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Tesi di laurea
DEFINIZIONE DEL LEGAME COSTITUTIVO IN CAMPO PLASTICO DEL 100Cr6 VALIDO
PER LE MICROLAVORAZIONI PER ASPORTAZIONE DI TRUCIOLO
Relatore
Correlatore
Laureando
Federico Faini
Matricola 91214
1
INDICE
INTRODUZIONE………………………………………………………………………………………………………………………………………….…4
2
2.9.1 MATERIALE 100Cr6 ................................................................................................................. 53
2.10 PROVE SPERIMENTALI DI MICROFORATURA ................................................................................... 75
2.10.1 CARATTERISTICHE DEI PROVINI ............................................................................................... 75
2.10.2 ANALISI DELLA MICRODUREZZA .............................................................................................. 76
2.10.3 PROCEDURE ADOPERATE PER LA MISURA DEI DIAMETRI ....................................................... 77
2.10.4 PROCEDURE ADOPERATE PER LA MISURA DELLE BAVE .......................................................... 78
2.10.5 RISULTATI DELLE MISURAZIONI ............................................................................................... 78
2.11 PROVE SPERIMENTALI DI MICROFRESATURA.................................................................................. 87
2.11.1 IMPOSTAZIONE DELLE PROVE DI MICROFRESATURA .............................................................. 87
2.11.2 ACQUISIZIONE DELLE FORZE.................................................................................................... 88
2.11.3 RISULTATI DELLE PROVE .......................................................................................................... 90
PROVE A 44000 RPM ............................................................................................................................. 102
2.12 CONSIDERAZIONI SUI RISULTATI SPERIMENTALI........................................................................... 107
3 SIMULAZIONE AGLI ELEMENTI FINITI DELLE PROVE .............................................................................. 108
3.1 MODELIZZAZIONE DELLE PROVE ................................................................................................... 108
3.1.1 TAGLIO ORTOGONALE ........................................................................................................... 108
3.1.2 MODELLI FEM ........................................................................................................................ 114
3.2 GENERALITÀ SUL PROGRAMMA FEM DEFORMTM ......................................................................... 116
3.2.1 DESCRIZIONE DEL PROGRAMMA ........................................................................................... 117
3.3 IL MODELLO DI JOHNSON-COOK ................................................................................................... 121
3.3.1 SOLLECITAZIONI CHE INDUCONO ALTE VELOCITÀ DI DEFORMAZIONE ................................ 121
3.3.2 EFFETTO DELLA VELOCITÀ DI DEFORMAZIONE ..................................................................... 123
3.3.3 PROCEDURE DI PROVA SPERIMENTALI.................................................................................. 123
3.3.4 LEGAME COSTITUTIVO.......................................................................................................... 127
3.3.5 I PARAMETRI DEL MODELLO DI JOHNSON-COOK.................................................................. 127
3.3.6 CALIBRAZIONE DEL MODELLO ............................................................................................... 129
3.3.7 DISCUSSIONE DEL MODELLO ................................................................................................. 131
3.4 INTRODUZIONE AI CRITERI DI DANNO .......................................................................................... 134
3.4.1 CRITERI DI DANNO TRADIZIONALI ......................................................................................... 136
3.5 SIMULAZIONI DELLE PROVE SPERIMENTALI .................................................................................. 143
3.5.1 GENERALITÀ ........................................................................................................................... 144
3.5.2 IMPOSTAZIONE DEI PARAMETRI DELLE PROVE FEM ............................................................. 148
4 ANALISI DEI RISULTATI COMPUTAZIONALI E CONFRONTI .................................................................... 156
4.1 ANDAMENTO DELLE FORZE ........................................................................................................... 156
4.2 CONFRONTO TRA I MASSIMI DI FORZA ......................................................................................... 159
5 CONCLUSIONI ........................................................................................................................................ 160
6 BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................................................ 161
3
INTRODUZIONE
Nella prima parte del presente lavoro di tesi è stata svolta un’attenta e approfondita analisi dello
stato dell’arte. Particolare attenzione è stata posta sulle ricerche effettuate riguardo il mondo
della “Micro Meccanica” concentrandosi sulla micro fresatura e sui parametri che influenzano
maggiormente il processo di microfresatura e sulle molteplici problematiche che il nuovo
ambiente “micro” porta con se.
Parte del lavoro di tesi è consistita nella misurazione di bave e diametri di microfori eseguiti su
materiali considerati difficili da lavorare, per acquisire famigliarità con i processi di asportazione
nel mondo micro. Quindi sono state condotte prove sperimentali di microfresatura. Durante
queste prove si sono variati la velocità di rotazione e l’avanzamento al dente giro per definire la
finestra tecnologica per lavorare campioni di 100Cr6 trattato termicamente mediante frese di
diametro pari a 800 μm. Per le prove sperimentali è stato utilizzato un sistema di acquisizione
basato su LABVIEW. Si sono acquisite le forze lungo le direzioni degli assi della macchina utensile
CNC. Si è quindi progettata una campagna di simulazioni attraverso il programma FEM DEFORM TM
2D al fine di confrontare i risultati FEM con quelli sperimentali. Si sono analizzate tutte le
impostazioni del programma per la realizzazione di una simulazione “ad hoc” per il caso studiato.
Si è quindi osservato come l’utilizzo dell’equazione costitutiva di Johnson Cook, affiancata al
corretto modello di danno, al corretto dimensionamento delle impostazioni tecniche del sistema
(Step, step per mesh, etc), alla corretta realizzazione delle condizioni a contorno, delle
movimentazioni degli elementi in gioco, al corretto controllo dei contatti fra pezzo e utensile,
permetta di definire un modello simulativo del processo.
Infine si è cercato di individuare le forze di microfresatura e le differenze tra quelle rilevate dalle
prove sperimentali in laboratorio e quelle predette con il programma di simulazione agli elementi
finiti DEFORMTM.
In particolare lo scopo principale è quello di valutare se il modello costitutivo di Johnson-Cook,
adottato per descrivere il comportamento costitutivo dei materiali in campo plastico, descrive
bene la realtà anche sulle scale dimensionali caratteristiche delle microlavorazioni.
4
1 STATO DELL’ARTE
5
in un prodotto e quindi l'integrazione di diverse funzioni nello stesso componente è desiderabile,
in modo che lo stesso componente possa soddisfare scopi diversi. Per questo motivo il materiale in
cui si realizza il componente deve essere scelto tenendo conto di tutte le funzioni che può
assolvere il componente.
Perciò tenendo conto di quello sopra, per Micro Ingegneria si intende lo sviluppo e la
fabbricazione di prodotti, le cui caratteristiche funzionali o almeno una dimensione è nell'ordine di
μm. I prodotti sono generalmente caratterizzati da un elevato grado di integrazione e di
funzionalità dei componenti.
Una discussione importante per quanto riguarda i prodotti micro è la posizione relativa di 'micro'
rispetto a “macro” e “nano”. È chiaro dalla definizione data sopra che un prodotto
(indipendentemente dalle dimensioni fisiche) le cui principali caratteristiche funzionali sono nel
campo dei µm rientrano nella definizione di un prodotto micro. Questo sarebbe il caso di cartucce
per stampanti a getto d'inchiostro, in cui le caratteristiche funzionali sono costituiti da una serie di
fori con diametri circa 25 µm. Ciò sottolinea l'importanza di interconnessione in quanto è una
condizione necessaria per un micro prodotto che si possa interfacciare con il mondo in macro (o
nano) per poter funzionare. Un altro punto di vista è quello di considerare un prodotto micro
come costituito da nano strutture; ad esempio nanotubi di carbonio sono combinati in unità
funzionali più grandi nella realizzazione di dispositivi elettronici.
Perciò in definitiva i rapporti sia verso l'alto sia verso il basso rispetto alla scala dimensionale sono
importanti prerogative per l'ingegneria micro.
6
1.2 SVILUPPO DI MICROPRODOTTI
L' obbiettivo principale da raggiungere nella realizzazione di un microprodotto è la funzionalità del
prodotto stesso che rappresenta anche il punto di partenza per la progettazione base per il suo
sviluppo e la sua produzione.
In particolare per quanto riguarda la realizzazione del prodotto la micro ingegneria offre un ampio
campo di possibili soluzioni produttive; a questo proposito la figura 1-2 mostra una classificazione
contenente alcuni esempi di micro prodotti menzionati in letteratura. Dalla tabella si vede
chiaramente che lo stesso tipo di prodotto (avente le medesime funzionalità principali) può essere
realizzato con differenti tipologie di micro lavorazione che porteranno ognuna ad un processo
tecnologico diverso.
7
Riduzione di scala (downscaling) di processi di fabbricazione già esistenti (principalmente
per il settore della meccanica di precisione).
Utilizzo e upscaling di processi MEMS (dal settore microelettronico, saranno illustrati più
avanti).
Sviluppo di nuove tecnologie ibride delle precedenti (ad esempio, nuove combinazioni di
processi e materiali).
Sia l'upscaling che il downscaling di un processo possono creare problematiche quanto riguarda la
stabilità del processo stesso e il comportamento del materiale. Spesso nuovi processi sono stati
sviluppati interamente come prototipi ma non sono stati ancora applicati ad un uso industriale. La
diversità dei processi di fabbricazione esistenti è quindi , come già detto, veramente molto grande.
La capacità dei diversi processi di creare micro prodotti 2D, 2D 1/2 e 3D naturalmente varia così
come il tasso di rimozione del materiale ottenibile. Inoltre, la realizzazione di un prodotto richiede
spesso processi diversi, con capacità complementari,che devono essere disposti in serie.
Manipolazione e montaggio diventano fasi piuttosto delicate quando si tratta di prodotti micro:
una soluzione naturale a questa problematica è quella di ridurre il più possibile questo tipo di
operazioni attraverso la realizzazione di un maggior livello di integrazione rispetto al rispettivo
prodotto convenzionale.
Un’altra criticità che affligge le micro tecnologie di produzione è il controllo della qualità: quando
le dimensioni del pezzo da controllare sono ridotte, un apparecchiatura di controllo convenzionale
potrebbe non essere più adatta; lo sviluppo di strumenti efficaci per il controllo qualità di micro
prodotti è ancora nella fase iniziale.
9
Per i prodotti monolitici ed in una certa misura anche per i prodotti ibridi, i parametri di
funzionalità principali non sono più dunque quote lineari o geometriche come accadeva nel
mondo macro: la tolleranza sarà associata alla funzionalità complessiva del micro componente;
calcolata la prestazione del componente ottenuta con un certo processo di fabbricazione se ne
valuta il rispetto dei limiti di tolleranza funzionale richiesta (in caso si dovrà agire sul processo di
fabbricazione e sui suoi parametri).
Nell'ingegneria tradizionale, lo sviluppo del prodotto è supportato da una vasta gamma di
strumenti (CAD,CAE,CAM ecc.); In particolare gli strumenti CAD possono essere utilizzati per
prodotti micro anche se possono sorgere vari problemi qualora li si utilizzino in concomitanza con
strumenti FEM. Nel campo micro infatti bisogna tener conto dei cosiddetti effetti di scala, cioè a
causa delle dimensioni del componente assumono ancor più peso fattori come la geometria
superficiale, la microstruttura del materiale (e quindi le sue caratteristiche fisiche e meccaniche),
l'attrito, il calore, la modalità di integrazione ecc.
10
Tradizionalmente uno dei criteri principali riguardanti la scelta del materiale di un componente è il
suo costo: a causa del fatto che in ambito micro la quantità di materiale necessaria per ottenere
un prodotto o un componente è molto piccola, rispetto al settore macro, risulta possibile utilizzare
anche materiali (o combinazioni di materiali) che normalmente sono poco usati perchè molto
costosi (un esempio può essere la metallizzazione di polimeri adoperata per realizzare circuiti
stampati).
11
Altri processi come lavorazioni LASER, a fascio di ioni focalizzato, a fascio di elettroni e
elettroerosione (EDM) sono classificati invece come processi energetici (energy assisted
processes).
Infine le lavorazioni di replica, (come ad esempio formatura, iniezione, stampaggio, ecc.) sono
catalogati in una classe a parte. La Figura 1-4 mostra i raggruppamenti principali sottolineando che
ci può anche essere una sovrapposizione tra le categorie.
I vari tipi di lavorazione verranno brevemente descritti qui di seguito.
12
Figura 1-5 Dettaglio di un componente micro realizzato in plastica a confronto con la
punta di una penna a sfera – [1]
1.7.2 RETTIFICA
14
1.7.4 PROCESSI TERMICI
I fasci Laser sono utilizzati sia per la rimozione di materiale sia per realizzare
l'adesione tra microcomponenti. Le tipologie di laser utilizzate per le
microlavorazioni includono laser CO₂, a stato solido, a vapore di rame, laser a diodi
e laser excimer: a seconda del tipo, questi laser possono essere utilizzati con
differenti materiali.
I parametri principali che possono essere scelti e controllati sono la lunghezza
d'onda, la potenza, la durata dell'impulso e i tassi di ripetizione.
