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L’autore
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Igor Sibaldi
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L’ARCA DEI NUOVI
MAESTRI
Crescere con gli Spiriti guida
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L’arca dei nuovi Maestri
Paradiso XIII,1
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Introduzione
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La vita accanto
Le percezioni fragili - Le ali - Come si ascoltano le storie
degli Spiriti - L’Aldilà di me - La Stanza Tonda e i
quaderni - L’insonnia - L’egoismo - I periodi di crescita -
La domanda delle fiabe- Il continente sotto il mare - La
mia veggenza e l’Angelologia - La nebbia - Le due vite
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conversazione. Quando non vi sento, voi esistete?
L’Austero scosse il capo, scontento che non avessi
guardato di più. Il Dominante mi rispose:
«In un certo senso sì. Ma la nostra dimensione è
un’altra. Le nostre storie hanno varie direzioni, non
riuscireste a ricostruirle con il vostro modo di intendere il
tempo. Per conoscerle dovete assimilarle; metterci del
vostro, farle diventare storie che vivete voi.»
Nel senso che per capire qualcosa di voi devo capire qualcosa
di me?
«Sì. Ogni volta che intendete qualcosa di noi, quel
qualcosa entra nella vostra vita e produce periodi di
crescita. E quando nella vostra vita si producono
situazioni nuove, è perché avete inteso qualcosa di noi,
che ve ne accorgiate o no.»
«È il nostro modo di venire al mondo» aggiunse
l’Austero. «Ma a voi capita raramente di accorgervi di
qualcosa di nuovo. Ve ne proteggete, sempre con quelle
ali.»
La prossima volta guarderò meglio, nelle ali, gli dissi come
l’avrebbe detto un ragazzino a un adulto.
«Oh, noi abbiamo pazienza.»
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nel varcare ciò che di solito chiamiamo «io», verso altre
percezioni del tempo e dello spazio. Erano cioè l’aldilà di
me; e si comportavano davvero come tali: mi spiegavano
ciò che non sapevo, o che ancora non sapevo di sapere –
ovverosia (pensavo) personificavano ed esprimevano
l’ampliarsi della mia conoscenza. A volte, mi pareva che
potesse ampliarsi senza fine, in qualsiasi direzione: «Noi
siamo inizi» mi dicevano «qui tutto incomincia soltanto, a
ogni istante». Questa prospettiva di un continuo
autosuperamento dell’«io» mi interessava
irresistibilmente, dopo molti miei studi di teologia e
psicologia. Lì nella Stanza Tonda l’infinito dello Spirito e
la coscienza che lo cerca mi sembravano a un passo dal
diventare tutt’uno. E illimitata era anche la pazienza con
cui quei Maestri lottavano dolcemente contro i limiti –
sempre nuovi – del mio domandare e capire, e ragionare,
e accorgermi.
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meno colte, esperte o pressoché digiune di psicologia; il
che tanto più mi convinceva che la connessione con i
Maestri avvenisse in uno stato di coscienza comune, se
non a tutti, per lo meno a molti, e avesse poco a che fare
con quell’Aldilà che in Occidente è oggetto di timori
superstiziosi e di fedi altrettanto superstiziose.
«Quella è l’insonnia» diceva il Dominante.
Che insonnia?
«Ciò che tu definisci timore superstizioso è simile
all’insonnia, e un tempo si chiamava così, perché è
altrettanto difficile da vincere.» Io annotavo.
«È un vostro modo di guardare la realtà barricandovi
dietro ciò che non ne capite» continuava. «L’uomo è molto
contento di non comprendere abbastanza. La sua scienza,
la sua filosofia servono soprattutto a preservare in lui la
sensazione di non capire ciò che ha intorno e dentro di sé.
Gli ripugna ogni intelligenza immediata; perciò pensa che
gli animali siano esseri inferiori.»
Sorridevo. E perché gli piacerebbe tanto non capire, secondo
voi?
«Perché non vuole sentirsi parte della realtà. Agli
uomini piace essere irreali.»
«Cioè gli piace esserlo solo loro» precisò l’Austero «e
perciò invidiano chi lo è davvero, e dicono che non
esiste.»
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«Per paura che il sogno non sia un sogno. Come dice la
Bibbia, “Il Signore fece scendere un torpore sull’uomo,
che si addormentò”. 1 Tanti non si addormentano mai.»
Annuii. Qui si riferiva anche a me. Dalla mia insonnia
avevo cominciato a uscire soltanto un paio d’anni prima, e
da allora tutto stava diventando nuovo per me. Ecco
com’era andata.
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chiede all’Aldilà, non può far altro, e quel chiedere è come
un circuito elettrico, una pila in cui i due poli sono
entrambi indispensabili: da un lato il continuo ampliarsi,
che i Maestri esprimono, e dall’altro quello che essi
chiamano il piccolo io – l’io cosciente, cioè – con tutti i
limiti e l’egoismo che lo contraddistinguono. È inevitabile
che sia proprio questo egoismo a chiedere.
Sì, ma – pensavo – per quale ragione l’io piccolo non
potrebbe essere se stesso anche chiedendo a vantaggio
concreto di molti? O l’egoismo è davvero il suo destino, il
suo principio d’identità, perdendo il quale si dissolve?
Ma pensarci mi faceva soltanto sentire a disagio. Di
certo quelle conversazioni solo personali con gli Spiriti mi
erano diventate troppo strette, ma quando provavo a
chiedere per molti – indicazioni mediche, previsioni utili
–, le risposte dei Maestri mi arrivavano sempre vaghe,
non riuscivo a sentire; mentre quando chiedevo per me,
mi pareva di sentirci benissimo.
Dev’essere perché manco di purezza, mi dicevo. Il mio
matrimonio era finito da poco, e già da un pezzo mi
ingarbugliavo in innamoramenti approssimativi e
vischiosi: da quando, anni prima, avrei dovuto divorziare
per una donna che credevo di amare, e non ne ero stato
capace. Tale mia incapacità si era trasformata in un
rancore verso me stesso, che non mi faceva volere altri
amori: in ogni nuovo innamoramento cercavo soltanto la
conferma del mio non volerne. Così – pensavo – mi ero
chiuso e ripiegato su me stesso. Perciò non mi importava
abbastanza degli altri. Non avevo voglia che il mondo
stesse meglio: stavo solo cercando, invano, di stare meglio
io. E di nuovo, mi meravigliavo di rendermene conto
soltanto allora.
Voglio uscirne. Troppo io, si soffoca. Voi mi aiuterete, sì?
domandavo ai Maestri.
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«Ti abbiamo mai negato aiuto? Chiedi. Non ci hai
ancora chiesto niente su questo.»
Ma chissà perché continuavo a non chiedere niente di
preciso, su quel tema, come per paura o vertigine.
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prevedere.
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risalgono i primi accenni di un ampliamento delle mie
percezioni, a cui lì per lì non volli dare importanza.
Avveniva dopo le conferenze: parlando con chi mi
prendeva da parte per raccontarmi dei suoi problemi
(capitava sempre), mi sorprendevo a spiegargli fatti della
sua vita che non potevo conoscere. L’interlocutore ne era
impressionato, e io ancora di più. E in capo a un minuto
non ricordavo niente di ciò che gli avevo detto a quel
modo. Mi rimaneva in mente, invece, ciò che provavo
durante quelle spiegazioni: una sensazione di coraggio, di
sicurezza e leggerezza insieme, tanto piacevole, e infantile
– simile davvero a un ricordo d’infanzia. Cominciai a
esserne ghiotto, ma come per gioco, come si cercano i
quadrifogli.
Cos’era? Non lo misi in rapporto con ciò che avevo
trovato in quei quaderni. In realtà, non ebbi nemmeno il
tempo di rifletterci sul serio. Rapidamente si produsse
uno di quei concatenamenti che aprono vie nella vita, e
per i quali nasciamo, ci innamoriamo, cambiamo, o
moriamo, accorgendocene soltanto dopo. Avvenne così.
Studiavo la Kabbalah, e mi interessai proprio allora a
quegli antichi procedimenti di analisi della personalità
che si possono scorgere nel culto ebraico degli Angeli –
come del resto anche nell’astrologia, nei Ching, o in certe
intuizioni della teologia dei primi secoli. Nelle Gerarchie
celesti, secondo una tradizione di origine egizia, si
trovano 72 Angeli cosiddetti custodi, i cui nomi in ebraico
offrono chiavi simboliche per comprendere gli aspetti, le
potenzialità e anche il destino della coscienza di ognuno –
poiché ognuno è connesso ad almeno uno di questi Angeli
dalla propria data di nascita, proprio come nell’astrologia
si è connessi ai segni. Solo, nell’Angelologia non
occorrono i laboriosi calcoli astrologici: l’intuizione fa
tutto, usando come uniche linee guida le suggestioni
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ispirate dai geroglifici che costituiscono i Nomi angelici.
Ne parlai una volta durante un programma televisivo; mi
chiesero di dare una dimostrazione pratica: l’esperimento
riuscì, e da allora fui invitato a spiegare e soprattutto a
praticare quella tecnica in diverse città. Ma usavo le mie
percezioni, più che gli Angeli ebraici.
Me ne entusiasmai, sempre senza accorgermi ancora,
senza fermarmi a pensare. Qualche mese dopo ricevevo
fino a venti persone al giorno, due volte a settimana.
