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TOPOI
a cura di
Antonella Cancellier
Luisa A. Messina Fajardo
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Mathilde Anquetil, Mario Benvenuto, Antonella Cancellier
Mariarosaria Colucciello, Armando Francesconi, Giuseppe Grilli
Yannick Hamon, Magdalena Jiménez Naharro, Giuliano Lancioni
Mariadomenica Lo Nostro, Carmen Merchán
Luisa Allesita Messina Fajardo, Daniela Natale,
Roberta Pederzoli, Carmen Saggiomo, Laura Santone
Copyright © MMXVI
Aracne editrice int.le S.r.l.
www.aracneeditrice.it
info@aracneeditrice.it
----
Parte I
Lo studio delle lingue straniere nelle Facoltà /
Corsi di Studio / Dipartimenti di Scienze Politiche
Indice
Parte II
Caratteristiche del linguaggio politico. I linguaggi settoriali
Parte III
Lingua e cultura
Presentazione. Il primo convegno
ampio respiro, quello che hanno rappresentato per Padova quei qua-
ranta studenti stranieri”, effigiati nell’aula che custodisce la cattedra
di Galileo Galilei, “che trasmisero nei loro paesi esperienze e saperi
acquisiti [all’] Università di Padova che esiste senza interruzione dal
”.
Roberta Pederzoli e Yannick Hamon (Università di Bologna) com-
piono una disamina dettagliata sulla situazione dell’insegnamento/
apprendimento della lingua francese presso la Scuola di Scienze Poli-
tiche (sede di Forlì) dell’Università di Bologna, e tracciano un’analisi
approfondita di natura teorico–didattica. Tra gli obiettivi segnalati al-
l’interno del percorso didattico–istituzionale emerge quello di formare
gli studenti nella prospettiva di un eventuale soggiorno universitario in
un paese francofono; motivo per cui le competenze insegnate procedo-
no in modo trasversale rispetto alle varie discipline. Questo approccio,
secondo Pederzoli e Hamon, permette agli studenti di sviluppare da
un lato le abilità necessarie per destreggiarsi nell’ambiente accademi-
co francofono, dall’altro di seguire in piena autonomia corsi in lingua
francese, e leggere testi specialistici, redigere tesine e tesi ecc. Nel
contributo gli autori mettono in risalto l’importanza di questa modali-
tà di apprendimento, tenuto conto dell’alto numero di studenti che
optano per soggiorni Erasmus in Francia. Viene inoltre segnalato il
carattere di multi/interdisciplinarità che contraddistingue i corsi di
Laurea Triennale e Magistrale in Scienze Internazionali e Diplomati-
che a Forlì, che mirano a sbocchi lavorativi nell’ambito di istituzioni
pubbliche e private così come presso organizzazioni internazionali.
Carmen Saggiomo (Seconda Università degli Studi di Napoli) nel
suo saggio studia la lingua francese in rapporto con la storia e le
istituzioni politiche. Saggiomo sostiene che lo studio delle lingue in
una Facoltà di Scienze Politiche deve andare oltre la didattica delle
regole grammaticali. È necessario tener conto del nesso esistente “da
un lato fra lingua e cultura e, dall’altro fra modelli culturali e modelli
istituzionali”. Lo studente di Scienze politiche deve riuscire a acquisire
delle competenze specifiche riguardo le istituzioni culturali e politiche
dei Paesi di studio, e afferma, inoltre, che per quanto concerne la
lingua e la cultura francesi è importante lo studio di quattro aspetti: la
storia della lingua come istituzione, in relazione con la storia politica;
lo studio dei generi retorici e registri stilistici della lingua e della
cultura francesi; una specifica pratica giurilinguistica nel contesto
Presentazione. Il primo convegno
Premessa. Gli inizi del progetto
Antonella Cancellier
II. Una grande parte delle note che ho steso risalgono a una mia
relazione in un convegno a Padova (fine ottobre ), sull’internazio-
nalizzazione nelle facoltà o istituti di Scienze Politiche in Europa . Ero
stata incaricata da Antonio Varsori, che lo aveva organizzato (in quel
momento direttore del Dipartimento di Studi Internazionali e ora,
con la scomparsa delle facoltà, direttore del Dipartimento di Scienze
Politiche, Giuridiche e Studi Internazionali), a rendere conto della
situazione delle lingue nella Facoltà di Scienze Politiche di Padova, in
quanto delegata del preside, Gianni Riccamboni, per questo ambito.
Alcuni dati permettono oggi confronti significativi.
L’attualità di allora — e sono passati ora esattamente due anni e mez-
zo (Padova, –– ottobre — Roma, – maggio ) — era la
seguente: la Facoltà di Scienze Politiche contava, per la lingua inglese,
un professore associato, Maria Teresa Musacchio e un ricercatore con
affidamento, Francesca Helm. L’insegnamento dell’inglese, per il suo
numero consistente di studenti, si avvaleva anche di numerosi docen-
. “The Faculties/Institutes of Political Sciences in Europe: Experiences from the Past,
Present Realities and Perspectives for the Future”, International Conference, Padua ––
October , Palazzo del Bo. Gli interventi non sono stati pubblicati. Cito letteralmente
dal testo letto.
Antonella Cancellier
I linguisti della Facoltà, che per primi, per la loro formazione, sono soste-
nuti da uno spirito internazionale, profondono tutti un grande impegno
nella didattica e nelle attività ad essa correlate: sono curatori di progetti
primo fra tutti l’Erasmus, responsabili di soggiorni di studio all’estero
attraverso accordi con università straniere e relativo riconoscimento del-
l’attività formativa , promotori di seminari, giornate di studio, convegni
internazionali. Per quanto riguarda la ricerca scientifica, sono spicca-
tamente presenti nel panorama nazionale e internazionale dei propri
ambiti disciplinari. Gli insegnamenti linguistici si avvalgono inoltre —
dicevo — della preziosa e imprescindibile collaborazione di CEL (Col-
laboratori ed Esperti Linguistici) di madre lingua. Con l’ordinamento
DM, la lingua inglese, obbligatoria in tutti i corsi di laurea triennale e
magistrale e la cui importanza è universalmente conosciuta, ha avuto,
in molti casi, un potenziamento di crediti e di ore di lezione rispetto
al trascorso ordinamento DM. In opposizione invece alle linee eu-
ropee che prevedono la conoscenza di almeno due lingue straniere e
in netto contrasto — e mi si permetta questa amara riflessione — con
la vocazione lungimirante di una facoltà aperta al mondo che ambisce
a muoversi agevolmente, e culturalmente in modo adeguato nello spa-
zio europeo e non solo, da alcuni corsi di laurea — al contrario — le
. Si aggiunga nel l’istituzione del Corso di aggiornamento professionale in Studi
Latinoamericani per l’a.a. – (e dall’a.a. –: Corso di aggiornamento professionale
in Studi Latinoamericani e dei Caraibi) presso il Dipartimento di Studi internazionali,
Facoltà di Scienze Politiche (e successivamente presso il Dipartimento di Scienze Politiche,
Giuridiche e Studi Internazionali). Direttore: Antonella Cancellier. Collegio docenti (tratto
dal pieghevole aggiornato all’a.a. –): Filiberto Agostini (Università di Padova), Luis
Fernando Beneduzi (Università Ca’ Foscari–Venezia), Adone Brandalise (Università di
Padova), Antonella Cancellier (Università di Padova), Annibale Cetrangolo (Università Ca’
Foscari–Venezia e IMLA), Paolo De Stefani (Università di Padova), Rodrigo Díaz (Festival
del Cinema Latinoamericano di Trieste e APCLAI), Sergio Gerotto (Università di Padova),
Francisco Leita (Università di Padova), Giulio Mattiazzi (Università di Padova), Gabriele
Orcalli (Università di Padova), Fiorenza Peruzzo (Università di Padova), Valentino Piazza
(ProgettoMondo —- MLAL), Gianpaolo Romanato (Università di Padova), Marina Schenkel
(Università di Udine), Roberto Vecchi (Università di Bologna), Valter Zanin (Università
di Padova). Altri docenti esterni ed esperti italiani e stranieri provenienti da istituzioni
accademiche, diplomatiche e culturali, centri di ricerca, imprese, terzo settore nonché da
testimoni diretti della realtà latinoamericana e dei Caraibi completano l’offerta formativa
con lezioni e seminari.
. Per l’a.a. –, tuttavia, in luogo del ricercatore di Lingua spagnola Alessia
Cassani, è Matteo De Beni, vincitore poi di un posto di ricercatore presso l’Ateneo di
Verona (ottobre ), a svolgere l’attività docente come professore a contratto di Lingua
spagnola nello sdoppiamento del corso della triennale.
Le lingue straniere nella Facoltà di Scienze Politiche di Padova [. . . ]
. Nelle more della presente pubblicazione sono lieta di dare notizia che l’Ufficio Era-
smus del Dipartimento è nuovamente operativo dalla fine di novembre . Responsabile
amministrativa, la dott.ssa Sabrina Schiavon, e due responsabili accademiche, Elena Calan-
dri e Claudia Padovani, quest’ultima dimissionaria a maggio . Si auspica fermamente
che i criteri di selezione adottati nel bando , stravolti arbitrariamente senza alcuna
approvazione del consiglio di Dipartimento, vengano ripensati collegialmente su tanti
fronti e in particolare tornino a considerare, con il punteggio adeguato, le valutazioni degli
esami delle lingue straniere sostenuti nei corsi ufficiali universitari.
Antonella Cancellier
Sull’uso della lingua inglese nei corsi universitari, una accesa pole-
mica — e con levata di scudi di intellettuali e linguisti autorevoli (primi
fra tutti, Luca Serianni e Tullio de Mauro), occupa intensamente i
giornali di questi giorni del convegno, ma questa è un’altra storia. . .
Una storia su cui è necessario riflettere molto. A questo proposito
cito solo tre articoli a caso tra i vari che si trovano anche in internet:
Inutile e dannoso l’inglese obbligatorio al Politecnico. Questa la posizione del
preside della Scuola di Architettura e società, Pier Carlo Palermo di Federica
Cavadini (“Il Corriere”, aprile ), L’inglese, giammai. No pasará! di
Goffredo Pistelli (“ItaliaOggi”, aprile ), Al Politecnico di Milano
solo lezioni in inglese dal : lo stare “al passo coi tempi” prevale sulla
difesa della nostra cultura, di Federico Cenci, pubblicato in rete il
aprile .
Individualizzazione e socializzazione
dell’insegnamento/apprendimento
della lingua francese attraverso
le nuove tecnologie
R P, Y H∗
Roberta Pederzoli, Yannick Hamon
. Contesto d’insegnamento
. Cfr. Degache http://alsic.revues.org/: tali tipologie non sono mai del tutto
soddisfacenti, essendo sempre basate su un criterio specifico (modo di svolgimento, grado
d’integrazione alla didattica frontale, ecc.). Tuttavia, esse permettono, a seconda delle
necessità, di disporre di categorie generiche di utilizzo delle TIC.
Individualizzazione e socializzazione dell’insegnamento/apprendimento [. . . ]
. Il Centro linguistico della sede di Forlì, ora confluito nel CLA (Centro Linguistico
di Ateneo).
. Online: http://alfacert.cliro.unibo.it/moodle/course/view.php?id=.
Roberta Pederzoli, Yannick Hamon
. Riflessioni e prospettive
Dal punto di vista dei risultati concreti, l’utilizzo delle nuove tecno-
logie nelle tre tipologie esemplificate si è rivelato indubbiamente
positivo, specie in relazione ai due aspetti dell’individualizzazione e
della socializzazione. In aula, le TIC permettono di gestire con più
facilità il numero elevato di studenti e di mantenere viva l’attenzione,
Roberta Pederzoli, Yannick Hamon
Bibliografia
Carmen Saggiomo
Premessa
. È interessante notare che al punto del Capitolo relativo alle «Lingue» del CIO,
la lingua francese è considerata quella prevalente in caso di divergenze fra il testo francese
e quello inglese: «. Les langues officielles du CIO sont le français et l’anglais. . À toutes
les Sessions, une interprétation simultanée doit être fournie en français, anglais, allemand,
espagnol, russe et arabe. . En cas de divergence entre le texte français et le texte anglais
de la Charte olympique et de tout autre document du CIO, le texte français fera foi sauf
disposition expresse écrite contraire».
Carmen Saggiomo
. Come è noto, in base alla Pace di Utrecht e alla Pace di Rastadt la Monarchia spagnola,
sotto il nuovo sovrano Filippo V di Borbone, vide la ripartizione dei suoi territori in
favore degli Asburgo d’Austria, i quali estesero la loro sovranità ai Paesi Bassi spagnoli, a
Milano, a Napoli, alla Sardegna e allo Stato dei Presidi; i Savoia acquisirono la Sicilia e il
titolo regio. Assorbirono, inoltre, il Monferrato, mentre il Ducato di Mantova passava a
far parte della Lombardia austriaca; l’Inghilterra acquisì Minorca e Gibilterra a spese della
Spagna e l’Acadia e Terranova a spese delle colonie francesi nell’America settentrionale;
a Federico I di Prussia venne riconosciuta la dignità regia che gli era stata conferita nel
dall’imperatore Leopoldo I; la Repubblica d’Olanda, infine, conservò integralmente i
propri possedimenti.
Carmen Saggiomo
. Basti pensare al fatto che, nel XVIII secolo, l’ambasciatore del Papa in Francia si
rivolgeva in francese al Re Luigi XV, anziché in latino come prevedeva il protocollo nel
momento in cui ci si rivolgeva a un sovrano.
. Ad esempio il Trattato di Küçük Kaynarca, firmato il luglio fra l’Impero russo
e l’Impero ottomano.
. Il Traité de Versailles fu redatto in francese e in inglese, ed entrambe le versioni
facevano ugualmente fede. Il testo aveva come titolo Conditions de paix — Conditions of
Peace. Era la prima volta dal Trattato di Rastadt che il francese non era più la sola lingua
della diplomazia occidentale. Sembra che sia stato il rappresentante francese, Georges
Clémenceau, ad accettare che l’inglese diventasse accanto al francese la lingua di lavoro
della Conferenza di pace. Clémenceau, infatti, che conosceva l’inglese (aveva sposato un’a-
mericana e soggiornato negli Stati Uniti), aveva acconsentito alla richiesta di David Lloyd
George (Gran Bretagna) e di Thomas Woodrow Wilson (Stati Uniti); anche il rappresen-
tante italiano Vittorio Emanuele Orlando era stato d’accordo. Paradossalmente, il Senato
degli Stati Uniti rifiuterà nel novembre di ratificare il Trattato di Versailles, ma l’idea
dell’uso della lingua inglese era ormai acquisita sul piano internazionale.
La lingua francese fra storia e istituzioni politiche
. Sul rapporto tra lingue e culture Hagège ha sottolineato: «Dietro la diversità infinita
delle lingue, è la diversità delle culture che affascina. Le lingue appartengono alle società
che le parlano, ed entrano a far parte della loro definizione. Per ogni cultura, qualsiasi
altra cultura è causa di stupore, che il suo esotismo risvegli interesse o susciti diffidenza.
L’innamorato delle lingue è appassionato di alterità: l’alterità delle culture attraverso quella
delle lingue» (Hagège, , p. ).
Carmen Saggiomo
pea perché la si traduca nei vari contesti linguistici. Ciò che vale per
tutte le lingue–culture connesse alle istituzioni europee e internazio-
nali, vale naturalmente per la lingua e la cultura francesi che, come
abbiamo visto, tanta parte hanno avuto nell’ambito delle relazioni
internazionali.
La questione del rapporto fra norme europee e internazionali e
culture di partenza costituisce una problematica complessa su cui oc-
corre adeguatamente riflettere per individuare prospettive e tecniche
di soluzione.
Gli accadimenti storici e politici sopra delineati sono stati decisivi per
il costituirsi della lingua francese, la quale perciò può essere presentata
nelle sue intrinseche caratteristiche formali e per il suo contributo
alle istituzioni europee e internazionali. Da questa consapevolezza
lo studente di Scienze politiche potrà acquisire alcune competenze
specifiche, degne di approfondimenti specialistici (Master di primo e
di secondo livello, corsi di perfezionamento, Dottorati, stage e tirocini
all’estero, ecc.).
Distingueremmo, in una prima approssimazione, a partire dai due
filoni già individuati, quattro direttrici: lo studio della lingua francese
in connessione con lo studio delle sue istituzioni linguistiche, culturali
e politiche, di cui abbiamo già parlato; lo studio della lingua francese
specialistica, osservata nei suoi generi retorici e nei suoi registri stili-
stici, su cui si sta svolgendo uno specifico lavoro di ricerca da parte di
alcune Università italiane, insieme con i loro Dipartimenti di Scienze
politiche ; lo sviluppo della competenza giurilinguistica; lo studio di
quel grande fenomeno in espansione, che è la Francofonia.
Insieme con l’acquisizione della conoscenza storico–culturale della
lingua francese, questa può essere studiata come lingua specialisti-
ca, investigabile nelle sue strutture morfologiche e idiomatiche, nei
suoi generi retorici (discorsi parlamentari, conferenze stampa, inter-
. Si veda l’interessante itinerario in corso presso l’Università degli Studi Roma Tre,
l’Università degli Studi di Padova, l’Università per Stranieri di Perugia.
La lingua francese fra storia e istituzioni politiche
viste, comunicati, ecc.), nei suoi registri stilistici, nelle sue variazioni
pragmatiche (linguaggio politico, linguaggio giuridico, linguaggio co-
stituzionale, campagne elettorali, dibattiti pubblici, comizi, discorsi
diplomatici, ecc.), nelle sue tecniche di auto–difesa nazionale, nelle
sue modalità di espansione culturale, nelle sue sempre più complesse
declinazioni mass–mediatiche.
Chi insegna nei Dipartimenti di Scienze politiche sa che qui si
pongono le basi per una possibile competenza giurilinguistica. Si tratta
di studiosi che sono esperti di problemi internazionali e che hanno, al
tempo stesso, una sensibilità linguistica per le materie di competenza
dell’Unione europea e una sensibilità politico-giuridica per le questioni
del Diritto internazionale. Per offrire questa competenza i linguisti
sono consapevoli della necessità che agli studenti si forniscano non
solo le conoscenze grammaticali, sintattiche e idiomatiche delle lingue
di cui si occupano, ma una precisa sensibilità per la lingua-cultura
europea e internazionale.
Questo apre la strada a una nuova competenza, quella sui rapporti
linguistici tra gli ordinamenti, cioè sulla giurilinguistica, che consiste
nella capacità di cogliere la connessione indissolubile fra problemi di
tipo politico–giuridico e problemi di tipo linguistico. Un tale approccio
interdisciplinare oggi si rivela di grande interesse, in quanto affronta
contemporaneamente il problema della crescente pluralità dei testi
normativi e quello della inevitabile pluralità delle lingue di riferimento.
Il linguista e il giurista, dovendo misurarsi sull’intero spazio globale,
sono chiamati a risolvere i propri quesiti con nuove impostazioni
e con nuovi modelli. Per affrontare questi nodi occorre non solo
la conoscenza del linguista e del giurista, ma la capacità di essere
contemporaneamente linguisti e giuristi. Emerge così la figura di
un traduttore giurilinguista che consapevolmente operi tra mondi in
connessione.
Oggi è importante anche una buona competenza nelle culture
francofone. Se il Trattato di Versailles del ha aperto la strada
all’estendersi e al potenziarsi della lingua inglese come lingua interna-
zionale, in seguito ha cominciato a svilupparsi un fenomeno culturale
specifico che diventerà un ulteriore pilastro per l’affermarsi della
lingua francese sul piano internazionale, vale a dire la Francofonia,
paradossalmente nata a opera di personalità eminenti degli stessi Stati
che si liberavano dal colonialismo francese. L’idea della francofonia
Carmen Saggiomo
. Bibliografia
B A. (), La langue du roi est le français: Essai sur la construction juridi-
que d’un principe d’unicité de langue de l’Etat royal (–), L’Harmattan,
Paris.
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linguistique sous le niveau Jacobin, in Libertés, pluralisme et droit. Une appro-
che historique (actes du colloque d’Anvers, mai ), Bruylant, Bruxelles,
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C B., (), La naissance du français, PUF, Paris.
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Ohio State University Press, Columbus.
D B J., (), La défense et illustration de la langue française. Avec une
notice biographie et un commentaire historique et critique, E. Sansot & Cie.
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ces de l’Académie des inscriptions et belles-lettres, Volume , Numéro , pp.
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H C., (), L’uomo di parole. Linguaggio e scienze umane, Traduzione
di Franco Brioschi, Giulio Einaudi editore, Torino.
?, (), Le français. Histoire d’un combat, Éditions Michel Hagège, Paris.
?, (), Le souffle de la langue, Odile Jacob, Paris.
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La lingua francese fra storia e istituzioni politiche
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L D., J T., (),La politique de Babel: du monolinguisme d’Etat au
plurilinguisme des peuples, Éditions Karthala, Paris.
M F.P.A., (), Le lingue di Francia, Carocci, Roma.
P A., (), Breve storia della lingua francese, Carocci, Roma.
Z J., (), Le droit français de la langue, entre les mythes d’une tra-
dition interventionniste et la réalité de nouvelles angoisses, EUI Working
Papers, Law n. /.
Lingue e politica
ISBN 978-88-548-9113-5
DOI 10.4399/97888548911356
pag. 69–81 (giugno 2016)
. Alla luce delle direttive e degli orientamenti Comunitari sul Multilin-
guismo nonché dell’approccio sull’apprendimento integrato di lingua e contenuti
(CLIL) e il conseguente uso di linguaggi specialistici, il nostro lavoro si propone
di analizzare la situazione reale dell’insegnamento delle lingue nella Facoltà di
Scienze Politiche dell’Università della Calabria, allo scopo di verificare l’effettivo
adeguamento del sistema universitario italiano alle auspicate attese Europee.