Le dimensioni minime ottenibili sono connesse principalmente con il parametro
lunghezza d'onda ma anche con la qualità del raggio e la sua brillanza.
Questa tipologia di lavorazione permette di ottenere strutture estremamente fini:
basti pensare che è possibile ottenere un testo di sei righe miniaturizzato alle
dimensioni di un capello umano.
15
Le lavorazioni EDM(Electro Discharge Machining) sono basate sull'interazione tra
due elettrodi, cioè pezzo e utensile, sottoposti a una tensione separati da un fluido
dielettrico. Il materiale viene rimosso grazie all'azione di una scintilla che scocca tra
i due elettrodi. Il processo richiede che il pezzo sia un conduttore e che non abbia
durezza troppo elevata.
Nei processi EDM a filo come elettrodi vengono usati fili con diametri inferiori a
0.02 mm; questo processo è utilizzato per produrre strutture 2D.
Questi processi nel mondo macro si basano appunto su deformazioni plastiche, senza
quindi nessuna aggiunta né rimozione di materiale. Sono particolarmente adatti per la
produzione in serie di pezzi metallici, grazie ai loro ben noti vantaggi di alta produzione,
perdita di materiale ridotta al minimo o nulla, eccellenti proprietà meccaniche, e buone
tolleranze raggiungibili. Nel campo micro importanti applicazioni sono la produzione di
connettori, di contatti e prodotti ottenuti per tranciatura e piegatura.
Tuttavia l'applicabilità di questi processi nel mondo micro è in qualche modo limitato a
causa degli effetti dovuti al passaggio da scala macro a micro. Il forte ostacolo sono infatti
tutti gli effetti di miniaturizzazione; il flow stress (definito come il valore istantaneo dello
sforzo necessario per continuare a deformare il materiale), l'anisotropia la duttilità e il
limite di formatura dipendono dalla dimensione del pezzo.
A questo riguardo Geiger [28] ha dimostrato sperimentalmente , mediante prove tensili su
provini di dimensioni diverse, che il flow stress per leghe di rame decresce al decrescere
delle dimensioni del provino. Questo effetto è stato poi confermato anche per altri
materiali si vedano a riguardo [1]. Questo effetto è presente quando l'area deformata ha
superfici libere e porta il processo verso forze più basse rispetto alle dimensioni.
Si è visto anche, ad esempio, che nella lavorazione di curvatura invece la forza di processo
aumenta quando lo spessore è ridotto a dimensioni tali per cui un solo grano è presente
lungo lo spessore stesso; questo effetto può essere spiegato con il fatto che per spessori
16
simili è molto probabile che il grano che da solo costituisce lo spessore può essere
orientato sfavorevolmente alla deformazione.
Questo a testimonianza del fatto che le lavorazioni micro non possono essere valutate
semplicemente come le lavorazioni convenzionali ridotte di scala.
17
nell'ambiente circostante. Si ha quindi un sistema in grado di captare informazioni
dall'ambiente traducendo le grandezze fisiche in impulsi elettrici, di elaborare tali
informazioni facendo uso di opportune logiche ed, infine, di rispondere con alcune azioni. I
sensori possono misurare fenomeni di varia natura: meccanica (suoni, accelerazioni e
pressioni, per fare alcuni esempi), termica (temperatura e flusso di calore), biologica
(potenziale cellulare), chimica (pH), ottica (intensità della radiazione luminosa,
spettroscopia), magnetica (intensità del flusso). Le tecnologie MEMS promettono di
rivoluzionare intere categorie di prodotti proprio per il fatto di integrare in uno stesso
dispositivo le funzioni più diverse. Un minuscolo chip di silicio diventa ora un sensore di
pressione, ora un accelerometro, ora un giroscopio e così via. I vantaggi dei MEMS si
possono riassumere nel fatto che sono in grado di eseguire le stesse funzioni di rilevazione,
elaborazione e attuazione di oggetti molto più ingombranti e costosi.
Figura 1-7 L'effetto del "minimo spessore di truciolo" nelle microlavorazioni - [3]
18
Innanzitutto in campo micro il raggio di punta del tagliente ha dimensioni molto più grandi rispetto
allo spessore di taglio di quanto invece si osserva nel caso convenzionale (generalmente si hanno
raggi di punta di microfrese nell’ordine di 1-2 µm e avanzamenti nel range 0,25-10 µm). Uno dei
fenomeni derivanti da questo fatto è lo “spessore minimo di taglio” (“minimum chip thickness”).
Come si vede dalla figura sopra, quando il valore dello spessore di taglio è inferiore al valore critico
dato dallo spessore minimo, non si ha la formazione del truciolo ma il materiale viene forzato
sotto l’utensile e deformato come in una sorta di indentation hardness. La parte di deformazione
elastica viene poi recuperata dal materiale lavorato una volta che l’utensile è passato oltre. Con
riferimento alla Figura 1-8 Microfresatura con l'effetto dello spessore minimo di taglio – [3], da a) a c) si
ha la prima passata. Come si vede il valore istantaneo dello spessore di taglio varia da zero
all'entrata fino a un massimo situato circa al centro del canale. Finché lo spessore di taglio non
supera il valore minimo non si ha la formazione del truciolo. Da d) a f) si ha invece la seconda
passata. In d) il secondo tagliente incontra lo spessore di materiale non asportato
precedentemente e quindi in questa regione incontra uno spessore maggiore di materiale cosa
che permette al secondo tagliente di superare il valore dello spessore minimo di taglio prima del
precedente tagliente.
È stato trovato che lo spessore minimo di taglio è fortemente dipendente dal rapporto tra il raggio
di punta dell’utensile, lo spessore di taglio e dall’accoppiamento dei materiali utensile-lavorato. In
particolare lo spessore minimo di taglio è generalmente compreso tra il 5 e il 38% del raggio di
punta.
Figura 1-8 Microfresatura con l'effetto dello spessore minimo di taglio – [3]
19
Il raggio di punta influenza anche la formazione della bava, generalmente di dimensioni maggiori
(in proporzione al caso convenzionale), e più difficile da rimuovere, se non addirittura impossibile
in alcuni casi. Si consideri inoltre che per spessori di taglio inferiori al raggio di punta si ha un
deciso peggioramento della finitura superficiale.
Un altro effetto è il cosiddetto effetto di scala o (size effect), che provoca un aumento della
pressione specifica di taglio al diminuire dello spessore dello stesso. Le cause di questo effetto
includono:
angoli di spoglia principali effettivi ampiamente negativi, a cui si devono effetti ploughing,
cioè “ricalcature” nel materiale in lavorazione.
pressioni sull’utensile dovute al recupero elastico del materiale.
densità di dislocazioni nel materiale in lavorazione, aspetto che si riflette sul tasso di
deformazione.
Questo effetto si ripercuote anche sulla vita dell’utensile, che non risulta più determinabile come
nelle lavorazioni macro. Nelle microlavorazioni infatti la vita utile dell’utensile è più breve e spesso
la rottura avviene improvvisamente, in maniera catastrofica; anche le forze differiscono dal caso
convenzionale a causa dell’effetto dello spessore minimo di taglio, del recupero elastico,
dell’effetto ploughing e del run-out. Quest’ultimo è uno spostamento dell’utensile derivante
dall’offset del mandrino, dall’irregolarità dell’utensile stesso, dalle vibrazioni; il run-out può
arrivare ad assumere valori anche superiori all’avanzamento al dente al giro. Da questi motivi è
evidente il perché siano necessarie indagini sperimentali sulle microlavorazioni.
20
1.9 MICROFORATURA
1.9.1 GENERALITÀ
La lavorazione dei fori è una delle più importanti operazioni per asportazione di truciolo,
dato che, in termini quantitativi, è quella più frequente nella realizzazione di componenti
meccanici.
L’operazione di foratura viene eseguita con il trapano, con il tornio o generalmente
mediante centri di lavoro CN. Tale lavorazione meccanica ha subito notevoli cambiamenti a
seguito delle sempre più pressanti esigenze produttive delle aziende moderne: limitarne
quindi l’analisi a una banale punta applicata su un trapano è fortemente riduttivo, poiché si
tratta di una delle operazioni meccaniche in cui gli utensili sono maggiormente sollecitati
per via delle pressioni esercitate dalla macchina e dal pezzo sulla punta (fenomeni che
rendono fondamentale l’impiego di opportuni liquidi lubro-refrigeranti); inoltre, gli sviluppi
tecnologici volti ad una generale tendenza a miniaturizzare ogni sorta di componente,
offrono interessanti spunti di ricerca e studio accademico, che possono portare a sbocchi
applicativi nei più diversi campi della tecnica.
In linea generale, ad eccezione del caso particolare in cui alcune di queste lavorazioni siano
eseguite sul tornio, i moti caratteristici delle macchine su cui è possibile effettuarli sono i
seguenti: moto di taglio (è rotatorio continuo ed è sempre posseduto dall’utensile); moto
di avanzamento o di alimentazione (è rettilineo e può essere posseduto dall’utensile o dal
pezzo a seconda della macchina usata); moto di appostamento (è posseduto dal pezzo o
dall’utensile e serve per far coincidere l’asse dell’utensile con quello del foro da eseguire,
oltre che a portare l’utensile in vicinanza della superficie del pezzo).
I moti caratteristici di questa lavorazione sono visibili nello schema di figura 1-9.
21
1.9.2 MOTI RELATIVI E PARAMETRI DI PROCESSO
La scelta dei parametri di processo nella foratura, sia nel caso in cui si fori un pieno, sia nel
caso in cui si lavori un foro preesistente, è basata sulla determinazione dell'avanzamento e
della velocità di taglio che conducono ad una lavorazione più produttiva ed economica
possibile. Dalla conoscenza di queste due grandezze, tenendo presente anche le
caratteristiche meccaniche del materiale da forare, si può infine calcolare la potenza che
dovrà essere resa disponibile dall'asse del mandrino.
Come già accennato nel paragrafo precedente, in foratura i principali moti relativi sono il
moto di taglio e il moto di avanzamento.
Il moto di taglio è il moto principale della macchina e dunque è quello che determina
l’asportazione del truciolo; sul trapano è di tipo rotatorio, è posseduto dall’utensile, e può
essere espresso in termini di due parametri di processo: la velocità di taglio e la velocità di
rotazione.
Il moto di avanzamento ha lo scopo di portare a contatto dell’utensile nuovo materiale da
tagliare a contatto con l’utensile; è un moto molto più lento rispetto al moto di taglio. Sul
trapano è di tipo traslatorio e viene impresso all’utensile, secondo il suo asse, in modo
continuo e contemporaneo al moto di taglio. Il moto di avanzamento può essere espresso
sia come avanzamento per giro, sia come velocità di avanzamento.
Sono di seguito presentati i citati parametri di processo fondamentali nella foratura, che
servono per esprimere i moti relativi caratteristici di tale lavorazione:
22
Figura 1-10 Moto e velocità di taglio di una punta elicoidale.
𝑚𝑚
𝑉𝑎 = 𝑎 × 𝑛
𝑚𝑖𝑛
Infatti, se a indica lo spostamento dell’utensile per ogni giro del pezzo,
moltiplicando il suo valore per il numero di giri n compiuti in un minuto, si ottiene lo
spostamento dell’utensile per ogni minuto, cioè la sua velocità di avanzamento.
La micro foratura a step consiste nel arrivare alla profondità desiderata di foratura
tramite più passaggi, ed è la tecnica che è stata utilizzata in questo lavoro di tesi.
Tale procedura è rappresentata nella figura sottostante.
Questo metodo è richiesto quando la profondità del foro è superiore a tre volte il
diametro della punta, in modo tale da diminuire la formazione di bava e aumentare
il raffreddamento.
La foratura a step è usata anche quando le proporzioni del foro sono piccole in
quanto questa tecnologia consente di aumentare la vita utensile.
Gli step di avanzamento in micro foratura (OSFL = One-Step Feed-Length) vanno da
metà a due volte il diametro della punta.
24
1.10 MICROFRESATURA
1.10.1 GENERALITÀ
L’industria elettronica e quella aerospaziale sono state tra le prime industrie ad adottare la
fresatura microscopica come tecnica di lavorazione. Successivamente anche il settore
biomedico si è affacciato a questa lavorazione e grazie ad un continuo sviluppo di questa
tecnica anche il settore manifatturiero l’ha fatta sua. I micro prodotti e la richiesta di micro
fresature sono sempre in aumento e la loro precisione diventa sempre più importante. La
maggior parte di questi componenti ha dimensioni comprese tra i 10 millimetri e il singolo
millimetro. Le lavorazioni su particolari “piccoli” con precisione elevata (< 1 μm)
introducono però nuovi problemi che nelle lavorazioni di particolari “grandi” sono
assolutamente trascurabili. Il processo di microfresatura può essere infatti molto diverso
dal suo omologo a livello macroscopico a causa degli effetti di scala. Il raggio di punta
dell’utensile è dell’ordine di pochi micron e inoltre, a causa della flessibilità e della fragilità
degli utensili, l’avanzamento al dente durante la microfresatura non può superare valori di
pochi micron. La microfresatura non è solo veloce, è anche economicamente efficiente
rispetto ad altri processi: si presta in maniera ottimale sia a lavorazioni su lotti piccoli e
medi che a lavorazioni su lotti enormi.
