse controllate dalla casa madre diventa cruciale procedere al coordinamento di un
cosi ampio flusso di risorse e informazioni. A confronto con le imprese che adottano una strategia
multi-domestica, quelle che ricorrono a una strategia globale offrono maggiori opportunità a
manager e dipendenti di partecipare ad attività di matrice internazionale.
In più, vi sono spesso molti expatriates a cui vengono assegnati compiti internazionali: le imprese
globali trattano il mondo come se questo fosse un unico mercato trasferendo sovente individui tra le
varie aree d’interesse. Pertanto, in qualsiasi unità organizzativa, vi potrebbe essere un numero
significativo d’individui di diverse origini e provenienza. Dunque, perché si possa avere
l’ottimizzazione dell’apprendimento a livello di team, occorre che l’impresa sia abile nella gestione
dei flussi di conoscenza che si muovano attraverso i confini della sua stessa organizzazione.

LE IMPRESE TRANSNAZIONALI.

Le imprese che perseguono una strategia transnazionale scelgono di ottenere sia una capacitò di
risposta a livello locale che un certo grado di efficienza a livello globale. Nei settori in cui questi
criteri siano entrambi importanti per il conseguimento del successo, un’attenta integrazione tra un
approccio multi-domestico e globale è assolutamente necessaria. Pertanto, un’impresa
transnazionale dovrà porre più attenzione nel commisurare i suoi prodotti alle esigenze locali in
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quanto non sia, invece necessario per le imprese globali, ma pur sempre minor attenzione di quanto
non avvenga per le imprese multi-domestiche. Tale approccio richiede il ricorso all’utilizzo di più
risorse in ciascun paese di quanto non sia tipico per le imprese multi-domestiche. Infine, esso
richiede un minor accentramento nella direzione corporale rispetto a quanto non avvenga, invece,
per le imprese globali, ma un maggior coordinamento a livello centrali di quanto non venga per
quelle multi-domestiche.
Complessivamente, manager e dipendenti hanno molte opportunità per fare esperienza
internazionale in imprese adottanti una strategia transnazionale. Le unità organizzative disperse a
livello geografico sono molto interdipendenti poiché devono scambiarsi risorse e devono spesso
coordinarsi per poterne beneficiare al meglio. Per gestire bene questa interdipendenza, vengo creati
e ampliati i network a livello personale, come team internazionali formati con tale specifico
obiettivo. Anche l’organizzazione d’incontri e meeting internazionali è molto importante. È
interessante notare come la location dell’ufficio corporale di queste imprese sia un aspetto
importante e come, nel momento in cui adottino una strategia transnazionale, molte di esse
decidano spesso di trasferire la propria sede dal paese di origine: di solito, questi trasferimenti
vengono operati per dare una risposa alla richiesta proveniente Dali stakeholder esterni, come gli
azionisti e i mercati finanziari.

LA GESTIONE AD ALTO COINVOLGIMENTO IN UN CONTESTO INTERNAZIONALE.

Il management ad alto coinvolgimento fornisce ai dipendenti il potere decisionale e le informazioni


necessarie per sfruttare tale potere in modo efficace. Le imprese che adottino questo approccio
mostrano spesso una performance migliore delle altre. Sebbene molte delle prove sull’efficacia della
gestione ad alto coinvolgimento siano state ottenute da studi operati presso le unità a livello
domestico d’imprese nord-americane, esistono molte prove a conferma della bontà di tali
conclusioni rivenute anche in altri paesi.
Sebbene vi siano diverse prove a supporto della gestione ad alto coinvolgimento, occorre comunque
fare attenzione quando si cerchi d’implementare tale approccio nel contesto di culture differenti.
Infatti, è importante capire come modificarlo adattandolo alle circostanze locali. Le diverse
dimensioni della cultura nazionale che andrebbero perse in esame sono ottenute dal programma di
ricerca GLOBE in cui un considerevole numero di studiosi si è impegnato nell’esame del
comportamento organizzativo di ben 61 nazioni.

LE DIMENSIONI DELLA CULTURA NAZIONALE.

Il progetto GLOBE utilizza nove dimensioni della cultura nazionale. Quattro di esse sono già state
utilizzate in passato da altri studiosi e sono le prime 4:

1. Contenimento dell’incertezza: è il grado con cui i membri di una società desiderino evitare
di trascorrere vite imprevedibili. Essa è focalizzata sul desiderio di ordine di una società, da
ottenere tramite procedure e regole formali, cosi come attraverso norme forti che governino il
comportamento;
2. Distanza di potere: è il grado con cui i membri di una società si aspettino che il potere sia
distribuito in modo iniquo. Questa dimensione corrisponde a un’aspettativa per una leadership
autocratica forte, piuttosto che egalitaria. Nei paesi con i punteggi più elevati, si possono trovare
governi molto forti e, nel contesto d’impresa, strutture decisionali centralizzate;
3. Individualismo: è il grado con cui i membri di una società siano a proprio agio nel localizzarsi
sui propri obiettivi personali e nell’essere ricompensati per gli sforzi e gli obiettivi individuali.
Nelle culture individualistiche, sono i risultati personali a riscuotere maggior valore e
apprezzamento.
4. Assertività, decisione: è il grado con cui i membri di una società siano aggressivi e disposti al
confronto;

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5. Collettivismo di gruppo: indica quanto i membri di una società siano orgogliosi dei gruppi e
delle organizzazioni di cui facciano parte, includendo tra queste la famiglia;
6. Uguaglianza dei generi: si riferisce al grado con cui una società offra le stesse opportunità sia
agli uomini che alle donne;
7. Orientamento al futuro: è il grado con cui i membri di una società apprezzino la
pianificazione e gli investimenti per il futuro;
8. Orientamento alla performance: è il grado con cui i membri di una società apprezzino e
ricompensino il miglioramento e l’eccellenza nello studio, nello sport e nel lavoro;
9. Orientamento umano: è il grado con cui i membri di una società valorizzino un
comportamento altruistico e generoso;
La ricerca ha dimostrato come la cultura nazionale influenzi le principali pratiche di business di un
paese. La distanza culturale fra il paese d’origine dell’impresa e il mercato obiettivo ha un impatto
determinante. La distanza culturale si riferisce al grado di differenza culturale tra due paesi.
Pertanto, i manager dovranno prestare particolare attenzione alle dimensioni culturali prima
d’immaginare e implementare le proprie pratiche manageriali all’interno di ogni singolo paese. Con
l’aumentare della globalizzazione, saper capire e gestire culture differenti è un attributo cruciale per
un buon manager per ottenere il successo nei mercati internazionali.

LA CULTURA NAZIONALE E IL MANAGEMENT AD ALTO COINVOLGIMENTO.

La ricerca ha dimostrato come la cultura nazionale influenzi le principali pratiche di business di un


paese. La distanza culturale fra il paese d’origine dell’impresa e il mercato obiettivo ha un impatto
determinante. La distanza culturale si riferisce al grado di differenza culturale tra due paesi.
Pertanto, i manager dovranno prestare particolare attenzione alle dimensione culturali prima
d’immaginare e implementare le proprie pratiche manageriali all’interno di ogni singolo paese. Con
l’aumentare della globalizzazione, saper capire e gestire culture differenti è un attributo cruciale per
un buon manager per ottenere successo nei mercati internazionali.

LA CULTURA NAZIONALE E IL MANAGEMENT AD ALTO COINVOLGIMENTO.

Il management ad alto coinvolgimento deve essere implementato in accordo con le caratteristiche


culturali di un paese. Sebbene non tutti gli individui di un certo paese saranno in possesso di tutte le
caratteristiche culturali a esso associate, saranno in molti a condividerne i tratti principali.

LA CONDIVISIONE DELLE INFORMAZIONI.

I leader d’impresa dovranno condividere le informazioni tattiche e strategiche se vorranno che i


propri team e individui siano in grado di prendere decisioni di qualità elevata. Nelle culture con
punteggi elevati in termini di contenimento dell’incertezza, i dipendenti devono avere informazioni
sufficienti per poter chiarire i problemi e individuare quale sia la migliore direzione da
intraprendere. Non disponendo di tali informazioni, il risultato potrebbe essere un certo livello di
ansietà e una performance scadente. Nei paesi in cui il contenimento dell’incertezza sia bassa, i
dipendenti avranno minor bisogno di questo tipo d’informazioni.
Nelle culture con punteggi elevati in termini di assertività, i dipendenti vorranno disporre
d’informazioni che li informino chiaramente e direttamente su ciò che sia necessario per ottenere
una performance efficace; in più, desidereranno ricevere continue informazioni su come stiano
procedendo in termini di performance. In modo simile, i dipendenti delle culture individualiste
desiderano informazioni riguardanti il loro lavoro e le loro responsabilità a livello individuale; essi
sono molto meno interessati informazioni sui team, sul dipartimento e su temi d’interesse generale
per l’impresa. I dipendenti delle culture collettivistiche tendono ad avere necessità opposte. Infine, i
dipendenti delle culture con alti punteggi di power distance non si aspettano di ricevere molte
informazioni e potrebbero non fare molta attenzione se anche dovessero riceverle. Nelle culture con
bassi punteggi di power distance, i dipendenti si aspettano di ricevere informazioni e di utilizzarle

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quanto prima. Pertanto, gli attributi culturali influenzano il tipo e ammontare d’informazioni
condivise e la conoscenza sviluppata e appresa all’interno delle organizzazioni.

LE RELAZIONI TRA POTERE DECISIONALE E AUTONOMIA INDIVIDUALE.

Alcuni sistemi ad alto coinvolgimento prevedono di dare ampia autonomia decisionale ai propri
dipendenti, ma a livello individuale piuttosto che di team. Nelle culture caratterizzate da alti
punteggi di uncertainty avoidance, tale autonomia potrebbe essere causa di stress poiché associata a
una minor direzione proveniente dall’alto e a un minore direzione proveniente dall’alto e a un minor
supporto da parte dei propri pari rado. Per evitare lo stress, dovranno essere previsti confini chiari
con riferimento a come questa autonomia vada utilizzata; e i manager dovranno essere sempre
pronti e disponibili a fornire la giusta direzione. Nella culture con bassi punteggi di uncertainty
advoidance, i dipendenti non hanno bisogno di una direzione e, generalmente, sono in grado di
tollerare l’incertezza riguardo ai confini della propria autorità. Nelle culture con alti punteggi di
assertività, è probabile che i dipendenti usino la propria autonomia in modo creativo per poter
completare i propri compiti e conseguire l’auspicato successo. Nelle culture con bassi punteggi di
assertività, i dipendenti potrebbero canalizzare troppa della loto autonomia su temi di lavoro o
meramente più soft.
I manager dovranno fare attenzione a ciascuno di questi potenziali eccessi. Nelle culture con alti
punteggi d’individualismo, i dipendenti apprezzano l’autonomia concessa agli individui anziché ai
team ed enfatizzano gli obiettivi individuali. Per via di questo focus, i manager possono aver bisogno
di canalizzare esplicitamente l’attenzione dei dipendenti verso qualsiasi obiettivo di gruppo o di
team che possa essere ritenuto d’immediato interesse. Nelle culture con alti punteggi di collettivismo,
è improbabile che i dipendenti siano motivati dall’autonomia a livello individuale. Infine, nelle
culture con alti punteggi di power distance, l’autonomia potrete essere difficile da implementare
poiché i dipendenti si aspettano di ricevere dai manager la giusta direzione da seguire. In questa
situazione, i manager potrebbero preferire piccoli incrementi nell’autonomia lasciata ai dipendenti.
Nelle culture con bassi punteggi di power distance, i dipendenti gradiscono l’autonomia ricevuta dai
manager e possono canalizzare i loro sfori per essere più innovativi.

LE RELAZIONE TRA POTERE DECISIONALE E TEAM AUTO-GESTITI.

Nelle culture con alti punteggi di uncertainty avoidance, i dipendenti hanno bisogno di chiare
barriere all’auto-gestione dei team e i manager devono essere sempre pronti nel fare loro da mentori
addestrandoli. Nella culture con bassi punteggi di uncertainty advoidance, i team possono definire i
propri ruoli. Nelle culture con alti punteggi di assertività, i team sono focalizzati spesso sugli
obiettivi. Nelle culture con alti punteggi di assertività, i team sono focalizzati spesso sugli obiettivi.
Nelle culture con punteggi bassi in termini di assertività, i dipendenti dedicano spesso molto tempo
a temi soft richiedendo che i manager controllino il tempo dedicato a tali aspetti. Nelle culture con
alti punteggi d’individualismo, i manager devono dedicare particolare attenzione all’addestramento
dei membri dei team e l design dei loro sistemi di ricompensa. In alternativa i manager si trovano in
una situazione più favorevole perché i dipendenti preferiscono il lavoro in team. Infine, nelle culture
con altri punteggi di power distance, i dipendenti potrebbero avere difficoltà nell’utilizzare il proprio
potere decisionale ove il loro manager fosse troppo visibile: invero, i manager devono rendersi meno
visibili e resistere alla tentazione di offrire maggiore assistenza al team. Nelle culturecon bassi
punteggi di power distance, i dipendenti lavorano comodamente con il manager come se questi fosse
uno di loro o, al più, un addestratore.

L’ETICA NEL CONTESTO INTERNAZIONALE.

Un tema d’importanza cruciale con riferimento ala globalizzazione e al business internazionale è


rappresentato dall’etica. L’etica è definita come un principio di condotta su ciò che sia giusto e
sbagliato; un sistema di valori e principi morali. Implicita in questa definizione è la stessa idea che la
condotta etica possa differire di cultura in cultura: quello che una società potrebbe ritenere una
26
condotta appropriata potrebbe essere, invece, inaccettabile per un’altra. Ne deriva come l’etica
internazionale sia un concetto alquanto complesso.
Tre sono i temi premianti nei dibattiti su quella che possa essere considerata una condotta più o
meno appropriata nell’ambito dei paesi più sviluppati:
- La corruzione: il tema principale ha a che vedere con l’elargizione di tangenti a funzionari della
pubblica amministrazione per poter vincere le gare d’appalto. Richiedere il pagamento di
tangenti si basa, in parte, sulla cultura e, in parte, sulle necessità economiche e debolezze
istituzioni di un paese . Molti paesi sviluppati si sono mossi per combattere la corruzione poiché
essa crea incertezza e conduce a una riduzione delle decisioni fondate sul merito;
- Lo sfruttamento del lavoro: si riferisce all’utilizzo dei bambini, all’uso forzoso di prigionieri,
all’adozione di salari irragionevolmente bassi, e alle scarse condizioni degli ambienti di lavoro;
- L’impatto ambientale: si riferisce all’inquinamento e all’eccessivo utilizzo e sfruttamento di risorse
finire. Da riscaldamento globale al taglio sconsiderato delle foreste, i problemi sono i più vari e
diversi.

Nei paesi con alti livelli di corruzione, lo sviluppo economico tende ad arrestarsi. In aggiunta, gli
investimenti esteri, in questi paesi, provengono più comunemente da imprese basate in altri paesi
con maggiori livelli di corruzione. Pertanto, la corruzione colpisce il paese e i suoi cittadini.

CAPITOLO 4: APPRENDIMENTO E PERCEZIONE.

I PRINCIPI FONDAMENTALI DELL’APPRENDIMENTO.

Non appena entrati per la prima volta in un’organizzazione, gli individui portano con sé l’unicità
delle proprie esperienze, percezioni e modi di comportarsi. Tuttavia, i dipendenti appena introdotti
in un’organizzazione possono avere necessitò d’imparare nuovi comportamenti che li rendano
efficaci per situazioni nuove in futuro. Manager e dipendenti, perciò, devono conoscere a fondo i
principi e processi che governino l’apprendimento.
Nel campo del comportamento organizzativo l’apprendimento si riferisce a cambiamenti
relativamente permanente nelle capacità umane che avvengono come risultato dell’esperienza,
piuttosto che di un processo di crescita naturale. Questa capacità sono collegate ai risultati specifici
dell’apprendimento, come i nuovi comportamenti, le informazioni verbali e le strategie cognitive.
Entrambe le parti di questa definizione sono importanti.
PRIMO: si ha apprendimento solo quando i cambiamenti nelle capacità siano già avvenuti. Questi
cambiamenti dovrebbero implicare un mutamento nel comportamento poiché, per vero
apprendimento s’intende una capacità di adattamento alle nuove circostanze; e ciò deve riflettersi
nel comportamento. In più, tale cambiamento dovrebbe essere relativamente permanente fino a che
non venga imparata una nuova risposta a una certa situazione.
SECONDO: l’apprendimento è guidato dall’esperienza in una particolare situazione.
In tutti i casi, i dipendenti avrà fatto esperienza di quella determinata situazione. Il cambiamento
nelle capacità di una persona a seguito di un processo di crescita naturale non costituisce una forma
di apprendimento.

IL CONDIZIONAMENTO ATTIVO (OPERANT CONDITIONING) E LA TEORIA


SULL’APPRENDIMENTO.

L maggior parte del comportamento mostrato da manager e dipendenti è intenzionale: ovvero, un


dato comportamento è volto al conseguimento di risultati positivi o a evitarne di negativi.
La teoria sul condizionamento attivo e quella sull’apprendimento sociale possono essere utilizzate
entrambe per spiegare l’apprendimento. Entrambe sono teorie di rinforzo basate sull’idea che il
comportamento sia funzione delle sue stesse conseguenze. La teoria sul condizionamento attivo
prende le proprie origini dai famosi esperimenti che hanno riguardo gatti, cani e altri animali.
Obiettivo di tali esperimenti era dimostrare come gli animali imparassero in modo diretto dalle
conseguenze del loro comportamento: ossia la proposta di una ricompensa, come il cibo, condiziona
27
l’animale a ripetere il comportamento premiante nella stessa situazione o in situazioni simili. Negli
ultimi anni, studiosi hanno posto l’enfasi sul fatto che anche le persone subiscano gli stessi
condizionamenti. Tali studiosi, noti come comportamentisti, hanno adottato la posizione secondo
cui i processi mentali di livello superiore siano irrilevanti dal punto di vista comportamentale poiché
tutto l’apprendimento umano è il risultato di un semplice condizionamento, le persone non hanno
bisogno di pensare per imparare.
Benché il condizionamento attivo spieghi una buona parte dell’apprendimento umano, alcuni
studiosi hanno sostenuto più recentemente come le persone possano imparare in altri modi.
La più importante di queste teorie è quella sull’apprendimento sociale. La teoria
sull’apprendimento sociale rigetta l’idea secondo cui i processi mentali di ordine superiore non
esistano o siano irrilevanti per gli essere umani. Questa teoria enfatizza come gli esseri umani
possano osservare gli altri in una certa situazione imparando da ciò che vedano; pertanto, non
hanno bisogno di fare esperienza diretta di una particolare situazione per poterla capire e per
sviluppare i comportamenti più idonei all’ottenimento di una ricompensa.

LA TEORIA DEL RINFORZO DIFFERENZIALE (CONTINGENCIES OF REINFORCEMENT)

Gli elementi di base dell’apprendimento includono:


• La situazione;
• La risposta comportamentale a quella situazione da parte del manager o dipendente;
• Le conseguenze di quella risposta per il manager o dipendente;
Questi elementi interagiscono tra loro per formare le contingenze del rinforzo differenziale. Tali
contingenze descrivono i diversi tipi di conseguenze che possano far seguito alle varie risposte
comportamentali.

IL RINFORZO POSITIVO E IL RINFORZO NEGATIVO.

Qualora le conseguenze di un comportamento siano positive rispetto a una particolare situazione, le


persone saranno solite ripetere quel comportamento ogni qualvolta la stessa situazione dovesse
ripetersi nuovamente. L’introduzione di conseguenze positive incrementa le probabilità che quel
comportamento sia ripetuto in situazioni simili: ciò è denominato rinforzo positivo. Allo stesso
modo, qualora un particolare comportamento in un determinata situazione risulti nella rimozione di
precedenti conseguenze negative, aumenteranno le probabilità che quel comportamento sia ripetuto
in contesti simili: la rimozione delle conseguenze negative è denominata rinforzo negativo.

LA PUNIZIONE.

Qualora il comportamento risulti nell’introduzione di una conseguenza negativa, vi sono minori


probabilità che gli individui possano ripeterlo anche in seguito: ciò viene denominato punizione.
La punizione differisce dal rinforzo negativo giacché, in tal caso, s’introduce una conseguenza
indesiderata, piuttosto che rimuoverla. La punizione riduce la probabilità di un certo
comportamento, mentre il rinforzo negativo ne incrementa le probabilità. La punizione deve essere
utilizzata con giudizio nelle organizzazioni poiché può creare un contraccolpo sia in chi la subisca,
che in coloro che vi assistano. Quando s’impartiscano le punizioni, è imperativo che queste siano
assegnate rispetto alla situazione contingente di chi abbia tenuto il comportamento negativo.
Qualora i dipendenti manifestino comportamenti controproducenti di poca entità una punizione
che consista in un richiamo verbale potrebbe essere operata anche informale da parte di colleghi o
manager. Per comportamenti più gravi andrebbe adottata una proceduta più formale.
1. Il problema viene discusso informalmente e al dipendente viene ricordato quali siano le
aspettative nei suoi confronti;
2. Il dipendente riceve una o più segnalazioni scritte;
3. Il dipendente viene sospeso per un giorno e gli viene chiesto di riconsiderare il proprio futuro
nell’organizzazione;
28
4. Il dipendente viene licenziato;
Sia che vengano loro imposte punizioni informali di minor entità, sia che si tratti di punizioni
peggiori e più formali, manager e dipendenti dovrebbero attenersi alle seguenti linee guida:


• Assegnare le funzioni più velocemente possibile, subito dopo che si sia manifestato il
comportamento desiderato;
• Dirigere la punizione verso comportamenti specifici, cossiché il ricevente ne abbia piena
conoscenza;
• Assegnare la punizione in maniera oggettiva e impersonale;
• Ascoltare sempre la spiegazione dell’individuo prima di agire;
L’ESTINZIONE.

Poiché la punizione può costituire una procedura difficile da gestire, le organizzazioni possono,
invece, decidere di estinguere il comportamento disfunzione attraverso la rimozione delle sue
conseguenza di rinforzo: ovvero, delle conseguenze che potrebbero alimentarne la ripetizione in
futuro. Questa procedura è denominata estinzione . Tuttavia, l’estinzione è difficile da utilizzare, a
meno che un manager non abbia pieno controllo di tutte le conseguenze del rinforzo.
Le conseguenze di rinforzo di alcuni comportamenti disfunzionali, tuttavia, possono essere
interamente rimosse. Per usare l’estinzione, perciò i manager dovrebbero riconoscere le conseguenze
di rinforzo di un certo comportamento, e tali conseguenze dovrebbero essere controllabili.
L’estinzione è verosimilmente utilizzata per eliminare il comportamento indesiderato. Tuttavia,
questo fenomeno può anche comportare conseguenze non volute, ponendo dine anche al
comportamento desiderato.

PROGRAMMI DI RINFORZO.

I rinforzi positivi e negativi sono utili in molte situazioni. Per sfruttare appieno questi due strumenti,
è importante capire i cosiddetti programmi di rinforzo. Tali programmi determinano quanto spesso
vada offerto un incentivo per l’ottenimento di uno specifico comportamento desiderato. Il rinforzo
non deve seguire obbligatoriamente ogni caso di comportamento positivo.
La programmazione più semplice è costituita dal rinforzo continuo , in cui la ricompensa sia
riconosciuta dopo ogni particolare comportamento o insieme di comportamenti. Ragionevolmente,
questa tipologia tende a produrre alti tassi di comportamento premiante poiché, per gli individui,
sarà piuttosto semplice capire il nesso tra un comportamento e le sue conseguenze positive. Tuttavia,
spesso e per diverse ragioni, i comportamenti nelle organizzazioni non sono alimentati attraverso un
rinforzo continuo. Inoltre, nelle organizzazioni odierne, si presume che manager e dipendenti si
auto-gestiscano quantomeno fino a un certo limite. Perciò, essi non avranno bisogno di un rinforzo
continuo alle loro azioni positive. Il rinforzo a intermittenza, dunque, è utilizzato spesso per
garantire il mantenimento del comportamento appreso. I quattro programmi di rinforzo a
intermittenza più comunemente adottati dalle organizzazioni sono i seguenti:
1. Intervalli fissi: con questo programma, un rinforzo diventa disponibile solo dopo un certo
periodo di tempo fisso, successivo al rinforzo precedente. Questo tipo di piano che preveda un
riconoscimento a intervalli fissi potrebbe rendere il comportamento desiderato più difficile da
estinguersi rispetto al programma continuato, e ciò poiché i dipendente non è abituato a essere
ricompensato per ogni suo comportamento positivo. Tuttavia, vi potrebbero anche essere delle
minori probabilità di comportamento desiderato immediatamente dopo la ricezione della
ricompensa, poiché l’individuo potrete comprendere che, nel periodo successivo, non sia previsto
alcun tipo di rinforzo. In più, potrebbe comprendere che, nel periodo successivo, non sia previsto
alcun tipo di rinforzo. In più, potrebbe comprendere che, nel periodo successivo, non sia previsto
alcun tipo di rinforzo. In più, potrebbe ridurre le probabilità del verificarsi del comportamento
desiderato qualora gli intervalli fissi siano toppo lunghi per quella specifica situazione.
Complessivamente, questo programma di rinforzo tende a essere il meno efficace;

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2. Intervalli variabili: con questa seconda tipologia, un rinforzo diviene disponibile dopo che sia
trascorso un certo periodo di tempo dal rinforzo precedente ma un periodo di tempo che sia
variabile. Questa tipologia di programma riesce a stimolare un tasso più elevato di
comportamenti positivi poiché i dipendente non sa ma in che momento avverrà la successiva
ricompensa. Tuttavia, se il tempo medio tra le due ricompense sarà troppo prolungato, il metodo
in questione potrà perdere efficacia;
3. Tasso fisso: con questa terza tipologia, un rinforzo viene introdotto dopo che il
comportamento desiderato si sia ripetuto per un certo numero fisso di occasioni. Sebbene questo
metodo possa ragionevolmente produrre risultati positivi, è anche possibile che, immediatamente
dopo la ricompensa, il comportamento desiderato possa non essere messo in atto per un breve
periodo di tempo. Tale risultato potrebbe avvenire poiché i manager e i dipendenti tenderanno a
rilassarsi subito dopo la ricezione della ricompensa, sapendo che il conteggio dovrà ricominciare
da zero;
4. Tasso variabile: in quest’ultimo caso, un rinforzo è introdotto dopo che il comportamento
desiderato si sia realizzato per un certo numero di volte. Questo metodo tenderà a prodotte i
migliori risultati e a rendere l’estinzione molto meno probabile che negli altri tre casi. Si tratta di
un metodo molto comune in varie situazioni.

LA TEORIA SULL’APPRENDIMENTO SOCIALE.

Sebbene i principi del condizionamento attivo spieghino buona parte dell’apprendimento, le


persone imparano anche in altri modi. La teoria dell’apprendimento sociale sostiene come,
oltre all’apprendimento che si potrebbe avere tramite un rinforzo diretto, le persone potrebbero
anche imparare anticipando le conseguenze del loro comportamento prendendone a modello degli
altri. In altre parole, l’apprendimento si ottiene tramite l’elaborazione mentale delle informazioni.
Secondo tali approcci all’apprendimento, un modo in cui i dipendenti possano imparare p tramite il
ricorso a simboli o previsioni. Le persone hanno l’abilità di simboleggiare gli eventi e di anticipare le
conseguenze. Ciò significa che, piuttosto che fare esperienza diretta delle conseguenze del
comportamento di qualcuno, una persona potrebbe provare vari scenari nella propria testa, cosi da
determinare quali conseguenze potenziali possano scaturire da una particolare comportamento.
Secondo la teoria sull’apprendimento sociale, le persone imparano anche dall’osservarsi
reciprocamente. Piuttosto che dover fare esperienza delle conseguenze in prima persona, esse
possono osservare il comportamento degli altri e i risultati che ne derivino. Se i risultati saranno
positivi, allora le persone prenderanno a modello quel comportamento. La teoria
sull’apprendimento sociale sostiene, inoltre, che la convinzione i un individuo di poter portare a
termine un compito specifico in una determinata situazione sia molto importante ai fini
dell’apprendimento: solitamente, tale convinzione è denominata auto-efficacia. Qualora i
dipendenti abbiano un’auto-efficacia elevata verso un particolare compito, essi crederanno di poterlo
portare a compimento molto bene. Le persone non s’impegneranno quando saranno loro stesse a
non credere di poter portare a termine un certo compito.
Buona parte della ricerca ha dimostrato come l’auto-efficacia migliori sia la performance che
l’apprendimento, e ciò al di là delle abilità mostrate dagli individui. Qualora due persone siano in
possesso della stessa abilità, quella con il maggior livello di auto-efficacia tenderà a ottenere la
miglior performance e ad apprendere di più.

ALTRE CONDIZIONI PER L’APPRENDIMENTO.

Oltre ad apprendere attraverso le conseguenze e l’osservazione degli altri, una ricerca più recente ha
evidenziato come l’apprendimento sia facilitato dalle seguenti condizioni.
• I dipendenti hanno bisogno di sapere per quale ragione essi stiano imparando ciò
che stanno imparando. Le persone sono più motivate ad apprendere quando capiscano la
ragione alla base di ciò che stiano imparando. Perché possano capire le ragioni alla base di ciò che
stanno imparando, essi dovranno essere provvisti di obiettivi di apprendimento specifici. Inoltre,

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permettere ai dipendenti di fare esperienza degli effetti negativi che scaturiscono dal non
apprendimento potrà essere utile a comprendere le ragioni dell’importanza di tale
apprendimento.
• I dipendenti hanno bisogno di utilizzare la loro stessa esperienza come base per
l’apprendimento. Molti esperti nell’insegnamento credono che le persone imparino meglio
quando possano legare il nuovo materiale da apprendere alle proprie esperienze passate, quando
ricoprano un ruolo attivo nel proprio apprendimento, e quando siano in grado di rispecchiare le
proprie esperienze d’apprendimento. Secondo la prospettiva dell’apprendimento esperienziale,
imperativo per l’apprendimento è che siano incluse sia una sperimentazione che un’osservazione
attiva.
• I dipendenti hanno bisogno di mettere in pratica quanto imparato. Far pratica significa
dimostrare ripetutamente di aver compreso gli obiettivi dell’apprendimento. L’apprendimento
proveniente da una pratica costante migliora le probabilità che i dipendenti possano impegnarsi
nei comportamenti appena appresi una volta di fronte a quanto studiato solo a livello teorico.
• I dipendenti hanno bisogno di un feedback. Molta ricerca è stata condotta sugli effetti dei
feedback sull’apprendimento. Il feedback può facilitare l’apprendimento fornendo ai dipendenti le
giuste informazioni su ciò che debbano imparare, agendo anche come ricompensa. Il feedback
contribuisce all’apprendimento qualora i dipendenti siano familiari e a proprio agio con il
materiale da imparare o quando tale materiale sia relativamente semplice.

ADDESTRARE E MIGLIORARE LA PERFORMANCE DEI DIPENDENTI.

Per ottenere i risultati positivi nell’addestramento di un nuovo arrivato, i manager rinforzano spesso
gli individui non appena questi si avvicinano ai comportamenti desiderati. I passaggi seguenti
catturano gli elementi più importanti del processo:
1. Determinare i nuovi comportamenti da apprendere;
2. Per i comportamenti più complessi, è auspicabile che questi siano suddivisi in segmenti più
piccoli e logicamente organizzati;
3. Mostrare i comportamenti desiderati ai tirocinanti. La ricerca indica quanto sia utile modellare i
comportamenti appropriati. Essa indica altresi che, a meno che i comportamenti chiave non
siano distintivi e significativi, il tirocinante possa non ricordarli sul lavoro;
4. Fare in modo he i tirocinanti pratichino i nuovi comportamenti alla presenza dell’istruttore;
5. Rinforzare in prossimità dei comportamenti desiderati. All’inizio, un rinforzo medio potrebbe
essere sufficiente per ottenere una buona partenza. Proseguendo, il rinforzo dovrebbe essere
attribuito solo quando fossero consegui dei progressi reali. Il rinforzo dovrebbe essere immediato;

Nell’addestramento del nuovo arrivato, i manager di molte organizzazioni adottano questo


approccio.
Le organizzazioni utilizzano svariati metodi per l’addestramento dei propri dipendenti. I metodi di
addestramento on the job includono i programmi di orientamento, le esperienze di socializzazione,
le esperienze di apprendistato, il tuttoraggio formale, la rotazione degli incarico e l’addestramento
basato sulle tecnologie. I metodi di addestramento fuori sede, invece, includono le lezioni condotte
da istruttori, le lezioni presso strutture universitarie. L’apprendimento può avvenire anche
informalmente attraverso processi di sperimentazione per tentativi ed errori, relazioni di tutoraggio
informale, interazioni con i colleghi. Nel seguito, si evidenzieranno tre metodi in particolare: l’OB
Mod, l’apprendimento dalle simulazioni, e l’apprendimento dagli errori.

L’OB MOD.

Per migliorare la performance d’individui già facenti parte dell’impresa con riferimento a compiti
continuati nel tempo, le organizzazioni non solo devono essere consapevoli di come sviluppare in
essi delle buone inclinazioni, ma anche di come eliminare quelle negative. Come aiuto in questo
processo, si adotta spesso una procedura formale nota come modificazione del comportamento

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organizzativo o OB Mod. L’obiettivo di base dell’OB mod è migliorare nell’esecuzione dei
compiti attraverso il rinforzo positivo dei comportamenti desiderati e l’eliminazione dei rinforzi a
supporto dei comportamenti meno desiderabili. Il valore sta nei passaggi specifici e dettagliati che il
metodo offre.
L’OB Mod costituisce un modello di riferimento (framework) rappresentabile come un semplice
diagramma di flusso. Nei passaggi iniziali, i manager determinano quelli che, per loro, siano da
considerarsi comportamenti positivi o negativi per, poi, stabilire il grado con cui gli individui ne
assumano alcuni. I comportamenti desiderabili possono essere molto semplici. Nel passaggio
successivo, l’analisi funzionale, i manager determinano gli incentivi da poter adottare per
incrementare la frequenza dei comportamenti desiderati e gli incentivi da eliminare per estinguere i
comportamenti indesiderati. In seguito, i manager applicano le conoscenze acquisite con riguardo a
tali incentivi nell’intento di alterare il comportamento in maniera fruttuosa. Avendo successo in
questo passaggio, essi potranno sviluppare un programma di rinforzo appropriato per il futuro.
Infine, viene valutato l’impatto dei comportamenti modificati sugli indicatori di performance come il
numero di unità di prodotto realizzare giornalmente. Uno studio ha rilevato come un feedback di
tipo PIGS (positivo, immediato, grafico e specifico) accoppiato agli incentivi sociali finalizzati al
conseguimento di un comportamento desiderato sia stato alla base della qualità del servizio degli
addetti di una banca. Un altro studio ha trovato come il feedback accoppiato a incentivi sociali e
tempo libero, sia servito a superare alcuni problemi di performance rilevanti in un contesto di
lavoratori munìcipali.
La ricerca sull’OB Mod rivela come i miglioramenti di performance tendano a essere maggiori nelle
organizzazioni manifatturiere rispetto a quelle di servizi. Questa differenza tra i diversi tipi di
organizzazione evidenzia una debolezza di tale approccio.
Per i lavori più complessi e meno routinari, come quelli che possano aversi in certe imprese di
servizi, l’OB Mod tende a essere meno efficace. Nei lavori più complessi, in cui una performance
eccellente in determinate aree chiave si basi su conoscenze profonde e su abilità che possano
richiedere anche mesi o anni per essere sviluppate, li interventi di breve periodo potranno non
produrre grandi miglioramenti di performance.
Per le organizzazioni che tentassero di sviluppare il proprio capitale umano per l’ottenimento di un
vantaggio competitivo, si tratterebbe di una limitazione da tenere certamente in considerazione. La
ricerca sull’OB Mod rivela anche un altro fatto importante: il feedback sulla performance
accoppiato agli incentivi sociali potrebbe essere tanto efficace quanto quello accoppiato agli incentivi
monetari.

LE SIMULAZIONI.

In certe situazioni, un manager o dipendente potrebbe intraprendere una determinata azione con
conseguenze poco chiare. Ciò avverrebbe qualora gli effettivi dell’azione si combinassero in modi
imprevedibili con quelli di altri fattori.
Nelle situazioni in cui si abbia un complesso sistema di variabili e vi sia una certa comprensione di
come tali variabili s’influenzino reciprocamente, una simulazione potrà rappresentare uno
strumento utile per poter capire quali siano gli effetti delle potenziali azioni da mettere in atto. Una
simulazione ricreerebbe il sistema reale, ma consentirebbe di esaminare cosa potrebbe succedere
oprando un’azione per volta, cosi da capirne gli effetti.
Benché utili le simulazioni rappresentano delle semplificazioni della realtà. Per questa ragione
alcune organizzazioni preferiscono sostituire o estendere le simulazioni con sperimentazioni formali
nel mondo reale. L’idea è avere manager e dipendenti che tentino diversi approcci, malgrado alcuni
di essi certamente falliranno nel permettere a chi svolgerà l’analisi di scoprire quale tra questi
funzioni bene e in che circostanze. Questa sperimentazione è stata utilizzata spesso nello sviluppo di
tecnologie per i nuovi prodotti ed è stata utilizzata anche nel prevedere la possibile direzione
strategica di un’organizzazione.

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IMPARARE DAI FALLIMENTI.

Spesso, le imprese ad alto coinvolgimento cercano di sfruttare il proprio capitale umano per
aumentare il livello d’innovazione. Pertanto, sono solite concedere una certa autonomia ai propri
manager e dipendenti consentendo loro di sperimentare. In aggiunta alla sperimentazione formale
discussa in precedenza, queste organizzazioni tendono a promuovere una sperimentazione
informale o su scala ridotta in quasi tutte le aree della vita organizzativa, con manager che
sperimentano nuovi stili di leadership e dipendenti che lavorano alla linea di assemblaggio
sperimentando nuovi metodi di funzionamento dei macchinari. Tale sperimentazione conduce a
una apprendimento. Uno stile di leadership adottato da un manager potrebbe aver funzionato bene,
ma tentarne uno nuovo gli fornirebbe informazioni utili sulla sua efficacia.
La sperimentazione, tuttavia, non costituisce sempre un successo: per sua natura, essa produce
anche svariati fallimenti. I nuovi approcci sono, a volte, meno efficaci del modo tradizionale di fare
le cose. In certi casi, le nuove idee di prodotto sono poco attrattive per il mercato. La chiave è
imparare dagli insuccessi. Un insuccesso che non produca alcun apprendimento è un errore; un
insuccesso che produca un apprendimento è un fallimento intelligente. Gli insuccessi intelligenti
sono il prodotto di certe tipologie di azioni:
• Le azioni sono pianificare attentamente;
• Le azioni hanno una ragionevole possibilità di produrre successo;
• Le azioni sono tipicamente modeste in termini di scale;
• Le azioni sono eseguite e valutate piuttosto rapidamente, poiché un feedback attardato rende
l’apprendimento più difficile;
• Le azioni si limitano ad ambiti abbastanza familiari da consentire una comprensione appropriata
dei loro effetti;

Le imprese che si mostrino più serie nella sperimentazione e perseguimento d’insuccessi intelligenti
creano un contesto culturale che protegga e alimenti manager e dipendenti intenzionati a prendersi
un rischio calcolato con l’obiettivo di produrre innovazione. Imparare dai fallimenti, OB Mod e
simulazioni sono solo tre modi tramite cui le imprese possano addestrare i propri dipendenti. Molte
organizzazioni ricorrono a metodi multipli.

LA PERCEZIONE.

Come si è visto nelle sezioni precedenti, i manager e dipendenti che possano imparare efficacemente
dall’esperienza contribuiscono positivamente al capitale umano di un’organizzazione e, dunque, alla
sia capacità do sviluppare un vantaggio competitivo sostenibile. Procedendo innanzi con
l’apprendimento, passiamo ora al concetto di percezione. Se un manager o dipendente non
percepirà accuratamente le persone, i compiti e gli eventi, impara dall’esperienza sarà piuttosto
difficile. Se un manager o dipendente non percepirà accuratamente il mondo che lo circondi, baserà
il proprio comportamento su percezioni inaccurate del mondo, anziché sulla realtà.
Manager e dipendenti sono costantemente esposti a una gran varietà d’input sensoriali che ne
influenzano le percezioni. Con input sensoriali ci si riferisce a cose che vengono sentite, viste,
odorate, assaggiare o toccate. Questo input sono processati dal cervello e, poi, riorganizzati per
formare concetti concernenti ciò di cui si sia appena fatta esperienza a livello sensoriale.
Le percezioni comprendono tre fasi basilari:
• Percepire le varie caratteristiche di una persona, compito o evento. Questa fase consiste
nell’utilizzo dei senti per ottenere i dati. Tuttavia, alcuni dati nell’ambiente non potranno essere
rilevati dagli organi sensoriali. Alcuni dati, anche se accessibili, non possono essere percepiti.
• Selezionare dai dati disponibili quei fatti che saranno utilizzati per formare la
percezione. Un individuo non usa necessariamente tutti i dati percepiti. A volte, una persona
potrebbe essere sovraccaricata d’informazioni e impossibilitata a usarle tutte. In altre occasioni,
una persona potrebbe decidere di escludere volontariamente alcune informazioni che si
dimostrassero inconsistenti con altre sue percezioni.

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• Organizzare i dati selezionati in concetti utili riguardanti l’oggetto o la persona. Un
individuo deve ordinare e riclassificare i dati in modo utile a stabilire gli approcci da utilizzare al
momento di doversi interfacciare col mondo reale.

LA PERCEZIONE DEGLI INDIVIDUI.

Manchevolezze nell’abilità di percepire l’intero spettro di dati, nel selezionare i dati più appropriati
da processare ulteriormente e nell’organizzare i dati in informazioni utili possono portare a
elaborare percezioni inaccurate sulle persone. Alla fine, tali percezioni errate possono interferire con
l’apprendimento riguardante il come meglio interagire con una persona. I manager e dipendenti più
efficaci sono in grado di sviluppare percezioni complete e accurate delle varie persone con cui
interagiscano.
Queste percezioni cosi accurate sono cruciali per le risorse umane di un’impresa e contribuiscono al
suo vantaggio competitivo.

LA NATURA DEL PERCETTORE.

Il processo di percezione è influenzato da vari fattori concernenti la natura stessa del percettore. Un
udito danneggiato, una vista danneggiata o le condizioni d’impedimento temporaneo possono
alterare le capacità percettive. A parte queste situazioni particolari, i fattori più importanti sono
rappresentati dalla familiarità del percettore con l’altra persona, dai sentimenti del percettore
riguardo all’altra persona e dallo stato emotivo del percettore.
La familiarità con la persona è importante: da un lato, in individuo può avere percezioni più
accurate di persone di cui abbia una conoscenza precedente; dall’altro, può porre maggior
attenzione su chi sia appena arrivato.
Se un individuo si sarà impegnato molto nella comprensione appropriata di certe persone, avrà
probabilmente sviluppato delle percezioni piuttosto accurate delle loro caratteristiche e abilità. Se
tali caratteristiche e abilità dovessero mutare, o se tali persone dovessero agire in modo non lineare
alle loro caratteristiche o comportamenti. In tal caso, il percettore potrebbe essere troppo focalizzato
sui convincimenti già costruiti in precedenza riguardo a tali individui per poterne interpretare
accuratamente le caratteristiche e i comportamenti. I sentimenti di un individuo riguardo a un’altra
persona potrebbe anch’essi influire sul processo percettivo. Se, in generale, l’individuo nutrisse
sentimenti positivi verso un’altra persona, questi potrebbe interpretare in modo favorevole le sue
azioni e, dunque, giudicarle più positivamente del dovuto.
Al contrario, se, in genere, l’individuo nutrisse sentimenti negativi verso l’altra persona, questi
potrebbe interpretarne in modo meno favorevole le azioni e, dunque, giudicarle più negativamente
del dovuto. Anche lo stato emotivo di un individuo può influire sulla percezione che egli possa avere
degli altri. Se felice o eccitato, egli potrebbe percepire gli altri come più esuberanti e allegri di
quanto non siano davvero. Invece, se triste o depresso, egli potrebbe percepire gli altri come meno
felici di quanto non siano davvero o anche come soggetti più sinistri di quanto questi non siano nella
realtà.

LA NATURA DELLA SITUAZIONE.

I fattori che contraddistinguono una situazione possono influire sulla capacità di un manager o
dipendente di percepire informazioni importanti; e tali fattori possono influire sul fatto che queste
informazioni possano essere utilizzate nella formazione delle percezioni. I fattori rilevanti sono vari e
numerosi. Tre di questi sono: le caratteristiche ovvie dell’altra persona, le intenzioni apparenti
dell’altra persona, e le conseguenze delle interazioni con l’altra persona.
Le percezioni che un individuo può sviluppare di un’altra persona possono essere influenzate dal suo
stato intero ed emotivo. In più, esse sono influenzate dalle caratteristiche più evidenti di tale persona.
Nelle organizzazioni, chi ottenga una performance particolarmente positiva o particolarmente
negativa nel proprio lavoro viene notato maggiormente rispetto a chi che ottenga una performance
nella media.
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I manager devono essere consapevoli di questa tendenza poiché la maggior parte dei propri
dipendenti tenderà a operare nella media. Molti dipendenti potrebbero essere mai notati, mai
ricompensati e ignorati per gli avanzamenti di carriera, pu avendo il potenziale per contribuire agli
obiettivi dell’impresa e al conseguimento del vantaggio competitivo.
La capacità percettiva di un individuo può essere influenzata anche dalle presunte intenzioni
dell’altra persona: conformemente a tale presupposizione e, in particolare, al comportamento
supposto in caso di azione, l’altra persona potrà essere considerata ostile e minacciosa. infine, un
individuo potrebbe essere influenzato dalle conseguenze di una singola interazione che egli potrebbe
aver avuto con l’altra persona: se tali conseguenze dovessero essere fondamentalmente positive,
sarebbe probabile per l’individuo percepire l’altra persona in modo favorevole; se, tuttavia, i risultati
dell’interazione dovessero essere stati negativi, sarebbe più probabile interpretarla in modo meno
favorevole.

I PROBLEMI NELLA PERCEZIONE DELLA PERSONA.

Il processo percettivo è influenzato da fattori relativi sia al percettore stesso che alla situazione
generale. I problemi che impediscono la formazione di una percezione accurata derivano da fattori
che possono essere ordinati in quattro gruppi: le teorie implicite della personalità, l’effetto
alone, il projecting e gli stereotipi.
Le persone hanno teorie implicite della personalità: si tratta di teorie personali su quali tratti
della personalità e su quali abilità si manifestino contemporaneamente, e su come questi attributi si
rispecchino nel comportamento. Un tipo di teoria implicita della personalità concerne se le persone
credano che i tratti della personalità e le abilità siano in loro fisse e immutabili. Coloro che credano
nell’immutabilità degli attributi delle persone sono denominati teorici dell’essere; mentre coloro che
credano che tali attributi possano essere modificati e sviluppati sono denominati teorici incrementali.
La ricerca ha dimostrato come i manager del primo tipo siano meno inclini ad aiutare e addestrare i
propri subordinati credendo che tali comportamenti non possano essere modificati.
Si ha un effetto alone quando un individuo operi una valutazione generale di un’altra persona e,
poi, utilizzi questa impressione generale per interpretarne qualsiasi azione, indipendentemente dal
fatto che tale impressione generale ne rispecchi davvero il comportamento.
Assumere che il più delle persone abbia gli stessi nostri valori e convincimenti costituisce un
fenomeno denominato projecting. Naturalmente, credere erroneamente che gli altri condividono i
nostri stessi convincimenti potrebbe condurre a comportamenti inefficaci: problemi specifici
includono la sovrastima del consenso, la sottovalutazione di giudizi oggettivi, e la sottovalutazione di
chi abbia punti di vista diversi dal nostro.
Qualora un individuo mostrasse di avere idee preconcette o percezioni su un certo gruppo di
persone, ci si troverebbe di fronte al concetto di stereotipo.
Per sfruttare appieno il proprio capitale umano, un’organizzazione dovrà avere dei manager e
dipendenti che si rispettino gli uni con gli altri e che apprezzino le caratteristiche uniche di ogni
persona. Avere degli stereotipi potrebbe interferire con questi risultati. Delle interazioni efficaci e
produttive richiedono una percezione accurata delle persone; e gli stereotipi sono spesso sbagliati per
due ragioni:
I. Le caratteristiche stereotipate di un gruppo potrebbero essere semplicemente sbagliate. Gli
stereotipi errati potrebbero derivare da un ampio numero di fattori ove fosse lo stesso stereotipo a
essere inaccurato, applicarlo a un individuo potrebbe condurre soltanto a commettere un errore;
II. Anche se le caratteristiche stereotipate di un gruppo dovessero essere in genere corrette, qualsiasi
individuo che ne facesse parte difficilmente ne avrebbe tutte le caratteristiche o anche gran parte
di esse.

L’AUTO-PERCEZIONE.

È ampiamente riconosciuto come le percezioni degli altri abbiano conseguenze importanti, ma


come la percezione che un individuo abbia di se stesso possa avere anch’essa conseguenze molto

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importanti. Gli individui che si auto-percepiscono come molto competenti hanno maggiori
probabilità di tentare nuovi approcci nello svolgimento dei propri compiti. L’auto-confidenza, cioè, è
una forza molto potente. In un’analisi dei manager di livello gerarchicamente più basso, si è scoperto
come le auto-percezioni di competenze riaprissero un ruolo significativo nella performance dei
compiti.

L’ATTRIBUZIONE DI CASUALITÀ.

Nel considerare i comportamenti altrui, gli individui percepiscono come tali azioni abbiano cause
diverse. Tuttavia, persone differenti possono vedere lo stesso comportamento come causato da
diversi fattori. Il processo attraverso cui si giunga a determinare cosa abbia causato un certo
comportamento è denominato attribuzione.