. In the light of both the orientations and indications given by the EU
on Multingualism, as well as the approach of Content and Language Integrated
Learning (CLIL), and the consequent use of Languages for Special Purposes, our
intent, through our work, is to analyse the real language teaching situation within
the Faculty of Political Science at the University of Calabria. The aim is to verify
the effective adaptations of the Italian university system, in the hope that they meet
the expected indications given by the European Union.
∗
. Esprimo un sentito pensiero di gratitudine alla collega Régine Laugier, scomparsa
improvvisamente lo scorso marzo , per aver abbozzato una utilissima scaletta per lo
svolgimento del presente lavoro, lavoro che avremmo dovuto effettuare insieme. Spero
vivamente di non aver tradito la Sua memoria. Si ringraziano, altresì, la dott.ssa Giuliana
Gabrieli e il dott. Pierluigi Fucilla della Facoltà di Scienze Politiche (UNICAL) per i dati
storico–statistici forniti riguardanti l’insegnamento delle lingue nella medesima Facoltà.
∗∗
. Università degli Studi della Calabria (mario.benvenuto@unical.it).
Mario Francisco Benvenuto
. Al momento della redazione del presente lavoro sono le lingue ufficiali della
Comunità Europea: Bulgaro, Ceco, Danese, Estone, Finnico, Francese, Greco, Inglese,
Italiano, Irlandese, Lettone, Lituano, Maltese, Olandese, Polacco, Portoghese, Rumeno,
Slovacco, Sloveno, Spagnolo, Svedese, Tedesco, Ungherese.
. L’articolo recita testualmente: “L’Unione rispetta la diversità culturale, religiosa
e linguistica” (Cfr. Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, /C /, in
Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, dicembre , p. . Consultabile anche online:
www.europarl.europa.eu/charter/pdf/text_it.pdf (..).
Multilinguismo, CLIL e linguaggi specialistici [. . . ]
. Cfr. Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea n. C del luglio . Il Trat-
tato diviene poi l’art. nella Versione Consolidata del Trattato dell’Unione Europea
(..) C E/, consultabile online: http://www.ecb.europa.eu/ecb/legal/pdf/
ceit.pdf (..).
Mario Francisco Benvenuto
Tutti questi programmi sono stati avviati nel periodo –. Per quanto
riguarda la seconda categoria (programmi o azioni parzialmente riguardanti le lingue)
bisogna ricordare, tra gli altri:
. Il testo, in vigore dal luglio , emanato con DPR n. del marzo ,
contiene la revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola
dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione ai sensi dell’articolo , comma , del decreto–
legge giugno , n. , convertito, con modificazioni, dalla legge agosto ,
n. (http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/alfresco/d/d/workspace/SpacesStore/
ab--ad--f--bb--cfc/dpr_.pdf, ––).
Multilinguismo, CLIL e linguaggi specialistici [. . . ]
abbassamento del livello formativo degli studenti, fatta salva qualche lodevole
eccezione.
Resta da aggiungere a questo schematico elenco, la diminuzione del numero
di ore per CFU, la diminuzione dei crediti per insegnamento di Lingua e, in
ultimo, ma non per importanza, l’eliminazione del voto nella valutazione degli
esami che viene sostituito per il concetto d’idoneità (Ordinamento ). Tutto
quanto detto finora anche sull’università contrasta nettamente con le direttive
comunitarie di cui si è parlato all’inizio.
Purtroppo tale disallineamento rispetto alla politica comunitaria non deve
sorprenderci. I dati recenti dell’eurobarometro riflettono il totale disinteresse degli
italiani, quindi dello Stato, relativamente alle decisioni Comunitarie. Come si evince
dalla seguente tabella un quinto degli italiani non cerca informazioni sull’Europa
al di fuori delle notizie economiche :
Nessun altro paese nell’UE registra un tasso di disinteresse quale quello italiano.
Persino in Turchia, paese al di fuori dell’Unione europea, la percentuale di intervi-
stati che non cercano notizie politiche europee è inferiore (%) a quanto rilevato
in Italia. Ci si chiede, quindi, s’è proprio questo disallineamento con l’Europa
riguardo alla cultura, e soprattutto all’insegnamento delle lingue, a determinare
una situazione così in controtendenza rispetto all’orientamento generale o se,
invece, si tratti di una specifica volontà nichilistica da parte dei diversi governi
del paese finora succedutisi che li ha portati ad assumere un atteggiamento tutto
sommato di chiusura, che danneggia solo i nostri giovani studenti, il loro futuro
inserimento nel mondo del lavoro, la loro capacità critica — per dirla con Paul
Ricœur — di “intendere e di analizzare la realtà sociale” . In poche parole non si
dovrebbe privare i nostri giovani di quegli strumenti utili alla formazione di una
coscienza che si formula soltanto attraverso la lente della conoscenza, attraverso
l’esperienza multilingue e multiculturale che oggi l’Europa mette a disposizione di
tutti.
. http://ec.europa.eu.
. Ricœur si basa sugli studi di Karl Jaspers ed Edmund Husserl per analizzare la
cruciale tematica del linguaggio come luogo in cui si pone il problema del senso, e a cui
è strettamente connessa l’interpretazione, che è comunque interpretazione del mondo.
Un’interpretazione secondo due diverse modalità: la prima è quella dell’esegesi, la seconda,
quella dell’ermeneutica demistificante (Cfr., tra le diverse opere, Ricœur, ).
Multilinguismo, CLIL e linguaggi specialistici [. . . ]
Specialistica ( + ) e l’adozione del sistema dei crediti formativi. Sotto tale ordi-
namento la Facoltà ha conservato le lingue (due a scelta per gli studenti) con
moduli per la triennale: I, II e III anno (laurea triennale) da crediti ciascuno e un
modulo per la laurea Specialistica sempre da crediti.
Avviene dunque una prima diminuzione del monte ore per l’insegnamento
delle lingue, compensato dall’introduzione delle ore di esercitazione a sostegno.
In concomitanza e oltre ai fattori prima menzionati, a causa dell’esiguo numero
di iscritti e il pensionamento del docente di ruolo, l’insegnamento della lingua
tedesca viene messo a tacere.
Qualche anno più tardi, con l’applicazione dell’ordinamento e la riduzione
del numero complessivo delle materie nei diversi curricula, durante una prima
fase si verificano:
— Perdita del primo modulo nella triennale (solo I e II con conseguente diminu-
zione dei crediti complessivi da a ).
— Ulteriore diminuzione del peso accademico delle lingue per curricula: idoneità
per il modulo della Magistrale.
— Diminuzione delle ore complessive d’insegnamento e di esercitazione.
Bibliografia
Sitografia
Carta Europea delle lingue regionali e minoritarie del consiglio d’Europa, no-
vembre , http://conventions.coe.int/treaty/ita/Treaties/Html/.
htm, (..).
Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, .., (www.europarl.europa.
eu/charter/pdf/text_it.pdf). (..).
Versione Consolidata del Trattato dell’Unione Europea (..) C E/,
consultabile online: http://www.ecb.europa.eu/ecb/legal/pdf/ce\
it.pdf (..).
http://ec.europa.eu/public_opinion/archives/eb/eb/eb_en.htm
(..).
http://db.formez.it/ProgrammiComunitari (..).
http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/alfresco/d/d/workspace/Spaces\
Store/ab--ad--f--bb--cfc/dpr_.pdf (––
).
Lingue e politica
ISBN 978-88-548-9113-5
DOI 10.4399/97888548911357
pag. 83–94 (giugno 2016)
. The article aims to assess the role of language learning in undergraduate
courses of Political Science at the University of Salerno. It also suggests ideas for
the application of interdisciplinary teaching methods, providing an example of
practical a activity adaptable to different levels of learning.
Mariadomenica Lo Nostro
Per questo motivo — in passato come nel presente, sotto la guida del coordina-
tore del settore linguistico, il prof. Antonio Scocozza — i percorsi di studi offerti
potenziano sempre di più l’insegnamento delle lingue straniere che sebbene non
possano essere equiparati allo studio di un Corso di Laurea in Lingue, mantengono
comunque un’importanza caratterizzante di molti curricula, dal momento che una
delle prospettive di lavoro è costituito dall’ambito delle relazioni internazionali.
Tanto più che un valore aggiunto nei programmi di questi studi è sicuramente
rappresentato da una buona conoscenza delle lingue straniere e dall’aver svolto
parte della propria formazione all’estero.
Gli studenti iscritti al Corso di Laurea triennale in Scienze Politiche e delle Rela-
zioni Internazionali quindi sostengono quattro esami, due per la prima e due per la
seconda lingua, e un esame di Ulteriori Conoscenze Linguistiche, per un totale di
CFU. Per gli iscritti al Corso di Laurea triennale in Scienze dell’Amministrazione
e dell’Organizzazione l’insegnamento è di un’unica lingua, per un totale di CFU.
Grazie agli sforzi del coordinatore in tutte e tre le lingue curricularmente dispo-
nibili , il primo livello dell’insegnamento linguistico (I anno) al Corso di Laurea
triennale in Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali mira a fornire gli
strumenti per acquisire la competenza linguistica almeno di livello A del Quadro
Anche presso l’Università di Salerno, come per molte altri Corsi di Laurea in
Scienze Politiche in altre Università, l’insegnamento delle lingue non esula dalla
conoscenza storico–politico–economico e culturale dei paesi, come la denomina-
zione stessa indica: Lingua, Cultura e Istituzioni dei Paesi di lingua francese, Lingua,
Cultura e Istituzioni dei Paesi di lingua spagnola, etc.
La preparazione linguistica quindi verte su due punti di forza fondamentali, la
motivazione e la poliedricità.
La motivazione, soprattutto nel corso della triennale, è basilare perché lo stu-
dente nel compiere la scelta iniziale, non è sempre consapevole, non solo di tutte
le materie che dovrà affrontare ma anche della reale ricaduta che le competenze
acquisite potranno avere durante e al termine del ciclo di studi. Non è stato raro
riscontrare tra gli studenti una specie di incredulità sull’importanza attribuita all’in-
segnamento linguistico perché ignari dei diversi campi di applicazione. Inoltre, non
può certo essere ignorato che le difficoltà legate all’apprendimento di una lingua
straniera non sono avulse dalle lacune o dalla cura che viene riservata alla lingua
madre. Il secondo ostacolo infatti, dopo l’essere riusciti a far approcciare i discenti
alla materia, consiste nel portarli a comprendere quanto, oltre alle regole di gram-
matica e ad una produzione approssimativa, sia essenziale curare la forma, nella
quale risiede il potere di far passare chiaramente le proprie idee e di perseguire i
propri scopi, cominciando a focalizzare la conversazione sugli interessi personali.
La poliedricità della Facoltà richiede una formazione articolata dei docenti e per
i docenti di lingua è utilissimo trasformare l’aula in un contenitore di competenze
da condividere là dove il docente mette in campo le competenze linguistiche e gli
studenti i contenuti specialistici, permettendo così un abbassamento della soglia di
blocco/vergogna, dovuta allo stress di esprimersi in una lingua che non si possiede
del tutto, compensata dalla padronanza della materia sulla quale si disquisisce e la
conseguente elevazione della motivazione.
È indubbio che bisogna arrivare a questo punto permettendo al discente di
individuare i diversi elementi che contribuiscono alla formazione del discorso.
In questo senso la mia formazione metalessicografica è stata di fondamentale
importanza, permettendomi di fornire le informazioni necessarie per agevolare la
scelta dello strumento di supporto e l’uso dello stesso, notoriamente trascurato
se non ignorato. Lo studio metalessicografico diventa quindi fondamentale per
l’acquisizione della morfologia e della sintassi.
Ovviamente all’interno delle ore a disposizione del docente responsabile ci
sono dei limiti evidenti , quindi, a seconda dei gruppi classe e delle lacune che
emergono, si tende a focalizzare l’apprendimento su uno o più argomenti centrali
perché costituisce una continua sfida e una continua messa in discussione di tutti quelli
che sono solitamente immaginati come schemi di insegnamento usualmente applicati ai
discenti che studiano le lingue come obiettivo professionale (insegnamento traduzione,
interpretariato).
. All’interno di alcune cattedre, tale mancanza viene tendenzialmente colmata con la
preziosa presenza dei lettori di madre lingua ai quali viene affidata una parte di esercitazioni
per lo più orale.
Insegnamento linguistico nei Corsi di Laurea di Scienze Politiche [. . . ]
(connettori, uso dei modi e dei tempi, etc.). Così attraverso lo studio di argomenti
di interesse dei discenti e lo sviluppo di collegamenti che abbraccino l’insieme
delle regole, si potrà passare alla messa in atto della lingua.
Di fatti se la preparazione alla professionalità di giornalista è ormai delegata
a delle scuole specialistiche, a tutt’oggi lo studio delle scienze politiche non può
certo prescindere da un apprendimento all’osservazione e alla lettura delle notizie
e all’individuazione dell’eventuale orientamento politico che ne modifica spesso
l’aspetto formale e non di meno sostanziale.
L’uso di articoli di giornali, solitamente di testate disponibili on–line, per que-
stione di praticità di tempi e di costi, se conserva il grande limite della fugacità
dell’informazione e quindi di un non sempre possibile confronto tra le diverse
impaginazioni e rilevanze, permette, data la freschezza degli argomenti, di age-
volare una certa ricchezza del lessico, stimolare la capacità di ricerca, permettere
una riflessione metalinguistica e riflettere su eventuali problemi di fruibilità più o
meno voluti.
Non è un segreto che la vastità degli argomenti spesso rende difficile se non
impossibile trovare del materiale didattico già elaborato attuale e interessante per
tutti i corsi di studio. Per questo motivo, anche se comporta una dura selezione
non è raro prediligere del materiale autentico come articoli di giornali dove la
possibile mancanza di elementi che agevolino una didattica mirata possa essere
colmata dall’ampliamento di discussioni e approfondimenti liberi o guidati. Infatti,
diventa importantissimo, al fine di una formazione completa dei nostri discenti,
riuscire a far percepire loro lo stretto rapporto che intercorre tra il pensiero e la
scelta della forma lessicale, grammaticale e sintattica, affinché possano percepire
realmente le sottigliezze della lingua e si esercitino a plasmare la forma in base al
contenuto di cui vogliono riempirla.
A tal proposito un’altra fonte molto interessante può rivelarsi l’analisi di trattati
e discorsi storico–economico–politici. Questi infatti hanno il grande merito di poter
essere ben collocati nell’arco spazio temporale e, trattandosi di testi solitamente a lungo
meditati per meglio far passare il pensiero all’intera popolazione, presentano uno stile
non solo più corretto ma spesso anche più asciutto, pur mantenendo una struttura
articolata tipica dell’argomentazione, per esercitare alla costruzione di un pensiero
lineare.
A questo fine abbiamo per esempio utilizzato il testo “Renforcer la Stratégie
de Lisbonne grâce à des mesures économiques externes”, firmato da quello che
nel era il neo–presidente francese Nicolas Sarkozy , dal Cancelliere tedesco
Angela Merkel e vidimato dal Presidente del Consiglio dell’Unione europea José
Sócrates . Questo testo infatti, si presta ad una analisi sociolinguistica che, senza
approfondire particolarmente le dinamiche politiche del caso specifico, offre un
esempio dell’argomentazione del pensiero politico generale.
Gli studenti vengono inizialmente indotti ad una lettura globale, partendo
dall’analisi degli elementi paraverbali (tipografia, illustrazioni, organizzazione
strutturale) oltre che verbali (titolo, firma, tipologia e suddivisione dei paragrafi).
Nel nostro caso nell’ambito di una lettura globale, se non notato dagli studenti,
si sottolinea subito, come le tre firme implichino e rinforzino le intenzioni espresse
nel titolo confermando la dichiarazione di un impegno collettivo che coinvolge
non solo la politica e l’economia dei due Stati, ma anche dei membri dell’Unione
europea, così come lascia presagire il titolo stesso “des mesures économiques
externes”. Attraverso una lettura più analitica non è in realtà difficile notare come
la promessa di un impegno ricorra lungo tutto il brano e lo faccia percepire come
una lettera d’intenti.
Infatti, passando nello specifico si osserverà che il brano si articola in otto
paragrafi ( righe) sommariamente suddivisibili in introduzione (§ I) corpo (§§
II–VII) e conclusione (§ VIII).
Insegnare a focalizzare la suddivisione e l’articolazione dei paragrafi è essenziale
per insegnare ai discenti ad esprimere il pensiero in maniera chiara e lineare,
seguendo un filo logico ed un’evoluzione dell’argomentazione. Una difficoltà alla
quale non sono pochi a doversi confrontare al momento della redazione di una
tesina, di una tesi o semplicemente alla redazione di un elaborato.
Per questo motivo, volendo porre immediatamente l’accento sull’importanza
della forma per passare alla sostanza, si farà notare come ) in ogni buon incipit,
anche in questo è già vagamente evincibile, la linea guida proposta, lungo tutto il
corpo del testo, qui individuabile nella volontà di sottolineare i benefici offerti dalle
“reformes de structures” (l. e come ) si faccia passare l’oggettività della situazione
attraverso l’uso delle forme impersonali (terza persona singolare e plurale) e del
passato prossimo.
Di contro, nel secondo paragrafo, con la presenza delle personalizzazione del
soggetto (“nous” ll. e ) e dall’uso non casuale del verbo servile “pouvoir” che
seguono alla breve ricontestualizzazione (“Dans un contexte de mondialisation” l. )
si può mostrare come avvenga, quasi repentinamente, il passaggio all’assunzione
di responsabilità dell’intento stesso. Quindi evidente appare il passaggio della
presentazione di una situazione generale e distante ad una specifica, personale e
Sociale (CSU), e con il Partito Social Democratico (SPD) sino al termine della legislatura
(). Presidente del Consiglio europeo. Durata mandato gennaio – giugno .
. José Sócrates Carvalho Pinto de Sousa (Vilar de Maçada, settembre ) è un
politico portoghese e Primo Ministro del Portogallo in carica dal marzo a giugno
. Fa parte del Partito Socialista Portoghese. Presidente del Consiglio europeo. Durata
mandato luglio – dicembre .
. Le indicazioni relative ai paragrafi e alle linee corrispondono alla versione origi-
nale diffusa e reperibile all’indirizzo www.astrid–online.it/rassegna/Rassegna–/––
/Lettre–Commune–Sarkozy–Merkel–_Meseberg––sept–_–__.pdf.
Insegnamento linguistico nei Corsi di Laurea di Scienze Politiche [. . . ]
più vicina. La credibilità del proposito è poi supportata dai dettagli ovvero: l’oggetto
di discussione (“l’initiative du Président Barroso” e “la Stratégie de Lisbone” ll. e
) il luogo (“lors de la prochaine réunion formelle des Chefs d’Etats”: ll. et ) e il
momento (“les et octobre ”: l. ).
Continuando, il corpo del testo potrebbe essere ripartito in intento (§II) linee
guida (§ III) e strategie per l’ottenimento dei risultati (§§ IV, V, VI, VII).
L’importanza accreditata all’intento è qui avvalorata dalla ripetizione presente
nella conclusione dell’intervento (“en abordant ces sujets en octobre à l’occasion de
la prochaine réunion in formelle” — ll. e ) in un contesto politico–economico
di fatto formale (“Président Barroso”; “dimension extérieure”; “Stratégie de Li-
sbonne” ll. e ; “Chef d’Etat et de gouvernement” ll. – e –) induce il lettore
ad interpretare la volontà di un impegno sincero e fattivo che implichi un lavoro
fruttuoso da offrire al momento dell’incontro ufficiale al “Sommet du printemps
”.
Importante sarà anche far notare come senza la necessità di un connettore, nel
terzo paragrafo il “Nous” iniziale funge da filo conduttore con il paragrafo prece-
dente. Qui avviene il passaggio completo dallo stile impersonale (terza persona),
ancora presente nel secondo paragrafo (nella dicotomia: volontà interna/situazione
esterna) a quello personale (prima persona plurale) che suggerisce una soggettività
collettiva. Un “Nous”, infatti, che si carica dell’autorità dei ruoli ricoperti dagli
autori e al tempo stesso dal potere conferitogli dai votanti. Autorità sottolineata,
inoltre, dall’uso di verbi di volontà e azione (“nous demeurons convencus que” l.
; “nous continuons à agir” l. ) e che non viene messa in crisi neanche davanti
all’oggettività degli avvenimenti negativi (“nous observons” l. ) in quanto pronti
a proporre la soluzione (“nous voulons faire” l “et éviter” l. ) che l’uso costante
del presente dell’indicativo fa percepire concreta.
A livello d’impatto mediatico sarà altresì interessante far osservare come si
tenti di tranquillizzare il maggior numero di classi danneggiate dal processo di
globalizzazione attraverso le linee guida che si pongono quindi garanti di un rie-
quilibrio di concorrenze sleali (“les obstacles non tarifaires aux échanges et aux
investissements” ll. e e “pratiques déloyales” l. ) promettendo di apportare
misure protettive nei confronti delle classi contribuenti economicamente in modo
diretto (“accès aux matières premières et à l’énergie” ll. e , “renforcer les instru-
ments de la politique commerciale face aux pratiques déloyales et éviter que des
incitations financières émanant de pouvoirs publics ne faussant les conditions de la
concurrence” ll. –) e indiretto (“protéger activement les droits de propriété” l.
).
Le strategie per l’ottenimento dei risultati auspicati si presentano quindi come
una richiesta di collaborazione. I paragrafi IV, V e VI sono infatti tutti incentrati
sull’impegno futuro collettivo come sottolinea anche il passaggio dall’uso del
presente dell’indicativo, dei paragrafi II e III al futuro dei paragrafi IV e V e inizio
del VI (ll. e ).
A questo punto, dal quarto paragrafo scaturisce, naturalmente l’idea che la
riuscita del programma è soggetta alla collaborazione ed all’applicazione di regole
Mariadomenica Lo Nostro
. A seconda del livello di maturità linguistica e cognitiva del gruppo classe, così come
è già stato fatto, questi elementi di base possono essere rivalutati e osservati e analizzati
attraverso le strategie di manipolazione di Timsit, le teorie di Sophie Moirand, gli studi di
Jacques Walter e della sua scuola di mediazione della comunicazione politica.