Nei giorni nostri la più importante applicazione di microfresatura è la produzione di stampi
per modelli e forme microscopiche con buona precisione, bassa rugosità e ottimi profili.
Questo è possibile grazie agli elevati tassi di rimozione per l’ambito delle micro lavorazioni
di materiale che permette tale lavorazione, con dimensioni caratteristiche piccole,
dell’ordine di 5/10 micron.
27
1.10.3.4 RAPPORTO DI SCALA ED ENERGIA SPECIFICA DI TAGLIO
Le forze di taglio e l’energia specifica derivante dipendono principalmente dal
rapporto tra lo spessore del truciolo non ancora tagliato (tu) e il bordo raggio
dell’utensile (re), nel caso in cui il raggio sia maggiore dello spessore: tu<re.
Nella microfresatura il taglio risulta molto più localizzato rispetto al caso
macroscopico, questo comporta una variazione delle forze di taglio specifiche nella
lavorazione ad alta precisione, che risultano maggiori di circa 200%.
Con l’avanzare dello strumento il valore del truciolo non ancora tagliato aumenta e,
quando supera il valore minimo, la punta dell’utensile si impegna col pezzo da
lavorare e si ha una piccola rottura dello spessore che va aumentando ad ogni
singolo avanzamento dell’utensile.
L’angolo φ che è l’angolo di rotazione della fresa, viene detto angolo di truciolo
(CFA) nel momento in cui si forma la prima rottura ed il primo pezzettino di truciolo.
Nella microfresatura lo spessore del truciolo minimo può essere definito come lo
spessore del “chip” non ancora tagliato nel punto in cui si ha l’angolo di truciolo φ,
ossia quando tu>tc min. Detto ciò, un valore basso del raggio del bordo dell’utensile
porta ad una formazione precoce del truciolo, mentre un raggio grande porta alla
sola compressione della superficie.
29
Figura 1-15 CASO 1: compressione; CASO 2: formazione di truciolo - [5]
31
Figura 1-17 Fluttuazioni in microfresatura - [5]
33
Figura 1-19 Profilo di un utensile rotto con particolare tratteggiato del piano di
rottura - [5]
Un’ulteriore analisi delle forze di taglio mostra che sono significativamente più alte
per gli attrezzi con raggi utensili piccoli, l’usura può essere quindi controllata
arrotondando o aumentando il raggio dell’utensile.
La microscopia elettronica a scansione (SEM), aiuta a comprendere le zone dove
l’usura agisce in maniera predominante. Si è analizzato da queste microscopie che
le zone dell’angolo del tagliente sono le più soggette a questo effetto.
Infine l’utilizzo di coperture e di utensili temprati aiutano anch’essi a diminuire
l’usura.
Meccanismi di rottura:
35
Figura 1-20 Immagine che mostra l’eccentricità del tagliente e la conseguente
variazione del raggio effettivo - [5]
Egli inoltre descrisse l’errore di posizione della superficie (SLE), come distanza media
tra la fresata sul piano della superficie e il piano della superficie stessa.
36
Ozel definì la SLE con delle equazioni matematiche:
𝑁𝑢 𝑦(𝑃𝑖𝑆𝑢 )
𝑆𝐿𝐸𝑢 = − 𝑅 ; 𝑃𝑖𝑆𝑢 ⊂ 𝑆𝑈𝑅𝐹𝑢
𝑖=1 𝑁𝑢
𝑁𝑑 𝑦(𝑃𝑖𝑆𝑑 )
𝑆𝐿𝐸𝑑 = − 𝑅 ; 𝑃𝑖𝑆𝑑 ⊂ 𝑆𝑈𝑅𝐹𝑑
𝑖=1 𝑁𝑑
SLE = SLEu + SLEd
In queste espressioni PiSu e PiSd sono i punti delle superfici fresate, lavorate in
direzione superiore e in direzione inferiore (Up-Down). Nu e Nd sono i punti che
riferiscono le superfici ed R è il raggio della micro fresa.
Nell’immagine sottostante è presentata un’immagine raffigurante un esempio di
calcolo dell’errore della posizione precisa di una superficie fresata in direzione
superiore (Up).
Figura 1-22 Immagine raffigurante uno SLE da una microscopia fatta - [5]
37
1.10.3.13 EFFETTO DELLE BAVE
Come detto in precedenza la lavorazione di microfresatura comporta la formazione
di bave, la loro influenza a livello microscopico è maggiore rispetto al caso
convenzionale. Una quantità eccessiva di bave può ostacolare l’assemblaggio di
parti, può usurare altre parti o accumulare materiale non utile. Nei dispositivi
biomedici può causare rigetto autoimmune. Se la loro posizione può essere
controllata e le loro dimensioni gestite, queste possono essere sfruttate come ganci
microscopici per la manipolazione dei tessuti.
Nel caso macroscopico la formazione delle bave in fresatura è stata studiata nel
1970. Anche a livello micro può essere ridotta pianificando in maniera corretta la
traiettoria dell’utensile modificando la geometria della punta, l’angolo di uscita
dell’utensile stesso e scegliendo velocità tali da far evacuare la bava durante la
lavorazione. Considerando la formazione di microsbavature, un esperimento [5] ha
dimostrato che si ha una quantità maggiore di bava quando la velocità di
avanzamento è bassa e la fresatura in direzione inferiore (Down) è maggiore.
Studi recenti hanno mostrato che la bava ha l’altezza maggiore nella parte
downmilling in scanalature tagliate con uno strumento a grandi avanzamenti per
dente e basse velocità del mandrino.
Nel caso non si riesca a controllare la formazione della bava, si presenta il problema
della rimozione e della sua pulizia. Queste due azioni non sono pratiche e risultano
piuttosto costose per i produttori, bisogna pertanto controllare e gestire il problema
alla base. L’utilizzo della tecnologia a laser può sostituire la lavorazione di
microfresatura in quei prodotti dove la presenza della bava non è accettata.
38
1.10.3.14 EFFETTO VIBRAZIONI NEL SISTEMA
Le bave e l’usura appena accennate portano a loro volta un altro effetto: le
vibrazioni sul sistema. La vibrazione è infatti dovuta al fatto che il processo di taglio
non è uniforme durante tutto il tempo poiché l’utensile incontra scanalature più o
meno gravi. La dinamica della punta dell’utensile e l’eccentricità del sistema
enfatizzano questo effetto. Le vibrazioni intermittenti che si vengono a creare
possono portare, se di forte entità, alla rottura dell’utensile stesso. Si possono
notare inoltre delle vibrazioni anche nello strato sub-superficiale durante il taglio
assiale, indipendentemente dall’effetto rigenerativo.
Figura 1-24 Immagine esemplificativa della zona soggetta alle vibrazioni sub-
superficiali - [5]
39
1.10.3.15 EFFETTO DELLA LUBRIFICAZIONE
La lubrificazione nella lavorazione di microfresatura serve per raffreddare il pezzo e
lubrificare il truciolo in modo da renderlo facilmente trasportabile.
Essa può essere: a secco, MQL (cioè minimale), Flood (cioè massima o piena
lubrificazione).
Per quanto riguarda il fluido di lubrificazione, bisogna prestare particolare
attenzione in quanto la pressione con cui viene iniettato può influire sul
comportamento dell’utensile. Inoltre, anche se la portata è trascurabile o
comunque si ha un adeguato controllo della velocità, la rimozione del liquido in
eccesso è impegnativa.
40
2 LE PROVE SPERIMENTALI E LA STRUMENTAZIONE
2.1 GENERALITÀ
Le prove sperimentali sono necessarie per valutare se la legge di Johnson-Cook utilizzata dal
software FEM Deform descrive bene o meno la realtà in termini di forze oppure se deve essere in
qualche modo corretta. Dato che il modello di Johnson-Cook prevede, nella forma in cui è
implementato nel programma Deform, la definizione di 12 costanti caratteristiche de materiale
(che se opportunamente scelte riconducono il modello alla forma originale, quindi con 5 costanti)
per disporre di sufficienti dati sperimentali validi si è scelto di eseguire 15 cave rettilinee di
larghezza pari al diametro della fresa utilizzata (0.8 mm da catalogo) e profondità 20 μm (valore
consigliato dal catalogo dell’utensile per il materiale in questione), utilizzando tre diversi valori di
velocità di rotazione dell’utensile e cinque diversi valori di avanzamento al dente giro. I parametri
delle prove sono riportati nella tabella sottostante.
Durante l’esecuzione delle prove è necessario acquisire le forze che si instaurano tra l’utensile e il
materiale lavorato. È richiesto quindi l’utilizzo di una strumentazione hardware e software
adeguata, composto da:
42
Di seguito si riassumono le caratteristiche della KERN Pyramid Nano
43
2.3 SISTEMA DI MISURAZIONE DELLA FORZA
Il sistema di misura utilizzato per rilevare le forze di taglio durante le prove è costituito da una
cella di carico triassiale piezoelettrica KISTLER 9317C collegata a tre amplificatori di carica KISTLER
Charge Meter Type 5015 (uno per ogni canale) i quali rilevano la carica generata dalla cella e la
convertono in una tensione di ±10V.
Il programma LabVIEW su PC acquisisce il segnale proveniente dagli amplificatori e permette di
visualizzare in grafici separati le componenti della forza di taglio secondo un sistema di riferimento
XYZ allineato a quello della macchina: Fx lungo l’asse X, Fy lungo l’asse Y e Fz lungo l’asse Z. Oltre
alle componenti della forza di taglio viene visualizzato anche il modulo della forza stessa (Fc).
Figura 2-3 Cella di carico Kistler 9317C, il sistema di riferimento della cella è orientato come
quello della fresatrice - [6]
44
Il sensore della cella di carico è montato tra due piattelli di lato 25 mm con quattro fori di fissaggio
filettati e grazie al precarico è in grado di rilevare forze sia di compressione che di trazione lungo
l’asse Z. Il componente piezoelettrico genera una carica, proporzionale alla forza rilevata, che
viene trasmessa agli amplificatori tramite un cavo schermato.
Di seguito sono riportate le caratteristiche tecniche della cella di carico, lo schema degli
amplificatori e caratteristiche tecniche degli amplificatori:
Range Fx, Fy (in assenza di momenti) -1000÷1000 N
Range Fz (applicata centro del sensore) -2000÷2000 N
Momento massimo Mx, My -5÷5 Nm
Momento massimo Mz -4÷4 Nm
Sensibilità Fx, Fy -26 pC/N
Sensibilità Fz -11 pC/N
Linearità ±0,5% FSO
Isteresi 0,5% FSO
Frequenza naturale Fx, Fy 5 kHz
Frequenza naturale Fz 21 kHz
45
Figura 2-6 Schema del circuito degli amplificatori
46
2.3.1 PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO SENSORE PIEZOELETTRICO
Questo tipo di sensori basano il loro funzionamento su quello che viene chiamato “effetto
piezoelettrico”.
Questo effetto consiste nel fatto che alcuni cristalli, se sottoposti ad una sollecitazione
esterna, generano una migrazione di cariche che, con l’utilizzo di un apposito circuito, può
essere tradotta in una differenza di potenziale. Tra i materiali con questa proprietà il più
usato è il quarzo, per via della sua stabilità e sensibilità. Un limite per questi sensori è
rappresentato dalle misure statiche o a basse frequenze in quanto le cariche migrate a
causa dell’azione esterna vengono disperse rapidamente.
forza esterna
47
Tipo di misura Tensione
Tipo di isolamento Isolamento a terra canale-terra
Risoluzione 16 bit
Canali single-ended 32
Canali differenziali 16
Frequenza di campionamento 250 kS/s
Massima tensione in ingresso 10 V
Accuratezza (intervallo ±10 V) 6220 μV
Accuratezza (intervallo ±200 mV) 157 μV
Campionamento simultaneo NO
48
2.5 LabVIEW
LabVIEW (Laboratory Virtual Instrumentation Engineering Workbench) è l’ambiente di sviluppo
integrato per il linguaggio di programmazione visuale di National Instruments. Tale linguaggio
grafico viene chiamato Linguaggio G.
Il linguaggio di programmazione usato in LabVIEW si distingue dai linguaggi tradizionali perché
grafico, per questa ragione battezzato G-Language (Grafic Language).
Un programma o sottoprogramma G, denominato VI (Virtual Instruments), non esiste sotto forma
di testo, ma può essere salvato solo come un file binario, visualizzabile e compatibile solo da
LabVIEW.
La definizione di strutture dati ed algoritmi avviene con icone e altri oggetti grafici, ognuno dei
quali incapsula funzioni diverse, uniti da linee di collegamento (wire), in modo da formare una
sorta di diagramma di flusso. Tale linguaggio viene definito dataflow (flusso di dati) in quanto la
sequenza di esecuzione è definita e rappresentata dal flusso dei dati stessi attraverso i fili
monodirezionali che collegano i blocchi funzionali. Poiché i dati possono anche scorrere in
parallelo attraverso blocchi e fili non consecutivi, il linguaggio realizza spontaneamente il
multithreading senza bisogno di esplicita gestione da parte del programmatore.