L’ATTRIBUZIONE INTERNA ED ESTERNA.

Il comportamento di una persona è spesso interpretato come se causate da fattori interni o esterni.
Nel fare tali attribuzioni interne o esterne, si dipende in gran parte dalle proprie percezioni di
compattezza, consenso e istintività associate al comportamento, elementi definiti qui di seguito:
• La compattezza è il grado con cui un individuo tenda a comportarsi allo stesso modo, nella
stessa situazione, nel tempo;
• Il consenso è il grado con cui altri individui, nella stessa situazione, tendano a comportarsi alla
stessa maniera;
• La distintività è il grado con cui lo stesso individuo tenda a comportarsi differentemente in altre
situazioni.

Quando si percepito il comportamento di una persona come alto in compattezza, basso in consenso
e basso in distintività, si tenderà ad attribuirlo a fattori interni; se il comportamento sarà basso in
compattezza, alto in consenso e alto in distintività, si tenderà ad attribuirlo a fattori esterni; infine, se
il comportamento sarà percepito come avente un profilo misto si sarà soliti optare per
un’attribuzione interna.
Vari studi hanno evidenziato molte situazioni in cui le attribuzioni interne ed esterne abbiano
giocato un ruolo chiave nelle attitudini e nei comportamenti. In generale, gli osservatori tendano a
sovrastimare l’impatto delle cause interne sul comportamento delle altre persone e, invece, a
sottostimare gli effetti delle cause esterne. Tale tendenza generale è denominata errore di
attribuzione fondamentale.

LE ATTRIBUZIONI DI SUCCESSO E DI FALLIMENTO.

Monitorare e rispondere a una scarsa performance sono due compiti importanti per il management
e, nelle organizzazioni di alto coinvolgimento, anche per i dipendenti. Per rispondere in modo
appropriato, i manager devono studiare accuratamente le cause della scarsa performance rilevata.
Se non in grado d’identificarne le cause, gli individui potrebbero soffrirne o beneficarne
ingiustamente. Sfortunatamente, svariate tendenze attributive e problematiche giocano un ruolo
chiave.
Innanzi tutto, l’errore di attribuzione fondamentale ha un certo effetto ancorché, in parte, di minore
rilevanza. Tale errore porta i manager ad attribuire il comportamento altrui a fattori interni. Perciò,
la scarsa performance di un individuo potrebbe avere una causa esterna, ma un manager potrebbe
comunque attribuirvi una causa interna.
Secondo, la self-serving bias (ossia la distorsione nella percezione di noi stessi e di ciò che ci riguardi
direttamente) gioca un ruolo con un effetto spesso significativo sulle attribuzioni. Tale distorsione
funziona nel modo seguente. Si ha una spiccata tendenza ad attribuire i propri successi a fattori
interni e i propri fallimenti a cause esterne. Di contro, si tende ad attribuire il successo di qualcun
altro a fattori esterni e i fallimenti a fattori interni.

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L’errore di attribuzione fondamentale e il self-service bis lavorano all’unisono producendo una
deviazione significativa che porta ad attribuire la scarsa performance a cause interne. Questa
deviazione sta a significare come le persone facciano errori di valutazione più spesso del dovuto.

LA PERCEZIONE DEL COMPITO DA SVOLGERE.

Le percezioni e comportamenti delle persone si creano in maniera soggettiva. In modo simile, le


percezioni dei compiti si sviluppano attraverso processi soggettivi e, a volte, idiosincratici. Si è
riscontrato che fattori come l’intelligenze, l’età e il genere avviano un certo influsso sulla percezione
dei compiti. Uno studio ha trovato come gli individui con alti livelli d’intelligenza percepiscano
maggior complessità in svariati compiti rispetto a quanto non facciano quelli con livelli più bassi
d’intelligenza. In aggiunta, molti studi hanno trovato come gli individui con maggiori livelli di
soddisfazione nel posto di lavoro percepiscano più autonomia e varietà nei propri compiti di quanto
non avvenga per quelli con livelli più bassi di soddisfazione.
Il modo in cui i manager percepiscano il proprio lavoro ha implicazioni importanti in termini di
comportamento e risultati. La percezione del compito è stata collegata alla motivazione intrinseca,
cosi come alla performance lavorativa. Esse, poi, sono state collegate allo stato d’animo. Un gruppo
ha proposto come i dipendenti prima percepiscano il proprio lavoro a livello informativo, poi
percepiscano i compiti da svolgere a livello valutativo e, in seguito, reagiscano al proprio lavoro sia
da un punto di vista comportamentale che emotivo.
Il processo di percezione del compito e i conseguenti effetti sul comportamento hanno importanti
implicazioni per le organizzazioni.

CAPITOLO 5: I PROCESSI INDIVIDUALI.

Le organizzazioni possono addestrare le persone a fare tanto; ma ci sono delle differenze a livello
individuale che non possono essere facilmente influenzate. In questo capitolo, si esploreranno tre di
queste differenze: personalità, intelligenza ed emotività. In più, s’indagherà un’altra differenza a
livello individuale: le attitudini su cui un’organizzazione possa influire maggiormente alla luce della
propria esperienza. Tali attributi a livello umano influiscono sull’efficacia di n’organizzazione
condizionando la performance dei dipendenti, la loro attitudini sul lavoro, la motivazione, la volontà
di farne parte, e la loro abilità di lavorare insieme ad altri nel contesto di un’organizzazione ad alto
coinvolgimento.

I FONDAMENTI DELLA PERSONALITÀ.

Il termine personalità descrive le caratteristiche più evidenti e dominanti di una persona: allegria,
timidezza, prepotenza e cosi via. Tale significato della personalità è più utile poiché un insieme ricco
di caratteristiche dice molto sul comportamento che ci si potrebbe aspettare da una persona e può
essere utile nel guidarci quanto vi interagiremo. Più formalmente, la personalità è un insieme
stabile di caratteristiche che rappresentano le proprietà interne di un individuo e che si riflettono
nelle sue tendenze comportamentali in un’ampia sfera di situazioni. Queste caratteristiche sono
spesso denominate tratti e sono la dominanza, l’assertività e il neuroticismo. Il significato
tradizionale dei tratti della personalità si fonda su tre convincimenti di base:
1. I tratti della personalità sono delle caratteristiche psicologiche a livello individuale che durano
relativamente a lungo;
2. I tratti della personalità sono tra le principali determinanti del comportamento;
3. I tratti delle personalità influenzano il comportamento di ognuno in una varietà di situazioni;

Alcuni studiosi e manager hanno criticato questi convincimenti tradizionali in tema di tratti della
personalità credendo, invece, come quest’ultima possa subire cambiamenti importanti. Ancora,
possiamo osservare spesso una certa consistenza nel comportamento di una persona in varie
situazioni.

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LE DETERMINANTI NELLO SVILUPPO DELLA PERSONALITÀ.

Per poter capire in modo appropriato il concetto di personalità, è importante esaminare il modo in
cui questa si sviluppi. Sia l’ereditarietà che l’ambiente giocano un ruolo importante in tale sviluppo.

L’EREDITARIETÀ.

Dai risultati della biologia di base sappiamo come i genitori forniscano i geni per i propri figli. I geni
determinano l’altezza, il colore dei capelli, la forma e dimensione delle mani e altre caratteristiche
fisiche di base. In modo simile, essi sembrano influire sulla personalità, come dimostrato da tre
diversi tipi di studi.
Sebbene i geni rivestano chiaramente un ruolo importante nella formazione della personalità, non
dobbiamo tuttavia enfatizzarne troppo gli effetti. I ricercatori sostengono che il 50% della
personalità di un adulto ia determinata a livello genetico. La miglior informazione attualmente
disponibile ci insegna come le combinazioni tra i geni influiscano sui tratti della personalità.

L’AMBIENTE.

Oltre ai geni, l’ambiente di cui un bambino faccia esperienza gioca un ruolo fondamentale nella
formazione della personalità. In altre parole, ciò a cui il bambino venga esposto e il modo in cui sia
trattato influenzano il tipo di persona che egli diverrà. Un clima familiare sereno, attento e di
supporto ha maggiori probabilità di produrre individui ben equilibrati e socievoli. Anche le
circostanze socio-economiche in cui si trovi la famiglia giovano un ruolo importante. Anche gli
eventi che accadano fuori dall’ambiente familiare possono avere un ruolo importante nella
formazione della personalità: le scuole, le chiese e le squadre sportive.
Sebbene la ricerca sostenga che la personalità sia ragionevolmente stabile quando si diventi adulti,
gli eventi e le esperienze vissute da adulti possono influire sulla personalità. Inoltre, alcune teorie di
psicologia sostengono come il cambiamento possa svilupparsi nel corso del tempo. Una teoria
sostiene un modello di personalità che preveda possibili transizioni in vari momenti della vita,
includendo l’infanzia, la prima pubertà, la seconda pubertà, l’adolescenza, la prima senilità, la
senilità media e quella più avanzata. I cambiamenti specifici che potranno avvenire sono meno
importanti del fatto che il cambiamento sia di per sé possibile.

I CINQUE GRANDI TRATTI DELLA PERSONALITÀ.

Perché manager e dipendenti siano efficaci nell’uso dei tratti della personalità per prevedere i
comportamenti, essi devono lavorare con un conciso insieme di tratti. Tuttavia, migliaia di tratti
possono essere adoperati per descrive una persona. Sono i cinque tratti principali che includono
l’estroversione, la meticolosità, la gradevolezza, la stabilità emotiva e l’apertura alle esperienze, cosi
come raffigurato.

L’ESTROVERSIONE.

Il tratto dell’estroversione ha rappresentato un’area di grande interesse per molti ben noti
psicologici della prima metà del ventesimo secolo. Questo aspetto della personalità era da
considerarsi il driver più importante del comportamento. L’estroversione è il grado con cui una
persona si mostri espansiva e derivi le proprie energie dall’essere intorno agli altri. In termini più
specifici, è il grado con cui una persona:
1. Si diverta a essere insieme agli altri;
2. Sia calorosa con gli altri;
3. Si mostri loquace in un contesto di gruppo;
4. Mantenga un ritmo vigoroso;
5. Non tema lo stato di eccitazione;
6. Sia allegra
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La ricerca ha dimostrato che le persone con punteggi elevati in questa dimensione tendano ad avere
vantaggi di performance modesti nelle occupazioni che richiedano un elevato livello d’interazione
con gli altri. Le occupazioni in cui si è rilevato come gli estroversi manifestino una miglior
performance includono le vendite e il management. Di contro, gli introversi tendono a ottenere una
miglior performance in occupazioni come la contabilità, l’ingegnerizzazione, in cui sia
maggiormente richiesto che gli individui lavorino individualmente. Per qualsiasi occupazione in cui
il ruolo del team sia da considerarsi centrale, o in un’organizzazione ad alto coinvolgimento in cui vi
sia grande enfasi sul lavoro in team presuppone un costante confronto faccia a faccia, un processo
decisionale di gruppo e delle specifiche dinamiche interne al gruppo.
Tuttavia, un team composto da un’altra percentuale di membri estroversi potrebbe produrre una
scarsa performance, poiché troppe persone potrebbero essere troppo interessate a manifestare la
propria opinione anziché ad ascolta gli altri. Infine, la ricerca sottolinea come l’estroversione sia
correlata alla soddisfazione lavorativa, con gli estroversi che esibiscono una leggera soddisfazione in
più, senza particolare riguardo alle condizioni specifiche in cui si trovino a lavorare.

LA METICOLOSITÀ.

Negli ultimi anni, il tratto della meticolosità ha giocato un ruolo centrale nella ricerca sula
personalità. Molti studiosi credono che questa dimensione della personalità abbia i maggiori effetti
rispetto a tutte le altre a livello di performance sul posto di lavoro. La meticolosità è il grado con cui
una persona tenda a focalizzarsi sugli obiettivi e lavori in modo disciplinato per il loro
conseguimento. In termini più specifici, è il grado con cui una persona:
1. Si senta capace;
2. Sia ben organizzata;
3. Sia affidabile;
4. Possieda grinta;
5. Si focalizzi sul completamento degli incarichi;
6. Pensi sempre prima di agire;
La ricerca ha dimostrato come gli individui con punteggi elevati in meticolosità abbiano un
vantaggio rispetto agli altri nella maggior parte delle occupazioni e tendano conseguire una buona
performance nei avori in team. P interessante notare come la ricerca mostri che la meticolosità
abbia un effetto si positivo sulla performance lavorativa qualora la persona ottenga dei punteggi
elevati anche in termini di gradevolezza.

LA GRADEVOLEZZA.

Negli ultimi anni, il tratto della gradevolezza ha ricevuto anch’esso molta attenzione da parte dei
ricercatori. Essa è il grado con cui un individuo tenda a mostrarsi alla mano e tollerante, ossia il
grado con cui una persona:
1. Creda nell’onestà altrui;
2. Sia trasparente;
3. Abbia piacere nell’aiutare gli altri;
4. Si fermi a riflettere nelle situazioni di conflitto;
5. Si mostri umile;
6. Sia sensibile ai sentimenti altrui;
La ricerca non ha mostrato un modello coerente nei risultati lavorativi di chi abbia riscontrato di
ottenere punteggi alti o bassi in termini di gradevolezza. Dopotutto, l’essere gradevoli o sgradevoli
può avere diversi risvolti nello svolgimento dello stesso lavoro.
Le persone gradevoli, peraltro, sembrano essere stabilmente efficaci anche nel lavoro in team. Esse
sono positive nelle dinamiche interpersonali poiché sensibili ai sentimenti altrui cercando di
assicurare spesso la partecipazione e il successo di tutti i membri del team che siano molto gradevoli,
tuttavia, potrebbe essere associato a troppo poco dibattito su tematiche importanti: qualora i

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membri di un team dovessero prendere decisioni importanti o risolvere problemi non routinari,
avere alcuni membri con punteggi più bassi di gradevolezza potrebbe costituire un vantaggio
sorprendente.

LA STABILITÀ EMOTIVA.

Il tratto della stabilità emotiva si riferisce al modo in cui una persona affronti le situazioni di stress o
di elevata richiesta nei suoi confronti. Le caratteristiche specifiche di questo tratto includono il grado
con cui una persona:


1. Si mostri rilassata;
2. Non si arrabbi facilmente;
3. Si scoraggi raramente;
4. Difficilmente s’imbarazzi;
5. Resista alle spinte malsane associabili a qualsiasi forma di dipendenzaM
6. Gestisca bene i momenti di crisi;
La ricerca ha mostrato come gli individui emotivamente stabili tendano ad avere un vantaggio nella
performance delle proprie mansioni con riferimento a un ampio ventaglio di occupazioni. Allo
stesso modo, gli individui emotivamente stabili sembrano avere vantaggi modesti giacché membri di
un team. Vari studi dimostrano come i team ottengano una performance più efficace se compiti da
membri che esibiranno punteggi elevati in questo tratto della personalità.
In più, qualora le persone abbiano punteggi elevati in termini di stabilità emotiva è più probabile
che essi posseggano il potenziale per essere i leader del team rispetto a chi non presenti questo stesso
profilo della personalità. Infine, la ricerca ha mostrato come la stabilità emotiva sia correlata
positivamente alla soddisfazione lavorativa, indipendentemente dalle condizioni specifiche della
situazione lavorativa.

L’APERTURA ALLE ESPERIENZE.

Il tratto dell’apertura è il grado con cui una persona cerchi nuove esperienze e pensi al futuro in
maniera creativa. L’apertura è il grado con cui una persona:
1. Abbia una vivida immaginazione;
2. Apprezzi l’arte e la bellezza;
3. Valorizzi e rispetti le emozioni proprie e degli altri;
4. Preferisca la varietà rispetto alla routine;
5. Abbia una vasta curiosità intellettuale;
6. Sia disposta a riesaminare attentamente i propri valori;
La ricerca suggerisce che sia gli individui che sia gli individui con un punteggio elevato che quelli
con un punteggio più basso in apertura alle esperienze possano ottenere una buona performance in
una gran varietà di occupazioni e nel lavoro in team. Tuttavia, coloro che abbiano un punteggio
elevato in questa dimensione della personalità sono probabilmente più efficaci in particolari compiti
in cui siano richiese una certa visione e creatività.
Le persone con un basso punteggio in apertura alle esperienze possono essere più efficaci in lavori
che richiedano una forte attinenza alle regole.

I CINQUE GRANDI TRATTI DELLA PERSONALITÀ COME STRUMENTO PER LA


SELEZIONE DI NUOVI MANAGER E DIPENDENTI.

Dato il legame tra competenze e tratti specifici della personalità, non sorprende che la valutazione di
quest’ultima possa rivestire un ruolo chiave nel processo di assunzione. Sebbene nessuno strumento
andrebbe mai utilizzato da solo come base per decidere l’assunzione di manager e dipendenti, la
valutazione della personalità potrebbe essere una componente utile tra i vari strumenti che
includono colloqui strutturati e valutazione di abilità e qualche. La valutazione dei cinque grandi

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tratti della personalità pare in grado di fornire previsioni utili sulla futura performance lavorativa di
un individuo.
Tuttavia, è importante sviluppare una comprensione dettagliata di come i tratti della personalità
predicano la performance in una specifica situazione. Tale comprensione richiede che le
informazioni generali appena sicure prevedano in aggiunta:

1. Un’approfondita analisi dei requisiti per lo svolgimento di un particolare lavoro all’interno di un


particolare organizzazione;
2. Un’approfondita determinazione di quali tratti-supportino la performance in quel particolare
lavoro. In alcuni casi, solo certi aspetti di un tratto potrete essere importanti in una specifica
situazione.

I CINQUE GRANDI TRATTI DELLA PERSONALITÀ E IL MANAGEMENT AD ALTO


COINVOLGIMENTO.

Passiamo ora alle competenze da ritenersi importanti per la gestione ad alto coinvolgimento. Alcune
combinazioni dei vari cinque tratti forniranno, probabilmente, una base per lo sviluppo d’importanti
competenze. Ricordiamo come il management ad alto coinvolgimento si focalizzi nello sviluppo dei
dipendenti in modo da poter delegare loro buona parte dell’autorità. La ricerca suggerisce come le
competenze dei manager nello sviluppare, delegare e motivare gli altri siano accresciute da
un’elevata estroversione, meticolosità e stabilità emotiva.
La ricerca indica come queste stesse caratteristiche offrano dei vantaggi ai dipendenti facenti parte
delle organizzazioni ad alto coinvolgimento. Per costoro sarà cruciale possedere delle competenze
nell’auto-sviluppo, nel processo decisionale e nel lavoro in team.
È probabile che gli individui meticolosi ed emotivamente stabili cercheranno di lavorare su tali
competenze; e l’essere estroversi potrebbe costituire un leggero vantaggio. La gradevolezza e
l’apertura alle esperienze, invece, non sembrano avere effetti considerevoli sulle competenze discusse
in questa sede.

LE PROPRIETÀ COGNITIVE E MOTIVAZIONALI DELLA PERSONALITÀ.

Passiamo ora a diversi concetti cognitivi e motivazionali che hanno ricevuto attenzione come
proprietà distinte e cruciali delle personalità:
• Proprietà cognitive: proprietà del processo percettivo e riflessivo a livello individuale che
influiscono sul modo in cui le persone processino tipicamente le informazioni;
• Proprietà motivazionali: differenze stabili tra gli individui che stimolano e rendono palesi i
comportamenti.

I CONCETTI COGNITIVI.

Le differenze nel modo in cui le persone utilizzino le proprie capacità intellettuali possono condurre
a percezioni e giudizi molto differenti. I concetti della personalità che si focalizzino sui processi
cognitivi ci aiutano a capire tali differenze. Questi tre concetti sono il focus of control,
l’autoritarismo e l’auto-monitoraggio.
Il concetto di locus of control (punto di controllo) si riferisce alla tendenza di un individuo ad
attribuire a se stesso le cause degli eventi o il loro controllo. Le persone che credano di avere il
controllo degli eventi sono individui in possesso di un focus of control interno. Coloro che, invece,
credevo che gli eventi siano controllati da forze ambientali esterne possiedono un focus of control
esterno.
Gli interni credono di controllare ciò che gli succeda. Ciò li porta spesso a impegnarsi in lavori o
attività ludiche che richieda grandi abilità. Inoltre, tendono a pensare di poter aver successo
semplicemente attraverso il duro lavoro; e tale convincimento potrebbe riflettersi nelle abitudini
lavorative, specie nei compiti più difficili.

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Gli esterni credono che ciò che gli succeda si da ascriversi più al destino o alla fortuna, e vedono una
scarsa connessione tra il proprio comportamento e il successo o fallimento. Potrebbero essere meno
polemici e più facili da controllare. L’essere incaricati di compiti strutturati e il subire un’ampia
supervisione delle proprie attività non sono un problema per tali individui.
La ricerca sull’autoritarismo è nata per identificare le perone che potessero essere attratte da
ideologie antisemite. Il concetto si è evoluto nel suo significato attuale: il grado con cui una persona
creda nei valori convenzionali, nell’obbedienza alle autorità, nella legittimità del potere e nelle
differenze di status all’interno della società. L’autoritarismo è stato esaminato a lungo dalla ricerca.
Gli individui con punteggi elevati in questo concetto tendono a credere che lo status e l’uso del
potere nelle organizzazioni siano appropriati. Essi si sottomettono a chi detenga il potere,
mostrandosi aggressivi con chi infranga le regole.
Correlato all’autoritarismo è il concetto di orientamento alla dominanza sociale. Esso si
riferisce a un orientamento attitudinale generale secondo cui una persona possa esprimere una
preferenza per le relazioni sociali inique o che riflettano differenze di status. In più, le persone con
un elevato orientamento alla dominanza sociale vedono i propri gruppi come superiori e dominanti
rispetto agli altri. Le persone con un alto orientamento alla dominanza sociale hanno anche la
tendenza a discriminare i soggetti che tentino di entrare nell’impresa, ma provenienti da gruppi
demografici diversi; e preferiscono lavorare in organizzazioni simili in confronto a persone con
punteggi bassi in tale orientamento.
L’auto-monitoraggio è un concetto importante della personalità che descrive il grado con cui, nel
decidere e agire, le persone siano guidate dal loro vero io. Esso determina se le persone siano
coerenti in situazioni di diverso tipo. Coloro che mostrino bassi punteggi in auto-monitoraggio
sembrano seguire il consiglio “sii te stesso”. Di contro, chi abbia un punteggio elevato in auto-
monitoraggio avrà un volto diverso a seconda della situazione. Comunemente si tratta di individui
considerati camaleontici poiché impegnati a presentare un’immagine appropriata per ogni diverso
tipo di audience.
Chi sia abile nell’auto-monitorarsi può distrarsi piuttosto efficace nel posto di lavoro con la tendenza
a offrire una performance migliore rispetto a chi abbia punteggi più bassi nello stesso tratto. Poiché
fortemente attenti agli spunti di tipo sociale e al pensiero altrui, essi sono a volte anche più efficaci
nel risolvere i conflitti. Inoltre, poiché attenti alle dinamiche sociali e alle aspettative altrui, essi
emergono sovente anche come leader.

I CONCETTI MOTIVAZIONALI.

I concetti motivazionali relativi alla personalità sono riflessi principalmente nei bisogni di base di
una persona e nei suoi processi mentali. Due concetti fondamentali facenti parte di questa categoria
sono il conseguimento della motivazione e l’approvazione della motivazione.
Il conseguimento della motivazione è comunemente conosciuto come need for achievement. È
un’importante determinante dell’aspirazione/ambizione, dell’impregno/sforzo e della perseveranza
in situazioni in cui la performance sia valutata in base ad alcuni standard di eccellenza. È il desiderio
di una persona di ottenere una performance che rispecchi standard d’eccellenza.
Gli individui con un alto livello di need for achievement fissano i propri obiettivi e tendono ad
accettare le responsabilità sia per i propri successi che per i propri fallimenti. Inoltre, non
apprezzano gli obiettivi troppo difficili o troppo semplici, tendendo a preferire quelli con un
moderato livello di difficoltà. Essi hanno anche bisogno di un feedback con riferimento alla propria
performance. Probabilmente, le persone con un alto need for achievement tendono anche a non
procrastinare rispetto a quelle con un livello più basso.
Questa caratteristica della personalità è spesso mal interpretata: ad esempio, alcuni possono pensare
che il need for achievement sia correlato al desiderio di potere e controllo. Tuttavia, chi avrà un
punteggio elevato in need for achievement tenderà a focalizzarsi sull’eccellenza dei compiti,
piuttosto che sul potere.

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IL FOCUS NORMATIVO.

La teoria sul focus normativo (RFT) si basa sulla premessa che le persone siano motivate dalla
ricerca del piacere e dalla volontà di scongiurare il dolore. Pertanto, secondo tale teoria, gli individui
sono focalizzati sulla promozione o sulla prevenzione. Nel primo caso, essi ricercano crescita e
opportunità di sviluppo. Se focalizzati sulla promozione, essi cercheranno di conseguire gli obiettivi
auspicati e di vivere esperienze piacevoli e felici. Di contro, se focalizzati sulla prevenzione, essi
ricercheranno serenità e sicurezza. Benché gli individui tendano ad avere una certa predisposizione
verso uno dei due tipi di focus, le condizioni lavorative e i comportamenti del leader possono influire
su quale tipo di focus normativo possa essere adottato.
Ironicamente, la valutazione della personalità di un individuo è una situazione estimativa e le
persone che abbiano punteggi alti in approvazione della motivazione tenderanno a rispondere ai test
della personalità in modi socialmente desiderabili. In altre parole, esse cercheranno di trasmettere
impressioni positive di se stesse. Molti questionari contengono scale di menzogna e hanno elementi
che possano consentire d’individuare tale distorsione determinata dalla volontà di conseguire
approvazione sociale. Tali precauzioni sono particolarmente importanti quando i test della
personalità siano utilizzati per selezionare, promuovere o identificare le persone più adatte allo
svolgimento d’importanti obiettivi organizzativi.

ALCUNI AVVERTIMENTI E OSSERVAZIONI CONCLUSIVE.

Le caratteristiche della personalità possono mutare fino a un certo limite; e, a volte, le forze
situazionali possono sopraffare quelle della personalità. Le persone possono adattarsi alle situazioni.
Una persona introversa può mostrarsi socievole in una riunione di lavoro; e una persona con un
focus of control esterno può accettare occasionalmente la responsabilità personale del proprio
fallimento.
La compatibilità tra la personalità di un individuo e il proprio lavoro convoglia, tuttavia, alcun
vantaggi. Complessivamente, lo scopo del misurare la personalità è quello di capire se alcuni
individui possano essere più compatibili di altri nello svolgimento di un determinato lavoro. Per chi
si riveli meno adatto, potremmo voler fornire un aiuto supplementare, un addestramento aggiuntivo;
solo dopo potremmo decidere di affidargli un compito differente. Da notare anche che nelle
organizzazioni, i test della personalità dovrebbero focalizzarsi solo sulle normali caratteristiche di
tale aspetto.
In conclusione, determinare gli attributi della personalità e del comportamento di chi abbia ottenuto
nel tempo i migliori risultati può essere d’aiuto per migliorare ulteriormente la performance di
un’organizzazione.

L’INTELLIGENZA.

La personalità è importante per il comportamento organizzativo ed è rilevante per lavorare in un


ambiente ad alto coinvolgimento. Vi è un’altra differenza stabile a livello individuale che potrebbe
influire enormemente sul comportamento organizzativo e sulla performance lavorativa. Questo
tratto è l’abilità cognitiva, più comunemente nota come intelligenza. L’intelligenza si riferisce
all’abilità di sviluppare e capire i concetti, specie quelli più complessi e astratti. Alcuni psicologi e
studiosi di comportamento organizzativo non credono nell’esistenza di un rilevante fattore generale
dell’intelligenza. Al contrario, essi credono che esistano diversi tipi d’intelligenza e che la
maggioranza di noi dimostri di possederne una versione particolarmente spiccata con riferimento a
una o più aree. Tali aree potrebbero includere:

• L’attitudine con i numeri;


• La comprensione verbale;
• La velocità percettiva;
• La visualizzazione spaziale;
• Il ragionamento deduttivo;
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• Il ragionamento induttivo;
• La memoria;
Molti psicologi o studiosi di comportamento organizzativo che abbiano studiato a lungo
l’intelligenza credono, tuttavia, che esista un singola fattore unificante dell’intelligenza: un fattore
che combini tutte le aree summenzionate. Essi credono, altresì, che l’intelligenza generale abbia
effetti significativi sul successo nel posto di lavoro. Esiste evidenza del fatto che l’intelligenza generale
sia una determinante importante della performance nel posto di lavoro e del successo nella carriera:
ciò è particolarmente vero per i lavori e percorsi di carriera che richiedano la capacità di processare
informazioni complesse. Sebbene l’uso dei test dell’intelligenza miri ad aiutare l’organizzazione nella
selezione del migliore capitale umano , tale uso è piuttosto controverso. Lo è poiché alcuni sollevano
dubbi sull’abilità di tali test di catturare accuratamente il vero livello d’intelligenza di una persona.

LE ATTITUDINI.

A volte è difficile distinguere tra la personalità e le attitudini di un individuo. In ogni caso, i manager
sono sempre attenti alle attitudini dei dipendenti poiché queste sono alla base dei loro
comportamenti sul poto di lavoro: le attitudini positive portano spesso a un maggior impegno sul
lavoro, mentre quelle negative portano più frequentemente a un’inclinazione sfavorevole.
Un’attitudine è definita come uno stato mentale persistente di prontezza nel sentirsi e comportarsi
in maniera favorevole o sfavorevole nei confronti di una specifica persona, oggetto o idea. Un
attento esame di questa definizione rivela tre importanti implicazioni. Primo, le attitudini sono
ragionevolmente stabili. Salvo che le persone non abbiano ragioni particolarmente pressanti per
cambiare le proprie attitudini, esse rimarranno immutare nel corso del tempo.
Secondo, le attitudini sono dirette verso un oggetto, persone o idea; ciò significa che potremmo
avere un’attitudine verso il nostro lavoro, il nostro supervisore o un’idea. Ove l’attitudine si riferisca
al lavoro, allora essa sarà indirizzata verso quel lavoro specifico.
Terzo, un’attitudine nei confronti di un oggetto o persona si riferisce al comportamento che un
individuo assuma verso quell’oggetto o persona. In tal senso, le attitudini possono influenzare le
nostre azioni. Le persone tendono a comportarsi in maniera coerente con i propri sentimenti.
Pertanto, per trasformare un lavoratore da improduttivo a produttivo, potrebbe essere necessario
occuparsi delle sue attitudini lavorative.
Il nostro comportamento verso un oggetto, persona o idea è influenzato dalle nostre attitudini. A
turno, le nostre attitudini sono in continuo divenire per effetto dei nostri stessi comportamenti. È
importante riconoscere come i nostri comportamenti siano altresì influenzati da altri fatto, come le
forze motivazionali e i fattori situazionali. Perciò, si può capire perché i comportamenti non siano
sempre prevedibili dalle attitudini.
Ne deriva come le attitudini includano le tendenze comportamentali e le intenzioni ma, al tempo
stesso, il nostro reale comportamento sia influenzato da altri fattori.

LA FORMAZIONE DELLE ATTITUDINI.

Capire come si formino le attitudini costituisce il primo passo nell’apprendimento di come applicare
questo concetto ai problemi organizzativi. Tale comprensione può essere sviluppata esaminando tre
elementi essenziali di un’attitudini:

1. L’elemento cognitivi di un’attitudini consiste nei fatti che si siano raccolti e considerati con
riferimento a un certo oggetto, persona o idea. Prima di sviluppare delle sensazioni riguardo a
qualcosa, dovremmo conoscerne le caratteristiche riflettendo sulle sue complessità;
2. L’elemento affettivo di un’attitudine si riferisce alle sensazioni che un individuo possa
sviluppare rispetto a un oggetto o persona. Spesso, tali sensazioni saranno espresse come
apprezzamento o disprezzo di quell’oggetto o persona, e in base al grado con cui l’individuo
provi tali sensazioni;

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3. La maggior parte delle attitudini contiene un elemento comportamentale: esso consiste
nell’intenzione dell’individuo di agire in una certa maniera nei confronti di quell’oggetto. Il
modo in cui ci si comporti nei confronti degli altri può dipendere dal fatto che essi possano
piacerci o no, in conformità con ciò che si sappia di loro.

L’APPRENDIMENTO.

Le attitudini possono formarsi attraverso un processo di apprendimento. Quando interagiscano con


altre o si comportino in una certa maniera nei confronti di un oggetto, le persone si troveranno
spesso a fare esperienza di ricompense o punizioni.

L’AUTO-PERCEZIONE.

Le persone possono formare delle attitudini semplicemente osservando i loro stessi comportamenti.
Si tratta del cosiddetto effetto di auto-percezione. Una persona assume un certo comportamento
senza rifletterci su per troppo tempo. In più, ciò non implica alcuna ricompensa positiva. In seguito,
avendo assunto quel comportamento suggerisca riguardo alle sue attitudini. In molti casi, la persona
concluderà di aver avuto un’attitudine positiva verso quel comportamento.
L’influire sulle persone tramite la tecniche del piede nella porta si basa sull’effetto di auto-percezioni.
Questa tecnica implica il chiedere un piccolo favore per poi, in seguito, chiederne uno più
impegnativo che sia coerente con la richiesta iniziale. Dopo aver concesso il piccolo favore senza
pensarci troppo, il target conclude spesso di avere un’immagine positiva di ciò che sia stato fatto;
dunque, è più probabile che sia disposta a concedere anche il favore più impegnativo.

IL BISOGNO DI COERENZA.

Un concetto importante associato alla formazione delle attitudini è quello di coerenza. Due ben note
teorie di psicologia sociale: la teoria dell’equilibrio e la teoria della congruenza , queste
appaiono fondamentali per comprendere la coerenza delle attitudini. La nozione di base è che le
persone preferiscono che le proprie attitudini siano coerenti tra loro. Perciò, ove in possesso di una
specifica attitudini verso un oggetto o persona, si avrà la tendenza a formare altre attitudini coerenti
verso oggetti o persona dello stesso tipo.

DUE ATTITUDINI IMPORTANTI NEL POSTO DI LAVORO.

Due delle attitudini maggiormente esaminate in comportamento organizzativo sono la


soddisfazione lavorativa e il commitment organizzativo.
Un alto livello di soddisfazione rappresenta un’attitudine positiva nei confronti del lavoro, mentre
un basso livello di soddisfazione rappresenta un’attitudine negativa. Il commitment
organizzativo rappresenta quanto fortemente un’individuo s’identifichi con l’organizzazione e con
i valori a essa associati. Un commitment elevato costituisce un’attitudine positiva perso
l’organizzazione, mentre un commitment debole costituire un’attitudine meno
positiva.
Queste due attitudini potranno influire sui comportamenti più essenziali per il funzionamento di
un’organizzazione; pertanto, sarà importante considerare la soddisfazione lavorativa e il
commitment organizzativo come aspetti auspicabili del capitale umano.

SODDISFAZIONE LAVORATIVA E RISULTATI.

Le organizzazioni devono preoccuparsi della soddisfazione dei propri dipendenti poiché la


soddisfazione lavorativa è legata a molti comportamenti rilevanti che possono influire sulla
performance d’impresa. La soddisfazione ha un effetto molto positivo sulle intenzioni di permanere
nel proprio posto di lavoro e un effetto modesto sul fatto di restare effettivamente in quello stesso

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posto di lavoro. Un’elevata soddisfazione ha un modesto effetto positivo sulla presenza regolare al
lavoro. La soddisfazione ha anche una relazione moderatamente forte con la motivazione.
La soddisfazione lavorativa si trova in relazione diretta con l’intenzione di rimanere, con la scelta di
rimanere davvero, con l’assenteismo e con la motivazione. Di contro, la specifica forma di relazione
tra soddisfazione e performance lavorativa è stata al centro di molte controversie. Molti manager e
studiosi credono che una soddisfazione elevata produca un alto livello di performance.
Questa idea sembra ragionevole poiché un’attitudine positiva dovrebbe implicare un maggiori grado
d’impegno e responsabilità. Tuttavia, altri manager e studiosi sostengono la relazione inversa e, cioè,
che sia la performance elevata a stimolare la soddisfazione dei lavoratori. Per questo secondo gruppo
di opinione, un’attitudine positiva non porta a una performance elevata, ma è proprio quest’ultima a
generare un’attitudine positiva. Altri studiosi ancora sostengono che soddisfazione e performance
non siano correlate o che lo siano solo debolmente.
Uno studio recente ha aiutato a posizionare più chiaramente tali differenze di opinioni. In tale
studio, tutti i precedenti lavori su performance e soddisfazione sono stati sintetizzati. Lo studio si è
concluso con un modello integrativo secondo cui tutti e tre i gruppi summenzionati siano
condivisibili, ma solo fino a un certo punto. Un’elevata soddisfazione porta a un’alta performance,
un’alta performance porta anch’essa a un’elevata soddisfazione, e la relazione tra le due variabili è
più debole in alcune situazioni. Su quest’ultimo punto, l’esistenza di una bassa meticolosità,
potrebbero non lavorare duramente.
In aggiunta, un’alta performance nei lavori semplici non comporta necessariamente una maggior
soddisfazione: la qual cosa indebolisce l’effetto della performance sulla soddisfazione.

COMMITMENT ORGANIZZATIVO E RISULTATI SUL POSTO DI LAVORO.

In modo simile alla soddisfazione, anche il commitment ha effetti rilevanti sulle intenzioni di
rimanere al proprio posto di lavoro ed effetti modesti sulla scelta di restarvi davvero e di recarvisi con
regolarità. Il commitment è altresì correlato significante alla motivazione. È interessante notare
come la durata dell’occupazione rivesta un ruolo importante nella relazione tra il commitment e
permanenza nel posto di lavoro. Un livello elevato di commitment organizzativo tende a essere più
importante delle decisioni di restare dei manager e dipendenti che abbiano lavorato per minor
tempo in quell’occupazione.
Il commitment ha anche effetti positivi sulla performance lavorativa, ancorché tali effetti siano
piuttosto ridotti. Tale legame con la performance sembra essere maggiore per i manager e i
professionisti. Sebbene la relazione tra commtiment e regolare performance lavorativa non sia molto
forte, il commitment organizzativo ha una relazione accentuata con l’organizational citizenship
behavior discrezionale, come il fatto di aiutare gli altri e accettare volontariamente alcuni incarichi.

LE CAUSE DELLA SODDISFAZIONE LAVORATIVA E DEL COMMTIMENT


ORGANIZZATIVO.

Alla luce del fatto che la soddisfazione lavorativa e il commitment organizzativo possano influire su
molti comportamenti organizzativi relativi, è imperativo che le organizzazioni capiscano cosa renda
soddisfatti e crei commitment nei propri lavoratori. Molti di quegli stessi fattori che portano alla
soddisfazione lavorativa conducono anche al commitment organizzativo. Si tratta di fattori che
includo:

• Ambiguità di ruolo;
• Leadership;
• Salari e benefit;
• Natura del lavoro;
• Clima organizzativo;
• Stess; percezione della ricezione di un trattamento onesto;

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Sebbene questi fattori siano stati legati alla soddisfazione e al commitment, le relazioni non sono
sempre cosi semplici.
Un’altra complicazione può nascere nel momento in cui si consideri che i dipendenti possano
sviluppare un commitment verso l’organizzazione per ragioni differenti. Sono tre le motivazioni
generali a stimolare il commitment delle persone alla propria organizzazione:
- Il commtiment affettivo è ciò che si pensi solitamente quando ci si riferisca al concetto di
commitment organizzativo poiché ciò significa che qualcuno manifesti forti attitudini positive
verso l’organizzazione;
- Il commitment normativo significa che qualcuno sviluppi di un commitment verso
l’organizzazione poiché ritenga di doverlo;
- Infine, i dipendenti possono fare esperienza del cosiddetto commitment continuato, che
significa che essi abbiano sviluppato un commitment verso l’organizzazione non essendovi
opportunità migliori da poter sfruttare;

Fattori differenti influiscono sui diversi tipi di commitment. Per esempio, i benefit potranno influire
sul commitment continuato quando una persona avrà sviluppato un commitment verso
l’organizzazione solo perché il suo piano di pensionamento non potrà essere trasferito presso
un’altra organizzazione. D’altro canto, i benefit non possono influire su quanto positivamente una
persona possa sentirsi con riguardo all’organizzazione.
Un altro aspetto da notare riguardo ai fattori che influiscano su soddisfazione e commitment è la
particolare importanza rivestita dalla presenza di un management ad alto coinvolgimento.
Solitamente, gli individuo hanno esperienze positive nel lavorare con tale approccio manageriale; ne
deriva come, probabilmente, una forte soddisfazione e commitment possano svilupparsi tramite il
meccanismo di apprendimento tipico del processo di formazione delle attitudini.
Gli individui sono selezionati dalle organizzazioni verso cui si mostrino maggiormente compatibili in
termini di valori, in cui siano ben addestrati, in cui siano incoraggiati a pensare per se stessi, e in cui
siano trattati onestamente. Infine, soddisfazione e commitment non sono totalmente dipendenti da
fattori situazionali: invero, anche la personalità può rivestire un ruolo chiave. Alcune persone hanno
una propensione a essere soddisfatte e a sviluppare commitment, mentre altre sono meno avvezze.
In aggiunta alla disposizione personale di ognuno, anche le emozioni possono influire sulle attitudini
lavorative.

IL CAMBIAMENTO DELLE ATTITUDINI.

Le caratteristiche della personalità sono da ritenersi ragionevolmente stabili, ma le attitudini sono


più soggette alla possibilità di un cambiamento. Le forze sociali agiscono sulle attitudini esistenti in
modo tale che, nel tempo, queste possano mutare e, spesso, anche in maniera imprevedibile. In più,
in molte organizzazioni, i manager hanno bisogno di attivarsi per modificare le attitudini dei propri
dipendenti. Benché sia preferibile che i dipendenti sviluppino sempre delle attitudini positive verso il
proprio lavoro, i propri manager è anche possibile che questa non sia sempre la regola. Ove
l’oggetto dell’attitudine non possa essere modificato, i manager dovranno focalizzarsi direttamente
sulle attitudini. In tali casi, occorrerà sviluppare un approccio sistematico, volto a ottenere il
cambiamento delle attitudini nella direzione prescelta.

LA COMUNICAZIONE PERSUASIVA.

Molti di noi fanno esperienza tutti i giorni di tentativi di persuasione da parte di altri che vogliano
portare al cambiamento delle nostre attitudini. L’approccio di comunicazione persuasiva finalizzato
a modificare le attitudini consiste di quattro elementi:

1. Il comunicatore: ossia la persona che detenga una particolare attitudine e intenda convincere
gli altri di condividere quell’attitudini;
2. Il messaggio: ossia il contenuto volto a indurre il cambiamento nelle altrui attitudini;

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3. La situazione : ossia l’ambiente nel cui ambito il messaggio sia presentato;
4. Il target: ossia la persona la cui attitudini il comunicatore intenda modificare;

Varie qualità del comunicatore possono influire sull’attitudine del target verso il cambiamento.
Primo, il livello di credibilità del comunicare ha un effetto notevole sulla risposta del target rispetto
al tentativo di persuasione. Ove il comunicatore goda di ampia credibilità sarà più difficile
respingere messaggi che possono apparire in disaccordo con le nostre attitudini.
Secondo, le persone saranno più avvezze a modificare le proprie attitudini qualora abbiano fiducia
nelle intenzioni del comunicatore: ovest percepisca che il comunicatore abbia qualcosa da
guadagnare dal cambiamento delle proprie attitudini, è probabile che non ci si fidi delle sue
intenzioni.
Terzo, qualora le persone apprezzino il comunicatore o percepiscano che quella persona sia simile
per interessi e obiettivi, è più probabile che si lascino persuadere.
Infine, ove il comunicatore fosse anche attraente, le persone avrebbero una maggiore tendenza a
essere persuase.
Anche il messaggio convogliato attraverso la comunicazione potrebbe influire sul cambiamento
attitudinale. Una delle più importanti dimensioni del contenuto di un messaggio è rappresentata dal
risveglio della paura. I messaggi che stimolano paura sono più inclini a prodotte un cambiamento
attitudinale.
Solitamente, una maggior paura induce maggiori cambiamenti attitudinali, ma non sempre. Tre
fattori primari giocano un ruolo importante in tal senso: 1) la probabilità che conseguenze
negative possano realmente verificarsi se non interverrà alcun cambiamento
comportamentale; 2) l’effetto percepito del cambiamento comportamentale; 3) l’abilità
percepita di poter cambiare comportamento.
Finora, abbiamo discusso di come sia il comunicatore che il messaggio possano influire sul
cambiamento delle attitudini. In generale, ognuno di essi influisce sul livello con cui il target creda di
poter cambiare attitudini. Spesso, tuttavia, le persone sono motivate da fattori che si trovino al di
fuori del reale tentativo di persuasione. Tali fattori possono essere riscontrati nell’ambito della
situazione in cui si tenti di operare l’intento persuasivo. Altri fattori situazionali includono le reazioni
di coloro che trovino intorno a noi.
Infine, le caratteristiche del target possono influire anch’esse sul successo dell’intento persuasivo. Le
persone differiscono per personalità, percezione, e capacità di apprendimento. Alcune sono più
rigide e meno avvezze a cambiare le proprie attitudini. Il locus of control e altre caratteristiche
influenzano anch’esse le attitudini. Le persone con un’auto-un’auto-stima elevata hanno più
probabilità di credere che le proprie attitudini siano corrette; quindi, sarà meno probabile che
possono decidere di cambiarle.
Ne deriva come sia difficile prevedere con precisione come persone cosi diverse possano rispondere
anche rispetto alla stessa comunicazione persuasiva.

LA DISTANZA COGNITIVA.

Un altro modo in cui le attitudini possono cambiare ha a che vedere con il concetto di dissonanza
cognitiva. La teoria sulla dissonanza riguarda la coerenza. In questo caso, il focus è sulla coerenza
tra attitudini e comportamenti o, meglio ancora, sull’incoerenza tra attitudini e comportamenti. Le
condizioni principali in grado di condurre alla dissonanza e al cambiamento di un’attitudine. Ve ne
sono tre:
Primo: il comportamento deve essere sostanzialmente incoerente con l’attitudine, piuttosto che
essere solo leggermente incoerente;
Secondo: il comportamento incoerente deve arrecare danno o avere conseguenze negative per gli
altri: se non fossero coinvolte conseguenze dannose, l’individuo che esibisse un comportamento
incoerente potrebbe andare avanti più facilmente;
Terzo: il comportamento incoerente deve essere volontario e non forzato o, quantomeno, la
persona dovrà percepirlo come tale.

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LE EMOZIONI.

Le emozioni sono reazioni complesse con una componente fisica e mentale. Tali reazioni
includono rabbia, gioia, ansia, orgoglio e rimborso. Le reazioni emotive includono una sensazione
soggetti accompagnata da mutamenti nel funzionamento corporeo, come un aumento del battito
cardiaco o della pressione sanguigna. Le emozioni possono giocare un ruolo nel funzionamento di
un’organizzazione in vari modi.
Primo, le emozioni dei dipendenti possono influire direttamente sul comportamento. Un altro
modo tramite cui le emozioni possano ricoprire un ruolo su posto di lavoro potrebbe aversi qualora
la natura del lavoro richieda ai dipendenti di manifestare emozioni che, nella realtà, non stiamo
provando affatto. Queste dinamiche sono denominata lavoro emozionale.
Sia gli studiosi di business che di organizzazione hanno iniziato a occuparsi di ciò che è denominato
con la locuzione intelligenza emozionale.

GLI EFFETTI DIRETTI CHE LE EMOZIONI HANNO SUI COMPORTAMENTI.

Le emozioni possono avere vari effetti di cassazione diretta sul comportamento. La relazione tra
emozioni e altri importanti comportamenti è, invece, meno chiara: mentre sembra molto probabile
che le emozioni positive portino sempre a una performance elevata, non è sempre questa la realtà
delle cose. In alcuni casi, le emozioni negative possono agire da motivatori.
Gli effetti diretti delle emozioni possono essere di beneficio o dannosi per l’efficacia organizzativa.
L’impatto delle emozioni, positivo o negativo che sia, è anche maggiore ove si consideri il fenomeno
del conteggio emozionale. Il contagio emozionale avviene qualora le emozioni di cui una persona
o più membri di un gruppo di lavoro facciano esperienza si diffondano anche agli altri membri. Uno
studio ha scoperto come le emozioni dei leader abbiano particolare influenza sulle emozioni dei
follower. Secondo tale studio, i leader carismatici hanno un influsso positivo sull’efficacia
organizzativa in quanto in grado d’indurre emozioni positive nei propri follower. Pertanto, è
probabile che leader arrabbiati o ansiosi producano follower altrettanto arrabbiati o ansiosi, mentre
leader felici e appassionati del proprio lavoro possano sviluppare follower in grado di provare le loro
stesse emozioni.

IL LAVORO EMOZIONALE.

Molti lavori nell’ambito dei servizi richiedano agli individui di mostrare certe emozioni
indipendentemente da ciò che stiano davvero provando. E ciò indipendentemente da quello che
sentano realmente. Lavoro emozionale è la denominazione del processo che si ha ogni qualvolta i
dipendenti siano costretti a maniferstare emozioni esattamente contrarie a quelle realmente provate
in un dato momento. Spesso, le organizzazioni indicano ai propri dipendenti quali siano le emozioni
da manifestare e in quali circostanze. Quando tali emozioni saranno contrarie a ciò che i dipendenti
stiano realmente provando, questi potranno fare esperienza di stress, sfinimento emotivo e
spossatezza.
Anche qualora i dipendenti non provassero le emozioni che venisse richiesto loro di esprimere, vari
fattori potrebbero produrre un risultato negativo sul loro benessere. Primo, il modo in cui i
supervisori facciano rispettare le regole: qualora i supervisori siano molto esigenti, i dipendenti ne
risulteranno più esausti. Un altro fattore influente sugli effetti del lavoro emozionale è rappresentato
dall’identità che i dipendenti abbiano di se stessi.