Insegnamento linguistico nei Corsi di Laurea di Scienze Politiche [. . . ]
correttamente e chiaramente i limiti del loro linguaggio, per ampliare i limiti del
loro e nostro mondo.
Bibliografia
Sitografia
. Appendice
Mathilde Anquetil
. Intercompréhension et plurilinguisme
Établissons au préalable que notre proposition dans le cadre des Ulteriori conoscenze
linguistiche était attentif à ne pas substituer obligatoirement l’intercompréhension
à l’apprentissage de la langue française pour les étudiants débutants intéressés
en la matière, car nous proposions deux modalités d’examen pour cet enseigne-
ment prévoyant heures de cours, l’un intitulé Idoneità in lingua francese basé
sur la reconnaissance des compétences acquises par la participation au cours de
lectorat ( heures de TP) avec cependant une épreuve orale et une épreuve écrite
portant sur les compétences de communication de niveau A, et l’autre avec
épreuve écrite et orale en intercompréhension. Nous tenions à ne pas diluer le
plurilinguisme dans une facile patine de multilinguisme ou “éveil aux langues”
recouvrant mal une réduction de l’offre de formation dans les différentes lan-
gues, car nous tenons compte de l’alarme exprimée quant à ce type de dérive
en particulier par Bruno Maurer (Maurer, ). Un solide niveau A est un bon
instrument de départ pour la poursuite de l’apprentissage d’une langue et en
particulier pour pouvoir envisager une mobilité vers la France avec un surplus
accessible de formation, ce qui n’est en rien négligeable. Nous avons donc promu
aussi cet accès afin que l’intercompréhension ne se développe pas au détriment
de l’enseignement/apprentissage des langues dans leur singularité linguistique et
leur immense valeur d’accès communicatif vers des communautés de parole et de
culture à partager.
De même que nous avons été amenée à élever le niveau d’exigence pour l’examen
d’intercompréhension lorsque nous avons constaté que se présentaient à l’épreuve
finale quelques étudiants non–fréquentants, enclins à envisager le cours comme un
échappatoire à l’étude d’une langue autre que l’anglais et s’engouffrant sans retenue
dans une approche qui valorise certes l’approximation au sens et la pratique déductive
mais suppose l’accumulation de connaissances linguistiques et de compétences procé-
durales qui s’affinent au fil de la formation. Nous avons donc fixé empiriquement un
seuil fonctionnel de capacités à traiter des textes en langues étrangères (français, espa-
gnol, portugais) que nous avons défini comme niveau intermédiaire de compétences
en IC rendant opératoire l’approche pour des fins professionnelles, en particulier pour
rendre accessible une lecture suffisamment fluide de textes de presse dans le monde
romanophone. Nous avons vérifié expérimentalement que les étudiants assidus étaient
capables de passer avec succès les épreuves de certification officielle (DELF en français,
DELE en espagnol, DEPLE en portugais) de niveau B, voire B, bien sûr limitées à
. Ces travaux sont encore en cours car l’un des objectifs du projet MIRIADI est justement
de proposer un référentiel de compétences et une définition de niveaux de compétences en IC.
Mathilde Anquetil
. Ces cours sont assurés par l’équipe locale MIRIADI composée de Mathilde Anquetil,
Edith Cognigni, Silvia Vecchi et Francesca Vitrone.
. www.galanet.eu (session No ritmo da lingua, ––/––, forum et
dossier final consultable sur le site) (//).
. http://spocri.unimc.it/it/site–news/eventi/ciclo–di–seminari–inter-
comprensione–tra–italiano–francese–portoghese–spagnolo–(//).
. http://lingue.unimc.it/it/site–news/eventi/lintercomprensione–tra–lingue–
romanze(//).
. Confié à Silvia Vecchi.
“Ulteriori Conoscenze Linguistiche” à Sciences Politiques [. . . ]
Tous les étudiants avaient en effet à leur acquis une connaissance de niveau va-
riable d’au moins une langue étrangère latine, nous avons encouragé ce prérequis
qui a permis d’arriver à des résultats meilleurs que dans le cas de débutants com-
plets dans les langues latines, lors des cours précédents dans le cadre des Ulteriori
Conoscenze Linguistiche. Le profil linguistique des étudiants (établi par questionnaire
lors de la première séance) a mis en évidence des profils très variés, comprenant
de à langues étrangères. Nous reproduisons ici l’analyse de la seconde langue
étrangère déclarée par les étudiants (la première étant généralement un anglais de
niveau B ou B), extraite du rapport produit par Francesca Vitrone, didacticienne
de l’italien langue seconde à Macerata.
On remarque les compétences acquises dès le départ en français et en espagnol;
le cours d’intercompréhension est l’occasion de faire fréquenter à ces étudiants
une classe commune de langue en mettant à disposition des stratégies d’aides
réciproques entre les deux groupes, ce qui est appréciable dans un contexte où
ces deux langues tendent à se positionner comme concurrentielles. On note aussi
un bon pourcentage d’apprenants indiquant l’allemand, voire le russe, comme
seconde langue étrangère; ceux–ci ont pu lors du cours en IC cultiver leur intérêt
parallèle pour les langues romanes.
Nous ne traiterons pas ici de l’ensemble des activités menées lors de la for-
mation mais de trois aspects saillants pour leur pertinence par rapport au public
de Sciences Politiques: l’introduction de thématiques de politique linguistique
globale, la réflexion sur le plurilinguisme dialectal et l’exercice de compéten-
ces de compréhension et d’écriture pour la réalisation d’une revue de presse
internationale.
Figure . Distribution des compétences dans une deuxième langue étrangère (Séminaire
IC–MIRIADI Macerata).
Mathilde Anquetil
Lors de la séance d’introduction des diverses formations, nous avons tenu à resituer
l’approche de l’intercompréhension dans le contexte des politiques linguistiques
face au multilinguisme. L’IC se définit en effet selon trois aspects : celui du phéno-
mène communicatif, une situation où les interlocuteurs ne partagent pas la même
maîtrise de leurs langues maternelles respectives mais réussissent à se comprendre,
chacun utilisant sa propre langue, une situation qui se produit dans les cas de conti-
guïté linguistique entre communautés linguistiques proches; celui de l’approche
didactique, nous rappelons ici la définition développée par Marie–Christine Jamet
pour ce champ:
Cette définition pour spécialistes n’est pas abordée d’emblée avec les étudiants,
c’est au fur et à mesure des activités que l’on fait prendre conscience des différentes
stratégies sur lesquelles s’appuie l’IC.
Mais il y a aussi un troisième aspect prégnant, celui de l’option de promotion
de l’intercompréhension comme élément de politique linguistique face au mul-
tilinguisme. C’est en particulier le cas des définitions que l’on trouve dans les
documents en faveur de l’IC issus d’institutions d’origine politique comme l’U-
nion Latine , l’Agence Universitaire de la Francophonie, institution internationale
de promotion de la langue française et du dialogue interculturel, ou encore la
DGLFLF (Délégation Générale à la Langue Française et aux Langues de France)
qui élabore la politique linguistique du gouvernement de la République Françai-
se. On présente donc aux étudiants certains de ces documents comme celui–ci
sur l’intercompréhension, émanant de la DGLFLF, dans sa version en langues
après une fameuse citation de Umberto Eco sur l’IC, tirée de La ricerca della lingua
perfetta.
Le document peut dans un premier temps faire l’objet d’une initiation à l’in-
tercompréhension de par son caractère multilingue (français, anglais, allemand,
espagnol, portugais, roumain, italien) qui permet d’en assurer la compréhension
en langue maternelle, puis de s’arrêter sur la recherche d’équivalents linguistiques
dans les langues connues puis inconnues (le portugais, le roumain). Mais on l’utili-
sera surtout pour retracer l’objectif politique sous–jacent à la définition, avec en
implicite la stratégie de défense face à l’anglais comme langue unique, en faisant
levier sur la politique linguistique européenne et sa promotion du plurilinguisme.
Au passage, on initie les étudiants à la définition différentielle entre multilinguisme
et plurilinguisme, telle qu’elle est fournie dans un autre document de politique
linguistique : le Cadre Européen Commun de Références pour les Langues. L’occasion
est aussi intéressante pour initier les étudiants à l’aspect institutionnel de la politi-
que linguistique en France qui ne trouve pas son équivalent dans les institutions
italiennes.
Un autre document exploitable pour des étudiants plus avancés est la publica-
tion coordonnée par l’Agence Universitaire de la Francophonie (AUF) et l’Union
Latine : L’intercompréhension et les nouveaux défis pour les langues romanes (AUF —
Union Latine, ). L’ouvrage en lui–même est original par son caractère plurilin-
gue qui permet par ailleurs aux étudiants de consulter un article (Balboni, )
quant à la politique linguistique de l’italien dans le monde, sujet que les étudiants
connaissent fort peu. Naturellement ce texte accessible en ligne est l’occasion de
s’informer sur ses deux instances éditoriales, l’AUF et l’Union Latine, par une visite
Mathilde Anquetil
de leur sites respectifs, et une recherche sur leur option en matière de politique
linguistique. L’ouvrage volumineux ne fait pas l’objet d’une lecture exhaustive,
mais on peut profiter des compétences différenciées des étudiants pour assigner
la tâche de prendre en charge la présentation d’un résumé en italien de quelques
articles écrits en français (dont on remarque au passage la place prépondérante,
comme sorte de lingua franca, dans la littérature sur l’IC) et en espagnol. Les
titres des interventions en portugais et en roumain peuvent faire l’objet d’une
traduction en IC. Le caractère mondial de l’ouvrage qui prend en considération
l’ensemble des pays romanophones, y compris en Afrique et bien sûr en Amérique
du Sud, permet d’élargir le thème du plurilinguisme hors des frontières de l’Union
Européenne, avec des cartographies de la francophonie, de l’hispanophonie et de
la lusophonie.
A ce stade on peut alors lancer le débat sur la base de cet extrait de Bernard
Cassen:
Esiste uno stretto rapporto tra l’esercizio della libertà di insegnamento ga-
rantito dalla Costituzione Repubblicana e l’utilizzabilità della lingua italiana.
Una volta chiarito che l’italiano non è tutelato quale mezzo di comunica-
zione orale o scritta, ma per l’insieme di valori culturali che sottende, è
consequenziale rilevare che la piena esplicazione della libertà di insegnamen-
to presuppone la possibilità di utilizzare l’italiano, nel senso che il docente
che esercita in una istituzione pubblica deve poter scegliere di trasmettere
le conoscenze nella lingua italiana. [. . . ] Simmetricamente, il discente deve
essere posto in condizione di avvalersi della lingua italiana per la formazio-
ne praticata in una Università italiana. Queste corrispondenze sono negate
dalle delibere impugnate, che, nei corsi di laurea magistrale e nei dottorati,
obbligano i docenti ad insegnare in lingua inglese e gli studenti ad appren-
dere in lingua inglese. L’obiettivo perseguito dal Politecnico è quello di
favorire l’internazionalizzazione dell’Ateneo, ma l’uso esclusivo della lingua
inglese [. . . ] non riflette l’obiettivo perseguito, perché esso non richiede una
scelta così radicale per essere raggiunto. L’internazionalizzazione implica
anche diffusione delle conoscenze e dei valori che, nei diversi insegnamenti,
sono apportati dalla cultura italiana e che in italiano si manifestano (TAR
n°/) .
Nous croyons cependant utile que des étudiants de Sciences Politiques, ame-
nés à devoir gérer les multilinguismes des sociétés contemporaines, se distancient
de représentations réductrices, “babellisantes” ou iréniques par rapport à la plu-
ralité linguistique, tant au niveau local que global, et affinent leur réflexion
quant aux enjeux des politiques et pratiques plurilingues; le cours en IC est une
occasion fructueuse en ce sens.
. L’IC comme réflexion sur l’histoire des langues et les aspects socio–linguistiques
des diglossies
L’une des premières activités réalisées en cours d’IC vise la prise de conscience du
patrimoine linguistique constitué par les compétences dialectales des étudiants. C’e-
st en soumettant à leur attention un texte en dialecte local — marchigiano que l’on
invite les étudiants à “traduire” en italien — que nous invitons les étudiants dans
un premier temps à émettre quelques hypothèses de règles de correspondances
morpho–phonologiques entre le dialecte et l’italien, anticipant ainsi la consultation
de tableaux de correspondances entre les langues romanes qui font partie de la
didactique ordinaire de l’IC . Ceci permet une appropriation active de ce type
d’instruments dans la panoplie des stratégies de compréhension.
Mais nous avons aussi un objectif de réflexion socio–linguistique pour cet
exercice qui permet de lancer une discussion sur les pratiques dialectales des
étudiants. L’expérience nous permet d’affirmer que notre public se montre encore
extrêmement rétif quant à la reconnaissance publique de ces compétences bilingues
en milieu universitaire; il est par exemple impossible de trouver un volontaire pour
lire un passage du texte dialectal à voix haute en salle de classe. Mais il se trouve
toujours des informateurs pour traduire une phrase lorsque l’on instaure un tour
de parole obligatoire. On soumet alors aux étudiants des traductions d’un extrait
du Petit Prince de Saint–Exupéry dans plusieurs dialectes italiens ainsi que dans les
principales langues romanes officielles .
meuché di solèi. Dz’i apprèi ci novë détail lo quatrëmo dzor lo matin, quan
te m’a deut: Dz’amo bien vère lo meuché di solèi.
Sardu: Su Prinzipeddu
Ah! prinzipeddu, abellu abellu che l’apo cumpresa sa trista vida tua. Tue
po meda tempus no as apiu ateru divagu si no sa durcura de su sole cando
si corcat. L’apo cumpresu sa de battor dies, a manzanu, cando m’as narau:
M’aggradat meda cando si corcat su sole.
Català: El Petit Príncep
Ah!, petit príncep, d’aquesta manera, i a poc a poc, vaig anar entenent
la teva petita vida malenconiosa. Durant molt de temps, l’única distracció
que havies tingut havia estat la dolçor de les postes de sol. Vaig saber aquest
altre detall el matí del quart dia, quan em vas dir: M’agraden molt les postes
de sol.
a) Consultation des Portfolio Européen des Langues comprenant des variétés régio-
nales comme ceux de Bolzano–Haut–Adige et Val d’Aoste qui comprennent
l’italien, l’anglais, l’allemand le français et ladin et proposent aux lycéens cette
Mathilde Anquetil
réflexion: « Nosta provinzia ie n raion cun de plu rujenedes, ulache viv adum
trëi lingac recunesciui ufizialmënter (tudësch, talian, ladin). Nce la Val d’Aosta
ie n raion cun de plu lingac. Iló iel doi lingac recunesciui ufizialmënter: talian
y franzëus. Ti chemuns Walzer tla valeda de Lys ie nce l tudësch na rujeneda
ufiziela. Fé na nrescida sun la gaujes storiches che à purtà a chësta situazion.
Descrì coche l plurilinguism ie da udëi ulache tu vives y prejënta n valgun
ejëmpli cuncrec. (Te posses nce njunté na documentazion cun fotografies o
na registrazion). Te nosta provinzia vëniel rujenà, daujin ai trëi lingac ufiziei,
mo truepa d’autra rujenedes: la rujenedes dla jënt da oradecà, la rujenedes
di turisć y di passanc, la rujenedes di marcadënc y n. i. Analisea, adurvan dac
statistics y d’autra nfurmazions, la cunsistënza de chësc svilup, i vantajes, ma
nce i periculi y i custimënc dl plurilinguism. Documentea ti afermazions cun
ejëmpli cuncrec ».
Au cas par cas on pourra aborder des questions sur les “données internes” en
particulier au sujet des articles les plus polémiques:
. Pour reprendre les catégories de C, P (), Une grammaire du
sens et de l’expression, Paris: Hachette.
“Ulteriori Conoscenze Linguistiche” à Sciences Politiques [. . . ]
Dans ce cadre, on ne pourra analyser plus à fond le dispositif didactique qui fera
l’objet de fiches et d’analyses dans le projet MIRIADI, en coopération avec Silvia
Vecchi avec laquelle l’intervention a été conçue et concordée lors du séminaire
expérimental. Anticipons seulement qu’une fiche de correction a été élaborée
et présentée aux étudiants, tenant compte de la compréhension des articles du
dossier (faits exposés, opinions explicites ou implicites véhiculées par le discours,
traduction d’extraits cités) mais aussi de la production avec le respect des caractéri-
stiques étudiées quant au genre textuel de la revue de presse. Nous tenons donc
à souligner que ce travail en intercompréhension s’inscrit dans un projet global
d’Educazione linguistica democratica dans le sens fort du terme selon son concepteur
Mathilde Anquetil
. Ce type de compétences est en voie d’être listé dans les travaux pour un
Référentiel de compétences en IC dans le projet MIRIADI.
“Ulteriori Conoscenze Linguistiche” à Sciences Politiques [. . . ]
Bibliographie
. Il lavoro si presenta come una riflessione sulle caratteristiche dei corsi
di lingua spagnola organizzati dal CLA dell’Università di Roma Tre. Dopo una
breve analisi della tipologia degli studenti e dei gruppi che si vengono a creare,
si cercherà di individuare i fattori che hanno reso possibile progressivamente un
ruolo più attivo degli studenti di livello A nel processo di apprendimento. Infine
l’intervento si focalizzerà sulle ripercussioni dell’utilizzo delle nuove tecnologie,
in particolare quelle attinenti allo sviluppo della piattaforma Moodle per i livelli A
e B e si presenteranno alcuni esempi di attività.
. This paper presents a reflection on the characteristics of Spanish language
courses organized by the CLA (Language Centre) of Roma Tre University. After a
brief analysis of the type of students and the groups that are established, the authors
will try to identify the factors that have progressively facilitated a more active role
for students of level A in the learning process. Finally, the intervention will focus
on the impact of the use of new technologies, in particular the development of a
Moodle platform for levels A and B; some examples of activities are included.
Introduzione
Il presente lavoro si configura come una presentazione dei corsi organizzati dal
CLA dell’Università Roma Tre ed in particolare costituisce una riflessione sulle
caratteristiche dei corsi di spagnolo di livello A, A e B e sull’evoluzione che essi
hanno subito nel corso di questi ultimi anni .
∗
Università degli Studi Roma Tre, magdalena.jimenez@uniroma.it / carmen.mer-
chan@uni-marconi.it.
. Jiménez ha realizzato l’introduzione e la descrizione dei corsi di livello A. Merchán
ha realizzato la descrizione dei corsi di livello A e B.
Magdalena Jiménez Naharro, Carmen Merchán Rodríguez
Figura . Suddivisione fra le lingue degli studenti dei corsi in classe e blended.
. I corsi di spagnolo
Ci sembra opportuno fare una premessa sulla necessità di adattare i nostri modelli
al contesto nel quale ci troviamo ad operare per interrogarci su cosa facciamo e se
possiamo migliorare il nostro intervento. Nel nostro caso i cambiamenti introdotti
provengono da due aree molto diverse: la psicologia e le nuove tecnologie. Da
un lato, ci siamo confrontati con i contributi provenienti da varie correnti della
Figura . Provenienza degli studenti dei corsi in classe e blended di spagnolo (in %).
Magdalena Jiménez Naharro, Carmen Merchán Rodríguez
La prassi vuole che generalmente gli studenti che usufruiscono dei servizi del CLA
debbano eseguire un test valutativo che ha l’obiettivo di discriminare i livelli. Dopo
questa prima fase ad ogni studente viene assegnato un percorso personalizzato
in funzione dei crediti e del livello linguistico da raggiungere. Infatti, ad alcuni
studenti basterà seguire un corso di livello A mentre altri dovranno continuare
fino ad un livello superiore; altri invece potrebbero essere valutati idonei a seguire
direttamente un livello superiore: A oppure B.
I corsi per principianti vengono attivati in modalità presenziale con lezioni (di
ore) settimanali per settimane fino ad arrivare ad un monte orario di ore
presenziali e ore di lavoro autonomo.
Invece i corsi di livello superiore (A e B) sono organizzati generalmente in
modalità semi–presenziale o blended; si tratta cioè di un percorso misto in quanto
gli studenti lavorano in modo autonomo con materiali on line di diverso tipo atti a
migliorare le diverse competenze linguistiche con un incontro settimanale di ore
con l’insegnante con un monte orario di ore presenziali e circa ore di lavoro
autonomo.
Gli studenti sono obbligati a frequentare le lezioni (per un %) e ad impegnarsi
nelle ore di studio che costituiscono il pacchetto obbligatorio di crediti.
Essendo breve il percorso, è fondamentale avere una serie di strategie per trarre il
maggior vantaggio possibile delle ore frontali. In tale senso si può pensare a fasi
lungo le quali si cerca di promuovere l’autonomizzazione e la responsabilizzazione
del discente in modo tale che nella penultima lezione si affronti la simulazione di
esame e la relativa correzione il che offre un feedback ad ogni studente che può
avviare delle strategie di auto–monitoraggio. Tale strategia fa sì che lo studente si
senta competente prima di realizzare l’esame finale.
La fase di avvio riguarda il primo incontro. L’obiettivo fondamentale è quello
di conoscersi mutuamente , esplicitare bene le regole del percorso (le date, gli
impegni e lo sviluppo del programma), ed altri accordi per salvaguardare lo spazio
didattico al fine di raggiungere simbolicamente quella che potremmo definire una
“alleanza di lavoro” .
Nella fase di sviluppo lo studente si impegna a realizzare delle attività chiuse
per consolidare il programma e affronta per conto proprio delle prove campione
equivalenti a quelle dell’esame finale al fine di acquisire delle strategie adeguate.
La fase di conclusione riguarda gli incontri finali. Durante la penultima le-
zione ha luogo la simulazione di esame e la relativa correzione che offre un
feedback ad ogni studente che può avviare delle strategie di auto–monitoraggio per
compensare le proprie carenze.