CATENA DI MISURA
La catena di misura è composta da:
49
Figura 2-9 Catena di misura
Questi parametri presentano però notevoli differenze rispetto alle macrolavorazioni per quanto
riguarda il loro valore: la velocità di avanzamento è nettamente inferiore in quanto l’avanzamento
al dente al giro dei microutensili è estremamente ridotto, la velocità di rotazione (a parità di
velocità di taglio necessaria) è molto maggiore a causa del ridotto raggio dell’utensile e la
50
profondità di passata presenta un valore minimo (spessore minimo del truciolo) al di sotto del
quale si ha solo una deformazione elastica del materiale.
I Parametri di lavorazione utilizzati negli esperimenti sono riportati nella tabella 2-1.
51
Questa tipologia di fresa è realizzata in metallo duro e rivestita mediante tecnica PVD (physical
vapos deposition), rivestimento utile a proteggere il taglio dell’utensile dall’usura. Particolarità di
questo modello di fresa è di presentare un angolo d’elica β nullo.
Nel presente lavoro di tesi è stato realizzato uno studio riguardante la misura di diametri e bave di
lavorazioni di micorforatura, come approfondimento del precedente studio di Livella [24] che si
era concentrato sulle forze. Per tali misure è stata utilizzata una macchina ottica a controllo
numerico (3D QUICK SCOPE CNC Mitutoyo), in grado di effettuare misure geometriche
direttamente dall’immagine acquisita lavorando sui pixel, mediante lo specifico software allegato
che implementa diverse funzioni geometriche e di misura.
Tale macchina permette diverse scale di ingrandimento che vanno da 50X a un massimo di 350X.
La messa a fuoco dell’immagine viene eseguita spostando l’obbiettivo in direzione Z e utilizzando,
a seconda dei casi, un’adeguata combinazione delle tre tipologie di illuminazione disponibili, cioè
coassiale all’obbiettivo, anulare e quella della tavola.
Il sistema di riferimento della macchina è orientato nel seguente modo:
52
Dal manuale della macchina sono state trovate le relazione che restituivano l’accuratezza delle
misure:
6𝐿
-Accuratezza di misura nel piano x-y (2.5 + 1000 ) [µm] dove L è la misura in mm
6𝐿
- Accuratezza di misura in direzione z (5 + 1000 ) [µm] dove L è la misura in mm
Lo scopo di queste misure è quello di valutare come eventualmente variano il diametro del foro e
la bava formatasi, indicatori della precisione della lavorazione, all’aumentare dei fori eseguiti da
una certa punta, cioè man mano questa si usura.
2.9 MATERIALI
Di seguito viene descritto il materiale oggetto di questo lavoro di tesi, per quanto riguarda la parte
di microfresatura. Per le descrizioni dei materiali utilizzati in micro foratura si rimanda a [24].
Composizione C Mn Si Cr Ni Mo Altri
0,95- 0,25- 0,15- 1,40- _ _ _
1.10 0,45 1,60 1,60
53
Temperature Punti Fucinatu Normalizzazio Ricottur Ricottura Tempr Rinveni
critici ra ne a isotermic a mento
subcritic a di dist.
a
Ac1
750 800 840-
Acm 1100- 870-890 710-740 860 160-200
785 900 olio
Ms 720x5h
210
L’acciaio 100Cr6 è utilizzato in oltre il 90% dei cuscinetti a rotolamento, grazie alle sue
proprietà:
54
Figura 2-13 Diagramma ferro-carbonio - [10]
Figura 2-14 Struttura ortorombica della cementite: si notino i quattro atomi di carbonio
(in grigio) circondati dai 12 di ferro (in rosso) - [11]
55
La ferrite è una soluzione solida interstiziale costituita da carbonio solubilizzato in un
reticolo cubico a corpo centrato di ferro alfa.
La ferrite alfa si forma a temperature più basse, più precisamente fino a 911 °C. Si trova in
forma satura a 723 °C, a questa temperatura riesce a sciogliere al suo interno lo 0,02% di
carbonio.
Figura 2-15 Struttura della ferrite: il ferro (in grigio) è disposto secondo un reticolo cubico
a corpo centrato, mentre il carbonio (in azzurro) è presente come difetto interstiziale -
[11]
56
Figura 2-16 Diagramma di stato Fe – Cr - [11]
57
Il cromo diminuisce la conducibilità termica del ferro e degli acciai e aumenta la
resistività elettrica.
Per quanto riguarda le proprietà meccaniche:
Il manganese è solubile nel ferro in tutte le proporzioni, tutti gli acciai contengono
una certa percentuale di Mn (0,3-0,4%), poiché viene utilizzato come disossidante e
desolforante nella fase di fabbricazione.
Gli acciai al manganese ne contengono almeno 0,8-1% ed hanno strutture perlitiche
o austenitiche comprese tra le linee tratteggiate.
58
Il manganese produce forti variazioni delle proprietà fisiche degli acciai ma esistono
applicazioni di acciai con particolari proprietà.
I principali vantaggi sono:
Gli inconvenienti:
59
2.9.1.3 INFLUENZA DEL SILICIO
Il silicio è un elemento ferritizzante, come il manganese è sempre presente negli
acciai (si parla di acciai al Si solo quando il Si > 0,8-1%).
Il diagramma strutturale degli acciai al silicio presenta una zona tratteggiata per
acciai con tendenza alla separazione di grafite: si può avere grafite con %C inferiori
a quelle di ghise e %Si modesti.
60
2.9.1.4 RISCALDAMENTO (AUSTENITIZZAZIONE)
Anche se l’acciaio diventa completamente austenitico a temperature superiori a
circa 900°C, condizione di equilibrio, austenitizzando a 1040°C per 20 minuti si
riesce a dissolvere completamente la cementite per acciai contenenti fino all’1,1 %
in peso di carbonio. Tale calore permette di ottenere una dimensione dei grani di
austenite tra i 40 e i 60 μm.
La figura sottostante mostra come la dimensione del grano austenitico vari con la
temperatura di austenitizzazione, con un grande aumento se si prendono carburi in
soluzione a più alte temperature.
61
Figura 2-22 Variazione del grano in funzione della temperatura - [11]
62
Il cromo aumenta anche la temperatura, così la frazione di cementite convertita è
maggiore rispetto ad un acciaio senza cromo, a qualsiasi temperatura all’interno
della fase γ.
La stabilità termodinamica della cementite si è arricchita con l’aggiunta di cromo, le
particelle non disciolte sono in grado di resistere al cambiamento durante il
trattamento termico e le successive lavorazioni.
Lavori recenti svolti utilizzando raggi X e diffrazione elettronica indicano che alcune
delle particelle assunte come cementite in realtà sono (Fe,Cr)23C6, le particelle (non
analizzate chimicamente) dovrebbero avere concentrazioni di cromo superiori a
quelle indicate nell’immagine sovrastante.
(Fe,Cr)23C6 non è una fase stabile alla temperatura di austenitizzazione dovuto alla
segregazione chimica del materiale.
Il tempo di austenitizzazione è tipicamente di 20 minuti, quindi si approssima che
l’equilibrio sia assunto in questo tempo. L’austenite s’impoverisce di carbonio (0,86
%) con una Ms (martensite start) di 148°C.
2.9.1.5 RAFFREDDAMENTO
Per i trattamenti termici è importante conoscere i punti critici, negli acciai
ipereutettoidici Aecm (linea di immiscibilità) è la temperatura di equilibrio austenite-
cementite.
63
Figura 2-25 Diagramma Ferro-Carbonio - [11]
Figura 2-26 Influenza della velocità di raffreddamento sui punti critici - [11]
64
Figura 2-27 Diagramma T.T.T. per acciaio 100Cr6 -[9]
65
Esistono 3 tipi di trasformazioni possibili: perlitica, bainitica e martensitica.
TRASFORMAZIONE PERLITICA
66
TRASFORMAZIONE BAINITICA
67
TRASFORMAZIONE MARTENSITICA
68
2.9.1.6 TRATTAMENTI TERMICI
Una parte del lavoro di stage effettuato ha avuto come obiettivo il trattamento
termico del materiale scelto, il 100Cr6, prendendo 4 campioni e portandoli a
differenti durezze: 65, 60, 55 e 53,5 HRC. Successivamente si è concentrato lo
studio solo sul provino portato a 53,5 HRC, in quanto valore presente nel software
Deform. Per aumentare le caratteristiche meccaniche dei pezzi in esame si è scelto
di sottoporli al trattamento termico di bonifica: tempra + rinvenimento.
TEMPRA
69
Successivamente si è acceso il forno, con la tempra solitamente si arriva ad una
temperatura di riscaldo di circa A3+50°C, nel nostro caso viene quindi adottata una
temperatura di 860°C. La temperatura di riscaldamento non è eccessivamente alta
così da limitare l’ingrossamento del grano ed evitare surriscaldamenti e bruciature.
Per gli acciai ipereutettoidici infatti, la temperatura di riscaldo può essere vicina alla
linea del solidus, se per errore la supera il pezzo inizierebbe la fusione e sarebbe
irreparabilmente danneggiato.
Una volta che il forno ha raggiunto la temperatura prestabilita i pezzi vengono
lasciati dentro per 30 minuti in modo da garantire la completa austenitizzazione.
Vengono poi estratti e fatti raffreddare in olio Agip OSO 46, lubrificante di alta
qualità realizzato per essere impiegato come fluido funzionale nei sistemi e negli
impianti idraulici di ogni tipo.
70
RINVENIMENTO
Solitamente non si mette in esercizio una struttura solo martensitica perché troppo
fragile, bisogna quindi cercare un buon compromesso tra durezza e tenacità.
La procedura del rinvenimento consiste nello scaldare il pezzo in esame ad una
temperatura T inferiore ad A1. Si mantiene tale temperatura il tempo minimo
necessario per fare omogeneizzare il pezzo in relazione alla sua dimensione. Viene
poi un raffreddamento lento in aria, acqua o olio.
Più si tiene il pezzo in temperatura per tempi lunghi più il fenomeno della diffusione
ridistribuisce il carbonio intrappolato nella martensite diminuendo la durezza, ma
aumentando la tenacità perché le celle tornano di forma cubica e sono meno
tensionate.
A livello microscopico vedo che nella matrice martensitica (senza bordo grano) ci
sono precipitazioni di carburi sparsi.
Come detto la temperatura e durata del rinvenimento influiscono sulle proprietà
meccaniche finali. Infatti fisso la temperatura di rinvenimeto in relazione a
macchinari a disposizione e tramite opportuni grafici in relazione alle proprietà di
tenacità, durezza, resilienza, carico unitario di rottura e snervamento cercati.
Dei quattro provini, uno, essendo già ad una durezza di 65 HRC verrà solamente
temprato, mentre gli altri saranno sottoposti al trattamento di rinvenimento per
ottenere così la durezza desiderata.
Ci viene quindi in aiuto l’apposito grafico per il rinvenimento dell’acciaio 100Cr6.
71
Figura 2-35 Diagramma rinvenimento per 100Cr6 - [9]
Dal grafico si evince che per ottenere i valori di durezza desiderati il rinvenimento
andrà fatto a 225°C, 350°C e 380°C.
Fasi del procedimento:
72
2.9.1.7 PULIZIA PROVINI
Si procede ora alla pulizia dei pezzi: vengono lapidellati superficialmente e ne verrà
misurata la durezza.
Per ottenere un’ottima finitura superficiale e delle superfici planari lisce e lucide i
provini vengono lapidellati con l’apposita macchina.
La lapidellatura è una lavorazione meccanica di finitura superficiale eseguita
asportando il materiale tramite abrasione, attraverso delle macchine chiamate
lapidatrici.
73
Prima di eseguire la prova si applica un precarico di 10 kg di massa equivalente. In
un secondo momento viene applicato il carico reale di 150 Kg per 15 secondi. La
macchina misura l’incremento di profondità e da questo si ricava il valore di
durezza. Il precarico serve per garantire il reale contatto con il penetratore anche
con una superficie poco preparata.
74
2.10 PROVE SPERIMENTALI DI MICROFORATURA
Sono stati ottenuti dei pezzi prismatici a base quadrata (9x9x12 mm) per ognuna delle tre leghe da
testare. La micro foratura consiste nell’effettuare il numero maggiore di fori prima che avvenga la
rottura dell’utensile. La profondità finale del foro è stata ottenuta tramite degli step di foratura.
L’utensile utilizzato è una micro punta in metallo duro di diametro 0,5 mm.