L’INTELLIGENZA EMOZIONALE.

È possibile che alcune persone di trovino più a proprio agio nel gestire le emozioni sia proprie che
altrui.
L’intelligenza emozionale rappresenti l’abilità di:
• Valutare accuratamente le emozioni proprie e degli altri;
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• Regolare efficacemente le emozioni proprie e degli altri;
• Utilizzare le emozioni per motivare, pianificare e ottenere quanto desiderato;

Un individuo che dimostrerà un’intelligenza emozionale elevata potrà determinare realmente le


proprie emozioni, nonché gli effetti che questa avranno sugli altri, per poi procedere regolandole in
modo da conseguire i propri obiettivi.
L’intelligenza emozionale è anche il soggetto principale di molti programmi di sviluppo
manageriale, libri popolari e articoli ne esagerano il valore rispetto all’intelligenza cognitiva. Le
abilità specifiche e generalmente associate all’intelligenza emozionale includono:

- La consapevolezza di se stessi. I dipendenti con un’elevata consapevolezza di se stessi


comprendono come i propri sentimenti, valori e comportamenti influiscano su se stessi e sugli
altri;
- L’auto-regolamentazione. L’auto-regolamentazione è l’abilità di controllare le proprie
emozioni;
- La motivazione o grinta. I dipendenti con un’intelligenza emozionale elevata vogliono
conseguire risultati per il mero piacere del loro ottenimento. Essi vogliono migliorarsi
costantemente e ricevere un feedback sui progressi ottenuti. Si tratta di soggetti che hanno
passione per il proprio lavoro.
- L’empatia avere un efficace livello di empatia significa considerare premurosamente i sentimenti
altrui nel prendere decisioni, e farlo sapendoli ponderare in modo appropriato unitamente ad altri
fattori;
- L’abilità sociale. L’abilità sociale si riferisce all’abilità di saper costruire relazioni efficaci con
l’obiettivo d’indurre le persone al conseguimento dell’obiettivo auspicato. I dipendenti in possesso
di abilità sociale sanno come costruire legami tra le persone. Spesso, i leader che sembrino
socializzare con i propri colleghi lavorano per costruire relazioni ed esercitare il proprio influsso in
maniera positiva;

Non mancano, tuttavia, alcune critiche. Una delle principali è che essa non sia affatto una forma
d’intelligenza, ma piuttosto un miscuglio di specifiche abilità sociali e di alcuni tratti della
personalità. Un’altra critica è che, alcune volte, questa sia definita in maniera cosi ampia da essere
priva di alcun significato. Pur nondimeno, le abilità basilari che la compongano influenzano
fortemente il comportamento organizzativo, e ciò che esse formino un costrutto denominato
intelligenza emozionale sia che siano semplicemente considerate una per volta.

CAPITPOLO 6: LA MOTIVAZIONE SUL LAVORO.

La motivazione lavorativa è un argomento cruciale in qualsiasi discussione sul comportamento


organizzativo. Le persone dovranno essere motivate ove sia richiesto loro d’impegnarsi
efficacemente in comportamenti che consentano di apportare un reale vantaggio all’impresa. È
importante notare come strategie differenti richiedano un diverso tipo di persone e comportamenti
e, quindi, approcci diversi alla motivazione.
La strategia necessita di persone che apprezzino la sfida e che vogliano crescere nel proprio
ambiente di lavoro. Per motivare tali individui, occorre rendere loro disponibili quelle risorse che
possano aiutarli nello sviluppo di nuove idee, includendo tra queste il tempo. Altrettanto importanti
sono le opportunità di sviluppare nuove abilità perfezionando le vecchie. Riconoscimenti per i
successi conseguiti o pacche sulle spalle quando le cose non siano andate esattamente come sperato
possono anch’essi essere d’aiuto. Esistono molti modi di motivare le persone.

COS’È LA MOTIVAZIONE?

La motivazione si riferisce a delle forze provenienti dall’interno della persona e che ne spiegano la
direzione a livello intenzionale, l’intensità e la persistenza mostrate nel lavorare per il

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raggiungimento di obiettivi specifici. Varie e importanti teorie offrono spiegazioni interessanti in
tema di motivazione. La maggior parte di esse può essere distinta in due raggruppamenti: quelle che
si occupano del solo contenuto e quelle che sono focalizzate sul processo.

LA TEORIA SULLA GERARCHIA DEI BISOGNI.

La teoria sulla gerarchia dei bisogni di Maslow. Secondo Maslow, le persone sono motivate
dal proprio desiderio di soddisfare bisogni specifici. Egli ordinò tali bisogni in ordine gerarchico, con
i bisogni psicologici nella parte più bassa della piramide, seguiti da quelli di sicurezza, sociali e di
appartenenza, di stima e di auto-realizzazione. I livelli più bassi vanno soddisfatti prima che quelli di
ordine superiore assumano una qualche rilevanza.

I. Bisogni fisiologici: includono quelli di sopravvivenza. Molte persone devono soddisfare


ampiamente questi bisogni prima d’interessarsi a quelli di altro genere e di ordine superiore;
II. Bisogni di sicurezza: il secondo livello della gerarchia prende in considerazione la necessità
delle persone di sentirsi al sicuro nel proprio ambiente. Le persone che si trovassero a questo
livello della gerarchia potrebbero ritenere il proprio lavoro come un fattore di sicurezza e come
un modo per mantenere quanto già acquisito.
III.Bisogni sociali e di appartenenza: i bisogni sociali riguardano l’interazione con gli altri e la
loro accettazione. Questi bisogni includono il desiderio di affetto, affiliazione. Teoricamente, le
persone che raggiungessero questo livello della scala potrebbero ricercare nei colleghi delle
relazioni di supporto.
IV. Bisogni di stima: si riferiscono a sentimenti di auto-rispetto e auto-valutazione, insieme al
rispetto alla stima ricevuta dai propri pari. Le persone che si trovassero a questo livello
potrebbero essere sensibili a premi e riconoscimenti organizzativi.
V. Bisogni di auto-realizzazione: per una persona, questi bisogni rappresentano il desiderio di
realizzare il proprio potenziale massimizzando l’uso delle proprie abilità e competenze. Le
persone che fossero a questo livello della gerarchia dei bisogni avrebbero minor propensione a
rispondere ai tipi di ricompensa richiamati per i primi quattro livelli. Sarebbero spesso molto
motivate dall’assegnazione di compiti lavorativi che mettessero alla prova le loro abilità e
potrebbero anche rigettare comuni strumenti di ricompensa che potrebbero distrarli dall’uso
delle proprie capacità.

Come detto, questi bisogni sono ordinati gerarchicamente, con i bisogni fisiologici al livello più basso
della gerarchia e quelli di auto-realizzazione al livello più alto. Secondo la teoria di Maslow, fino a
che non sia soddisfatto, ciascun bisogno sarà preponderante rispetto a tutti gli altri situati a livelli
gerarchici superiori. Ne consegue che, se già soddisfatto, un bisogno non rappresenterà più un
motivatore.
La teoria sulla gerarchia dei bisogni non ha ricevuto grande supporto a livello empirico. La ricerca
ha indicato come possa esistere una gerarchia su due livelli per i bisogni di ordine superiore e
inferiore, ma come non si sia trovato un supporto sufficiente con riferimento alle cinque specifiche
categorie proposte da Maslow. Una ragione di tale risultato potrebbe dipendere dal contesto in cui
siano stati svolti questi studi.
In più, l’idea dei bisogni preponderanti è stata contesta a più riprese. Alcuni studiosi hanno notato
come alcuni bisogni possano essere contemporaneamente importanti. Un ultimo problema riguarda
un risvolto pratico della teoria. È difficile determinare il livello attuale dei bisogni di ciascun
dipendente e l’esatta ricompensa che lo aiuterebbe a soddisfare il bisogno specifico.
Ancorché questa teoria presenti molti punti di debolezza, essa è comunque importante poiché
focalizza l’attenzione sui bisogni di stima e di auto-realizzazione degli individui. In precedenza,
l’approccio dominante per la comprensione della motivazione umana è stato il comportamentismo:
esso propone come il comportamento delle persone sia motivato, esclusivamente da ricompense
estrinseche. Di contro, la teoria sulla gerarchia dei bisogni suggerisce come il comportamento di
molte persone sia motivato da bisogni che riflettano il desiderio umano di ricevere un

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riconoscimento e di crescere in quanto individui. La gerarchia dei bisogni continua a guidare la
ricerca in alcuni vampi di studio come la psicologia umanistica.

LA ERG THEORY.

La ERG theory sviluppata da Alderfer è simile alla teoria sulla gerarchia dei bisogni di Maslow
per il fatto di proporre anch’essa delle categorie di bisogni. Tuttavia, essa ne include solo tre: 1)
bisogni di esistenza (E); 2) bisogni relazionali (R ); 3) bisogni di crescita (G). I bisogni di
esistenza sono simili a quelli fisiologici e di sicurezza di Maslow, quelli relazionali sono simili a quelli
sociali e di appartenenza evidenziati da Maslow, e quelli di crescita sono simili a quelli di stima e
auto-realizzazione proposti da Maslow. I bisogni di crescita sono particolarmente importanti in
organizzazioni.
Le due teorie, tuttavia, differiscono sotto due aspetti importanti:
1. La nozione di preponderanza non è presente all’interno dell’ERG theory. I bisogni di esistenza di
una persona non devono essere necessariamente soddisfatti prima che questa inizi a preoccuparsi
delle proprie relazioni con gli altri o dell’utilizzo delle proprie capacità personali. In base alla
teoria sulla gerarchia dei bisogni, la gerarchia è fissa e i bisogni fisiologici devono essere
largamente sofvfisfatti prima che gli altri assumano importanza.
2. Anche quando un bisogno sia soddisfatto, esso può comunque rimanere il motivatore principale
qualora il bisogno successivo all’interno della scala gerarchia non possa essere soddisfatto.
Alderfer si riferì a questo concetto come un processo di frustrazione-regressione. È possibile che
un bisogno non cessi mai di costituire un motivatore.

Rispetto alla teoria di Maslow, la ERG theory ha ricevuto maggior supporto da parte della ricerca.
Ad esempio, alcuni studiosi hanno trovato evidenza della significatività delle tre categorie di bisogni.
Supporto è stato trovato anche per le varie proposizioni di base di Alderfer, come il concetto
secondo cui un bisogno soddisfatto possa rimanere un motivatore.
Infatti, si è trovato come i bisogni relazionali e di crescita incrementino non appena soddisfatti: in
altre parole, tanto più essi saranno soddisfatti, tanto più essi saranno desiderati. Tuttavia, occorre un
maggior contributo di ricerca sulla ERG theory per testarne l’utilità in condizioni diverse.

LA TEORIA SU OTTENIMENTO, AFFILIAZIONE E POTERE.

Una terza teoria adotta anch’essa una classificazione dei bisogni focalizzandosi su quelli di
ottenimento, affiliazione e potere. Alcuni vi sono riferiti come bisogni appresi poiché influenzati dal
background culturale e acquisibili nel tempo. I tre bisogni possono essere visti anche come
indipendenti, implicando come una persona possa presentare valori alti o bassi in ciascuno dei tre.
Infine, sebbene siano tutti e tre importanti, il bisogno di ottenimento ha ricevuto maggior attenzione
da parte della ricerca per via dei suoi notevoli effetti a livello organizzativo.

IL BISOGNO DI OTTENIMENTO.

Il bisogno di ottenimento fu definito da McClelland come il desiderio di conseguire una buona


performance rispetto a un determinato standard di eccellenza.
Le persone con un elevato bisogno di ottenimento si sentono bene con se stesse ove riescano ad
andare al di là di uno standard che, per loro, sia da ritenersi significativo. Inoltre, le persone con un
elevato bisogno di ottenimento preferiscono stabilire da sé i propri obiettivi, piuttosto che non
averne o accettare che siano gli altri a determinali specificamente. Più in particolare:
• Tendono a stabilire obiettivi di difficoltà moderata e raggiungibili;
• Preferiscono risolvere i problemi, piuttosto che lasciare i risultati a caso;
• Preferiscono situazioni in cui ricevere feedback regolari e concreti riguardanti la loro performance;
• Pensano in positivo trovando soluzioni percorribili agli ostacoli della vita e in risposta a ogni
genere di sfida;
• Si assumono una forte responsabilità a livello personale per il proprio lavoro;
52
Alcuni considerano la motivazione all’ottenimento una componente dell’auto-realizzazione. Le
persone con un elevato bisogno di ottenimento tendono a far bene nei lavori più complessi, ma a
rendere meno in quelli più routinari e noiosi.
Sebbene il bisogno di ottenimento sia considerato una caratteristica relativamente stabile nei soggetti
adulti, è possibile addestrare tali individui a incrementarne il livello. Tale addestramento include
seguenti passaggi:

1. Insegnare alle persone come pensare quando si sia individui con un levato bisogno di
ottenimento: ciò include l’insegnare loro come immaginare l’ottenimento degli obiettivi
desiderati e ripassare mentalmente i passaggi necessari al loro conseguimento;
2. Insegnare e incoraggiare le persone a stabilire obiettivi lavorativi più difficili, benché realistici;
3. Dare alle persone un feedback concreto con riferimento al loro lavoro e alla loro performance:
assicurarsi che esse siano consapevoli dei loro comportamento e delle conseguenze connesse a
esso;
4. Creare spirito di corpo;

Le persone con un elevato bisogno di ottenimento sono generalmente positive. Tuttavia, esse
possono reagire negativamente all’ambiguità riscontrata all’interno di queste organizzazioni. In
assenza di percorsi ragionevolmente chiari per il raggiungimento del successo, gli elevati bisogni di
ottenimento possono finire per essere insoddisfatti in qualsiasi momento.

IL BISOGNO DI AFFILIAZIONE.

Le persone con un bisogno di affiliazione elevato hanno un forte desiderio di essere apprezzate e
di andare d’azzardo con la maggior parte degli individui. Esse tendono a non essere dei buoni
manager. Sono più preoccupare di dar vita e poi mantenere le proprie relazioni personali piuttosto
che focalizzarsi sugli obietti più immediati. Il bisogno di affiliazione è particolarmente importante
nel mondo odierno, essendo divenuto piuttosto comune lavorare da casa offrendo un contributo
virtuale.
Senza un contratto giornaliero con gli altri manager e dipendenti, gli individui con un alto bisogno
di affiliazione potrebbero avere difficoltà a sviluppare relazioni salde e a giudicare fio a che punto
siano apprezzate. Essi potrebbero essere particolarmente inclini a sentimenti d’isolamento e
insoddisfazione. Per combattere questo e altri problemi, le imprese che si affidino molto al supporto
del contributo virtuale hanno introdotto un’ampia gamma di pratiche e tecnologie. Per assicurarsi la
disponibilità di lavoratori soddisfatti e produttivi, esse hanno fornito tecnologie chiave che aiutino le
persone a restare connesse. Molte imprese, inoltre, supportano l’instant messaging e forniscono
sofisticati software per la collaborazione.

IL BISOGNO DI POTERE.

Il bisogno di potere può essere definito come il desiderio d’influire sulle persone e sugli eventi.
Secondo McClelland, esistono due tipologie di bisogno di potere: uno diretto al bene
dell’organizzazione (potere istituzionale) e l’altro diretto verso se stessi (potere personale). Le persone
con un elevato bisogno di potere istituzionale desiderano influenzare gli altri per motivazioni
altruistiche: sono preoccupare del funzionamento dell’organizzazione e hanno il desiderio di servire
gli altri. In più, sono anche più controllate nell’esercizio del proprio potere. Di contro, chi avrà un
elevato bisogno di potere personale desidererà influire sugli altri per i propri obiettivi personali.
La ricerca ha mostrato come un elevato bisogno di potere istituzionale sia d’importanza critica per i
manager più performanti. Le persone con un elevato bisogno di potere istituzionale sono
particolarmente idonee a sollevare il morale. Il bisogno di potere istituzionale sembra essere più
importante del bisogno di ottenimento nel creare successo manageriale, sebbene una fusione dei due
bisogni sarebbe forse più auspicabile dell’averne uno dei due soltanto.

53
LA TEORIA DEI DUE FATTORI.

La teoria dei due-fattori si basa sul lavoro svolto da Herzberg. Essa ha varie affinità con le altre
teorie sui bisogni, ma si focalizza maggiormente sulle ricompense e risultati di performance in grado
di soddisfare i bisogni individuali. In particolare, tale teoria enfatizza due insiemi di ricompense e
risultati: quelli concernenti la soddisfazione lavorativa e quelli concernenti l’insoddisfazione
lavorativa.
Secondo questa teoria, soddisfazione e insoddisfazione non sono agli estremi opposti dello stesso
continuum, ma sono degli stati indipendenti: in altri termini, l’opposto dell’elevata soddisfazione
lavorativa non è l’elevata insoddisfazione lavorativa, ma la bassa soddisfazione lavorativa; allo stesso
modo, l’opposto dell’elevata insoddisfazione lavorativa è costituito dalla bassa insoddisfazione.
I fattori concernenti la soddisfazione lavorativa sono denominati motivators. Si tratta di fattori
che, se arrichhiti, porteranno a maggiori livelli di soddisfazione. Tra questi vi sono:

• Conseguimenti;
• Riconoscimenti;
• Responsabilità;
• Opportunità di avanzamento;
• Lavori impegnativi;
I fattori concernenti l’insoddisfazione sono denominati fattori d’igiene. Se questi fattori venissero
a mancare, la conseguenza sarebbe un aumento dell’insoddisfazione. I fattori d’igiene includono:

• Salario;
• Supervisione tecnica;
• Condizione lavorative;
• Status;
• Sicurezza;
In generale, la ricerca non ha fornito grande supporto alla teoria di Herzberg. Una critica è come
questa sia eccessivamente legata al metodo: ossia, si può trovare supporto per essa solo quando si
utilizzi la specifica metodologia adottata da Herzberg, mentre gli studiosi che abbian adottato
metodologie differenti non hanno trovato alcun supporto. Una seconda critica rivolta a tale teoria è
che essa confonda i concetti di soddisfazione lavorativa e di motivazione.
Una terza critica è che i motivato e fattori d’igiene potrebbero non essere inconfondibilmente
differenti: alcuni fattori potrebbero influire sia sulla soddisfazione sia sull’insoddisfazione. Malgrado
le svariate critiche, i manager tendono a trovare tale teoria piuttosto accattivante. A livello pratico, si
tratta di una teoria facile da capire e attuare. Per motivare i dipendenti, i manager dovrebbero
offrire lavori che includessero un potenziale di conseguimento e responsabilizzazione; in più,
dovrebbero cercare di mantenere i fattori d’igiene a un livello appropriato, cosi da impedire
l’affiorare dell’insoddisfazione.
Pertanto, i manager possono motivare i dipendenti manipolando i fattori attinenti al contenuto del
lavoro e impedirne l’insoddisfazione manipolando quelli relativi al contesto ambientale. Forse, la
conclusione più importante a livello manageriale è che le organizzazione non debbano mai
aspettarsi un’alta produttività nei lavori che appaiano deboli da un punto di vista motivazionale; e
ciò indipendentemente da quanto s’investa nei fattori d’igiene.

CONCLUSIONI SULLE TEORIE DI CONTENUTO.

Le quattro teorie sul contenuto di cui si è discusso finora si riferiscono ai fattori che influiscono sulla
motivazione. Essi includono i bisogni dei dipendenti e i vari lavori e attributi di contesto che possono
aiutarli nella loro soddisfazione. Sebbene, la ricerca non abbia fornito grande supporto a queste
teorie, esse sono comunque state utili per lo sviluppo di pratiche manageriali specifiche capaci

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d’incrementare la motivazione e la performance. Inoltre, tali teorie possono essere integrate con
quelle sul processo.

LE TEORIE DI PROCESSO SULLA MOTIVAZIONE.

Mentre le teorie sul contenuto enfatizzano i fattori motivanti quelle di adesso si concentrano sul
processo tramite cui tali fattori interagiscano per generare la motivazione. Una delle debolezze
delle teorie sul contenuto è l’assunto secondo cui la motivazione possa essere spiegata solo a uno o
due fattori, come un determinato bisogno o contenuto di un determinato lavoro.
La motivazione umana p un aspetto ben più compenso: svariate condizioni interagiscono per
prodotte un comportamento motivato e le teorie sul processo tengono conto di tale complessità. In
generale, esse si focalizzano sui processi cogniti, che gli individui sviluppino per influenzare la
direzione, intensità e persistenza del proprio comportamento. Tre importanti teorie di processo in
tema di motivazione sono : la teoria delle aspettative, la teoria dell’equità e la teoria sulla
fissazione degli obiettivi.

LA TEORIA DELLE ASPETTATIVE.

La teoria delle aspettative è elaborata da Vroom. Tale teoria sostiene come manager e
dipendenti considerino tre fattori al momento di decidere se compiere uno sforzo. Per prima cosa,
essi valutano la probabilità che un certo ammontare di sforzo corrisponda a un particolare livello di
performance. Ci si riferisce a tele probabilità con il concetto di aspettativa.
Il secondo fattore che gli individui considerano è la connessione da essi percepita tra un particolare
livello di performance e un importante esito positivo. Ci si riferisce a ogni connessione percepita tra
la performance e un certo esito con il concetto di strumentalità.
Il terzo fattore è l’importanza attribuita a ciascun esito previsto. Questi risvolti potrebbero avere una
valenza elevata. La valenza è definita come il valore attribuito a un determinato risultato.
In essenza, la teoria sulle aspettative sostiene come le persone siano razionali nel decidere se
impegnarsi nello svolgimento di un certo compito. L’equazione seguente esprime il modo in cui le
persone implementino la teoria sulle aspettative:


MF: E x SOMMATORIA (IxV)

Dove:
MF= forza motivazionale;
E= concetto di aspettative o di probabilità soggettiva che un certo livello di sforzo conduca a un
particolare livello di performance. Inoltre, l’aspettativa d’interesse corrisponde, solitamente, alla
probabilità che un maggiore sforzo guidi a una buona performance. Per una determinata persona in
una certa situazione, un insieme di auto-stima, di una precedente esperienza con quel determinato
compito e di disponibilità di aiuto da parte di un manager possono influire tutte su tale probabilità
soggettiva.
I= concetto di strumentalità o di connessione percepita tra un particolare livello di performance e
un determinato risultato. Esso può variare da -1 a +1, poiché è possibile che, per un certo livello di
performance, si possa ottenere un risultato che sia meno probabile, cosi come uno più probabile.
V= concetto di valenza o di valore associato a un risultato. Essa potrebbe essere negativa o positiva
alcuni risultati potrebbe essere indesiderati, mentre altri auspicabili.

In generale, la ricerca ha supportato questa teoria. Tuttavia, sono state espresse alcune critiche con
riguardo a come misurare le componenti della teoria delle aspettative, ai come esse vadano
combinate , e all’impatto delle differenze a livello individuale.
Un altro problema nasce dalla considerazione delle differenze individuali: ad esempio, è meno
probabile che le persone che abbiano un’elevata considerazione degli altri s’impegnino in processi
decisionali razionali focalizzandosi sulla massimizzazione dei risultati alla base della teoria delle
aspettative.
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La teoria delle aspettative ha evidenti implicazioni a livello manageriale. Infatti, per incrementare la
motivazione, i manager possono fare una o più delle seguenti cose:
• Intensificare le aspettative incrementando il convincimento dei dipendenti che un maggiori
impegno possa portare a maggiori livelli di performance;
• Incrementare le strumentalità legando chiaramente l’alta performance ai risultati;
• Incrementare la valenza offrendo risultati di valore elevato;
LA TEORIA DELL’EQUITÀ.

Le nozioni di correttezza e giustizia sono state al centro dell’interesse del genere umano nel corso di
tutta la sua storia. Ne deriva come non debba sorprendere che la percezione che le persone abbiano
della correttezza con cui siano state trattate possa influire sulla loro motivazione allo svolgimento del
lavoro.
Il modello di base per l’utilizzo del concetto di correttezza al fine di spiegare la motivazione umana
ha origine dal lavoro sulla teoria dell’equità di Adams. Secondo tale teoria, la motivazione si
basa sulla valutazione compita da una persona del rapporto tra i risultati ottenuti e gli input immessi
sul lavoro per il conseguimento di tali risultati, confrontato con lo stesso tipo di rapporto riguardante
un individuo selezionato per la comparazione. Pertanto, nel valutare l’equità, la persona opera il
seguente confronto:

I miei risultati VS I risultati di un altro


I miei inputs. Gli input di un altro

Dopo aver operato tale confronto, la persona formerà le sue percezioni di equità. In base alla
percezione di equità o alla mancanza di quest’ultima, le persone opereranno le proprie scelte sulle
azioni che sarò opportuno intraprendere. Si avrà equità qualora il rapporto tra i risultati e input di
una persona sia uguale a quello dell’altro individuo con cui ci si sia confrontanti; si avrà, invece,
iniquità qualora i due rapporti siano differenti.
Qualora le persone percepiscano iniquità, esse potranno provvedere a ridurla in vari modi. Si
considerino le seguenti tattiche:

• Incrementare o diminuire gli input. I dipendenti sottopagati potrebbero ridurre il proprio


impegno, cosi come quelli retribuiti in eccesso potrebbero aumentarlo per risolvere l’iniquità-
• Cambiare i loro risultati. Se i dipendenti sottopagati convincessero i propri supervisori a
incrementarne la paga, l’iniquità verrebbe risulta.
• Distorcere le percezioni dei loro input e risultati. Se non fosse possibile cambiare
realmente input o risultati, i dipendenti pagati in modo iniquo potrebbero distorcere la loro
percezione della situazione attuale.
• Distorcere le percezioni degli input o risultati dell’individuo preso come riferimento.
Questo comportamento è simile al distorcere le percezioni degli input e risultati di una persona
per risolvere l’iniquità.
• Cambiare l’individuo di riferimento. Se un dipendente percepisse iniquità a confronto con
un collega, potrebbe essere più facile trovare un collega diverso con cui confrontarsi in maniera
più semplice.
• Lasciare l’organizzazione. Nei casi in cui l’iniquità dovesse resistere ad altre forme di
soluzione, i dipendenti potrebbero essere motivati a licenziarsi per cercarne altrove una che fosse
più equa e soddisfacente.

La ricerca sostiene come l’iniquità sia un concetto importante. Sono denominati sensibili coloro che
pongano grande attenzione al rapporto tra risultati e input mostrandosi motivati a risolvere qualsiasi
iniquità, sia essa a loro favorevole che sfavorevole. Sono denominati benevolenti coloro che si
dimostrino tolleranti verso iniquità che siano loro sfavorevoli, ma che si trovino a proprio agio con le
iniquità che li favoriscano.

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Le percezioni d’iniquità hanno vari e importanti effetti sul posto di lavoro: ad esempio, si è scoperto
come i sentimenti d’iniquità possano portare i dipendenti a comportamenti negativi quali il furto o
la vendetta. Nella loro accezione positiva, i sentimenti di equità portano sovente a risultati
soddisfacenti, alla soddisfazione lavorativa, al commitment verso l’organizzazione e a
comportamenti di organizational citizenship.
Infine, la ricerca afferma come le percezioni di equità influenzino il contributo all’innovazione in
situazioni di crowdsourcing. Gli individui esterni all’impresa che contribuiscano alla sua capacità
innovativa sono molto preoccupati della correttezza della distribuzione, oltre che del suo ammontare
complessivo. Un affare che offra un grande ammontare di prodotto non è abbastanza. Si tratta di un
scoperta molto importante perché l’uso del puvvlico esterno per la produzione d’idee creative è
divenuto oggi molto rilevante per diverse imprese.
Spesso, la percezioni d’iniquità sono definite in termini di giustizia distributiva: una forma di
giustizia che si riferisce alle percezioni di correttezza nei risultati. Un altro tipo di giustizia è,
tuttavia, anch’esso importante: la cosiddetta giustizia procedurale ossia il grado con cui le
procedure utilizzate per determinare i risultati sembrino corrette.
La ricerca mostra che, qualora i risultati siano sfavorevoli, le persone tendano a preoccuparsi della
correttezza utilizzata nel determinare tali risultati. Invero, è meno probabile che le persone abbiano
reazioni negative a risultati sfavorevoli qualora percepiscano che le procedure utilizzate per arrivare
a tali risultati siano state corrette. Le procedure che si basino sulle seguenti regole sono percepite
come corrette con maggiori probabilità:
• Le persone dovrebbero sentire di avere una voce nel processo decisionale;
• Le procedure andrebbero applicare con costanza e uniformità;
• Le procedure non dovrebbero subire mai alcuna deviazione;
• Le procedure dovrebbero basarsi su informazioni accurate;
• Dovrebbero essere previsti dei meccanismi per correggere le decisioni irregolari sui risultati;
• Le procedure dovrebbero conformarsi al codice etico prevalente;
• Le persone dovrebbero essere trattate sempre con rispetto; alle persone andrebbero sempre fornire
spiegazioni sulle decisioni prese;

LA TEORIA SULLA FISSAZIONE DEGLI OBIETTIVI.

La teoria sulla fissazione degli obiettivi sostiene come gli obiettivi incrementino la
performance umana poiché ne convogliano l’attenzione influendo sul livello di sforzo e
perseveranza. Data la natura umana, è probabile che gli individui si concentrino sul conseguimento
degli obiettivi dopo che questi siano stati stabiliti, facendo si che essi s’impegnino a fondo per il loro
raggiungimento. L’effetto positivo esercitato dagli obiettivi sulla motivazione lavorativa è uno dei più
importanti risultati ottenuti dalla ricerca nel campo del comportamento organizzativo, il maggior
dettaglio, si è scoperto che la fissazione degli obiettivi accresca la motivazione dei dipendenti in
diverse
professioni.
Per fissare gli obiettivi con efficacia, i manager dovrebbero considerare diversi fattori, tra cui le
difficolta del loro conseguimento, la loro specificità, il commitment necessario al loro
raggiungimento, la partecipazione alla loro fissazione e, infine, il feedback:

- Difficoltà degli obiettivi: quanto difficili dovrebbero essere gli obiettivi performance;
- Specificità degli obiettivi: quanto specifico dovrebbe essere il risultato atteso;
- Commitment agli obiettivi: che cosa rende i dipendenti più impegnati nel conseguimento
degli obiettivi;
- Partecipazione alla fissazione degli obiettivi: quanto è importante per i dipendenti disporre
d’input precisi nella selezione degli obiettivi e di chiari livelli di performance da raggiungere;
- Feedback: fino a che punto occorrerebbe informare i dipendenti dei progressi conseguiti mentre
questi siano ancora intenti al raggiungimento degli obiettivi finali.

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LA DIFFICOLTÀ DEGLI OBIETTIVI.

Secondo la teoria delle aspettative e quella sulla motivazione l conseguimento, ci si potrebbe


aspettare il massimo sforzo sul lavoro da parte dei dipendenti se i loro obiettivi di performance
fossero fissati per livelli moderati di difficoltà. Infatti, quando troppo difficili da raggiungere, gli
obiettivi potrebbero essere rifiutati dai dipendenti per via di un’aspettativa alquanto ridotta.
Tuttavia, alcuni studiosi hanno scoperto che i dipendenti s’impegnino maggiormente di fronte a
obiettivi che possano essere considerati molto difficili.
Pertanto, sembra che gli obiettivi debbano essere difficili, ma non irragionevoli. Forzare troppo la
mano su obiettivi di per sé difficili potrebbe essere, invero, alquanto demotivante.

LA SPECIFICITÀ DEGLI OBIETTIVI.

Gli obiettivi di performance possono essere stabiliti esplicitamente e in termini specifici sia da un
punto di vista quantitativo che qualitativo. Tuttavia, la natura di alcuni compiti rende difficile
determinare con chiarezza l’esatto livello di performance che s’intende raggiungere. In tal caso, un
obiettivo di performance potrebbe essere fissato solo in termini piuttosto vaghi.
Molti studi hanno dimostrato come la fissazione gli obiettivi specifici porti a una migliore
performance rispetto a quella di obiettivi vaghi. Se un obiettivo fosse volto ad agire da motivatore,
esso dovrebbe individuare una meta specifica verso cui indirizzare gli sforzi.

IL COMMITMENT AGLI OBIETTIVI.

In generale, i dipendenti dovranno accettare d’impegnarsi nel raggiungimento di obiettivi fissati


esternamente perché tali obiettivi possano agire da motivatori. Molta ricerca è stata svolta sui fattori
che influenzino il ommitment delle persone al conseguimento di obiettivi stabiliti esternamente. La
teoria delle aspettative offre un framework molto utile per l’organizzazione di tali fattori. Le persone,
svilupperanno commitment verso obiettivi che: 1) abbiano una ragionevole aspettativa di essere
raggiunti; 2) il cui conseguimento sia da considerarsi auspicabile.

LA PARTECIPAZIONE ALLA FISSAZIONE DEGLI OBIETTIVI.

Una domanda pratica per i manager è la seguente: dovrei stabilire gli obiettivi di performance di un
dipendente in base alla mia conoscenza e giudizio delle sue abilità? O dovrei permettere al
dipendente di fornire input e di aver un certo grado di controllo su di essi?. È importante nitrate
come i dipendenti che partecipino alla fissazione degli obiettivi possano rivelarsene più soddisfatti e
impegnarsi maggiormente per il loro conseguimento, con il risultato di ottenere una performance
migliore.
Gli individui con un punteggio elevato nel conseguimento degli obiettivi tenderanno a non gridare
obiettivi preassegnati.

GLI OBIETTI SUBCONSCI.

Una parte della ricerca di management ha dimostrato come gli obiettivi non debbano essere
assegnati consciamente per poter influire su motivazione e performance. Ciò significa che le persone
non debbano essere consapevoli del fatto che sia stato assegnato loro un obiettivo perché
quest’ultimo possa influenzarne il comportamento. Le persone siano rifornite consciamente di
alcune informazioni, ma in un modo che appaia non correlato al compito che esse si accingano a
svolgere.
Sembra che gli obiettivi fissati subconsciamente guidino le persone a stabilite da sé obiettivi di
maggior difficoltà, rispetto a quanto non facciano i soggetti con minor orientamento agli obiettivi di
maggior difficoltà, rispetto a quanto non facciano i soggetti con minor orientamento agli obiettivi.
Questa corrente di ricerca è ancora molto nuova e la maggior parte degli studi è stata condotta in
laboratorio; resta da capire fino a che punto tali obiettivi subconsci possano essere adatti per contesti
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lavorativi reali e fino a che punto essi possano influire sul comportamento. Tuttavia, uno studio
preliminare ha trovato come gli obiettivi subconsci possano essere adatti e incrementino la
motivazione e la performance sul posto di lavoro.

IL FEEDBACK.

L’effetto motivazionale dell’offrire un feedback ai dipendenti con riguardo ai loro progressi nel
raggiungimento degli obiettivi di performance è abbastanza chiaro. Invero, un feedback sulla
performance, anche in mancanza di obiettivi stabiliti, dovrebbe avere sempre un effetto positivo
sulla motivazione. Tuttavia, il feedback è particolarmente importante qualora gli obiettivi di
performance esistano e siano anche relativamente difficili da conseguire. In questo caso, il feedback
permette a un dipendente di misurare i propri progressi reali verso il loro conseguimento,
offrendogli la possibilità di compiere i necessari aggiustamenti. È improbabile che si possano operare
tali aggiustamenti in assenza di un certo livello di feedback. Ne deriva come la presenza di entrambi
gli elementi eserciti un influsso positivo sulla motivazione nei dipendenti.

CONCLUSIONI SULLE TEORIE DI PROCESSO.

Le teorie sulle aspettative, sull’equità e sulla fissazione degli obiettivi enfatizzano i processi attinenti
alla motivazione. La teoria delle aspettative si focalizza sugli individui in qualità di decisori razionali.
Il lavoro del manager è sviluppare situazioni in cui i dipendenti abbiano aspettative elevate e in cui
una buona performance venga sempre ricompensata.
La teoria sull’equità si focalizza maggiormente sulla sensazione generale degli individui riguardo a
quanto correttamente essi siano trattati. Essa sostiene che i manager debbano prendere in
considerazione il modo in cui i dipendenti si confrontino con altri individui della stessa
organizzazione; inoltre, il modo in cui un manager tratti un individuo potrebbe anch’esso influire
sulla motivazione altrui.
Infine, la teoria sulla fissazione degli obiettivi sostiene che i manager possano motivare i dipendenti
stabilendo gli obiettivi o aiutandoli nello stabilirli.

MOTIVARE I DIPENDENTI: UN’INTEGRAZIONE LLE TEORIE SULLA MOTIVAZIONE.

Viste come un unico insieme, le varie teorie sulla motivazione possono indicare come la motivazione
sia un fenomeno molto complesso e persino confuso. Tuttavia, questo non è sempre il caso: motivare
dipendenti e giovani manager può essere fatto in maniera diretta e significativa; benché non vi siano
approcci a prova di errore, esistono comunque delle buone tattiche da poter adottare;

TROVARE RICOMPENSE INDIVIDUALI EFFICACI.

Tutte le teorie sul contenuto sostengono come gli individui varino in ciò che, per loro, sia da
considerarsi motivante. In più, la teoria delle aspettative implica come gli individui assegnino diverse
valenze ai risultati. Ciò significa che, commisurando le ricompense individuali ai loro bisogno e
desideri, le imprese possano creare un vantaggio competitivo nell’attrarre e motivare i dipendenti.
Un’area in cui tutto ciò sembri ovvio è quella della previsione dei benefit. Un errore commesso
spesso dai manager nel cercare di determinare cosa motivi realmente i dipendenti riguarda
l’attribuzione di un’enfasi eccessiva alle ricompense estrinseche dandone, invece, molto meno alle
ricompense intrinseche. Infatti, un’indagine computa su un campione casuale di adulti americani ha
indicato come essi considerino il fatto di avere un lavoro importante come l’aspetto più importante
della loro professione. La paga, invece, è risultata collocarsi solo al terzo posto della classifica.
Una parte della ricerca ha mostrato che una persona che riceva delle ricompense estrinseche per lo
svolgimento di un compito che la soddisfi intrinsecamente possa attribuire la performance a forze
esterne, con una conseguente riduzione del proprio interesse intrinseco per quel lavoro. Ciò
evidenzia come l’affidarsi troppo a ricompense esterne possa portare.a perdere ogni naturale
interesse per lo svolgimento del lavoro.
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Tuttavia, questa posizione è stata messa in dubbio da alcuni studiosi secondo cui le ricompense
esterne siano necessarie per motivare allo svolgimento di qualsiasi tipo di mansione. Nonostante i
risultati controversi della ricerca scientifica, appare chiaro come i manager debbano preoccuparsi sia
delle ricompense estrinseche che di quelle intrinseche, senza enfatizzare troppo una delle due e
tendendo, invece verso un equilibrio appropriato.
Gli individui differiscono in ciò che ritengano motivante in base alla posizione ricoperta all’interno
dell’organizzazione. Individui che svolgano lavori differenti e che si trovino a livelli diversi
dell’organizzazione possono sviluppare preoccupazioni di diverso genere. Si può dividere la propria
organizzazione in tre gruppi, prevedendone incentivi appropriati per ciascuno di essi:

• I dirigenti reclamano un senso di proprietà nell’impresa: perciò, questa può riconoscere loro un
pacchetto azionario. In più, essi possono pretendere anche un certo grado di riconoscimento;
• I manager di medio livello aspirano a diventare senior manager. I maggiori incentivi verso questo
gruppo d’individui può riguardare l’opportunità di esibire e sviluppare le proprie conoscenze,
abilità e competenze.
• I dipendenti chiedevano risultati che dessero loro un senso di stabilità e sicurezza;
LEGARE LE RICOMPENSE ALLA PERFORMANCE.

Una caratteristica essenziale del management ad alto coinvolgimento riguarda il collegare le


ricompense alla performance. L’importanza di questa tattica è supportata da svariate teorie
riguardanti la motivazione e l’apprendimento. Uno dei principi basilari del condizionamento attivo
è che le ricompense siano legate direttamente alla performance, cosi da incoraggiare i
comportamenti desiderati. Questa proposizione di base si riflette anche nelle teorie processuali sulla
motivazione.
La teoria delle aspettative sostiene come la motivazione sia funzionale delle concessioni percepire tra
performance e risultati.
La teoria dell’equità sostiene che la performance ottenuta in un passato recente debba ricoprire un
ruolo nell’individuazione delle ricompense. In aggiunta, la ricerca in tema di giustizia india come il
fatto di legare la performance alle ricompense possa implicare una maggior motivazione, poiché le
decisioni in tema di ricompense saranno viste come più etiche e imparziali dato che le ricompense
sono legate ai propri successi e contributi.
Infine, la teoria sulla fissazione degli obiettivi suggerisce come l’assegnare ricompense per il
raggiungimento degli obiettivi possa aiutare i dipendenti ad accettare e incrementare il commitment
verso di essi; e ciò benché le ricompense esterne non siano richieste obbligatoriamente perché gli
obietti possano influire sulla motivazione.
Sebbene il legare le ricompense alla performance possa sembrare ovvio e semplice, i manager hanno
spesso difficoltà nel farlo. Una ragione è che la performance sia spesso difficile da misurare. In
aggiunta, alcuni manager potrebbero dover supervisionare troppi dipendenti per per osservare da
vicino e valutare con semplicità il contributo offerto da ognuno. Se non sarà possibile valutare e
misurare accuratamente la performance, non sarà allo stesso modo possibile legare la performance
alle ricompense. Un altro problema del legare le ricompense alla performance è dovuto al fatto che i
manager possano disporre di poca flessibilità con le ricompense, specie se di tipo finanziario.
I suddetti problemi di flessibilità evidenziano l’importanza delle ricompense non finanziarie.
Sebbene i manager possano avere delle restrizioni nel riconoscere ricompense di tipo finanziario, essi
possono mostrarsi più creativi nell’assegnare altri tipi di ricompense basate sulla performance.

RIDISEGNARE IL LAVORO.

Quello di ridisegnare i lavori è visto come un modo per rendere questi ultimi intrinsecamente più
interessanti e significativi per le persone soddisfacendo i bisogni di ordine superiore. Generalmente, i
lavori possono essere ridisegnati attraverso uno o due strumenti: tramite ampliamento del
lavoro e tramite arricchimento del lavoro.

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L’AMPLIAMENTO DEL LAVORO.

L’ampliamento del lavoro implica l’aggiunta di mansioni la cui complessità sia piuttosto simile
rispetto a quella dei compiti svolti correntemente. Le mansioni aggiunte offrono maggior varietà
richiedendo spesso l’uso di abilità differenti. Tuttavia, le mansioni aggiuntive non sono di
complessità superiore offrendo, dunque, piccole opportunità di crescita personale.
Offrendo una certa varietà, l’ampliamento del lavoro potrebbe evitare l’affiorare della noia in un
soggetto che eseguisse compiti cosi semplici. Nondimeno, gli effetti potrebbero essere solo
temporanei poiché le nuove mansioni non offrirebbero spunti d’interesse o opportunità di crescita
personale. Nel complesso, la ricerca ha mostrato come gli effetti dell’arricchimento del lavoro siano
piuttosto controversi. Alcuni studi hanno trovato come tale pratica produca risultati positivi, mentre
altri non hanno trovato alcun riscontro.

L’ARRICCHIMENTO DEL LAVORO.

L’arricchimento del lavoro può essere differenziato dal suo mero ampliamento a seguito della
complessità delle mansioni che verrebbero aggiunte. Spesso, ci si riferisce all’arricchimento del
lavoro co il concetto (carico di lavoro verticale).
Nei lavori arricchiti, gli individui hanno maggiori responsabilità per il completamento dei compiti
loro assegnati. Il concetto di arricchimento del lavoro fu reso popolare da Herzberg e dalla sua
teoria motivazionale dei due fattori- il concetto di arricchimento del lavoro è, altresì, in linea con la
teoria di McClelland sullo sviluppo di un forte need for achievement, cosi come con le idee di
Maslow e Alderfer sul soddisfacimento dei bisogni di ordine superiore.
Poiché l’arricchimento del lavoro implica il riconoscimento ai propri dipendenti di un maggior
controllo sulle proprie attività, di maggiori devi e di un maggior potere decisionale, esso è parte
integrante di una gestione ad alto coinvolgimento. Numerosi studi hanno rinvenuto risultati positivi
da tale pratica utilizzando variabili dipendenti come la soddisfazione lavorativa, il commitment
verso l’organizzazione e la performance. Tuttavia, i programmi di arricchimento non hanno sempre
successo: per essere efficaci, essi devono essere attentamente pianificati, implementati e comunicati
ai dipendenti pretendono in considerazione anche le differenze a livello individuale.
I lavoro di due studiosi è stato molto influente nel dettagliare il modo in cui arricchire i lavori, cosi
da incrementare il potenziale motivazione di ogni professione. In particolare, essi hanno individuato
cinque caratteristiche del lavoro di speciale importanza nel disegnare i lavori, ossia varietà delle
abilità, identità della mansione, significato della mansione, autonomia e feedback:

• La varietà delle abilità si riferisce al grado con cui i dipendenti utilizzino un’ampia gamma di
abilità nello svolgimento del proprio lavoro;
• L’identità della mansione è il grado con cui la performance lavorativa sia ben identificabile e
riferibile a una porzione del lavoro svolto;
• Il significato della mansione è il grado con cui un lavoro abbia un impatto diretto
sull’organizzazione. Il concetto è importante poiché le persone necessitano di vedere come il
proprio lavoro contribuisca al funzionamento dell’intera organizzazione;
• Autonomia significa che il dipendente disponga dell’indipendenza necessaria a programmare il
proprio lavoro e influire sulle procedure con cui questo venga poi portato a termine;
• Il feedback si riferisce all’ottenimento d’informazioni accurate sulla performance;

Due studiosi hanno sostenuto come queste cinque caratteristiche influenzino i tre stati psicologici: la
sensazione di significatività del lavoro, la sensazione di responsabilità per i lavoro svolto, e la
conoscenza dei risultati riferiti alla performance personale conseguita sul lavoro. La varietà delle
abilità, l’identità delle mansioni e il significato delle mansioni influenzano la sensazione di

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significatività; la sensazione di responsabilità è influenzata dall’autonomia; e la conoscenza dei
risultati è influenzata dai
feedback.
In genere, la ricerca ha supportato il modello dei due studiosi rinvenendo come le percezioni dei
dipendenti in tema di caratteristiche delle mansioni siano collegate alla motivazione intrinseca e alla
performance. Tuttavia, si è scoperto come i vari fattori influiscano sul fatto che i lavoratori possono
essere motivati dall’arricchimento del lavoro.
Tra questi, quello più influente individuato dalla ricerca è la forza rappresentata dal bisogno di
crescita: chi avrà un forte bisogno di crescita tenderà a essere più motivato dall’arricchimento del
lavoro rispetto a chi ne manifesterà un minor bisogno. Si è anche scoperto che la percezione delle
caratteristiche del lavoro è correlata alla soddisfazione lavorativa e alla soddisfazione di crescere.

FORNIRE UN FEEDBACK.

Il feedback è d’importanza cruciale per la motivazione secondo diverse prospettive. Chi avrà un
punteggio elevato in need for achievement ne andrà spesso alla ricerca; ciò poiché il feedback è
necessario per lo sviluppo delle aspettative e delle strumentalità, può influenzare la percezione di
correttezza fornendo spiegazioni alle decisioni intraprese, e migliora il processo di fissazione degli
obiettivi. Le implicazioni principali in grado di rendere il feedback uno strumento cosi efficace sono:

• Il feedback è più efficace se fornito unitamente agli obiettivi;


• Il feedback andrebbe ripetuto e fornito a intervalli regolari;
• Il feedback dovrebbe contenere informazioni su come i dipendenti possano migliorare la propria
performance;
• Il feedback dovrebbe provenire da una fonte credibile;
• Il feedback dovrebbe focalizzarsi sulla performance, non sulla persona. Ovvero esso dovrebbe
riferirsi sempre a una misura della performance;

CHIARIRE LE ASPETTATIVE E GLI OBIETTIVI.

L’importanza della fissazione degli obiettivi per la motivazione dei dipendenti è resa esplicita dalla
teoria sulla fissazione degli obiettivi. Tuttavia, tale fissazione degli obiettivi è altresì importante
secondo altre prospettive motivazionali. Essa potrebbe essere utilizzata per rafforzare le relazioni più
importanti evidenziate dalla teoria delle aspettativa. Inoltre, obiettivi più ambiziosi potrebbero essere
associati a risultati migliori in termini di valenza.
Inoltre, la fissazione degli obiettivi è una parte importante del need for achievement poiché gli
individui con un punteggio alto in questa caratteristiche tendono a stabilire per se stessi obiettivi
moderatamente difficili e raggiungibili. Molte organizzazioni hanno adottato la fissazione degli
obiettivi per due ragioni:
I. È il potenziale motivazionale insito negli obiettivi stessi;
II. È che questi ultimi possono servire spesso per allineare le motivazioni individuali agli obiettivi
dell’organizzazione;
Un programma formale che si potrebbe utilizzare per allineare motivazioni individuali e obiettivi
organizzativi è il cosiddetto management per obiettivi (MBO): ossia, all’interno di tutta
l’organizzazione, gli individui s’incontrano con i propri manager per accordarsi sulle aspettative per
il futuro più prossimo.

CAPITOLO 7: STRESS E BENESSERE.