In definitiva, il delinearsi di questo processo permette che lo studente si senta
competente e non attribuisca a fattori esterni la sua situazione. A questo proposito
Williams e Burden si riferiscono al concetto di locus of control (: –).
. A dire il vero non basta conoscersi ma è necessario che l’insegnante ricordi il nome
dei suoi studenti al fine di agevolare le interazioni comunicative, il che può avere un’ ottima
ripercussione sulla coesione del gruppo ma anche sul monitoraggio del processo didattico
da parte del docente che riesce in questo modo a tenere a mente ogni membro del gruppo.
Per facilitare tale operazione una strategia potrebbe essere quella di consegnare una scheda
da riempire dove collocare una fotografia.
. Tali regole vanno condivise eventualmente anche con gli accompagnatori degli
studenti con grave handicap che devono rimanere durante la lezione.
Il contributo del CLA dell’Università degli Studi Roma Tre [. . . ]
Nel corso degli anni le insegnanti hanno introdotto dei cambiamenti che hanno
avuto delle ripercussioni sul processo di apprendimento. La sfida è partita dalla
riflessione sui fattori motivazionali che ha fatto sì che una delle autrici del presente
lavoro si ponesse il quesito della necessità di stimolare la motivazione degli studenti
in questo contesto.
Ciò ha portato ad attuare dei cambiamenti che hanno riguardato in primo luogo
la scelta di un nuovo manuale più motivante ; la creazione di un fascicolo con
prove equivalenti a quelle del test finale (letture e cloze test) con le soluzioni; ed
infine la creazione di un piccolo fascicolo grammaticale con tabelle e spiegazioni
puntuali utili per una miglior archiviazione tramite la memoria visiva.
Ciò ha consentito di alleggerire l’incontro e di promuovere un ruolo più attivo
dello studente così come si è delineato progressivamente nella moderna didattica
delle lingue straniere alla luce del contributo di Vygotskji ().
Inoltre, si è provveduto all’eliminazione di materiali vecchi dal programma
autonomo e all’introduzione di attività di produzione scritta da consegnare come
schede di articoli giornalistici e di notizie audio, una lettera informale o la pre-
sentazione di un piccolo progetto in piccoli gruppi su un tema di interesse attuale
previamente concordato.
In definitiva, abbiamo sentito la necessità di introdurre delle attività di produ-
zione scritta dall’inizio anche con i principianti e abbiamo proposto degli esercizi
di ricapitolazione che progressivamente potevano diventare più articolati come
una poesia, un decalogo o la descrizione di un percorso turistico.
Come esempio, riportiamo un’attività iniziale (proposta dopo le prime le-
zioni del corso) tratta dal manuale ¡Nos vemos! (A–A) nella quale in un primo
momento gli studenti hanno il compito di elaborare una scheda descrittiva di se
stessi e in un secondo momento le schede vengono assegnate in modo casuale
agli studenti che dovranno elaborare una poesia.
Riportiamo qui di seguito una poesia particolarmente riuscita che è stata
condivisa con il gruppo classe affinché gli studenti si rendessero conto di come
anche sin dai livelli iniziali è possibile essere creativi:
. Per un certo tempo abbiamo adottato il manuale Español lengua viva (A–A) ed in
seguito ¡Nos vemos! (A–A).
Magdalena Jiménez Naharro, Carmen Merchán Rodríguez
. Va comunque detto che tale approccio non è sempre amato dagli studenti che a
volte preferiscono i manuali più tradizionali che danno loro più sicurezza per cui è compito
dell’insegnante accogliere le loro perplessità e spiegargli i benefici di questa tecnica proposta
dalla moderna didattica delle lingue straniere.
. In tale senso è auspicabile che ci sia un solo insegnante a tenere il corso il che ha
l’indubbio vantaggio di un miglior monitoraggio del processo didattico e minor dispersione
sia per lo studente che per l’insegnante durante le settimane. Con gruppi numerosi può
diventare ancora più difficile il consolidamento della relazione.
. Naturalmente non ci si riferisce qui ad informazioni intime che non sarebbero
funzionali al processo che deve caratterizzarsi per una sua strutturazione e formalità adatte
a contenere il gruppo, favorire la collaborazione e l’impegno al fine di raggiungere gli
obiettivi prefissati.
Il contributo del CLA dell’Università degli Studi Roma Tre [. . . ]
Arriviamo ora alle prospettive future che riguardano il nuovo progetto di utilizzare
Moodle anche con i principianti perché da un lato tale piattaforma si può configu-
rare come contenitore di uno spazio “altro” al di fuori delle lezioni frontali che
può contribuire al potenziamento dello scambio del gruppo e alla mobilitazione
personale creando delle occasioni di dibattito nei forum , di condivisione di lavori
e progetti, e persino di correzioni di compiti. Inoltre si possono depositare dei
materiali di appoggio (fascicolo grammaticale, prove campione, test di simulazio-
ne). Ma allo stesso tempo Moodle si configura come un canale comunicativo per
l’erogazione d’informazione in modo continuo evitando i gap, le indicazioni per
lo svolgimento di un compito, ecc. Insomma, ciò può permettere una maggiore
continuità, interattività e contribuire alla coesione del gruppo.
Proponiamo ora alcune attività di produzione scritta attraverso il forum per
studenti di livello A:
a) En esta tarea vamos a mandarnos postales desde sitios donde estamos pasando
unas vacaciones. Empiezo yo.
. Dal abbiamo iniziato a utilizzare la piattaforma Moodle con gli studenti di
spagnolo di livello A.
. Altrove sono stati affrontati i vantaggi dell’uso del forum in Moodle: promozione di
una competizione positiva, sforzo per il raggiungimento di un prodotto finale da pubblicare,
condivisione dell’elaborato e della sua correzione e una possibile ripercussione positiva
sull’autostima degli studenti grazie alla pubblicazione di un intervento ( Jiménez Naharro,
).
. Un progetto intermedio volto all’applicazione di quanto esposto è stato avviato
precedentemente da una delle insegnanti con la creazione di una casella di posta elettronica
apposta per i gruppi che le erano stati assegnati.
Magdalena Jiménez Naharro, Carmen Merchán Rodríguez
Risposta di Giulia (gli interventi qui proposti non sono stati corretti per eviden-
ziare lo stato di interlingua raggiunto dagli studenti in quella fase di apprendi-
mento):
Risposta di Cristina:
. . Corsi di livello A e B
In base ai risultati del test valutativo gli studenti dei livelli A e B possono svolgere
un percorso didattico on–line o un corso in modalità presenziale o blended, con
una lezione (di ore) settimanale per settimane, e ore di lavoro autonomo o
percorso online.
Il nome dato dal Centro Linguistico di Ateneo a questi percorsi è CLACSON,
acronimo derivato da CLA (Centro Linguistico di Ateneo) CourseS On the Net.
I corsi CLACSON si rivolgono a studenti che abbiano già alcune conoscenze
linguistiche. Questi studenti infatti possono sfruttare al meglio le possibilità offerte
dall’auto–apprendimento, formandosi in modo autonomo e seguendo i propri
ritmi personali, traendo vantaggio dalla grande quantità di materiali proposti e
dalla flessibilità dei percorsi impostati.
Ogni corso è strutturato in diversi moduli (normalmente per ogni livello) che
comprendono attività di lettura, esercizi e spiegazioni grammaticali, brani audio e
video con esercizi interattivi, collegamenti a siti Internet, attività per l’ampliamento
del vocabolario e molte altre attività per lo sviluppo delle abilità linguistiche. La
creazione dei moduli è stato il risultato di un lavoro intenso di disegno per l’elabo-
razione dei contenuti e della metodologia secondo il Quadro Comune Europeo, il
Plan Curricular del Instituto Cervantes e la piattaforma Moodle.
Esempio dell’indice di uno dei moduli di livello B (Fig.).
di interazione con attenzione ad aspetti di comunicazione non verbale (dai vestiti alla
mimica), a riflettere sulle tecniche di correzione del partner, alla diversità e alla dimensione
transculturale. La fase di avvio si caratterizza per uno scambio di un’ora settimanale metà
in una lingua e metà nell’altra durante settimane.
. La memoria a lungo termine si divide in memoria esplicita, dichiarativa o narrativa
(ed è intenzionale) e si occupa dell’immagazzinamento dei dati attraverso il linguaggio.
Invece la memoria implicita o automatica si riferisce alle abilità o capacità, a come si fanno
le cose (Unioviedo, url). E’ in rapporto con le emozioni che giocano un ruolo fondamentale
Magdalena Jiménez Naharro, Carmen Merchán Rodríguez
Figura . Alcune delle attività con forum, Indice del modulo , livello B.
Il contributo del CLA dell’Università degli Studi Roma Tre [. . . ]
Figura . Esempio di interventi in uno dei forum proposti agli studenti, livello A.
Magdalena Jiménez Naharro, Carmen Merchán Rodríguez
Negli ultimi anni è diminuito il numero di studenti per classe dovuto al fatto che le
Facoltà più numerose come Economia e Scienze della Comunicazione hanno elimi-
nato la seconda o terza lingua dai loro programmi di studi. Il livello di conoscenza
della lingua degli studenti è più alto a causa della grande presenza dello spagnolo a
livello scolastico. Il precedente scarso interesse degli studenti preoccupati soltanto
a ottenere i crediti attualmente è cambiato, sia soprattutto per la natura degli studi
della maggioranza degli studenti (Scienze Politiche, Giurisprudenza), sia per i loro
Figura . Esempio di interventi in uno dei forum proposti agli studenti, livello A.
Magdalena Jiménez Naharro, Carmen Merchán Rodríguez
Bibliografia
Sitografia
CARATTERISTICHE
DEL LINGUAGGIO POLITICO.
I LINGUAGGI SETTORIALI
Lingue e politica
ISBN 978-88-548-9113-5
DOI 10.4399/978885489113510
pag. 133–143 (giugno 2016)
. Allo stato attuale la conoscenza delle lingue straniere è un fattore che
favorisce un impiego sicuro e l’inserimento nel mondo del lavoro. La gestione
degli scenari internazionali in continua evoluzione ed espansione viene agevolata
appunto dalla conoscenza di una o più lingue straniere. La condizione di stallo
in cui versano interi settori economici e contesti politici impone la conoscenza
delle lingue, il che non si traduce soltanto nella capacità di mantenere rapporti
diplomatici o intrattenere conversazioni di registro amicale. In ambito professio-
nale, parlare una lingua straniera implica il sapersi esprimere con padronanza,
impiegando un linguaggio settoriale corrispondente al proprio campo lavorativo.
Nella presente relazione è nostra intenzione riflettere su un tema puntuale e di
notevole interesse per gli studenti di Scienze Politiche. In concreto proponiamo
l’analisi di alcuni linguaggi detti settoriali/speciali, con particolare riferimento al
linguaggio giuridico, amministrativo e politico secondo un’ottica fraseologica e
paremiologica.
∗
Università degli Studi Roma Tre, luisa.messinafajardo@uniroma.it.
Luisa Allesita Messina Fajardo
Introduzione
Conoscere le lingue straniere oggi, più ancora che nel passato, è un’abilità richiesta
dal mercato. La padronanza di una o più lingue straniere costituisce infatti già da
tempo un prerequisito indispensabile per l’inserimento nel mondo del lavoro.
La crisi attuale, nel mettere in discussione equilibri consolidati, determina
scelte inedite e impone nuovi ostacoli da superare; conoscere le lingue straniere
(con competenze specifiche definite “settoriali”) significa allora essere in grado
di affrontare scenari internazionali in continua evoluzione e mutamento, nonché
poter assurgere al ruolo di veri protagonisti del cambiamento. Ma oltre a ciò si
tengano in considerazione la saturazione del mercato occupazionale italiano e la
necessità di spostarsi all’estero, così come la conseguente urgenza di ripensare in
maniera strategica il proprio futuro.
In questo scenario lo spagnolo va considerato come una lingua di “potere” per
il numero sempre crescente di locutori (oltre milioni) e lo spazio planetario
che abbraccia; tale caratteristica rende la lingua spagnola peculiare in quanto
supera un contesto geografico specifico, a differenza del giapponese e del cinese
che sono sì importanti, ma perché rappresentano la base della comunicazione
nel settore economico in un dato quadrante territoriale, con aree di utenza in
costante crescita in conseguenza dello scambio di beni e servizi con l’Occidente.
Per lo stesso motivo è utile conoscere l’arabo, lingua preponderante nel bacino
del Mediterraneo. Restare al passo coi tempi significa inoltre parlare le altre lingue
ufficiali dell’Unione Europea, come il tedesco, l’inglese e il francese, vale a dire
dei paesi con i quali più frequenti sono le occasioni di contatto e interrelazione.
Fraseologismi frequenti nei linguaggi giuridico, amministrativo e politico
Tuttavia, conoscere una lingua straniera non vuole dire soltanto sapersi districare
in una conversazione amicale o familiare: implica piuttosto la capacità di esprimersi
con padronanza, impiegando un linguaggio settoriale corrispondente al proprio
ambito professionale .
Per linguaggi settoriali intendiamo diverse tipologie di linguaggi. Tra questi si
annoverano:
In questa sede, nella quale si vuole riflettere sulla necessità dello studio delle
lingue straniere nelle facoltà o nei dipartimenti di Scienze Politiche , desidero
. Anche se soltanto in una nota, desidero descrivere la situazione attuale del Dipar-
timento di Scienze Politiche dell’Università di Roma Tre. Innanzitutto occorre dire che
l’ex–Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Roma Tre, costituita nel ,
è riuscita ad adattarsi a tutti gli eventi che negli ultimi anni hanno coinvolto il sistema
accademico di cui fa parte. Si è potuta affermare con grande capacità a livello nazionale
e internazionale, mettendosi al passo con i tempi e adeguandosi alle necessità dei suoi
utenti/studenti. I corsi di laurea della Facoltà di Scienze Politiche formano figure profes-
sionali con competenze multidisciplinari in grado di operare nei settori delle relazioni
internazionali, dell’economia, nel campo gestionale di organizzazioni pubbliche e private.
Alla luce di tutto questo, rivestono notevole importanza i programmi internazionali di
scambio e di cooperazione, come Erasmus, Socrates ecc., che incentivano la mobilità degli
studenti e dei docenti; tale aspetto mette in luce fino a che punto la conoscenza delle lingue
straniere sia diventata un imperativo. D’altro canto, proprio perché una delle prospettive
del lavoro è rappresentata, oggi, dalle relazioni internazionali, i corsi di studio hanno
notevolmente incrementato l’offerta didattica nelle lingue straniere. Gli studenti iscritti al
corso di Laurea Triennale in Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali sostengono
infatti due esami, uno per la prima lingua e uno per la seconda, per un totale di CFU.
L’insegnamento linguistico (primo anno, prima lingua: inglese; secondo anno, seconda lin-
gua: spagnolo, francese, tedesco) nel corso di Laurea Triennale in Scienze Politiche e delle
Relazioni Internazionali mira a fornire gli strumenti adeguati per acquisire la competenza
linguistica di livello B del Quadro Comune Europeo di Riferimento, con un’attenzione
alle quattro abilità di base, ovvero comprensione e produzione di testi scritti, comprensione
ed espressione orali; ma oltre a ciò il corso si pone come obiettivo anche le competenze
socio–culturali (ricordiamo che la dicitura della disciplina è “Lingua, Cultura e Istituzioni
dei Paesi di Lingua Spagnola/Inglese/Tedesca/Francese”). Il materiale bibliografico di
riferimento è scelto ad hoc per permettere di familiarizzare con linguaggi, tematiche e testi
specialistici. L’obiettivo generale è quindi l’acquisizione di una competenza comunicativa
sia a livello di lingua scritta sia a livello di lingua orale, con un’attenzione mirata, come
già detto, agli elementi socio–culturali. Per quanto riguarda il corso di Laurea Magistrale
(curriculum internazionale), è previsto un solo insegnamento annuale per la lingua scelta
( CFU), il cui obiettivo è il raggiungimento di una competenza comunicativa soprat-
tutto di carattere culturale (ricordiamo che la disciplina è “Cultura dei Paesi di Lingua
Spagnola/Inglese/Tedesca/Francese”). Difatti, il materiale didattico prevede l’utilizzo di
testi di ambito storico, politico, giuridico, economico, geografico dei paesi della lingua
stessa. È importante sottolineare un dato: per quanto riguarda lo spagnolo, il corso dedica
attenzione ai linguaggi specialistici: politico, giuridico e amministrativo a livello lessicale e
fraseologico, e contrastivo spagnolo–italiano. Nonostante ciò, emerge che lo studio delle
lingue a Roma Tre deve comunque essere incrementato; invece di un solo corso semestrale,
Fraseologismi frequenti nei linguaggi giuridico, amministrativo e politico
sarebbe opportuno organizzarne almeno due, così come sarebbe auspicabile incrementare
i crediti riservati alle lingue, perché gli studenti che si laureano in Scienze Politiche e delle
Relazioni Internazionali sono tenuti a una conoscenza approfondita delle discipline lingui-
stiche. Le esigenze di questi studenti differiscono infatti da quelli degli altri corsi di studio.
L’insegnamento abbraccia sì le modalità tradizionali (grammatica, pronuncia, lessico ecc.),
ma vuole dedicare un occhio di riguardo soprattutto alle competenze sulle lingue settoriali
e su alcuni aspetti peculiari (storico, politico, giuridico, amministrativo, economico) dei
paesi della lingua studiata. La metodologia adottata privilegia spesso la lettura di articoli di
giornali esteri, di testate disponibili on–line, e questo perché Internet permette di trattare
argomenti di natura diversa con immediatezza e in tempo reale, agevolando di contro lo
studio del lessico e della fraseologia; nel frattempo, stimola la capacità di ricerca e rende
spontanea una riflessione metalinguistica e contrastiva, e infine attenua le difficoltà nel
reperire materiale didattico (manuali, eserciziari, test, raccolte di simulazioni) destinato ai
corsi di studio.
. Un vero e proprio refranero sarà pubblicato nel XV secolo: Seniloquium; subito
Luisa Allesita Messina Fajardo
dopo uscirà Refranes que dizen las viejas tras el fuego (Sevilla, ), attribuito al Marqués de
Santillana. Cfr. Messina Fajardo, .
. Considerando la fraseologia, come è stata concepita dal sovietico Polivanov nel
, cioè una scienza linguistica che studia il significato delle unità linguistiche di carattere
stabile.
. Ricordo che in Italia, grazie all’iniziativa di alcuni ispanisti, è nata l’Associazione
Italiana di Fraseologia e Paremiologia PHRASIS, di cui chi scrive è promotrice e attuale
Segretaria Generale.
Fraseologismi frequenti nei linguaggi giuridico, amministrativo e politico
tre aree possono essere studiate secondo due prospettive “enfoques”: quella della
lingua generale e quella della lingua settoriale; in ultima analisi, riconducibile a una
mia ipotesi, nei corsi di studio di Scienze Politiche, soprattutto in quelli specialistici,
è importante conoscere i diversi linguaggi (giuridico, amministrativo e politico)
non solo dal punto di vista lessicale ma essenzialmente da quello fraseologico.
Osserviamo dunque il seguente quadro riassuntivo:
Lingua generale a pié juntillas, a ojos poner fin, a sacar a la Cada maestrillo tiene su
vista, en un plis plas, luz, tomar posesión, librillo; Zapatero a tus
llover a cántaros, hablar tomar en consideración. zapatos; Donde va
por los codos, entre Vicente va la gente;
Pinto y Valdemoro. Hombre si cabeza, no ha
menester bonete; La
crítica es fácil, el arte
difícil.
Lingua speciale a efectos de, de librar un certificado, Más vale un mal arreglo,
conformidad con, a ayudas públicas, frente que un buen pleito;
instancia de, en el común, toma de Abogado, juez y doctor,
supuesto de, según lo posesión, programa cuanto más lejos mejor;
dispuesto electoral, decaer en su In dubio pro reo; Nulla
derecho, elevar un poena sine crimine;
escrito, incoar un Exceptio veritatis
expediente
Stabilire una netta distinzione tra le varie figure fraseologiche non sempre è
operazione univoca e automatica. Ancora oggi si riscontrano in proposito forti
controversie e perplessità. Così come non è facile tracciare una netta divisione
tra linguaggio “generale” e linguaggio “settoriale”, anche perché spesso, se ciò
che è generale si afferma nella lingua come settoriale o, viceversa, dal linguaggio
settoriale si passa al linguaggio generale , allo stesso modo non sempre risalta la
separazione tra linguaggi “settoriali” e “speciali”. Si tratta tuttavia di un aspetto
che non vogliamo prendere in considerazione in questa sede, anche perché la
bibliografia ormai è assai vasta.
Piuttosto, ci preme sottolineare il carattere interdisciplinare dello studio della
fraseologia e della paremiologia. Quest’ultima, ad esempio, è andata ritagliandosi
nel corso dei secoli uno spazio notevole in ambito giuridico così come anche
in altri settori scientifici. È un dato inconfutabile che gli aforismi siano sempre
stati utilizzati quale mezzo di trasmissione del sapere. I primi, come afferma John
Gross nel suo libro The Oxford Book of Aphorisms (), sono ricavati dalle formule
dedicate all’insegnamento della medicina, a opera di Ippocrate.
Ma anche nel linguaggio giuridico gli aforismi (denominati “brocardi”) sono
molto frequenti e la loro presenza rimarca il carattere settoriale di questo particola-
re codice. Alcune formule come: “in dubio pro reo”, “nulla poena sine crimine”,
“exceptio veritatis”, sono ancora oggi frequenti. Il ricorso alla lingua latina (che è la
lingua del diritto romano) mette in evidenza tale specificità nello spagnolo odierno,
peraltro sottolineata da altri aspetti come: l’impiego di arcaismi (“debitorio”, “orto-
sí”, “proveído”, “pedimento”, “por esta mi sentencia”); la presenza di tecnicismi
specifici (“débito”, “fehaciente”, “diligencia”, “decaer en su derecho”, “elevar un
escrito”, “incoar un expediente”, “librar un certificado”) e latinismi (“ignorantia
iuris nocet”, “ignorantia legis non excusat”).