Il piano fattoriale di lavorazione è basato sulla variazione della profondità del foro (0,5 mm e 1
mm), applicato ai tre differenti materiali. Si sono invece fissate: la velocità di rotazione del
mandrino a 10000 rpm e la velocità di avanzamento a 60 mm/min. Il tutto è stato svolto senza
l’uso di lubrificante. Per l’analisi statistica dei risultati sono state eseguite tre prove per ogni valore
di step, per un totale di nove prove per ogni materiale;
Infine è stata eseguita l’analisi delle forze tramite una cella di carico collegata ad un sistema di
acquisizione dati basato sul software LABVIEW. L’analisi delle forze ha consentito la stesura di un
modello analitico preliminare capace di descrivere il comportamento dei differenti materiali sotto
l’effetto della micro foratura al variare dell’usura dell’utensile come studiato nel lavoro di tesi di
Luca Livella [24], alla quale si rimanda relativamente a questo argomento.
75
Figura 2-38 Forma finale dei provini
Varianza 5.46 HV
76
Campione 2 = HASTELLOY C-22
Micro durezza Vickers 201.21 HV
La misura dei diametri è stata effettuata mettendo a fuoco la superficie che contiene un
foro a un ingrandimento di 350X.
77
L’operazione è stata eseguita per ogni foro per quanto riguarda le lavorazioni eseguite sull’
Inconel 625 mentre per campioni di fori per quanto riguarda invece in materiali AISI 310H e
Hastelloy, in quanto questi ultimi due materiali risultano essere più facilmente lavorabili e
conseguentemente le punte riuscivano a realizzare un numero molto maggiore di fori.
Lo scopo è quello di valutare come eventualmente può variare il diametro dei fori realizzati
al progredire della lavorazione, cioè man mano la punta si usura.
Per le bave sono state prese diversi tipi di misure a seconda del piano o della direzione
della macchina in cui veniva posto il misurando.
Per quanto riguarda il piano x-y: una misurazione delle “bava massima”, intesa come il
diametro della circonferenza avente centro nel foro passante per il punto di massima
estensione della bava; una misura della bava che deriva dal diametro della circonferenza
avente centro nel foro presa in corrispondenza di quella che può essere considerata una
“bava media”, escludendo cioè creste e irregolarità locali della bava; Per quanto riguarda
l’altezza della bava, visto che la macchina ottica si è rivelata non efficiente in misure di
questa entità in direzione Z , le misure sono state prese con un rugosi metro, sempre di
produzione della Mitutoyo.
Si è comunque visto che l’andamento di questo parametro al procedere della lavorazione
tende ad assumere valori costanti.
78
0,54
0,53
DIAMETRO 0,52
[mm] 0,51
0,5
0,49
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13
NUMERO FORO
0,2
ESTENSIONE 0,15
MASSIMA
0,1
DELLA BAVA
[mm] 0,05
0
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13
NUMERO FORO
0,06
0,05
ESTENSIONE 0,04
DELLA BAVA 0,03
[mm] 0,02
0,01
0
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13
NUMERO FORO
Figura 2-40 Risultati delle misurazioni nel piano x-y relative alle lavorazioni
dell’Inconel 625
L’altezza media della bava è stata invece rilevata, per ragioni di comodità, dai fori
realizzati dalla punta 7, che comunque ha lavorato con i medesimi parametri di
taglio della punta 1.
79
120
100
80
ALTEZZA
MEDIA DELLA 60
BAVA [µm]
40
20
0
3 4 5 6 7 10 11 12 13
NUMERO FORO
I risultati non sembrano in questo caso indicare alcuna correlazione tra i vari
parametri e l’avanzamento della lavorazione effettuata dall’utensile(e quindi
dell’usura subita dall’utensile).
80
0,55
0,54
0,53
0,52
DIAMETRO
FORO [mm]
0,51
0,5
0,49
1 11 25 101 111
NUMERO FORO
0,14
0,12
0,1
ESTENSIONE
MASSIMA 0,08
DELLA BAVA 0,06
[mm]
0,04
0,02
0
1 11 25 101 111
NUMERO FORO
0,035
0,03
0,025
ESTENSIONE 0,02
DELLA BAVA
[mm] 0,015
0,01
0,005
0
1 11 25 101 111
NUMERO FORO
Figura 2-42 Risultati delle misurazioni nel piano x-y relative alle lavorazioni
dell'AISI 310H
81
80
70
60
50
ALTEZZA
MEDIA DELLA 40
BAVA [µm]
30
20
10
0
20 21 26 29 30 35 38 39 44 47 48 53 85 94 103112
NUMERO FORO
I risultati non sembrano in questo caso indicare alcuna correlazione tra i vari
parametri e l’avanzamento della lavorazione effettuata dall’utensile(e quindi
dell’usura subita dall’utensile).
82
0,538
0,536
0,534
0,532
0,53
DIAMETRO 0,528
FORO [mm] 0,526
0,524
0,522
0,52
0,518
0,516
1 3 5 7 9 17 19 21 31 33 35 37 39
NUMERO FORO
0,14
0,12
0,1
ESTENSIONE
MASSIMA 0,08
DELLA BAVA 0,06
[mm]
0,04
0,02
0
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10171819202130313233343536373839
NUMERO FORO
0,045
0,04
0,035
0,03
ESTENSIONE
0,025
DELLA BAVA
0,02
[mm]
0,015
0,01
0,005
0
1 3 5 7 9 17 19 21 31 33 35 37 39
NUMERO FORO
Figura 2-44 Risultati delle misurazioni nel piano x-y relative alle lavorazioni
dell’AISI F310
83
90
80
70
60
ALTEZZA 50
MEDIA DELLA
BAVA [µm] 40
30
20
10
0
13 14 15 16 22 23 24 25 30 31 32 33 34
NUMERO FORO
I risultati non sembrano in questo caso indicare alcuna correlazione tra i vari
parametri e l’avanzamento della lavorazione effettuata dall’utensile(e quindi
dell’usura subita dall’utensile).
84
0,54
0,535
0,53
0,525
DIAMETRO
FORO 0,52
[mm] 0,515
0,51
0,505
0,5
0,495
1 4 7 10 13 16 19 32 35 59 62 65
NUMERO FORO
0,2
0,18
0,16
0,14
ESTENSIONE 0,12
MASSIMA
0,1
DELLA BAVA
0,08
[mm]
0,06
0,04
0,02
0
1 4 7 10 13 16 19 32 35 59 62 65
NUMERO FORO
0,04
0,035
0,03
ESTENSIONE 0,025
DELLA BAVA
0,02
[mm]
0,015
0,01
0,005
0
1 4 7 10 13 16 19 32 35 59 62 65
NUMERO FORO
Figura 2-46 Risultati delle misurazioni nel piano x-y relative alle lavorazioni
dell’Hastelloy C22
85
90
80
70
60
ALTEZZA 50
MEDIA DELLA
BAVA [µm] 40
30
20
10
0
13 14 15 16 31 32 33 34 58 59 60 61
NUMERO FORO
Figura 2-47 Risultati delle misurazioni nel piano x-y relative alle lavorazioni
dell’Hastelloy C22
I risultati non sembrano in questo caso indicare alcuna correlazione tra i vari
parametri e l’avanzamento della lavorazione effettuata dall’utensile (e quindi
dell’usura subita dall’utensile).
86
2.11 PROVE SPERIMENTALI DI MICROFRESATURA
La campagna sperimentale si è sviluppata in due fasi. Inizialmente è stato ottenuto un provino di
acciaio 100Cr6 di forma cubica e successivamente lo stesso è stato trattato termicamente, si sono
poi acquisite le forze generate durante l’esecuzione delle micro fresate sul campione.
Le fasi principali dell’attività sperimentale sono state le seguenti:
- Bonifica del provino d’acciaio in modo da ottenere una durezza di 53,5 HRC, valore molto
prossimo a 53 presente nella base dati del programma Deform ;
- Allestimento della catena di misura;
- Spianatura del campione in modo da ottenere una superficie perfettamente planare
rispetto al movimento dell’utensile;
- Esecuzione di 15 microcave profonde 20 μm (valore consigliato dal catalogo dell’utensile
per il materiale in questione) con frese di 800 μm di diametro;
- Acquisizione delle forze tramite cella di carico e software LABView.
87
- Spianatura dei lati di ingresso e uscita della microfresa del campione per renderli
perfettamente perpendicolari all’asse della microcava.
Finite le operazioni di preparazione della prova viene montata la microfresa sul mandrino
della macchina e si esegue l’azzeramento del nuovo utensile sfiorando la superficie del
campione con il sistema di acquisizione delle forze attivo in modo da conoscere con
certezza il momento in cui pezzo e fresa entrano in contatto.
Una volta azzerato l’utensile, questo viene portato alla quota della cava (ma all’esterno del
campione) ad una quota di 10 μm sotto la superficie del pezzo, e si cominciano le prove con
i parametri di processo prestabiliti presenti nel capitolo precedente.
Per le 5 prove a 11000 rpm e le 5 prove a 33000 rpm è stato utilizzato un primo utensile
successivamente sostituito per le prime 3 delle 5 prove a 44000 rpm (corrispondenti ai
valori di fz di 10, 15 e 20) e un terzo infine le restanti due prove (aventi fz 25 e 30). Le
sostituzioni sono state necessarie a causa dell’eccessiva usura rilevata sull’utensile, grazie a
periodici controlli tramite una macchina ottica.
88
LabVIEW fornisce un ambiente di programmazione di tipo grafico ad oggetti denominato
“linguaggio G”, il quale consente di realizzare programmi in forma di diagrammi a blocchi.
Mediante l’uso di LabVIEW è possibile costruire uno “strumento virtuale” che effettui
automaticamente la misura della forza. Tale strumento si presenta all’operatore come se
fosse un nuovo strumento “misuratore della risposta in frequenza”, il quale in realtà non
esiste ma è dato dall’unione di un oscilloscopio, un generatore di funzioni, un calcolatore
provvisto di interfaccia ed un programma. Si ricorda che i programmi che si possono
realizzare utilizzando il linguaggio LabVIEW sono chiamati Virtual Instrument (VI). Un VI è
composto da tre parti fondamentali:
- Pannello frontale;
- Diagramma a blocchi;
- Icona/connettore.
Figura 2-49 Esempio di schermata del pannello frontale. Mostra in bianco la forza lungo
l’asse X, in rosso quella lungo l’asse Y e in verde quella lungo l’asse Z
89
Figura 2-50 Esempio di schermata del pannello frontale. Mostra nella parte alta la forza
di taglio (composizione delle forze lungo i tre assi X, Y e Z) e nella parte bassa l’RMS
(valore quadratico medio) della forza di taglio
Le immagini nelle figure soprastanti rappresentano i dati utilizzati per l’analisi svolta sulle
forze generate durante l’esecuzione delle cave.
Grazie alla possibilità di esportare in tabelle Excel i dati acquisiti si è reso possibile
analizzare l’andamento di ogni singola prova di micro fresatura effettuata.
Fc, invece, è la somma vettoriale delle sopra citate forze: Fc = Fx2 + Fy2 .
Nei grafici proposti successivamente vengono mostrate dieci rotazioni complete da parte
dell’utensile, ogni giro è composto da due picchi i quali rappresentano la forza sviluppata
dal singolo dente durante il processo. In caso di segnale teorico i valori della coppia di
picchi dovrebbero essere equivalenti.
90
Figura 2-51 Forze in fresatura
Ft = h doc ns
Fr = Ft p 0<𝑝<1
Fc = Ft + Fr = Fx2 + Fy2
2 2
91
2.11.3.1 PROVE A 11000 RPM
FY
5
1
F [N]
-1
1
93
1933
185
277
369
461
553
645
737
829
921
1013
1105
1197
1289
1381
1473
1565
1657
1749
1841
2025
2117
2209
2301
2393
2485
2577
2669
-3
-5
ωt *°]
92
PROVA 1 (fz=15 μm)
93
PROVA 2 (fz=20 μm)
94
PROVA 3 (fz=25 μm)
95
PROVA 4 (fz=30 μm)
96
2.11.3.2 PROVE A 33000 RPM
97
PROVA 5 (fz=15 μm)
98
PROVA 6 (fz=20 μm)
99
PROVA 7 (fz=25 μm)
100
PROVA 8 (fz=30 μm)
101
PROVE A 44000 RPM
102
PROVA 10S (fz=15 μm)
103
PROVA 11S (fz=20 μm)
104
PROVA 12S (fz=25 μm)
105
PROVA 13S (fz=30 μm)
106
2.12 CONSIDERAZIONI SUI RISULTATI SPERIMENTALI
Come già detto sono state eseguite 15 prove sperimentali per disporre di un numero
abbondantemente sufficiente di dati reali per valutare gli effetti dei vari termini del modello di
Johnson-Cook, dal confronto col FEM. Delle 15 prove però 7 sono state scartate, infatti:
-Tutte le prove aventi fz pari a 10 µm (quindi 3 prove) sono state scartate in quanto affette da
effetti di scala, in particolare risentivano del fenomeno del “ploughing”, descritto nel primo
capitolo.
-Tutte le prove eseguite a 44000 RPM sono state scartate perché viziate da eccessivi fenomeni di
vibrazione (5 prove di cui una eseguita a 10 µm di fz).