Chi lavora potrà trovarsi in condizione di stress. Sebbene non tutte le forme di stress siano negative,
molte di queste sono disfunzionali e, come si è visto, costose per le organizzazioni in termini di
perdita del capitale umano e minor produttività. Come risultato, i manager di tutti i livelli devono
essere sempre più consapevoli degli effetti delle proprie scelte sullo stesso arrecato agli altri. Infatti, è
imperativo che questi siano in grado di gestire efficacemente lo stress di chi li circonda quando
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l’obiettivo sia sviluppare/mantenere una forza lavoro ad alto coinvolgimento e altamente
performante.
Data la prevalenza dello stress sul posto di lavoro e degli alti costi diretti e indiretti causati dallo
stress lavorativo, la sua corretta gestione dovrebbe essere una priorità per la dirigenza.

UNA DEFINIZIONE DI STRESS LAVORATIVO.

Tutti noi sappiamo come ci si senta quando ci si trovi sotto stress: per alcuni individui, lo stress si
manifesta con un mal di stomaco; per altri, sono le palpitazioni cardiache o il sudore alle mani a
manifestare il loro stress. La lista delle possibili reazioni allo stress è davvero senza fine e varia da
persona a persona. Il concetto di stress è un concetto difficile da definire e gli studiosi hanno
dibattuto per anni con riferimento sia alla sua definizione che alla sua misurazione.
Lo stress può essere definito come una sensazione di tensione che si manifesta quando una persona
percepisca che una determinata situazione stia per oltrepassare le sue abilità gestionali e di
conseguenza ne possa mettere a repentaglio il benessere. Estendendo questa definizione, si può
definire lo stress lavorativo come la sensazione che la capacità, risorse o bisogni di una persona
non collimino con ciò che sia specificamente richiesto per portare a termine un determinato lavoro.
Per la definizione di stress, sono diversi gli aspetti importanti da considerare. Prima di tutto, il livello
di stress di cui si faccia esperienza dipende dalle reazioni individuali alla situazione specifica. Perciò,
un evento che un individuo senta come stressante può non essere percepito come tale da un altro
individuo. Un secondo tema è che la fonte di stress possa essere reale o immaginaria. Le persone
non devono trovarsi per forza in una situazione di stress reale per percepirne la frustrazione: è
sufficiente che esse percepiscano una situazione di pericolo.
Lo stress può essere definito come acuto o cronico. Lo stress acuto è una reazione a breve termine
rispetto a una minaccia immediata. Lo stress cronico ha origine da situazioni continuate. Le
reazioni implicanti stress cronico sono potenzialmente più gravi di quelle provenienti da stress acuto
per via delle modalità di risposta del nostro corpo.
Lo stress crea esigenze che producono uno squilibrio nella fornitura di energia a livello fisico che è
difficile ripristinare. Il corpo, cioè, reagisce con una speciale risposta fisiologica nota comunemente
come reazione allo stress. Una reazione allo stress è una mobilitazione inconscia delle risorse
energetiche del nostro corpo che si ha quando quest’ultimo finisca per imbattersi in uno stressor: il
corpo si prepara ad affrontare un pericolo incombente rilasciando ormoni e incrementando il
battito cardiaco, il tasso di pulsazioni, la pressione sanguigna, la frequenza respiratoria e la
produzione del livello di glucosio nel sangue. Qualora lo stress fosse di breve durata o di tipo acuto,
allora anche la reazione allo stress tenderebbe a essere di breve termine. Se, tuttavia, lo stress dovesse
essere prolungato, la reazione inizierebbe a usurare il corpo comportando problemi più gravi.
Non tutte le richieste con cui i manager e dipendenti si trovino a interfacciare nel lavoro portano a
reazioni negative allo stress: a volte, le persone ricevono maggior energia dal dover affrontare nuove
difficoltà. Uno degli studiosi più influenti in camp di stress distingue tra eurostress e dystress.
L’eurostress è una forma positiva di stress derivante dall’affrontare nuove sfida e difficoltà avendo
un’aspettativa di successo: si tratta di una forma di stress motivante ed energizzante. Gli stressor
non devono essere percepiti necessariamente in maniera negativa poiché, spesso, sono il risultato di
un’esperienza positiva. Una parte della ricerca suggerisce come un certo livello di stress sia
necessario per massimizzare la performance. Di contro, troppo poco stress potrebbe produrre noia o
apatia, mentre livelli ragionevoli di esso accrescerebbero i livelli di allerta e concentrazione.
Tuttavia, al crescere dello stress, si potrebbe arrivare a una certa soglia a partire dalla quale gli effetti
potrebbero essere negativi. Se un livello di stress elevato dovesse prolungarsi nel tempo, ne
scaturirebbe il cosiddetto dystress. Un sovraccarico di questa tipologia di stress può portare a
problemi fisiologici e psicologici. Il momento in cui lo stress abbia raggiunto una soglia negativa
tramite cinque segnali nella vita di ogni giorno in grado di simboleggiare il momento in cui ognuno
di noi sia sottoposto a un eccessivo carico si stress.
I. Ci si sente irritabili;

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II. Si ha difficoltà a prendere sonno: si è assonati tutto il tempo o, al contrario, non si riesce a
prendere sonno o a riposare per periodi ragionevolmente prolungati e sufficienti;
III. Non si riesce a ottenere alcuna gioia dalla vita;
IV. Si sviluppano disturbi dell’appetito;
V. Nascono problemi a livello relazionale e si ha difficoltà ad andare d’accordo con coloro che ci
circondino.

DUE MODELLI DI STRESS LAVORATIVO.

Si è visto come lo stress sul lavoro possa manifestarsi quando le persone sentano che ciò che venga
richiesto loro di fare ecceda le risorse necessarie a portare a termine quel determinato compito. Si
vedano ora due modelli molto noti di stress sul posto di lavoro: il modello domanda-controllo e
il modello dello squilibrio sforzo-ricompensa.

IL MODELLO DOMANDA-CONTROLLO.

Il modello domanda-controllo si focalizza su due fattori in grado di creare situazioni di tensione e di


portare a una situazione di stress. La tensione lavorativa è funzione dei due seguenti fattori:
1. Le richieste lavorative affrontate da un manager o dipendente;
2. Il controllo che l’individuo eserciti nel soddisfare tali richieste.
Le richieste lavorative sono aspetti di cui i lavoratori debbano sapersi occupare. Il controllo si
riferisce al punto fino a cui gli individui siano in grado d’influire su ciò che venga loro richiesto sul
lavoro e all’ammontare di controllo di cui essi dispongano nel prendere decisioni riguardo al proprio
lavoro.
Il modello domanda-controllo suggerisce come la tensione lavorativa sia maggiore qualora le
richieste siano elevate e il controllo sia basso. In questo caso, gli individui affrontano gli stressors ma
hanno scarso controllo della situazione. Un minor numero di ricerche è stato dedicato alle altre due
condizioni- individuate con i termini bassa tensione e tensione passiva caratterizzate entrambe da un
basso livello di richieste: in ognuno dei due casi, è più improbabile che ci si trovi a fare esperienza di
stress.
La ricerca sul modello domanda-controllo ha prodotto risultati contradittori: parte di essa ha trovato
che le persone che si trovino in condizioni di alta tensione abbiano più probabilità di subire
situazioni di stress collegate alla propria salute; un’altra parte, invece ha trovato minor supporto per
il modello. A conti fatti, il più dei ricercatori è concorde sul fatto che sia la domanda che il controllo
costituiscano fattori importanti in grado di spiegare lo stress.
Tuttavia, il modo in cui essi operino insieme, che cosa costituisca il controllo sul lavoro, e il ruolo di
altre variabili sono tutti elementi che andrebbero approfonditi meglio per affinare il suddetto
modello. Inoltre, il controllo potrebbe avere solo un effetto transitorio se servisse a ridurre la
percezione che un individuo abbia delle richieste mosse nei suoi confronti.
SCHEMA 1 PAGINA 220

IL MODELLO DELLO SQUILIBRIO SFORZO-RICOMPENSA.

Il modello dello squilibrio sforzo-ricompensa si focalizza su due fattori:

I. Lo sforzo richiesto;
II. Le ricompense ricevute da un individuo come risultato dello sforzo sostenuto;

Lo sforzo richiesto si riferisce alle esigenze di performance e ai vari obblighi connessi al tipo di
lavoro che si stia eseguendo. Esso è molto simile al concetto di richiesta già esaminato con
riferimento al modello domanda-controllo, ma è in qualche modo incentrato più strettamente sul
lavoro stesso, piuttosto che sugli aspetti più generali riguardanti l’ambiente lavorativo nel suo
complesso. Le ricompense includono risultati estrinseci e intrinseci ottenuti sul lavoro.
SCHEMA 2 PAGINA 220
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Il modello dello squilibrio sforzo-ricompensa evidenzia come una combinazione tra grandi sforzi da
un lato e di basse ricompense dall’altro violi il principio di reciprocità. Una continua violazione di
questo principio produce forti emozioni negative e mutamenti dannosi nel sistema nervoso
autonomo. Ancorché un individuo che affronti questo tipo di situazione possa semplicemente
lasciare quel lavoro, molti decideranno di rimanere poiché: 1) nell’attuale mercato del lavoro vi sono
opportunità limitate; 2) vi sono speranze che la situazione possa cambiare; 3) vi è un eccesso di
commitment verso il proprio lavoro. L’eccesso di commitment è guidato dalla motivazione
all’ottenimento e all’approvazione. In generale, la ricerca ha ottenuto risultati a supporto del
modello dello squilibrio sforzo-ricompensa.

GLI STRESSOR A LIVELLO ORGANIZZATIVO E LAVORATIVO.

Gran parte della ricerca si è concentrata sull’identificazione degli aspetti specifici dell’ambiente
lavorativo che potessero causare stress nei manager e dipendenti: e, cioè, i fattori che agiscono in
qualità di stressors. Le principali cause di stress a livello organizzativo e lavorativo includono : 1) il
conflitto; 2) l’ambiguità di ruolo; 3) il sovraccarico di lavoro; 4) l’occupazione; 5) l’inadeguatezza
delle risorse; 6) le condizioni lavorative; 7) lo stile manageriale; 8) il monitoraggio; 9) l’incertezza del
lavoro; 10) l’incivilirà.

IL CONFLITTO DI RUOLO.

Tutti noi ricompriamo diversi ruoli. Molte volte, questi ruoli sono ragionevolmente compatibili. A
volte, tuttavia, essi non lo sono creando esigenze conflittuali. Si è dimostrato come questa situazione,
nota come conflitto di ruolo rappresenti uno stressor significativo e sia spesso associata a
insoddisfazione, ritardi e turnover.
A prescindere dal conflitto tra i diversi ruoli, non è inconsueto che una stessa persona possa trovarsi
in una situazione di conflitto tra quelli che siano i propri ruoli sul lavoro e quelli che siano i propri
ruoli non lavorativi.

L’AMBIGUITÀ DI RUOLO.

L’ambiguità di ruolo si riferisce alla situazione in cui il lavoratore sia poco chiaro riguardo a
obiettivi, aspettative o esigenze del proprio lavoro. Ove le esigenze lavorative siano ambigue, le
persone non saranno certe di ciò che ci si attenderà da loro e di come saranno valutate. L’ambiguità
sarà un altro fattore in grado di contribuite all’elevato stress di cui si faccia spesso esperienza in
ambito manageriale. L’ambiguità sul lavoro crea tensione e ansietà. La reazione a tale tipo di stress
sono di genere emotivo. In più, si è dimostrato come l’ambiguità di ruolo abbia forti effetti negativi
sulla motivazione lavorativa e sulla performance e, in svariati casi, anche in misura maggiore rispetto
al conflitto di ruolo.
Inoltre, essa ha spesso effetti considerevoli sulla tendenza al ritardo. Infine, l’ambiguità di ruolo
sembra essere più problematica quando le esigenze della professione siano percepite come piuttosto
impegnative e gravose.

IL SOVRACCARICO DI LAVORO.

Un’altra causa comune di stress nelle organizzazioni è data dal sovraccarico di lavoro. Questo può
essere di tipo quantitativo o qualitativo. La ricerca sostiene come il sovraccarico qualitativo crei
maggiore stress rispetto a quello quantitativo.
Le cause di tale crescita nel sovraccarico di lavoro sono di ampia portata e vanno dalla crisi
economica, ad ambienti lavorativi sempre più competitivi, alla sempre maggior semplicità con cui la
tecnologia agevola l’impregno del personale.

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L’OCCUPAZIONE.

Le occupazioni caratterizzate da un elevato numero di richieste e che richiedano molto impegno


possono certamente generare stress. Le statistiche indicano come le occupazioni per i colletti bianchi
siano associate a una maggior proporzione di casi di stress di quanto non lo siano le occupazioni per
i colletti blu e per i servizi messe insieme. La gran parte di questi casi è composta d’individui
impiegati nel supporto tecnico, amministrativo e di vendita; ma anche le professione manageriali e
da indipendenti vi contribuiscono in maniera sostanziale. Sebbene le occupazioni da colletti bianchi
possano consentire maggior controllo offrendo alte ricompense, le richieste avanzate assoggetta che
si occupino di questi lavori sono tipicamente molto superiori che in altre professioni.
D’altro canto, gli effetti del controllo e delle ricompense sono dimostrati dai risultati della ricerca
secondo cui i senior manager sopportino minor stress dei manager di medio livello. Anche se le
richieste avanzate ai senior manager possano essere maggiori, tali individui hanno probabilmente un
maggior grado di controllo ricevendo dei salari molto generosi.

L’INADEGUATEZZA DELLE RISORSE.

Le persone possono anche trovarsi a fare esperienza di stress lavorativo ove non dispongano delle
risorse necessarie. Avere risorse inadeguate rende difficile portare a compimento i propri compiti
con efficacia ed efficienza e può, perciò, incrementare le esigenze riducendone il grado di controllo.
Potrebbe esservi un’insufficienza di persone, materiale per portare a termine un compito, mettendo
troppa pressione sulle spalle del soggetto che abbia la responsabilità del suo completamento .

LE CONDIZIONI LAVORATIVE.

L’ambiente lavorativo può avere effetti molto ampi sull’attitudine lavorativa e sulle reazioni. Esso
include sia l’ambiente circostante a livello fisico, sia aspetti psicologici. Qualora le condizioni
lavorative siano sgradevoli, tali ambienti potranno divenire davvero stressanti.

LO STILE MANAGERIALE.

Lo stile manageriale influisce seriamente sul clima psicologico del luogo di lavoro; e certi stili di
gestione dei subordinati creano maggiore stress di altri.
Certe tipologie di lavori e certe personalità dei dipendenti possono interagire con lo stile
manageriale producendo stress: ad esempio, uno stile manageriale direttivo potrebbe produrre meno
stress nei lavori di routine e nei dipendenti che preferissero un ambiente più strutturato. Tuttavia,
per gli individui operanti in campo professionale e per chi preferisce un maggior coinvolgimento
personale e auto-determinazione nello svolgimento del proprio lavoro, uno stile manageriale meno
direttivo potrebbe produrre meno stress.

IL MONITORAGGIO.

Sviluppi relativamente recenti a livello tecnologico hanno portato al proliferare di un monitoraggio


sempre più stringente del comportamento dei dipendenti. Il monitoraggio può portare i dipendenti
a richieste sempre maggiori e, contemporaneamente, alla perdita di controllo rendendone il lavoro
molto
stressante.
Le richieste aumentano poiché i dipendenti sentono di dover essere sempre sul pezzo e che ogni loro
errore verrà prontamente rilevato e annotato. Il controllo si riduce poiché gli individui monitorati
potrebbero sentire di avere poca discrezione nel modo in cui poter svolgere il proprio lavoro.

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L’INCERTEZZA LAVORATIVA.

Nella prima parte del ventunesimo secolo, il tasso di disoccupazione è cresciuto molto e sempre più
organizzazioni si sono trovate coinvolte in operazioni di fusione/acquisizione e/o
ridimensionamento, o a dover trasferire i propri impianti all’estero.
La crisi economica che ha avuto inizio nel 2008 ha portato a una cifra record in termini di posti di
lavoro perduti e a un tasso di disoccupazione superiore al 9%. Come risultato, i lavoratori di oggi
sono maggiormente esposti all’incertezza del poter mantenere il proprio posto di lavoro. Tale
situazione può costituire un enorme fattore di stress.

L’INCIVILTÀ NEL POSTO DI LAVORO.

Il bullismo sul posto di lavoro è definito come maltrattamento ripetuto e dannoso per la salute verso
una o più persone da parte di uno o più perpetuatori che potrebbe prendere una delle seguenti
forme: 1) abuso verbale; 2) condotta/comportamento offensivo; 3) interferenza sul lavoro/
sabotaggio che ne impedisca il regolare svolgimento. Il bullismo può avere conseguenze molto gravi
sui livelli di stress e sulle conseguenti condizioni fisiche e psicologiche.
L’inciviltà è collegata al bullismo, ma è meno grave e più comune. L’inciviltà è definita come un
comportamento lievemente deviante con l’intento ambiguo di ferire un’altra persona. Per lievemente
deviante s’intende che il comportamento non debba per forza essere apertamente aggressivo, fisico o
violento. Intento ambiguo significa che il perpetuatore si comporti in modo da poter negare lo
specifico intento di voler ferire qualcuno. Si è scoperto come l’inciviltà sul lavoro sia correlata allo
stress lavorativo, alla salute mentale e a quella fisica degli impiegati, cosi come ad altri risultati che
impattino la stessa organizzazione.

LE INFLUENZE INDIVIDUALI SULL’ESPERIENZA DI STRESS.

Nel definire lo stress, si è sottolineato come gli individui variano molto nel modo di rispondere ai
fattori esterni di stress. La ricerca ha esaminato le caratteristiche che abbiano più probabilità
d’influire sul modo in cui le persone reagiscano allo stress. Tali caratteristiche includono la
personalità di tipo A a confronto con il Tipo B , l’autostima, l’audacia e il genere.

LA PERSONALITÀ DI TIPO A VS. TIPO B.

Molti studiosi si sono preoccupati di esaminare le personalità di Tipo A e B e il modo in cui le


persone rispondano allo stress. I soggetti con personalità di Tipo A sono competitivi, aggressivi e
impazienti. Questi individui possono spingersi nel perseguimento di obiettivi sempre più elevati, fino
a diventare frustrati, irritati, ansiosi e ostili. Il modello comportamentale di Tipo A è un complesso
di azioni-emozioni osservabile in qualsiasi persona che sia coinvolta aggressivamente in una lotta
cronica e incessante per ottenere sempre di più e in sempre minor tempo, mostrando fervida
opposizione verso qualsiasi cosa o persona che agisca in senso contrario.
I soggetti con personalità di Tipo B sono piuttosto differenti: tendono a essere meno competitivi,
meno aggressivi e più pazienti.
I soggetti con personalità di Tipo A sono più esposti alle malattie causate dallo stress. Gli individui di
Tipo A possono subire maggiore stress per due ordini di ragioni. Primo, alla luce della loro tendenza
competitive e di aggressività, possono creare realmente un maggior numero di fattori di stress nel
proprio ambiente.

L’AUTOSTIMA.

La ricerca ha trovato come le persone con un’autostima elevata soffrano meno gli effetti negativi
della stress di quelle con una bassa autostima. In genere, il primo gruppo d’individui vive un
maggior benessere e può resistere meglio agli effetti degli stressors. Inoltre, è più probabile che tale

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gruppo s’impegni in comportamenti di reazione attiva trovandosi a dover affrontare richieste molto
impegnative o duri carichi di lavoro.
Di contro, chi abbia una bassa autostima potrà scegliere di abbandonare il loro o procrastinarlo nel
tempo, rendendo anche peggiore il carico lavorativo da dover fronteggiare in seguito. Di
conseguenza, le persone con un’autostima elevata avranno più probabilità di ottenere il controllo
delle situazioni più stressanti riducendo l’ammontare di stress a cui saranno sottoposte.

L’AUDACIA.

Gli individui che abbiano punteggi maggiori in vigore, resistenza e audacia tendono ad avere un
maggior commitment interno verso le proprie attività, un focus of control interno, e a ricercare la
sfida nella vita di ogni giorno. La ricerca ha mostrato come le persone con alti punteggi in audacia
facciano esperienza di reazioni allo stress meno dure e negative rispetto a quelle con punteggi più
bassi.
L’aspetto più interessante dell’audacia è rappresentato dal locus of control. Chi abbia un locus of
control interno sia maggiormente in grado di sviluppare delle strategie di reazione attiva e
percepisca di avere il controllo ogni qualvolta si trovi a dover sopportare lo stress proveniente dalle
richieste lavorative avanzate nei suoi confronti.
Tuttavia, la ricerca ha mostrato come la relazione tra stress e locus of control possa essere più
complessa poiché chi avrà un estremo locus of control interno manifesterà la tendenza ad accusare
se stesso per gli eventi negativi mostrando, pertanto, maggior responsabilità.

IL GENERE.

Sebbene non si possa giungere a conclusioni definitive, uomini e donne non sembrano differire
significativamente nel modo di percepire i fattori di stress. Tuttavia, essi paiono affrontarli in modo
differente. Nel dettaglio, le donne ricercano un maggior supporto sociale ed emotivo, ricercano un
maggior supporto sociale di tipo strumentale, s’impegnano in un dialogo interiore più positivo, e si
mostrano più riflessive. Il supporto sociale tende a essere una strategia di risposta efficace.
La ricerca conferma come, rispetto agli uomini, le donne si trovino di fronte a una maggior varietà
di stressors nel luogo di lavoro. Alcuni studi che confrontino direttamente lo stress subito sul lavoro
da uomini e donne affermano come, nel complesso, queste ultime siano esposte a un maggior
numero di situazioni di stress. Un motivo di ciò è che le donne siano maggiormente esposte al
rischio di bullismo e aggressione rispetto agli uomini.

LE CONSEGUENZE DELLO STRESS A LIVELLO INDIVIDUALE E ORGANIZZATIVO.

A questo punto, dovrebbe essere chiaro come lo stress sia di detrimento allo sviluppo di
organizzazione ad alto coinvolgimento e ad alta performance. Queste ultime richiedono che i
dipendenti siano impegnati e motivati a conseguire alti livelli di performance e che le loro capacità
individuali siano utilizzate nella maniera più efficiente e produttiva possibile. Tuttavia, le
conseguenze dello stress lavorativo possono ostacolare i tentativi dei manager di sviluppare un
ambiente simile.

LE CONSEGUENZE A LIVELLO INDIVIDUALE.

Le conseguenze dello stress a livello individuale possono essere distinte in psicologiche,


comportamentali e fisiologiche.

LE CONSEGUENZE PSICOLOGICHE.

Le reazioni psicologiche allo stress includono ansietà, depressione, bassa autostima, insonnia,
problemi familiari e spossatezza. Alcune di queste reazioni psicologiche sono più gravi di altre: la

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loro importanza ed effetto complessivo sul comportamento individuale e sulle condizioni fisiche
dell’individuo dipendono dal loro grado.
Un importante problema psicologico è rappresentato dalla spossatezza. Manager e dipendenti che
si trovino in uno stato di spossatezza mostrano scarso entusiasmo per il proprio lavoro e sono
costantemente affaticati. Questi individui si lamentano spesso del proprio lavoro e poco cooperativi
nei confronti dei colleghi. La spossatezza avviene spesso in lavori che richiedano un impegno deciso,
a stretto contatto con gli altri e in condizioni emotivamente intense.

LE CONSEGUENZE COMPORTAMENTALI.

Le conseguenze comportamentali dello stress includono il fumo eccessivo, l’abuso di sostanze,


l’inclinazione agli incidenti. Probabilmente, la più grave delle conseguenze a livello
comportamentale è data dall’uso di sostanze alcoliche/droghe e dalla violenza.
Alcuni studi hanno mostrato come, nella forza lavoro, chi faccia uso di alcol o di droghe riporti, poi,
le seguenti caratteristiche:

• Minor produttività rispetto agli altri dipendenti;


• Ricorso al triplo dei giorni di riposo per causa malattia;
• Esposizione di se stessi e dei colleghi a rischi di sicurezza a causa di una ridotta capacità di
valutazione e giudizio;
• Cinque volte una maggior probabilità di reclamare per il proprio compenso;
• Elevato assenteismo dal lavoro per via dei postumi dell’uso di tali sostanze;
Sebbene vi siano molte ragioni per l’abuso di alcol e droghe, sono molti a farne uso come strumento
per combattere lo stress. L’alcol è un depressivo capace di ridurre le reazioni emotive: alcuni studi
hanno trovato come l’alcol abbia un effetto contenuto; tuttavia, passando da un consumo moderato
a uno più elevato, l’alcol possa sostanzialmente ridurre la tensione, l’ansietà, la paura e altre reazioni
emotive a situazioni di disturbo.
Le droghe possono avere lo stesso effetto. Alcol e droghe, quindi offrono alle persone gli strumenti
per limitare le proprie reazioni allo stress nel momento in cui perdano il controllo della situazione.
Naturalmente, le emozioni vengono soppresse fino a che l’individuo continui a consumare ampie
quantità di alcol o droghe. Poiché la situazione di disturbo, tuttavia, persiste, le reazioni emotive
ricompaiono nel momento in cui l’effetto delle droghe o dell’alcol inizi a svanite portando a un
utilizzo ripetuto e costante di tali sostanze. Un’altra conseguenza molto grave dello stress sul posto di
lavoro è rappresentata dal corso alla violenza. La violenza sul lavoro può essere di tipo fisico o
mentale.

LE CONSEGUENZE FISIOLOGICHE.

Le reazioni fisiologiche allo stress includono alta pressione sanguigna, tensione muscolare, mal di
testa, indebolimento del sistema immunitario. Lo stress è stato collegato anche ai problemi di
obesità. Lo stress può essere ricollegato direttamente a problemi fisiologici o può peggiorare le
condizioni già esistenti. Come abbiamo già menzionato, si è stimato che il 75% di tutti i problemi a
livello medio siano direttamente attribuibili allo stress. I malanni fisici notati in precedenza possono
ridurre la produttività sul lavoro incrementando l’assenteismo.
Lo stress cronico e la risposta fisiologica che ne deriva a portare all’affiorare di malanni fisici. Il
corpo umano non si è ancora ben adattato a un ambiente di stress continuo. Pertanto, le risposte
individuali nei suoi confronti possono essere gravi e molto costose.

LE CONSEGUENZE A LIVELLO ORGANIZZATIVO.

Lo stress implica conseguenze sia per le organizzazioni che per gli individui. Tali conseguenze fanno
seguito agli effetti causati dallo stress su questi ultimi, tra cui la bassa motivazione, l’insoddisfazione,
il maggior assenteismo e la minor qualità delle relazioni lavorative. La ricerca ha mostrato l’esistenza
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di forti collegamenti tra stress, insoddisfazione lavorativa. Le malattie legate allo stress costano alle
imprese milioni di dollari in assicurazioni e richieste di risarcimento danni da parte dei lavoratori.
In più, le conseguenze dello stress a livello individuale possono causare problemi a livello
organizzativo: ad esempio, i problemi comportamentali e le conseguenze psicologiche possono
ridurre la qualità delle relazioni con i colleghi causando sfiducia, animosità e interruzione delle
comunicazioni. Qualora le persone si assentino sovente dal lavoro per malattie dovute allo stress, i
colleghi potrebbe risentirsi ritenendosi infastiditi dal doversi prendere cura del loro lavoro durante la
loro assenza.

GESTIRE LO STRESS SUL LUOGO DI LAVORO.

Manager e dipendenti possono implementare un’ampia gamma di tattiche per gestire efficacemente
lo stress. Allo stesso modo, le organizzazioni possono essere d’aiuto nell’alleviare lo stress
mostrandosi consapevoli delle condizioni lavorative stressanti capaci di condurre a situazioni di
stress.

LA GESTIONE DELLO STRESS A LIVELLO INDIVIDUALE.

In base ai modelli sullo stress, manager e dipendenti possono evitare tale fenomeno trovando lavori
che possano fornire loro un equilibrio accettabile a livello personale tra domanda e controllo, e tra
sforzo effettuato e ricompensa ricevuta. Essi possono anche richiedere che un lavoro reputato
disfunzionale possa essere ridisegnato. Inoltre, possono evitare o ridurre parte dello stress subito
seguendo le tattiche di equilibrio tra vita lavorativa e privata. Al di là di ciò, gli individui possono
adottare svariate tattiche positive per affrontare e gestire meglio lo stress. L’obiettivo è sviluppare il
modo migliore per affrontarlo. Poiché le fonti di stress sono le più varie, è più fruttuoso ricorrere
all’uso di tattiche differenti.
Una delle più importanti è costituita dall’esercizio regolare. Tre aree sono particolarmente
importanti:

• Resistenza: le attività di resistenza mantengono o incrementano la capacità aerobica. Non è


necessario svolgere un numero esagerato di esercizi di resistenza: un esercizio moderato migliora
la forma fisica riducendo la mortalità;
• Forza: le attività di rafforzamento mantengono o migliorano la massa muscolare e possono
impedire il rischio di perdita della massa ossea. Le attività chiave includono l’allenamento del
peso e l’aerobica in acqua;
• Flessibilità: le attività per la flessibilità mantengono o migliorano la condizione fisica;
Una seconda tattica per affrontare lo stress è seguire una dieta appropriata. La dieta influisce
sull’energia, sui riflessi e sul benessere complessivo. Primo, è importante monitorare il consumo dei
grassi. Secondo, è importante consumare un certo ammontare di fibre, sia solubili che insolubili.
Terzo, anche il consumo di calcio è importante. Quarto, può essere utile consumare cibi ricchi di
anti-ossidanti, quest’ultimi sembrano utili nell’impedire i danni causati dalle normali operazioni
compiute dal corpo e che implichino consumo di ossigeno.
Nel mondo di oggi, implementare una dieta appropriata può essere difficile. Il tempo per fare la
spesa e cucinare è spesso limitato. Molte imprese rendono la situazione anche peggiore fornendo o
facilitando il consumo di cibo spazzatura.
Una terza tattica per affrontare lo stress implica lo sviluppo e utilizzo di network di supporto sociale.
Il supporto sociale è molto importante. La ricerca ha dimostrato come tale supporto sia correlato
positivamente al funzionamento cardio-vascolare e correlato negativamente al livello di stress
percepito, ansietà e depressione. Avere una famiglia e degli amici con cui parlare dei propri
problemi può essere molto utile. Avere una famiglia o degli amici che possano offrire risorse e
consigli utili, e che aiutino a infrangere le barriere può altresì essere molto utile.

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Una quarta tattica implica l’uso di tecniche di rilassamento. Altre tattiche includono lo sviluppo e
utilizzo di abilità di pianificazione, l’essere realisti riguardo a ciò che possa davvero essere
conseguito, e l’evitare una competizione non necessaria.

LA GESTIONE DELLO STRESS A LIVELLO ORGANIZZATIVO.

Le organizzazioni possono aiutare a ridurre lo stress o aiutare manager e dipendenti a gestirlo più
efficacemente. Per ridurre lo stress, si possono intraprendere le seguenti azioni:

• Incrementare l’autonomia e il controllo individuali: secondo il modello domanda-controllo, un


incremento del controllo dovrebbe aiutare a mantenere lo stress entro livelli gestibili;
• Assicurare che gli individui siano remunerati in modo appropriato: secondo il modello di
squilibrio tra sforzo e ricompensa, una remunerazione appropriata dovrebbe aiutare a mantenere
lo stress entro livelli gestibili;
• Mantenere le richieste/esigenze del lavoro entro livelli accettabili;
• Assicurarsi che i dipendenti abbiano abilità adeguate per mantenersi al passo con i mutamenti;
• Incrementare il coinvolgimento dei dipendenti nei processi decisionali importanti;
• Migliorare le condizioni lavorative a livello fisico;
• Offrire sicurezza lavorativa e programmi di sviluppo delle carriere, come opportunità di
formazione tali che i dipendenti possano migliorare costantemente le proprie abilità a livello
tecnico;
• Offrire programmi e orari di lavoro che non siano contrari alla salute;
• Migliorare la comunicazione per evitare incertezze e ambiguità;

In aggiunta alle azioni intraprese per ridurre lo stress, le organizzazioni possono aiutare i propri
manager e dipendenti a gestire lo stress e gli effetti conseguiti. Specificamente, esse possono
incoraggiare alcuni manager a comportarsi da addetti alle tossine implementando programmi di
benessere. Gli addetti alle tossine sono persone che prendano su di sé il peso dei fattori di stress
facenti parte della vita giornaliera delle organizzazioni.
In mancanza del supporto di questi eroi organizzativi, la produttività e il benessere ne soffrirebbero
inevitabilmente. I manager possono divenire più efficienti, oltre che compassionevoli addetti alle
tossine. Si possono classificare i seguenti comportamenti necessari per poter gestire il dolore, la
tensione e lo stress altrui:

• Leggere il proprio stato emotivo e altrui, e capire l’impatto che tale stato potrebbe avere sugli altri;
• Mantenere le persone connesse tra loro;
• Creare empatia con chi soffra;
• Agire per alleviare la sofferenza altrui;
• Sollecitare le persone nel sapere come affrontare le difficoltà;
• Creare un ambiente in cui il comportamento compassionevole verso gli altri sia sempre
incoraggiato e premiato;

I programmi di benessere sono strumenti molto popolari adottati dalle organizzazioni per gestire
efficacemente lo stress e gli effetti che ne possano derivare. Tali programmi includono esami e
consulenze per la salute, programmi di gestione del rischio, controllo del peso ed esercizio.
L’obiettivo principale è sviluppare/mantenere una forza lavoro produttiva e in salute. In alcune
organizzazioni, sono previsti istruttori in campo sanitario.
Questi istruttori offrono una consulenza sulla base delle informazioni ottenute attraverso l’esame
della salute dei dipendenti e fornendo loro le prescrizioni mediche necessarie. La ricerca suggerisce
come i programmi per il benessere forniscano benefici sia agli individui che alle organizzazioni.
Come tali, le imprese richiedono la partecipazione di quanti più individui possibile: la
partecipazione, tuttavia, è volontaria.

71
CAPITOLO 8: LA LEADERSHIP.

LA NATURA DELLA LEADERSHIP.

Solitamente, il successo o le colpe del fallimento di un’organizzazione sono attribuite ai suoi leader.
La leadership è sta definita in molti modi, ma la maggior parte delle definizioni enfatizza il concetto
d’influenza. Definiamo la leadership come il processo del fornire la direzione generale e
dell’influenzare gli individui o i gruppi nel conseguimento degli obiettivi. Un leader può essere
designato formalmente dall’organizzazione (leader formale) o può fornire una leadership anche in
assenza di tale designazione formale (leader informale).
I leader possono svolgere molte attività per fornire la direzione e influire sulle persone. Tali attività
includono fornire informazioni, risolvere conflitti, motivare il personale, anticipare i problemi,
sviluppare il rispetto reciproco tra i membri del gruppo, e coordinare le attività e gli sforzi di un
gruppo. I leader efficaci siano concentrati sul fare la cosa giusta anziché fare le cose bene. Le cose
giuste, includono:

• Creare e comunicare la visione di ciò che l’organizzazione dovrebbe essere;


• Comunicare e ottenere il supporto di molti individui;
• Persistere nella direzione auspicata anche in condizioni sfavorevoli;
• Creare la cultura appropriata e conseguire i risultati desiderati;

Da questa definizione di leadership, i presidenti delle imprese e molti manager possono essere
identificati come leader. Molti si comportano da leader formali o informali e quasi chiunque
potrebbe agire come un leader. Tuttavia, alcune posizioni offrono maggiori opportunità rispetto ad
altre e non tutti quelli che ricoprano posizioni che abbiano bisogno di una condotta da leader lo
sono poi effettivamente.

LA TEORIA SUI TRATTI DELLA LEADERSHIP.

Tempo fa, si credeva che alcune persone nascessero con certi tratti in grado di renderle dei leader
efficaci, mentre altre potessero nascere in assenza di tali tratti. L’elenco dei tratti generati da questa
prima ricerca era considerevole e includevano caratteristiche fisiche, caratteristiche della personalità
e le abilità.Tale ricerca iniziale è stata criticata per varie ragioni, la metodologia utilizzata per
identificare i tratti era da ritenersi scadente; gli investigatori si limitavano a generare degli elenchi di
tali tratti tramite il mero confronto tra persone etichettate come leader e persone che non lo fossero.
Una seconda critica consisteva nel fatto che la lista dei tratti associati alla leadership fosse cosi ampia
da non avere alcun senso. Una terza critica consisteva nel fatto che i risultati di questa ricerca fossero
incoerenti. Infine, nessun tratto della leadership aveva una correlazione coerente con la performance
di un’unità organizzativa o di un’intera organizzazione, e situazioni differenti sembravano richiedere
tratti anch’essi eterogenei.
La nozione dei tratti della leadership è stata riveduta negli ultimi anni. La ricerca ha dimostrato
come, solitamente, i leader siano diversi dalle altre persone. In più, oggi si crede che molti dei tratti
posseduti dai leader possano essere appresi o sviluppati nel tempo. Perché si possa avere un leader
forte occorrono delle azioni specifiche. La misurazione e comprensione delle caratteristiche
personali è migliorata dall’inizio del ventesimo secolo e la ricerca più moderna ha proposto come i
tratti più importanti della leadership possano essere catalogati nel modo seguente:

• Drive: la grinta si riferisce all’ammontare di ambizione, persistenza, tenacia e iniziativa


posseduto dalle persone;
• Motivazione alla leadership: si riferisce al desiderio di una persona di condurre e influenzare
gli altri, assumersi le proprie responsabilità, e ottenere potere. Qui occorre distinguere tra due tipi
di motivazioni al raggiungimento del potere: una motivazione al potere di tipo sociale nel
momento in cui utilizzino il potere per raggiungere obiettivi che siano nel miglior interesse

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dell’organizzazione o dei propri follower; e una motivazione personale al raggiungimento del
potere nel momento in cui si desideri avere potere per il mero desiderio di esercitarlo sugli atri;
• Integrità: i leader onesti sono leali e mantengono coerenza tra ciò che dicano e ciò che facciano;
• Sicurezza di sé: i leader devono essere certi delle proprie azioni e saper mostrare agli altri tale
sicurezza;
• Abilità cognitiva: i leader che possiedano un livello elevato d’intelligenza hanno maggiori
capacità di processare informazioni complesse e risolvere problemi, sapendo gestire le complessità
di un ambiente in continuo mutamento;
• Conoscenza del dominio: la conoscenza del contesto in cui si operi permette ai leader di
prendere decisioni più azzeccate, anticipare problemi futuri e capire in anticipo le implicazioni
delle proprie scelte;
• Apertura a nuove esperienze: l’apertura a nuove idee e approcci è associato alla flessibilità;
• Estroversione: i leader che siano a proprio agio nel circondarsi di altre persone preferiscono
mantenere un ritmo vigoroso e ricercano l’eccitazione avendo maggiori probabilità di essere pro-
pro-attività nell’affrontare sia i problemi che le opportunità.

La maggior parte degli studi in tema di leadership ha concluso come questi tratti siano molto
rilevanti. Tuttavia, come notato, sebbene possono occorrere dei tratti specifici perché un individuo
possa rivelarsi un leader efficace, sostanzialmente questi dovrà passare all’azione per poter avere
successo. Inoltre, è altresì importante carisma.
Solitamente, il carisma è definito dagli effetti che sia in grado di suscitare sui follower. I leader
carismatici ispirano i propri follower a cambiare i propri bisogni e valori, a seguirne la visione e a
sacrificare l’interesse personale per il bene della causa. Tradizionalmente, si pensava al carisma
come a un tratto della personalità. Tuttavia, la concettualizzazione del carisma come un mero tratto
della personalità è stata sottoposta a svariate critiche. In aggiunta, è stato difficile definirne il
concetto con precisione, e vari leader hanno esibito il proprio carisma in modi differenti.

LE TEORIE COMPORTAMENTALI SULLA LEADERSHIP.

In risposta al forte affidamento sulla teoria dei tratti della leadership e alla nozione secondo cui si sia
leader dalla nascita e non lo si possa diventare, sono stati condotti degli importanti progetti di ricerca
per esaminare che cosa davvero debbano fare i leader per dimostrarsi efficaci. Principalmente, tali
ricerche si sono concentrate sullo stile di leadership. Sebbene il pensiero manageriale e l’indagine dei
ricercatori siano andate ben oltre i risultati ottenuti, tali lavori hanno fornito una base per delle
teorie più moderne.

GLI STUDI DELL’UNIVERSITÀ DEL MICHIGAN.

Gli studi sulla leadership hanno riguardato sia le organizzazioni pubbliche che private, testando
diversi settori nel business. Sotto esame sono stati due diversi stili comportamentali del leader: lo stile
job-centered (ossia incentrato sul lavoro) e lo stile empliyee-centered (ossia incentrato
sul lavoratore).
Il leader focalizzato sul lavoro pone maggior enfasi sui compiti che debbano essere svolti dai
lavoratori e sui metodi adottati per portarli a compimento. Questo tipo di leader visiona gli individui
da vicino assumendo, a volte, un comportamento punitivo.
Di contro, un leader focalizzato sui lavoratori pone maggior enfasi sui bisogni personali
dell’individuo e sullo sviluppo delle relazioni interpersonali. Questo tipo di leader è solito delegare
sia l’autorità decisionale sia la responsabilità, creando un ambiente di supporto e incoraggiando la
comunicazione interpersonale.
Per misurare questi stili di leadership, i vari leader intervistati hanno dovuto compilare un
questionario riguardante diversi aspetti. In base alle risposte fornite, essi sono stati, poi, classificati
come focalizzati sul lavoro o sul lavoratore.

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L’efficacia di questi leader è stata esaminata in seguito misurando fattori come la produttività, la
soddisfazione lavorativa, l’assenteismo e il tasso di turnover dei loro follower. I risultati di tali studi
sono stati divergenti: in alcuni casi, le unità i cui leader abbiano utilizzato uno stile incentrato sul
lavoro si sono mostrate più produttive; mentre, in altri sono state più produttive quelle unità che
siano state guidate secondo uno stile più focalizzato sul lavoratore.
In più anche quando la produttività sia stata maggiore, i follower di un leader focalizzato sul lavoro
hanno mostrato livelli di soddisfazione inferiori rispetto a quelli che abbiano operato sotto una
leadership incentrata su di loro. Pertanto, molti dei ricercatori coinvolti in tali studi hanno
determinato come lo stile incentrato sul lavoratore fosse senz’altro il più efficace. Le situazioni in cui
i leader focalizzati sul lavoro abbiano mostrato efficacia non hanno ottenuto una spiegazione chiara.
In più, oltre allo stile, altri fattori sembrano aver intuito sul livello di efficacia di un leader: un leader
poteva essere stato classificato come focalizzato sul lavoro o sul lavoratore, ma non poteva possedere
caratteristiche comuni a entrambi gli stili. Si è trattato di un’eccessiva semplificazione che ha influito
certamente sui risultati della ricerca.

GLI STUDI DELL’OHIO STATE UNIVERSITY.

Più o meno in contemporanea a tali studi si sono condotti altri studi che si preoccupano di studiare
la leadership. Tali studi hanno posto maggior enfasi su una visione bi-dimensionale del
comportamento del leader. Le due dimensioni indipendenti di tale comportamento erano la
struttura iniziale e la considerazione.
La struttura iniziale indica un comportamento che stabilisca dei modelli ben definiti di
organizzazione e comunicazione, definisce le procedure, e delinea le relazioni che i leader debbano
intrattenere con coloro che si muovano sotto la loro guida. I leader che diano avvio alla struttura
enfatizzano gli obiettivi e le scadenze, assicurandosi che i compiti vengano assegnati con precisione a
ciascun lavoratore e che questi ultimi abbiano una conoscenza chiara della performance che ci si
attenda dal loro operato.
La considerazione si riferisce a un comportamento che esprime amicizia, sviluppi rispetto e
fiducia reciproca, e crei delle relazioni interpersonali forti con chi operi sotto la guida del leader. I
leader che esibiscano considerazione offrono supporto ai propri dipendenti, adottano le loro idee e,
spesso, permettono la loro partecipazione al processo decisionale.
Questi due concetti sono simili a quelli utilizzati nell’altro studio. Infatti, il concetto di struttura
iniziale è simile a quello di leadership incentrata sul lavoro, mentre il concetto di considerazione è
simile a quello di leadership incentrata sul lavoratore. La differenza più importante consiste nel fatto
che i leader possano esibire caratteristiche di entrambi. Pertanto, un individuo potrebbe essere
classificato in ognuno dei quattro riguardi. SCHEMA PAGINA 253.
Vari studi hanno esaminato il legame esistente tra queste due dimensioni del comportamento da
leader e il suo livello di efficacia. I risultati delle prime indagini hanno suggerito come i leader con
valori elevati sia nella struttura iniziale che nella considerazione fossero più efficaci degli altri.
Tuttavia, studi successivi hanno mostrato come la relazione tra il comportamento da leader e la sua
efficacia fosse più complessa. In aggiunta a ciò, va detto come ognuna delle dimensioni del
comportamento da leader possa influire sui risultati in diversi modi: strutturare potrebbe avere
maggiori effetti sulla produttività, la considerazione sembrerebbe avere maggiori effetti sulla
soddisfazione.
Teorie più recenti sulla leadership, tuttavia, presentano una visione più complessa e più completa.

LA TEORIA SULLE CONTINGENZE IN TEMA DI LEADERSHIP.

Gli studi sui concetti di tratti e comportamenti da leader evidenziano l’impatto dei fattori
situazionali sul livello di efficacia di un leader. Tali ricerche hanno condotto altri studiosi a
concludere come le pratiche per una leadership efficace siano continenti alla situazione. Pertanto,
sono state sviluppate alcune teorie sulle contingenze della leadership: le due più note sono la teoria
sull’efficacia della leadership e la teoria del percorso-obiettivo.

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LA TEORIA DELLE CONTINGENZE DI FIEDLER SULL’EFFICACIA DELLA LEADERSHIP.

La teoria delle contingenze sull’efficacia della leadership. Secondo tale teoria, l’efficacia di
un leader dipende dall’interazione tra il suo stile comportamentale e certe caratteristiche relative alla
situazione specifica.

LO STILE DEL LEADER.

Ovviamente, leader differenti possono mostrare diversi stili comportamentali. Il comportamento del
leader si basi sui suoi bisogni motivazionali, tra cui i più importanti sono quelli relativi alle relazioni
interpersonali e al conseguimento dei compiti da svolgere.
Per un leader, la relative importanza di tali bisogni ne determinerà lo stile. Per determinare quale
bisogno sia il più forte, occorrerà operare una stima rispetto al collega meno apprezzato. Se i leader
descriveranno tale individuo in termini sostanzialmente negati, essi otterranno un basso punteggio
di LPC (least preferred co-worker).
Se i leader descriveranno tale individuo in termini sostanzialmente negativi, essi otterranno un basso
punteggio LPC, stante a indicare un leader orientato ai compiti la cui realizzazione costituisca il
bisogno prioritario. I leader che descriveranno il loro collega meno apprezzato in termini positivi
riceveranno un punteggio LPC elevato, stante a indicare come il leader prediliga uno stile orientato
alle relazioni in cui i rapporti interpersonali siano la priorità.

LE CARATTERISTICHE SITUAZIONALI.

In alcune situazioni, i leader hanno un maggior controllo dell’ambiente lavorativo. Nell’ambito della
teoria delle continenze ciò significa che i leader possano influenzare gli eventi in maniera diretta e
lavorando in modo sistematico per il conseguimento degli obiettivi. Importanti caratteristiche
situazionali che determino il livello di controllo detenuto dal leader includono le relazioni che questi
intratterrà con i membri del suo gruppo, la struttura dei compiti, e la posizione di potere.

• Le relazioni tra il leader e i membri del suo gruppo corrispondo a un livello in cui il
leader sia rispettato, sia accettato e mantenga delle relazioni interpersonali amichevoli. Se un
leader riceverà il rispetto e l’ammirazione dei suoi follower, tenderò ad avere un maggior controllo
sulla situazione, influendo più facilmente su eventi e risultati;
• La struttura dei compiti attiene al grado con cui questi ultimi possano essere suddivisi in
passaggi più comprensibili: se un leader affronterò compiti strutturati, avrà un maggior controllo
della situazione, influendo più facilmente sugli eventi e puntando al conseguimento degli obiettivi;
• La posizione di potere è il grado con cui un leader possa ricompensare, punire, promuovere o
degradare gli individui facenti parte della sua unità o organizzazione: se potrà ricompensare e
punire i sottoposti, avrà un maggior controllo e, pertanto, potrà influire maggiormente sulla
situazione.

LA FAVOREVOLEZZA DELLA SITUAZIONE.

L’ammontare di controllo di cui disponga un leader determina la favorevolezza della situazione.


Nelle situazioni più favorevoli, le relazioni tra leader e membri del gruppo saranno buone, i compiti
saranno molto strutturati, e il leader si troverà in una posizione di potere forte. Nelle situazioni meno
favorevoli, le relazioni tra il leader e i membri del gruppo saranno più scadenti, i compiti non
saranno strutturati, e la posizione di potere del leader sarà più debole. Naturalmente, le situazioni
potranno variare tra questi due estremi.

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L’EFFICACIA DELLA LEADERSHIP.