Capitò che un’amica infinitamente più esperta di me mi
parlasse di un metodo mediorientale per individuare le
date dei traumi delle persone – i traumi più profondi,
dimenticati – e anche quello lo imparai in pochi minuti e
subito lo applicai nelle mie giornate di Angelologia.
Sarebbe stato un secondo lavoro se avessi chiesto soldi,
ma a quel tempo dicevo che non ci si può far pagare per
qualcosa che non si sa spiegare se non come una «tecnica
molto antica»; chi si sentiva in debito lasciava un’offerta.
Ciascuna «consultazione» (le chiamavano così) durava
circa mezz’ora; ma non era mezz’ora: in quelle giornate
qualcosa mutava nella struttura del tempo; i minuti erano
immensi, irreali, una decina ne bastava già per discutere
una vita intera come la trama d’un romanzo lasciato a
metà, e per cominciare a progettarne subito il seguito
«secondo gli Angeli antichi», o per interpretare una
malattia come si decifra un’epigrafe; l’intera giornata, al
contrario, diveniva buffamente breve, così seduto a
parlare con le persone dalla mattina al tramonto, senza
pause: volava; e quando me ne andavo, un senso
d’animazione e di eccesso di energia mi traboccava da
mente e corpo, tanto che la notte potevo saltare il sonno e
l’indomani non mi pesava.
Era bello, sì. Ma faccio fatica a credere che trascorsi così
due anni. E che per tutto quel tempo non chiesi neppure
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spiegazioni ai Maestri, come se fosse normale. Appena
finiva una di quelle giornate di consultazioni salivo in
auto e semplicemente non ci pensavo più, tornando ai
miei problemi soliti come da un giorno di gita. Non era
per il timore che, se avessi cercato di capirlo
razionalmente, avrei perso quel dono; non lo sentivo
come un dono, piuttosto come un gioco davvero, una
sfida, o a volte perfino una mia incapacità a dire di no a
chi chiedeva.
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dimensioni diverse della mente, cosa occorre per
congiungerle alla coscienza consueta? Volontà? Coraggio?
Che cosa mi manca?»
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nemmeno razionale; mi importa di più, per ora, il
racconto di ciò che trovavo lì e di come confluiva nella
mia vita di qua, dopo avere tanto atteso.
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L’arredamento della Stanza Tonda
Chi è personificazione - Guardare nell’Aldilà - Un luogo
come tutti i luoghi - La grotta - Le scorrerie che
separarono gli uomini - In alto e in basso - Babele e le
lente parole - «Da noi ci sono solo inizi» - Una vita di
milioni di anni - Il globo dell’attenzione - Un portico
bianco sul fiume
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«Se non guardi, come facciamo? La tua Stanza com’è?
Da quanto tempo non la vedi?»
Infatti una volta la vedevo: diversi anni prima era bene
arredata, con un soppalco di ciliegio, divani, tappeti e una
vetrata che dava sul fondo del mare. Ma ora le mie
conversazioni con i Maestri erano fatte solo di parole,
senza immagini intorno.
«Hai fatto male a trascurarla» aggiunse l’Austero. «Se
arredi bene la tua Stanza Tonda, arredi bene la tua vita.»
«Guardala, arredala e poi leggiamo. Togli un po’ di ali
finte» mi ordinò il Dominante sorridendo.
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abituati a stanze con angoli; e poi la Stanza Tonda aveva
molte porte, dalle quali uscivamo per i nostri viaggi;
bisognava anche evitare che l’arredamento le
ingombrasse.
«Guardala, è con il tuo sguardo che la arredi.»
Vedevo una grotta. Stalattiti e stalagmiti. I miei piedi
poggiavano su rocce irregolari, quasi dappertutto
impraticabili. Da qualche parte c’era un chiarore, come
d’una lampadina elettrica.
Come faccio a cambiarla? È una grotta che avrà milioni di
anni, non si può distruggerla. Andiamo via, cerchiamo un altro
posto.
«No» sospirò l’Austero.
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estranei: non malvagi, ma estranei, incapaci di condividere
percezioni, e una parte di voi cominciò a cedere, scoraggiata, e a
tenersi soltanto in basso.
Una parte di voi scendeva giù, mentre l’altra parte cresceva ancora; e
noi seguivamo la parte che discendeva, perché non perdesse il
legame tra le due.
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così.
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«Prova a salire. Esci dalla memoria dalle parole:
immagina. La conoscenza è solo immaginazione e
attenzione.»
Ma mi sentivo stanco, o scoraggiato. Il giorno dopo
tornai a rileggere i quaderni – mia occupazione principale
in quei giorni – in cerca di strade.
In un quaderno del ’97 era scritto:
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scalinata davanti a me, voltandosi e sorridendo. Intorno
c’era il silenzio, quel silenzio denso, profondo, che in certi
luoghi dell’Asia centrale sembra circondare ogni rumore.
Accanto a me avevo il Dominante, e dietro i due alati
scendevano tenendo la Bambina per mano.
«Vedi che è facile?» diceva il Dominante, guardando
verso il fiume. «Anche passato, presente, futuro sono
soltanto pareti del globo.»
1. Genesi 11,1.
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Grandi esseri dalle grandi ali
L’accorgersi - È tutto qui - Gli abiti dei miei Maestri - I
limiti e i problemi - Il capire - Le resistenze incandescenti -
Le ali degli Angeli - Se manca qualcosa è in te che manca -
L’arte di limitare la volontà - I diffusori di tenebra - Il
bisogno di buio - Voltarsi indietro - Ciò che dimentichi - I
volti nei treni di notte
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a quadretti rosa e bianchi allacciato dietro e i sandali blu. I
due alati non li vedevo mai distintamente.
Guardandoli mi accorsi che la sensazione di quell’«È-
tutto-qui!» non c’era più. Ne stava sfuggendo anche il
ricordo. Il Dominante disse:
«Tre anni fa avevi dimenticato proprio così. Ora puoi
accorgertene, e perciò è adesso.»
Ripresi a leggere:
Ogni limite che scopri è sempre lo stesso, uno solo: solo la parete di
quel globo. Lo puoi perciò superare ovunque. E non potrai più
tornare a com’eri prima di averlo superato. Dai tentativi di tornare
com’eri prima derivano quelli che chiamate i vostri problemi.
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e ti illumina ogni passo, purché tu te ne accorga» precisò
il Dominante, con l’aria di mettermi a parte di un segreto.
«Se no, ti consumi senza vedere nulla.»
L’alato rincorreva la Bambina, che rideva pazzamente.
Mi accorsi che la scalinata si estendeva a destra e a
sinistra, per un chilometro almeno. Quante cose non
vedevo?
«D’altronde» e chissà perché il Dominante mi indicò il
fiume «anche l’Io più grande ha limiti e resistenze, a un
altro livello, e vengono attraversate da altre Entità
superiori, come i filamenti delle lampadine.»
Dagli Angeli?
«È un nome come un altro. Ma non sperare di capire
cosa sono solo perché hai una parola che li indica. Grandi
figure dalle grandi ali.»
La scalinata era come un teatro antico, ma troppo vasto
perché se ne vedessero gli estremi; e al posto del
proscenio c’erano il fiume e la spianata della riva.
«E anche le loro ali sono limiti del tuo sguardo, che ti
illuminano ciò che c’è più in là; e così ti fanno giungere
più in là: perciò è giusto chiamarle ali.»
E il cielo era bianco. Come se non ci fosse cielo sopra il
fiume.
«Ovunque, anche in alto, in ciò che arrivi a vedere c’è
la tua volontà» proseguì. «Tutto è tuo: se manca qualcosa,
è in te che manca. In alto la tua volontà scopre, conosce. In
basso, fa essere ciò che conosce. Lo limita, cioè; e si
adegua a ciò che ha fatto essere; si sforza di capirlo. Lì
pensi, per esempio, che il tuo volere si scontri con altre
volontà: ma solo in basso puoi pensarlo, dove una
particella di te crede di essere lei sola il tuo io, senza ali.
Continua a leggere il quaderno vecchio.»
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quanto potresti mai immaginare. Buone o inutili, fulminee o lente:
ciascuna via è un impulso della tua volontà, che ciò che è in alto
rafforza, e che attraversa la tua vita. E in basso, ovunque tu lasci che
quelle vie arrivino, la realtà ti obbedisce.
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«Non cattiva» il Dominante alzò le sopracciglia.
«L’uomo è soltanto buio. È un anti-Aladino. Un diffusore
di tenebra. Esseri dalle grandi ali, e diffusori di tenebra: lo
sono tutti, specialmente chi pensa di non esserlo, o magari
di essere vittima dei malvagi. Così, in basso l’uomo non
ha fiducia negli altri uomini, non se ne aspetta gran che: e
perciò ingiustizie, inganni, disastri e guerre si ripetono
continuamente, obbedienti a voi che in alto le chiedete per
punire l’uomo.»
Noi? Anche i cataclismi?
«Sì. Ogni cosa che vedi è una cosa più te che la vedi.»
E lo si potrebbe impedire?
«Impara che il tuo io piccolo ha sempre torto. Invece di
essere lui, guardalo dall’alto e vedi i suoi limiti. Se ti
accorgi del tuo piccolo buio, ti accorgi anche della luce da
cui lo vedi. E prova a volere con quella luce. Conceditelo.»
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smesso di voltarti continuamente indietro» aggiunse.
Ma io non mi sto voltando.
«No? Ti volti continuamente verso l’irrimediabile.»
Lo dici perché rileggo i quaderni vecchi?