Le prove valide residue sono quindi otto e sono visibili dalla tabellina sottostante:
Tali prove sono state poi ricostruite e simulate mediante il programma Deform, come verrà
spiegato nei capitoli successivi.
107
3 SIMULAZIONE AGLI ELEMENTI FINITI DELLE PROVE
Durante il taglio tra utensile e pezzo nasce una forza che può essere scomposta in tre
componenti; facendo riferimento alla figura sottostante, dove è raffigurata un’operazione
di tornitura, supponendo inoltre che le componenti della forza siano applicate all’utensile,
si ha che:
F1, componente diretta secondo la velocità di taglio;
F2, componente diretta secondo l’avanzamento e con verso opposto
(resistenza all’avanzamento);
F3, diretta radialmente (di repulsione).
108
Figura 3-1 Componenti della forza di taglio
109
in tornitura, considerando un tempo di lavorazione piccolo in cui l’utensile
lavora un breve tratto e a una debita distanza dall’asse di rotazione (figura 3-3).
angolo di spoglia frontale: è l’angolo compreso tra la faccia di taglio e la normale alla
superficie del pezzo; può essere positivo, negativo o nullo. Ha una grande influenza nella
formazione del truciolo, infatti il distacco del truciolo è dato dall’azione combinata di
tagliente e faccia di taglio. La scelta del valore di unitamente alla velocità di taglio e al
materiale lavorato determina una morfologia di truciolo differente;
angolo solido dell’utensile;
angolo di spoglia dorsale: ha lo scopo di evitare lo strisciamento del dorso dell’utensile
sul pezzo.
110
Figura 3-4 Schema di lavorazione di taglio ortogonale bidimensionale: utensile
elementare monotagliente
Come già detto il truciolo assume forme diverse in funzione delle proprietà del materiale
lavorato e dei parametri di taglio adottati (figura 3-5), si può così ottenere:
111
112
Si può anche evidenziare una terza zona di deformazione localizzata al di sotto del dorso
dell’utensile (3-6).
Quando il truciolo si forma sale lungo il petto dell’utensile. Nella zona in prossimità della
punta le pressioni sono talmente elevate da portare quasi all’incollatura del truciolo
(sticking). Appena sopra la punta le pressioni si riducono e il truciolo può scorrere (sliding):
in questa zona l’attrito segue la legge di Coulomb.
Nello schematizzare il processo di taglio ortogonale ci si avvale delle seguenti ipotesi:
il materiale ha un comportamento perfettamente omogeneo;
la profondità di taglio è costante;
la linea di taglio dell’utensile si muove mantenendosi perpendicolare alla
velocità di taglio e genera una superficie piana;
la larghezza dell’utensile è maggiore di quella del pezzo;
l’utensile ha un opportuno raggio di raccordo;
l’utensile si muove relativamente al pezzo con velocità costante;
non si genera tagliente di riporto;
la geometria dell’utensile rimane inalterata.
113
Per quanto concerne l’operazione di taglio è possibile identificare tre fasi:
1. fase d’indentazione: l’utensile viene a contatto con il pezzo;
2. fase di transitorio iniziale: il materiale inizia a fluire;
3. fase di stazionarietà: il materiale fluisce generando il truciolo in condizioni di
regime, ossia tali per cui le forze e le temperature rimangono costanti e le zone di
deformazione inalterate.
E’ importante sottolineare come questa terza fase sia caratterizzata dall’azione degli sforzi
che nascono tra utensile e materiale, per mezzo dei quali una parte del materiale stesso,
deformandosi plasticamente, si stacca sotto forma di truciolo.
114
L’utilizzo di una mesh di questo tipo può dare problemi di convergenza della soluzione a
causa dell’elevata distorsione introdotta negli elementi, però permette di simulare il taglio
in tutte le sue fasi. Inoltre utilizzando elementi sufficientemente piccoli da eliminare le
distorsioni maggiori, si ottengono risultati accurati.
E’ il tipo di mesh che verrà utilizzato nelle simulazioni del presente lavoro di tesi.
Per quanto concerne il modello euleriano, la mesh di elementi finiti definisce un volume di
controllo attraverso il quale fluisce il materiale. Questa mesh è stazionaria, quindi può
essere facilmente infittita nelle zone di maggior interesse, come ad esempio la punta
dell’utensile (figura 3-8). Con questo tipo di mesh si hanno limitate distorsioni facilitando
così la convergenza della soluzione.
115
3.2 GENERALITÀ SUL PROGRAMMA FEM DEFORMTM
Il metodo agli elementi finitI ha trovato largo uso nel settore dei processi di lavorazione per
deformazione plastica, vista soprattutto la sua versatilità nello studio delle tensioni e nelle
deformazioni introdotte dalle lavorazioni. Tale metodo è molto utilizzato anche in altri settori della
ricerca ingegneristica. Il nome deriva dal fatto che il corpo di cui si studia la deformazione viene
suddiviso in un certo numero di elementi di dimensioni finite, delimitati e interconnessi tramite
nodi; l’insieme di elementi e nodi costituisce quella che viene chiamata “mesh” del corpo.
Per quanto riguarda il metodo lagrangiano implicito, di cui è stato fornito qualche cenno in
precedenza, questo calcola la matrice di rigidezza [Ki] di ogni elemento, mettendo così in relazione
le forze applicate ai nodi dell’elemento considerato con gli spostamenti dei nodi stessi. Tutte le
matrici elementari ricavate vengono in seguito composte a formare la matrice di rigidezza
complessiva [K] del corpo, rispettando ovviamente tutte le condizioni di compatibilità degli
spostamenti dei nodi e di equilibrio.
Questo processo porta alla seguente equazione matriciale:
[K]=P
dove e Psono i vettori degli spostamenti dei nodi e delle forze esterne applicate.
Una volta note le condizioni al contorno e le forze agenti sul corpo si può risolvere l’equazione
matriciale secondo , calcolando così il vettore degli spostamenti dei nodi, dai quali è possibile
risalire alle tensioni e alle deformazioni nei vari punti del corpo.
I problemi di interesse pratico danno origine a matrici [K] di notevoli dimensioni, per cui il
computer è indispensabile per la soluzione dell’equazione e per tutti gli altri passi descritti.
Applicare il metodo FEM alle lavorazioni per deformazione plastica è difficoltoso in quanto gli
elementi delle matrici di rigidezza non sono costanti ma in funzione degli spostamenti incogniti, il
che impedisce una soluzione diretta dell’equazione matriciale. Per questo sono stati sviluppati
metodi numerici di soluzione di questi sistemi di equazioni non lineari, già disponibili sotto forma
di programmi per computer.
La non linearità di comportamento del materiale viene schematizzata con i modelli rigido-plastici o
elasto-plastici che richiedono algoritmi diversi per la soluzione del problema.
Occorre evidenziare inoltre che il metodo FEM, nonostante dia risultati validi e vicini alla realtà del
fenomeno fisico, richiede tempi di calcolo lunghi anche utilizzando computer a elevate prestazioni.
116
Figura 3-9 Schematizzazione del metodo FEM – [12]
117
Il programma, nato per la simulazione dello stampaggio, ambito dove fornisce risultati
eccellenti, si presta anche a simulare altre lavorazioni quali estrusione, tornitura e fresatura
con buoni risultati.
Attualmente le versioni disponibili presso il Dipartimento di Meccanica sono la 10 e la 11.
La versione 10 è la meno recente, ma risulta essere quella che meglio si adatta al presente
lavoro, dove si studia un modello bidimensionale di taglio ortogonale.
Di seguito vengono descritti i cinque blocchi su cui si basano le versioni bidimensionale e
tridimensionale di DEFORM, ovvero: pre-processor, simulation, post-processor,
environment, process-monitor.
3.2.1.1 PRE-PROCESSOR
Il pre-processor permette di impostare tutti i parametri iniziali necessari alla
simulazione, di creare un keyword file e di generare un database.
Si articola in cinque sezioni:
Simulation control
Material Properties
In questa sezione si inizializzano i parametri che definiscono le proprietà
plastiche, elastiche e termiche dei materiali. In particolare si può definire la
legge costitutiva di un materiale scegliendola da una libreria interna al
programma o inserendola direttamente secondo diversi modelli che
permettono di gestire la dipendenza della stessa da temperatura, deformazione
e velocità di deformazione.
118
Object
In questa sezione si definiscono tutti i dati specifici relativi agli oggetti che
intervengono nella lavorazione, quali: geometria, mesh, condizioni di lavoro
(temperatura, moto, …), vincoli. Inoltre è possibile definire la porosità, la
rigidezza e le caratteristiche elasto-plastiche degli oggetti.
La versione bidimensionale ha incorporato un sistema CAD con cui è possibile
definire direttamente la geometria degli oggetti, anche se per geometrie
complesse è consigliabile utilizzare CAD specifici e successivamente importare le
geometrie, i formati riconosciuti sono DIE-GEO e IGES.
Da questa sezione è inoltre possibile generare la mesh in modo automatico,
avvalendosi di finestre a densità mobili, impostare i criteri di remeshing
automatico, eseguire eventualmente il remeshing manuale e l’interpolazione dei
dati.
Inter object
In questa sezione vengono definiti i parametri relativi all’interazione tra gli
oggetti; per ogni coppia di oggetti si possono definire:
Database
In questa sezione si può verificare la correttezza dei parametri impostati (Check)
e di generare (Generate) un database (“problemID”.DB).
119
3.2.1.2 SIMULATION
Questo blocco rappresenta il motore di simulazione del programma: partendo dal
database generato nel pre-processor svolge i calcoli cercando una convergenza
della soluzione.
La sezione associata al blocco Simulation permette di lanciare una simulazione,
ottenerne gli output grafici, seguirne l’evolversi per mezzo di un file di messaggio
(“problemID”.MSG) e di un file di dialogo (“problemID”.LOG).
120
3.3 IL MODELLO DI JOHNSON-COOK
121
Figura 3-10 Influenza della velocità di deformazione sulla resistenza del materiale.
Resistenza
Figura 3-11 Curve sforzo di rottura-velocità di deformazione. Sono indicati gli intervalli di
velocità di deformazione in funzione di eventi fisici caratteristici – [13]
122
Nel corso degli anni sono state sviluppate diverse procedure di prova per la
caratterizzazione del comportamento dinamico dei materiali. Nel paragrafo successive
saranno descritte sinteticamente alcune di queste.
Nel corso degli anni sono state sviluppate diverse tipologie di prove per descrivere la
dipendenza delle proprietà meccaniche dei materiali dalla velocità di deformazione.
Mettere a punto una prova che consenta di determinare la dipendenza delle proprietà
meccaniche di un materiale dalla velocità di deformazione è un problema di non facile
soluzione; la dinamica dell’evento è infatti complicata , come già detto, principalmente
dalla presenza di altri due fattori quali grandi deformazioni e variazioni di temperatura. Un
solo tipo di prova generalmente non è infatti sufficiente per caratterizzare completamente
il comportamento di un materiale.
Le velocità di deformazione che caratterizzano fenomeni di interesse in campo
ingegneristico spaziano su molti ordini di grandezza (da 10−8 a 106 s−1): le macchine di prova
convenzionali (idrauliche o pneumatiche) coprono un limitato intervallo di velocità fra 0 e
10 s−1.
123
Macchine per prove di caduta di dardi permettono di condurre prove con velo- cità di
deformazione fra 10 e 103 s−1. Esistono poi macchine più sofisticate che permettono di
raggiungere velocità di deformazione maggiori (da 103 a 104 s−1), come la barra di
Hopkinson, sono in genere prerogativa di centri di ricerca o di università e quindi meno
diffuse delle precedenti.
In figura sottostante sono riassunte le principali modalità di prova a seconda della velocità
di deformazione.
124
3.3.3.1 LA PROVA DI TAYLOR
La prova di Taylor è stata sviluppata durante gli anni Trenta per valutare la
resistenza dinamica a compressione di materiali duttili e in seguito è stata usata per
la valutazione della dipendenza dalla velocità di deformazione delle proprietà
meccaniche dei materiali. La prova consiste nell’impatto di una barra cilindrica di
metallo contro una piastra d’acciaio che può ritenersi rigida se paragonata alla
barra. Le deformazioni permanenti causate dall’impatto portano a una forma finale
della barra che dipende dalla velocità d’impatto e dalle caratteristiche del materiale.
Tramite opportune ipotesi è possibile risalire in modo analitico a una formula che
permette di valutare l’influenza della velocità di deformazione.
In particolare, questa prova viene usata per studiare gli effetti della compressione
sui meccanismi di frattura e sui modi di rottura, poiché la barra è principalmente
soggetta a sforzi di compressione durante il processo di impatto.
La prova di Taylor rappresenta un modo economico per ottenere alte velocità di
deformazione (fino a 102 s−1) ed è molto diffusa anche per la semplicità di
esecuzione. Per condurre una prova di Taylor sono necessari solo l’attrezzatura per
il lancio della barra e gli strumenti che permettono di misurare la sua deformazione
con elevata accuratezza.