L’efficacia di un leader è determinata dall’interazione tra il suo stile di leadership comportamentale


e la favorevolezza delle caratteristiche situazionali. L’efficacia di un leader darà giudicata in base alla
performance del gruppo da lui guidato.
La ricerca sul modello delle contingenze ha scoperto come i leader orientati ai compiti fossero più
efficaci in situazioni molto favorevoli e molto sfavorevoli, mentre quelli orientati alle relazioni fossero
più efficaci in situazioni di favorevolezza intermedia. Più nel dettaglio, la correlazione tra i punteggi
LPC e la performance di gruppo in situazioni favorevoli e sfavorevoli era negativa (la performance
era stata migliore quando il punteggio LPC fosse stato anch’esso minore). La correlazione tra i
punteggi LPC e la performance di gruppo in situazioni di favorevolezza intermedia era positiva (la
performance era stata maggiore quando il punteggio LPC fosse stato anch’esso maggiore).
Fiedler ha anche trovato come i leader potessero agire diversamente in situazioni differenti: quelli
orientati alle relazioni mostravano spesso comportamenti di orientamento ai compiti in condizioni
molto favorevoli mostrando, invece, un comportamento orientato alle relazioni in situazioni
sfavorevoli o di favorevolezza intermedia; di contro, quelli orientati ai compiti mostravano spesso
comportamenti di orientamento ai compiti in situazioni favorevoli. Tali risultati aiutano a spiegare la
ragione per cui vari stili di leadership siano efficaci in situazioni differenti.
Le situazioni favorevoli non hanno bisogno di grande supervisione o d’input frequenti focalizzati
sui compiti da parte dei leader. Infatti, i compiti possono essere eseguiti anche impartendo minori
direttive da parte del leader. I bisogni interpersonali del leader orientato ai compiti si attivano nelle
situazioni favorevoli; tuttavia, il bisogno di conseguire risultati da parte del leader orientato alle
relazioni si attiva nelle situazioni favorevoli. Pertanto, il leader con un basso punteggio LPC è più
efficace nelle situazioni favorevoli poiché queste ultime richiedono un leader che offra
incoraggiamento, supporto e fiducia
interpersonale.
Le situazioni sfavorevoli necessitano di una maggior supervisione e d’input maggiormente
focalizzati sullo svolgimento dei compiti. In tali situazioni, si attivano i bisogni naturali dei leader
con alti punteggi LPC per le relazioni interpersonali, e ciò crea difficoltà. D’altro canto, sono attivati
i bisogni naturali dei leader con bassi punteggi LPC per il conseguimento dei compiti, e ciò si abbina
alle esigenze della situazione. Le situazione di favorevolezza intermedia non prevedono alcuno di
questi estremi.
Quindi, secondo il modello delle contingenze, un leader non può essere efficace in ogni situazione
esibendo un unico stile di leadership. Gli individui dovrebbero essere sempre abbinati alle situazioni
specifiche, associando a ognuna di esse coloro i cui stili di leadership siano probabilmente più
efficaci. In mancanza di tale abilità di assegnazione specifica di un leader, le caratteristiche della
situazione dovrebbero essere modificate per offrire un abbinamento efficace tra lo stile del leader e la
favorevolezza della situazione.
Fiedler ha condotto un’ampia ricerca sul modello delle contingenze e la maggior parte dei suoi studi
ha trovato supporto per tale modello.
Inoltre, l’osservazione generale secondo cui, dopo aver cambiato lavoro, i leader che abbiano avuto
successo in passato non possano ottenere sempre una buona performance supporta l’idea centrale
della teoria di Fiedler: i leader hanno un certo stile e non possono adattarsi facilmente a un nuovo
contesto. Nel suo complesso, la ricerca ha offerto i risultati contraddittori.
Una prima questione è rappresentata dalla semplicità del modello: esso incorporato solo due ristretti
stili di comportamento.
In più, esso non spiega i risultati per il leader con un punteggio LPC medio: è interessante notare
come parte della ricerca abbia suggerito che quest’ultima tipologia di leader possa essere più efficace
sia di quella con un elevato punteggio LPC che di quella con un basso punteggio. Un’altra questione
ha riguardato la validità dell’indice LPC come unità di misura: invero, la critica afferma come vi
siano altre misure del comportamento del leader ben più valide e affidabili. Un’ultima questione ha
riguardato l’incapacità del modello d’individuare in modo esplicito il livello di soddisfazione dei

76
follower nei confronti del proprio leader; e ciò malgrado alcune ricerche abbiano scoperto come il
modello fosse in grado di prevedere tale livello di soddisfazione.
Le suddette critiche non sminuiscono, tuttavia, l’importanza del modello di Fiedler. Esso rappresenta
uno dei primi e più esaurienti tentativi di trovare una spiegazione a un argomento cosi complesso.

LA TEORIA DEL PERCORSO-OBIETTIVO SULLA LEADERSHIP (1970/1971).

La teoria del percorso-obiettivo in tema di leadership si basa sul concetto di aspettativa e


prende spunto dagli studi in tema di motivazione, essa enfatizza l’influsso del leader sugli obiettivi
dei subordinati e sui percorsi adorati per il conseguimento di tali obiettivi. Pertanto, si tratta di una
teoria in grado di offrire un ponte di collegamento tra gli studi più datati e quelli più moderni in
tema di
leadership.
Le aspettative si riferiscono alla probabilità percepita di conseguire un’obiettivo; la valenza
corrisponde al valore o attrattivi di tale conseguimento. La leadership può influire sulle aspettative e
valenze dei dipendenti in diversi modi:
• Facilitando gli sforzi dei lavoratori nel conseguimento degli obiettivi: i leader efficaci aiutano i
dipendenti a credere che i loro sforzi nell’esecuzione di un determinato compito conducano al
conseguimento dell’obiettivo;
• Legando le ricompense estrinseche al conseguimento degli obiettivi stabili;
• Legando gli individui ai compiti il cui completamento abbia un valore personale: in altre parole, i
leader possono assegnare gli individui ai compiti che essi valutino come più gratificanti;

Queste tattiche messe in atto dai leader incrementano l’efficacia poiché i dipendenti ottengono una
performance migliore a seguito di un incremento nella loro motivazione.

IL COMPORTAMENTO DEL LEADER E I FATTORI SITUAZIONALI.

La teoria del percorso-obiettivo si focalizza su vari tipi di comportamento assunti dai leader rispetto
ai fattori situazionali. I comportamenti principali sono i seguenti:

• Leadership direttiva: è un comportamento caratterizzato dall’implementazione di linee guida


secondo cui occorra fornire informazioni su ciò che ci si aspetti e, altresì, fissare dei precisi
standard di performance, assicurando che gli individui seguano e rispettino le regole;
• Leadership di supporto: è un comportamento caratterizzato dall’essere amichevoli mostrando
interesse per il benessere e i bisogni dei propri follower;
• Leadership orientata al conseguimento: è un comportamento caratterizzato dalla fissazione
di obiettivi impegnativi con una ricerca costante del miglioramento della performance;
• Leadership partecipativa: è un comportamento caratterizzato dalla condivisione delle
informazioni, dal consultarsi con i sottoposti e da una continua enfasi sul processo decisionale di
gruppo;

La leadership direttiva e quella orientata al conseguimento sono entrambe collegate ai precedenti


concetti di stile incentrato sul lavoro e di orientamento ai compiti. La leadership di supporto e quella
partecipativa, invece, sono legate ai concetti di stile incentrato sul lavoratore, di considerazione e di
orientamento interpersonale.
vi sono du insiemi di fattori situazionali: le caratteristiche dei subordinati e quelle dell’ambiente
lavorativo. L’efficacia dei comportamenti del leader dipende da tali fattori situazionali.

L’INTERAZIONE TRA COMPORTAMENTO DEL LEADER E FATTORI SITUAZIONALI.

La teoria del percorso-obiettivo specifica un certo numero d’interazioni tra il comportamento del
leader e i fattori situazionali: tali interazioni sono in grado d’influire sui risultati. Tuttavia, la ricerca

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ha offerto solo un parziale supporto alla teoria giacché i suoi risultati sono in contraddizione. Le
relazioni che sembrano avere maggior validità sono:

- È provabile che i dipendenti con un locus of control interno siano soddisfatti se guidati da un
leader partecipativo. È probabili che gli individui con un locus of control esterno siano più efficaci
se guidati da leader direttivi;
- È probabile che i dipendenti con un elevato bisogno di affiliazione siano soddisfatti se guidati da
un leader di supporto, questi fanno in modo di realizzare le loro necessitò di coltivare relazioni
personali più intime;
- È probabile che i dipendenti con un elevato bisogno di sicurezza siano soddisfatti se guidati da un
leader direttivo capace di ridurre lo stato d’incertezza attraverso la fornitura di regole e procedure
chiare;
- È più probabile che i leader di supporto e partecipativi incrementino la soddisfazione nei compiti
molto strutturati. E più probabile che i leader direttivi incrementino la soddisfazione nei compiti
non strutturati, dove gli individui abbiano frequente bisogno d’aiuto nell’ottenere chiarimenti a
seguito dell’ambiguità della situazione;
- La leadership direttiva è spesso più efficace nei compiti non strutturati poiché essa può
incrementare le aspettative di un dipendente riguardo al fatto che lo sforzo condurrò all’obiettivo
sperato. La leadership di supporto è spesso più efficace nei compiti strutturati poiché essa può
aumentare le aspettative di un dipendente riguardo al fatto che il conseguimento degli obiettivi
condurrà all’ottenimento di una ricompensa estrinseca;
- È probabile che i dipendenti con un elevato bisogno di crescita e che stiano lavorando su un
compito complesso ottengano una performance migliore se guidati da un leader partecipativo o
orientato al conseguimento: poiché intrinsecamente motivati, essi apprezzeranno le informazioni
e gli obiettivi più difficili. Di contro, è più probabile che i dipendenti con un basso bisogno di
crescita e che lavorino su un compito complesso ottengano una performance migliore se guidati
da leader direttivi;

Benché qualsiasi fattore situazionale possa ricoprire un ruolo nell’efficacia del leader, questi sin qui
discussi hanno dimostrato di essere molto importanti.

CONCLUSIONI RIGUARDANTI LE TEORIE SULLE CONTINGENZE.

I concetti sulle contingenze della leadership sono più difficili da applicare rispetto a quelli sui tratti o
sui comportamenti poiché molto più complessi. Tuttavia, quando adottati in maniera appropriata,
sono più pratici e dovrebbero portare a maggiori livelli di efficacia. In essenza, essi richiedono ai
leader di operare una corretta diagnosi della situazione e d’identificare i comportamenti da ritenersi
più appropriati. Inoltre, le teorie sulle contingenze implicano che un leader possa aver bisogno di
modificare il proprio approcci nel tempo: infatti, i livelli di abilità ed esperienza dei suoi sottoposti
tenderanno a mutare nel tempo, cosi come avverrà per altre peculiarità della situazione; ciò
consiglia come il leader possa dover cambiare il proprio approccio nel corso del tempo.
Infine, la teoria del percorso-obiettivo implica che i leader possano dover trattare gli individui in
modo diverso, pur all’interno della stessa unità o organizzazione: se gli individui facenti parte di
un’unità dovessero essere diversi tra loro, allora i leader potrebbero avvantaggiarsi dall’approcciarli
in modi differenti, almeno fino a una certa soglia.
Per avere successo, i leader dovranno agire in modi che siano compatibili con la situazione in cui
vengano a trovarsi. Le teorie sulle contingenze della leadership hanno ricevuto minor attenzione
negli ultimi anni. Il dinamico ambiente di business e i continui mutamenti tecnologici degli ultimi
due decenni si sono combinati insieme creando il bisogno di individuare un nuovo e diverso
approccio alla leadership.

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LA LEADERSHIP TRASFORMAZIONALE.

Il bisogno delle organizzazioni di mutare e adattarsi rapidamente è divenuto sempre più evidente
negli ultimi anni. Per restare competitivi, i leader devono essere in grado d’ispirare i membri delle
proprie organizzazioni e saper andare al di là dei propri compiti più usuali esercitando livelli
straordinari di sforzo e adattabilità. Come risultato di tale esigenza, sono emersi nuovi approcci alla
leadership.

Il concetto di leadership transazionale offre un buon punto di partenza. Principalmente questa


tipologia di leadership si focalizza sulle relazioni estrinseche di scambio tra i leader e i propri
follower: il riferimento è al grado con cui i leader forniscano ai follower ciò che questi ultimi
desiderino ricevere come ritorno a seguito del conseguimento di una buona performance.
Per ottenere le auspicate ricompense, i follower cercano di assecondare le richieste dei propri leader.
I leader transazionali presentano e seguenti quattro caratteristiche specifiche:


1. Capiscono ciò che i follower desiderino dal proprio lavoro e fanno in modo di riconoscere tali
ricompense;
2. Fanno in modo di chiarire i legami tra performance e ricompense;
3. Dispensano ricompense e promesse di ricompense per un livello specifico di performance;
4. Rispondono agli interessi dei follower solo qualora la performance sia soddisfacente;

I leader transazionali sono caratterizzati da comportamenti di ricompensa contingenti e da


comportamenti attivi di management-by-exception. I comportamenti di ricompensa continenti
implicano il chiarimento delle aspettative di performance, ricompensando i follower qualora tali
aspettative vengano rispettate. I leader che adottino comportamenti di ricompensa continenti
svolgono le seguenti attività:

1. Comprendono ciò che i loro follower desiderino dal proprio lavoro;


2. Fissano gli obiettivi;
3. Forniscono un feedback sulla performance;
4. Chiariscono i legami tra performance e ricompense;

Il comportamento di ricompensa contingente rappresenta un tipo di leadership di successo giacché è


correlato positivamente alla soddisfazione lavorativa dei subordinati, alle valutazioni di efficacia del
leader, alla motivazione dei follower, e alla performance lavorativa del leader e dei subordinati. Il
comportamento di management-by-exception non è, invece, cosi efficace e potrete essere
interpretato anche come troppo duro da parte dei subordinati. Esso implica il chiarimento degli
standard minimi di performance e la punizione di chi presenti una performance inferiore a tali
standard.
Infine, il comportamento di leadership del laissez-faire o leadership passiva dell’evitare è inefficace
poiché è correlato negativamente alla soddisfazione lavorativa dei follower, cosi come alla
motivazione e soddisfazione nei confronti del leader. Esso è caratterizzato da leader che non
facciano nulla. Tipicamente, questo tipo di leadership non porta a risultati positivi. In sostanza, si
tratta di una leadership espressiva di un’assoluta assenza di management.I leader che esibiscano una
leadership trasformazionale forte non assumono mai comportamenti del tipo laissez-faire.
In contrapposizione a tale approccio estrinseco di scambio, è stata individuata una diversa tipologia
di leadership: la leadership traformazionale. Essa implica il riuscire a motivare i follower a
superare ogni attesa nei loro confronti e il saper anteporre al proprio l’interesse della singola unità o
dell’intera organizzazione. I leader trasformazionali fanno le tre seguenti cose:
1. Incrementano la consapevolezza dei follower riguardo a quanto sia importante il perseguimento
di una visione o missione specifica;
2. Incoraggiano i follower ad anteporre al proprio l’interesse dell’unità, dell’organizzazione o di
una collettività anche più ampia;

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3. Coltivano le aspirazioni dei follower in modo che questi ultimi continuino a sviluppare e
migliorare se stessi preoccupandosi, contemporaneamente, di conseguire maggiori livelli di
successo;

Tre sono le caratteristiche dei leader trasformazionali a essere state ben identificate: il carisma, la
stimolazione intellettiva, e la considerazione individuale. Il carisma si riferisce all’abilità del leader
d’ispirare emozioni e passione nei suoi follower spingendoli a identificarvisi. La seconda
caratteristica la stimolazione intellettiva è l’abilità del leader di ampliare la concentrazione dei
propri follower sui vari problemi, facendo si che questi finiscano sempre per sviluppare nuove
soluzioni. I leader capaci di procurare stimolazione intellettiva riesaminano le proprie convinzioni,
vanno spesso in cerca di punti di vista differenti, e cercano di essere costantemente innovativi. Infine,
mostrare considerazione individuale significa supportare e sviluppare i propri follower cosicché
questi possano acquisire maggior sicurezza in se stessi e desiderino ottenere un miglioramento
costante del proprio livello di performance.
I leader che mostrino considerazione individuale offrono un’attenzione specifica verso ogni singolo
follower, focalizzandosi sui suoi punti di forza e agendo come guide e istruttori. Gran parte della
ricerca si è focalizzata su quale sia il comportamento dei leader trasformazionali: ossia, su cosa
facciano per divenire leader della trasformazione. La lista dei comportamenti più comuni include i
seguenti:


• Articolano una visione chiara e allettante;


• Comunicano la propria visione tramite azione personale e forme di comunicazione simbolica;
• Delegano autorità e responsabilità importanti;
• Forniscono addestramento;
• Incoraggiano l’aperta condivisione d’idee e interessi;
• Incoraggiano un processo decisionale di tipo partecipativo;
• Promuovono la cooperazione e il lavoro in team;
• Modificano la struttura organizzativa per promuovere i valori e gli obiettivi principali;

La ricerca sistematica sulla leadership trasformazionale è ancora in divenire. Tuttavia, varie


conclusioni sono ormai piuttosto chiare. Prima di tutto, i leader possono essere addestrati a esibire
comportamenti da leader trasformazionale. In secondo luogo, i leader possono manifestare sia lo
stile trasformazionale che transazionale. In terzo luogo, sia la leadership trasformazionale che
transazionale possono essere positive: la leadership transazionale è stata associata alla soddisfazione
dei follower, al loro livello di commitment e alla performance; in taluni casi, anche all’organizational
citizenship. Anche la leadership trasformazionale è stata legata alla soddisfazione e commitment dei
follower, alla performance della singola unità, oltre che alla performance organizzativa e individuale.
Vi sono, però, alcune differenze: ad esempio, gli effetti della leadership trasformazionale sembrano
essere più forti sia a livello di singola unità che a livello individuale; inoltre, i leader trasformazionali
sono visti come leader migliori dai propri follower, con maggiori probabilità che questi ultimi
possano migliorare il concetto di se stessi; infine, i leader trasformazionali sembrano essere più
efficaci nell’apportare cambiamenti significativi all’interno di un’unità o organizzazione; e ciò spiega
per quale ragione tale forma di leadership riceva cosi tanta attenzione in un mondo molto rapido
come quello odierno. Focalizzandosi sulla visione condivisa del futuro e sull’interesse collettivo, i
leader trasformazioni promuovono il cambiamento.
Entrambi i tipi di leadership possano essere efficaci: è il contesto organizzativo a poter determinare
quale tipologia enfatizzare esattamente.
Forse, la leadership transazionale dovrebbe essere utilizzata più spesso nel contesto di situazioni
stabili; di contro, forse, quella trasformazionale dovrebbe essere utilizzata più spesso nell’ambito di
situazioni più dinamiche, dove i dipendenti debbano raggiungere performance ben oltre le
aspettative, fornendo uno sforzo straordinario o mostrandosi altamente innovativi. Nel complesso,
però, un’integrazione tra leadership transazionale e trasformazionale sembra rappresentare la
strategia di leadership più efficace.

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ARGOMENTI AGGIUNTIVI DI RILEVANZA CORRENTE.
LO SCAMBIO LEADER-MEMBRO.

Il modello di scambio tra leader e membro (LMX) si basa su un’idea piuttosto semplice: il
leader sviluppa relazioni differenti con i diversi follower; ossia sviluppa relazioni positive con alcuni,
ma ne sviluppa anche di meno positive con altri. L’abilità di un dipendente di contribuire alla
performance ad alti livelli è, di certo, un fattore in grado di determinarne la relazione con il leader.
Un altro fattore è rappresentato dalla similarità tra tale dipendente e il proprio leader in termini di
personalità e interessi.
Gli individui che intrattengano relazioni positive con il leader sono i membri di un gruppo di
riferimento positivo: essi fanno esperienza di scambi caratterizzato da fiducia reciproca, mutuo
supporto e fornitura di risorse sufficienti. Inoltre, tendono a impegnarsi in comportamenti di
organizational citizenship. Gli individui che intrattengano relazioni meno positive con il leader sono
i membri di un gruppo di riferimento negativo: essi fanno esperienze di scambi caratterizzati da una
maggior formalità, minor rispetto e minori opportunità di crescita. La ricerca sul modello LMX
indica come i membri di un out-group tendano a raggiungere minori livelli di soddisfazione,
commitment e performance.
L’esistenza di un gruppo di riferimento negativo è incoerente con un approccio manageriale ad alto
coinvolgimento. Tale approccio richiede la selezione e mantenimento d’individui qualificati, di
addestramenti appropriati, e di un lavoro significativo per ciascuno di essi. Non si tratta di un mero
imperativo morale. È la performance organizzativa qui a essere al centro dell’analisi; i leader
dovrebbero offrire opportunità a tutti i lavoratori o. Quantomeno, al maggior numero possibile di
essi.

LA LEADERSHIP SERVENTE.

In modo simile alla leadership autentica, la leadership servente si sovrappone alla tradizione
trasformazionale: essa include elementi come la valutazione degli individui, lo sviluppo delle
persone, la creazione di una comunità e il possesso di saggezza. Tuttavia, il suo focus distintivo si
manifesta nell’enfasi per il servire gli altri sia all’interno che all’esterno dell’organizzazione. I leader
serventi aspirano a operare per gli altri. Essi vogliono servire i propri follower. Il loro concetto di se
stessi è un’immagine di servitori, piuttosto che di leader. Spesso, essi non ricercano ruoli di
leadership che più frequentemente, vengono loro imposti.
Non esiste una ricerca sistematica sugli effetti della leadership servente. Malgrado ciò, quella
disponibile ne evidenzia gli effetti positivi sulla soddisfazione lavorativa dei dipendenti e sul
commitmnet nei confronti dell’organizzazione. L’essenza del leader servente è portare ordine e
offrire un senso ai lavoratori. Quando questi percepiscano ordine e significato nella loro
organizzazione, di far parte di un team che si adoperi per fare qualcosa di buono, che vi sia una
ragione superiore in ciò che si faccia che vada al di là di un lavoro per ricevere lo stipendio a fine
mese, e di adoperarsi per migliorare il genere umano, si potrà sentire un’energia tutto intorno e
accadranno grandi cose.

GLI EFFETTI DEL GENERE SULLA LEADERSHIP.

In un celebre intervento ci si è occupato di spiegare per quale ragione vi siano cosi poche donne in
posizione di leadership. Il numero di donne facenti parte della forza lavoro è cresciuto molto dagli
anni 70 a oggi. Pur tuttavia, vi è sempre una certa preoccupazione per l’effetto costituito dalla parete
di vetro poiché le donne sono estremamente sottorappresentate nelle posizioni di leadership.
Per oltre quattro decenni, i ricercatori hanno investigato in tema del rapporto tra genere e leadership
nel tentativo di capire le ragioni dell’esistenza della parete di vetro. Non è stata trovata alcuna
risposta definitiva alla domanda, ma adesso conosciamo qualcosa in più. Per esempio, alcuni
credono che le donne siano ingiustamente penalizzate sul lavoro ogni qualvolta siano corrette a

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prendersi delle pause per via dei propri figli. Si tratta di un fenomeno meno prevalente nelle
professioni in cui via sia maggiore flessibilità nell’organizzazione del tempo.
Un’altra spiegazione si basa sulla ricerca secondo cui, rispetto agli uomini, le donne tendano ad
auto-promuoversi e negoziare meno. È più probabile che esse attribuiscano il proprio successo alla
fortuna o al duro lavoro rispetto agli uomini che, invece, hanno maggiori tendenze ad attribuire il
successo alle proprie qualità personali. Pertanto, le donne sembrano più riluttanti a correre rischi e a
prendere la parola in un modo che possa portarle alla conquista di un ruolo di leadership.
vi sono diverse ragioni per credere che, spesso, le donne siano leader diversi rispetto agli uomini; e vi
sono anche ragioni per credere che non vi sia alcuna differenza nel loro stile. Un argomento a
sostegno della differenza tra donne e uomini in qualità di leader è rappresentata dal modello
strutturale-culturale del comportamento da leader. Tale modello sostiene che, essendo spesso
prive di potere, le donne non ottengano il giusto rispetto nei loro riguardi; e, vista la presenza di
alcuni stereotipi provenienti da norme culturali, esse debbano comportarsi diversamente dagli
uomini per provare di potere essere leader efficaci. Nel caso non si comportino in accordo agli
stereotipi, esse riceveranno una punizione.
Inoltre, esse potrebbero anche trovarsi obbligate a conformare il proprio comportamento a certi
stereotipi di genere-ruolo. Essenzialmente, è richiesto loro di trovare un modo di essere leader
individuando, allo stesso tempo, il giusto atteggiamento per far sentire i dipendenti a proprio agio: e,
cioè, manifestando comportamenti in linea con gli stereotipi di genere-ruolo.
Le donne che faranno ciò non saranno necessariamente dei leader meno efficaci perché, l’efficacia
dei comportamenti specifici da leader dipenderà da fattori situazionali. Perciò, quando la situazione
richiederà al leader di porre maggior enfasi sui problemi e di preoccuparsi degli altri, le donne
manifesteranno un comportamento protettivo ed è probabile che il possesso di forti abilità
interpersonali consentirà loro di essere efficaci e, forse, anche maggiormente in grado di mantenere
la leadership rispetto a quando non succederebbe a un uomo.
Di contro, il modello di socializzazione sostiene come non debbano esserci differenze nel modo
di comportarsi dei leader, siano essi uomini o donne. In linea con tale convincimento, quando
entreranno a far parte dell’organizzazione, i nuovi assunti saranno portati a conoscenza delle norme
e delle regole più comuni di comportamento. Indipendentemente dal genere, tutti coloro che
avanzeranno fino alle posizioni di leadership avranno vissuto lo stesso processo di socializzazione
interno all’organizzazione: dunque, è probabile che mostreranno gli stessi comportamenti. Pertanto,
gli uomini e le donne che saranno giunti in posizioni di leadership si comporteranno allo stesso
modo nell’ambito della medesima organizzazione. In tutte le organizzazioni, invece, gli uomini e le
donne mostreranno un’ampia varietà di comportamenti.
La ricerca ha trovato prova di entrambi i punti di vista. Da una parte, alcuni studi hanno scoperto
come, se inserite in piccoli gruppi creati nell’ambito di un esperimento formale, le donne
mostreranno comportamenti maggiormente orientati ai compiti. Altri studi hanno trovato come le
donne siano più democratiche e partecipative degli uomini. Inoltre, esse tenderanno a mostrare più
caratteristiche della leadership trasformazionale di quanto non faranno gli uomini.
Rispondere alla domanda se gli uomini e le donne siano leader differenti non è semplice. Nel
complesso, un certo numero di studi supporta l’idea secondo cui esistano alcune differenze
stereotipate tra i manager; ma le prove raccolte non sono poi cosi chiare come si vorrebbe. In più, gli
studi a supporto di tale idea tendono a rivelare differenze che, per offrire di grandezze, sono
piuttosto ridotte e, perciò, relative.
Il dibattito sulle differenze tra uomini e donne leader o sull’assenza di tali differenze potrebbe essere
esteso alle differenze tra i leader di razza bianca e quelli appartenenti a minoranze etniche o razziali.
Tuttavia, molta meno ricerca è stata prodotta in tal senso, specie se confronta con quella sulle
differenze di genere. I risultati, comunque, tendono a mostrare deboli o addirittura nessuna
differenza. In ogni caso, per comprendere appieno questo tema è necessario capire meglio il
concetto di parete di vetro in grado d’influire sensibilmente sui membri delle minoranze etniche/
razziali.

DIFFERRENZE GLOBALI NELLA LEADERSHIP.

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La forza è cambiata molto nel corso del tempo. In particolare, la globalizzazione ha prodotto
situazioni tali per cui, a oggi, sia comune per alcuni manager trovarsi a dirigere una forza lavoro
proveniente da culture diverse. Ciò implica come possano esservi situazioni in cui i manager statura
internazionale siano posti alla guida di una forza lavoro domestica, e in cui i gruppi di lavoro siano
composti da individui che, benché di cultura diversa, debba comunque lavorare insieme.
La maggior parte delle teorie discusse si è concentrata sull’analisi della forza lavoro nordamericana
tendente a valorizzare un processo decisionale partecipativo, una power distance limitata, un
orientamento alla performance, un individualismo di livello significativo e un orientamento
abbastanza forte verso il futuro. Tuttavia, cosa succederebbe in una cultura che tendesse a
valorizzare il collettivismo o in cui si tendesse ad attribuire importanza a un’elevata power distance.
Un progetto mondiale ha esaminato se la leadership differisse tra culture diverse e se l’efficacia di
differenti tipologie di leadership potesse cambiare di cultura in cultura. Tale studio è noto come
progetto GLOBE. I risultati del progetto GLOBE caratterizzati dal fatto di avere storie e valori
condivisi. Di seguito, si veda una breve descrizione di quale sarebbe il leader ideale secondo l’ottica
di quattro culture cosi diverse:


1. Il cluster britannico : il leader ideale dimostra influenza carismatica e ispirazione


incoraggiando la partecipazione. I leader ideali sono visti come individui diplomatici, avvezzi a
delegare l’autorità e a concedere a chiunque il diritto di parola;
2. Il cluster arabo : i leader ideali hanno bisogno di bilanciare un insieme paradossale di
aspettative. Da una parte, ci si aspetta che essi siano carismatici e potenti; ma, dall’altra, ci si
aspetti anche essi non si differenzino dagli altri e che adottino degli stili modesti. Inoltre, ci si
aspetta anche che i leader dispongano di molto potere e che prendano la maggior parte delle
decisioni;
3. Il cluster germanico : i leader ideale è un individuo carismatico e partecipativo che
concepisca le proprie relazioni come all’interno di un team;
4. Il cluster sud-asiatico : il leader ideale è benevolo, partecipativo e carismatico: in particolare,
ci si aspetta che questi sia magnanimo, pur mantenendo una posizione di autorità forte.

I risultati del progetto GLOBE suggeriscono come la leadership carismatica sia considerata efficace e
apprezzabile in tutte le culture. Invece, altre dimensioni della leadership variano in importanza tra le
diverse culture. I manager odierni hanno bisogno di sviluppare la sensibilità necessari a capire cosa
ci si aspetti esattamente da un leader nell’ambito di una cultura nazionale specifica, cosi da poter
sviluppare una forza lavoro molto produttiva e di origine multinazionale.

CAPITOLO 9: LA COMUNICAZIONE.

Una buona comunicazione è vitale per migliorare la performance organizzativa. Una


comunicazione efficace è importante poiché poche sono le cose che un’organizzazione potrebbe
realizzare in sua assenza.
I manager dovranno comunicare con i propri sottoposti perché questi possano produrre una
performance appropriata ed efficace. Il top management dovrà comunicare gli obiettivi
dell’organizzazione ai propri dipendenti, ossia a chi li dovrà conseguire. I sistemi di comunicazione
di un’organizzazione influiscono su numerosi risultati che siano da considerarsi centrali per il suo
funzionamento e per il raggiungimento del vantaggio competitivo.
Tali risultati includono la produttività, la qualità dei servizi e dei prodotti, l’abbattimento dei costi, la
creatività, la soddisfazione lavorativa, l’assenteismo e il turnover. In altre parole, la comunicazione
organizzativa è interrelata all’efficacia organizzativa. Infatti, le indagini che abbiano chiesto ai
manager di spiegare le ragioni del fallimento di alcuni progetti hanno citato spesso i problemi di
comunicazione come una spiegazione importante, se non la più importante. La comunicazione può
prendere diverse forme.

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IL PROCESSO DI COMUNICAZIONE.

La comunicazione riguarda la condivisione d’informazioni tra due o più persone per il


raggiungimento di una comprensione comune riguardo a un oggetto o situazione. La
comunicazione avrà successo quando la persona che riceverò il messaggio lo capirà esattamente nel
modo inteso dal comunicatore. Perciò, la comunicazione non si concluderà con l’invio del
messaggio: occorrerà considerate anche il contenuto che verrò ricevuto.
La comunicazione può essere vista come un processo. Il punto di partenza nel processo di
comunicazione è il mandante: ossia la persona che desideri comunicare un messaggio. Per
trasmettere l’informazione, essa dovrà prima codificarla: la codifica implica la traduzione
dell’informazione in un messaggio o segnale; il messaggio codificato verrò, quindi, inviato allo
specifico ricevente tramite un mezzo di comunicazione o canale di comunicazione. I mezzi
di comunicazione sono numerosi e includono la scrittura, lo scambio verbale faccia a faccia o de visu
e l’e-mail.
Una volta che il messaggio sarà stato ricevuto, il ricevente dovrà decodificarlo. Nel decodificare il
messaggio, questi lo percepirà interpretandone il significato. Per assicurarsi che il significato del
messaggio sia percepito dal ricevente nel senso inteso dal mandante, sarà necessario ottenere un
feedback. Il feedback è il processo tramite cui il ricevente codifichi il messaggio ricevuto inviando
una risposta al mandante originario: una comunicazione che includa un feedback è nota come
comunicazione bi-direzionale. In assenza di feedback il ricevente potrebbe terminare la
comunicazione con un’interpretazione completamente da quella intesa dal mandante.

LA COMUNICAZIONE ORGANIZZATIVA.

La comunicazione avviene a diversi livelli. A un certo livello, si ha una comunicazione tra individui:
essa è nota come comunicazione interpersonale. Il nostro focus verte sulla comunicazione
organizzativa: ossia sui modelli e tipologie di comunicazione che avvengono a livello organizzativo e
di unità organizzative. L’obiettivo della comunicazione organizzativa è facilitare il conseguimento
degli obiettivi dell’organizzazione. La comunicazione organizzativa implica l’uso di network, di
politiche e di strutte di comunicazione.

I NETWORK DI COMUNICAZIONE.

I network di comunicazione rappresentano dei modelli di comunicazione. Pertanto, corrispondono


alla struttura dei flussi comunicativi all’interno dell’organizzazione e influiscono su coordinamento,
innovazione e performance. Vi è un’ampia varietà di possibili modelli. I network possono
caratterizzarsi per la loro densità. Nei network sparsi, vi sono poche connessioni tra i membri.
Nei network densi , vi sono molte connessioni. Il network a ruota, il network a Y e il network
circolare sono network sparsi.
I network possono essere caratterizzati anche per la loro centralizzazione. Nei network
centralizzati, tutte le comunicazioni passano attraverso un punto centrale o pochi punti centrali,
in modo che uno o pochi membri del network possano controllare lo scambio d’informazioni. il
network a ruota e a Y sono esempi di network centralizzati.
Le gerarchie organizzative tradizionali rappresentano network centralizzati. Le imprese le cui unità
non comunica tra loro, ma solo con la sede centrale che coordina simultaneamente tutte le unità
sono anch’esse network centralizzati.
Nei network decentrati, nessun singolo membro del network domina lo scambio d’informazioni.
Il network circolare e il network ben connesso ne sono alcuni esempi: in quello circolare, ogni
membro del network comunica con altri due; in quello ben connesso un membro del network
comunica con ciascuno degli altri quattro, ma questi ultimi comunicano anch’essi con quasi tutti gli
altri membri. Rispetto a quello circolare, la centralizzazione è in qualche modo maggiore nel
network ben connesso, benché non cosi maggiore. Entro certi limiti, l’efficacia dei network dipende
da fattori situazionali, come il tipo di lavoro e gli obiettivi dell’unità o dell’intera organizzazione, i

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network sparsi e molto centralizzati come quello a ruota o a Y possono essere efficaci nel
conseguimento di compiti semplici.
Tali strutture promuovono l’efficienza, la velocità e l’accuratezza canalizzando le comunicazioni
tramite una figura centrale. Dall’altro canto, i network densi con un certo grado di centralizzazione
sul ruolo del leader possono essere più efficaci per i compiti più complessi. I network ben connesso
rientra in questa tipologia. La comunicazione tra molte parti facilita la fiducia e il ricco scambio
d’informazioni, che è utile per la risoluzione dei problemi complessi.
Nel complesso, indipendentemente dalla situazione, i network ragionevolmente densi con un certo
grado di centralità del leader tendono a essere i più efficaci: ciò è in linea con il management ad alto
coinvolgimento, in cui i dipendenti fanno parte di un sistema egalitario e hanno l’autorità di
coordinarsi e risolvere i problemi tra loro. In aggiunta agli effetti sulla performance delle unità
organizzative, la struttura dei network influisce sui risultati individuali.
Come discusso in precedenza, nei network sparsi, molti individui non comunicano direttamente tra
loro. Ciò crea un’opportunità di brokeraggio, in cui uno o più membri del network agiscono da
canale o da intermediari delle informazioni tra membri che non dispongano di legami diretti. Gli
individui che facciano da intermediari in un certo numero di relazioni tenderanno ad avere risultati
più positivi in termini di potere, performance lavorativa e compenso finanziario, anche dopo che
siano stati controllati alcuni fattori come il livello gerarchico e il grado d’istruzione. Inoltre, è
importante notare come gli intermediari nei network non siano necessariamente in posizioni formali
di leadership.

LA DIREZIONE DELLA COMUNICAZIONE ORGANIZZATIVA.

La comunicazione all’interno delle organizzazioni può avvenire in tre direzioni: verso il basso, verso
l’alto o orizzontalmente.

LA COMUNICAZIONE VERSO IL BASSO.

La comunicazione verso il basso che si riferisce alla comunicazione tra senior e junior manager
e tra junior manager e dipendenti è necessaria per dare istruzioni sul lavoro, informazioni sulle
politiche dell’organizzazione, e per ottenere un feedback sulla performance. La comunicazione verso
il basso può essere usato anche per informare coloro che si trovassero ai livelli inferiori degli obiettivi
dell’organizzazione e dei mutamenti che essa potrebbe dover affrontare.
Tuttavia, la comunicazione verso il basso è spesso deficitaria in tal senso: i manager dei livelli più
bassi e i dipendenti si lamentano spesso della mancanza d’informazioni sugli obiettivi e sui
cambiamenti che occorrerebbe apportare all’organizzazione, come menzionato in precedenza
discutendo dei potenziali utilizzi della comunicazione attraverso i mondi sociali virtuali.

LA COMUNICAZIONE VERSO L’ALTO.

La comunicazione verso l’alto che va dai dipendenti ai junior manager e dai junior manager ai
senior manager è necessaria per ottenere un feedback riguardo alla comunicazione verso il basso e
per fornire idee e informazioni. Tuttavia, si tratta di una forma di comunicazione che potrebbe
essere difficile eseguire efficacemente. Pertanto, le organizzazioni tenderanno a utilizzarla con minor
frequenza. I canali più comuni per la comunicazione verso l’alto includono i meeting di
dipartimento, le politiche open-door, i questionari sulle attitudini, la partecipazione alle decisioni, le
procedure di reclamo, e molte altre
ancora.
La comunicazione verso l’alto potrebbe servire ai livelli più alti della gerarchia per monitorare
l’efficacia delle decisioni, ottenere informazioni su problemi e opportunità, assicurare che i lavori
siano eseguiti in modo appropriato, e mantenere il morale di coloro che si trovassero ai livelli
gerarchici inferiori. Tuttavia, essa non si avrà nell’organizzazione in sui i superiori sembreranno non
voler ricevere feedback negativi o i cui subordinati non si fidino dei superiori temendo rappresaglie.

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La comunicazione verso l’alto potrà anche essere molto costosa per le organizzazioni poiché
occorrerà sviluppare politiche e procedure specifiche per poterla implementare e poiché i manager
dovranno essere disposti a dedicarle diverso tempo. La comunicazione verso l’alto potrebbe rivelarsi
particolarmente difficile nelle organizzazioni di grandi dimensioni: probabilmente, ciò è dovuto al
fatto che, in tali ambiti, le relazioni siano più complesse e formali.

LA COMUNICAZIONE ORIZZONTALE.

La comunicazione orizzontale che si svolge tra individui dello stesso livello gerarchico è
anch’essa importante, sebbene spesso sottovaluta. Essa facilita il coordinamento tra unità
organizzative. Per facilitare la comunicazione orizzontale tra unità diverse, potranno essere utilizzate
anche le cosiddette posizioni formali integrate: posizioni spesso note come boundary-spanning. Chi
le ricoprirà sarà autorizzato a varcare i confini di separazione tra le due unità.
Da qualche tempo le organizzazioni hanno iniziato a utilizzare la comunicazione in tutte e tre le
direzioni nel campo della valutazione della performance. Quasi tutte le imprese facenti parte delle
fortune 500 adottano un feedback multi-livello a 360 gradi per la valutazione dei senior manager:
tale feedback include la valutazione della performance da parte dei pari grado (comunicazione
orizzontale), dei subordinati (comunicazione verso l’alto) e dei superiori (comunicazione verso il
basso). Sono richieste valutazioni anche da parte di clienti e fornitori.
Tuttavia, vi sono alcuni problemi per l’ottenimento di un feedback a 360 gradi: un problema relativo
a quando i subordinati debbano valutare i superiori è che, a seguito di valutazioni negative della loro
performance, possano scaturire varie rappresaglie; un altro è dovuto al fatto che i pari possano
sentirsi motivati politicamente nella valutazione eccessivamente positiva o negativa dei propri
colleghi. Pertanto, comunemente, si raccomanda di utilizzare la comunicazione orizzontale e verso
l’alto solo nelle valutazioni aventi propositi di addestramento e sviluppo, dando maggior peso a
quelle operate dai superiori quando le stime siano operate per prendere decisioni riguardanti il
personale.

LA COMUNICAZIONE INTERPERSONALE.

Passiamo ora dal livello organizzativo a quello interpersonale della comunicazione. La


comunicazione interpersonale riguarda un’interazione diretta tra due o più partecipanti attivi.
Essa può svolgersi in varie forme ed essere incanalata attraverso numerosi mezzi di comunicazione e
tecnologie. In più, le persine possono comunicare anche senza volerlo tramite una comunicazione
non verbale.

COMUNICAZIONE FORMALE VS. INFORMALE.

La comunicazione interpersonale può essere formale o informale. La comunicazione formale


segue la normale struttura organizzativa (superiore vs. Subordinato) e implica un’informazione
stabilita dall’organizzazione. Un classico inconveniente di questo tipo di comunicazione è la sua
possibile lentezza. Di contro, la comunicazione informale implica interazioni spontanee tra due
o più persone al di fuori della struttura formale dell’organizzazione: ad esempio, quella tra pari
grado nel corso della pausa caffè potrebbe essere considerata come tale.
Spesso, il sistema informale emerge come fonte di comunicazione essenziale per i membri
dell’organizzazione. I manager dovrebbero riconoscerlo mostrandosi sensibili a una comunicazione
che viaggiasse lungo i canali informali. In aggiunta, i manager potrebbero accorgersi di come il
sistema informale possa renderli in grado di raggiungere un maggior numero di membri rispetto a
quello formale. Un altro beneficio di tale comunicazione è che essa possa essere d’aiuto nel costruire
solidarietà e rapporti di amicizia tra i dipendenti.
Tuttavia, vi sono due svantaggi nella comunicazione interpersonale di matrice informale: i
pettegolezzi e i gossip. I pettegolezzi sono informazioni non confermate d’interesse universale.
Spesso, le persone creano e comunicano i pettegolezzi per affrontare l’incertezza. Il gossip è
un’informazione che si presume sia basata sui fatti e comunicata in ambito privati o intimi. Spesso,
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non si riferisce specificamente al lavoro e si focalizza su aspetti come la vita privata delle persone.
Inoltre riflette un’informazione di terza o di quarta mano, o anche più distante. Il gossip può causare
problemi alle organizzazioni poiché riduce il focus dei dipendenti sul lavoro, rovina la reputazione,
crea stress. S’ipotizza che le persone s’impegnino in attività per ottenere potere o amicizia, o per
incrementare il proprio ego.
È interessante notare come chi abbia una buona performance possa ricorrere al gossip come arma
indiretta contro la scarsa performance: anche questo suo utilizzo non aiuta la performance dell’unità
organizzativa, con il serio rischio di danneggiarla. Per evitare i pettegolezzi sul posto di lavoro, è
consigliabile per i manager fornire un’informazione sincera, aperta e chiara, specie nei periodi di
maggior incertezza. Le voci dovrebbero essere indirizzate verso coloro che si trovassero in una
posizione da cui poter conoscere la varietà. Per combattere il gossip, i manager possono includere
domande all’interno di valutazioni a 360 gradi volte a identificare gli individui che abitualmente,
traffichino con informazioni irrilevanti o non confermate.

GLI STILI DI COMUNICAZIONE.

La comunicazione interpersonale si basa sullo stile dei vari partecipanti, dove lo stile si riferisce al
modo in cui una persona mandi tipicamente informazioni. Gli stili possono essere definiti rispetto a
un certo numero di diverse dimensioni, ma la ricerca più recente ha sostenuto come le più
importanti tra queste dimensioni siano sei:


1. Espressività: l’ammontare e chiarezza del modo di comunicare di un individuo, includendo


loquacità, dominio della conversazione, umorismo, e non pretenziosità;
2. Precisione: la cura che venga messa nella comunicazione, considerazione, strutturazione e
sinteticità;
3. Aggressività verbale: il grado con cui vengano sostenute le opinioni personali, includendo
autoritarismo, spregio, cattiveria, e mancanza di supporto;
4. Orientamento alle domande: il grado con cui venga enfatizzata la curiosità, includendo
indiscrezione, anticonformismo, capacità argomentativi e filosoficità;
5. Emotività: i riflessi dello stress o della tristezza nel corso delle comunicazioni, includendo
inquietudine, tensione, sentimentalismo e difensivismo;
6. Gestione delle impressioni: il livello con cui la circospezione calcolata domini la
comunicazione includendo fascino, capacità d’ingraziarsi qualcuno e di saper nascondere le
proprie intenzioni;

Lo stile di un individuo dovrebbe essere appropriato al tipo di lavoro che questi stia per svolgere.

I MEZZI DI COMUNICAZIONE.

Come detto, la comunicazione interpersonale può basarsi su vari mezzi di comunicazione; e i diversi
mezzi di comunicazione variano tra loro in base al grado d’intensità. Si ricordi come l’intensità
descriva l’ammontare d’informazioni che possa essere trasportato da un certo mezzo di
comunicazione. Esso dipende: 1) dalla disponibilità di un feedback; 2) dall’uso di multipli indizi; 3)
dall’uso di un linguaggio efficace; 4) dal grado con cui la comunicazione possa avere un focus
personale. La comunicazione verbale faccia a faccia è il mezzo più intenso.
La ricerca ha classificato i comuni mezzi di comunicazione in termini d’intensità. Dal più intenso al
meno intenso, essi sono:

1. La comunicazione faccia a faccia;


2. La comunicazione telefonica;
3. Lo scambio di messaggi in forma elettronica;
4. Il ricorso all’uso di testi scritti e personali;
5. Il ricorso a testi scritti formali;

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6. Il ricorso a testi formali di tipo numerico;

I mondi sociali virtuali non sono stati inclusi nella suddetta ricerca poiché la comunicazione tramite
tali mezzi è di origine ancora troppo recente. Per particolari obiettivi di comunicazione, la scelta tra i
diversi mezzi disponibili implicherà un bilanciamento tra intensità del mezzo e costo del suo utilizzo
(specie in termini di tempo).
La ricerca sull’intensità dei mezzi di comunicazione non ha prodotto risultati consistenti, ma molti di
questi indicano come i manager più efficaci utilizzino i mezzi di maggior intensità ogni qualvolta vi
sia il rischio che il messaggio da comunicare possa rivelarsi ambiguo o equivoco. Ambigui o equivoci
sono quei messaggi la cui interpretazione non sia univoca.
La ricerca ha mostrato che i manager utilizzino i mezzi più intensi anche quando il messaggio da
comunicare sia particolarmente importante e quando sentano la necessità di offrire un’immagine
positiva di se stessi. Un altro fattore influente sulla scelta del mezzo di comunicazione corrisponde
alle norme organizzative indicative di quale sia quello più auspicabile: alcune organizzazioni hanno
norme molto dure riguardo alla comunicazione faccia a faccia, con la conseguenza di organizzare
spesso molte riunioni e chiacchierate in ufficio; altre organizzazioni hanno norme molto stringenti
sull’uso della comunicazione elettronica e di internet: uno studio ha trovato come l’uso dell’email e
dei messaggi istantanei da parte dei dipendenti fosse fortemente correlato alle norme organizzative
sull’uso di tali mezzi.

LE TECNOLOGIE PER LA COMUNICAZIONE.

La tecnologia moderna consente alle organizzazioni e ai loro membri di poter comunicare


velocemente, a qualsiasi distanza, collaborando più efficacemente che in precedenza. Infatti, perché
le organizzazioni possano rimanere competitive, occorre che queste si mantengano costantemente
aggiornate rispetto alle moderne tecnologie della comunicazione.
La tecnologia della comunicazione continuerà ad avanzare rapidamente. Guardando indietro di soli
due decenni, i network virtuali privati, le tecnologie per le conferenze via web, i telefoni cellulari e gli
strumenti di comunicazione mobile non esistevano ancora o, comunque, erano scarsamente
utilizzati. Oggi, tali tecnologie e le nuove forme di comunicazione da esse consentite sono
dappertutto. Anche l’uso dei blog è divenuto molto comune nel mondo del business:
• Migliaia di CEO e dirigenti di tutto il mondo hanno oggi dei blog di uso personale per
comunicare con i dipendenti, con i clienti e con il pubblico in genere;
• Nell’agosto del 2013 molte imprese hanno creato dei blog rendendoli accessibili al pubblico.
Molte di più erano le imprese che disponevano di tali blog, ma per un uso interno da parte di
manager e dipendenti;

Le organizzazioni hanno creato del blog per fornire informazioni concernenti pubblicità e decisioni
strategiche, e per ottenere informazioni sui gusti e le abitudini dei consumatori. Nonostante il
grande beneficio arrecato dall’adottare le nuove tecnologie della comunicazione, queste possono
anche creare problemi a organizzazioni e individui. Un problema comune è rappresentato dal
sovraccarico d’informazioni.
Un altro è dato dal rischio che la nuova tecnologia possa semplificare la diffusione d’informazioni
riservate con conseguenze, spesso, indesiderate. I problemi di privacy che non esistevano dieci anni
fa sono divenuti, oggi, molto più rilevanti.

LA COMUNCAZIONE NON VERBALE.

Se è possibile capire facilmente il concetto di comunicazione verbale si dovrebbe comprendere


altrettanto semplicemente anche quello di comunicazione non verbale. Tali forme di
comunicazione includono le espressioni facciali, il tono della voce, l’aspetto personale, il contatto e
altre ancora. In generale, la comunicazione non verbale rientra in una delle seguenti tre categorie: il
linguaggio del corpo, il para-linguaggio, e l’uso dei gesti.