«No, hai un altro modo di guardare indietro. Lo dicevo
prima: tu dimentichi. Guardi per non vedere. Ti chiedevi
perché ci hai messo tanto per accorgerti? Le tue ali buie
sono soprattutto il dimenticare. Sei bravo a usarle,
inconsapevolmente astuto. E il risultato è che sei fermo ad
aspettare che tante cose che hai dimenticato si muovano e
ti raggiungano. E che cosa aspetti?»
Rispose lui per me: «Le minacce temute, le paure
altrui…»
Dei miei genitori?
«Vuoi dare a qualcuno il tempo di farti promesse,
qualcuno che non esiste neanche più. Le delicatezze mai
domandate, le domande mai ascoltate. Ti spiace per loro e
perciò ti concedi poco o nulla. Per tutti è così; aspettate
che il passato vi raggiunga, questo o quel punto del
passato che avete dimenticato perché era doloroso
viverlo. Non vedi ancora il fiume?»
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di attesa in silenzio. Mi guardavano negli occhi. Avevo le
labbra socchiuse.
Ma cos’è? mi porto dentro tutto questo e non lo guardo mai?
«Ti volti continuamente a guardarli» rispose il
Dominante «solo che lo dimentichi subito, ogni volta. Non
te ne accorgi. Tu dici: Non ho capito… Ma è solo che ti
dispiace andare avanti e lasciarli lì per sempre, solo per
essere te stesso. Essere te stesso non ti sembra abbastanza,
vero? Non ti sembra giusto essere solo tu, vorresti dare a
tutta quella roba qualche altra possibilità.»
Chiusi gli occhi.
«No, guarda bene invece.»
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Nell’acqua
La gente sul fiume - «È di lì che si va» - Me stesso -
Consultazioni: il cielo freddo e le stelle - «Potevi star zitta
ancora» - L’avarizia - La paura di soffrire - Il dissolversi -
«Invece è il contrario!» - Il fiume circolare
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colorata, e scomparivano, con una vaga smorfia
nell’ultimo istante.
Perché vanno nell’acqua?
Uno mi vide mentre lo domandavo e si scostò
sbuffando. Una donna mi rispose: «È di lì che si va.»
Si va dove?
«Dove vanno tutti.»
«Vanno nell’acqua, e che farci?» mi si rivolse uno
vestito da prete. «Bisogna ammazzarli tutti, perché vanno
nell’acqua? Sono esseri umani anche loro!»
Ma perché? Cosa succede dentro l’acqua?
«Niente, si sciolgono. Bisogna lasciarli andare da soli?»
Che c’entra… Non lo sanno che là scompaiono?
«Non ci credono comunque. Bisogna lasciarli finire così
senza niente, solo perché non credono alle cose?»
Mi volsi via, anche perché vedevo che si rendeva conto
di dire cose contraddittorie e non gli importava, come
avviene spesso ai sacerdoti. Si strinse nelle spalle; ma
mentre gli altri andavano dritto, lui si teneva in diagonale
rispetto alla riva, e spingeva anche lui qualcuno, ma
riusciva a evitare che spingessero lui. Vidi qua e là anche
dei vecchi, fermi, che guardavano passare gli altri.
«Permesso, permesso!» esclamava un uomo sui
cinquanta, e passando si voltò a guardarmi, come se gli
ricordassi qualcuno. Poco dopo mi spinse da parte una
giovane dai capelli castani, bella, e molto decisa a passare
davanti a chissà chi. Mi sentivo come da bambino durante
gli attacchi di asma.
Usciamo da qua…
Un istante dopo mi imbattei in me stesso: io che
andavo dritto verso l’acqua, e incontrai il mio sguardo.
Mi seguii cercando di trattenermi, insistendo che lì si
moriva, che era pazzia.
«Prova con la dolcezza» gridò l’Austero da lontano,
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ridendo.
37
parlavano in italiano) «ma le stelle per te sono ancora
troppo lontane.»
«E lei come lo interpreta?»
«Ah, boh. A mi me pare che el fredo el saria el me cielo
de dentro, e la luna la se vede parché a luna a sluse. E le
stele che è pù grandi de la luna no se vede mia propio
parché l’è na luce che la vien da ele» e annuendo guardò
l’amica, che tradusse:
«Dice che il cielo freddo è lei, e che la luna si vede
perché splende di luce riflessa. Le stelle invece hanno luce
propria e finché uno è freddo dentro le vede troppo
lontane.»
La ringraziai. A luna a sluse. Subito dopo questa mistica
venne un’altra, a completare, senza saperlo, la lezione che
mi veniva donata quel giorno.
Aveva poco più di quarant’anni e il viso da bambina,
era venuta controvoglia, su insistenza di due amiche. Mi
guardava imbronciata mentre le spiegavo che ciò da cui
doveva guardarsi maggiormente nella vita era la tendenza
a nascondere i propri pensieri e sentimenti.
«Devi dire le cose in faccia. Capire cos’è vero per te e
dirlo. Non è facile, certo.»
«Io sono trent’anni che faccio la commessa nella
pasticceria di mia suocera. E mi trovo benissimo. Bene,
insomma.»
Scossi il capo.
«Allora proprio non ci siamo. Chi ha un negozio deve
sempre mentire, fa parte del lavoro. Bisogna dire non ciò
che si pensa, ma quello che fa piacere al cliente, no?»
«Io mi trovo bene così.»
«Da ragazzo ho lavorato anch’io in un negozio» cercai
di essere più convincente, «ed è… come una maschera.
Sottile all’inizio, come un foglio di carta…»
«Come la farina» fece un mezzo sorriso.
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«Già. Poi più spessa, con il passare del tempo» mimai
con due dita uno spessore che aumenta. «E alla sera sotto
la maschera si è stanchi, non si ha nemmeno più voglia di
toglierla. Come se non importasse più. A casa come va?»
«Con mio marito bene. Tre figli. Bene. Cioè. Tutto
quello che fa lui, io ho sempre cercato di farmelo piacere.
È più con mia suocera, che…»
La guardavo negli occhi, sentendo il peso delle sue
parole nella gola e nel petto.
«La settimana scorsa abbiamo litigato un po’. Mai
litigato prima. E ha detto una frase così.»
«Che frase?»
«Boh» guardò le penne e i fogli sul tavolo. «Ha detto:
Sei stata zitta per trent’anni, potevi stare zitta ancora.»
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socchiudeva gli occhi alla brezza del fiume, «il tuo passato
ti impedisce ogni abbondanza.»
Prendevo nota.
«Ed è avarizia» continuò. «Peccato solitamente
frainteso. Hai nostalgia o dimentichi, per avarizia di te:
ora ti stai sforzando di dimenticare la vita di quella donna
e vuoi che ti aiuti dicendoti qualcosa di bello. Ricordala
bene, invece. Soffri tranquillamente. A lei farà bene e tu
puoi spendere un po’ di sofferenza per lei.»
Ne verrà fuori, spaurita com’è?
«Per un po’ no, farà la vittima. Tu pensa a soffrire per
lei e per te, che altro puoi fare qui? Accorgiti di ciò che
senti, non spingerla nel passato o dietro le ali, perché
somiglia tanto a com’eri tu. Non puoi essere ciò che sei se
non vedi le cose e non le metti al posto loro: lì il
promontorio e lì il fiume» indicò, come un architetto, «lì la
sua vita, qui tu. Tutto ben visibile. Se no, rimane soltanto
quel dissolversi.»
Mi voltai a sinistra e là sulla riva tutto continuava come
prima: andavano a scomparire tra rumori d’acqua e
brusii, tra fasi di nebbia densa.
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un’altra Stanza Tonda. E così è anche il tempo.»
«Lui dice che l’Aldilà è invisibile?» domandò in quel
momento la Bambina, indicandomi all’alato che la teneva
per mano. L’alato rispose di sì e lei rise: «Invece è il
contrario!» disse voltandosi a guardarmi.
«Invisibili sono soltanto le cose che temi» mi ricordò il
Dominante. «E se temi di soffrire, temi anche tutto il resto,
anche la gioia.»
A luna a sluse, mi ricordai con gratitudine, mentre il
dolore per quella donna della pasticceria si muoveva lento
dentro di me, come in certi sogni quando si vuol correre e
non si riesce.
«Ecco, già meglio. Noi passeremo su quel traghetto
laggiù» il Dominante puntò l’indice.
«Vai ora, la pausa è finita.»
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L’abbondanza
Valli - Gli Angeli e gli interrogativi più semplici - Ciò che
c’è di troppo grande nei fiori - Il buio della grotta - I due
Dei necessari e Pinocchio - Il traghetto e le vicende
migranti - Lo stupore - La mancanza - Le molte religioni
Gli Angeli, per gli antichi, erano il guardare oltre. Ciò che trovate
oltre sono innanzitutto interrogativi più grandi e più semplici dei
vostri soliti: e questi sono appunto gli Angeli, i vostri custodi, che vi
guidano. Interrogativi più grandi! Se arrivate a quelli, vi accorgete di
avere la forza meravigliosa di risolvere difficoltà che prima vi
apparivano enormi e insolubili: allora vi appaiono piccole. Perciò
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dite che gli Angeli vi donano occasioni.
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libero. Indovinello: che cos’è il buio della grotta?»
Che cos’è il buio della grotta?
«È ciò che credi di sapere. Se non vedi te stesso che
crede di saperlo, la grotta è soltanto il buio, pieno di pietre
preziose che non ti servono a niente lì, perché sei chiuso lì
dentro. Se invece vedi te stesso, la grotta diventa il mondo
intero, luminoso e pieno di possibilità.