125
3.3.3.3 PROVE CON ELEVATISSIME VELOCITÀ DI DEFORMAZIONE
126
3.3.4 LEGAME COSTITUTIVO
127
Dove:
-ςeq è lo sforzo equivalente di Von Mises;
-A è il limite elastico del materiale per velocità di deformazione prossime a zero;
-B e n sono parametri che caratterizzano il campo plastico e l’incrudimento del materiale;
-εp è la deformazione plastica equivalente;
-C è un parametro che caratterizza la dipendenza dalla velocità di deformazione;
-ε˙p è la velocità di deformazione plastica equivalente;
-ε˙0 è una velocità di deformazione di riferimento (ε˙0 = 1 s−1);
-T è la temperatura del materiale;
-TR è la temperatura di riferimento;
-TM è la temperatura di fusione del materiale;
-m è un parametro caratteristico del materiale.
Come già detto, viene assunta l’ipotesi di adiabaticità, cosa verificata se il calore generato
dal lavoro plastico in una regione ristretta non ha il tempo sufficiente per propagare nel
materiale circostante.
L’incremento di temperatura ∆T dovuto al lavoro plastico che si trasforma in calore può
così essere calcolato:
Dove:
- ς e dεpl rappresentano lo sforzo e la deformazione plastica;
-ρ la densità del materiale; cv il calore specifico;
-χ la percentuale di lavoro plastico che si trasforma in calore (tipicamente si assume χ =
0.9).
Nella figura sotto sono riportati i valori delle costanti del modello, della densità e del calore
specifico per alcuni materiali.
La legge di Johnson-Cook si dice di tipo moltiplicativo: la curva sforzo-deformazione è
infatti ottenuta in prove statiche viene amplificata per effetto della velocità di
deformazione e della variazione di temperatura.
128
Questo modello tiene conto dell’incrudimento dovuto alla velocità di deformazione e del
softening termico in forma indipendente.
Il primo dei tre termini del modello rappresenta il legame sforzo-deformazione a
temperature ambiente, T ≈ 293 K (20°C), e per ε˙0 = 1 s−1. Il secondo termine rappresenta gli
effetti dell’incrudimento dinamico (strain-rate hardening).
Il terzo termine invece tiene conto della dipendenza dalla temperatura. In particolare si
noti che, quando T = TM , il materiale ha raggiunto la fusione e la sua rigidezza si è
notevolmente degradata e in tal caso il modello restituisce ςeq = 0.
129
Il parametro A, che equivale allo sforzo di snervamento per basse velocità di deformazione,
si può ricavare dalla curva sforzo deformazione in condizioni quasi-statiche (punto 1 di
figura 3-14).
Per ottenere i parametri B e n, si fa riferimento alla curva sforzo equivalente-deformazione
plastica equivalente:
Si deve considerare soltanto la parte plastica della curva, eliminando i dati corrispondenti al
campo elastico (ε < εy , dove εy è la deformazione di snervamento).
I dati così ottenuti e relativi al tratto plastico, ς −ςy (dove ςy è lo sforzo di snervamento),
dovranno essere riportati in un grafico doppio logaritmico. In tale grafico il parametro B è il
valore di ς − ςy in corrispondenza di εp = 1 mentre n rappresenta la pendenza della curva.
Figura 3-14 Individuazione dei punti caratteristici per la calibrazione del modello
Il parametro C è relativo alla velocità di deformazione, ed è determinato sulla base delle tre
curve precedentemente descritte a temperatura ambiente, TR. La curva di sforzo in
funzione della velocità di deformazione su scala logaritmica, è tracciata a partire dal valore
di deformazione equivalente per il quale si evidenzia l’insorgere dell’incrudimento
cinematico ovvero il punto 2 di figura 2.4 (per i materiali riportati in [14] , OFHC COPPER e
ARMCO IRON, si ha [14]: εeq = 0.2). Il parametro C rappresenta la pendenza di questa
curva.
130
Il parametro relativo alla temperatura, m, è dedotto attraverso un semplice calcolo:
dove C4 è una costante caratteristica del modello che dipende dal tipo di materiale.
Gli stessi Rule e Jones hanno proposto semplici procedure numeriche per la
determinazione dei tre parametri aggiuntivi [15]. Nella figura 3-15 sono riportati i
valori che assumono le costanti caratteristiche del modello di Johnson-Cook
modificato, per alcuni materiali.
132
Figura 3-15 Parametri per il modello modificato da Rule e Jones -[15]
133
3.4 INTRODUZIONE AI CRITERI DI DANNO
134
La predizione della frattura duttile per un dato materiale in funzione delle condizioni cui è
sottoposto (velocità di deformazione, stato di sforzo e di deformazione), costituisce uno degli
argomenti di studio più delicati. Si possono individuare due grossi campi di indagine: lo studio dei
criteri di frattura e l’analisi della meccanica della frattura.
Il criterio di frattura è un modello matematico tramite il quale si definisce una grandezza indice del
danneggiamento e il valore critico di questa grandezza, considerata come una costante del
materiale, oltre il quale si ha la rottura del materiale. La formulazione di questo modello nasce
dall’ipotesi di materiale integro, omogeneo e con un legame sforzo-deformazione invariabile
durante la propagazione della frattura. E’ necessario utilizzare un criterio in grado di considerare le
deformazioni di uno stato di sforzo in generale non piano, i dati relativi alle caratteristiche del
materiale, l’attrito, la temperatura, la velocità di deformazione e di prevedere l’istante in cui inizia
a propagarsi la cricca.
Nella meccanica della frattura il problema della propagazione della frattura è affrontato in
maniera più sofisticata e realistica, eliminando la restrizione che il legame sforzo-deformazione
non possa variare durante l’avanzamento della cricca e considerando il difetto come un fattore
intrinseco del materiale.
Per stabilire che approccio e che modello utilizzare si sono seguite le seguenti condizioni: il criterio
deve prevedere differenti tipi di cricche e deve essere implementabile in un modello FEM
commerciale. Si sono esclusi i modelli con legge costitutiva del materiale variabile perché
complessi e difficilmente traducibili in algoritmi di calcolo.
Il criterio di danno utilizzato è stato scelto basandosi sulle esperienze fatte da studi precedenti (in
particolare lo studio del Professor Umbrello [18]), che hanno individuato nel criterio di Brozzo
quello che, oltre a fornire buoni risultati, rimane fedele alle condizioni fisiche del processo di
taglio, per il materiale in questione.
Esistono comunque altri criteri di danno che prendono come grandezza indice del
danneggiamento altri parametri come ad esempio lo sforzo medio o lo sforzo di taglio.
135
3.4.1 CRITERI DI DANNO TRADIZIONALI
Nelle simulazioni la scelta del criterio di danno del materiale risulta chiaramente decisiva al
fine di ottenere buoni risultati.
I modelli studiati possono essere classificati in macroscopici e microscopici a seconda che
indaghino o meno i fenomeni microstrutturali che governano la propagazione di una cricca,
punto di partenza per la frattura del materiale.
Tra i modelli microscopici, che partono dall’ipotesi dell’esistenza di imperfezioni nel
materiale, quali inclusioni e vuoti, si ricordano i criteri di McClintock, Rice e Tracey e Ghosh.
Tra i modelli macroscopici che divesamente partono dall’ipotesi che il materiale sia integro
e omogeneo, si ricordano i criteri di: Freudenthal, Cockroft e Latham, Brozzo, Le Maitre, e il
Criterio Della Deformazione Effettiva.
136
3.4.1.2 CRITERIO DI MCCLINTOK (MCCLINTOK, 1968)
Il criterio di McClintock si basa sull’assunzione che la rottura del materiale sia
caratterizzata dalla presenza di vuoti cilindrici che sottoposti a un certo stato di
sforzo crescono nella direzione di taglio. Il cedimento si verifica quando si ha
coalescenza dei vuoti.
Il modello può essere espresso secondo la seguente equazione:
31 n a b
a b
f
2
K sinh d
0
31 n
2
con
4 l
K k ln 0
3 a0
137
Per calcolare la deformazione effettiva infatti è sufficiente applicare la seguente
formula:
3
2 2
1 22 32
t1
rottura dt
t0
138
Evidenze sperimentali mostrano che per trucioli segmentati la rottura avviene nella
zona di scorrimento primaria (si veda la figra 3-18): durante la compressione del
materiale sul petto dell’utensile si ha un aumento dello sforzo di taglio, poco prima
del valore massimo si ha una fase di divisione lungo una spaccatura. In tale fase lo
sforzo di taglio diminuisce fino a raggiungere un minimo e si ha la formazione
dell’elemento.
Lo sforzo di taglio non si annulla perché è già in atto la formazione del nuovo
elemento.
Per questi motivi si è deciso di prendere come grandezza indice del pericolo la max
per implementare un nuovo criterio di danno.
L’assunzione base del criterio della max è che la rottura del materiale avvenga nella
zona di scorrimento primaria a causa dello sforzo di taglio. Il cedimento si verifica
nell’istante in cui lo sforzo di taglio massimo supera il valore critico lim.
Nel caso delle lavorazioni per asportazione di truciolo siamo in presenza di uno
stato di sforzo triassiale, come si può vedere dalla figura sottostante. Tuttavia
riferendosi come ipotesi a un modello bidimensionale (x, y) e considerando lo sforzo
lungo la direzione z una sollecitazione principale, si ha che, per il cubetto
rappresentato in figura 3-19, le componenti zx e zy sono nulle.
139
Note x, y, z, zx si devono determinare le altre due sollecitazioni principali e le
loro direzioni. La soluzione la si ottiene risolvendo un’equazione di secondo grado,
essendo già noto che II =z.
σ x σ P τ yx 0
τ xy σ y σ P 0
0 0 σ z σ P
si ha quindi che:
2
σ σ
σ σ x
σ
x y
y
τ2 ;
I,III 2 4 yx
.
II z
Note le tre principali si rappresenta lo stato di sforzo sul piano di Mohr e si calcola
la sollecitazione massima di scorrimento applicando la relativa formula:
σ σ
τ III I
MAX 2
140
Si noti che questo criterio a differenza di altri non considera la storia di
deformazione del materiale che precede la rottura, infatti la grandezza indice del
pericolo non è calcolata come integrale ma come valore puntuale delle
sollecitazioni di taglio. Questa limitazione non preclude uno studio accurato del
fenomeno, permettendo alla rottura di manifestarsi in modo regolare.
141
3.4.1.5 CRITERIO DI BROZZO
Il criterio di Brozzo è stato sviluppato per predire l’effetto dello sforzo idrostatico
sulla segmentazione del truciolo durante il taglio ortogonale. L’equazione di tale
criterio è la seguente:
𝜀𝑓
2𝜎1/3(𝜎1 − 𝜎𝑚) 𝑑𝜀
0
142
3.5 SIMULAZIONI DELLE PROVE SPERIMENTALI
In questo paragrafo viene illustrato come sono state impostate le simulazioni. Come già anticipato,
le simulazioni sono state ridotte a casi bidimensionali in stato piano di deformazione (plain strain)
e con materiale in lavorazione di tipo plastico per semplificare e ridurre l’onere computazionale in
termini di carico e tempo per il calcolatore.
Successivamente, come si vedrà nel dettaglio nel prossimo capitolo, è stato eseguito un confronto
tra i massimi delle forze di taglio misurate sperimentalmente per le otto prove valide e i massimi
predetti dal programma FEM Deform.
La forza di taglio nel caso reale (e quindi tridimensionale) è rappresentata nella figura sottostante.
Il valore nominale del diametro della fresa è di 0.8 mm, mentre nella realtà misurato
sperimentalmente mediante una macchina ottica a controllo numerico, è risultato essere di 0,78
mm, valore sul quale sono state impostate le simulazioni.
A causa della geometria dell’utensile, la componente della forza in direzione z risulta essere nulla.
Quindi la forza che si andrà a confrontare con quella predetta del FEM si calcola come segue, dai
dati sperimentali che sono le componenti della forza in direzione x e y.
𝐹𝑐 = 𝐹𝑡 2 + 𝐹𝑟 2 = 𝐹𝑥 2 + 𝐹𝑦 2 sperimentale
143
Il problema è stato ricondotto a un caso bidimensionale con materiale plastico; la componente in
direzione y restituita dal FEM risulta essere di entità trascurabile qualora considerata per la
determinazione della forza di taglio. Quest’ultima grandezza ottenuta dal FEM, è quindi
coincidente con la forza Fx come riportato nella figura sottostante.
3.5.1 GENERALITÀ
Come già anticipato le varie prove sperimentali sono state ricondotte ad un modello di
taglio ortogonale.
Durante una lavorazione con una fresa a due taglienti, la sezione del truciolo varia da un
valore inizialmente nullo (quando il dente in questione non è ancora entrato in presa) fino
a uno massimo per poi decrescere nuovamente fino a zero(il dente in questione esce dalla
presa e entra l’altro). Ad un ben determinato angolo di rotazione dell’utensile corrisponde
un certo un certo valore di spessore, come si può vedere dalla figura 3-23.