Nella formulazione dei brocardi la forma verbale più utilizzata risulta quella
passiva e il modo più frequente il congiuntivo, contrariamente a quanto avviene
nella lingua comune. Il linguaggio giuridico può essere considerato un codice scien-
tifico settoriale che risponde a precise regole di logica normativa. È un linguaggio
intriso di tecnicismi e dotato di una peculiare terminologia. Poiché deve evitare
l’ambiguità, deve essere necessariamente chiaro, preciso, comprensibile ed efficace,
anche se non sempre è così. Talvolta l’uso eccessivo di fraseologismi, in particolare
di locuzioni prepositive e avverbiali, rende il linguaggio molto complesso se non
complicato. Come esempio potrei citare: “a efectos de”, “de conformidad con”, “a
instancia de”, “en el supuesto de”, “según lo dispuesto en” ecc. Si tratta spesso di
formule prive di vero contenuto e che servono solo come sostegno alla struttura
testuale. In ogni caso, la loro presenza conferisce maggiore forza al testo ma lo
cristallizza in una dimensione ancora più rigida e formale. Analogamente sono
molto frequenti le formule stereotipate che rendono la prosa lenta e spesso caco-
fonica come: “vacación anual mínima retribuida”, “decisión arbitral obligatoria”,
“estimación parcial de la demanda”, “ejecución provisional de la sentencia”, “previa
diligencia del reparto”.
Se ne ricava che i linguaggi sia giuridici sia amministrativi, così come lo stesso
linguaggio giuridico–amministrativo, risultano molto convenzionali e conservatori,
fino a creare una barriera a volte insuperabile perché si presentano molto distanti
dal linguaggio generale o di uso comune. Non è un caso se attualmente, in alcuni
paesi, si sta conducendo una vera lotta per la semplificazione del linguaggio della
Pubblica Amministrazione, affinché questo risulti più chiaro e comprensibile da
parte di un pubblico più ampio.
A differenza del linguaggio giuridico–amministrativo, il linguaggio politico
risulta invece più accessibile, perché per natura e funzioni deve essere il più vicino
possibile a chi ascolta: suo scopo principale è convincere il destinatario. Il binomio
linguaggio–politica non nasce in epoca moderna, ma risale già alle riflessioni
aristoteliche circa le modalità retoriche con cui persuadere l’uditorio fino all’ac-
cettazione delle tesi proposte. Il discorso politico, infatti, mette in primo piano la
funzione conativa del linguaggio, puntando alla ricerca del consenso e all’adesione
convinta. È quindi evidente che le scelte linguistiche dei politici non dipendono
tanto dal contenuto del messaggio da trasmettere, bensì obbediscono a strategie
comunicative spesso ben orchestrate. Ne deriva una tipologia di lingua fortemente
orientata al ricevente. È per questo motivo che per il politico, il linguaggio deve
in primo luogo fondarsi su un’adeguata conoscenza del destinatario/cittadino, a
partire dal suo livello sociale e culturale. Nel discorso politico, dunque, il ricevente
viene considerato il perno attorno al quale ruota ogni argomentazione, in quanto
è dal consenso che dipende la sopravvivenza del politico. Un altro aspetto che
non va trascurato riguarda i mezzi attraverso i quali vengono trasmessi i messaggi
dei politici: cioè le forme e i modi della produzione, della circolazione e della
ricezione, a partire dai media tradizionali come la stampa, la radio, la televisione,
fino al potenziale offerto da Internet e dalle piattaforme virtuali quali Facebook
e Twitter. I mezzi di comunicazione di massa più moderni consentono ormai
all’uomo politico di rivolgersi nel medesimo istante a un pubblico variegato, a per-
sone geograficamente distanti e culturalmente diverse. Guadagnare voti, vincere
le elezioni sono gli obiettivi principali della lingua nella comunicazione politica in
un sistema di democrazia rappresentativa. Di più, sono i fattori determinanti sui
quali si reggono tutte le strategie retoriche di un politico. Cosicché l’introduzione
nel discorso di unità fraseologiche, e spesso anche di proverbi, non è che un modo
per catturare l’attenzione del cittadino/destinatario.
Conclusioni
Bibliografia
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ty.
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P M, Inmaculada (), La enseñanza de las unidades fraseo-
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Z O, Alberto (), Introducción al estudio de las expresiones
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Lingue e politica
ISBN 978-88-548-9113-5
DOI 10.4399/978885489113511
pag. 145–160 (giugno 2016)
. In this article the postulates of contrastive linguistic are applied to the
study of Italian and Spanish political language. Most terms proposed are extracted
from the Diario de Sesiones del Congreso de los Diputados and at these terms follow
the italian translations. So, in this study we deal with the “false friends” (most
of all are “illusory” ones) between the Spanish and the Italian political languages.
Moreover, we’ll try to point out that the transfer mechanism from one language
to another of compound and modified words, is not always automatic, especially
when the two languages are similar; in fact in this case one can refer to homology
but not to identity.
. Introducción
Armando Francesconi
. La situación de comunicación
El Diario de Sesiones del Congreso de los Diputados será, pues, la fuente de nuestro
corpus de estudio (desde la Legislatura Constituyente, –, hasta ) y
nuestro análisis no será retórico, es decir, no nos ocuparemos de las finalidades
del lenguaje político, sino lingüístico — tanto de tipo cualitativo como cuantitativo
— y se concentrará sobre todo en los aspectos léxicos y semánticos. Por eso, en
este artículo vamos a emplear los recursos de la lingüística contrastiva poniendo
de relieve los falsos amigos (sobre todo los “ilusorios”), las palabras–clave (mejor
dicho, las palabras–testigo), las palabras compuestas y, finalmente, los nombres
alterados (diminutivos, despectivos, etc.).
Sin embargo, aunque en nuestro estudio nos concentraremos en el análisis
formal y semántico, ni siquiera olvidaremos que en el debate parlamentario “aun
cuando un fragmento de habla o texto sea aparentemente monólogico, suele contar
con una organización diálogica implícita que refleja los discursos de la oposición
en la cultura política inmediata” (Van Dijk, : ).
a) Los llamados “falsos afines”: vocablos exactamente iguales por su forma pero
con diferente significado. La polisemia es el punto de partida de esos “falsos
amigos”: el español “asilo” no es el italiano asilo (“institución educativa que
acoge a niños de tres a seis años”) sino “jardín de infancia”, calcado del alemán
Kindergarten.
b) Los “afines ilusorios”, los deceptive cognates de Lado (: ), son las palabras
transparentes de Doppagne (: –). Por ejemplo, el inglés actual (“real”,
“efectivo”), francés actuel, holandés aktueel, español actual, italiano attuale. El
. “Comparing the foreign language vocabulary with that of the native language
we will find words that are () similar in form and in meaning, () similar in form but
different in meaning, () similar in meaning but different in form, () different in form and
in meaning, () different in their type of construction, () similar in primary meaning but
different in connotation, and () similar in meaning but with restrictions in geographical
distribution”.
Armando Francesconi
. Véanse unos sintagmas que propone Laura Tam (): “ECON “convenio bilateral”:
accordo bilaterale/ BUR POL “convenio CE”: convenzione CE/ JUR “convenio colectivo”:
contratto collettivo di lavoro/ COM “convenio comercial”: accordo commerciale/ JUR “convenio
de acreedores”: concordato preventivo/ COM “convenio de pago”: accordo di pagamento/ BUR
ECON “convenio salarial”: accordo salariale”.
Análisis y traducción al italiano del Diario de Sesiones [. . . ]
El señor Mardones Sevilla, de octubre de , núm. , p. : ¿Por qué
tenemos que mezclar aquí, con una actuación profesional en los niveles de
trabajo, una restricción del incremento retributivo? Señor presidente, si esto
se dijera en un convenio colectivo, el interlocutor social y los tribunales de
lo social lo rechazarían inmediatamente, con una jurisprudencia que viene
incluso del Tribunal Supremo.
“Actuación” y “fiscal”:
“Asesor (–a)”:
“Asesoría”:
“Audiencia” y “fiscalía”:
Las palabras clave expresan una sociedad, un sentimiento, una idea. Estas están
indisolublemente unidas a la cultura que las ha producido (culture bound) como
es el caso del italiano tamponamento o de los españoles “hidalgo” y “sobremesa”.
Añadiría palabras que nos sugieren Maria Vittoria Calvi (: ) y Amando De
Miguel (: ):
. Según la terminología adoptada por Miguel Ángel Rebollo Torío (: –), que
a su vez se refiere a los estudios lingüísticos de Georges Matoré (), hay “palabras–clave”
y “palabras–testigo”: “la palabra testigo se convierte en un término fundamental de una
época dada. Sin embargo, en un mismo período de tiempo determinado puede existir más
de una palabra–testigo; hay que llegar, por consiguiente, a un único término que exprese
el ideal de una sociedad, es decir, a una palabra–clave”.
Armando Francesconi
por óptima que sea. En efecto un “rodillo decisional” quiere decir un dominio
legislativo schiacciante:
. “Sin embargo, es una expresión que, pese a ser utilizada por personalidades rele-
vantes, Carretero, Fraga, etc. no deja de ser, como diría Andrés de Blas, una fórmula ‘bien
intencionada pero imprecisa.’” Véase, Juan Maldonado Gago (: –).
Análisis y traducción al italiano del Diario de Sesiones [. . . ]
perché hanno “hechos diferenciales” , sia perché hanno approvato per primi
il loro Statuto o semplicemente perché hanno saputo negoziare meglio).
Usted sabe, señor candidado, que en las conversaciones que hemos man-
tenido no ha habido el menor asomo de chalaneo ni de tenderetes, ni ha
habido mercado. Marcos Vizcaya (PNV) DS, –II–, p. .
Añadimos también a las palabras “culture bound” los insultos y los “tacos” por
ser expresivos y privativos del lenguaje coloquial y familiar. De todas maneras, y
precisamente por eso, es díficil encontrar tales recursos lingüísticos en el Diario,
ya que los discursos de los parlamentarios en la Cámara son formas complejas de
diálogo institucional más o menos preparadas o espontáneas, o sea, son expresión
de funciones sociales y políticas distintas de lo que ocurre en la interacción cara a
cara. En la obra citada de Núñez Cabeza y Guerrero Salazar, hay una buena muestra
de esas “armas” que los políticos emplean para descalificar a sus adversarios incluso
en lo que se refiere a lo personal. Entre ellos, vale la pena señalar algunas formas
de inequívoco sabor español: “alzacola” (portaborse, factotum) y por extensión
“pelotillero” (lecchino, leccaculo), “chanchullo” (imbroglio, intrallazzo), “chusquero”
(en el lenguaje militar es el militare di carriera pero en el político pasa a ser arrivista),
“fontanero” (eminenza grigia). Fueron famosos los “fontaneros de la Moncloa” de la
época de Suárez que según Anthony Gooch (: ) derivan del concepto del
Water–gate: “[. . . ], entremezclando más o menos consciente o inconscientemente
con la idea de váter (water–closet). Los ‘fontaneros’ fueron un día los ‘back–room
boys’ de la política española”.
El señor Presidente del Consejo General del Poder Judicial (Sala Sánchez),
de junio de , núm. , p. : Ha emitido informe sobre el anteproyec-
to de ley orgánica penal y juvenil y del menor, que no se ha convertido en
texto legal por esta razón a que me refería con anterioridad.
Bibliografía
Sitografía
http://translationjournal.net/journal/politics.htm (––).
http://pendientedemigracion.ucm.es/info/nomadas/ (––).
Lingue e politica
ISBN 978-88-548-9113-5
DOI 10.4399/978885489113512
pag. 161–171 (giugno 2016)
. The following paper is divided into two parts. In the first one I briefly talk
about the theme of the standard language and the languages for special purposes,
paying particular attention to the language of Law. In the second part I study the
numerous grammatical, lexical and phraseological Latinisms and archaisms in the
Spanish for Law.
La palabra “derecho” deriva del término latino directum, que significa “lo que
está conforme a la regla” (Corominas, : –), (Bogarín Díaz, : –).
El derecho constituye el orden normativo e institucional que refleja el sistema de
valores de una sociedad. El Diccionario de la Real Academia Española lo define como
un conjunto de principios y normas, expresivos de una idea de justicia y de orden,
que regulan las relaciones humanas en toda sociedad y cuya observancia puede ser
impuesta de manera coactiva (: ).
El sistema jurídico español es de origen romano–germánico, y se caracteriza
por normas jurídicas escritas que deben cubrir todas las necesidades normativas
de una determinada comunidad. La codificación de dichas normas “se desarrolla a
través de un lenguaje especializado que hunde sus raíces en la tradición cultural de
cada pueblo” (San Ginés Aguilar–Ortega Arjonilla, : ).
∗
Università degli Studi Roma Tre, daniela.natale@gmail.com.
Daniela Natale
Las “lenguas especializadas” son aquellas que, sin ser distintas en esencia de las
lenguas generales, con las que comparten rasgos fundamentales de tipo fonológico,
morfológico, sintáctico y gramatical, se caracterizan por el uso de una determinada
terminología, que sirve para la comunicación de informaciones específicas de
un área del saber. El término “lenguaje de especialidad” es una traducción del
francés langue de spécialité. Antes de que se acuñara este término en francés, ya
De Saussure (: ) las había denominado “lenguas especiales” y entre estas ya
mencionaba el lenguaje jurídico, o tecnolecto del mundo del derecho.
Eberenz destaca que la lengua del ámbito jurídico es uno de los primeros
lenguajes técnicos en romance. Asimismo, afirma que “como el lenguaje constituye
al mismo tiempo el instrumento imprescindible para cualquier actividad legislativa,
se observa desde muy temprano la configuración de usos lingüísticos peculiares
del ámbito jurídico” (: ).
Pero, como dice Lagüéns (: ), no podemos olvidar que, en cuanto lenguaje
sectorial, está profundamente atado al sistema general de la lengua histórica.
Además, algunos especialistas, entre los cuales destaca Busse (: –), afirman
que en el ámbito específico del mundo del derecho no se puede aplicar el concepto
de terminología a los conceptos jurídicos, del mismo modo en que se hace en
otros lenguajes de especialidad, por la falta de univocidad que los caracteriza, y
porque se considera que la función que tienen es de abrir espacios semánticos y
no la de restringirlos. Piénsese en que en el ámbito lingüístico español el término
“matrimonio” tras la reforma del Código Civil, aprobada por la Ley /, de
de julio, ya no es la unión entre hombre y mujer, sino la unión de dos personas.
Por lo tanto, el Derecho es una materia que se encuentra en constante cambio y
evolución, ya que “según en qué circunstancia y momento histórico se aplique la
norma, su ratio podría ser cambiante”(López y López–Montés Penadés, : ).
Dentro del lenguaje jurídico podemos distinguir un conjunto de sublenguajes,
como el lenguaje legislativo, el jurisdiccional, el administrativo, el notarial, el doc-
trinal, etc., que comparten algunas características generales, como el uso de un
vocabulario muy específico, caracterizado por la presencia de tecnicismos, como
por ejemplo novación y arcaísmos como debitorio (documento en que se responde
de alguna deuda), otrosí (además), proveído (resolución judicial interlocutoria o de
trámite), pedimento (escrito que se presenta ante un juez) y entre ellos muchos lati-
nismos como lato sensu (en sentido amplio), stricto sensu (en sentido estricto), a los
que hay que añadir la abundancia de fórmulas fijas, como por ejemplo “debemos
condenar y condenamos”, estereotipadas, “es mi íntima y sincera convicción”, que
poseen un carácter ritual, y cuyo sabor arcaizante da al discurso cierta solemnidad
(Calvo Ramos, : ). Destaca también la tendencia al empleo excesivo de verbos
no conjugados –infinitivos, participios y gerundios– como “accionar”, “perpetra-
do”, “escapando” y a nominalizar las estructuras — los verbos o acciones tienden
a transformarse en sustantivos, por ejemplo “desapoderamiento” — la elección de
estructuras impersonales “se encuentra probado”, y pasivas. Todo esto, sumado a
la presencia de hipotaxis, proliferación de estructuras subordinadas, y de parataxis
o coordinación con formas yuxtapuestas, en ocasiones dificulta la interpretabilidad
Acerca del uso de latinismos y arcaísmos en el lenguaje jurídico español
de los textos. Desde este punto de vista De Miguel () considera el lenguaje
jurídico como un “lenguaje fallido”. Para la lingüística forense (Gibbons, ) se
trataría de un “fracaso comunicativo”. En efecto, los textos jurídicos no se suelen
producir a fin de ser comprendidos por los ciudadanos, que son los destinatarios
directos de la Ley y del Derecho. El lector lego, o sea el ciudadano común, no es
tenido en cuenta, paradójicamente puesto que este es quien ha de cumplir estas
leyes. El lenguaje del Derecho se presenta opaco, denso y saturado de contenidos
(Cucatto, ), mientras, según ha observado Fritz Schulz (), el lenguaje
jurídico romano se distingue por su simplicidad, unidad y claridad. Palabras raras
o arcaicas casi nunca se usaban.
Un rasgo característico de la terminología jurídica es la utilización de préstamos
provenientes del latín, que se han incorporado al español manteniendo más o
menos, su forma original. Por el hecho de que el derecho español es heredero
del romano, una parte importante del léxico es de base latina. Algunos términos
son préstamos crudos, es decir, exclusivos del lenguaje jurídico, como por ejemplo:
inter vivos (entre vivos), mortis causa (por causa de muerte), ipso facto (en el acto),
ab intestato (sin testamento), corpore insepulto (cuerpo sin sepultar), de facto (de
hecho), de iure (de derecho), exequátur (ejecútese), modus vivendi (el modo de vivir,
de operar o trabajar), quorum (de los cuales), sui generis (de su proprio género o
especie), in fraganti (en el mismo momento de estar cometiéndose un delito) (Seco,
), etc. Otros son cultismos que se han adaptado a la lengua, como interdicto
(recurso sumario de posesión o prohibición), usucapión (de usucapio–usucapionis,
adquisición de un derecho mediante su ejercicio en las condiciones y durante el
tiempo previsto por la ley), así como muchos otros aforismos y locuciones en
latín que continúan usándose en la práctica judicial o en la doctrina, sin ninguna
adaptación. Entre ellos mencionamos in dubio pro reo (en la duda a favor del preso),
que es un principio general del derecho, y se impone como norma dirigida al
juzgador (Henríquez Salido), habeas corpus (cuerpo presente), que se refiere al
derecho del ciudadano detenido o preso a comparecer inmediata y públicamente
ante un juez o tribunal para que decida la validez del arresto, nemo poena sine crimine
(ninguna pena sin delito), exceptio veritatis (excepción de verdad o de lo verdadero)
y muchas otras expresiones y máximas latinas que mantienen su vigencia. Cabe
destacar también la presencia de latinismos que han llegado al español a través del
La huella del vocabulario latino, con algún que otro griego, y algún árabe,
revela el peso estructural mantenido en nuestro lenguaje forense, que, en
cuanto instrumento de expresión, denota a su vez la viveza de la herencia
recibida de la civilización matriz. Todo ello es revelador del imperio conser-
vador y tradicional del orden jurídico, en el que, los cambios siempre se
han visto amortiguados por la inercia ejercida por la Historia (: ).
El latín es una lengua muerta que se usa dentro del campo del Derecho por la
necesidad de la exactitud y la precisión que ofrecen los términos latinos. Los latini-
smos sirven para describir conceptos que ya tienen una larga vida de definición
establecida y su uso sirve también para una comunicación eficaz entre los espe-
cialistas del ámbito del Derecho, tanto nacionalmente como internacionalmente.
Además cabe destacar que el latín eclesiástico sigue siendo la lengua oficial de la
Iglesia Católica Romana de estos días y, por extensión, es la lengua oficial de la
Ciudad del Vaticano.
Según San Ginés Aguilar y Ortega Arjonilla:
Los latinismos siguen siendo muy presentes en los textos jurídicos, ya que el
Derecho Romano, y por consiguiente el latín, ha tenido influencia sobre casi todos
los países europeos, y también los de América Latina, debido a la colonización
española. Como el latín fue la lengua franca de la intelectualidad europea hasta
el siglo XVIII, muchas expresiones en ese idioma se han seguido usando hasta
nuestros días en las ciencias y en las profesiones, particularmente en las jurídicas,
que tienen fuertes raíces en el Derecho Romano. Apenas existe un país donde el
Derecho no ha sido influenciado por el Romano y por eso se puede decir que
el latín es “la lengua franca del derecho” (Cancino, : ), o sea un idioma
adoptado para un entendimiento común entre especialistas o juristas de todo el
mundo, no importa la lengua que se use. La utilización de voces o de locuciones
latinas se justifica por el principio de economía del lenguaje, porque encierran
gran precisión jurídica y concisión, y evitan, o por lo menos no facilitan, que
profesionales del Derecho tengan diferentes interpretaciones. Además expresan
conceptos básicos, muy concretos, son monorreferenciales, unívocas y universales.
En la lengua jurídica pervive el uso, hoy prácticamente olvidado en la lengua
común, de tiempos verbales como el futuro imperfecto del subjuntivo (Blecua,
Acerca del uso de latinismos y arcaísmos en el lenguaje jurídico español
: ). Este tiempo se conserva como arcaísmo en algunos dichos y prover-
bios, como por ejemplo “pleitos tengades y los ganedes” y en textos normativos
muy importantes, como el Código Civil de , todavía vigente –art. .: “Las
leyes no tendrán efecto retroactivo si no dispusieren lo contrario”, y en textos
más modernos como la Constitución Española de : “Don Juan Carlos I, Rey
de España, a todos los que la presente vieren y entendieren” , en el art. .:
“Cuando se propusiere la revisión total de la Constitución [. . . ] se procederá” en
los artículos ., ., ., ., ., ., ., ., ., ., ., ..,
., ., ., y además en la Disposición Transitoria Segunda de la Consti-
tución. En las más recientes leyes españolas se sigue utilizando dicho tiempo,
como en la Ley Orgánica del Código Penal de , art. .: “El que matare al
Rey [. . . ] será castigado”. La ley quiere dejar claro que dicho supuesto es solo
eventual, y no tiene por qué ocurrir. El futuro de subjuntivo es exclusivo para el
uso formal y en tercera persona. No puede aparecer en oraciones subordinadas,
regidas por verbos como “dudar” o “desear”, que Bello (: ) agrupa en
un tipo específico de subjuntivo, al que denomina “hipotético”. El tiempo en
cuestión se emplea también en los países hispanohablantes de América Latina.