«E anche il Genio dei desideri è la grotta, che ha
cambiato forma e si è illuminata. La lampada è il poco che
puoi capire nel tuo mondo: di solito ti ci chiudi dentro, a
bruciare e a dar luce consumandoti, come olio di
lampada. Ma continua a leggere.»
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Geppetto rappresentano l’io piccolo, che vuole crescere.
Ma non si può fuggire dalla rovina senza averli sulle
spalle.»
Quindi l’io piccolo è più vecchio dell’io grande?
«È vecchio perché subisce il tempo. Tu invece sei
sempre un bambino. Anche tu ora porterai un po’ sulle
spalle il tuo io piccolo. Non sali?»
Eravamo arrivati al pontile, vi salii.
«Ora passeremo dal dominio del Dio Signore Yhoah
verso il dominio dell’altro Dio» proseguì il Dominante,
sedendosi su una panca e invitandomi a fare altrettanto.
«Guardati intorno: prima vedevi poco. Per l’io piccolo,
intorno c’è sempre una gran quantità di nulla. Ora
diventerà qualcosa: crea. Così troviamo nuovi
arredamenti per la tua Stanza Tonda.»
Siamo sempre nella Stanza Tonda?
«La Stanza Tonda è il vostro modo di vedere il mondo.
Il vostro orizzonte.»
Il pontile era in realtà un traghetto, che ondeggiava
sull’acqua verdastra del fiume. Si stava scostando dalla
riva. La Bambina sedeva accanto al vecchio alato, seria e
tranquilla; io ero più inquieto di lei, per la traversata.
L’Austero, quando incontrai il suo sguardo, sorrise
appena d’un mezzo centimetro, il che gli diede d’un tratto
un’espressione dolcissima.
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vicende incompiute che passano da un’epoca all’altra, in
cerca di compimento, o di giudizio: si diradano e le togli,
quando l’Ignoto arriva.»
Vicende da un’epoca all’altra? Di altre mie vite?
«Ci sono vicende che si reincarnano da una vita
all’altra, e anche da una persona a un’altra: vogliono
entrare nella vita e proseguire. Qualcuno le ha
incominciate una volta, ma non ha potuto terminarle, e si
reincarnano come voi pensate si reincarnino le persone. È
una buona cosa lasciarle avvenire, è un merito.»
Vicende non mie?
«Sì. Quasi tutto ciò che vi impegna nella vita lo è.
Bisogna lasciare che si compiano il meglio possibile, ma
senza farsene prendere più di tanto. L’io piccolo invece ne
è ghiotto.»
E come si fa a riconoscerle? Voglio dire, se sono mie o no…
Pericolose, o inutili. Si possono scegliere?
«La vostra mente non le può riconoscere, ma voi siete
più grandi della vostra mente. Quanto ai pericoli, ciò che
è inutile e pericoloso proviene soltanto dalla vostra paura
di ciò che non conoscete. E solo quelle vicende passate
limitano il vostro conoscere. Dunque sono tutte un po’
inutili e pericolose.»
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ciò che ti manca sia invece in un’altra persona e possa
essere nel futuro, in ciò che vivrai con lei. Invece è sempre
e solo una parte di te, e se hai il coraggio di cercarla, la
vista diventa più limpida dappertutto, prendono forma
tante cose e tutte ti stupiscono.»
Il fiume intorno a noi era immenso, non sembrava così
grande dalla riva; o forse la corrente ci aveva portati più a
valle.
«Quella mancanza è l’unico modo di essere. Essere»
ripeté. «Sai cosa intendo?»
Sì, essere e non essere.
«Essere vuol dire far essere ciò che vi è in te di più
grande. Solo allora siete. Lì è la mancanza che puoi
sentire.»
Guardai il Dominante. Guardava ancora l’acqua.
Sembrava che stesse parlando di qualcosa di suo, appreso
attraverso difficili esperienze, e che volesse risparmiare a
me esperienze del genere.
«Allora ciò che è più grande dissolve quelle vicende
vecchie, altrui» continuava, «come il fiume dissolveva
quella gente sulla riva. Allora lo superi. Poi ne verranno
altre, ma di nuovo potranno dissolversi. Sarà facile come
respirare.»
47
«Appunto dico, una nuova.» Gli venne da ridere: «E
poi perché dici che sono tante, le vostre religioni? È strana
questa idea che hai del “tanto”: tante religioni! Voi siete
colmi di un’abbondanza che non aspetta altro che di
venire espressa, per darvi gioia: come se viveste in una
foresta di alberi di Natale, con i doni. E invece vi
rannicchiate in una tana e, in qualunque direzione
guardiate, contate i rametti che vedete, pensando che
siano tanti. Perché vi piace tanto contare le cose?»
Per averne un’idea. La quantità.
«Non è un buon modo. È anche questa un’idea delle
religioni vecchie, di quelle che educano alla rinuncia, a
diminuire il reale e a farne il conto. È proprio il contrario:
tutto ciò che tocca lo Spirito è abbondanza. Uno è il
numero più grande. Gli altri numeri sono tutte
approssimazioni di uno.»
Ma le religioni… Sempre lo stesso sogno: ritrovarsi insieme
sforzandosi di esserne contenti. Tutte quelle finte parentele tra
gli uomini: padri, fratelli.
«Siete prigionieri delle parole. Ciò che chiamate
religione è tutt’altro. Ma se ora non ne hai voglia non
insistiamo. Hai tante altre cose da scoprire, prima.»
Mi guardai intorno. Si vedevano anche i profili delle
alture.
Come mai è così lontana l’altra riva? domandai quando mi
accorsi che tacevano da un po’.
«Non preoccuparti, l’hai già fatta questa traversata, è
tutto nei tuoi quaderni. Ti stai soltanto accorgendo di
averlo già fatto.»
E quanto durerà, la traversata?
«È solo apparenza. Una vita, due, o qualche giorno, o
pochi minuti. Qui tutto è adesso, lo sai.»
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1. Matteo 6,29.
2. I due nomi di Dio si riconoscono anche nelle traduzioni consuete della
Bibbia: Elohim viene tradotto «Dio» (vedi Genesi 1,1; 3,1; 6,13 ecc.) mentre
YHWH, o Yhoah, viene tradotto «il Signore Dio» (vedi Genesi 2,7; 3,8-14
ecc.).
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I fantasmi nell’universo
I cambiamenti infiniti e le vicende altrui - Essere adesso -
Il lenzuolo addosso e le ombre - Immagini del cosmo: la
piramide e i cieli - Niente più in basso - I traumi presenti -
Le domande - Salire e crescere - Lo stupido e la felicità
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«Te li mostrano. Tu stesso le attiri, per limitare la tua
abbondanza. Togliti i sandali, invece.» 1
51
la realtà tutta intera, e non soltanto noi Spiriti. 2 Così
vedete tutto attraverso l’ombra del lenzuolo, e siete ciò
che vedete: ombre.»
Quindi voi percepite la realtà com’è davvero, e noi no?
«A noi importa che vi accorgiate di essere la realtà. Voi
vi preoccupate di percepirla. È lì la differenza. E avete
quest’idea stramba: che quando percepite uno Spirito e lo
fate parlare, lo liberiate da una prigionia, come quando si
dice che Aladino abbia fatto uscire il Genio dalla lampada.
Ma anche qui è il contrario. Chi percepisce uno Spirito,
libera se stesso da una prigionia della percezione.»
«Perciò Aladino può adoperare i poteri, quando è con il
Genio: perché è più libero» mi aiutò a dedurre l’Austero.
Anche il fiume è una specie di lenzuolo?
«Il fiume è tante cose» rispose il Dominante. «È il
tempo, è ciò che credete di sapere e di capire, è il fluire
delle vite degli altri, come le vedete voi; sono le correnti
dei condizionamenti che subite; è tante ombre di veli.»
L’acqua sciabordava al di sotto del legno, che ne
sembrava pulsare. Non mi ero mai trovato così in mezzo a
un fiume, era bello vedere da lì la corrente ampia che
arrivava e proseguiva. E alzando lo sguardo dalla
corrente notavo che il paesaggio continuava a schiarirsi.
«Bene. Bene.» Il Dominante annuiva.
52
dubbio la vetta della creazione, mentre tutto il resto è più
giù. Più giù, secondo voi, c’è quello che chiamate
l’inconscio, e tutti gli animali, gli alberi, le rocce, le
acque…»
«Lì giù ci sarebbe anche il vostro corpo, secondo voi»
mi fece notare l’Austero.
53
altre cose che vi hanno insegnato in passato, vi garantite il
diritto di stabilire che cosa ci sia e non ci sia più su adesso.
Non è un po’ soffocante, sentirsi così padroni di tutto?»
Un po’, ammisi.
«Tanto più che una piramide non può crescere. La
piramide è una forma difensiva: così aguzza» il
Dominante scosse il capo. «Pronta a trafiggere, e
immobile! Voi la amate talmente. Credete perfino che vi
guarisca. Giù in quella piramide vi fanno scendere i vostri
medici, per curare i vostri blocchi e le vostre nevrosi:
perché pensate che lì giù ci sia anche il vostro passato, e
pensate che nel passato si trovino residui di avvenimenti e
situazioni che vi hanno causato problemi. E quando
ripescate qualcuno di quei residui, tornate su credendo di
essere guariti.»