L’idea adottata per ricondurre questo tipo di problema a un problema di taglio ortogonale
è quella di associare ad ogni valore di spessore del truciolo il corrispondente valore di
posizione del tagliente in questione in termini di ascissa curvilinea. Si va cioè a sviluppare
longitudinalmente lo spessore del truciolo, ottenendo un profilo. Per semplicità, nella
modellizzazione al FEM tale profilo verrà conferito al materiale in lavorazione (cioè al
pezzo), mentre all’utensile verrà posto un movimento longitudinale di avanzamento in
direzione x con velocità pari alla quella periferica dell’utensile reale.
144
Figura 3-23 Utensile in lavorazione
E:
𝑅𝑃𝑀 360
𝜔= [deg]
60
145
Dove, con riferimento alla figura sopra:
h=spessore del truciolo
r=raggio fresa
fz=avanzamento dente al giro
ωt=angolo di rotazione della fresa
Si ottiene quindi per ognuna delle otto prove sperimentali ricostruite una tabella come la
seguente:
Ascissa Spessore
curvilinea truciolo
[mm] [mm]
0,0000 0,0005
0,0136 0,0012
0,0272 0,0019
. .
. .
. .
1,1844 0,0026
1,1980 0,0019
1,2116 0,0012
1,2252 0,0005
146
Molto importante è sottolineare che all’inizio de profilo sono stati scartati tutti i valori di
spessore del truciolo inferiori a 5 µm per evitare complicazioni computazionali nelle
simulazioni, dovute a difficoltà del FEM a iniziare il taglio. Come già anticipato più volte in
precedenza, tale problema si presenta anche nella realtà qualora si adoperino bassi
avanzamenti, generando un fenomeno noto come effetto ploughing, che causa una
ricalcatura del materiale con un notevole ritorno elastico anziché un taglio.
L’utensile è stato invece disegnato con un angolo di spoglia superiore nullo (come indicato
dal catalogo) e con un raggio di punta di 5 µm , come nella figura sottostante.
147
3.5.2 IMPOSTAZIONE DEI PARAMETRI DELLE PROVE FEM
Il tempo per ogni step è stato impostato a diversi valori a seconda della velocità di
rotazione del mandrino della prova che si voleva riprodurre.
148
Tale valore può essere calcolato dividendo la lunghezza dell’elemento più piccolo
della mesh del pezzo per la velocità di avanzamento imposta all’utensile in direzione
x (pari alla velocità angolare per il raggio della fresa):
𝑅𝑃𝑀
𝑣𝑒𝑙𝑜𝑐𝑖𝑡à 𝑢𝑡𝑒𝑛𝑠𝑖𝑙𝑒 = 2𝜋 𝑟
60
𝑑𝑖𝑚𝑒𝑛𝑠𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑒𝑙𝑒𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑚𝑒𝑠 𝑝𝑖 ù 𝑝𝑖𝑐𝑐𝑜𝑙𝑜
𝑡𝑒𝑚𝑝𝑜 𝑝𝑒𝑟 𝑠𝑡𝑒𝑝 ≈ 𝑣𝑒𝑙𝑜𝑐𝑖𝑡 à 𝑢𝑡𝑒𝑛𝑠𝑖𝑙𝑒
In questo modo l’utensile che si muove in x direzione x, in uno step percorrerà circa
la distanza corrispondente all’elemento di mesh, consentendoci di avere calcoli
accurati e in accordo con la mesh generata.
Delle otto prove sperimentali riprodotte, quattro sono state eseguite a 11000 rpm
mentre le rimanenti a 33000 rpm. Come si vedrà, in entrambi i casi la mesh nel
pezzo è stata generata in maniera tale da essere più fitta nella zona prossima
all’utensile, laddove cioè interessa avere risultati più accurati. L’elemento di mesh
risultava quindi avere delle dimensioni dell’ordine di grandezza di 1 µm.
Figura 3-29 Dimensione degli elementi nella zona avente mesh più fitta e fine
149
3.5.2.2 MATERIAL
I materiali caricati dalla base dati di Deform sono il carburo di tungsteno (WC) per
l’utensile e l’AISI 52100 (100Cr6 nella nomenclatura americana) per il pezzo.
150
generalmente si ottiene sperimentalmente in casi di lavorazioni convenzionali.
Di seguito sono riportati i valori delle costanti dopo l’interpolazione dei dati da
parte del programma nel modello di Johnson-Cook.
Figura 3-31 Valori delle costanti di Johnson-Cook ricavate dai dati nel programma
per l'acciaio 100Cr6
3.5.2.3 MESH
UTENSILE
Per quanto riguarda l’utensile è stata eseguita una mesh unica avente 1300
elementi.
151
Con riferimento alla figura 3-32 sono state assegnate le condizioni al contorno di
scambio termico (il contorno rosso) e di temperatura costante a 20°C (il contorno
nero). La velocità di avanzamento dell’utensile in direzione x per le differenti prove
è stata impostata pari alla velocità periferica della fresa reale, cioè come segue nei
due casi:
𝑅𝑃𝑀
1) Prove a 11000 RPM 𝑣𝑒𝑙𝑜𝑐𝑖𝑡à 𝑢𝑡𝑒𝑛𝑠𝑖𝑙𝑒 = 2π r ≈ 449 mm/s (PROVA1,
60
𝑅𝑃𝑀
2) Prove a 11000 RPM 𝑣𝑒𝑙𝑜𝑐𝑖𝑡à 𝑢𝑡𝑒𝑛𝑠𝑖𝑙𝑒 = 2π r ≈ 1347 mm/s (PROVA5,
60
PEZZO
Per quanto riguarda il pezzo invece è stata generata una mesh di circa 7500
elementi, avvalendosi dell’opzione “mesh windows”. Con questa opzione è possibile
avere una mesh non uniforme, decidendo in quali zone averla più o meno fitta. In
questo lavoro interessava avere calcoli più precisi (e quindi una mesh più fitta) nella
zona del pezzo prossima all’utensile quindi le mesh windows sono state impostate
come nella figura sottostante.
152
Come si può vedere, è stata creata una prima finestra avente mesh fitta di
dimensione 0,001, contenuta in un'altra più esterna da 0,01 in modo da avere
calcoli più precisi (che si accompagnano a un onere computazionale maggiore) solo
dove necessario e utile.
Con riferimento alla figura 3-34 e 3-35, le condizioni al contorno assegnate per il
pezzo riguardavano il vincolamento dello stesso (per impedirne la traslazione nelle
direzioni x e y) e la superficie libera di avere scambio termico (quella rossa) e a
temperatura costante (quella nera).
153
Figura 3-36 Impostazione del criterio di danno di Brozzo
154
Inoltre è necessario fornire un valore di attrito esistente tra utensile e pezzo. Dagli
studi di Umbrello tale parametro è stato impostato come attrito di tipo shear e
fissato a 0,5 , valore comunque verosimile e riscontrabile anche in letteratura.
Bisogna assegnare anche un valore di attrito tra pezzo e pezzo, che entra in gioco
quando il truciolo, piegandosi, si scontra sulla superficie del pezzo che ancora non è
stata lavorata. Tale valore è stato impostato a 0,1 ma non ha comunque alcuna
influenza sulle grandezze di interesse di questo studio.
Una volta impostato tutto questo è stato possibile generare il file di base di dati e
far partire le simulazione dalla schermata principale del programma.
155
4 ANALISI DEI RISULTATI COMPUTAZIONALI E CONFRONTI
In questo capitolo verranno riassunti i risultati ottenuti dalle misure sperimentali e computazionali
delle forze di lavorazione. Le prime sono già state illustrate nel capitolo precedente.
Verranno inoltre eseguiti i confronti tra i valori massimi del segnale di forza rilevato dal sistema di
acquisizione e quelli predetti dal programma FEM relativamente a un dente dell’utensile.
Le forze predette da Deform per una singola prova risultavano avere un andamento come quello
riportato in figura 4-1.
Figura 4-1 Esempio di andamento della forza di taglio predetta dal software FEM per mezzo giro
di lavorazione. Il grafico è relativo alla prova5
Il massimo di forza si ha quando l’utensile si trova in corrispondenza del massimo spessore del
truciolo, ovvero in corrispondenza del punto intermedio della lunghezza del pezzo (figura 4-2).
Figura 4-2 Punto nella simulazione della prova5 avente il massimo spessore del truciolo
156
Come si è visto in precedenza, tale comportamento si riscontra anche nel caso sperimentale,
ovvero su un singolo mezzo giro di utensile (equivalente cioè al semiperiodo in cui lavora un
dente), il massimo di forza lo si ha quando è massimo lo spessore del truciolo, cioè quando
l’angolo ωt in figura 4-3 raggiunge il valore di 90°.
Figura 4-4 Esempio di andamento della forza di taglio misurata sperimentalmente per
mezzo giro di lavorazione. Il grafico è relativo alla prova5
L’andamento delle forze previsto da Deform è in accordo con i dati sperimentali individuando
157
correttamente la posizione del punto di massimo. Osservando i risultati computazionali si nota
come questi presentano un segnale frastagliato, caratterizzato da valli più profonde del caso reale.
Tale effetto è da imputarsi al criterio di danno essendo quest’ultimo impostato sulla base di studi
calibrati per prove macro. Il segnale di forza crolla a valori molto bassi ogni qual volta il criterio di
danno raggiunge il valore critico, ovvero quando avviene la segmentazione del truciolo. Questo
indica che per il materiale in questione tale criterio dovrà essere ricalibrato per l’ambito micro.
Con riferimento alla figura 4-5, si vede che i risultati sperimentali evidenziano, come atteso, che a
pari velocità di rotazione del mandrino la forza di taglio tende ad aumentare all’aumentare
dell’avanzamento al dente giro fz.
A parità di fz si è visto anche che tale forza aumenta se aumenta la velocità di rotazione del
mandrino (che passa da 11000 rpm a 33000 rpm, figura 4-5). Quest’ultimo effetto è
probabilmente dato da una forte tendenza del materiale 100Cr6 all’incrudimento dovuto appunto
alla velocità di deformazione (strain rate hardening).
Figura 4-5 Forze sperimentali per le otto prove indagate. In verde le prove a 11000 rpm, mentre
in viola quelle a 33000 rpm
158
4.2 CONFRONTO TRA I MASSIMI DI FORZA
Infine è stato eseguito il confronto tra i massimi di forza FEM e quelli sperimentali per le prove
indagate, (figura 4-6).
Come appare evidente dal grafico, il software FEM sottostima le forze di lavorazione da 3 a 10
volte rispetto ai valori sperimentali. Questo può essere ricondotto all’effetto di scala, che si ha nel
passaggio tra il mondo macro e quello micro. Infatti le simulazioni sono state eseguite utilizzando
leggi e parametri calibrati con prove condotte a livello macroscopico.
Ciò nonostante da un punto di vista qualitativo anche il FEM evidenzia le stesse tendenze
evidenziate nell’analisi sperimentale. Infatti all’aumentare dell’avanzamento al dente al giro (fz) le
forze aumentano, così come fissato un valore di fz le forze aumentano all’aumentare della velocità
di taglio.
159
5 CONCLUSIONI
Alla fine del presente lavoro di tesi è stato possibile concludere che per quanto riguarda la micro
foratura è difficile determinare una correlazione tra la misura dei diametri dei fori e la tendenza
alla formazione di bava con l’avanzamento della lavorazione effettuata dall’utensile (e quindi
dell’usura subita dall’utensile).
Per quanto riguarda la microfresatura i risultati sperimentali hanno evidenziato che, come era
lecito attendersi, la forza di taglio tende ad aumentare all’aumentare dell’avanzamento al dente
giro (fz), ma tende anche ad aumentare all’aumentare della velocità di, parametro correlato alla
velocità di deformazione della lavorazione. Quest’ultimo effetto è probabilmente dato da una
forte tendenza del materiale 100Cr6 all’incrudimento dovuto appunto alla velocità di
deformazione (strain rate hardening).
Le prove eseguite su questo materiale aventi velocità del mandrino pari a 44000 rpm sono
risultate affette da vibrazioni, mentre quelle caratterizzate da un avanzamento al dente giro fz pari
a 10 μm manifestavano il fenomeno del ploughing.
Infine Il confronto dei risultati sperimentali con quelli FEM ha evidenziato che la legge di flusso per
il materiale 100Cr6, che fornisce buoni risultati nell’ambito macroscopico, non funziona altrettanto
bene nel mondo micro. Infatti l’utilizzo di tale legge porta ad una sottostima delle forze di
lavorazione, da 3 a 10 volte rispetto a quelle reali, a causa degli effetti di scala, sebbene da un
punto di vista qualitativo anche il FEM è in grado di mostrare lo stesso andamento delle forze
riscontrato nell’analisi sperimentale.
In conclusione si può affermare che per un accurata analisi FEM dei processi di taglio in scala
micrometrica, è necessario ricalibrare la legge di flusso in campo plastico (oltre che altri parametri,
come ad esempio il criterio di danno) per il materiale in questione.
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6 BIBLIOGRAFIA
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