Véase, por ejemplo, el art. del Tratado Constitutivo de Mercosur , en el que
se lee: “El grupo mercado común podrá constituir los subgrupos de trabajo
que fueren necesarios para el cumplimiento de sus cometidos”, y el art. del
Tratado de Libre Comercio de América del Norte , del que México es parte
signataria: “sea cual fuere su origen”.
Actualmente, es frecuente verlo reemplazado por otro tiempo del subjuntivo,
por ejemplo: “Quien insultare a la reina”, se dice, “Quien insulte a la reina” y “Sea
lo que fuere”, ha sido transformado en “Sea lo que sea”.
En ocasiones, como destaca Alvar (: ), equivale a un presente o un
imperfecto de ese mismo modo verbal: “De omne que firiere o matare al vezino
de Sepulvega”.
Los deícticos como “antedicho”, “susodicho”, son igualmente característicos
de este lenguaje de especialidad, así como “otrosí” e “ítem” (Espinosa Elorza,
). Es además común el uso de “ninguno” y “nadie” acompañados de la
negación non (Alvar, : –) y la posposición de los pronombres átonos en
. “Se refiere a las cuantiosas pérdidas que puede acarrear un pleito tanto si se gana
como si no, pues, aunque resulte favorable la sentencia, lo habitual es que no se quede en
uno solo, con el consiguiente gasto, que en ocasiones acarrea la ruina”. Véase el Refranero
multilingüe en http://cvc.cervantes.es/lengua/refranero/ficha.aspx?Par=&Lng=
También existe una variante popular que se atribuye, erróneamente, a los gitanos:
“Pleitos tengas y los ganes”.
. http : / / www . boe . es / aeboe / consultas / enlaces / documentos /
ConstitucionCASTELLANO.pdf
. http://www.boe.es/boe/dias////pdfs/A--.pdf
. http://www.rau.edu.uy/mercosur/tratasp.htm
. http://idatd.eclac.cl/controversias/Normativas/TLCAN/Espanol/Tratado_de-
_Libre_Comercio_de America_del_Norte–TLCAN.pdf
Daniela Natale
original latino, pero sin constituir discursos autónomos por sí mismas. Algunos
fraseologismos como pacta sunt servanda (lo pactado obliga); res inter alios acta
nobis nec nocet nec prodest (la cosa que ha sido hecha entre unos no perjudica ni
aprovecha a los otros); tempus regit actum (el tiempo rige el acto), son sin duda
ejemplos de lo que Corpas () o Pamies () llaman “frases proverbiales”,
subclase no sentenciosa de los “enunciados fraseológicos”. Cabe destacar que no
todas son “paremias”, pues, en contexto real, no tienen siempre carácter “senten-
cioso”, a menudo se trata más bien de lo que García Page () llama “locuciones
oracionales”.
Ejemplos más prototípicos de paremias jurídicas en latín son: Ignorantia iuris
nocet (el error de derecho perjudica); Ignorantia legis non excusat (la ignorancia de
la ley no excusa de su cumplimento); Lex posterior derogat priori (la ley posterior
deroga a la anterior), que enuncian verdades generales, invocadas como principios
superiores más o menos sacralizados por la tradición del derecho romano, y
que se siguen conservando con su forma original hasta la actualidad, con gran
aprecio entre los operadores jurídicos, debido al prestigio que el latín mantiene
en este campo, por haber servido para regular las actividades humanas desde la
Antigüedad.
Bibliografía
Sitografía
http://cvc.cervantes.es/lengua/refranero/ficha.aspx?Par=&Lng=
(//)
http://www.boe.es/aeboe/consultas/enlaces/documentos/Constitucion\
CASTELLANO.pdf (//)
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http://idatd.eclac.cl/controversias/Normativas/TLCAN/Espanol/Tratado
_de_Libre_Comercio_de America_del_Norte–TLCAN.pdf (//)
http://www.ucm.es/info/circulo/no/demiguel.htm (//).
http://intercambios.jursoc.unlp.edu.ar/ (//)
Lingue e politica
ISBN 978-88-548-9113-5
DOI 10.4399/978885489113513
pag. 173–186 (giugno 2016)
Premessa
Negli anni ’, prima ancora che la pragmatica del linguaggio mettesse l’accento
sull’enunciato in quanto “atto di parola” contestualmente situato in un quadro
d’azione — speech act nella terminologia di Austin — già Charles Bally, nell’inaugu-
rare gli studi stilistici, rifletteva dal suo canto sul “carattere attivo” del linguaggio,
∗
Università degli Studi Roma Tre, laura.santone@uniroma.it.
Laura Santone
con una particolare attenzione per il linguaggio spontaneo, in cui rinveniva una
tensione costante, ovvero il “besoin perpétuel de réaliser une fin”, “cette tendance
qui pousse la parole à servir l’action”. “Le langage” — continuava — “devient alors
une arme de combat: il s’agit d’imposer sa pensée aux autres: on persuade, on
prie, on ordonne, on défend; on ménage l’interlocuteur, on esquive son attaque,
on cherche à capter sa faveur [. . . ]” (: –).
Gli anni ’ registrano, in Francia, anche i primi impieghi dello slogan, che
comincia ad imporsi quale formula di lancio commerciale. Dal gaelico “sluagh
gairm” — il “grido di guerra” dei clan scozzesi — ad esso fa ricorso dapprima
la pubblicità, che ne fa il perno, insieme alla fotografia, della propria strategia di
persuasione, e subito dopo, negli anni ’, la propaganda fascista, che declina le
tecniche pubblicitarie per l’impatto di massa della propria ideologia . Nell’un caso
come nell’altro lo slogan è un’ “arma”: a contare, più che il suo significato, è la
sua forza d’urto, la sua capacità di colpire il bersaglio, ovvero captare il polo del
destinatario. E, vale la pena ricordarlo, mentre in Francia, in Italia e in Spagna è la
pubblicità che piega la formula al servizio della politica, nei paesi anglosassoni è
l’inverso, in quanto lo slogan registra in un primo momento un uso politico per
poi affermarsi, a partire dal , come formula pubblicitaria.
Fatta questa breve premessa, si tratta ora di capire cos’è esattamente uno slogan.
Ne proporremo una prima focalizzazione attraverso un approccio lessicografico
contrastivo, andando cioè a reperire le definizioni che del lemma troviamo nel
Grand Robert de la langue française, nel Trésor de la langue française, nel Diccionario de
la Real Academia Española, nel Garzanti e nel The Oxford English Reference Dictionary.
Andremo poi a precisarne ulteriormente i tratti connotativi alla luce del Dictionnaire
d’analyse du discours () di P. Charaudeau e D. Maingueneau, dove, come noto,
centrale è nel trattamento delle voci repertoriate l’apporto derivante alla linguistica
dalle discipline delle scienze sociali.
. Riportiamo, a titolo di esempio, alcuni slogan che, nel tempo, si sono consolidati
quali veri e propri «detti» della lingua parlata: “chi si ferma è perduto”, “chi osa vince”, “me
ne frego”, “datevi all’ippica”, “meglio un giorno da leone che cento da pecora”. . .
Slogan e campagne presidenziali. Tra retorica, politica e propaganda
Une formule concise et expressive, facile à retenir, utilisée dans les campa-
gnes de publicité, de propagande, pour lancer un produit, une marque, ou
pour gagner l’opinion à certaines idées politiques ou sociales.
Slogan (del inglés slogan) fórmula breve y original, utilizada para publicidad,
propaganda política, etc.
Il nostro Garzanti, dal suo canto, analogamente al TLF rimarca, insieme al-
la concisione, che inizia a delinearsi come il tratto semico di base, la facilità
mnemonica:
Roman Jakobson, nel , a conclusione del convegno che aveva riunito alla In-
diana University antropologi e linguisti , nel tirare le fila di quell’intenso dibattito
intellettuale affermava che “la propriété privée, dans le domaine du langage, ça
n’existe pas, tout est socialisé” (: ). Lasciava, cioè, intendere che il linguaggio,
nervatura stessa delle relazioni umane, non poteva essere scisso dal dialogo e dai
processi di interazione sociale che esso mette in atto. Poco più di dieci anni dopo,
un altro raffinato investigatore del linguaggio, Roland Barthes, in occasione del
suo celebre seminario tenuto all’Ecole Pratique des Hautes Etudes su L’Ancienne
Rhétorique , sembrerà, in apertura, muovere proprio da questa prospettiva jakob-
soniana, ma per meglio precisarla. Accade laddove, nel definire la retorica una
“pratique sociale” , la descrive come “cette technique privilégiée [. . . ] qui permet
aux classes dirigeantes de s’assurer la propriété de la parole” (: ), e dove la
. Reboul situa lo slogan accanto a nozioni che gli sono vicine — proverbio, parola
d’ordine, consegna — e ne indaga la forza d’impatto che esso esercita sulla massa. “Le
propos de tout slogan”, avverte significativamente nell’ Introduzione, è quello di “faire
marcher les gens, les faire agir sans qu’ils puissent discerner la force qui les pousse” (:
).
. Spiega Bourdieu: “Pour qu’un champ marche, il faut qu’il y ait des enjeux et des
gens prêts à jouer le jeu, dotes de l’habitus impliquant la connaissance et la reconnaissance
des lois immanentes du jeu, des enjeux, etc.” (: ).
. Sul rapporto tra antropologia e linguistica si veda, per un ulteriore
approfondimento, D. Londei–L. Santone ().
. Seminario tenutosi nel – e ripreso nel nel n. di Communications.
. Barthes enuclea sei “pratiche” retoriche: la retorica quale tecnica, insegnamento,
scienza, morale, pratica sociale e pratica ludica (: –).
Slogan e campagne presidenziali. Tra retorica, politica e propaganda
. I due autori non solo dimostrano come il linguaggio abbia giocato un ruolo decisivo
nel trionfo di Sarkozy alle elezioni presidenziali del , ma sottolineano allo stesso tempo
come quella campagna sia stata caratterizzata, tanto a destra quanto a sinistra, da un processo
di “cannibalizzazione” inteso esattamente come accaparramento della proprietà di parola:
“. . . jamais on n’avait entendu jusqu’ici le candidat de droite s’approprier Jaurès, Blum, Guy
Môquet, la culture ouvrière et les travailleurs. Etrange campagne où le candidate de gauche
parlait comme la droite, et le candidat de droite parlait comme la gauche. . . ” (: ).
E ancora: “Tel un vampir suçant le sang des victimes et les laissant exsangues, Nicolas
Sarkozy a laissé muettes les différentes oppositions, non pas parce qu’elles sont privées
d’idées ou d’arguments mais parce qu’il a phagocyté leurs langages” (: ).
. Il Traité de l’argumentation. La Nouvelle Rhétorique, scritto da Perelman in collabora-
zione con Olbrecht–Tyteca, viene pubblicato a Parigi, presso PUF, nel , ma è partire
dagli anni ’ che la “nouvelle rhétorique”, sulla scia degli studi di Austin, comincia ad
imporsi spostando l’accento sulla capacità di persuasione in quanto capacità di azione
dell’argomentazione.
. Ripartendo da Aristotele e passando per Barthes, cui contesta di confinare la re-
torica in una prospettiva di solo interesse storico, Perelman ricolloca l’arte retorica nei
suoi rapporti con la pratica dialettica, poiché, sostiene, “les raisonnements ne sont ni des
déductions formellement correctes, ni des inductions, mais des argumentations de toute
espèce, visant à gagner l’adhésion des esprits aux thèses qu’on présente à leur assenti-
ment” (: ). Per cui: “Un argument persuasif est celui qui persuade celui auquel il
s’adresse: contrairement au raisonnement analytique, le raisonnement dialectique n’est
pas impersonnel, car il s’apprécie par son action sur un esprit” (: ).
Laura Santone
Ma, è legittimo chiedersi a questo punto, quali sono le strategie del bene dicendi?
Attraverso quale dialettica lo slogan, “en plus de ce qu’il dit”, “il le dit bien”? Quali
sono le proprietà della sua forza pragmatico–persuasiva?
Cercheremo di rispondere con esempi tratti sul campo, decriptando in partico-
lare tre slogan che hanno campeggiato alle ultime campagne presidenziali francesi.
Prima di proporre questo micro–corpus, tuttavia, ci pare utile, per meglio entrare
in medias res, ricordare brevemente due slogan — l’uno più recente, l’altro meno —
che hanno fatto data, entrambi facenti riferimento a due campagne presidenziali
americane: I like Ike (campagna di Eisenhower, ); Yes, we can (campagna di
Obama, ).
Lo slogan I like Ike è stato, sintomaticamente, oggetto di riflessione da parte di
Roman Jakobson. Lo cita nel famoso saggio del ’, Linguistique et poétique , in cui
viene enucleata la funzione poetica del linguaggio e dove l’analisi dello slogan di
Eisenhower funge da viatico all’indagine poetica e agli esempi scelti: Hopkins, Poe,
Shelley, Pasternak [. . . ]. Poiché ciò che preme al linguista è dimostrare, attraverso
lo studio apparentemente “prosaico” di uno slogan politico, che la funzione poe-
tica, altrimenti detta estetica, oltrepassa i limiti della sola poesia. I like Ike (Ike, lo
ricordiamo, era il nomignolo di Dwight Eisenhower) fa proprie, osserva Jakobson,
precise valenze poetiche: rima a eco — /laik/, /aik/ — parallelismo tra i tre
monosillabi e i tre dittonghi, allitterazione vocalica — tutti elementi che peraltro
ritrova nei sonetti di Keats — per un effetto globale di “image paronomastique
d’un sentiment qui enveloppe totalement son objet” (: ). Ne consegue, in
termini di forza pragmatica, che la carica persuasiva di tale slogan, il suo successo
nel “guadagnare” il consenso delle menti — per dirla ancora con Perelman — sta
esattamente in questo sentimento “globale” — “qui enveloppe”, scrive significati-
vamente Jakobson — e che, nel risvegliare esteticamente le emozioni degli elettori,
li raggiunge intimamente oltre che razionalmente, ovvero nella loro componente
timico–affettivo–razionale. Ne risveglia, cioè, quella componente patemica e se-
miotica condensata, come spiega Molinié, nella praxis dell’ “umano”, là dove si
incontrano il logos e il sociale, quest’ultimo antropologicamente inteso:
Or, l’humain comme humain, tout humain, rien qu’humain [. . . ] c’est aussi
à la fois la base, le moyen et la fin de toute socialité, de toute politique (:
; corsivo nostro).
Yes we can: lo slogan del secolo, che ha siglato la vittoria del primo presidente
di colore nella storia degli Stati Uniti. Uno slogan che ha costruito, nel mondo
intero, l’“événement” quale lo intende in analisi linguistica Sophie Moirand (),
vale a dire quale momento discorsivo suscettibile di alimentare un’abbondante
produzione mediatica e di cui circolano le tracce a medio o lungo termine in
discorsi ulteriori, appartenenti ad altri contesti. La formula, infatti, sin dalla sua
apparizione ha dato vita ad una ronda di riprese, riformulazioni, che hanno attra-
. Lo slogan Yes we can è stato ripreso in una canzone dal gruppo hip–hop dei Black
Eyed Peas, il cui video ha circolato su YouTube a sostegno della campagna di Obama.
Nel video, in bianco e nero, lo slogan viene ritmicamente scandito “nero su bianco”, con
riprese tipografiche che fanno da sfondo a tonalità che spaziano dal lyrics al gospel al rap.
A colpire è la dimensione polifonico–gestuale: Yes we can passa infatti di voce in voce, di
espressione in espressione, di gesto in gesto, in un gioco speculare di riflessi che si riverbera
finanche sulla lingua dei segni.
. Osserva in proposito Molinié (: ): “Ce bonheur n’est pas d’ordre intellectuel,
ni moral, ni spirituel: il se mesure au vivre dans l’épanouissement (eu dzèn) [. . . ] c’est là la
dimension éthique profonde de la pensée du langage chez Aristote”. Mentre Bally (: ),
facendo riferimento più a Pascal che ad Aristotele: “L’homme ne recherche pas la vérité, il
n’aspire qu’à une chose: le bonheur”.
. Per il filosofo del linguaggio Austin un enunciato performativo può essere “felice” o
“infelice”. Le condizioni del suo successo sono “condizioni di felicità” che, se soddisfatte,
permettono all’atto verbale di compiersi in quanto azione. Si veda Quand dire, c’est faire
(: –).
. La nozione di ethos implica cioè una rappresentazione in cui il corpo — dell’enun-
ciato e dell’enunciatore — si fa garante e la parola, come spiega sempre Maingueneau
richiamando gli studi condotti in analisi del discorso, “participe d’un comportement global
(une manière de se mouvoir, de s’habiller, d’entrer en relation avec autrui. . . )” (Maingue-
neau : –). Ed è sempre questa dimensione di globalità che ritroviamo nello slogan
che Obama ha scelto per l’ultima campagna presidenziale: It begins with us, e dove il deittico
“us” si dà a leggere come il prolungamento della nozione di partecipazione e di identità
collettiva veicolata dal “we” dello slogan precedente.
Laura Santone
supportato, sul piano prosodico e segmentale, dalla forza propulsiva del ritmo,
deputato a conferire, proprio come notava Benveniste, “ordine nel movimento”
(: ): l’ordine — o è forse meglio dire, nel nostro caso, la “parola d’ordine”
— di un preciso programma elettorale, la cui forza illocutoria si trova condensata
nella sonorità di tre monosillabi che si fanno portatori della volontà, collettiva, di
voltare pagina e di porre fine, nella fattispecie, alla politica estera di Bush — con il
ritiro, come noto, delle truppe americane dall’Iraq e dall’Afghanistan.
Appare evidente, a questo stadio della nostra analisi, come in entrambi i casi
lo slogan, sorta di piccola scheggia enunciativa, metta in gioco una retorica del
“raccourci” — quale la definisce Reboul — che spinge ad agire, in quanto gli
attori devono necessariamente prendere posizione in rapporto a quanto si enuncia.
Ma ciò che è più interessante constatare è che l’effetto perlocutorio di ciò che si
enuncia passa, attraverso la concisione, per la forza del non–detto, poiché, come
sottolinea sempre Reboul, “le slogan est efficace par ce qu’il ne dit pas” (: ).
Il destinatario, cioè:
prend lui–même en charge le non–dit; c’est lui qui se dit ce que le slogan se
borne à suggérer ().
Meno si dice e più si coinvolge, fermo restando il principio del “ben dire”.
tous les Français (Poher, ; Mitterand, ), Le président qu’il nous faut (Chirac,
), Avec Jospin c’est clair, le président du vrai changement ( Jospin, ) – mirava a
rovesciare, a partire dalla forza stessa delle parole, il “patriarcato” presidenziale, il
regno dei tanti “padri” a capo della Repubblica Francese. E vale la pena citare, in
proposito, quanto osserva Alain Rey nel suo Lexi–com:
Vale a dire che il trionfo di Sarkozy, alla luce dello slogan La France Présidente
avrebbe configurato, ancor prima di un errore etico–politico, un errore — o
una “colpa”, come vuole altresì il traducente francese di “faute” — di natura
grammaticale. Un errore, cioè, che gli elettori, nel preferire il presidente versus la
presidente — come poi effettivamente è stato — avrebbero commesso alla “radice”,
tanto delle parole quanto della nazione. Ma le urne, si sa, non hanno di certo una
sensibilità filologica!
E veniamo ora ai due slogan che hanno scandito la campagna elettorale dei
due principali antagonisti alle presidenziali : il presidente uscente Sarkozy e il
candidato socialista Hollande.
Lo slogan di Sarkozy, La France forte, viene ufficialmente annunciato nel feb-
braio quale manifesto della sua campagna elettorale dopo aver testato, su
diversi campioni di elettori, due altri slogan: Toutes les forces de la France e La France
de l’espérance. L’efficacia dell’impatto, però, non era stato quello atteso: il primo,
perché, come hanno poi spiegato diversi esperti della comunicazione politica,
riecheggiava La France de toutes nos forces della campagna di François Bayrou;
il secondo, perché troppo poco ancorato nel reale, in quanto l’evocazione della
speranza risuona vaga, rivelandosi pertanto suscettibile di accrescere ulteriormente,
in un contesto di crisi, la sfiducia nell’avvenire. Tutt’altro sembra essere stato invece
l’impatto pragmatico–emotivo testato con La France forte, che rimodula, sul filo
della memoria, gli slogan che avevano segnato due vittorie elettorali del passato: La
France unie di François Mitterand alle presidenziali del , e la France ensemble di
Jacques Chirac nel . Lo slogan, però, non aveva convinto, sin da subito, alcuni
pubblicitari, tra cui Jacques Séguéla, l’ideatore dello slogan La force tranquille della
campagna di Mitterand nel . Séguéla, infatti, aveva immediatamente rimarcato
che proprio in occasione di quella campagna, che aveva plebiscitato l’arrivo della
sinistra al potere, Giscard d’Estaing, sconfitto, aveva per il secondo turno riaggiu-
stato Il faut un président à la France con Il faut une France forte. Ne La France forte,
dunque, si sarebbe sentito un “retrogusto” di sconfitta, ma questo dettaglio sembra
Laura Santone
— e forse, possiamo ora aggiungere, a torto — non aver preoccupato gli esperti
della comunicazione dell’entourage di Sarkozy . Sicché, per tutti i mesi della
campagna presidenziale, La France forte ha sempre fatto da cerniera, oltre che da
sfondo, ad un’espressione martellante dei discorsi sarkoziani, ovvero: “Il faut que
les Français comprennent que si la France est forte, ils seront protégés” — frase
che è stata, non a caso, ripresa anche nell’allocuzione pronunciata la sera del
aprile mentre erano in corso le proiezioni dei risultati ufficiali del primo turno. La
France forte, pertanto, come “mot(s) d’ordre” per garantire alla nazione sicurezza e
protezione in un’Europa che la rinsalda e la rende forte insieme al suo presidente;
La France forte, ancora, come appello ad una pulsione collettiva in cui la nozione di
forza evocata dallo slogan è la cifra stessa dell’ethos di cui esso si fa portatore, più
precisamente la forza di una retorica che vuole entrare in interazione diretta con
quel “sentimento globale” — per dirla ancora con Jakobson — che è la passione
civile e politica.