La psicanalisi a volte funziona.
«Tutto a volte funziona. Ma che effetto fa pensare che
dappertutto – sia giù sia su – avete soltanto il passato?»
54
«Il cosmo è una serie di sfere. Al centro, c’è l’io piccolo
di chiunque viene al mondo. Tu sei sempre al centro di un
orizzonte. E da ogni parte di queste sfere giunge tutto, al
tuo io: aria, luce, buio, cibo, avvenimenti, tutto il mondo.»
Copiavo sul quaderno le sfere tracciate nell’aria.
«E tutto è nel presente» diceva il Dominante. «Le
innumerevoli cose che giungono al tuo io dalle sfere sono
forme che assume l’energia della vita, che è ovunque
intorno: una e uguale quando è fuori dalle sfere, e sempre
più differenziata via via che le attraversa. Le sfere sono
lenti filtranti.»
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Come le sfere dell’atmosfera.
«Ma tutto ciò che filtrano è soltanto presente,
comunque tu lo percepisca. Le sfere sono gli Dei, i pianeti,
i cieli, le Gerarchie angeliche, il passato, il futuro o le sfere
dell’atmosfera: ogni vostra epoca le chiama a suo modo,
ma sono sempre le stesse, e sono tutte in te. La differenza
è che nelle sfere più grandi e tutt’intorno c’è ciò che non
sai ancora di sapere e di essere, mentre nella più piccola lì
in mezzo c’è ciò che sai di sapere e di essere, e che chiami
io, o volontà, o destino.»
«Nomi, nomi, nomi…» mormorò l’Austero «gli animali
e le rocce non li hanno, e sanno molto più di te.»
«Così, se immagini che le sfere siano più alte dell’io,
l’io viene a essere il punto più basso dell’universo» diceva
il Dominante indicando la sfera piccola al centro. «Se
immagini che siano più grandi, allora l’io è il punto più
piccolo.»
Quindi non c’è niente di più basso dell’io.
«Niente. Anche il vostro corpo è più in alto di voi. Una
tua unghia è più saggia di te, e puoi solo imparare
guardandola. Così gli animali, le piante e l’aria.»
«E le rocce» precisò l’Austero.
«E le rocce. E anche i tuoi traumi, e tutti gli
avvenimenti che secondo te il tuo io non è riuscito ad
assimilare e che l’hanno danneggiato, non sono affatto più
giù, ma tutt’intorno:
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«Non sperare che siano nel passato. Ci sono e basta:
sono energie che non sai più usare, o non sai ancora usare,
e che ti stanno intorno come nuvole, a schermare ciò che
dagli orizzonti fluisce verso di te. Le associ ad
avvenimenti passati, a traumi, ma questo non è diverso
dal dare vari nomi alle sfere. Puoi allo stesso modo
associarle ad avvenimenti futuri: perché da lì verranno
certamente conflitti e sconfitte; così ciò che voi chiamate
passato diventa di nuovo futuro. E da lì vengono i vostri
difetti, limiti, paure, che producono continuamente ricordi
dolenti: sotto queste nuvole ricevi meno luce e sei debole
57
e soffri, fino a che non ne vieni a capo.»
E come?
«Salendo più su. Diventando più grande. Il contrario di
ciò che si sforzano di pensare i vostri dottori, che credono
di farvi scendere giù per curarvi la mente, perché vi
immaginate di essere a chissà quale altezza.»
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E perché ci aspettate?
«Perché noi siamo te. Non riesce a entrarti in testa,
vero? Per toccare una cosa usi la mano. Lì noi siamo la
mano. Così crescete e salite. Salire, è quando la vostra
attenzione sale, premendo sulla parete del globo, ricordi?
E crescere… è il globo intero che cresce.»
Quella tra salire e crescere è una differenza importante?
«Sì. Nel salire, nel muoversi dell’attenzione, il tempo
non c’è, ci sono solo tanti attimi, ognuno infinito. Nel
crescere, invece, il tempo deve adattarsi: dovete allargare
il tempo. Il che appunto stai facendo tu con i tuoi
quaderni. Questi disegni li avevi già, nei quaderni vecchi,
la tua attenzione ci era già arrivata, ma non te ne ricordi,
come dici tu. Non è che non te ne ricordi, è che devi
crescere. L’io è più piccolo e più basso anche di se stesso.»
Cercai nei quaderni, e ritrovavo davvero quegli schemi
circolari: rivedendoli mi ricordavo di averli disegnati, e
anche all’incirca quando, e ricordarmene mi dava la
sensazione che il mio tempo si stesse smontando, come un
orologio sul tavolo di un orologiaio. In quel momento il
traghetto si fermò, con un sussulto.
«Eccoci.»
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«Qualcosa non basta ancora? Non ricordi abbastanza?»
Non so, non…
«Come vuoi.» E di nuovo eravamo in mezzo al fiume,
ma adesso pioveva forte.
1. È ciò che Dio ingiunge a Mosè quando gli appare per la prima volta nel
deserto, Esodo 3,5; e «Togliti i sandali» è un’esortazione a non porre nulla tra
se stessi e il luogo in cui si è.
2. Esodo 3,6: «Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso
Dio».
3. Giovanni 3,19.
60
I personaggi dell’io
L’annegata - Quando non si prova nulla - Ciò che avviene
sempre e come cambiarlo - Lo sguardo e il passato -
Personaggi esploratori e personaggi creatori - Aladino che
si innamora - I punti cardinali - «Io» e «gli altri» - Mille
destini - Pericoli
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mano, la stoffa la avvolgeva ancora, nell’acqua, e io
gridavo. O meglio mi guardavo gridare. Ero là e al tempo
stesso ero già sulla riva.
«Su, scendi adesso» mi incoraggiò il Dominante.
Scesi sulla riva, appoggiandomi a lui.
C’erano grandi alberi sul pendio, che offrivano riparo
dalla pioggia: e mentre li raggiungevamo mi vidi seduto
lì, con due bambini accanto, a guardare il fiume.
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stai accorgendo che non provi nulla per la poverina che
affoga nell’acqua torbida, smettendo di scalciare. Non ti
spiace che fosse bella e che fosse tua. Per secoli ti è
spiaciuto e ti sei tormentato per non averla saputa
trattenere, e adesso non ti spiace più; perciò l’hai potuta
perdere. Ti accorgi?»
Sì.
«Così è. Quando vi accorgete di non avere più la forza
per dispiacervene, è perché state cominciando a cambiare.
Che dici: andiamo verso il bosco, o lungo la riva del
fiume?»
Nel bosco.
I due alati si incamminarono per primi, e noi dietro, sul
terreno coperto di aghi di conifere, sabbioso qua e là.
La pioggia nel bosco era meno fitta, il fogliame
formava cupole quasi compatte. Guardavo il muschio e le
grandi radici, e pensai che anche i discorsi del Dominante
somigliavano a un bosco così, in cui lui sapeva la
direzione e io potevo vedere solo gli alberi.
«Il tuo sguardo si sposta, e tu no» mi disse il
Dominante. «Perciò il tempo passa. Invece di essere dov’è
il tuo sguardo resti fermo in un punto, tieni il tuo adesso
nel passato. Così ogni giorno diventa solo passato.»
E se seguissi il mio sguardo?
«Allora ciò che hai visto può essere un mosaico di altre
vite, sparso, o un geroglifico di tue esperienze nella vita
attuale; puoi anche accorgerti che ciò che hai visto sono i
personaggi formati dai tuoi pensieri. Indubbiamente
questi personaggi hanno popolato la tua vita, e spesso li
hai chiamati io. Ma voi siete talmente approssimativi,
quando parlate dell’io.»
Quella donna era un personaggio inventato? domandai con
sollievo.
«No, lei era vera. Tu che la guardavi eri un tuo
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personaggio: tu che non provavi sentimenti.»
Ma personaggi in che senso?
«Voi pensate che basti dire “io” per parlare di voi:
come se la parola “io” indicasse sempre e per magica virtù
un unico intero, preciso e strutturato. Non è così. Ogni
volta che ti accorgi di te, trovi i numerosi personaggi di
cui si compone il tuo io; e sono di due categorie:
esploratori e creatori.»
È una vostra teoria della personalità? È così per tutti?
«Certo. È una teoria per evitare inutili guai.»
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generano da sé, un po’ come i lineamenti del tuo volto. Li
puoi soltanto scoprire, non creare.
«Sono anch’essi tuoi aspetti e pensieri, ma plasmano la
realtà. Ne scoprite e ne usate pochissimi. Un po’ perché a
voi piace esplorare e non conoscere, vi piace il processo
dello scoprire ma poi temete le scoperte; e un po’ perché
per usarli dovete raggiungere un certo livello di intensità.
Per esempio, Aladino fino a che non si innamora della
principessa usa la lampada per cose di poco conto. Poi si
innamora, e cambia il mondo. È semplice.»
La principessa era un suo personaggio creatore?
«Bravo.»
E innamorandosi non ha detto «ecco tutto!» e «ho trovato!»?
«Non ha avuto il tempo di pensarci. Fino a quel
momento il livello di intensità di Aladino era troppo
scarso per fargli incontrare principesse: per permettere
cioè ai suoi personaggi creatori di farsi avanti nel mondo,
e di incontrarlo. E allora poteva dirsi “ho trovato!” oppure
“ma ho trovato davvero?” e così via.»
Il bosco adesso era di abeti e betulle.