88
Il linguaggio del corpo include la postura, l’uso delle mani, braccia e gambe. Il para-linguaggio
si riferisce al modo in cui venga detto qualcosa: tramite la modulazione del tono della voce o il
silenzio. L’uso dei gesti serve a comunicare significati specifici. Tutti noi abbiamo esperienza con
tale comunicazione non verbale.
Essa è importante poiché, insieme alle espressioni verbali del mandante, fornisce informazioni sulle
sue attitudini e sul suo stato emotivo. La comunicazione non verbale può rappresentare anche una
forma utile di feedback: invero, attraverso le espressioni facciali è possibile capire se il ricevente
abbia compreso il messaggio del mandante e come si senta al riguardo. Per questa ragione la
comunicazione de visu è sovente più efficace della scritta. Quindi, in generale, sarebbe consigliabile
per un manager fornire le giuste indicazioni sul lavoro da svolgere, discutendo della performance
tramite una comunicazione de visu con i dipendenti.
Poiché, rispetto a quello verbale, il comportamento non verbale sarà più difficile da controlla, esso
potrà rivelare se una persona stia mentendo. A questo tema è stata dedicata molta attenzione, specie
in virtù delle sue implicazioni pratiche. Nell’area delle negoziazioni di business, è importante saper
leggere il linguaggio del corpo, cosi da identificare ogni possibile tentativo d’inganno. Ad esempio, i
negoziatori esperimenti sanno spesso come determinare se la controparte stia mentendo,
esaminandone proprio i segni non verbali, come:
• Sottili mutamenti nel tono di voce;
• Lunghe pause prima di rispondere a una domanda;
• Certi modi di fare;
• Sorrisi fugaci;
Un altro tema riguarda le differenze culturali nelle comunicazioni non verbali. Date la
globalizzazione del business e il conseguente incremento nella diversità delle organizzazioni
statunitensi, è diventato molto importante per le persone capire tali differenze. I membri di culture
diverse variano molto nel modo di presentarsi e nelle loro norme e costumi di comunicazione non
verbale.
Tuttavia, vi è un aspetto della comunicazione non verbale che pare essere comune a tutti gli essere
umani. Le persone di tutte le culture sembrano scorgere ed etichettare le espressioni facciali
postando in egual maniera lo stato d’animo provato rispetto a certe emozioni primordiali: tali
emozioni includono la paura, il disgusto, la sorpresa, la gioia e la rabbia. Pertanto, in qualsiasi parte
del mondo, le persone sono probabilmente in grado di riconoscere un sorriso come segno di gioia e
un cipiglio come segno di disgusto.

LA BARRIERE A UNA COMUNICAZIONE EFFICACE.


LE BARRIERE A LIVELLO ORGANIZZATIVO.

Le barriere organizzative a una comunicazione efficace includono il sovraccarico d’informazioni, la


loro distorsione, l’uso del gergo, le pressioni temporali, le barriere culturali nelle comunicazioni
internazionali e le interruzioni nel network delle comunicazioni.

IL SOVRACCARICO D’INFORMAZIONI.

Nelle organizzazioni odierne, manager e dipendenti sono spesso gravati da più informazioni di
quante ne possano processare. Tale sovraccarico avviene per varie ragioni. Primo fra tutti, il fatto
che le organizzazioni affrontino livelli sempre maggiori d’incertezza a seguito del costante
cambiamento a cui sono sottoposte e della turbolenza dell’ambiente esterno: ne consegue come
cerchino di ottenere più informazioni, cosi da ridurre tale incertezza. Secondo, la complessità
crescente di compiti e strutture organizzative crea la necessità di avere maggiori informazioni:
ancora una volta, le organizzazioni impiegano vari specialisti per procacciare le informazioni
desiderate, ponendo grandi fardelli sui propri membri per via della necessità di doverle processare
tutte. Terzo, gli sviluppi continui nella tecnologia aumentano l’ammontare d’informazioni a
disposizione di manager e dipendenti.
Come detto, quando manager e dipendenti saranno sovraccarichi d’informazioni, non sarà possibile
processarle tutte; al contrario, si potrà cercare di aggirare il problema dando priorità a certune, in
89
modo da seguire solo quelle ignorando tutto il resto. Negli ultimi anni, lo sviluppo e utilizzo diffuso
di telefoni cellulari, e-mail e messaggi istantanei ha incrementato ulteriormente il problema del
sovraccarico d’informazioni: chiunque può contattare chiunque e ovunque.
In quasi tutte le organizzazioni, si mandano e ricevono giornalmente diversi messaggi di posta
elettronica. Pertanto, anche i dipendenti dei livelli gerarchici più bassi possono inviare facilmente
ogni tipo di messaggio ai manager di livello superiore, benché ciò sia disapprovato da alcune
organizzazioni. Allo stesso modo, i dirigenti possono inviare messaggi quasi dipendenti e
indipendentemente dal luogo in cui si trovino. Naturalmente, questa tecnologia contribuisce al
sovraccarico d’informazioni, specie per quanto riguardi i manager situati ai livelli più alti della
gerarchia.
Oggi, con tali avanzamenti nello sviluppo tecnologico, si stanno affrontando due ulteriori problemi
di sovraccarico non cosi comuni solo pochi anni addietro: l’inoltro dei messaggi e lo spamming.
L’inoltro dei messaggi è dovuto al fatto che la comunicazione elettronico renda molto semplice
trasferire a tutti le informazioni possedute.
Pertanto, in un ristretto arco temporale, si ricevono moltissimi messaggi da processare, ma per i quali
non si abbia spesso alcun vero interesse. Lo spamming rappresenta la ricezione di messaggi di posta
elettronica non richiesti e, pertanto, indesiderati. Malgrado la legislazione anti-spam presente in
molte nazioni e il sempre maggior uso di sofisticati sistemi di filtraggio dei messaggi, l’ammontare di
spam continua a essere crescente e allarmante. Un modo con cui le organizzazioni stiano tentando
di risolvere il problema del sovraccarico d’informazioni causato dalla posta elettronica è quello di
adottare le più nuove tecnologie interattive web-based per la comunicazione interna: queste illudono
i blog, i siti wiki, e i siti di social network; con tali tecnologie, i messaggi sono postati tutti nello stesso
luogo evitando eventuali ridondanze.

LA DISTORSIONE DELLE INFORMAZIONI.

È comune che le informazioni vengano distorte sia intenzionalmente che involontariamente. La


distorsione involontaria potrebbe avvenire a seguito di errori fortuiti o di mancanza di tempo
sufficiente all’elaborazione. D’altro canto, la distorsione intenzionale accade spesso per via della
competizione tra le unità operative di un’organizzazione: i dipartimenti devono competenze spesso
per risorse limitate, con evidenti difficoltà e restrizioni nella gestione dei budget. La ricerca ha
suggerito come alcune unità possano convincersi di poter competere più efficacemente tramite la
distorsione o soppressione di determinate informazioni e, quindi, ponendo i propri concorrenti in
una posizione di svantaggio.
La soppressione o distorsione delle informazioni può avvenire anche nel momento n cui un
subordinato disponga di più informazioni del suo superiore. Uno studio ha trovato come alcuni
subordinati abbiano soppresso o mal rappresentato informazioni riguardanti i budget, ove in
possesso d’informazioni private sconosciute al manager.

IL GERGO DELLE AREE SPECIALISTICHE.

Un problema tipico delle grandi organizzazioni più complesse concerne la proliferazione degli
specialisti: si tratta d’individui molto esperti nel proprio campo, ma spesso limitati nella
comprensione di campi differenti, anche per via del fatto di ricorrere spesso a un linguaggio o gergo
specifico. Invero, facendo uso di una diversa terminologia, tali specialisti potrebbero incontrare
grandi difficoltà nel comunicare efficacemente l’uno con l’altro.

LE PRESSIONI TEMPORALI.

In molte organizzazioni, il lavoro va ultimato entro specifiche scadenze. Queste creano pressioni e
limitano l’abilità di comunicazione degli individui. Se sottoposti a pressioni temporali, spesso tali
individui non dedicheranno particolare attenzione a ogni messaggio prima d’inviarlo. In aggiunta,
molto spesso, la pressione rappresentata da una scadenza non consentirà di avere il tempo sufficiente

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per poter richiedere un feedback, tanto che il mandante potrà non sapere se il ricevente abbia
ricevuto il messaggio esattamente come da lui inteso.

LE BARRIERE CULTURALI NELLE COMUNICAZIONI INTERNAZIONALI.

Il mondo del business è sempre più globalizzato, con un crescente ammontare di comunicazioni
anche a carattere internazionale. Perciò, una comunicazione efficace anche nell’attraversare i confini
diviene necessaria per il successo finanziario delle imprese internazionali. I problemi di
comunicazione sono causa di vari fallimenti negli incarichi dei manager inviati per gestire le
operazioni estere, portando alla loro rimozione o al fallimento dell’intera operazione internazionale.
Molte di queste competono nei mercati internazionali e un numero sempre crescente di esse tende a
penetrare i principali mercati di tutto il mondo. Inoltre, milioni di lavoratori sono nati
originariamente altrove. Pertanto, occorrerà preoccuparsi di come affrontare la comunicazione
interculturale anche a livello domestico. Le barriere interculturali implicano la mancanza di fluidità
del linguaggio o una più ampia mancanza di fluidità culturale.
Benché la lingua inglese sia utilizzata frequentemente nelle transazioni di business internazionali, il
potenziale per l’affiorare di barriere linguistiche continua a sussistere nelle comunicazioni
interculturali. Indipendentemente dall’uso della lingua inglese, una o più parti di una conversazione
potrebbero non saper parlare la lingua scelta comunemente per comunicare.
Poiché numerosi prodotti vengono venduti a livello internazionale, la lingua è molto importante
nella creazione degli slogan e nella scelta dei nomi da dare a tali prodotti. Sono molte le imprese ad
aver vissuto un’esperienza negativa per aver utilizzato all’estero gli stessi nomi adottati a livello
domestico per i propri prodotti, specie nei casi in cui ne abbiano ignorato la traduzione nella
specifica lingua locale.
La fluidità linguistica è una dimensione di ciò che sia meglio noto come fluidità culturale: ossia
l’abilità d’identificare, capire e applicare le differenze culturali che influiscano sulla comunicazione.
La fluidità linguistica è necessaria per la fluidità culturale, ma non è di per sé sufficiente.

LE INTERRUZIONI NEI NETWORK DI COMUNICAZIONE.

Le interruzioni nei network di comunicazione avvengono frequentemente nelle grandi


organizzazioni a causa del vasto flusso d’informazioni da cui sono attraversate continuamente. Molti
sono gli eventi che potrebbero interferire con tale flusso: la posta potrebbe essere stata mal
depositata, i messaggi potrebbero non essere stati ricevuti dai destinatari. Le imprese di maggiori
dimensioni potrebbero avere anche più problemi poiché i messaggi devono fluire attraverso più
persone, incrementando le probabilità che uno di essi possa essere trasmesso male o in maniera
innamorata.
Le interruzioni potrebbero riguardare anche la tecnologia. Qualora le imprese abbiano il server in
panne per via di una momentanea assenza di elettricità o poiché alcuni virus abbiano infettato il
sistema, le conseguenze possono non essere cosi devastanti, ma il caos che ne potrebbe derivare e le
perdite finanziare a esso collegate potrebbero comunque essere molto gravi.

LE BARRIERE A LIVELLO INDIVIDUALE.

Sono stati esaminati diversi fattori organizzativi in grado di rendere difficile una comunicazione
efficace. Tuttavia, i fattori a livello individuale sono le barriere citate più comunemente. Essi
includono: le diverse vasi percettive, le differenze semantiche, le differenze di status, le
considerazioni d0interesse personale, i temi relativi allo spazio personale di ognuno, e le scarse
abilità di ascolto.

LE DIVERSE BASI PERCETTIVE.

Uno dei problemi più comuni nella comunicazione si ha quando il mandante abbia una percezione
del messaggio diversa da quella che ne abbia il destinatario. Le percezioni differenti sono causate
91
dalle diverse strutture di riferimento: queste, insieme alle aspettative, possono influire sul nostro
modo d’interpretare le informazioni.

LE DIFFERENZE SEMANTICHE.

La semantica si riferisce al significato che le persone attribuiscono ai simboli. Poiché parole uguali
potrebbero avere significati diversi per individui anch’essi differenti, le differenze semantiche
potrebbero creare problemi comunicativi.
Una ragione delle differenze semantiche all’interno delle organizzazioni va riferita al proliferare di
specialisti: questi individui tendono a sviluppare un proprio gergo e la loro terminologia potrebbe
avere uno scarso significato o un diverso insieme di significati per chi si trovasse al di fuori del loro
campo specialistico. Una seconda ragione è da riferire alla variabilità del background culturale.

LE DIFFERENZE DI STATUS.

Le differenze di status possono derivare sia da fattori organizzativi che individuali. Le organizzazioni
creano differenze di status attraverso l’attribuzione di titoli, uffici e risorse e di supporto; ma le
persone attribuiscono vari significati a tali differenze. Le differenze di status possono condurre a
problemi di credibilità delle fonti creando problemi tali da bloccare le comunicazioni verso l’alto.

LE CONSIDERAZIONI D’INTERESSE PERSONALE.

Spesso, le informazioni fornite da una persona sono utilizzate per valutarne la performance: ad
esempio, non è raro che le imprese richiedano informazioni ai manager riguardo alla performance
delle unità organizzative sotto la loro responsabilità. Dati come le previsioni di attività future, gli
standard di performance e le raccomandazioni sul budget sono utilizzati di frequente per
determinare il compenso dei manager.
La ricerca ha mostrato che, nei casi in cui la veridicità dei dati non possa essere verificata in modo
indipendente, i manager a volte forniscano informazioni da considerarsi nel loro interesse esclusivo
o personale. Sebbene possano non voler distorcere intenzionalmente le informazioni fornite, essi
potrebbero offrite dati incompleti, selezionando solo le informazioni che fossero nel loro miglior
interesse.

LO SPAZIO PERSONALE.

Tutti noi abbiamo uno spazio personale che ci circondi. Qualora qualcuno entrasse in quello spazio,
non ci sentiremmo a nostro agio. Le dimensioni di tale spazio personale differiscono in qualche
modo da individuo a individuo; in più, esse differiscono anche in base al genere e di cultura in
cultura. Lo spazio personale influisce su vari fattori. Le differenze nello spazio personale potrebbero
rappresentare una barriera alla comunicazione.

SCARSE ABILITÀ DI ASCOLTO.

Un problema di comunicazione frequente ha a che vedere più con il destinatario che con il
mandante. Il destinatario dovrà ascoltare in modo da poter capire il messaggio del mandante, cosi
come quest’ultimo farà meglio ad ascoltare il feedback che gli sarà fornito dal destinatario. I
manager spendono più del 50% del loro tempo in comunicazioni verbali; e alcuni studiosi hanno
stimato come essi impieghino anche fino all’85% di questo tempo a parlare.
Ciò non lascia molto tempo per ascoltare e ricevere un feedback. Ciò significa che essi ascoltino e
capiscano solo il 25% di ciò che gli sia comunicato a livello verbale. Questo può portare chi parla a
stancarsi o scoraggiarsi causando l’affiorare di una cattiva impressione in chi ascolta. Le scarse
abilità di ascolto non rientrano nel management ad alto coinvolgimento, poiché interrompono il
processo comunicativo e limitano le condivisione delle informazioni.

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IL SUPERAMENTO DELLE BARRIERE ALLA COMUNICAZIONE.

Diverse azioni possono essere affrontate per individuare i problemi identificare nelle barriere.

CONDURRE ACCERTAMENTI (AUDIT) SULLE COMUNICAZIONI.

Esaminare i bisogni e le pratiche della comunicazione organizzativa attraverso controlli periodici è


un passaggio importante al fine di stabilire una comunicazione efficace. Un audit di
comunicazione analizza le comunicazioni interne ed esterne di un’organizzazione per valutarne la
condizione e poterne stabilire le necessità. Gli audit di comunicazione possono essere condotti in-
house o da imprese di consulenza esterna. Tali audit sono utilizzati spesso per determinare la qualità
delle comunicazioni e definire con precisione qualsiasi tipo di deficienza riguardante
l’organizzazione. Gli audit possono essere condotti per l’intera organizzazione o per una singola
unità organizzativa.
Solitamente, gli audit di comunicazione esaminano la filosofia comunicativa e gli obiettivi
dell’organizzazione, i programmi di comunicazione esistenti, i mezzi di comunicazione, la quantità e
qualità delle comunicazioni personali, e l’attitudine dei dipendenti verso le comunicazioni esistenti.

MIGLIORARE IL CLIMA COMUNICATIVO.

Il clima comunicativo di un’organizzazione corrisponde alla percezione che i dipendenti abbiano


della qualità della comunicazione al suo interno. Esso è importante poiché influenza il grado con cui
i dipendenti s’identificano con la propria organizzazione. Le organizzazioni possono superare le
barriere alla comunicazione stabilendo un clima comunicativo in cui vi sia fiducia reciproca tra
comunicatori e destinatari, in cui la comunicazione sia sempre credibile, e in cui sia sempre
incoraggiato il
feedback.
Inoltre, i manager dovrebbero incoraggiare un flusso libero di comunicazioni verso il basso, verso
l’alto e a livello orizzontale. Le persone dovrebbero sentirsi a proprio agio nel comunicare le proprie
idee apertamente e nel porre domande quando non capissero o volessero sapere di più. Le
informazioni dovrebbero essere disponibili e comprensibili. Nelle unità organizzative, ognuno
dovrebbe avere la possibilità di sviluppare i propri sistemi comunicativi indipendentemente dal clima
efficace della comunicazione.

INCORAGGIARE LE AZIONI INDIVIDUALI.

Manager e dipendenti possono agire anche come individui per superare le barriere alla
comunicazione. Gli esperti raccomandando i seguenti modi per migliorare la comunicazione a
livello interpersonale.

CERCARE DI CONOSCERE LA PROPRIA AUDIENCE.

Le persone s’impegnano spesso in ciò che l’esperto si denota come me to me comunication. Con
questa frase, si descrive la comunicazione con gli altri come se si stesse comunicando con se stessi.
Tale comunicazione prevede che gli altri condividano la nostra stessa struttura di riferimento e, in
assenza di feedback, che questi interpretino il messaggio nel modo giusto e, cioè, in quello che noi
avevamo inteso comunicare.

SELEZIONARE UN MEZZO DI COMUNICAZIONE APPROPRIATO.

I vari mezzi di comunicazione differiscano per intensità. Qualora i messaggi siano complessi e/o
importanti, andrà preso in considerazione l’uso dei mezzi più intensi. Inoltre, ove di abbia a che fare
con informazioni complesse e/o importanti, potrà essere utile utilizzare diversi mezzi: per esempio,
facendo seguire a una comunicazione de visu un’email che riassuma i punti salienti della discussione.
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REGOLARE I FLUSSI DELLE INFORMAZIONI E IL TIMING.

Regolare i flussi delle informazioni può aiutare ad alleviare i problemi di comunicazione. Regolare i
flussi implica scartare le informazioni d’importanza marginale concentrandosi solo su quelle più
significative. Il timing ideale dei messaggi è anch’esso importante. Alcune volte, le persone sono più
propense a ricevere un messaggio e a percepirlo accuratamente rispetto ad altre. Quindi, se aveste
un messaggio importante da mandare, non dovreste mai farlo nel momento in cui il destinatario stia
per andar via dal lavoro, sia totalmente impegnato nel completamento di un altro compito, oppure
stia ricevendo un’altra comunicazione.

INCORAGGIARE IL FEEDBACK PER DIMOSTRARE DI AVER CAPITO IL MESSAGGIO


RICEVUTO.

La comunicazione dovrebbe essere un processo bi-direzionale. Per assicurarsi che il messaggio


ricevuto sia anche interpretato nel modo corretto, sarà necessario richiedere un feedback al
destinatario. Ecco alcune linee guida che gli individui potrebbero seguire per ottenere un feedback:
• Chiedere ai destinatari di ripetere ciò che abbiano sentito;
• Promuovere e coltivare il feedback;
• Ricompensare chi fornisce un feedback e utilizzarne le informazioni;
• Rispondere al feedback indicando se sia corretto;
ASCOLTARE ATTIVAMENTE.

Come detto, le scarse abilità di ascolto sono una tipica barriera alla comunicazione efficace.
Ascoltare non è un’attività passiva che avvenga naturalmente. Le persone devono ascoltare
attivamente e coscienziosamente gli altri in modo da essere dei comunicatori efficaci. SCHEMA
PAGINA 303.

CAPITOLO 10: IL PROCESSO DECISIONALE A LIVELLO INDIVIDUALE E DI GRUPPO.

Gli individui operanti nel business prendono importanti decisioni. Quando si rifletta su tali decisioni,
si tende a pensare a scelte di natura strategica. Tuttavia, tali individui prendono decisioni altrettanto
importanti e che hanno implicazioni strategiche. Le decisioni prese dagli individui che si trovino al
vertice di un’organizzazione sono importanti poiché, spesso, hanno effetti rilevanti sulla
performance
organizzativo.
Tuttavia, anche quelle di altri manager possono influire sulla performance: spesso le decisioni prese
dai manager posizionati ai livelli più bassi della gerarchia hanno effetti significativi sulla
performance dell’organizzazione. In particolare, essi decidono delle azioni necessarie
all’implementazione delle scelte strategiche; e la qualità e velocità di tali decisioni influisce sul
successo della strategia.

I FONDAMENTALI DEL PROCESSO DECISIONALE.

Le decisioni non sono altro che delle scelte. Tutti noi prendiamo decisioni ogni giorno. Le decisioni
sono importanti anche per le organizzazioni. Invero, prendere decisioni è una delle attività primarie
dei senior manager: essi decidono su aspetti come l’entrare in un nuovo business, e il coordinare le
unità organizzative di un’impresa.
Altri manager prendono decisioni riguardanti il modo in cui le organizzare un’unità, chi debba
guidare i vari gruppi di lavoro e come valutare la performance lavorativa. Nelle organizzazioni ad
alto coinvolgimento, anche i dipendenti prendono decisioni importanti. Nel complesso, le abilità
decisionali sono d’importanza critica per l’efficacia di un’organizzazione.

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I PASSAGGI BASILARI DEL PROCESSO DECISIONALE.

Essendo un processo, quello decisionale implica svariati passaggi: primo, un processo decisionale
efficace inizia con la determinazione del problema da risolvere. Tipicamente, i problemi sono dei
gap tra dove ci si trovi oggi e dove si voglia essere domani. Due individui che esaminino la stessa
situazione potrebbero vedere il problema in modo diverso. Il passaggio successivo nel processo
decisionale, ossia l’identificazione dei criteri decisionali necessita che il decisore determini con
esattezza cosa sia importante fare per risolvere il problema.
I criteri decisionali determinano che tipo d’informazione occorra al decisore per valutare le
alternative e aiutano a spiegare la scelta finale. Non riuscire a identificare con chiarezza i criteri più
importanti porterebbe, inevitabilmente, a una decisione scadente. Dopo aver identificato i
criteri di scelta, il decisore deve raccogliere e processare le informazioni per capire meglio il
contesto decisionale e individuare le specifiche alternative in grado di risolvere il problema.
Nell’identificare tali possibili alternative, bisognerebbe fare attenzione a non limitarle o valutarle
troppo poiché, nel fare ciò, si potrebbero eliminare prematuramente alcuni approcci più innovativi e
creativi. In tale contesto, andrebbero comprese due verità lapalissiane: innanzi tutto, un decisore
non potrà scegliere un’alternativa che non abbia già considerato prima; in secondo luogo , egli
non potrà sceglierne una che sia superiore alla miglior alternativa presente all’interno della sua lista
di opzioni.
Il passaggio successivo nel processo decisionale riguarda la valutazione di tutte le alternative
rilevanti. Per completare questa fase, il decisore giudicherà ogni alternativa utilizzando ciascun
criterio individuato precedentemente.
Dopo aver valutato ogni alternativa, egli sceglierà quella che sembri la migliore nel soddisfare i
suddetti criteri risolvendo, perciò, il problema nel miglior modo possibile. Il processo decisionale non
si conclude nel momento in cui la decisione venga effettivamente presa. Infatti, questa dovrà essere
implementata e il decisore dovrà seguirne e monitorarne i risultati per assicurarsi di aver scelto la
miglior soluzione al problema. Monitorando i risultati questi potrà determinare se l’alternativa
prescelta non funzioni a dovere. Diversamente, occorrerà risolvere un nuovo problema.

DECISIONI OTTIMALI VS. DECISIONI SODDISFACENTI.

Tipicamente, un decisore intenderà prendere una decisione che possa dimostrarsi efficace. Si
definisce efficace una decisione che sia presa nei tempi giusti, che sia accettabile per coloro che ne
siano influenzati, e che soddisfi i criteri chiave.
Il processo decisionale non è, tuttavia, semplice come potrebbe sembrare osservando i passaggi del
processo standard: ogni passaggio, invero, è più complesso di quanto sembri in superficie. In più,
individui e gruppi non possono prendere sempre decisioni che ne massimizzano gli obiettivi poiché,
per poterle prendere, occorrerà avere una conoscenza completa di ogni possibile alternativa e dei
suoi risultati potenziali. Infatti, benché sia vero che una tale conoscenza possa permettere la scelta
della miglior alternativa, è tuttavia improbabile che essa possa essere ottenuta nel mondo reale. Tutti
tendano a prendere decisioni soddisfacenti.
Vi sono due importanti ragioni che portino spesso ad accontentarsi di decisioni soddisfacenti
anziché ottimali. Primo, le persone non hanno la capacità di raccogliere e processare tutte le
informazioni rilevanti per una particolare decisioni. Infatti, il numero di alternative da poter essere
considerato per la maggior parte delle decisioni è molto ampio, cosi come il numero di persone da
consultare e il numero di analisi da operare. Tuttavia, la maggior parte delle persone non dispone
del tempo e delle risorse necessarie a completare tali attività.
Secondo, le persone mostrano spesso la tendenza a scegliere la prima alternativa che appaia
soddisfacente. Poiché si è tutti molto impegnati e si vogliono preservare le risorse disponibili, nel
momento in cui si trovi la prima alternativa che sembri andare bene, si tenderà a interrompere
l’indagine. Tuttavia, la ricerca ha indicato come alcuni individui siano più propensi di altri nello
scegliere la prima opzione soddisfacente, dopo aver individuato la prima opzione che li soddisfi,
alcuni continuano a cercare ulteriori alternative incrementando, in questo modo, le probabilità

95
d’individuare la migliore. Questa è un’importante differenza a livello individuale che interessa i
manager e chi sia interessato alle dinamiche del comportamento organizzativo.

IL PROCESSO DECISIONALE A LIVELLO INDIVIDUALE.

Il processo decisionale è un’attività cognitiva che si affida sia alla percezione sia alla capacità di
valutazione. Sebbene molte caratteristiche individuali possano influire sul processo decisionale
individuale, le quattro predisposizioni psicologiche isolate dal noto psicologo Jung sono di particolare
importanza per il processo decisionale delle organizzazioni.

GLI STILI DECISIONALI.

Secondo Jung, la predisposizione di un individuo può influire sul processo decisionale in due
momenti critici. 1) quello di percezione dell’informazione; 2) quello di valutazione delle alternative.
In seguito, le decisioni ne rifletteranno le preferenze per uno dei due stili percettivi e per uno tra i
due stili di valutazione. Benché alcuni abbiano dubitato dell’utilità delle idee di Jung, la ricerca ne ha
offerto un ragionevole supporto; e gli strumenti di valutazione basati sul suo lavoro sono molto
popolari nel mondo del business.

LA RACCOLTA DELLE INFORMAZIONI.

Gli individui possono divergere nel modo di raccogliere le informazioni da utilizzare nel processo
decisionale. Alcuni individui preferiscono informazioni che siano concretamente fondate e
prontamente accessibili attraverso l’uso dei cinque sensi di base; mentre altri preferiscono come
fonte le astrazioni e gli esempi figurativi.
Si dice che un manager o dipendente che si affidi ai fatti ottenuti direttamente attraverso i cinque
sensi stia adottando uno stile di percezione sensoriale (sensing). Questa persona crede
nell’esperienza e vuole focalizzarsi tipicamente sulle regole ottenendo spiegazioni un passo alla volta
e controllando i fatti. I decisori che adotteranno uno stile di sensing saranno preoccupati di
sviluppare un database degli avvenimenti capace di supportarne ogni decisione.
Chi preferirà questo stile di raccolta delle informazioni vedrà se stesso come molto pratico e realista,
lavorando con costanza nelle prime fasi del processo decisionale e beneficiando del processo di
raccolta delle informazioni. I decisori che adotteranno uno stile intuitivo non apprezzeranno i
dettagli e il tempo necessario a classificarli e interpretarli. Queste persone diventeranno impazienti
con i dettagli della routine e, spesso, percepiranno le informazioni in grandi gruppo. Gli intuitivi
credono che la creatività provenga dall’ispirazione, piuttosto che da uno sforzo intenso.
Ancorché questo secondo stile possa apparire illogico e rischioso, molti consulenti e senior manager
sono convinti che possa trattarsi di un approccio parecchio efficace. I manager con un buon intuito
possono essere più adatti ad affrontare situazioni di crisi o rapido mutamento; hanno spesso una
visione del futuro e possono reagire velocemente alle necessità più urgenti.
Complessivamente, entrambi gli stili percettivi possono essere efficaci; ma tale efficacia potrà variare
in base al contesto di riferimento. Lo stile di sensing può essere più appropriato per quel lavori in
cui le decisioni siano tipicamente routinarie. Di contro, lo stile intuitivo può essere più
appropriato per lavori in cui sia comune operare nuove scelte e occorra creatività.
Alcune situazioni specifiche in cui lo stile intuitivo possa mostrarsi particolarmente utile sono:
• Quando esista un alto livello di ambiguità;
• Quando vi sia solo qualche raro precedente;
• Quando i fatti siano limitati;
• Quando i fatti non indichino chiaramente la direzione da seguire;
• Quando il tempo sia limitato e vi sia pressione per prendere le giuste decisioni;
• Quando vi siano varie alternative possibili e ciascuna abbia delle buone ragioni a supporto;

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LA VALUTAZIONE DELLE ALTERNATIVE.

Jung sostiene che, una volta raccolte le informazioni, i decisori divergano nuovamente nei loro
approcci tendendo ad adottare uno stile basato sul pensiero e sul ragionamento (thinking style) o
uno stile basato sulle sensazioni (feeling style) per esprimere il proprio giudizio. Non esiste una
relazione fissa tra lo stile di raccolta delle informazioni e quello di valutazione: ovvero, una persona
che adotti uno stile di sensing nella raccolta delle informazioni potrà fare uso sia del thinking che del
feeling style nella valutazione e giudizio delle alternative; allo stesso modo, una persona intuitiva
nella raccolta delle informazioni potrà adottare qualsiasi stile di valutazione.
Si dice che i manager e i dipendenti che adottino un approccio impersonale e razionale nel giungere
a definire il proprio giudizio preferiscano il thinking style. I decisori che adottino il thinking style
per arrivare a delle conclusioni sulla base delle proprie percezioni sono oggettivi, analitici, logici e
risoluti. Le persone che utilizzino questo stile sono preoccupata dai principi, dalle leggi e dai criteri
oggettivi. Esse trovano facile critiche il lavoro e il comportamento altrui, ma non spesso a disagio nel
doverne gestire i sentimenti. I pensatori preferiscono analisi oggettive e decisioni oneste basate su
standard e politiche; e sono risoluti, potendo apparire distaccati e impersonali ai propri subordinati.
All’altro estremo, si dice che le persone che preferiscano affidarsi alle proprie emozioni e giudizio
personale e soggettivo facciano uso di un feeling style. Le persone preoccupare delle sensazioni
enfatizzano il mantenimento dell’armonia nel posto di lavoro. I loro giudizi sono influenzati da ciò
che piaccia e non piaccia sia a loro che agli altri. Esse sono soggettive, comprensive e riconoscenti
nelle proprie decisioni. Spesso, i manager che adotteranno questo approccio daranno più peso al
mantenimento di un clima amichevole nel gruppo di lavoro che all’effettivo raggiungimento dei
compiti. Tali manager tenderanno a interpretare i problemi come se questi siano causati da fattori
interpersonali, piuttosto che di altro
genere.
Sia il thinking che il feeling style sono importanti per le organizzazioni. Il primo è coerente con un
processo decisionale prudente e un gran numero di studi ne ha dimostrato l’efficacia. Anche il
feeling style può apportare effetti postivi: prendersi cura delle sensazioni e degli aspetti morali di chi
ci circondi è certamente molto importante.
Per avvantaggiarsi dei risultati positivi di ciascuno stile e bilanciare i fattori considerati in un’unica
decisione, chi enfatizzi il feeling style farà meglio a consultarsi con una o più persona che enfatizzino
il thinking style. E viceversa, poiché quasi tutti i manager a tutti livelli dell’organizzazione
tenderanno a enfatizzate il thinking style.

L’UTILIZZO DEGLI STILI DECISIONALI.

Ancorché possa sembrare che gli stili decisionali siano fissi, vi è una certa flessibilità in quelli adottati
da manager e dipendenti. Come affermato da Jung uno stile decisionale è semplicemente una
preferenza. Molti decisori esperimenti sono in grado di aggiustare il proprio stile in base a ciò che
sembri necessario, almeno fino a un certo punto.
In molte aree, manager e dipendenti possono avere stili personali che, il più delle volte, vadano bene,
ma che, in certe occasioni, rischino d’interferire con l’efficacia. Benché non tutti gli individui di una
determinata area funzionale pensino alla stessa maniera, spesso essi condivideranno alcune tendenze
generali.

IL GRADO DI ACCETTABILITÀ DEL RISCHIO.

Si ha rischio qualora il risultato di una certa azione sia incerto. La maggior parte delle decisioni di
business ha in sé un certo grado di rischio.Nello scegliere tra opzioni più o meno rischiose, la
propensione al rischio di un individuo giocherà spesso un ruolo cruciale. Due persone con due
differenti propensioni al rischio potranno intraprendere decisioni enormemente diverse, pur
trovandosi di fronte a situazioni e informazioni identiche.
Nel prendere decisioni, gli individui meno votati al rischio potrebbero raccogliere e valutare un
maggior numero d’informazioni. Invero, essi potrebbero raccogliere anche più informazioni del
97
necessario per prendere una decisione. In uno studio, i manager dovevano prendere la decisione di
assumere personale per esercitarsi da un punto di vista pratico: quelli con una minor propensione al
rischio hanno fatto uso di più informazioni e preso le proprie scelte più lentamente. Sebbene le
informazioni siano importanti, i manager e dipendenti con bassa propensione al rischio devono
evitare di rimanere paralizzati nel cercare di ottenere e prendere in considerazione troppe
informazioni dettagliate.Di contro, coloro che abbiano una maggior propensione a rischiare
dovranno evitare di prendere decisioni sulla base di un numero d’informazioni troppo esiguo.
Al di là della generale propensione al rischio, i punti di riferimento giocano un ruolo importante in
parecchie decisioni. Un punto di riferimento potrebbe essere un obiettivo, un livello
minimamente accettabile di performance o il livello medio di performance conseguito dagli altri.
Esso è utilizzato per esprimere un giudizio sull’attuale condizione in cui ci si possa trovare. Qualora
la particolare posizione di un individuo in una certa attività in corso sia al di sotto del punto di
riferimento, è più probabile che egli decida di correre un rischio nel tentativo di ottenere una
performance al di sopra di tale
punto.
Qualora la sua posizione corrente sia, invece, già al di sopra del punto di riferimento, vi saranno
minori probabilità che egli voglia correre un rischio. In una data situazione, ogni individuo sceglie-
consciamente o inconsciamente, il proprio punto di riferimento. I punti di riferimento sono diversi.

LE DEVIAZIONI COGNITIVE.

Gli individui sbagliano spesso nel prendere decisioni. Benché la disattenzione, la negligenza,
l’affaticamento e il sovraccarico di compiti possano essere fattori in grado di contribuire, alcuni
errori sono semplicemte causati da delle deviazioni cognitive. Tali deviazioni rappresentano
scorciatoie mentali. Sebbene tali scorciatoie possano essere innocue e consentire un risparmio di
tempo, esse causano spesso vari problemi. Essere consapevole della loro esistenza è un buon passo in
avanti per evitare
d’imbattervisi.
La deviazione di conferma è particolarmente importante poiché ha effetti considerevoli sul tipo
d’informazioni da raccogliere. Questa tipologia di deviazione porta i decisori a ricercare
informazioni che confermino i credi e le idee formatesi nella parte iniziale del processo. Piuttosto
che cercare anche delle informazioni che possano non confermare le credenze iniziali gli individui
andranno inconsciamente all ricerca delle sole informazioni che possano supportare i loro
convincimenti e pensieri iniziali. Il non ricercare alcuna informazione che possa fare da riscontro è
particolarmente probabile qualora un decisore stia rovistando una decisore stia rivisitando una
decisione già presa che sia stata parzialmente o pienamente implementata.
La deviazione facile da ricordare è anch’essa importante poiché influisce sull’ammontare e
tipologia d’informazioni che si sceglierà di raccogliere e valutare. In questo caso, un decisore rievoca
informazioni dalla propria memoria e si affida a un’informazione che sia facile da richiamare alla
mente. Sfortunatamente, un’informazione di tal genere potrebbe essere fuorviante o incompleta.
Un’informazione nitida e recente tende a essere richiamata facilmente alla memoria, pur potendo
non essere indicati della situazione nel suo complesso.
Un’altra tipologia di deviazione è rappresentata dalla deviazione ancora. In questo caso, i decisori
pongono eccessiva enfasi sul primo gruppo d’informazioni ottenute. Queste informazioni iniziali, in
seguito, avranno un’influenza non dovuta su idee, valutazioni e conclusioni. Anche quando i decisori
dovessero acquisire un’ampia gamma d’informazioni aggiuntive, le informazioni iniziali potrebbero
avere ancora troppa influenza sulla decisione da prendere.
Infine, la deviazione dei costi sommersi porta i decisori a enfatizzare investimenti di tempo e
denaro operanti nel passato per decidere se proseguire con un corso d’azione già intrapreso. I
decisori sono riluttanti nell’abbandonare gli investimenti passati, preferendo costruire su di loro il
proprio successo. Tuttavia , essi dovrebbero trattare un investimento passato come un costo
sommerso, un costo cioè irrecuperabile, e focalizzassi sui costi futuri e sui benefici degli investimenti
continuati nel tempo.

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STATI S’ANIMO ED EMOZIONI.

Stati d’animo ed emozioni sono due fenomeni affettivi tipici delle organizzazioni. Gli stati
d’animo sono degli stati affettivi corrispondenti a sentimenti generali scollegati da qualsiasi
particolare evento o stimolo che possa verificarsi sul luogo di lavoro.Le emozioni corrispondono a
sentimenti più specifici, spesso legati a particolari eventi, persone o altri stimoli. La ricerca nel
campo del comportamento organizzativo ha enfatizzato sempre più gli stati d’animo e le emozioni
sul luogo di lavoro.
Gli stati d’animo sembrano avere effetti importanti sul processo decisionale, ma tali effetti sono
complessi e non compresi pienamente fino a questo momento. Da un lato, gli individui che si
trovino in uno stato d’animo positivo sembrano trascurare i dettagli concernenti le situazioni in cui
decidere: nei casi in cui tali dettagli possano essere, invece, d’importanza cruciale, ciò potrebbe
portare a risultati scadenti. Da un altro lato, gli individui con uno stato d’animo positivo sembrano
considerare un maggior numero d’idee, creando maggior creatività e maggior propensione al
rischio.
I suddetti attributi decisionali sono positivi in situazioni che richiedano nuove idee o mosse audaci.
Le emozioni sembrano avere anch’esse effetti rilevanti sul processo decisionale. Negli ultimi anni,
una delle emozioni più studiate è stata il rimorso. Essa è un’emozione avversa che implica
l’incolparsi per il conseguimento di risultati indesiderati. Una possibile reazione al rimorso implica
l’evitare che, in futuro, una scelta possa portare nuovamente a un risultato scadente. Sebbene questa
reazione sia spesso inappropriata, essa può rivelarsi disfunzionale.
I decisori evitano un pino feedback in modo da limitare la propria conoscenza dei cattivi risultati:
ciò rende difficile il poter evitare una scelta sbagliata in futuro. Un’altra reazione al rimorso riguarda
l’auto-gestione. Tale reazione può proteggere l’ego del decisore. Nei casi di auto-gestione, i decisori
possono:
1. Tentare d’invertire la decisione;
2. Sfuggire alla decisione negandone la responsabilità;
3. Tentare di reprimere la conoscenze del risultato non desiderato;
4. Impegnarsi in un secondo tempo a giustificazione della scelta operata utilizzando, ad esempio,
affermazioni del tipo: ho fatto il meglio che potevo;

Una seconda emozione molto studiata è la rabbia. Molti credono che questo tipo di emozione abbia
effetti rilevanti sul processo decisionale. Innanzi tutto, la rabbia potrebbe portare i decisori a essere
meno efficaci nella raccolta e valutazione delle informazioni. In secondo luogo, essa potrebbe
portare a una minor percezione del rischio delle decisioni intraprese, specie in comparazione agli
effetti che altre emozioni negative potrebbero avere sul rischio percepito.

IL PROCESSO DECISIONALE A LIVELLO DI GRUPPO.

Spesso, si tende a vedere il processo decisionale come un processo individuale, con individui riflessivi
pronti a prendere decisioni buone o cattive. tuttavia, è tipico per molti individui partecipare a
importanti decisioni lavorando insieme come un gruppo attraverso le cui scelte risolvere i problemi
organizzativi.
Ciò è particolarmente vero nelle organizzazioni ad alto coinvolgimento, in cui i dipendenti
partecipano a un gran numero di decisioni assieme ai manager di basso e medio livello gerarchico, e
in cui questi ultimi partecipano a un gran numero di decisioni assieme ai senior manager. Il processo
decisionale di gruppo è alquanto simile al processo a livello individuale. Poiché il proposito del
processo decisionale di gruppo è giungere alla miglior decisione per risolvere un certo problema, il
gruppo dovrebbe far uso dello stesso processo decisionale di base per definire il problema,
identificare i criteri, raccogliere e valutare le informazioni, fare una lista delle possibili alternative e
valutarle, scegliere l’alternativa migliore e, infine, implementarla.

99
D’altro canto, i gruppi sono composti da svariati individui, comportando dinamiche e processi
interpersonali che rendono il processo decisionale di gruppo piuttosto diverso da quello individuale.
Pertanto, il leader del gruppo potrà preoccuparsi maggiormente di trasformare un insieme
d’individui in un team collaborativo che sappia come decidere, piuttosto che di sviluppare abilità
decisionali a livello individuale.

LE TRAPPOLE DEL PROCESSO DECISIONALE A LIVELLO DI GRUPPO.

Sebbene il processo decisionale di gruppo possa produrre risultati positivi, la natura sociale delle
decisioni di gruppo conduce, a volte, a risultati indesiderati. Infatti, spesso, i processi di gruppo
alimentati nel corso del processo decisionale impediscono una piena discussione dei fatti e delle
alternative. Le norme di gruppo, i ruoli dei suoi membri, la troppa coesione possono, altresì,
scoraggiare il gruppo producendo decisioni inefficaci.
Gli studiosi hanno identificato alcune trappole cruciali del processo decisionale di gruppo. Esse
includono il cosiddetto groupthink (o pensiero di gruppo); la distorsione comune delle
informazioni; la conflittualità interna causata dalla diversità e lo spostamento del
rischio.

IL PENSIERO DI GRUPPO (groupthink).

Si ha il fenomeno del pensiero di gruppo quando i membri di un gruppo mantengano o ricerchino


consenso a spese dell’identificazione di un serio e onesto dibattito. Focalizzare troppo l’attenzione sul
consenso potrebbe condurre a decisioni fallimentari; e molte idee o alternative interessanti
potrebbero non essere mai prese in seria considerazione. Questo fenomeno di gruppo può verificarsi
in un gran numero di circostanze:
• I membri del gruppo si piacciono vicendevolmente;
• I membri del gruppo hanno molto riguardo per la saggezza collettiva del gruppo;
• I membri del gruppo provano soddisfazione nell’essere parte di un gruppo che abbia un’immagine
positiva di se stesso;
In essenza, quindi svariati fattori possono portare i membri di un gruppo a evitare che, al proprio
interno, possano affiorare opinioni o idee divergenti. Il pensiero di gruppo è più probabile nel
momento in cui la sua immagine positiva possa essere minacciata.
Sono almeno otto i sintomi specifici tipicamente associati al fenomeno del groupthink:
1. L’auto-censura: i membri che riconoscano la presenza di difetti o errori nella posizione
assunta dal gruppo tendono a rimanere quieti nel corso delle discussioni collegiali, evitando di
sollevare questioni che possano turbare l’armonia;
2. La pressione: i membri del gruppo mettono sotto pressione qualsiasi altro membro che possa
esprimere opinioni in grado di minacciare il consenso e l’armonia;
3. L’unanimità: la censura e la pressione nascondono l’illusione di supporto unanime per la
decisione finale del gruppo;
4. La razionalizzazione: molti membri del gruppo si costruiscono dei fondamenti logici
complessi che finiscono per fare ignorare i campanelli di allarme o le informazioni in conflitto
con il loro modo di pensare;
5. L’invulnerabilità: i membri del gruppo possono sviluppare un’illusione d’invulnerabilità
arrivando a ignorare qualsiasi pericolo. In sostanza, il gruppo manifesta la tendenza a
sovrastimare la propria saggezza collettiva;
6. I guardiani della mente: certi membri di un gruppo assumono il ruolo sociale di guardiani
nella mente, cercando di fare da scudo di fronte qualsiasi fatto, critica o valutazione che possa
alterarne l’illusione di unanimità e invulnerabilità;
7. La moralità: la maggior parte dei membri crede fermamene nella moralità della posizione
assunta dal gruppo. Alcuni possono persino giungere a parlare della moralità intrinseca stiano
facendo e dell’immortalità di chi manifesti punti di vista differenti;

100
8. Gli stereotipi: i membri possono sviluppare stereotipi negativi su altre persone e su altri
gruppi. Tali stereotipi possono proteggere la loro posizione e bloccare la possibilità di
negoziazioni ragionevoli con chi si trovi al di fuori del gruppo;

Il groupthink è stato legato a un certo numero di decisioni concrete. Il pensiero di gruppo non è
garanzia di una decisione scadente. Più semplicemente, esso incrementa le probabilità di un risultato
negativo. Quando si tende a reprimere le discussioni e le valutazioni, il gruppo potrà anche essere
fortunato; tuttavia, poiché l’obiettivo del processo decisionale di gruppo è incrementare le
probabilità di prendere una buona decisione, i manager dovranno curare i passaggi necessari a
ridurre tale fenomeno.

LA DISTORSIONE COMUNE DELLE INFORMAZIONI.

Alcune delle informazioni da considerare nel prendere una decisione potranno essere detenute da
uno o da pochi membri di un gruppo. Le altre informazioni saranno detenute dalla maggior parte
degli altri membri. La distorsione comune delle informazioni porta i gruppi a trascurare
consciamente le informazioni detenute da uno o pochi membri, focalizzandosi su quelle
comunemente detenute dalla maggioranza. In tal modo, si rischia di trascurare aspetti e idee
potenzialmente importanti. La distorsione comune delle informazioni sconfigge uno dei presunti
vantaggi del processo decisionale di gruppo: ossia la disponibilità d’idee, informazioni e prospettive
uniche apportare al processo decisionale da ciascun individuo che sia membro di un certo gruppo.

LA CONFLITTUALITà INTERNA CAUSATA DALLA DIVERSITÀ.

In presenza del fenomeno del groupthink, uno o più membri del gruppo agiscono per sopprimere le
idee differenti e molti membri si auto-censurano. Con la distorsione comune delle informazioni, gli
individui si focalizzano subconsciamente sulle informazioni e idee più comuni. Pertanto, le idee
differenti non sono neanche discusse. In altri gruppi, tuttavia, le idee differenti vengono enfatizzate.
Benché questo sia generalmente positivo per il processo decisionale di gruppo, ne possono scaturire
anche diversi
problemi.
Anziché creare un clima favorevole allo sviluppo di discussioni proficue, la divergenza delle idee può
portare a grattare interne al gruppo. Tali conflittualità interne dovute alla diversità si hanno
quando gli individui si sentano rafforzati dalle proprie idee e non sia stato istituito alcun
meccanismo finalizzato a canalizzare in maniera produttiva le opinioni dei membri in discordo. I
meccanismi capaci di canalizzare la diversità includono le procedure formali di brainstorming e
l’uso formale dell’avvocato del diavolo.
LO SPOSTAMENTO DEL RISCHIO.

La maggior parte delle decisioni implica un certo livello di rischi. Poiché i gruppi incaricati di
decidere sono composti da individui, è possibile che il rischio corso da un gruppo sia lo stesso di
quello corso mediamente da ogni suo individuo qualora questi debba decidere da solo. Tuttavia, le
forze sociali coinvolte del processo decisionale di gruppo rendono sbagliato tale assunto.
Le possibili soluzioni ai problemi variavano dall’individuazione di alternative piuttosto sicure a
opzioni relativamente rischiose. Contrariamente alle atte, i gruppi hanno uniformemente preso
decisioni più rischiose rispetto ai singoli individui. Sin da allora, tale risultato è stato denominato il
fenomeno dello spostamento del rischio. Le decisioni di gruppo sembrano indirizzarsi più
frequentemente verso un maggior rischio che verso un maggior cautela.
Sono state offerte varie spiegazioni dello spostamento del rischio, ma la più comune e autorevole è
quella della diffusione di responsabilità: ovvero, poiché gli individui facenti parte di un gruppo
ridono che nessun singolo individuo possa essere incolpato per una decisione scadente, essi possono
spostare la colpa interamente verso gli altri. Tale diffusione di responsabilità individuale può portare
i membri ad accettare maggiori livelli di rischio nel prendere una decisione di gruppo.