Le changement c’est maintenant, di François Hollande, annunciato l’ gennaio
in occasione dell’inaugurazione ufficiale di un seggio elettorale nel VII arron-
dissement di Parigi, si è subito imposto in una duplice veste: slogan e, allo stesso
tempo, inno. Poiché il cambiamento, per Hollande, passa per un concetto tutto
nuovo di dinamismo, che invita a non stare “con le mani in mano”. E non a caso
l’inno è scandito da una coreografia il cui gesto–leitmotiv dei simpatizzanti — tra i
quali è possibile riconoscere Jack Lang, Manuel Valls, Arnaud Montebourg [. . . ] —
è il segno “uguale”, chiara postura retorica del messaggio di uguaglianza e parità
sociale che il programma del candidato socialista si propone di concretizzare. La
clip dell’inno, già qualche ora dopo il suo lancio, aveva registrato sul blog omonimo
più di mille visitatori . Giocato sulla ripetizione, esso fa della ridondanza la base
di lancio di un martellamento che per secondi alterna gesto e voce, entrambi
ampi ed incisivi, come vuole essere, del resto, il cambiamento annunciato. Se la
manipolazione retorica è un tratto tipico del linguaggio politico, in questo caso,
ci pare lecito osservare, essa fa tutt’uno con la manipolazione gestuale, poiché è
il gesto che, rendendo lo slogan doppiamente ripetibile, lo iscrive, quale marca
di un’adesione collettiva, in uno spazio pubblico, condiviso: il gesto comincia
quando le parole tacciono, e viceversa, in un rapporto simmetrico, di negoziazione
reciproca, in un gioco di scambio che altro non è se non un gioco di potere, ad
. Tra i più stretti collaboratori di Sarkozy un posto di primo piano hanno sempre
avuto i consulenti linguistici. Si pensi al ruolo di Henri Guaino, soprannominato non a
caso “la plume”, e il cui apporto è stato strategico nella campagna presidenziale , il cui
slogan, Ensemble, tout devient possibile, era stato peraltro ideato dall’esperto in comunicazione
pubblicitaria Jean–Michel Goudard. Sempre Goudard ha proposto, per la campagna , La
France Forte, mentre la foto scelta per il manifesto elettorale è stata scattata da Nicolas Guérin,
noto per aver fotografato personaggi celebri, tra i quali Woody Allen e Clint Eastwood.
. Lanciato il febbraio, l’inno si è anche prestato a delle divertenti parodie reperibili
su YouTube. Sia lo slogan che l’inno sono stati realizzati dall’agenzia di comunicazione
BDDP&Fils, diretta da François Blanchère. Non sfugge all’orecchio, per quanto riguarda lo
slogan, la lontana eco dell’Ici et maintenant della campagna di Mitterand nel .
Slogan e campagne presidenziali. Tra retorica, politica e propaganda
ulteriore dimostrazione che “l’action politique peut être définie comme une lutte
pour l’appropriation de signes–pouvoirs” (Bonnafous–Tournier, : ).
Un’ultima osservazione, prima di avviarci alla conclusione. Se andiamo a con-
frontare il manifesto elettorale di Hollande con quello di Sarkozy, non sfugge una
valenza iconico–retorica direttamente proporzionale al programma e agli slogan
dei due rispettivi candidati. Laddove Sarkozy è voltato di tre quarti, con lo sguardo
che va lontano, postura tipica di chi è al comando di una nave, che il mare alle sue
spalle evoca, lo sguardo di Hollande punta dritto agli occhi dello spettatore–elettore,
a guisa di un’incitazione diretta al voto. Lo sguardo, in entrambi i casi, funge da
deittico: se La France forte è la Francia lungi–mirante, con una proiezione verso
il futuro, Le changement c’est maintenant è il presente, più esattamente il presente
dell’enunciazione a partire dal quale virare il cambiamento promesso. Nell’un
caso, come nell’altro, il movimento d’adesione passa “tra le righe”, o meglio, “tra i
segni”, più precisamente attraverso contenuti impliciti, connotati, quei “présuppo-
sés pragmatiques” iscritti nel non–detto della situazione di enunciazione. E sono
esattamente queste “propriétés extra–énoncives” (Kerbrat Orecchioni, : ) del
sottinteso le condizioni preliminari che fanno di uno slogan un atto di linguaggio
riuscito, in quanto — come spiega sempre Reboul — “le non–dit perdrait son
pouvoir en devenant conscient” (: ). Sorta di retorica paradossale per cui dice
bene, e di più, chi dice meno.
Conclusioni
Ragion per cui in politica, come in pubblicità, l’erba del vicino non è mai più
verde.
Bibliografia
. E quanto scrive Baudrillard sulla pubblicità non vale di meno per lo slogan: “A travers
la publicité, c’est la société de masse et de consommation qui se plébiscite continuellement
elle–même” (: ). Baudrillard, inoltre, non manca di sottolineare come dietro la
psicologia pubblicitaria si iscrivano, nel rapporto oggetto–consumatore, la demagogia e il
discorso politico: “Nous voyons par là l’immense rôle politique que jouent la diffusion des
produits et les techniques publicitaires: elles assurent proprement la relève des idéologies
antérieures, morales et politiques [. . . ] le consommateur intériorise dans le mouvement
même de la consommation l’instance sociale et ses normes” (: –; souligné dans le
texte).
. Di Jean–Michel Adam si veda anche quanto egli scrive a proposito del discorso
deliberativo di tipo politico nel capitolo “Le récit dans le discours politique", in Genres de
récits. Narrativités et généricité des textes (: –).
Slogan e campagne presidenziali. Tra retorica, politica e propaganda
Dizionari
LINGUA E CULTURA
Lingue e politica
ISBN 978-88-548-9113-5
DOI 10.4399/978885489113514
pag. 189–199 (giugno 2016)
. The concepts about “political terminology” and about “Latin America”
are strictly correlated among themselves through that wide and high–sounding
word that acquired many facets in the Latin American subcontinent –enormous
both in its proportions and in its history– that is to say “liberation”. In this essay
we will try to point out the numerous aspects regarding ideas and forms that, in a
certain way, are still actual in the twenty–first century.
Mariarosaria Colucciello
Il linguaggio che viene fuori dalla costruzione dei ricordi non solo salvaguarda
una grande parte dell’esperienza che il soggetto elabora attraverso il suo codice
verbale ma, essendo uno strumento atto a comunicare, esso favorisce la propaga-
zione dei ricordi da un soggetto all’altro: “diventa così possibile arricchire il proprio
passato individuale con una quantità di avvenimenti che si collocano al di qua della
presa di coscienza di colui che li ha vissuti, ma che peraltro gli possono essere
ritrasmessi da un osservatore esterno” (Richelle, : ).
Ma se è vero che scambiarsi informazioni sul passato non serve soltanto ad
arricchire la nostra memoria, si può ben sostenere che, grazie al linguaggio,
possiamo rendere edotti del nostro ricordo anche altri soggetti e lo stesso ricordo,
quindi, diventa comunicabile.
Questa breve introduzione — per così dire “psicofisiologica” e “psicolinguistica”
— diventa una necessaria delucidazione e anticipazione al tema in questione: il
linguaggio politico della liberazione in America Latina non è altro che la risultante
del vissuto manifesto di cui sono stati testimoni i sudamericani nel corso della loro
esistenza, di quello di coloro che li hanno preceduti e di quello che verrà trasmesso
da una generazione all’altra, salvandolo dall’oblio.
Di fatto, quando si parla di America Latina in età contemporanea non si può non
pensare immediatamente ai concetti di liberazione e libertà che hanno permeato il
subcontinente per tutto il corso del XX secolo, arrivando alla creazione di un vero
e proprio linguaggio settoriale, difficilmente inquadrabile nelle categorie usuali ed
impossibile da esaminare se si prescinde dalla sua cornice esteriore e fenomenica,
cioè l’esperienza coloniale, la faticosa ricerca dell’indipendenza e successivamente
dell’identità, il processo rivoluzionario latinoamericano e tutte le sue implicazioni
liberazioniste.
Nella semantica latinoamericana, il termine ‘liberazione’ ha assunto nel corso
del tempo un’importanza tale da permeare tutti gli ambiti, sia socio–culturali che
politico–economici, della storia passata e recente del Sud America.
Se, nel significato comune, con questa parola intendiamo l’atto o il fatto di
liberare qualcuno, qualcosa o noi stessi da un vincolo o obbligo, da un male o
da una soggezione che opprime, implicando, quindi, “una situación previa de
sujeción, esclavitud o aherrojamiento” (Illanes–Rodríguez, : ), la liberazione
consiste nel procedimento mediante il quale si passa da uno stato di dipendenza o
costrizione ad uno di libertà e autonomia.
E, se è vero — come ha sostenuto José Martín Palma — che la parola “liberación
no es un término que se pueda dar de suyo por sabido. Se define en relación
a aquello respecto de lo cual alguien o algo queda suelto o desatado” (Palma,
: ), è altrettanto vero che nel subcontinente sudamericano l’archetipo della
liberazione si è potenziato come intuizione del residuo tra l’esperienza della
soggezione e la possibilità della libertà, tra quelle che Gabriele Tomei ha definito
“le condizioni dell’essere e quelle del dover essere del continente” (Tomei, : ),
e tale percezione si è manifestata attraverso concettualizzazioni simboliche spesso
molto differenti tra di loro, a seconda del periodo storico e del contesto sociale nei
quali hanno avuto modo di verificarsi.
Il linguaggio politico della liberazione in America Latina
molto tempo evitata — e, per alcuni aspetti, continua ad essere così — grazie al
sincretismo. Questo termine è stato molto dibattuto, soprattutto nella storiografia
dagli anni Sessanta agli Ottanta, arrivando ad associarlo a concetti come síntesis,
mestizaje, in una parola, a tutto ciò che è híbrido.
Se da un punto di vista squisitamente antropologico il sincretismo è la “re-
cepción e reinterpretación de elementos culturales extranjeros y su mezcla con
elementos de la propia cultura” (Álvarez y Álvarez, : ), allora religiosamente
parlando esso è “la unión de dos elementos análogos en dos culturas indistintas”
(Winick, : ).
Processi di sincretizzazione o di transculturazione, cioè la tendenza delle popo-
lazioni indigene latinoamericane a conciliare elementi religiosi propri con quelli
‘importati’ dall’Europa, non appartengono esclusivamente al passato coloniale,
cioè quando nel Nuovo Mondo si incrociarono europei di diverse nazionalità,
gli indigeni, gli schiavi appartenenti a varie regioni africane e, in alcuni casi, gli
asiatici, ma tali fenomeni investono le trasformazioni sociali e culturali che hanno
segnato e che continuano a caratterizzare la storia attuale dell’America Latina e dei
Caraibi, che possiamo cogliere in significativi e, a volte, estremi fenomeni religiosi
contemporanei (Ciattini y Salazar, ).
Il concetto di ‘denuncia’ risponde, invece, all’accusa fatta ai conquistatori di
avere non solo agito spregiudicatamente, perpetrando ingiustizie economico–
sociali e religiose, ma anche di avere influito — con la loro condotta — sul futuro
delle terre latinoamericane, rimaste povere perché ricche.
Tale paradosso è stato analizzato da più parti e tutti gli storiografi sono arrivati
alle stesse conclusioni, risalendo all’eredità del recente passato latinoamericano.
Già Antonio Moscato aveva sottolineato che la differenza tra le due parti del
continente americano dipendeva in gran parte dalla storia del periodo coloniale,
e non dalla limitatezza, ma dall’abbondanza delle risorse naturali presenti sul
territorio (Moscato, : ).
Prima di lui, Eduardo Galeano aveva ragionato sul fatto che le tredici colonie
nordamericane non fossero nate importanti, cosa che — in un certo qual senso —
le ha ‘salvate’:
Già all’epoca coloniale al Nord e al Sud erano nate società molto diverse e
al servizio di fini che certo non erano gli stessi. I pellegrini del Mayflower
non avevano attraversato il mare per conquistare leggendari tesori, né per
sfruttare la manodopera indigena scarsa al Nord; volevano semplicemente
insediarsi con le loro famiglie e riprodurre, nel Nuovo Mondo, il sistema
di vita e di lavoro in cui erano inseriti in Europa. Non erano soldati di
ventura, ma pionieri; non venivano a conquistare, ma a colonizzare; e
fondarono “colonie di popolamento” [. . . ]. I coloni del New England, nucleo
originario della civiltà nordamericana [. . . ], vissero, fin dal principio, al
servizio del proprio sviluppo nelle nuove terre [. . . ]. A differenza dei puritani
del Nord, le classi dominanti della società coloniale latinoamericana non
cercarono mai lo sviluppo economico interno [. . . ]. Proprietari di terre e di
Il linguaggio politico della liberazione in America Latina
Queste tre fasi, inoltre, non hanno una successione cronologica, anche se sono
indissolubilmente simultanee, “de manera que, luchando liberadoramente en la
instancia económica, se produce no solo una liberación económica, sino también
Mariarosaria Colucciello
la cual no se contenta con revisar alguna que otra cuestión, sino que, po-
niendo en cuestión la totalidad del planteamiento teológico precedente,
inaugura un modo nuevo de reflexionar sobre el mensaje cristiano y de
Il linguaggio politico della liberazione in America Latina
establecer sus conexiones con la historia real, aquella en que los hombres se
ven envueltos cada día (Bandera, : ).
E non potrebbe essere diversamente dato che questi ultimi, come nativi o
trapiantati in terra sudamericana, vivendo la teologia liberacionísticamente, si sono
trovati nella condizione più favorevole “para experimentar en la propia persona el
alcance de la liberación que proponen para los demás” (Bandera, : ).
Essi hanno rappresentato, dunque, le masse popolari che, impossibilitate ad
esternare i propri sentimenti “por la incultura en que fueron mantenidas, no están
capacitadas para recibirlas reflejamente, y menos aun para formularlas en términos
apropriados” (Bandera, : ); non hanno mai imposto la propria concezione
né le proprie esperienze di vita, ma hanno funto da stimolo per le masse oppresse
affinché scoprissero ciò che, senza rendersene conto, si era impadronito della loro
coscienza.
Quindi, la teologia della liberazione nel subcontinente ha messo in discussione
i condizionamenti ideologici, sociopolitici ed ecclesiali di una teologia segnata-
mente europea nelle sue preoccupazioni e nelle sue prospettive, e lo ha fatto a
partire da un diverso rapporto con la realtà latinoamericana, partendo da un forte
radicamento nella prassi ecclesiale e in contesti fortemente segnati dalla povertà e
da una crescente ondata di militarizzazione violenta.
In conclusione, il linguaggio politico della liberazione in America Latina pare
aver permeato tutti gli ambiti sociali e il raggiungimento della meta della libe-
razione è stato marcato dalla decisa consapevolezza della dominazione e dello
sfruttamento, da una parte, e da un chimerico anelito di libertà dall’altra, facendo
della liberazione una ideologia totale pervasiva e penetrante, si potrebbe dire quasi
uno stato psicologico diffuso.
È ben manifesta, quindi, nel subcontinente l’intima relazione esistente tra il
pensiero, la sua espressione nel linguaggio, la sua comunicazione attraverso il dia-
logo e la formazione della stessa identità, dove la comunità costituisce l’orizzonte
di incontro e il mondo comune di significati che permettono l’ubiquità dell’essere
umano.
Bibliografía
. Arabic is a political language in the proper sense of the word mea-
ning: language of communication and representation of the polis (in the Arabic–
Islamic equivalent), the umma ‘Community’ with its two incarnations of the ecu-
menical community of Islam and the Arab nation. This article aims to show the
importance of the teaching of the Arabic language in political studies.
Introduzione
Giuliano Lancioni
decenni nel ruolo indiscutibile di lingua globale — l’industria delle scuole di lingua
nei paesi anglosassoni.
Al contrario, l’arabo classico, base di tutte le varianti di arabo scritto, è una
lingua codificata sulla base di una serie di testi (in primo luogo il Corano, ma
in un ruolo linguisticamente non secondario la tradizione poetica preislamica)
che in principio coinciderebbero, secondo la tradizione, con la lingua parlata di
una piccola comunità nella penisola araba, ma che fin dalla metà del secolo VII è
considerata una lingua ormai priva di parlanti nativi (ammesso che ne abbia mai
avuti) .
La realtà diglossica dell’intero mondo arabo, in cui a una lingua alta — la lingua
scritta basata sull’arabo classico che, a partire dall’Ottocento (periodo in cui il
movimento di rinnovamento culturale e linguistico conosciuto come Nahda ‘rina-
˙
scita’, esemplato sul nostro Risorgimento), viene etichettata come arabo standard
moderno — si contrappongono varietà basse, parlate, molto diverse da loro e tutte
abbastanza distanti dallo standard scritto, fa sì che l’arabo lingua ecumenica non
abbia nessun parlante nativo, non sia, per così dire, la lingua di nessuno, in senso
stretto .
In queste pagine toccherò, senza pretesa di completezza, alcuni di questi ele-
menti, mostrandone la rilevanza per l’insegnamento delle lingue nell’ambito degli
studi politici.
. La realtà geolinguistica
. Una discussione molto chiara delle questioni relative alle identità linguistiche,
religiose, comunitarie del Vicino Oriente è in Lewis ().
Giuliano Lancioni
. L’identità religiosa
Sapienza), si è molto ampliato negli ultimi anni: secondo i dati ufficiali del MIUR ,
sono presenti cinquanta docenti strutturati a tempo determinato o indeterminato
in venticinque atenei (Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Chieti–Pescara, Enna Kore,
Genova, Macerata, Messina, Milano Cattolica, Milano Statale, Napoli Orientale,
Napoli II, Palermo, Pisa, Roma LUISS, Roma Sapienza, Roma Tre, Roma Unint,
Salento, Sassari, Siena Stranieri, Torino, Trieste, Venezia Ca’ Foscari).
Si tratta di un’offerta didattica e scientifica inedita, che si è molto accresciuta
negli anni pur senza riuscire ad accompagnare appieno la crescita di interesse da
parte degli studenti. Tuttavia, solo in due casi (Napoli II e Roma LUISS) questo
insegnamento è impartito all’interno di dipartimenti di scienze politiche, mentre
in tutti gli altri contesti i docenti afferiscono a dipartimenti linguistici, letterari,
umanistici, storici o storico–religiosi.
Questa situazione, in cui l’insegnamento dell’arabo è concepito come inse-
gnamento prevalentemente linguistico o storico–culturale, è abbastanza specifica
dell’Italia: in altri paesi europei, soprattutto in Francia e nel Regno Unito, oltre
che negli Stati Uniti, i dipartimenti di studi politici hanno ampia rappresentanza
di insegnamenti arabistici. Tra i fattori che hanno scoraggiato una maggiore dif-
fusione degli studi arabi all’interno dei dipartimenti di scienze politiche ci sono
senza dubbio, oltre a una generale rigidità del sistema universitario italiano ad
adattarsi a mutate condizioni nel contesto della ricerca e della didattica, l’origine
dell’insegnamento delle lingue orientali (fin dall’attivazione quattrocentesca di un
insegnamento di arabo nello Studium urbis) nell’ambito delle istituzioni religiose,
allo scopo di formare missionari e predicatori, e l’assenza di importanti interessi
coloniali italiani nel mondo arabo (con l’unica eccezione, dal al , della
Libia).
A conclusione di queste note, non si può che incoraggiare una maggiore diffu-
sione dell’insegnamento della lingua araba nei dipartimenti di scienze politiche,
soprattutto nei contesti che offrono già un panorama a volte ricco di insegnamenti
linguistici. Al di là delle ragioni geopolitiche e culturali che si sono ricordate sopra,
non va sottovalutata l’opportunità che gli studenti e i ricercatori ne trarrebbero di
affrontare i testi rilevanti in numerose ambiti delle relazioni internazionali diretta-
mente nell’originale: a questo proposito, basterà evocare le annose diatribe sulle
diverse formulazioni che le risoluzioni e i trattati internazionali relativi al Vicino
Oriente hanno ricevuto nelle diverse lingue di redazione, oltre che la frequente
imprecisione con cui si discutono documenti redatti in arabo e spesso disponibili
in traduzioni più o meno discutibili o ideologicamente orientate.
Bibliografia
Lingue e politiche.
La lingua come politica o la politica delle lingue
G G∗
Giuseppe Grilli
. Rammento qui il libro di Banti (), a sua volta basato sulla biografia di Domenico
Lopresti, un nobile calabrese ricollegabile alla famiglia della scrittrice (il cui vero nome era
Lucia Lopresti), da cui Mario Martone ha poi tratto il suo straordinario film (dal medesimo
titolo) con sceneggiatura dello stesso regista e di Giancarlo De Cataldo.