Perché ciò che dite è sempre contraddittorio? Appena penso
di aver capito mi sento come in mezzo alle onde…
«In mezzo alle onde?» Il Dominante sorrise.
Sì, spaesato, insomma. Perché parlate così?
«Se spiegassi a un bambino i punti cardinali, dovresti
dirgli che, continuando sempre verso est, si torna al punto
di partenza da ovest. È contraddittorio?»
Sì. No.
«Così sono sempre le cose che avete in voi e proiettate
fuori, come i punti cardinali. Avete sempre qualche
comprensibile resistenza ad assimilare questo dato di
fatto. E pensa che stiamo andando per gradi: è solo l’inizio
di una spiegazione; di molte, anzi. Non dare troppo peso
a queste cose preliminari, solo fa’ domande e tutto si
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chiarirà.»
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l’impressione che siano intervenute potenze celesti. Si
rivelano tue facoltà più alte, tutto va a tuo vantaggio, tutto
è tuo alleato nel mondo.»
E possono essere gli stessi personaggi, che cambiano ruolo a
seconda del mio livello di intensità?
«Sì, certo. Voi siete liberi, niente vi determina. Dipende
soltanto da voi essere intensamente voi stessi o no, in
qualsiasi frangente della vita. Di occasioni ne avete ogni
istante. Un giorno ne scegliete una, la vostra intensità sale
d’un tratto ed ecco che tutto va bene.»
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decenni in una professione che non ti piace, o in un amore
che non fa per te, o comunque a fare qualcosa che non
porta a nulla. Allora ti sembra davvero di essere in mezzo
alle onde, e di rischiare di annegare.»
«Già» borbottò l’Austero.
«È abbastanza raro che la vostra via sia proprio la
vostra via, sai» proseguì il Dominante. «Ma è molto bello
trovarla. Sono conoscenze che la vostra psicologia non ha
ancora: poi pian piano ti descriveremo tutti i vari tipi di
personaggi, con ordine.»
Quanti tipi sono?
«Una cinquantina. Tu quanti anni hai? Quarantatré,
ora? Dovrebbero proprio essere quarantatré. O
sessantatré? Quanti anni conti tu, con il tuo modo di
contare? Magari settantadue. O di meno?»
E il Dominante rideva.
68
L’Impossibile
Il groviglio degli altri - Il passaggio del Mar Rosso -
Tremila anni e adesso - Souvenir - Il trasloco - La
confusione tra le persone - Farsi inghiottire - La possibilità
di sentirsi in pace con se stessi - Il passato fuori dal fiume
- Le paure degli altri - In treno - La maggioranza - Il
desiderio e il ma
69
davanti passò indietro. Venne così a trovarsi tra gli Egizi e la
carovana di Israele. La nube era tenebrosa per gli uni, mentre per gli
altri illuminava il buio; così gli uni non potevano avvicinarsi agli
altri, in tutto quel buio.
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mezzogiorno, stavo traducendo la Bibbia in quei mesi, e
ripensavo: «Si apre il Mar Rosso davanti a te, e lì è per
sempre». Davvero nella Bibbia si ha questa impressione:
che a ogni versetto si aprano acque, acque di secoli,
millenni. Duemilacinquecento anni tra noi e la Genesi,
come calcolano alcuni. Più di tremila, secondo altri e
anche secondo me, che trovavo nel testo tracce evidenti
del linguaggio geroglifico egizio. Ma il testo biblico
diventava adesso, ogni volta che un significato nuovo
cominciava a chiarirsi sotto i miei occhi. Niente di più
vicino: tradurla è come labbra che sussurrino sfiorando
l’orecchio, mentre gli altri rumori intorno diventano
remoti.
Anche la vita andrebbe tradotta così, pensavo, mentre
poco prima dell’una scendevo le scale di casa. Nella
cassetta delle lettere c’era un pacchetto senza il nome del
mittente. C’era solo la parola Souvenir, scritta su un
angolo: era lei, l’Impossibile; e dentro trovai i regali che le
avevo inviato quattro anni prima.
Nemmeno un biglietto.
«Non vuole più niente di me.» Lo sussurrai, come se il
silenzio intorno fosse diventato tutt’a un tratto
insostenibile.
Qualche secondo passò, lunghissimo. Avvicinai un
braccialetto d’oro al naso: c’era il suo profumo? Un
rumore di piatti da ora di pranzo, da qualche finestra del
cortile. Strinsi le labbra e andai a gettare i regali, uno per
uno, nel bidone della spazzatura. Non li volevo e avevo
fretta di non vederli più. C’era anche una bussola antica,
cinese: il vetro era spezzato. Via anche quella.
Poco dopo cominciò ad agitarmi la mente una specie di
trasloco: come se dentro di me stessi smontando armadi,
scaffali, specchi, cercando dove buttarli, stizzito, offeso,
71
su, presto, con tutta la polvere soffocante che ne veniva,
polvere di ricordi, tanto da tossirne. Per i compleanni ci
telefonavamo ancora. No, non sempre, non l’avevo
chiamata il novembre scorso. Non l’avevo chiamata
perché andava sempre allo stesso modo: alla telefonata
d’auguri ne seguivano subito altre, lo stesso giorno, e nei
due tre giorni seguenti, fino a che non ricominciavamo ad
accusarci a vicenda di viltà e ipocrisia proprio come
quando avevamo troncato. Quello era il vero regalo di
compleanno, far sapere l’uno all’altra che faceva ancora
male.
A maggior ragione, basta: eravamo un rancore uno per
l’altra. Perciò non l’avevo chiamata; e poi era proprio
quando volevo cambiare tante cose: non avevo voluto
pensarci. Basta, e dopo tre mesi ecco, la conferma.
Ricevuto. Souvenir.
I mobili di quel mio trasloco interiore restavano
intorno, in disordine. La stizza non durò neanche un’ora,
poi tutto rimase ingombro. «Per sempre»: nei quaderni
d’allora trovavo scritto che sarebbe stato per sempre, «per
tutta una vita». Che l’avessero detto i Maestri, o che avessi
desiderato io sentirlo dire contava poco allora, e contò
poco anche quel pomeriggio.
Ci assomigliavamo talmente io e lei.
Era addirittura strano, sì: la stessa storia, lo stesso
lavoro, le stesse origini anche, e gli stessi difetti. Non ci
eravamo scelti, non ce n’era stato il tempo: tre ore dopo
averla conosciuta era già cominciato tutto, tra continui
«anch’io, anch’io» di cui ridevamo.
Dunque sarebbe stata una ferita per sempre? Va bene,
pensavo ora. Per tutta la vita. E stare seduti a pensarci era
come lottare.
Lottavo contro il ricordo di tutte le ore al telefono,
dopo il primo incontro, per una stagione intera –
72
primavera – telefonate, e lettere e fax per riempire il
tempo tra una telefonata e l’altra. Poi erano incominciati
gli appuntamenti, insensati, impossibili anch’essi, e lì il
tempo non esisteva proprio più, né il sonno, né il cibo;
come i bambini che giocando non si sfiniscono mai, e alla
fine bisogna trascinarli via a forza. Erano viaggi di otto
fusi orari, eppure così facili: proprio in quel periodo
capitavano di continuo motivi, pretesti. E non ne
capitarono più, poi.
Mi tornò in mente la donna che scompariva nel fiume.
E adesso avevo buttato i regali nella spazzatura.
73
«così il tuo sguardo diventa l’annegata. Non che sia
inutile: anche Cappuccetto Rosso si fa inghiottire dal lupo.
Il profeta Giona e Pinocchio si fanno inghiottire dal pesce.
Crono inghiotte i fratelli di Zeus. Aladino è inghiottito
dalla grotta. Gesù dal sepolcro. Noè dall’arca. Non ci hai
mai fatto caso?»
Prendevo nota accuratamente, ma di malavoglia. Era
cambiato tutto dal giorno prima.
«E sai perché?» continuava il Dominante. «Ci si fa
inghiottire dall’impedimento per diventarlo. Sei
nell’ostacolo, diventi l’ostacolo. E se lì riesci a rimaner te
stesso, non soltanto lo superi, ma acquisti la forza
dell’ostacolo, per usarla altrimenti.»
Rilessi ciò che avevo annotato e aspettai che dettasse
ancora.
«La tua Impossibile ti ha restituito i regali. Donna
saggia» rilevò l’Austero.
Devo chiamarla, cioè?
La mia mano non riusciva a scrivere la risposta.
Ma anche se la chiamassi, che cosa le potrei dire di più? Non
può ricominciare una storia insensata, a diecimila chilometri di
distanza. No? Sto perdendo tempo di nuovo, è chiaro.
Dovevamo parlare di tutt’altro, e siamo daccapo ai «m’ama non
m’ama». E qui intorno non vedo più niente.
Sì o no?
74
famiglia: sia il suo matrimonio sia il mio duravano da
molto e proseguivano per inerzia; quello allora era stato
l’ostacolo, sì: ma entrambi avevamo puntato talmente
tanto sui nostri studi, in campi talmente avventurosi e
incerti, che non ci avanzava il coraggio di lasciar entrare
anche nella nostra vita privata un elemento di rischio,
come sarebbe stato il divorzio, una nuova unione, andare
a vivere insieme.
O almeno così pensavo da tanto tempo. Ora guardavo
la penna e davvero temevo di scrivere qualcosa. I Miei
tacevano; non avevo domandato niente.