101
LE TECNICHE PER IL PROCESSO DECISIONALE A LIVELLO DI GRUPPO.

I gruppi possono brancolare nel buio al momento di dover risolvere un problema. Perciò, prima che
il gruppo possa raggiungere una decisione, sarà importante capire quali siano le tecniche da
adottare per incoraggiare una discussione complessiva ed efficace. In proposito, sono state sviluppate
varie tecniche, tra cui il brainstorming, la tecnica del gruppo nominale, la tecnica Delphi, l’inchiesta
dialettica e l’avvocato del diavolo.

IL BRAINSTORMING.

Solitamente, per le principali decisioni, è importante generare un’ampia varietà di nuove idee nel
corso della raccolta delle informazioni. Aumentare il numero d’idee in questa fase aiuta ad
assicurare che gli elementi e fatti più importanti siano presi in considerazione e non vengano
sottovalutati. Tuttavia, se il gruppo dovesse valutare o criticare ogni nuova idea non appena
introdotta in un incorno tra i suoi membri, ognuno di essi potrebbe trattenersi dal comunicare altre
temendo commenti negativi nei propri
riguardi.
Di contro, se le idee non fossero valutate immediatamente, i membri potrebbero offrire un certo
numero d’input, anche se dovessero essere incerti nel valore delle proprie intuizioni. Questa è
l’essenza del brainstorming. Esso all’interno dei gruppi presenta le seguenti peculiarità di base:
- È incoraggiata l’immaginazione: nessuna idea è troppo unica o diversa;
- Sono incoraggiati l’uso e la creatività delle idee altrui;
- Non esiste criticismo verso alcuna idea, indipendentemente da quanto brutta ognuna di esse possa
sembrare in quella fase;
- La valutazione è rinviata al momento in cui il gruppo abbia esaurito la produzione di nuove idee.
Per quale motivo il brainstorming di gruppo è spesso meno efficace del brainstorming individuale?
Un possibile problema è dato dal fatto che i membri del gruppo si convincano che il criticismo non
sia interamente eliminato, ma rimanga semplicemente silenzioso. Sono due le tecniche più utili per
superare i problemi del brainstorming standard a livello di gruppo. La prima è il brain-writing . I
membri del gruppo si fermano diverse volte nel corso dell’incontro di gruppo mettendo per iscritto
tutte le proprie idee. Poi, le idee appena scritte sono rappresentate su una lavagna. Passando da un
approccio orale a uno scritto e introducendo l’anonimato, questo metodo fa si che quasi nessun
indizio senta più alcun imbarazzo. In più, vi sono molte meno discussioni nel corso della riunione
riducendo il rischio di distrazioni.
La seconda è il brainstorming elettronico. In una sua tipica versione, i membri del gruppo
siedono intorno a un tavolo di fronte ai propri computer.
Ognuno tenta di sviluppare più idee possibili inserendole in un database. Non appena inserita, ogni
idea è proiettata su un grande schermo visibile a tutti. Vigneto l’anonimato, gli individui di
sentiranno meno inibiti e, essendovi meno discussioni all’interno della stanza, non ci sarà alcun
rischio di distrarsi. Poi, non appena tal idee saranno proiettare sullo schermo, ciascuno potrà testare
la sua creatività in base a quelle proposte da ogni partecipante.

LA TECNICA DEL GRUPPO NOMINALE.

Un’altra tecnica utilizzata per superare alcune delle forze in grado d’inibire il processo decisionale di
gruppo prende il nome di tecniche del gruppo nominale. Questa tecnica condivide alcune delle
caratteristiche tipiche del brain-writing e del brainstorming elettronico. Nella sua forma di base, essa
implica un incontro decisionale che segua quattro regole procedurali:
1. In principio, gli individui seduti intorno a un tavolo buttano giù le proprie idee in silenzio e
senza discuterne;
2. Ogni membro presenta un’idea al gruppo. Al completamento del primo giro, ciascuno presenta
una seconda idea. Il processo si ripete fino a che tutte le idee non siano state presentate. Durante
questa fase, non è permessa alcuna discussione di gruppo;
102
3. Dopo che le idee siano state registrare su una lavagna o nel database di un computer per
consentirne la proiezione, i membri inizieranno a discuterne. In questa fase, l’obiettivo
principale sarà chiare e valutare;
4. L’incontro terminerà con un voto anonimo e indipendente, o con una classificazione delle
alternative proposte.

La tecnica del gruppo nominale elimina gran parte dell’interazione tra i membri del gruppo. Le
discussioni e le interazioni avvengono una sola volta in tutto il processo. Anche la scelta finale di
un’alternativa avviene in silenzio e dipenderà da un processo di addizione impersonale. Coloro che
propongano questa tecnica credono che, in tal modo, le inibizioni verrano superate e le discussioni
di gruppo di limiteranno alla sola fase di valutazione, ossia a quando tali conversazioni siano
realmente necessarie. La ricerca ha suggerito come tale tecnica guidi a risultati migliori rispetto a
una sessione standard di brainstorming di gruppo.

LA TECNICA DELPHI.

Le tecniche del brainstorming e del gruppo nominale richiedono che i membri del gruppo si trovino
a un certo livello di prossimità fisica. Tuttavia, i gruppi che utilizzano la tecnica Delphi non
s’incontrano de visu, ma sono sollecitati a dare i propri giudizi dalle proprie abitazioni o luoghi di
lavoro. Nell’approccio più comune, i membri del gruppo rispondono a un questionario sui temi di
principale interesse. Le loro risposte vengono riassunte e i risultati sono consegnati al gruppo come
feedback. Dopo aver ricevuto tale feedback, gli individui avranno una seconda opportunità di
rispondere e potranno anche modificare il proprio
giudizio.
Alcuni approcci alla tecnica Delphi fanno uso di due soli insiemi di rispose. La decisione finale si
otterrà dalla media delle risposte data dai membri all’ultimo questionario; sovente, le risposte dei
membri si somiglieranno nel tempo. Sebbene parte della ricerca abbia supportato questa tecnica, si
tratta d un approccio altamente strutturato capace d’inibire certi tipi d’input, specie se alcuni
individui si sentiranno limitati dal particolare insieme di domande poste nei loro confronti. I sogni
caso, la tecnica delphi è certamente un’opzione da prendere in considerazione, specie ove i membri
del gruppo vengano a trovarsi dispersi a livello geografico.

L’INCHIESTA DIALETTICA E L’AVVOCATO DEL DIAVOLO.

Essenzialmente, le tecniche del processo decisionale di gruppo appena viste di preoccupano


d’incrementare il numero d’idee generate, piuttosto che di migliorare direttamente la qualità della
soluzione finale. Sebben disporre di un gran numero d’idee aumenti le possibilità d’identificazione di
soluzioni di valora superiore, esistono altre tecniche in grado di aiutare il gruppo nell’individuazione
della migliore alternativa. Due approcci interessanti sono l’inchiesta dialettica e l’avvocato del
diavolo. Essi considerano la tendenza del gruppo a evitare i conflitti nel valutare corsi d’azione
alternativi e a ignorare prematuramente le differenze interne qualora queste possano affiorare.
L’inchiesta dialettica richiede che due diversi sottogruppi sviluppino vari assunti e
raccomandazioni al fine d’incoraggiare la piena discussione delle varie idee. I due sottogruppi
discuteranno delle loro rispettive posizioni. L’avvocato del diavolo richiede che un individuo o un
sottogruppo argomenti contro una determinata azione raccomandata da altri membri del gruppo.
Pertanto, sia l’inchiesta dialettica che l’avvocato del diavolo adottano una sorta di conflitto
costruttivo.
I fautori di queste tecniche sostengono come entrambi siano approcci orientati all’apprendimento
poiché i dibattiti attivi che ne scaturiscono possono aiutare il gruppo a scoprire nuove alternative e
sviluppare una comprensione più completa delle tematiche su cui decidere. Malgrado queste
somiglianze, tuttavia, vi sono importanti differenze tra questi due approcci. La tecnica dell’inchiesta
dialettica richiede che i membri del gruppo sviluppino due diverse punti di vista. Un sottogruppo
sviluppa una raccomandazione basata su un insieme di assunti, mentre un secondo elabora delle
raccomandazioni significativamente diverse sulla base di assunti anch’essi eterogenei.
103
Il dibattito sugli insiemi opposti di raccomandazioni e assunti massimizza il conflitto costruttivo; e la
valutazione dei due opposti punti di vista aiuta ad assicurarne un’accurata revisione, oltre che a
promuovere lo sviluppo di nuove raccomandazioni non appena siano colmate le differenze. Invece,
la tecnica dell’avvocato del diavolo richiede che il gruppo generi un solo insieme di assunti e una
singola raccomandazione che sarà, poi, criticata dall’avvocato del diavolo.
La ricerca su queste tecniche suggerisce come siano entrambe efficaci nell’individuazione di
soluzioni di alta qualità. Allo stesso tempo, però, esse potranno portare a un minor livello di
soddisfazione da parte del gruppo. Probabilmente, questo risultato è dovuto al conflitto interno al
gruppo che potrebbe affiorare se si decidesse di utilizzare questi metodi.
Inoltre, entrambi gli approcci sono efficaci nel controllare i fenomeni di gruppo indesiderati e capaci
di reprimere la piena esplorazione dei vari temi; poiché essi mirano a creare un conflitto costruttivo
attraverso l’assegnazione di specifici ruoli, è improbabile che possano causare grande insoddisfazione
tra i membri del gruppo.

IL COINVOLGIMENTO DEI SUBORDINATI NELLE DECISIONI MANAGERIALI.

Sebbene, nelle organizzazioni ad alto coinvolgimento, i subordinati prendano decisioni importanti,


vi sono altre scelte che sono di esclusiva responsabilità dei manager quantunque, in certi casi, con
l’assistenza dei subordinati. Per queste ultime tipologie di decisioni, i manager devono determinare il
giusto grado di coinvolgimento dei subordinati all’interno del processo.
Due ricercatori hanno evidenziato come il corretto livello di coinvolgimento dipenda dalla natura
stessa del problema su cui decidere. Se il manager potrà diagnosticare la natura del problema, allora
potrà determinare il grado di partecipazione dei suoi subordinati. Il metodo richiede che i manager
si preoccupino di diagnosticare il problema e che, in seguito, essi determinino il grado con cui
coinvolgere i subordinati. Il livello di coinvolgimento ottimale nel processo decisionale dipende dal
probabile effetto che la partecipazione avrà su: 1) la qualità della decisione; 2) l’accettazione o
commitment che i subordinati mostreranno di avere al momento d’implementare la decisione; 3)
l’ammontare di tempo necessario a prendere le
decisione.
I manager possano determinare la migliore strategia di partecipazione dei subordinati ponendo sette
domande nell’operare la diagnosi. Queste procedure produce un albero delle decisioni indicativo del
livello più efficace di partecipazione. Tuttavia, non sempre sarà necessario porre tutte e sette le
domande per determinare il livello di coinvolgimento.
La ricerca ha supportato il metodo. Esso predice la qualità tecnica, l’accettazione da parte dei
subordinati, e l’efficacia complessiva delle soluzioni finali. Il modello è utile non solo per i manager
dei livelli gerarchici più bassi che debbano decidere sul livello appropriato di coinvolgimento dei
subordinati; ma anche per i generali che debbano decidere sul livello di coinvolgimento degli ufficiali
subordinati, cosi come per i senior manager che debbano decidere sul livello di coinvolgimento dei
manager di livello inferiore.
Un ultimo punto è molto importante: quando un gruppo scelga di utilizzare un certo approccio
decisionale, il manager dovrà determinare il livello di accordo da raggiungere all’interno del gruppo.
Tipicamente, i manager ricercano la maggioranza o l’unanimità del proprio gruppo del raggiungere
una decisione- ricercare un accordo a maggioranza presenta diversi vantaggi rispetto al ricercare un
accordo unanime, inclusa la maggior rapidità e il minor rischio di finire in un vicolo cieco.
Tuttavia, generalmente, il cercare di ottenere l’unanimità crea più discussioni portando i membri del
gruppo a esplorare gli assunti stanti alla base delle posizioni e preferenze manifestare all’interno del
gruppo. Ne deriva come, nello scegliere che approccio utilizzare per il processo decisionale di
gruppo, i manager debbano saper bilanciare ciascuno di questi fattori.

IL VALORE DEL PROCESSO DECISIONALE A LIVELLO INDIVIDUALE RISPETTO AL


PROCESSO A LIVELLO DI GRUPPO.

Nelle condizioni appropriate, il processo decisionale di gruppo dovrebbe incrementare il numero


d’idee generate migliorando la qualità delle alternative da valutare e producendo scelte migliori.
104
Tuttavia, la precedente disamina del processo decisionale di gruppo ha indicato come tali risultati
non siano sempre garantiti.
In più, la generazione e valutazione delle idee non sono gli unici risultati del processo decisionale di
gruppo: andranno presi in considerazione anche il commitment e la soddisfazione dei partecipanti
al processo. Alcuni elementi importanti per giudicare il valoro complessivo del processo decisionale
di gruppo a confronto con quello individuale includeranno il tempo necessario a raggiungere la
decisione, la natura del problema, la soddisfazione e il commitment dei lavoratori toccati dalla
decisione, e le opportunità di crescita a livello personale.

IL TEMPO.

Non sorprende come, tipicamente, rispetto ai singoli individui, i gruppi abbiano bisogno di più
tempo per raggiungere una decisione. vi sono svariate ragioni per spiegare tale differenza:
• Il gruppo soddisfa molti bisogni di matrice sociale. Il tempo richiesto per soddisfare tali bisogni
accresce il tempo necessario a raggiungere una decisione;
• Il gruppo conserva svariate idee e opinioni; e discuterne non fa altro che dilatare il tempo
necessario a raggiungere una decisione;
• Occorre che il gruppo prenda accordi prevedendo il luogo e il format dell’incontro; e anche questo
richiede più tempo;

I manager devono considerare l’importante del tempo, cosi come la qualità potenziale delle loro
decisioni. Qualora il tempo divenga un fattore particolarmente critico, il manager potrà decidere
d’intraprendere una delle seguenti scelte:

• Prendere la decisioni da solo;


• Ricorrere al gruppo solo per un parere;
• Ricorrere al gruppo per minimizzare il tempo necessario a disporre ogni cosa;
• Decidere a maggioranza anziché richiedere una decisione unanime;
• Adottare la tecnica del gruppo nominale, cosi da ridurre il tempo da dedicare al dibattito;

I COSTI.

È altresì inevitabili che un processo decisionale di gruppo costi più di un processo a livello
individuale. L’impiego di tempo implica dei costi, specie se, nel processo, siano coinvolti manager
particolarmente costosi. Per determinare il costo totale, occorrerà moltiplicare il tempo addizionale
per il numero di membri del gruppo e i loro rispettivi livelli di compenso finanziario. Pertanto, i
manager dovranno determinare se la decisione sia abbastanza importante da giustificarne il costo
supplementare.

LA NARUTA DEL PROBLEMA.

Nello scegliere l’approccio da utilizzare si dovrebbe considerare la natura del problema oggetto
d’esame: i problemi complessi per cui occorrano molti tipi d’input tendono a essere risolti più
efficacemente dai gruppi che dagli individui; decidere se sviluppare un nuovo prodotto, potrebbe ad
esempio richiedere una conoscenza specialistica delle strutture produttive, delle capacità di
engineering e design, delle forse del mercato, della legislazione e della situazione finanziaria.
Pertanto, un gruppo dovrebbe essere avvantaggiato nel prendere questa decisione rispetto a un
singolo individuo. Non a caso, in uno studio incentrato sulle decisioni in merito alla realizzazione di
nuovi prodotti, i gruppi si sono mostrati più efficaci dei singoli individui.

105
LA SODDISFAZIONE E IL COMMITMENT.

Anche se la qualità non fosse costantemente migliorata dal processo decisionale di gruppo, ne
beneficerebbe il livello di soddisfazione e commitment degli individui rispetto alla decisione finale.
Questi risultati potrebbero avere origine da diversi fattori.
Primo, come esito delle discussioni sviluppati a livello di gruppo, i membri potrebbero modificare le
proprie attitudini rispetto a varie alternative oggetto del dibattito.
Secondo, non appena questi dovessero scoprire di avere elementi in comune, potrebbe nascere il
cosiddetto spirito del team.
Infine, potrebbe semplicemente accadere che gli individui che prendano parte a un’importante
attività come il processo decisionale si sentano più proprietari della decisione finale rispetto a
quando ne siano esclusi.

LA CRESCITA PERSONALE.

Le opportunità di crescita personale derivanti dalla partecipazione al processo decisionale di gruppo


sono un beneficio spesso sottovalutato. Gli avanzamenti di carriera dipendono anche dalla capacità
d’impari nuove tecniche e abilità. Una delle abilità più importanti da apprendere ha a che vedere
con il come prendere le decisioni; e tale partecipazione può essere un’opportunità ideale perché gli
individui possano acquisite tale abilità.

CAPITOLO 11: GRUPPI E TEAM.

Un efficace lavoro in team produce un effetto sinergico sulla performance. Sinergia significa che
l’output complessivo del team sia maggiore di quello che si avrebbe sommando insieme quello dei
singoli membri se questi lavorassero da soli. Lavorare in team può produrre sinergie per varie
ragioni. I membri di un team hanno più responsabilità e autonomia; pertanto, ricevono un certo
tipo di potere nello svolgimento del proprio lavoro.
Disporre di empowerment può significare avere maggiori motivazione e identificazione con
l’organizzazione. Invero, il lavoro in team permette ai dipendenti anche di sviluppare nuove abilità
tecniche che ne possono incrementare la motivazione e soddisfazione. In più, i team possono fornire
uno strumento ai lavoratori per essere integrati nei livelli più alti della gerarchia organizzativa
allineando, in tal modo, gli obiettivi individuali con la strategia complessiva dell’organizzazione.
Infine, i team possono promuovere creatività, flessibilità e risposte rapide alle necessità dei clienti.

LA NATURA DEI GRUPPI E DEI TEAM.

Per più di un secolo, la ricerca sulle scienze sociali si è focalizzata nello studio delle aggregazioni tra
individui e delle loro interazioni. Si è detto spesso che gli essere umani siano animali sociali a cui le
organizzazioni offrano molte opportunità d’interazione.
Le organizzazioni strutturano spesso il lavoro in modo che i compiti vengano portati a termine
tramite una collaborazione tra i dipendenti. Sono due i termini tipicamente utilizzati per definire
questi raggruppamenti (cluster) d’individui: gruppi e team.

LA DEFINIZIONE DI GRUPPI E TEAM.

Esistono varie definizioni per gruppi e team, con molti studiosi che utilizzano i due termini in
maniera interscambiabile. Tuttavia, il concetto di gruppo può essere definito in termini molto
generali come due o più persone interdipendenti che s’influenzino a vicenda attraverso l’interazione
sociale.
Tuttavia, il maggior interesse è sui team, ossia su quei gruppi d’individui che lavorino insieme per il
raggiungimento di obiettivi e risultati specifici. Gli elementi comuni nella definizione di un team
sono i seguenti:


106
• Due o più persone;
• Con ruoli lavorativi che ne richiedano l’interdipendenza;
• Che operino all’interno di un più ampio sistema sociale;
• Che portino a termine compiti rilevanti ai fini della mission;
• Con conseguenze che influiscano sugli altri sia all’interno che all’esterno dell’organizzazione;
• E che abbiano un senso di appartenenza che sia chiaramente identificabile sia per coloro che
facciano parte del team che per coloro che ne restino al di fuori.

Questa definizione aiuta a capire cosa sia o non sia un team. Un raggruppamento di persone che
interagiscano vicendevolmente e che s’influenzino reciprocamente può essere immaginato come un
gruppo. Quando gli obiettivi di un gruppo divengono più specifici ci si riferisce a esso
denominandolo team. Esistono diverse tipologie di gruppi e team all’interno delle organizzazioni
che differiscono tra loro per alcuni aspetti fondamentali. Tali differenze possono influire sul modo in
cui tali gruppi o team vengano formati, su che valori e attitudini vengano sviluppare e sul tipo di
comportamenti che ne possano originare.

I GRUPPI FORMALI E I GRUPPI INFORMALI.

Nelle organizzazioni, esistono sia due gruppi formali che informali. Gli individui diventano membri
di gruppi formali poiché vi vengono specificamente assegnati. Perciò, nella nostra terminologia, i
team sono dei gruppi formali. Per completare i propri compiti, i membri di tali team devono
interagire. Hanno abilità complementari e lavorano per il completamento degli stessi incarichi che
siano loro assegnati. Essi riconoscono di essere parte di un team e quest’ultimo esiste fino a che
l’obiettivo della sua costituzione non sia raggiunto.
Molti gruppi che non siano creati formalmente dal management nascono spontaneamente non
appena gli individui trovino altri all’interno dell’organizzazione con cui desiderino interagire. Tali
gruppi informali si formano poiché i loro membri condividono alcuni interessi, valori o identità
comuni. L’appartenenza a un gruppo informale dipende dal commitment volontario dei suoi
membri. In questo caso, essi non vi sono assegnati e possono condividerne o meno obiettivi e
compiti comuni.
Il gruppo informale può esistere indipendentemente da uno specifico proposito perdurando uno a
che i lupo componenti ne continuino a ricevere soddisfazione a livello sociale. A seguito delle loro
varie caratteristiche, i gruppi informali non sono considerati come team.

I GRUPPI D’IDENTITÀ.

I dipendenti formano spesso vari gruppi, noti come gruppi d’identità , in base alle proprie
identità sociali, come quella di genere, razziale o religiosa. Gli individui appartengono a molti di
questi gruppo, pertanto, qualsiasi membro di un team è spesso anche membro di svariati gruppi
d’identità. L’efficace performance di un team può essere più difficile da ottenere se i suoi membri
appartengano a diversi gruppi d’identità o quando la loro identificazione con tali gruppi sia in
conflitto con gli obiettivi del team.

I TEAM VIRTUALI.

Un team virtuale è composto da dipendenti che lavorino insieme, pur essendo separati dal tempo,
dalla distanza o dalla struttura organizzativa. I benefici dei team virtuali sono evidenti: essi
consentono alle persone fisicamente lontane di poter lavorare comunque insieme. Tuttavia, si è
dimostrato come tali team siano meno efficaci di quelli che consentano un’interazione de visu.
Sono molte le ragioni di tale risultato. Primo, poiché sono poche le opportunità per condurre
discussioni informali, tra i membri di questi team la fiducia potrebbe svilupparsi più lentamente.
Secondo, i membri si affidano a cani di comunicazione meno intensi di quelli che si utilizzerebbero
con un’intenzione de visu, con conseguente possibilità d’incomprensioni.

107
Terzo, per questi team è più difficile sviluppare norme comportamentali. Infine, è più semplice per
alcuni membri potersi comportare da free rider con conseguente frustrazione degli altri membri. Ne
deriva come sia molto importante che i team virtuali vengano gestiti bene, vista la loro tendenza a
sgretolarsi in assenza della cura sufficiente al loro mantenimento.
La ricerca ha mostrato come l’efficacia dei team virtuali incrementi in funzione del numero
d’incontri de visu avvenuti effettivamente tra i suoi membri. Inoltre, essa ha verificato come i team
virtuali i cui membri abbiano una forte dose di empowerment siano più efficaci di quelli i cui
membri non dispongano dello stesso livello di empowerment. L’impatto dell’empowerment diventa
ancor più apprezzabile ove i team virtuali abbiano poche interazioni de visu.
Infine, la leadership trasformazionale sembra essere più importante per il successo dei team virtuali
che per quello dei team che interagiscano de visu. Questo tipo di leadership facilita lo sviluppo della
fiducia, di norme positive per il team, e del commitment verso il team e i suoi obiettivi. Quando
implementati in modo appropriato, i team virtuali possono incrementare la produttività e far
risparmiare molti milioni di dollari alle proprie organizzazioni.

I TEAM FUNZIONALI.

I team possono essere distinti in base al tipo di lavoro svolto e agli scopi per cui fungano. Le tipologie
di team funzionali includono:

• Team di produzione: gruppi di dipendenti che producano prodotti tangibili;


• Team di servizio: gruppi di dipendenti che s’impegnino in transazioni ripetute con i clienti;
• Team di management: gruppi di manager che coordinino le attività delle loro rispettive unità;
• Team di progetto: gruppi di dipendenti che servano temporaneamente come team per portare a
termine un progetto specifico;
• Team di consulenti: gruppi di dipendenti che siano formati per consigliare l’organizzazione in
merito ad alcuni temi;

I TEAM AUTO-GESTITI.

I team auto-gestiti hanno ampia autonomia e controllo sul lavoro svolto. Solitamente, sono
responsabili del completamento di una porzione definita di un lavoro, di un intero progetto, o di una
parte significativa del processo di consegna di un prodotto o servizio. I membri del team prendono
importanti decisioni che, in team diversi, vengono invece prese dal supervisore. Tali membri sono
anche più responsabili della performance del team.
I team di lavoro auto-gestiti possono apportare molti benefici, tra cui la maggior soddisfazione dei
lavoratori, un minor turnover e assenteismo, una maggior produttività, e una maggior qualità del
lavoro. Tali benefici derivano dal fatto che gli individui s’impegnino maggiormente nel proprio
lavoro e manifestino un maggior coinvolgimento nei confronti del proprio team. Tuttavia, l’efficacia
di questi team potrebbe essere ostacolata da diversi fattori, inclusa la presenza di un leader che si
mostrasse troppo autocratico.

L’EFFICACIA DEI TEAM.

Come si fa a sapere se un team sia efficace? Poiché il mero risultato finale, di per sé, non è
abbastanza, l’efficacia del team dovrà essere misurata su varie dimensioni: criteri conoscitivi,
affettivi, e riferiti all’esito finale. Una considerazione conclusiva sul tema dell’efficacia dei team
è se sia davvero necessario portare a compimento un determinato lavoro attraverso il ricorso a un
team, o se non sia meglio farlo lavorando individualmente.

I CRITERI CONOSCITIVI.

I criteri conoscitivi riflettono il grado con cui il team incrementi continuamente le sue capacità di
performance. I team sono più efficaci se i loro membri condividano le proprie conoscenze
108
vicendevolmente e sviluppino una comprensione comune dei compiti da svolgere, degli strumenti e
delle attrezzature disponibili.
Tale conoscenza condivisa è nota come il modello mentale del team. I modelli mentali condivisi
permettono ai membri dei team: 1) di sviluppare aspettative comuni concordando sulle azioni da
implementare; 2) di migliorare il modo di processare le informazioni e il processo decisionale; 3) di
facilitare la risoluzione dei problemi. Un altro criterio conoscitivo per l’efficacia dei team è
l’apprendimento: ossia l’abilità di un team nel suo complesso d’imparare nel tempo nuove abilità.

I CRITERI AFFETTIVI.

I criteri affettivi si preoccupano di chiarire se i membri del team stiano vivendo un’esperienza
appagante e soddisfacente. Un criterio affettivo importante è il tono affettivo del team o il suo stato
emotivo generale. È importante che, nel suo complesso, il team abbia un atteggiamento positivo e
felice sul lavoro. Sfortunatamente, è facile che anche un solo membro possa contaminare lo stato
emotivo. L’affetto del team influisce sul modo in cui i suoi membri comunichino e si mostrino coesi.

I CRITERI RIGUARDANTI L’ESITO FINALE.

I criteri riguardanti l’esito finale si riferiscono alla qualità e qualità dei risultati del team o al grado
con cui il risultato ottenuto dal team possa essere accettabile per i clienti. Il risultato dovrebbe
riflettere una sinergia. Un altro importante criterio riguardante l’esito finale è rappresentato dalla
possibilità di sopravvivenza del team: ossia dalla sua abilità di rimanere funzionante fino a che sia
necessario. La ricerca ha mostrato come i team abbiano la tendenza a dissolversi nel tempo.
Tale declino di performance può essere dovuto al fatto che i team diventino eccessivamente coesi o a
delle interruzioni nelle comunicazioni tra i membri dei team. Spesso, i team sono creati per
affrontare ambienti incerti e cangianti.

È NECESSARIO RICORRERE AL TEAM?

Come affermato in precedenza, il lavoro in team è divenuto molto popolare nel mondo del business,
cosi come in altri tipi di organizzazioni. Tuttavia, alcune situazioni non richiedono un lavoro in team
e possono essere gestite meglio da individui che lavorino separatamente. I manager si affidano spesso
ai team senza pensare troppo al fatto che questi possano o meno essere davvero necessario. Per una
diagnosi in grado di determinare se un team debba o non debba essere creato, abbiamo la seguente
lista:

• Il progetto richiede davvero un lavoro collettivo? Se il lavoro potrà essere eseguito da individui che
lavorino separatamente senza alcuna integrazione, il lavoro in team non sarà necessario e la sua
esistenza aggiungerà semplicemente un nuovo onere per via delle difficoltà dovute alla necessità di
creare un coordinamento;
• I membri del team hanno bisogno di focalizzarsi sul lavoro collettivo per una porzione di tempo
significative? Non possono, invece, focalizzarsi su diversi aspetti del progetto per la maggior parte
del tempo? Qualora la risposta sia questa ultima, allora potrebbe essere più efficiente assegnare a
ognuno dei compiti specifici, piuttosto che rendere l’intero team responsabile di tutti i compiti;
• Le persone facenti parte del team contano l’una sull’altra? Se la risposta fosse affermativa, ciò
sarebbe indice di maggior commtment verso il team;

Se, di contro, vi fosse una situazione in cui questi criteri non fossero rispettati, allora, forse, per
completare quel determinato lavoro, sarebbe meglio non utilizzare un team.

I FATTORI CHE INFLUISCONO SULL’EFFICACIA DEI TEAM.

Come discusso nella sezione di apertura sull’importanza strategia dei team, quando utilizzati in
modo appropriato, questi possono garantire una performance molto elevata alle proprie
109
organizzazioni. I team possono produrre sinergie per diverse ragioni, tra cui un maggior
commtment verso gli obiettivi, una maggior varietà nelle abilità da applicare al loro conseguimento,
e una maggior condivisione delle conoscenze.
Tuttavia, il lavoro in team potrebbe anche condurre a una performance inferiore a quella che gli
individui potrebbero ottenere lavorando separatamente. Oltre a svolgere i loro compiti regolari e a
perseguire gli obiettivi dell’organizzazione, i membri dei team dovranno anche affrontare qualsiasi
tipo di problema che possa affiorare a livello interpersonale, superare la propensione alla pigrizia di
alcuni di loro, coordinare i compiti tra i vari individui, e implementare una comunicazione efficace
all’interno del team. Tale mole di lavoro potrebbe rivelarsi anche piuttosto consistente giungendo a
causare una perdita di processo significativa.
Per assicurarsi che i benefici del lavoro in team possano controbilanciare le perdite di processo, i
team dovranno essere strutturati e gestiti in modo appropriato. Migliaia di studi hanno esaminato i
fattori capaci d’influire sulla loro efficacia. Tre di loro sono: la composizione dei team, la loro
struttura, e i processi.

LA COMPOSIZIONE DEI TEAM.

La composizione dei team è importante poiché individua quali membri debbano entrare a far arte
del team e quali risorse umane apportarvi. Nell’assegnare ai team i propri dipendenti, i manager
operano spesso tre valutazioni piuttosto discutibili che possono portare al compimento dei seguenti
errori:
1. Assumono che coloro che abbiano similarità demografiche e condividano gli stessi convincimenti
possano lavorare bene;
2. Assumono che ognuno sappia come si lavori in un team o, comunque, sia in grado di lavorarvi;
3. Assumono che un team di grandi dimensioni sia sempre la scelta migliore;

LA DIVERSITÀ.

Alcuni studi hanno individuato gli effetti negativi della diversità, altri quelli positivi, mentre altri
ancora non hanno individuato alcun effetto. Un altro tipo di diversità che può influire sulla
performance dei team concerne la presenza di differenze tra i suoi membri riguardo a importanti
convincimenti. In linea con le ricerche in tema di diversità demografica, l’impatto sulla performance
della diversità dei credi e convincimenti è stato piuttosto vario.
Nel complesso, gli effetti di tale diversità sulla performance dei team sembrano dipendere da svariati
fattori come:
• Il tipo di compito: la diversità sembrerebbe avere effetti più positivi quando i compiti del team
richiedessero una complessa capacità di risoluzione dei problemi, come quella richiesta dal
perseguimento d’innovazione e creatività;
• Il tipo di diversità: se i membri del team presentassero differenze nei fattori che li inducessero
ad avere obiettivi di performance o livelli di commitment diversi verso il team, la relazione tra
diversità e performance potrebbe essere negativa;
• Le faglie: se i membri del team mostrassero di essere diversi sotto due o più dimensioni e tali
dimensioni convergessero, allora la diversità potrebbe essere negativa;
• Il tempo: la diversità potrebbe avere effetti negativi nel breve, ma positivi nel lungo periodo;
• Il risultato: la diversità potrebbe avere un effetto positivo sulla performance, ma uno negativo
sulle reazioni dei membri del team e sui loro comportamenti successivi;

LA PERSONALITÀ.

Il legame tra personalità dei membri e performance dei team può essere molto forte, ma l’esatta
relazione dipenderà dal tipo di compiti che il team cercherà di portare a termine. I ricercatori hanno
vari modi per determinare la personalità di un team; tuttavia, tutti i metodi si bassano
sull’aggregazione di punteggi individuali.I tratti della personalità con effetti rilevanti sulla
performance dei team includono la gradevolezza e la stabilità emotiva.
110
Inoltra, tanto maggiore sarà livello di consapevolezza tra i membri del team, tanto maggiore tenderà
a essere la performance di quest’ultimo. Ciò è particolarmente vero quando l’obiettivo del team
riguardi la pianificazione e la performance, piuttosto che la creatività.
Infine, l’estroversione e l’apertura alle esperienze a livello di team potrebbero essere correlate
positivamente alla performance nei casi in cui fosse richiesto di operare scelte non routinarie e
creative.

L’ORIENTAMENTO AL TEAM.

Alcuni individui sono più adatti di altri a lavorare in team poiché apprezzano il lavoro di gruppo e
sono in possesso delle abilità necessarie. L’orientamento al team si riferisce al grado con cui un
individuo lavori bene con gli altri, desideri contribuire alla performance del team e gradisca l’idea di
farne parte. Qualora un team sia composto da molti membri che abbiano un orientamento positivo
verso di esso, allora quel team mostrerà di avere una maggior capacità di adattamento e una
performance migliore di un altro i cui membri non abbiano un tale orientamento.

LE DIMENSIONI.

Nella composizione di un team, non esiste un numero di membri che possa essere ideale per
qualsiasi situazione.
Molti studi hanno esaminato la relazione tra dimensione e performance dei team. La prima
sostiene che la relazione tra dimensione e performance del team abbia una forma di U rovesciata:
cioè, al crescere delle dimensioni del team, la diversità delle abilità, dei talenti, delle idee e degli
input che i membri apporteranno al team sarà maggiore, con un conseguente miglioramento della
performance. Tuttavia, al crescere del numero dei membri, incrementerò anche il bisogno di
cooperazione e coordinamento.
Ciò significa che, a un certo punto, lo sforzo necessario a gestire il team controbilancerà i benefici
dell’avere più membri al suo interno e la performance del team inizierà a declinare.
Altri studiosi hanno scoperto come la performance s’incrementi proporzionalmente al crescere delle
dimensioni del team, senza mai mostrate alcun ribasso. Molto probabilmente, questa relazione
lineare si avrebbe se il team decidesse di evitare i problemi derivanti dall’avere troppi membri al
proprio interno. Pertanto, la relazione tra la dimensione e la performance di un team dipenderà
dalla sua abilità nella gestione dei processi, oltre che da altri fattori come l’ampiezza degli obiettivi o
la complessità ambientale. Qualora l’ampiezza degli obiettivi e la complessità ambientale fossero
elevati, occorrerebbe un maggior numero di membri al suo interno.

LA STRUTTURA DEI TEAM.

La struttura del team si riferisce agli strumenti formali, continuati nel tempo, necessari a coordinare
gli sforzi. Il contributo offerto dalla struttura alla capacità di conseguimento di un team è evidente.
Al di là del raggruppare insieme i compiti e gli individui che vi siano assegnati, è necessario
utilizzare metodi strutturali aggiuntivi per coordinare gli sforzi di tutti;
Altrimenti, non sarà possibile eseguire tali compiti nel miglior modo possibile e i lavoratori potranno
duplicare inutilmente i propri sforzi, o perfino, lavorare l’uno contro l’altro. Gli aspetti basilari della
struttura dei team includono i ruoli, le norme e la struttura dei compiti.

I RUOLI DEI MEMBRI DEL TEAM.

I ruoli dei team riguardano le aspettative condivise tra i loro membri con riferimento a chi eseguirà
che tipo di compiti e in che condizioni. I ruoli possono essere assegnati formalmente o essere
adottati informalmente dai vari membri del team. Alcuni si occuperanno principalmente dei ruoli di
leadership, mentre altri svolgeranno quello di follower.
A parte i ruoli di leadership, tutti i team hanno bisogno di membri che si occupano dei ruoli
riguardanti l’esecuzione delle mansioni e degli aspetti socio-emozionali. I ruoli riguardanti
111
l’esecuzione delle mansioni si riferiscono ai comportamenti miranti al conseguimento degli
obiettivi di performance del team e all’esecuzione dei vari compiti necessari.
I ruoli socio-emozionali richiedono comportamenti che siano di supporto agli aspetti sociali del
team. Un membro del team potrebbe anche enfatizzare i ruoli individuali distruttivi: ossia
comportamenti tendenti ad anteporre a quelli del team i propri bisogni e interessi personali. Come
sarebbe loco attendersi, questi ruoli creeranno impedimenti anziché favorire la performance del
team.
Non appena il team diverrà più stabile e strutturato, i ruoli dei singoli membri inizieranno a essere
piuttosto resistenti al cambiamento.
Le pressioni provenienti dai gruppi sociali tenderanno a mantenere i membri al loro posto e il team
tenterà di resistere alle forze esterne che ne muterebbero i ruoli, anche qualora questi ultimi non
dovessero essere quelli assegnati formalmente dall’organizzazione.

LE NORME.

Le norme sono regole standard che regolano il comportamento del team. Esse tendono a emergere
naturalmente in un team e fanno parte del modello mentale da esso adottato. Le norme si occupano
di regolare il comportamento dei membri del team offrendo loro la giusta direzione da seguire. Ove
queste vengano violate, sarà solitamente prevista una qualche tipologie di punizione o sanzione. Le
norme di un team possono diventare molto potenti e resistenti al cambiamento.
Ancorché permettano ai team di funzionare regolarmente, a volte, le norme possono danneggiare
alcuni membri.

LA STRUTTURA DEI COMPITI.

Si è dimostrato come la struttura dei compiti dia una delle determinanti del funzionamento e
performance dei team. Ne sono state proposte varie tipologie, classificate in base ai compiti. Una
delle più popolari enfatizza i seguenti punti: 1) se i compiti possano essere suddivisi in sub-
componenti; 2) se essi abbiano obiettivi qualitativi o quantitativi; 3) come gli input individuali
possono essere combinati per l’ottenimento del prodotto finale del team.
Per prima cosa, quindi, occorre considerare se il compito possa essere suddiviso in varie parti, ovvero
sono compiti divisibili. Pertanto, diversi membri del team potranno assolvere al completamento
di alcune parti in cui sia stato suddiviso ciascun compito. I compiti unitari, invece, non possono
essere suddivisi e vanno portati a termine da un singolo individuo. Se un particolare obiettivo
richiederà il completamento di compiti unitari, potrà non essere vantaggioso che sia un tema a
occuparsene.
In secondo luogo, occorre considerare che obiettivi ci si proponga attraverso il completamento di
tale compito. I compiti che abbiano insito in loro un obiettivo quantitativo sono denominati
compiti di massimizzazione. I compiti con un obiettivo qualitativo sono denominati compiti
di ottimizzazione e, spesso, richiedono innovazione e creatività: esempi di tali compiti includono
lo sviluppo di un nuovo prodotto o di una nuova strategia di marketing.Se diversi, i team tenderanno
a mostrare una miglior performance nei compiti di ottimizzazione.
Infine, occorre considerare il modo in cui combinare insieme gli input individuali per ottenere il
prodotto finale del team. La scelta di tale modalità pone un limite su quanto bene un team sia
capace di prodotte una buona performance. Possiamo classificare le modalità di combinare gli input
determinando se il compito sia additivo o compensativo, e se esso sia disgiuntivo o congiuntivo.
I compiti additivi sono quelli in cui gli input individuali vengano semplicemente sommati insieme.
Quando gli input saranno combinati sommandoli insieme, la performance del team sarà spesso
migliore della miglior performance individuale per via dei processi di facilitazione sociale. I compiti
compensativi sono quelli in cui venga fatta la media delle performance individuali di ogni
membro, cosi da arrivare alla performance complessiva del team. Ne deriva come probabilmente la
performance potenziale del team su questo tipo di compito sarà migliore di quella della maggior
parte dei singoli membri.

112
I compiti disgiuntivi sono quelli in cui i team debbano lavorare insieme per sviluppare un unico
prodotto/soluzione su cui siano tutti d’accordo. Solitamente, questi compiti producono una
performance del team che sia migliore di quella dei vari membri presi singolarmente, benché non
cosi positiva come quella del membro migliore.
I compiti congiuntivi sono quelli in cui tutti i membri debbano svolgere i loro compiti individuali
per giungere alla performance complessiva dell’intero team. I team che lavoreranno su compiti
congiuntivi non potranno produrre una performance migliore di quella che sia la peggior
performance a livello individuale.

I PROCESSI INTERNI AI TEAM.

I processi interni ai team sono i comportamenti e le attività in grado d’influenzare l’efficacia con
effetti considerevoli sui risultati. Essi includono la coesione, il conflitto, la facilitazione sociale,
il social loafing e la comunicazione.

LA COESIONE.

La coesione interna si riferisce all’attrazione manifestata dai membri verso il team. La coesione
interpersonale riguarda l’apprezzamento che i membri manifestino a livello reciproco o l’attrazione che
ognuno manifesti verso gli altri.
La coesione dei compiti è l’attrazione dei membri del team verso i suoi obiettivi e il grado di
commitment che essi mostrino di avere verso il loro conseguimento. La coesione interna a un team è
un criterio importante poiché la ricerca indica come questa influisca sui suoi risultati di performance
e sulla loro realizzabilità. Inoltre, i membri coesi hanno maggiori probabilità di essere soddisfatti nei
confronti dei propri team rispetto a quelli che non lo siano.
È probabile che i team coesi raggiungano una performance convincente quando vi sia coesione dei
compiti. In presenza di una mera coesione a livello interpersonale, la performance potrebbe
soffrirne. Invero, se si apprezzeranno vicendevolmente e gradiranno lavorare insieme, ma non
presenteranno un commitment agli obiettivi e ai compiti organizzativi, i membri di un tema
mostreranno una performance peggiore di quanto accadrebbe se essi non fossero coesi a livello
interpersonale.

I CONFLITTI.

Il conflitto si genera quando i comportamenti o le idee di qualcuno appaiano inaccettabili agli altri
membri del team. Esistono svariati tipi di conflitto interno a un gruppo: quello personale, quello
sostanziale e quello procedurale. Si ha un conflitto personale qualora le persone non si piacciono
vicendevolmente. Come ci si può aspettare, è più probabile che i soggetti assegnati a un team
facciano esperienza di questo tipo di conflitti di quanto non succeda a quelli che, invece, abbiano
scelto volontariamente di far parte dello stesso gruppo informale. Perché si abbia un conflitto
personale, non occorre che vi sia disaccordo su uno specifico
tema.
Si ha un conflitto sostanziale qualora un membro del team si trovi in disaccordo con le idee i un
altro membro riguardo allo svolgimento di un certo compito, alla pianificazione, o all’analisi dei
problemi del team. Spesso, i conflitti sostanziali possono condurre a maggior creatività e
innovazione, salvo che, in seguito, non si trasformino i conflitti personali.
Infine, si ha un conflitto procedurale qualora i membri di un team siano in disaccordo sulle
politiche e procedure da seguire: ovvero, non concordino sul modo di lavorare insieme. È possibile
che il membro di un team virtuale si convinca che il modo corretto per lavorare insieme come un
team sia tenersi in contatto via e-mail con tutti gli altri membri per almeno due volte al giorno.
Inoltre, è anche possibile che egli si convinca del fatto che questi debbano rispondere
immediatamente a tali e-mail. Di contro, altri membri del team potrebbero pensare che un contratto
cosi frequente costituisca una perdita di tempo sostenendo, invece, come sia più utile contattarsi solo
ove necessario. Le norme interne ai gruppi nascono come un modo per evitare i conflitti
113
procedurali. Per evitare questo tipo di conflitti, i team possono anche sviluppare delle politiche o
regole specifiche.
In base alla specifica tipologia, il conflitto potrà avere conseguenze negative o positive sull’efficacia
di un team. Quello personale tenderà a essere negativo poiché interferirà con la cooperazione e con
il giusto focus sui compiti da realizzare. Quello sostanziale potrà essere positivo, specie per i compiti
che implicheranno creatività e innovazione. Questo tipo di conflitto generare varie idee ponendo le
basi per l’identificazione di quella migliore.
Di contro, ignorare le divergenze di opinione è potenzialmente dannoso. Nel complesso, in conflitto
sostanziale può essere di beneficio quando i team risolvano i problemi cooperando, sviluppando
norme positive e creando un modello mentale coerente. Il conflitto procedurale non è stato studiato
a sufficienza per potersi spingere a delle vere e propria conclusioni, ma è certo che avrebbe effetti
negativi qualora non fosse individuato per tempo.

LA FACILITAZIONE SOCIALE.

Il fatto che la presenza di altri fosse in grado di stimolare un miglioramento della performance
individuale, è stato denominato effetto di facilitazione sociale: esso indica come il lavoro in
team possa portare a un incremento di performance a seguito della presenza di altri individui. Varie
ragioni sono state offerte a supporto dell’effetto di facilitazione sociale. Una di queste è che la
presenza di altri crei una stimolazione generale negli esseri umani.
Tale eccitazione a livello generale guida a una migliore performance. Un’altra spiegazione è che la
presenza di altri incrementi lo stato d’apprensione per una futura valutazione: cioè, il sapere di poter
essere oggetto di valutazione stimolerà tutti a produrre una performance migliore. Qualunque sia la
ragione, la facilitazione sociale sembra avvenite soltanto quando le persone si trovino a eseguire
compiti con cui siano familiari, che siano semplici o frutto di un precedente apprendimento. Di
contro, la presenza di altri potrà ridurre la performance nei compiti più complessi o meno familiari.

IL CONCETTO DI OZIO SOCIALE (social loafing).

La ricerca suggerisce come il semplice atto di mettere insieme un gruppo di persona non ne
incrementi necessariamente il prodotto complessivo; infatti, chi lavorasse insieme ad altri nella
realizzazione di un compito potrebbe produrre una performance peggiore di quella che, invece,
potrebbe produrre lavorando separatamente. Tale fenomeno è noto come social loafing (ozio
sociale) e, ovviamente, potrà portare a gravi perdite per l’organizzazione.
Esistono tre spiegazioni principali per il social loafing. Primo, se gli output di ogni singolo individuo
non saranno specificamente identificabili, i lavoratori potranno sottrarsi al proprio dovere poiché
nessuno potrà incolparli di scarsa performance individuale. Secondo, se i lavoratori di un team si
aspetteranno che i loro compagni possano sottrarsi ai propri doversi, allora anche questi potranno
decidere di ridurre gli sforzi, cosa da ristabilire una più equa distribuzione dei carichi di lavoro.
Infine, se molti individui lavorassero a uno stesso compito, alcuni tra questi potrebbero sentirsi
superflui pensando che il loro specifico contributo non fosse poi cosi importante.
Il social loafing si può manifestare in qualsiasi team e a qualsiasi livello dell’organizzazione. In più,
trattandosi di un comportamento il cui risultato sia un immediato calo della produttività, sarà
certamente un problema serio da evitare. Infatti al comparire del social loafing, si avrà quanto meno
un sottoutilizzo del capitale umano dell’organizzazione.
Fortunatamente, i manager possono adottare diversi metodi per individuare e risolvere il problema.
Prima di tutto, possono rendere visibili i contributi dei singoli: ciò si potrà ottenere utilizzando team
di minori dimensioni e adottando un sistema di valutazione in cui sia messo in evidenza il contributo
di ciascuno e/o incaricando qualcuno di monitorare i contributi di ogni singolo membro. In secondo
luogo, si può promuovere la coesione del team: ciò potrà essere ottenuto attraverso la previsione di
ricompense per l’intero team, addestrando i membri al lavoro in team e selezionando gli individui
più adatti a questo genere di cooperazione.

LA COMUNICAZIONE.
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Per coordinare i propri sforzi produttivi in maniera efficace, i membri di un team devono saper
comunicare. Occorre distribuire istruzioni su come operare e organizzare incontri per discutere il
modo in cui risolvere i problemi. Essendo d’importanza cruciale, i team creano molti processi
formali per la comunicazione, come la redazione di report formali.
Anche la comunicazione informale è piuttosto necessaria: invero, i membri hanno bisogno di
discutere tra loro dei propri problemi sia personali sia attinenti allo svolgimento dei compiti. La
comunicazione informale è la naturale conseguenza dei processi di gruppo.
L’efficacia e frequenza delle comunicazioni è influenzata da molti di quegli stessi fattori che abbiano
portato alla costituzione dei gruppi e alla loro strutturazione.oltre a influire sulla performance dei
compiti svolti, l’efficacia e frequenza delle comunicazioni è correlata alla soddisfazione mostrata dai
membri con riferimento alla loro appartenenza al team. Inoltre, la comunicazione diviene più
gratificante al crescere del senso di appartenenza al team e del livello di soddisfazione dei suoi
membri. Dunque, essa è sia causa sia conseguenza della soddisfazione provata da chi appartenga al
team.