Lingue e politiche [. . . ]
stava) e la caduta dell’ambigua dinastia degli Zar nel massacro con cui i bolscevichi
annientarono l’intera famiglia imperiale. Fatta salva la debolezza intrinseca, che
per altro serpeggia in tutte le costruzioni politiche sopravvissute all’affermarsi
dei vari nazionalismi, il sogno imperiale nella sua essenza fu ispirato a lungo, per
oltre un millennio, da un’idea di pace, benché Tacito nel libro dedicato ai fasti di
Agricola avesse sostenuto che i Romani chiamassero “pace” il deserto che seguiva
le distruzioni belliche. Ma Tacito, si sa, fu il modello per generazioni di intellettuali
tutti allo stesso modo contrassegnati da un pervicace accanimento isolazionista,
così come da una programmatica dedizione alla protesta e all’esilio interiore (Grilli,
). D’altronde fu un’idea pacifica quella che mosse tutti i colonizzatori moder-
ni, a partire da spagnoli e portoghesi, intenti a dirimere, con la propria opera,
controversie insanabili tra popoli americani dalle lingue incomprensibili. Donna
Marina, la vera artefice della Nueva España, fu, non a caso, un’interprete, esperta
di interpretazione sia simultanea sia consecutiva, anzi fondatrice, forse, di quel
prestigio intellettuale (e morale) attribuito alla consecutiva e su cui la riflessione è
tuttora aperta .
In una prospettiva sicuramente diversa, che da un campo più esteso passa a
concentrarsi sul dettaglio, credo si trovino due straordinarie metafore della perce-
zione della crisi e del fallimento dell’ultimo Ottocento. Mi riferisco a un grande
scrittore mitteleuropeo, Robert Musil, che tuttavia si vuole erede di quell’ironia e
di quel disincanto che sappiamo perfettamente connaturati, anzi, egemoni, nelle
culture mediterranee e che fu il tratto più autentico della solidarietà condivisa
dagli umanisti che traghettarono il Medioevo nel Rinascimento. Nel suo grande,
interminabile (e non terminato) L’uomo senza qualità, Musil ritorna di prepotenza
su quell’insanabile scarto che si apre tra il sogno politico e la sua frustrazione
linguistica. In un saggio ricco di apporti e aperto a più orientamenti interpretativi,
Franz Haas ha individuato una possibile chiave di lettura di quest’opera nel rap-
porto che vi stabilisce tra il mito finale dell’Impero asburgico e la sua inevitabile
caduta, se essa è ascrivibile a quell’organizzazione ibrida ma senza possibilità di
meticciato che fu la Monarchia Duale, frutto del compromesso del (Haas,
). In proposito si tenga presente il titolo estremamente indicativo del saggio
di Haas “Un paese che è andato in rovina per una lacuna linguistica”, compreso
nel volume Storia, letteratura, cultura dei popoli del Regno d’Ungheria all’epoca della
Monarchia austro–ungarica (–). Riferendosi all’argomentazione di Musil,
contestualizzata in un luogo specifico del romanzo, Haas osserva:
. Cfr. Russo (), dove si mette in risalto il carattere prevalente della consecutiva,
peraltro storicamente accertato nel rapporto qui alluso tra lingue europee e amerindie.
Giuseppe Grilli
Un essere vivente non dice mai a un altro: “Tu mi puoi redimere!”, oppure
“sii il mio redentore!” Lo si può legare a un albero e lasciarlo morire di fame;
lo si può, dopo una vana adorazione di molti mesi, abbandonare con l’amata
in un’isola deserta; si può lasciar che le stesse cose ritornino, che falsifichi
cambiali e che trovi un salvatore: tutte le parole del mondo si affolleranno
sulle sue labbra, ma di sicuro finché è veramente commosso non dirà mai
redimere, redentore o redenzione, benché in quanto a lingua non vi sia nulla
da ridire. E tuttavia i popoli raccolti sotto la corona di Cacania si chiamavano
popoli irredenti (Musil, –: ) .
oggi; è vero che poche miglia a destra la lingua è già dialettale, e novanta
piani più sopra è incomprensibile (Borges, : –).
. Sulla laicità del pensiero orlandiano, ovviamente, non possono esserci dubbi: si
veda almeno uno dei suoi libri più belli, Orlando (). Nella prospettiva che qui è centrale
giova citare anche il volumetto, breve ma denso, Orlando ().
Giuseppe Grilli
tra Prometeo e Io, o l’Intelligenza, soprattutto quando essa, Musa moderna , gli
confessa:
Arrivati a questo punto dell’“aneddoto”, c’è ancora spazio per il modello classi-
co? Di fatto non costa tanto intravedere dietro le tempeste che si agitano tra dei
ed eroi le splendide raffigurazioni della “tempesta lontana” di Joan Maragall, an-
ch’essa nel suo duplice versante di identificazione collettiva nella lotta delle masse
e delle classi, e nelle convulsioni dell’Io (Grilli, ). Il classicismo, come vide con
una certa notevole sagacia Garriga, nasconde il seme originario della modernità
senza grossi sforzi e senza trappole. Detto altrimenti, e nella scia della paraula
nova maragalliana, il frutto proibito che Prometeo consegna agli umani tradendo
l’impegno contratto con gli dei è il fuoco della modernità: la lingua dialogica, la
lingua della cultura, la lingua della trasformazione progressiva (Maragall, ).
Ciononostante, credo consista in questo l’equivoco: l’edizione Jardí rinvia infatti
a un testo ordinato come una pièce teatrale, mentre era un altro il criterio della
versione giornalistica, allorché ogni intervento del personaggio o del coro recava,
in alto, centrato, il corrispettivo nome. La struttura che ne risultava era completa-
mente diversa: si trattava di un dialogo . E proprio al dialogo dobbiamo ricorrere
per dare spessore al discorso sulle lingue come identità politiche, ovvero della
inevitabilità dell’articolazione linguistica delle politiche. Infatti se c’è una assoluta
permanenza infrastorica nelle politiche tra antichità e modernità, tra latitudini e
longitudini diverse e persino opposte, essa riguarda il rapporto tra lingua, tribù (o
società organizzata) e individui coinvolti in una comunicazione che potrà assumere
l’aspetto del commercio interculturale o dello scontro omicida. Parafrasando al
contrario il titolo del libro di Gianrico Carofiglio Né qui né altrove (), la lingua
infatti risulta sempre essere a suo agio, sia qui sia altrove: è il solo luogo, concreto
e reale, anche quando esprime la metafora in cui la volontà può farsi memoria o
. Ricordo solo due titoli: Miguel d’Ors () e Joaquim Molas i Enric Bou ().
. C’è stato un momento in cui essere fascista, o filofascista, era qualcosa terribilmente
di moda, che si portava molto e dava un tono, specie in paesi un po’ fuori mano e tra
politici e intellettuali in qualche caso in buona fede e un tantino sciocchi, in altri casi
intelligentissimi e in malafede, come dimostrano i percorsi diversissimi eppure coincidenti
di alcuni maestri: da Eugeni d’Ors a Drieu De La Rochelle — del gruppo dei maligni assai
svegli — oppure quelli di un Pemán — che rientra senz’altro nel gruppo delle persone di
poco spirito.
Lingue e politiche [. . . ]
III. La centralità del cinema nell’assetto delle culture del moderno è ormai
un dato acquisito e non può essere messo in discussione. A partire da questo
presupposto appare evidente come alcuni esempi di filmografia strutturino una
linea tematica con ricadute anche in altri campi, come il pensiero politico–filosofico
o la letteratura. Nell’unire il linguaggio della verbalizzazione con quello della
rappresentazione iconica, infatti, il cinema realizza l’attualità del paradosso a cui si
alludeva sopra. Al massimo di specializzazione e di ekfrasis di una realtà particolare
si soprappone la sua glossa, o esplicitazione paradigmatica, la sua tendenziale
universalità. Così, proprio ciò che è assolutamente nazionale o provinciale, da Ford
a Fellini fino ad Almódovar, assurge a generale e globale nella ricezione, grazie
a una comunicabilità orizzontale della raffigurazione. Potremmo dire che sta
accadendo qualcosa di molto simile a quanto ci ha consegnato la prima modernità
con attestazioni famose in cui la letterarietà si è fatta promotrice dell’innovazione
mentre ne era al tempo stesso ovviamente anche volgarizzatrice. L’esempio di
Cervantes è di sicuro il può esplicito ed esauriente. Finora solo al Chisciotte è stato
riconosciuto in via universale il primato di una letteratura di intrattenimento che
si fa, contestualmente, altissima riflessione teorica sul presente. Non deve essere
stato certo un caso che il grande Thomas Mann nell’affrontare l’esilio politico,
ma anche linguistico, che lo costrinse a lasciare la patria tedesca per emigrare
in America, si accompagnasse a Cervantes e al viaggio (“salida”) dell’hidalgo da
quell’oscuro lugar de la Mancha verso un luogo che era pur sempre ignoto, dunque
uno spazio avventuroso. Sicché su uno degli artefici dell’identità tedesca non
deviata dal nazismo, l’impatto della lettura del Chisciotte, nella traversata atlantica
che dall’Europa devastata dalle ideologie lo portava negli Usa, si riflette in uno
splendido saggio che è dolorosa acquisizione di modernità . La regressione alle
radici del dialogismo umanistico, che sappiamo consustanziale del Chisciotte, poté
. Cfr. Mann (). In realtà la storia del testo è meno lineare di quanto possa apparire;
Giuseppe Grilli
apparire al fuggiasco quale viatico per un viaggio verso un Mondo nuovo e diverso,
viaggio/salida obbligato, ma che è assunto in nome di una inderogabile necessità
di comunicazione interculturale .
Ma ormai gli anni Trenta del Novecento sono (e ci appaiono) lontanissimi.
Eppure i motivi profondi della moderna melancolia restano vigenti . In relazione
alla trasmigrazione e all’attualizzazione a sprazzi delle ragioni dell’umanesimo
della prima modernità nelle soglie tra modernismo e postmodernismo, vorrei pro-
porre due esempi cinematografici, non a caso di cultura tedesca, che rispondono
in buona parte a una ripresa di quel lontano modello.
La giovane turca Shirin (magistralmente interpretata da Ayten Erten) lascia
il villaggio per raggiungere in Germania l’uomo amato (Aras Ören, ottimo nella
sua inconsapevolezza colpevole). Il passaggio dalla natia Anatolia rurale al ghetto
industriale e di emigrazione di Colonia non cambia la sua condizione di sottomis-
sione a un mondo ancora patriarcale che l’umilia con nuove e diverse coercizioni e
violenze messe ora in una vetrina consumistica. Cambiano soltanto i modi dello
sfruttamento, ma inalterata è l’offesa. Il film, diretto da Helma Sanders–Brahms (Le
nozze di Shirin, ) alterna il ritmo grave della parte iniziale in Anatolia (girata su
un altopiano tedesco che rispecchia con estrema verosimiglianza lo scenario turco)
a quello più convulso dell’ambientazione in Germania, fino all’esito melodramma-
tico che vede la protagonista subire una violenza fisica, in seguito prostituirsi in
clandestinità per gli immigrati turchi dei dormitori per soli uomini e infine perdere
la vita insieme al suo protettore. I dialoghi, naturalistici fino all’espressionismo nel-
la musicalità essenziale che sprigionano, inseguono quell’assolutezza che Borges
attribuisce alla lingua tedesca quando sostiene essere la più bella del mondo.
“Eichmann ist kein Mefisto!” Eichmann non è un demonio! La voce di Barbara
Sukowa, l’intensa Hannah Arendt del bel film di Margarethe von Trotta risuona
davanti agli occhi stupiti dei suoi amici, ebrei tedeschi, immigrati come lei, o
americani come l’amata scrittrice Mary McCarthy. E risuona soprattutto davanti
alla comunità ebraica di tutto il mondo, che non riesce ad accettare la tesi — che
per Arendt non è “un’interpretazione, ma un fatto” — esposta nei cinque articoli
sul processo al nazista Eichmann (conclusosi, come noto, con la sua impiccagione,
a Gerusalemme), apparsi dapprima nel The New Yorker, in seguito raccolti nel
suo libro più noto e più “storico”, La banalità del male. Più che da un’intenzione
malvagia, da un male deliberatamente e perversamente attuato, riconducibile a una
volontà malata, demoniaca, la Shoah sarebbe scaturita dall’obbedienza inconsape-
vole a un sistema gerarchico al quale era quasi impossibile resistere. Obbedienza a
una legge, ma a una legge che imponeva di uccidere invece che salvare. L’aguzzino
Eichmann, come documenta il film sulla scia dei libri della Arendt, non ha nulla di
sconvolgente, di eccezionale. Non è un eroe negativo. È un semplice uomo “col
raffreddore”, chiuso in una gabbia, che ripete instancabilmente e meccanicamente
la sua verità: se mi avessero chiesto di uccidere mio padre l’avrei fatto. Eichmann
era un segmento di un sistema, organizzava i treni, “ma per lui, una volta partiti, il
suo compito era finito”, come spiega Arendt durante un’accesa discussione. “Si
sente in pace con la sua coscienza?”, chiede a Eichmann il pubblico ministero. “La
mia coscienza si fondava su una scissione consapevole. Dovuta a un duro addestra-
mento e all’educazione di una visione del mondo”, risponde. “E se ci fosse stato
coraggio civile, avrebbe fatto la differenza?”, gli chiedono ancora. “Sì, se fosse stato
un coraggio civile organizzato gerarchicamente”.
Eppure quello che rende straordinario il film è la sua pluralità di lingue: ebraico,
inglese, tedesco. Una pluralità non solo comunicativa, ma soprattutto affettiva. Si
passa da una lingua all’altra non tanto per precisare un termine o un concetto, per
essere “politicamente corretti”, ma per aderire o allontanarsi da una riflessione
troppo particolare, o viceversa colpevolmente globale e universale . Le ragioni
della politica, se sono le ragioni della politica nazionalista, quelle stesse che deter-
minarono la “follia omicida” nazista, si riproducono nella dialettica posteriore al
massacro.
Per Hannah Arendt, accusata di antisemitismo e di assenza di sentimento di
fronte all’immenso dramma della Shoah, la vicenda di Eichmann conferma tutto
ciò che aveva scritto e continuerà a scrivere fino al , anno della sua morte. Al
contrario di quanto vuole una tradizione occidentale che assegna al male un luogo
“interiore”, dunque mistico, qui il male è esterno, sociale, strutturale, come in parte
lo è anche il bene. A differenza del bene, però, è insensato, privo di senso, e per
questo motivo non può essere radicale. “Solo il bene è davvero radicale”, ammette
la Sukowa. Non esistono buoni e cattivi, ma una zona grigia della coscienza che si
traduce lentamente in una dimensione pubblica, e nel farlo acquista peso, spazio,
potere. Diventando potere produce violenza, un fenomeno che Arendt opporrà
sempre e in modo diretto alla libertà e alla politica. Politica che per la filosofa
tedesca coincide con la dimensione più elevata dell’uomo, al di là delle mere forme
di sussistenza, oltre il lavoro, che è necessità ma spesso non libertà, come scrive in
Vita Activa.
Ma allora non esistono antidoti al male? La difesa contro il male è sempre nel
pensiero, radicato nelle emozioni e nella storia. Anche se Arendt si allontanerà
sempre di più dall’idea di Heidegger secondo cui “si pensa da soli”, il pensiero si
lega comunque a un individuo, a un soggetto specifico al quale possono univoca-
mente ricondursi colpe e responsabilità. Ed è questo il punto che Arendt rivendica
sia contro chi, come l’allora premier Ben Gurion, cercò di fare, attraverso il pro-
cesso ad Eichmann, “un processo alla Storia”; sia contro chi, come i suoi amici
ebrei, insisteva nella visione di un “popolo malvagio” contrapposta a un “popolo
del bene”. “Io non amo un popolo, ma solo i miei amici”, risponde sussurrando
Hannah Arendt, forte di una tradizione liberale che per coerenza non poté mai
abbandonare. La distinzione tra gli amici e la nazione è dunque la chiave di volta
linguistica della scissione teorica. Parlare la lingua di un gruppo ha senso e rientra
nel sistema del bene quando questo gruppo è aggregato da sentimenti sinceri di
affetto e da solidarietà interpersonale. Diversamente, quando è determinato da una
identificazione forzata non può poi sfuggire alla mirabile bugia, alla falsificazione
dei significati, in quanto “gerarchicamente” disposti. Allora diventa la lingua della
violenza subita e operata, e la comunicazione si fa distorsione della sovrapposizione
delle ragioni di vittime e carnefici.
È un peccato che il film sia rimasto solo due giorni nelle sale italiane. Perché
quelle tesi fanno riflettere e parlano anche di noi: degli ultimi vent’anni, di un’opi-
nione pubblica spaccata tra l’idea che — senza nessun azzardato paragone storico,
ovviamente — Berlusconi sia l’unico colpevole dell’attuale sfascio , e chi, vicever-
sa, ha sempre sostenuto che “il berlusconismo, e i suoi valori, sono stati dentro
ciascuno di noi”. Hannah Arendt avrebbe sostenuto che entrambe le affermazioni
sono vere: che le élite, ossia coloro che mettono in piedi un sistema gerarchico
che chiede ai singoli di obbedire, magari attraverso la violenza o la persuasione
più o meno occulta, o decisamente sfacciata, sono più responsabili di altri. Ma
avrebbe anche detto che ciascuno è dotato di una coscienza libera, che si esprime
in atti pubblici e manifesti, come il rispetto delle regole e della democrazia. E che
pertanto quella zona grigia è abitata, se non da tutti, comunque da tantissimi.
Non solo i carnefici, paradossalmente, come si dice nel film, ma anche le stesse
vittime integrano un cerchio di ambiguità semantiche. Le lingue dei popoli si
rivoltano contro gli individui e in questa ribellione perdono la ragione stessa della
loro autenticità. Qui le lingue politiche si convertono in lingue della politica, un
gergo di cui è essenziale appropriarsi, impossessandosi dei codici al fine di decifrare
i messaggi. Messaggi che tuttavia, non appena decodificati, ci appaiono nella loro
tragicità, come già accadeva in Eschilo e nei suoi esecutori testamentari moderni.
. L’idea è stata amplificata nel film di Paolo Virzì, Il capitale umano del ,
riconducibile alla tematica del romanzo omonimo di Stephen Amidon del .
Lingue e politiche [. . . ]
la norma della Gramática. Più di recente i generativisti hanno distinto tra frasi
grammaticali e non, vale a dire tutte quelle forme non attestate dall’uso, ovvero
non grammaticali, da supporre eventualmente ma da indicarsi con un asterisco, in
quanto improprie per la comunicazione. Tuttavia il problema credo si complichi,
si sia complicato o almeno si è reso più evidente nella società globale. Ci sono
ancora lingue materne contrapposte e distinguibili da quelle seconde o terze? E
poi, alla base delle identità linguistiche attuali possono ancora valere le regole
dell’uso eccellente o della norma?
Questa storia linguistico–culturale nella penisola iberica, questa strana costru-
zione pentagonale a cui ho accennato sopra, ha trovato storicamente una sua
rappresentazione soprattutto nel confronto tra catalano e castigliano. Non che
non abbiano contato e non contino altre fratture, diversi cleavages, ma è in quel
rapporto duale che ritroviamo le partizioni originarie (Sefarad, Al–Andalus, Hi-
spania) o le opposizioni ancestrali (baschi/spagnoli) e persino le tensioni attuali
tra europei e immigrati di terre lontane o sentite tali. Non è allora un caso che
ancora sul rapporto tra castigliano e catalano si possa guardare per una descrizione
aggiornata . Eppure per ottenere una relazione aggiornata su di un dato spesso
è meglio la memoria del passato che non la ricezione incontrollata del presente:
l’idea che la questione iberica si risolva sostanzialmente nella possibilità utopica
o realistica del dilemma catalano emerge con forza nel carteggio, pubblicato di
recente, tra Armand Obiols e Josep Carner (). Che Carner sia stato il vero
artefice della lingua catalana moderna, e non solo di quella poetica, ma persino di
quella narrativa e saggistica, includendo anche la saggistica politica, comincia a
essere quasi un luogo comune. Che il carteggio qui ricordato occupi anni decisivi
nel transito tra nostalgia del passato repubblicano e assunzione di quel che significa
la stabilizzazione del regime franchista nel dopoguerra della divisione in blocchi o
guerra fredda, è altro dato scontato, ormai. Che nel piccolo riquadro della storia
della sinistra spagnola in esilio Carner abbia sperimentato in vitro, intorno al ,
cosa significasse quel confronto lo si ricava in modo egregio, quasi poetico, dalle
lettere che si raccolgono soprattutto nel gennaio di quell’anno fatidico. È l’affaire
Comorera, ed esso ruota attorno al quesito: potrà il Psuc restare la sezione catalana
dell’Internazionale o dovrà accettare di essere parte della sezione spagnola (PCE)?
Comorera nel l’aveva spuntata nel difendere il “comunismo” catalano: con
lo stabilizzarsi della situazione, i rapporti di forza cambiano. Non tarda Carner a
raccomandare al più giovane Obiols di operare per una ricollocazione della condi-
zione di esiliato in quella dell’emigrato permanente, con tutte le conseguenze del
caso. E il caso volle che, grazie a Dio e a qualche amicizia generosa, Obiols poté
trovare all’Unesco un lavoro stabile di traduttore.
Il caso di una grande scrittrice contemporanea potrebbe far riflettere. Mi ri-
. Mi piace rinviare al volume curato da Eulàlia Vega, perché, come io stesso ho
scritto nel prologo, che il libro sia nato a Trieste — una città più che mai in bilico tra tante
frontiere di natura diversa — è il segnale che “la lingua e la cultura catalane sopravvivranno
anche a questa nuova complicatissima sfida di avere una durata che cada oltre il ventesimo
secolo” (Vega, : ).
Giuseppe Grilli
. La sua bibliografia, oltre all’attività giornalistica, comprende tre straordinari libri:
Jo també sóc catalana (), L’últim patriarca () — premi Ramon Llull e tradotto in
italiano con il titolo modificato La città degli amori infedeli–, e il più recente, bellissimo, La
caçadora de cossos ().
Lingue e politiche [. . . ]
Bibliografia