Sì, potevo capirmi ora. Tanto io che lei avevamo
assoluto bisogno di un punto stabile (qualunque fosse,
purché stabile da anni), proprio perché in ogni altro
aspetto della nostra vita tutto era e doveva essere
imprevedibile. E poi chi studia è abituato a non chiedere
per se stesso niente, bensì a usare se stesso.
Tanti divorziano, dissi, e non ne conosco nessuno che non si
sia dissanguato. E poi è banale. Mi dà fastidio la banalità. Ma
non era una domanda.
Giusto? Sbagliato? Necessario? Mediocre? Triste?
Tacevano. In ogni caso c’è qualcosa negli amori
impossibili che toglie per sempre la possibilità di sentirsi
in pace con se stessi. Tutti e due gli amanti sentono
quell’impossibile come un limite e – come dicono i
Maestri – appena ti accorgi che un limite è un limite, non
lo è più. Eppure nessuno dei due lo supera. Si
paralizzano. «Ed eccolo infatti» pensavo «è bastato che si
facesse ricordare, e sono di nuovo paralizzato.» E un
limite è tutti i limiti. Dunque in quanti altri aspetti della
mia vita non oso vederlo? Mi immaginai alle
consultazioni, mentre spiegavo ad altri i loro errori e il
loro destino. E io?
Io diffondo tenebra? chiesi.
75
«Diffondi tenebra su ciò che hai chiesto» rispose il
Dominante. «L’hai fatto in passato, con lei, e ora lo fai nel
pensiero. Risolveremo. Ora lascia passare questa
sensazione amara d’aver fatto errori con il sentimento.
Hai onorato lo status quo e così è stato: quieto, ma scarso
per te. E ora sei debole.»
Tutto questo è un mio personaggio creatore? Ci sono anche
personaggi creatori che creano solo difficoltà, vero?
«Ce ne sono, ma qui sei solo tu che freni. Quando è un
personaggio creatore ad agire, non hai tempo di pensare
tanto.»
Vidi che il Dominante mi guardava pensieroso. Ma ora
lo vedevo, almeno, e mi sentii meglio: ricominciavo anche
a vedere dove eravamo. I disegni della tappezzeria erano
come quelli dei tappeti e, invece degli alberi, c’erano un
soffitto basso e un finestrino. Uno scompartimento, di un
treno di molti anni fa.
«L’importante ora è uscire dal fiume che ti inghiotte»
proseguiva il Dominante, seduto davanti a me. Vedevo le
pieghe del suo morbido caftano persiano. «Il problema è
che uscendone trovi tutto il tuo passato, tutto ciò che già
conoscevi e che ti eri lasciato alle spalle scomparendo nel
fiume. E far finta che non esista non puoi…»
Da cosa dovevo uscire? Il passato è che la amo, pensai,
e io la amo. E nel pensarlo mi sentii bene.
76
«Staccandoti dagli altri. Imparando a vedere cosa c’è in
loro di bello o di sbagliato, che tu oscuramente senti di
avere anche in te, ma che non sai riconoscere.»
Non capisco… I personaggi, di nuovo?
«Non solo. Devi chiarirti bene questo punto. Non se ne
esce, se no.»
Il passato: adesso vedevo bene il vagone in cui
eravamo seduti, era un treno della mia infanzia, quando
tornavo a casa d’estate, in Russia. Il viaggio verso oriente
durava tre giorni, in scompartimenti foderati di morbida
tappezzeria e tappeti, vanto delle Ferrovie Sovietiche.
Perché siamo su questo treno?
«Non lo sappiamo ancora» rispose il Dominante
guardando verso il finestrino, come se gli avessi chiesto
quale sarebbe stata la prossima stazione. «Non certo
perché tu sia più rapido ora. Forse è perché obbedisci a
questo treno: ti fai portare e non vedi il cielo e la terra là
fuori, la loro materia luminosa. Di certo è un treno del tuo
passato. Wagon lits. Schlafwagen.»
Vienna, Praga, Varsavia. Ricordavo le città che vedevo
dal finestrino, così diverse allora; un altro mondo.
Perché dici «forse» e «di certo»? Non è il vostro modo di
parlare.
«Eh sì» il Dominante scosse il capo, «ti portano via,
certe cose. Ti accorgi che non sei più tu e non ci senti bene.
Il treno ti ha portato via tante volte. Succede così: chi non
è se stesso ha bisogno che il suo piccolo tempo personale
sia trasportato da un tempo più vasto, come un
passeggero su un treno. È una consolazione di moltissimi:
così anche il loro piccolo tempo inutile (inutile, perché
non sanno usarlo) ha un po’ di vastità. Le convenzioni, le
maggioranze sono i vostri treni.»
Io ho obbedito alla maggioranza? Anch’io sono così?
«No? Forse non in tutto. Non parleresti con noi, se no.
77
Ma, di sicuro sei stato spesso un tipo piuttosto
obbediente.»
Perciò è andata così, tra lei e me? Semplicemente ho avuto
paura? O non la amavo abbastanza?
«È soprattutto perché eravate troppo simili. Quando vi
siete visti così simili in tutto vi siete fermati, ringhiando
come due gatti. Naturalmente dovevate evitare di
incontrarvi per un bel po’, per riuscire a calmarvi.
«Vi piacete, certo. Ma questo non vi avvicinava; il
desiderio non avvicina quando desideri l’essere dell’altro
perché è tanto simile al tuo. Questa è l’inarrivabilità. Può
venirne una grande passione, ma nella prospettiva del
mai. Non che sia male: il mai in un certo senso è molto più
del sempre. Non solo è immenso, è anche profondo.»
Mi accorsi che trattenevo il fiato.
«E ti porta via, come un treno.»
78
1. Esodo 14,19-21.
79
Vittime e colpevoli
Al telefono con l’Impossibile - Cosa avrei risposto - Di che
cosa ci si innamora - Strutture - Perché far crescere ciò che
è vecchio? - Chi si fa vittima - La libertà più in alto - Le
due condizioni delle invenzioni industriali - La lampadina
e l’Ottocento - La ferrovia e la Scala celeste - La gente in
treno - Se immaginassi con fiducia - Invenzione e
immaginazione
80
«Che scemo.»
«Tu come va?» continuai ridendo anch’io.
«Sei ancora sposata?»
«Tutto come prima. Tu?»
Un istante dopo parlavamo fitto, io non riuscivo a
restare seduto e camminavo per la stanza, gesticolavo
parlando, non riuscivo a smettere di sorridere. Quattro
anni prima parlavamo così.
Mi sedetti sul pavimento.
«Allora?» domandai. «Basta, vero? È finito il vuoto,
ricomincia tutto? Più di prima.»
«No.»
«Sì.»
«Ci sentiamo» e riattaccò.
Posai il ricevitore e guardai il sole del pomeriggio sulle
tende. E se davvero avessimo ricominciato?
81
«E tu?»
«Io con nessuno. Per ora. C’è uno che amo, e tanto
anche, ma lui non lo sa. Mi ha fatto troppo male l’altra
volta mentire in casa.»
«E chi è?»
«Uno che lavora con me. Non è una bellezza, ha un po’
di pancia, ma per me è meraviglioso. Chiuso come una
fortezza. Ci vediamo ogni giorno e penso che abbia capito;
ma vorrei che fosse lui a fare il primo passo, almeno. E
comunque no, prima devo chiudere davvero con mio
marito.»
Aspettavo, immobile.
«Tu invece? Ma che sia la verità. Con chi, come e
perché.»
«Non c’è bisogno, non ha importanza.»
Mi si era seccata la gola.
«Ha importanza.»
Sulle tende era rimasto solo uno stretto rettangolo di
sole, in alto. Cominciai a raccontare, pensando a
quest’altro uomo, e cercando di descrivere le mie piccole
relazioni nello stesso tono in cui lei mi aveva descritto il
suo nuovo amore. Mi convincevo che dicendole la verità
le avrei mostrato quanto cercavo invano di dimenticarla
con altre; ma la mia verità era più complicata della sua, e
mi accorsi che finiva per assomigliare irresistibilmente a
una bugia. Mi chiese i nomi di battesimo delle altre, cosa
facevano nella vita, quante volte e dove ci vedevamo.
«Dico a tutte che ho molto da fare, il che è vero, e così
in qualche modo si riesce a gestire il tutto. Poi spiego che
questa o quella cosa non va, e che è azzardato pensare a
un’unione stabile. Scuse, è facile trovarne.»
Era come se una parte di me avesse cominciato a
correre, tanto più veloce quanto più lenta diventava ora la
conversazione, piena di pause.
82
«E qual è la più brava?»
Glielo dissi.
Silenzio.
«Perché buttarsi via così?» mi sembrò di vedere le sue
labbra mentre pronunciava le parole.
«Perché mi manchi» ma nel dirlo mi venne un tono
interrogativo.
«No. Fa schifo così, non vedi?»
Silenzio. Riattaccò.
Io dovevo tenere una conferenza fuori città, sugli
Angeli nella Kabbalah, e considerando il traffico ero già
quasi in ritardo.
Il giorno seguente lessi in uno dei quaderni vecchi:
83
«Prendono un treno» rispose l’Austero.
Allora scendiamo da questo treno.
«Quando si fermerà, scenderemo.»
84
«Tutte. Secondo voi i colpevoli sono quelli che fanno il
male. Ma è una vostra idea aritmetica di giustizia, che
serve solo quando parlate per dar ragione o per farvi dare
ragione, e che vi aiuta a non guardare le vostre parti
oscure. Invece i colpevoli sono soltanto gli strumenti dei
mali. Non potrebbero fare nulla se sulla loro strada non
incontrassero qualcuno disposto a fare la vittima, ad
aprire la porta alla sofferenza.