LO SVILUPPO DEL TEAM.

La natura delle interazioni tra i membri di un team muta con il trascorrere del tempo. Al primo
incontro, i team si comporteranno diversamente rispetto a quando siano abituati a lavorare insieme
da parecchio tempo. All’inizio del ciclo di vita di un team, i vari membri potranno impiegare più
tempo nel conoscersi a vicenda rispetto a quanto non ne impiegheranno nello svolgimento dei
compiti. Tuttavia, al progredite della situazione, il team tenderà a focalizzarsi con più attenzione
sulla performance. Secondo il modello, tipicamente, i team attraversano quattro stadi del loro ciclo
di vita: formazione, attacco, regolamentazione e ottenimento dei risultati.
1. Durante lo stadio di formazione, i dipendenti entrano a far parte di un tea senza alcuna
precedente relazione, ma con certe aspettative riguardo a ciò che essi vogliano ottenere. I nuovi
membri si concentrano sulla conoscenza reciproca, definendo l’oggetto da conseguire e
determinando il modo in cui conseguirlo. A volte, affioreranno conflitti di personalità o
disaccordi su ciò che vada fatto e su come farlo;
2. A questo punto, il team entrerà nella fase di attacco, contrassegnata dal tra i vari membri. Se
il team vorrà aver successo, i membri avranno bisogno di risolvere o gestire i conflitti personali
concentrandosi su quelli sostanziali e procedurali, cosi da raggiungere un accordo sufficiente
sugli auspicati livelli di performance e sui processi attraverso cui raggiungerli.
3. Nel concentrarsi sui conflitti sostanziali e procedurali, il team arriverà a capire quali siano i
risultati auspicati, le regole e le procedure. Questo è lo stadio della regolamentazione, in cui
i membri del team coopereranno reciprocamente diventando più coesi.
4. Una volta stabilite le norme e formatasi una certa coesione, si entrerà nella fase di
ottenimento dei risultati. In questa fase, i membri saranno più coinvolti verso il proprio
team, svolgeranno i propri compiti focalizzandosi sulla performance e, in genere, saranno più
soddisfatti della propria esperienza all’interno del team;
5. La maggior parte dei team alla fine si dissolve. I membri possono semplicemente lasciarlo o il
suo scioglimento potrà avvenire formalmente dopo il conseguimento dell’obiettivo per cui esso
sia stato costituito. Pertanto, essi andranno essenzialmente attraverso un quinto stadio la fase di
aggiornamento ossia quando gli individui inizieranno a lasciare il team interrompendo i
contatti regolari con gli altri suoi membri;

Qualora una parte dei membri di un team originariamente coeso decidesse di lasciare il gruppo, il
resto dei componenti si troverebbe a provare spesso un sentimento di perdita o vuoto. Di
conseguenza, il team sarebbe meno omogeneo e strutturato rischiando di sciogliersi, a meno che
non sopraggiungano altri elementi. Non tutti i team attraversano necessariamente tutte e cinque le
fasi appena descritte.

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Il modello dell’equilibrio punteggiato(PEM) in tema di sviluppo dei team offre una visione
alternativa di sviluppo al trascorrere del tempo. Tale modello evidenzia come i team non vadano
attraverso fasi lineari, ma la loro formazione dipenda dalle scadenze più imminenti dei diversi
compiti da svolgere. Essenzialmente, il PEM è un modello a due stadi raffigurati due periodi di
equilibrio punteggiati da uno spostamento del focus.
Nel primo stadio, i membri inizieranno a conoscersi reciprocamente e a svolgere l’attività di
regolamentazione. In questa fase, il focus sarà sullo sviluppo dei ruoli socio emozionali.
All’avvicinarsi della scadenza del lavoro da svolgere, il team subirà un cambiamento cruciale nel suo
funzionamento. Questo sarà il momento esatto in cui avverrà il punteggiamento.
Dopo aver raggiunto tale punto, il team si riconcentrerà sulle attività necessarie al completamento
del compito. Perciò, il focus si sposterà sui ruoli necessari allo svolgimento dei compiti. Questo
modello è in contrapposizione poiché sostiene che le fasi del ciclo di vita del team siano determinate
dagli aspetti temporali dei compiti da svolgere e non dalle sue dinamiche sociali interne.

L’EFFICACIA GESTIONE DEI TEAM.

Per riuscire a ottenere il massimo beneficio possibile dal lavoro in team, le organizzazioni dovranno
offrire supporto affinché questi possano lavorare con efficacia. Un’organizzazione non potrà limitarsi
a dichiarare di puntare semplicemente sul lavoro in team senza pianificare, addestrare, selezionare e
ricompensare le persone per lo svolgimento di tale attività.

IL SUPPORTO DEL TOP MANAGEMENT.

Un efficace lavoro in team ha bisogno di un certo supporto da parte delle alte gerarchie
organizzative. Tutte le organizzazioni particolarmente note per il lavoro in team hanno bisogno dei
senior manager intenti a promuovere attivamente il lavoro di gruppo. Per supportarne l’efficacia,
esistono svariate procedure in grado di aiutare i senior manager come, ad esempio:
• Avere una vision e un piano strategico chiari che facciamo da base per la determinazione dei
risultati desiderati;
• Avere un orientamento ai risultati nella misurazioni degli output dei vari team e attendersi che
tutti i leader nell’organizzazione facciano la stessa cosa;
• Includere attivamente i manager e subordinati a tutti i livelli del processo decisionale riguardante
l’uso dei team;
• Decidere l’uso dei team in maniera esplicita legandone la scelta agli obiettivi di business;
• Gestire e rivedere attivamente i sistemi di supporto ai team;

I SISTEMI DI SUPPORTO.

I sistemi di supporto sono aspetti della vita organizzativa in grado di consentire a un team il suo
corretto funzionamento e che includono: la tecnologia, i sistemi informativi, la selezione dei membri
del team, l’addestramento, le ricompense e la leadership.

LA TECNOLOGIA.

Per svolgere il proprio lavoro, i team devono poter accedere alla tecnologia necessaria, inclusa quella
per portare a termine i compiti e aiutare i membri a coordinarsi reciprocamente nel proprio lavoro.
Molte tecnologie sono disegnate per aiutare i team a comunicare e interagire in modo più esauriente
ed efficiente.

I SISTEMI INFORMATIVI.

Per poter agire, i team hanno bisogno di tutte le informazioni necessarie. Spesso, ne occorrono di
più di quante se ne possieda realmente. I team possono anche andare in sofferenza per via di un
eccesso d’informazioni ricevute. Spesso, l’informazione Technology può offrire una quantità
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esagerata d’informazioni e troppe informazioni rischiano di creare sovraccarico: in tali situazioni, i
dipendenti potrebbero non sapere a quale informazione fare riferimento; potrebbero trovarsene
schiacciati e fare attenzione solo a una porzione di esse; o, peggio ancora, tralasciarle tutte
bloccando direttamente il sistema. Un problema correlato è quello delle informazioni indisponibili
nella forma più utile al team: per risolverlo, sarebbe bene che i team disponessero di un sistema
informativo user friendly (ossia facile da usare).

LA SELEZIONE DEI MEMBRI DEL TEAM.

Tradizionalmente, nella scelta dei membri per i propri team, a un’organizzazione si raccomanda di
selezionare individui aventi conoscenze e abilità sufficienti a consentire loro di svolgere il proprio
lavoro e in possesso di valori compatibili con la sua cultura a livello corporate. Tuttavia, tali individui
hanno anche altri ruoli da ricoprire.
Inoltre, poiché il lavoro in team implica spesso lo svolgimento delle attività più varie, potrebbe essere
necessario disporre di un più ampio insieme di abilità. Se ne deduce come la selezione dei membri
di un team abbia bisogno di valutare un più ampio ventaglio di fattori rispetto a quanto non avvenga
per i lavori più tradizionali. Alcuni suggerimenti da seguire nella selezione dei membri di un team
sono:
• Adattare il processo di assunzione al tipo di team: potrebbe essere appropriato svolgere alcuni test
della personalità per i team di servizio, ma non per i team senior manager;
• Condurre un’analisi del lavoro da svolgere in team, cosi da identificare le conoscenze e le abilità
necessarie a portare a termine i compiti individuali e di gruppo;
• Considerare gli aspetti politici. Infatti, potrebbe essere importante avere dei membri in grado di
rappresentare diverse correnti all’interno di un team;
• Considerare attentamente chi debba essere incaricato di valutare le conoscenze e abilità dei
potenziali membri del team e, poi, chi debba deciderne la selezione. Spesso, è utile avere membri
del team che siano coinvolti direttamente nel processo di selezione;

LE RICOMPENSE.

Se le persone dovranno lavorare insieme ed efficacemente come un team, dovranno anche essere
ricompensate esattamente come un team. Gli individui avranno poca motivazione a impegnarsi e
sopportarsi a vicenda qualora siano, poi, ricompensati solamente per la propria performance a
livello individuale. Pertanto, è fondamentale che il sistema di ricompensa per i team abbia varie
componenti, alcune delle quali ne riflettano la performance.
Uno di questi sistemi di ricompensa è il piano di condivisione dei profitti secondo cui i dipendenti
riceveranno un bonus in base ai profitti generati dal proprio team. Inoltre, qualora il lavoro in team
richieda una conoscenza e un lavoro inter-funzionale, essi potranno anche ricevere una paga basata
sulle loro abilità e conoscenze.

LA LEADERSHIP.

La leadership di un team è cruciale per la sua efficacia. I leader dei team possono emergere
naturalmente o essere assegnati in base a particolari abilità o autorità. I team leader di successo
devono svolgere tre ruoli.
Il primo ruolo, team liaison (collegamento) richiede che i leader crei un network di fonti
d’informazione, sia internamente che esternamente al team, creando un ponte di collegamento tra
le due. Le fonti esterne includono i fornitori, i clienti, gli altri team, e i livelli più altri della gerarchia
dirigenziale. Nel ruolo di liaison, un leader agisce anche come rappresentare del team
preoccupandosi in prima persona del suo interesse.
Un altro ruolo del leader riguarda lo stabilire la giusta direzione. Il leader deve assicurare lo
sviluppo di una direzione chiara per le azioni del team: ciò significa che egli debba sviluppare
strategie di breve termine secondo quelle che siano le strategie di lungo termine pianificate dal team

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di senior manager dell’organizzazione. Il leader dovrà aiutare a tradurre tali strategie di lungo
termine in una direzione chiara, in obiettivi precisi.
Infine, il leader del team deve anche fungere da coordinatore delle operazioni del team. Tale
ruolo riguarda la gestione del lavoro e dei processi del team. le maggiori responsabilità di questo
ruolo sono quelle di riconoscere il contributo di ciascun membro e di decidere come integrare al
meglio il contributo di ognuno e di assicurare che il team stia operando in un clima psicologico che
gli consenta di funzionare in modo efficace.

L’ADDESTRAMENTO.

Le migliaia di metodi e programmi di formazione esistenti dimostrano la criticità di un


addestramento adeguato per i team. Uno degli assunti fatti spesso dai manager è che le persone
sappiano lavorare in team e siano idonee a questo tipo di lavoro. In molti casi, si tratta di
un’affermazione discutibile. Generalmente, l’addestramento nella creazione del team si focalizza su
quattro diversi tipi di abilità:
1. Abilità interpersonali e in particolare, comunicazione, supporto e fiducia;
2. Abilità nella risoluzione dei problemi, cosi da permettere ai suoi membri d’identificare i
problemi, generare possibili soluzioni e valutare quale sia la più conveniente;
3. Abilità nella fissazione degli obiettivi;
4. Abilità nella chiarificazione degli obiettivi, cosi da permettere ai membri di articolare le
responsabilità e le caratteristiche dei ruoli che vadano ricoperti;

L’addestramento ha effetti positivi, ma piuttosto deboli sui risultati di performance, mentre abbia
effetti più positivi sulla capacità di valutazione del team da parte dei suoi membri. È probabile che
l’addestramento abbia un maggior impatto sulla performance dei team appena costituiti.

CAPITOLO 12: CONFLITTO, NEGOZIAZIONE, POTERE E POLITICA.

LA NATURA DEL CONFLITTO.

Il conflitto è un processo in cui una parte percepisce come suoi interessi siano contrari o influenzati
negativamente da un’altra. Alcuni conflitti sono disfunzionali, mentre altri non lo sono.

IL CONFLITTO DISFUNZIONALE E IL CONFLITTO FUNZIONALE.

Il conflitto disfunzionale è un dissidio capace d’interferire con la performance. Esso potrebbe


essere disfunzionale per varie ragioni. Primo, il conflitto con soggetti importanti potrebbe creare
dubbi nella mente degli azionasti riguardo alla performance futura dell’organizzazione, rischiando
di far crollare il valore delle azioni.
Secondo, il conflitto potrebbe portare le persone a esercitare il proprio potere individuale e ad
assumere comportamenti politici miranti al conseguimento dei propri obiettivi personali a spese di
quelli dell’organizzazione. Terzo, il conflitto potrebbe portare a effetti negativi nelle relazioni
interpersonali. Infine, occorrono tempo, risorse ed energie emotive per affrontare situazioni di
conflitto, sia a livello interpersonale sia organizzativo. Perciò, risorse che potrebbero essere impiegate
nel perseguimento della mission d’impresa finiscono, invece, per essere utilizzate nel tentativo di
risolvere i conflitti. Tuttavia, il conflitto non dev’essere disfunzionale.
Un conflitto che apporti benefici in termini di risultati sia per l’organizzazione che per gli individui è
da considerarsi un conflitto funzionale. Spesso, un’organizzazione che manchi di conflitto
funzionale non dispone delle idee ed energie necessarie a creare innovazione efficaci. Infatti, per
incoraggiare il conflitto funzionale all’interno dei gruppi, alcuni manager hanno implementato un
approccio formale come l’inchiesta dialettica o l’avvocato del diavolo.
Stimolando il dibattito, il conflitto può avere un gran numero di conseguenze funzionali per le
organizzazioni, tra cui le seguenti:
• Facilitazione del cambiamento;
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• Miglioramento nella risoluzione dei problemi e nel processo decisionale;
• Aumento del morale e della coesione interna al gruppo (sulla base dei conflitti con altri gruppi);
• Maggior spontaneità delle comunicazioni;
• Stimolazione della creatività e, perciò, della produttività;

LE TIPOLOGIE DI CONFLITTO.

Tre sono le tipologie di conflitto che possono verificarsi in un luogo di lavoro: il conflitto personale,
sostanziale, e procedurale. I conflitti personali e procedurali che non vengano risolti tenderanno a
essere disfunzionali; ma un conflitto continuo o periodico potrà essere costruttivo.
Il conflitto personale si riferisce a dissidi che emergano da differenze personali e relazionali tra le
persone: diversità nei valori, negli obiettivi personali, nelle personalità e simili. Il conflitto personale
porta a una scarsa performance. Questa forma di conflitto crea sfiducia, incomprensioni e
diffidenza, danneggiando la reputazione. Come risultato, i dipendenti hanno difficoltà a focalizzarsi
pienamente sulle responsabilità del proprio lavoro e trovano difficile lavorare insieme per il
conseguimento degli obiettivi
dell’organizzazione.
Il conflitto sostanziale riguarda il contenuto del lavoro, i compiti, e gli obiettivi. Essenzialmente,
si possono avere diverse opinioni riguardo ad argomenti concernenti i compiti da volgere. I conflitti
sostanziali possono portare spesso a problemi e scarsa performance; ma, se gestiti correttamente,
possono anche generare risultati positivi. Livelli moderati di conflitto sostanziale possono realmente
migliorare la performance. Anche a livelli più alti possono a volte portare a conseguenze positive e
maggior creatività, purché si enfatizzi l’importanza della collaborazione per la risoluzione dei
problemi.
La terza tipologia di conflitto, il conflitto procedurale concerne il modo in cui occorra
completare il lavoro. Si è scoperto come, spesso, se irrisolto, il conflitto procedurale influisca
negativamente sulla performance. Qualora gli individui non riescano a decidere chi debba essere
responsabile per il completamento di un determinato compito o come quest’ultimo debba essere
svolto, vi sono poche possibilità che questi possano raggiungere gli obiettivi o anche solo completare
il progetto.

LE CAUSE DEL CONFLITTO.

Il conflitto interno alle organizzazioni può essere causato da molti fattori, spesso tra loro interrelati.
Per gestirlo efficacemente, i manager dovrebbero capirne e diagnosticarne le cause. Alcune delle
cause più comuni sono i fattori strutturali, comunicativi e cognitivi, le caratteristiche
individuali, e la storia delle relazioni tra le parti.

I FATTORI STRUTTURALI.

Tra i fattori strutturali in grado d’incrementare il conflitto, vi sono l’aumento di


specializzazione, l’interdipendenza tra le parti, l’accentramento vs. Il decentramento e
il layout fisico.

L’AUMENTO DELLA SPECIALIZZAZIONE.

Non appena divenute più grandi e diverse, le organizzazioni avranno bisogno di maggior
specializzazione per operare con efficacia. Le organizzazioni aggiungono nuove aree funzionali non
appena decidano di rivolgersi a un pubblico più variegato: la divisione del lavoro secondo questa
modalità viene denominata differenziazione. Le organizzazioni efficaci diverranno più
differenziate non appena inizieranno a crescere di dimensioni o il loro ambiente esterno diverrà più
complesso.

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L’incremento di specializzazione produce molti benefici, ma crea, altresì, un maggior potenziale di
conflitto. Spesso, gli specialisti vedono le cose da prospettive differenti. Essi differiscono sovente
anche con riferimento agli obiettivi e alle prospettive temporali.

L’INTERDIPENDENZA.

Nella maggior parte delle organizzazioni, il lavoro va coordinato tra le varie unità e gli individui che
ne facciano parte. Più interdipendenti saranno le unità o gli individui, maggiore sarà il rischio di
conflitto potenziale. L’interdipendenza può nascere da una limitazione nelle risorse disponibili o
dalla richiesta di coordinamento nelle tempistica e sequenza delle attività.
Tutte le organizzazioni dispongono di risorse limitate e cercano di trovare la maniera più efficiente
per ripartirle ai fini del conseguimento degli obiettivi. Uno studio ha trovato che la competizione per
le risorse limitare porti spesso a un conflitto disfunzionale.

I CONCETTI DI ACCENTRAMENTO E DI DECENTRAMENTO.

Sia l’accentramento che il decentramento dell’autorità possono causare conflitti, ma ognuno porta a
una forma diversa di conflitto. A livello di organizzazione nel suo complesso, autorità accentrata
significa che un individuo possa decidere per tutte le unità o che un’unità gerarchicamente superiore
possa prendere le decisioni per tutte le altre.
L’accentramento può ridurre il conflitto tra unità poiché è probabile che, all’interno di un sistema
centralizzato, tutte le unità condividano gli stessi obiettivi e prospettive. Tuttavia, il conflitto tra
individui e supervisori all’interno delle varie unità potrà sorgere poiché gli individui e le unità
avranno poco controllo sulle proprie situazioni lavorative.
Autorità decentrata significa che il manager di ogni unità possa essere investito dell’autonomia
decisionale in merito a svariate scelte importanti. Sebbene l’autorità decentrata possa ridurre il
conflitto tra superiori e subordinati all’interno di una stessa unità, esso potrebbe comunque creare il
potenziale per un maggior conflitto tra diverse unità poiché le decisioni prese da una potrebbero
configgere con quale prese dall’altra. Inoltre, queste decisioni potrebbero riflettere delle percezioni
errate dovute al fatto di operare in unità differenti.

IL LAYOUT FISICO.

Il layout fisico che contraddistingue il luogo di lavoro potrebbe produrre conflitto attraverso
l’attivazione di svariati meccanismi. È frequente che i dipendenti lavorino in piccoli cubicoli affilati
che non consentano alcuna privacy o spazio personale.
I dipendenti che si troveranno a operare in tali ambienti faranno esperienza di un tipo
d’interdipendenza alquanto stressante. Poiché ognuno potrà essere costantemente visto dagli altri,
cosi come facilmente ascoltato durante una conversazione, potranno emergere situazioni di conflitto,
il conflitto è particolarmente probabile qualora i dipendenti siano ignari degli effetti che il proprio
comportamento possa avere su chi li circondi.

LA COMUNICAZIONE.

Una comune causa di conflitto è costituita dalla scarsa comunicazione che potrebbe condurre a
incomprensioni e all’erezione di barriere. Probabilmente, il modo più semplice per evitare il conflitto
è assicurare una buona comunicazione.
Sia l’insufficiente che la troppo frequente comunicazione possono provocare il conflitto. Da un lato,
quando la comunicazione sarà troppo poca, i dipendenti non conosceranno abbastanza l’uno
dell’altro riguardo alle reciproche intenzioni, obiettivi e piani. Il coordinamento diverrà difficile e
sarà più probabile che nascano incomprensioni che possano sfociare in conflitti. D’altro canto, una
comunicazione eccessiva potrà condurre anch’essa a un sovraccarico d’informazioni e a
incomprensioni che possano provocare conflitti.

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I FATTORI COGNITIVI.

Certi convincimenti e certe attitudini possono anch’esse portare al conflitto. Due di questi fattori
cognitivi riguardano le diverse aspettative e la percezione che una parte abbia nei riguardi
dell’altra.

LE DIVERSE ASPETTATIVE.

A volte, le persone divergono tra loro con riferimento alle aspettative riguardanti il proprio lavoro, la
carriera e le azioni manageriali da mettere in atto. Un esempio comune di tali difformità riguarda i
professionisti e i manager. Spesso, i professionisti percepiscono se stessi come fedeli alle proprie
professioni e immaginano le proprie carriere al di là di una particolare organizzazione.
Nel fare ciò, essi si concentrano sulle attività di maggior valore per la propria professione, ma a cui il
management dell’organizzazione potrebbe non attribuire necessariamente lo stesso valore. Ciò potrà
condurre a una minor fedeltà verso l’organizzazione e a un conflitto potenziale tra tali professionisti
e il proprio management.
Se le differenze nelle aspettative dovessero essere ampie e ne dovesse derivare un conflitto, questi
potrebbero anche scegliere di lasciare l’organizzazione. Dunque, i manager dovranno essere
consapevoli di tale problema potenziale e lavorare per smussare tali differenze.

LE PERCEZIONI DELLA CONTROPARTE.

Le percezioni di una parte nei confronti dell’altra possono creare le condizioni ideali per un
conflitto. Una persona può percepire che l’altra abbia obiettivi troppo ambiziosi e come questi
possano interferire con il possibile conseguimento dei propri. Le percezioni che sfocino in conflitti
includono la percezione che le intenzioni dell’altra parte siano nocive, violino le norme di giustizia,
siano disoneste o comunque contrarie alle proprie intenzioni.

LE CARATTERISTICHE INDIVIDUALI.

Le caratteristiche individuali che potrebbero condurre al conflitto includono i fattori connessi alla
personalità, le differenze nel valore attribuito al conflitto e le differenze negli obiettivi.

LA PERSONALITÀ.

I tratti della personalità di tipo A sono stati legati a un conflitto di livello superiore. Le persone con
una personalità di tipo A siano competitive, aggressive e impazienti. Uno studio ha rilevato come i
manager con personalità di tipo A abbiano avuto maggiori conflitti con i propri subordinati. Poiché
le persone con una personalità di tipo A sono più competitive, è più probabile che esse percepiscano
gli altri come individui con obiettivi competitivi, anche qualora questa non sia davvero la realtà.
Un altro tipo di caratteristiche della personalità in grado d’influenzare il modo in cui le persone
vivano e reagiscano al conflitto è dato dalla fiducia disposizionale. All’affiorare del conflitto, le
persone con una scarsa indole a fidarsi degli altri sono meno propense alla cooperazione e a cercare
di trovare soluzioni di reciproco beneficio.
Di contro, qualora abbiano una maggior propensione alla fiducia, esse possono essere più inclini a
concedere qualcosa agli altri pur trovandosi in una situazione di conflitto, specie ove la controparte
appaia molto alterata o rammaricata. Probabilmente, i soggetti più inclini alla fiducia sono quelli più
vulnerabili avendo aspettative positive sulle motivazioni altrui.
Le differenze di personalità tra varie persone possono facilitare anch’esse il conflitto. I soggetti con i
punteggi elevati in consapevolezza sono ben organizzati, pianificano in anticipo e desiderano
ricevere sempre un feedback. Invece, una persona con punteggi bassi in consapevolezza potrà
interpretare tali azioni come superflue, creando il potenziale per un conflitto procedurale.

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LE DIFFERENZE INDIVIDUALI NELLA PERCEZIONE DEL VALORE DEL CONFLITTO.

Le persone differiscono tra loro nel modo di valutare il conflitto. Alcuni ritengono che esso sia
necessario e d’aiuto, mentre altri tendono a evitarlo a tutti i costi. Vi sono, altresì, importanti
differenze culturali nel modo in cui le persone interpretino il conflitto. Chi provenga da una cultura
occidentale tenderà a interpretarlo come un aspetto inevitabile.
Chi provenga da culture asiatiche sosterrà, invece, che il conflitto sia qualcosa di negativo che andrà
sempre evitato. Queste diverse valutazioni rendono ancor più difficile risolvere i conflitti, specie
quando le parti provengano da culture cosi diverse. Ancora più probabilmente, le differenze nelle
valutazioni attribuite al conflitto tenderanno a portare alla sua risoluzione quando le parti avranno
un bisogno eletto di porre fine al dissidio: ciò significa che, nel guidare il proprio processo
decisionale, ove desiderino porre fine allo scontro, esse si affideranno alle loro più salde norme
culturali.

GLI OBIETTIVI.

Per definizione, quando gli individuo avranno obiettivi in competizione e contrari, essi daranno
spesso inizio a un conflitto. In aggiunta, certi aspetti caratteristiche degli obiettivi individuali
renderanno il conflitto anche più probabile.
I lavoratori con obiettivi rigidi o in competizione finiranno, più probabilmente, in una situazione
conflittuale, specie se fortemente focalizzati sul loro conseguimento. La differenza negli obiettivi
possono avere origine dalle caratteristiche strutturali dell’organizzazione. In più, tali differenze
possono riguardare due diverse unità organizzative.
Le organizzazioni aventi strutture in grado di allineare i propri obiettivi a quelli individuali e dei
propri sottogruppi saranno quelle che, in genere, subiranno il minor livello di conflitto.

LA STORIA.

L’esistenza di relazioni precedenti tra le parti potrà influire sulle probabilità di conflitto futuro. Due
di questi fattori di tipo relazionale sono la performance passata e le interazioni intrattenute
in precedenza.

LA PERFORMANCE PASSATA.

Quando riceveranno feedback negativi per via di una scarsa performance ottenuta in passato, spesso
le persone o i gruppi tenderanno a percepire tale segnale come una minaccia. Quando percepiranno
una minaccia, gli individui tenderanno spesso ad affrontarla irrigidendosi e riducendo il flusso delle
comunicazioni.
Quando le persone s’irrigidiranno e comunicheranno di meno, gli aspetti personali, sostanziali e
procedurali potranno divenire molto accessi. Pertanto, quando la performance passata sarà
scadente, aumenteranno le possibilità di conflitto.

LE INTERAZIONI INTRATTENUTE IN PRECEDENZA.

Gli individui con passate esperienze di conflitto hanno maggiori probabilità di ritrovarsi di fronte a
situazioni conflittuali anche in seguito. Il conflitto passato più influire in vari modi sulle probabilità
di conflitti futuri. Primo, le parti s’impegnano spesso negli stessi comportamenti inducenti al
conflitto. Secondo, è probabile che le parti non si fidino l’una dell’altra. Terzo, esse potrebbero
aspettarsi l’affiorare di un conflitto e ciò fungerebbe da profezia che finirebbe per auto-avverarsi.
Il processo negoziale che illustra di come manager e lavoratori tentino di risolvere i conflitti. Le
situazioni negoziali sono influenzate dalle precedenti interazioni avvenute tra i negoziatori. La
ricerca ha dimostrato come la storia dei negoziatori, dal punto di vista della qualità degli accordi
conclusi in passato, influenzi il modo in cui essi negozieranno in futuro, pur trovandosi a trattare con
persone diverse. I negoziatori la cui storia abbia visto la conclusione di accordi insoddisfacenti
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avranno più probabilità di raggiungere soluzioni meno favorevoli nelle negoziazioni future rispetto a
coloro che abbiano una storia brillante di negoziazioni concluse con successo.

L’INTENSIFICAZIONE DEL CONFLITTO E I RISULTATI.

Il conflitto ha varie cause spesso interrelate: ad esempio, i fattori strutturali sono correlati a
differenze negli obiettivi e nelle percezioni; l’ambiente fisico può causare conflitti potendo interferire
con la comunicazione. Tuttavia, non appena il conflitto avrà inizio, esisteranno solo alcuni modi per
potervi porre fine. Fortunatamente, la maggior parte dei casi di conflitto raggiunge una soluzione,
sebbene non necessariamente tale da essere considerata soddisfacente da entrambe le parti o
dall’intera organizzazione.

L’INTENSIFICAZIONE DEL CONFLITTO.

L’intensificazione del conflitto è il processo per cui un conflitto si alimentati con il passare del
tempo. L’intensificazione è caratterizzata da svariati elementi: le tattiche diventano sempre più
severe per entrambe le parti con un incremento del numero di problemi che ne possano derivare; in
più, le part sono sempre più coinvolte nel conflitto.
Poiché i loro obiettivi oscillano tra l’aver cura del proprio benessere e il tentativo di danneggiare la
controparte, le parti finiranno per perdere di vista il loro stesso interesse. Alcuni esperti sostengono
come questa sia inevitabile, a meno che non vengano prese delle misure dirette alla risoluzione del
conflitto. Altri credono che il conflitto non debba intensificarsi; semmai, vi sono alcune condizioni
generali che rendano l’intensificazione più probabile. Queste includono:
• Esistono differenze culturali tra le parti;
• Le parti hanno una precedente storia di antagonismo;
• Le parti hanno un’immagine insicura di se stesse;
• Le parti hanno legami lavorativi informali l’una con l’altra;
• Le parti non s’identificano l’una con l’altra;
• Una o entrambe le parti hanno l’obiettivo d’intensificare il conflitto, cosi da imporsi sulla
controparte;

L’intensificazione del conflitto può implicare palesi espressioni di aggressioni sul luogo di lavoro. Si
tratta di un aspetto dell’intensificazione del conflitto che può anche essere unilaterale, con una delle
due parti che manifesti maggior ostilità dell’altra.

I RISULTATI DEL CONFLITTO.

Sono 5 i modi in cui un conflitto possa concludersi nella prospettiva di quanto i risultati soddisfano
gli interessi e i desideri di ciascuna parte: lose-lose, win-lose, lose-win, compromesso e win-
win.

LA MODALITÀ LOSE-LOSE.

In situazioni particolarmente aggressive, è facile assistere a risultati del tipo lose-lose in cui, cioè,
siano entrambe le parti a uscire sconfitte dalla negoziazione. L’aggressore spesso fallirà nel suo
intento di ottenere l’obiettivo desiderato come, ad esempio, l’ottenimento di una promozione; e,
spesso, egli fallirà anche nell’ottenere vera soddisfazione attraverso il ricorso a un comportamento
aggressivo. A sua volta, il soggetto aggredito fallirà spesso nell’ottenere la tranquillità desiderata sul
luogo e potrà patire numerose conseguenze negative che andranno al di là del mero luogo di lavoro.

LA MODALITÀ WIN-LOSE O LOSE-WIN.


In ciascuno di questi scenari, gli interessi di una parte saranno soddisfatti, mentre non lo saranno
quelli dell’altra. Questo tipo di risultato, ovviamente, non sarà vantaggioso per la parte perdente e,
sovente, non lo sarà nemmeno per l’organizzazione.
123
Tuttavia, sarà un risultato difficile da evitare. Qualora i conflitti implichino un gioco a somma zero,
una parte potrà vincere solo a spese dell’altra. Ciò potrà implicare che ogni parte tenterà di
soddisfare appieno i propri interessi a discapito della controparte.

IL COMPROMESSO.

Si ha un compresso ove entrambe le parti decidano di rinunciare a una parte del proprio interesse
rispetto a una questione o a un insieme di questioni. Il compromesso può rappresentare una
soluzione auspicabile del conflitto.

LA MODALITÀ WIN-WIN.

Si ha una situazione di tipo win-win ove tutte e due le parti ottengano quanto desiderato.
SCHEMA PAGINA 390.

LE RISPOSTE AL CONFLITTO.

Gli individui rispondono al conflitto in vari modi. Una persona potrebbe cercare di vincere a tutti i
costi, mentre un’altra potrebbe cercare di assicurarsi che fossero rispettati sia i propri interessi sia
quelli della controparte.
vi sono cinque risposte potenziali al conflitto, cosi come situazioni in cui qualsiasi risposta sia da
considerarsi appropriata. Ogni risposta è descritta in termini di decisione e cooperativi: in questo
caso, la decisione si riferisce al grado con cui una parte cerchi di soddisfare i propri interessi; mentre
la cooperatività si riferisce al grado con cui una parte tenti di soddisfare gli interessi della
controparte.
1. La competizione: una parte con una risposta competitiva tenta d’imporsi a spese dell’altra.
Altre denominazioni per questo tipo di risposta includono i concetti di forzatura e
dominazione. Questo stile è utile ove si dimostri veloce, ove sia richiesta un’azione decisa e
risoluta, ove occorra intraprendere una linee d’azione impopolare, o qualora l’altra parte si
avvantaggi di un comportamento non competitivo;
2. L’accomodamento: una risposta accomodante è una reazione di tipo opposto rispetto a quella
competitiva. Una persona che ricorra a questo tipo di risposta rinuncia alla cura del proprio
interesse, cosi da andare incontro a quello della controparte. Uno stile accomodante potrebbe
essere utilizzato da una parte che fosse convinta di non potersi imporre; oppure, potrebbe anche
essere utile ove il problema in questione fosse meno importante per una delle due parti rispetto
all’altra;
3. L’elusione: una parte che mostrasse di reagire tramite una risposta sfuggente trascurerebbe sia
l’interesse proprio che quello della controparte. Questo tipo di stile potrebbe essere necessario
per consentire di raffreddare gli animi in certe situazioni o, semplicemente, per rinviare la
decisione nel momento in cui dovesse rendersi disponibile una soluzione efficace;
4. Il compromesso: una risposta di compromesso è una risposta con cui una parte cerchi di
venire parzialmente incontro sia ai propri interessi che a quel della controparte. Una risposta di
questo tipo è particolarmente efficace ove le parti abbiano un potere relativamente uguale, ove
siano richiesti degli accordi temporanei per la risoluzione di problemi complessi, ove si abbia
fretta, e come back-up qualora una scelta di collaborazione non vada a buon fine;
5. La collaborazione: una risposta collaborativa costituisce un tentativo di andare pienamente
incontro agli interessi di entrambe le parti. Per adottare una risposta collaborativa, le parti
devono lavorare insieme onde identificare delle soluzioni vincenti per entrambe. È probabile che
questo tipo di risposta riesca a sfociare in quella che è stata descritta come una situazione win-
win. Questo tipo di risposta ha maggiori probabilità di successo ove gli interessi di tutte e due le
parti siano troppo importanti per essere ignorati e ove l’obiettivo sia imparare e ottenere
commitment;

LA NEGOZIAZIONE.
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Solitamente, la risoluzione di un conflitto richiede una negoziazione tra le parti contrapposte. La
negoziazione è un processo tramite cui due o più parti con preferenze e interessi diversi tentino di
accordarsi su una determinata soluzione tramite un processo di comunicazione continuata. Spesso,
nel risolvere un conflitto, le parti si ritrovano coinvolte in trattative che necessitano l’adozione di
svariare reazioni al conflitto, come il compromesso, la collaborazione, l’accomodamento o la
competizione.
Sebbene, solitamente, ogni parte si approcci alla negoziazione con l’intenzione di ottenere il
massimo beneficio per se stessa perché la negoziazione possa considerarsi di successo, tutte le parti
dovranno operare in buona fede. Secondo le circostanze, un manager potrà fungere da mediatore o
arbitro di una negoziazione. Un mediatore agirà in qualità di terza parte neutrale tentando di
facilitare la conclusione positiva della negoziazione; mentre un arbitro agirà come parte terza, però
con l’autorità d’imporre il raggiungimento di un accordo.
In realtà, i manager si troveranno a ricoprire entrambi i ruoli simultaneamente: ciò richiederà tatto e
spiccate abilità interpersonali che consentano di giungere a un accordo negoziale in una situazione
di conflitto. Le abilità e strumenti della negoziazione dipenderanno dalla strategia negoziale del
negoziatore.

LE STRATEGIE NEGOZIALI.

Tipicamente, i negoziatori enfatizzano una delle due strategie. La strategia di negoziazione


distributiva implica un approccio competitivo di tipo win-lose. Essa tende a essere utilizzata
quando gli obiettivi di una parte siano in diretto conflitto con quelli dell’altra.
Di contro, la strategia di negoziazione integrativa implica un approccio collaborativo di tipo win-
win. Essa tende a essere utilizzata ove la natura del problema consenta una soluzione che possa
essere considerata positiva da entrambe le parti. A volte ciò che, in un primo momento, sembri
costituire una situazione distributiva potrebbe trasformarsi in una situazione integrativa
semplicemente allargando i temi oggetto della negoziazione.
A parte gli aspetti coinvolti direttamente nella negoziazione, va considerato come vi sia spesso una
relazione di lungo periodo tra le parti. Molto spesso, durante le negoziazioni, queste auspicano di
rimanere in buoni rapporti, in fiducia e rispettose l’una dell’altra. Le attività miranti a influenzate le
attitudini e relazioni tra le parti di una negoziazione sono note come strutturazione attitudinale.

IL PROCESSO NEGOZIALE.

In generale, sono quattro gli stadi che dovrebbero essere seguiti in un processo negoziale:
1. Preparazione: prima di qualsiasi negoziazione, ogni parte delineerà gli obiettivi specifici che
intenderà conseguire. A questo punto, i negoziatori dovranno determinare quali siano le migliori
alternative dal punto di vista dell’organizzazione per cui lavorino. In più, durante lo stadio di
preparazione, i negoziatori dovranno eseguire un’analisi della situazione sia dal proprio punto di
vista, che da quello della controparte. È importante che i negoziatori capiscano le proprie
tendenze e comportamenti durante la negoziazione, cosi come quelli della controparte. In questa
fase, le seguenti sono le domande che andrebbe poste alla controparte: - quali sono la posizione e
il potere della controparte? - che cos’è che la controparte considererebbe una vittoria? - qual è la
storia dello stile negoziale della controparte?;
2. Determinazione del processo negoziale: in questa fase, occorre determinare la sequenza
temporale, il luogo e la struttura delle negoziazioni. Inoltre, andrebbero previsti degli accordi
riguardo alla riservatezza, condivisione delle informazioni e approvazione. A questo punto,
occorrerebbe chiarire chi dovrà essere presente durante le negoziazioni;
3. Negoziazione dell’accordo: durante questa fase, prenderà vita la vera negoziazione e si
procederà all’adozione delle strategie e delle tattiche negoziali;
4. Chiusura dell’accordo: in questa fase, entrambe le parti dovrebbero essere piuttosto chiare
con riferimento alla conclusione delle negoziazioni e ai particolari dell’accordo da sottoscrivere.

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L’accordo finale andrà formalizzato stabilendo che ogni parte si assumerà la responsabilità
d’implementare quanto stabilito. Il processo appena descritto sembra piuttosto formale.
Tuttavia, andrebbe seguito in qualunque forma di negoziazione.

Lavoratori si trovino a negoziare di continuo e tutti i gironi. Nel pensare alle negoziazioni, si ha la
tendenza a immaginare quelle di tipo formale, come le trattative riguardanti la conclusione di
un’acquisizione. Tuttavia, si ha una negoziazione ogni qualvolta due o più parti si trovino a dover
trovare un accordo su una determinata linea d’azione proposta.
La negoziazione è solo uno strumento volto a tentare d’influenzare gli altri per ottenere i risultati
desiderati. Perciò, uno degli aspetti principali sottostanti a tutte le negoziazioni è il potere. Quando
due parti cercheranno d’influenzarsi a vicenda nel tentativo di massimizzare i propri risultati o
conquistare un certo traguardo, il tema del potere potrà assumere un’importanza cruciale per la
risoluzione del conflitto.

IL POTERE.

Il concetto di potere è uno dei più pervasivi nello studio del comportamento organizzativo.
Generalmente, il potere è definito come l’abilità di conseguire i risultati auspicati. Esso può anche
essere immaginato come l’abilità di una persona d’indurre un’altra a fare qualcosa. Perciò, ogni
qualvolta qualcuno persuada un’altra persona a fare qualcosa, egli starà esercitando potere.
Spesso il potere è pensato in maniera negativa. Tuttavia, si conseguirebbe poco se questo non fosse
esercitato regolarmente. Che l’esercizio del potere sia nocivo o meno dipenderà dall’intento
dell’individuo che lo detenga. Il potere esiste a diversi livelli. Sia gli individui che le unità
organizzative possono esercitare potere. Generalmente, è facile identificare chi abbia potere in
un’organizzazione o unità sociale.

LE BASI DEL POTERE INDIVIDUALE.

Il potere nelle organizzazioni può provenire da diverse fonti. Per descrivere le basi del potere si
includono cinque categorie: potere legittimo, potere di ricompensa, potere coercitivo,
potere specialistico e potere referente.

IL POTERE LEGITTIMO.
Le persone derivano il potere legittimo dalla posizione ricoperta nell’organizzazione. Esso è di
portata ristretta poiché è applicabile esclusivamente ad atti definiti come legittimi da parte di
ciascuno dei soggetti coinvolti.

IL POTERE DI RICOMPENSA.

Si ha potere di ricompensa quando una persona detenga l’abilità di fornire a un’altra i risultati
desiderati. Nel lungo periodo, il potere di ricompensa è limitato dalla reale abilità della persona di
fornire i risultati sperati. Il potere di ricompensa non è limitato a fonti formali, come il potere del
supervisore di concedere aumenti; esso potrebbe avere origine anche da fonti informali.

IL POTERE COERCITIVO.

Si ha potere coercitivo ogni qualvolta ci si convinca che un individuo abbia l’abilità di punire le
persone. Solitamente, il potere coercitivo è considerato una forma negativa di potere; pertanto il suo
uso andrebbe limitato. L’abuso o uso improprio di questo tipo di potere potrete produrre risultati
indesiderati. Cosi come il potere di ricompensa, il potere coercitivo può derivare sia da fonti formali
che informali. Il potere coercitivo dipende dal fatto che chi lo eserciterò o lo potrà esercitare avrà
una forte influenza su chi potrà esserne affetto.

IL POTERE SPECIALISTICO.
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Il potere specialistico deriva da una competenza che abbia valore per gli altri o per
l’organizzazione nel suo complesso. Il potere specialistico è limitato dal grado di non sostituibilità di
tale specializzazione.

IL POTERE REFERENTE.

Si dice che le persone che abbiano un potere referente qualora altre siano attratte da loro o
desiderino esservi associate. Il potere referente è la tipologia di potere più forte poiché è difficile da
perdere una volta conseguita. In aggiunta, essa può essere utilizzato per influire su un ampio spettro
di comportamenti.

IL MODELLO DELLE CONTINGENZE STRATEGICHE DEL POTERE.

Degli individui e le unità organizzative possono ottenere potere anche mostrandosi capaci
d’individuare i problemi strategici affrontati da un’organizzazione. Ciò è noto come il modello
delle contingenze strategiche del potere. Unità o individui possono acquisire potere
identificando le contingenze strategiche che ogni organizzazione sia costretto ad affrontare e
controllandole.
Qualora le unità o le persone fossero in grado d’identificare le contingenze più importanti per la
strategia e performance dell’organizzazione essendo anche in grado di controllarle, esse dovrebbero
essere in grado di mantenere la propria base di potere. In tal senso, potrebbero utilizzare tale potere
per richiedere all’organizzazione di agire in modi che possano esservi di beneficio. Il potere delle
contingenze strategiche è legato alla dipendenza. Si ha dipendenza quando un’unità o persona
controlli qualcosa di utile per un’altra unità o persona.
Oltre alla dipendenza, una fonte cruciale di potere nel modello delle contingenze strutturali è data
dall’abilità di saper gestire l’incertezza. L’incertezza crea una minaccia per l’organizzazione.
Chiunque sappia aiutare nella riduzione dell’incertezza, capendo come individuarne gli aspetti più
importanti, acquisirà potere. È implicito come le organizzazioni ambientaliste abbiano acquisto
enorme potere e capacità d’influenza sul mondo del business. Esistono svariate ragioni per questo,
incluse le incertezze dovute alle più dure regolamentazioni ambientali e al crescente interesse
pubblico in tema di sostenibilità. Le organizzazioni ambientaliste acquisiscono potere poiché
possono aiutare le imprese nella gestione di tali incertezze.
Un’altra fonte di potere riguarda l’essere insostituibili. Infine, il potere delle contingenze strategiche
può derivare dal controllare il processo decisionale stabilendo i parametri sui tipi di soluzioni
ritenute accettabili o controllando lo spettro delle alternative da prendere in considerazione.

LE POLITICHE ORGANIZZATIVE.

Quando nelle organizzazioni nasca un certo livello di conflitto, è probabile che i dipendenti
s’impegnino in comportamenti di matrice politica. Invero, la politica fa parte della vita di quasi tutte
le organizzazioni. Le politiche organizzative corrispondono a comportamenti diretti a
incoraggiare l’interesse egoistico di qualcuno, senza riguardo per l’interesse o benessere degli altri.
Il comportamento politico può venire a diversi livelli. A livello individuale, esso riguarda un
manager o dipendente che utilizzi la politica per il proprio interesse personale, come nel caso di un
individuo che tenti di ottenere credito per il compimento di un progetto. A livello di gruppo ciò si
manifesta tipicamente nella forma delle coalizioni. Le coalizioni sono gruppi i cui membri
agiscano in maniera integrata per perseguire attivamente un interesse comune. Il comportamento
politico può anche manifestarsi a livello organizzativo: come quando una particolare
organizzazione decida di assumere un lobbista nell’intento d’influenzare il voto di un membro del
parlamento con riferimento a un tema particolarmente che le stia particolarmente a cuore.
Anche le tattiche politiche possono mirare verso qualsiasi tipo di obiettivo. L’influsso politico verso
l’alto di riferisce all’influsso di alcuni individui o gruppi su coloro che si trovino in posizioni di livello

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superiore, come i propri manager. La politica laterale si riferisce ai tentativi d’influire su coloro che si
trovino allo stesso livello gerarchico, come i pari grado. L’influsso politico verso il basso si riferisce al
tentativo d’influire su coloro che si trovino più in basso nella scala gerarchica, come i sottoposti.
Gran parte della ricerca ha saziato le tattiche politiche utilizzate in ambito organizzativo o dalle
organizzazioni. Tali tattiche includono:

• Lusinga razionale. Si tratta di una tattica facente uso di argomentazioni logiche o


d’informazioni fattuali nell’intento di convincere il target che la richiesta del persuasore possa
condurre a risultati positivi;
• Consultazione. Una fatica di consultazione necessita che il target sia portato a partecipare alla
pianificazione o esecuzione di qualsiasi cosi il politico desideri venga implementato. Tali
consultazioni, però, potrebbero essere piuttosto inutili non essendo questi realmente interessato a
riceverne gli input;
• Appeal personale. Una tattica che si basi sull’appeal a livello personale fa spesso leva sulla
fedeltà o affetto del target;
• Integrazione. Una tattica d’integrazione fa in modo che il target si senta bene e a proprio agio
attraverso l’adulazione o l’offerta di aiuto;
• Appeal ispiratore. Una tattica di questo tipo è utilizzata per generare l’entusiasmo e supporto
del target interessandosi ai suoi valori e ideali più importanti;
• Scambio. Utilizzando una tattica di scambio, una persona si mostra volontariamente disponibile
a fare un favore per poterne ricevere un altro in cambio in un momento successivo;
• Coalizione. Come discusso in precedenza, una tattica di coalizione viene adottata quando degli
individui con interessi comuni si uniscano per il loro comune perseguimento;
• Legittimazione. Una tattica di legittimazione mira ad aumentare la legittimità o
l’ufficializzazione di una richiesta;
• Pressione. Una tattica di pressione implica minacce, oppressioni, o richieste come strumenti
d’influenza nei confronti del target.

La ricerca si è occupata di esaminare il tema di chi sia migliore o abbia maggior successo nel
comportarsi politicamente. Una linea di studi ha scoperto come la personalità sia correlata alle varie
tattiche politiche solitamente utilizzate dalle persone: ad esempio, gli estroversi utilizzano
tipicamente l’appeal ispiratore o la tattica dell’ingraziarsi gli altri, mentre chi abbia punteggi elevati
in meticolosità è più propenso all’utilizzo dell’appeal razionale. Inoltre, le persone hanno abilità di
vario genere nell’impegnarsi in comportamenti politici.
La ricerca ha identificato una differenza individuale, nota come abilità politica, capace d’influire sul
successo nel ricorrere alle tattiche politiche. L’abilità politica è l’abilità di capire gli altri sul lavoro
utilizzando tale conoscenza per migliorare i propri obiettivi. Le persone con foti abilità politiche
hanno le seguenti qualità:

• Trovano facile immaginare se stesse nei panni altrui o nel capirne il punto di vista;
• Possono capire le situazioni e determinare la miglior risposta adattando il proprio comportamento
alla situazione specifica;
• Sviluppano network molto estesi e sono ben note dagli altri;
• Possono ottenere facilmente la cooperazione altrui;
• Fanno in modo che gli altri si sentano a proprio agio;

Gli individui con forti abilità politiche possono farne uso a vantaggio dell’organizzazione. Tuttavia,
l’uso di tali abilità per il proprio esclusivo vantaggio personale può anche danneggiare
l’organizzazione. Se ne deduce come queste possano essere positive, ma solo se utilizzate per
perseguire obiettivi appropriati.

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