«Pensaci bene. Tutti quelli che domano altri e li
costringono a servire alle loro esigenze, o convenzioni,
sperano in fondo al cuore che gli si dia torto: che siano le
vittime a sopraffarli, e a imporre loro un altro modo di
vivere, migliore. Ma le vittime subiscono.
«È soprattutto per loro la preghiera “Non indurci in
tentazione”. È per le vittime. Significa: fa’ che le mie virtù
non mi spingano ad accettare qualche sofferenza, a dare e
facilitare il compito a qualche colpevole. In pratica è:
fammi accorgere di queste tentazioni. Ma le vittime non se ne
accorgono. Non giudicano, per paura di essere giudicate.»
85
«Oh be’. La vostra giustizia non è diversa dalla pioggia,
che a volte c’è e a volte no. Ma non obbedisce certo a voi,
né a se stessa.»
86
ricordi? Hanno un loro senso e una loro necessità; anche il
treno. Guarda nel quaderno con i fiori sulla copertina.»
Trovai la pagina in quel quaderno. Ero contento che
non parlassimo più di lei:
87
è un secolo, un periodo storico reale.
«I periodi storici non esistono. Potete periodizzare il
tempo in mille modi, e andrebbero tutti bene, ma ciò che
chiamate Ottocento è solo un luogo del vostro io, che c’è
in ogni vostra giornata.»
Leggevo, in quello stesso quaderno:
… senza più scampo. E tutta la vita del singolo ne era invasa: nella
morale della famiglia (perciò M.me Bovary e Anna Karenina furono
88
nell’Ottocento e non prima); o nel sentirsi appartenere a una classe
soltanto perché si sta facendo un lavoro servile.
89
paura solo della tua paura. I bambini immaginano
continuamente e hanno ragione, perché si accorgono che
tanto lo si fa sempre e comunque. Gli adulti invece non se
ne accorgono più, e vedono solo il treno.»
Ma sarebbe solo un mondo immaginario.
«E ti farebbe un gran bene viverci. L’immaginazione ti
guiderebbe brillantemente, anche nel tuo Aldiquà. Se
immaginassi con fiducia, cominceresti a vedere in
trasparenza, come da questo finestrino» e si fermò per
indicarmi il finestrino buio, rigato dalla pioggia, «di là da
quel pochissimo che chiamate il visibile e che è solo il
minimo comun denominatore di ciò che ciascuno di voi
vuole accorgersi di vedere.»
C’erano anche persone sedute sugli strapuntini del
corridoio. Volgevano via lo sguardo anche loro, scostando
le gambe per farmi passare.
«Ricostruiresti un ordine pieno di significato»
continuava il Dominante avanzando nel corridoio,
«decifreresti mondi invece di cercarne nei libri di storia, o
di credere che davvero un’ora sia sessanta minuti.»
E nelle invenzioni si aprono varchi simili?
«No. C’è differenza tra invenzione e immaginazione.
Quando uno inventa, la sua mente sa a quale risultato
mira: stai inventando per esempio un mezzo di trasporto,
o una ricetta per una torta, e sai che il risultato sarà un
mezzo di trasporto o una torta. Quando invece immagini,
il risultato non lo conosci in anticipo.»
E io non ho immaginato abbastanza sulla mia Impossibile e
me, vero?
«Era un periodo così. Tu inventavi lei e lei te. Ne hai
ancora nostalgia?» e il Dominante mi sorrise.
«Apri.» L’Austero mi indicò con lo sguardo la porta.
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Le occasioni
In mezzo a un bosco - L’uomo dal viso a becco - In auto; i
fari - La sapienza - Gli occhi di Dio e gli altri che li usano -
«Spaventali» - «Che cosa aspetta?» I regali nel fiume - Se
tu volessi - Il branco di porci e lo specchio della Matrigna -
L’amore con esseri spirituali - La gelosia - La crescita degli
uomini e degli Dei - Maria e l’Arcangelo - Il volto di Dio -
Il peso del passato
91
Toglietemela, questa pigrizia.
«Bisogna, infatti. È con gli occhi dell’Aldilà che vedete
anche i vostri obiettivi. E infatti tu non li vedi, per ora.
Scegli, da che parte vuoi che andiamo?»
Mi guardai attorno. Il treno era poco lontano, ancora
fermo. Noi eravamo di nuovo seduti, in un’auto, io ero
alla guida, il Dominante era alla mia destra e vedevo gli
occhi dell’Austero nello specchietto retrovisore.
Per di là? indicai a caso.
«Benissimo.»
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sapienza, e perciò nessun obiettivo vero, nella loro vita.»
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piace venir minacciati dai fari. Perciò lei ti ha rimandato i
regali: non sei migliorato da allora?»
C’era un altro tornante, e la pendenza aumentava. Vidi
i fari di un’altra auto spuntare dal tornante, a due o
trecento metri da noi. Riaprii gli occhi.
94
vengano da più in alto.»
«Sì, sì, d’accordo. Ma… mi scusi se mi permetto, volevo
chiederle: lei si è fermato da qualche parte. Che cosa
aspetta?
«Non importa che mi risponda, l’ho detto solo perché
lei ci pensi.»
«La ringrazio.»
«Ecco tutto.»
Mi salutò, mi fece qualche augurio e riattaccò senza
darmi il tempo di dire altro.
Telefonai alla mia Impossibile e glielo raccontai.
«Bene, bella lezione» commentò.
«Forse parlava di noi.»
«Penso di no.»
«Io provo a pensare di sì. Ti amo.»
«Hai un po’ di amarezza lì e pensi che mi ami. La tua
fidanzatina di oggi non cucina bene?»
«Non ne ho di fidanzatine.»
«Ah, ecco.»
«Senti…»
«Sento, sento. Grazie per il pensiero ma io la mia
occasione l’ho già avuta con te. Non ti ho convinto
abbastanza, sei rimasto lì. Si vede che così doveva essere.
Lo so com’è» mi fermò mentre protestavo, «lo so, ti dico.
Mi usi, per sapere che nella tua vita c’è stato un punto
significativo, e il resto per un po’ può andare avanti anche
a caso. Lo so da me. Per un po’ si può, ma poi basta.»
Silenzio.
«Dei regali cosa ne farai?»
«Niente» dissi, «li ho buttati in un fiume.»
«Mmh. In un fiume! Meglio che li dai a qualcuno.»
«Li ho buttati in un fiume» e riattaccai io.
Certe volte era proprio insopportabile.
95
Quel tale ha detto la stessa frase vostra: «Che cosa aspetti»…
Perché?
«Perché non sei ancora a un livello significativo»
rispose il Dominante voltandosi verso di me. Là eravamo
ancora in auto, di notte. «Perciò non possono verificarsi
nella tua vita avvenimenti di grande importanza. Possono
solo avvicinarsi personaggi e succedere cose che tu hai
stanziato finora, con il comportamento del tuo io piccolo.
Ti innervosisce se lo dico?»
Sì. D’altronde è vero.
«D’altronde è anche responsabilità nostra. Dovevamo
insegnarti più in fretta, forzare un po’.»
L’Austero mi guardava nello specchietto.
«Bisognerà provvedere» disse il Dominante, «ci sono
ancora occasioni. Che cosa aspetti! Sai, se tu volessi
avvenimenti d’importanza maggiore, ciò cambierebbe già
di per sé l’intricata serie di circostanze che collega tra di
loro i personaggi e le persone del tuo mondo, talmente
intricata che la tua mente non la può controllare in nessun
modo. E cosa ti manca per volerlo?»
Sapienza?
«Giusto. È come se tutto fosse troppo sacro per te, e
tutto troppo poco sacro al tempo stesso. Non è vero?»
96
Dominante. «E la tua anima rimane esclusa, come
Biancaneve, lontana nella foresta. Ora stiamo andando a
prenderla.»
La mia anima?
«Sì. E il generico malessere della distanza dalla tua
anima nutre e paga il branco di personaggi. Ti fa pensare
al grande amore come se dovesse essere per forza di là dal
mare…. Ma può tornare utile. Invece di lasciarti perdere
tra le correnti li faremo uscire e precipiteranno in mare.
No?» 1 domandò il Dominante, voltandosi verso l’Austero,
che assentì guardando verso il finestrino.
97
accorgi che la persona che ami, o che pensi di amare, non
ti va bene così com’è. Allora cosa fai? Cominci a cambiarla
per quanto puoi, ad adattarla a te, e dove non puoi
cambiarla ti illudi che sia diversa da com’è in realtà. Così
fatichi per qualche tempo, un mese, un anno. Alla fine, sai
davvero che quella persona non ti va bene così com’è: non
avresti dovuto faticare tanto, se no. Ma proprio in nome
della fatica che hai fatto, non ti passa nemmeno per la
mente l’idea di lasciarla. Allora diventi geloso.
«Da un lato, ti esaspera l’idea che qualcun altro metta
le mani su un tuo lavoro, dico bene?» Ridevo, ascoltando.
«E dall’altro, dentro di te non ne puoi proprio più di lei,
non vedi l’ora che un altro la prenda, ma per orgoglio non
puoi ammetterlo: e allora ti dici che è lei a volerlo, e
diventi sospettoso e soffri. Non è così la gelosia?» Anche
lui rideva. «E questa è esattamente la situazione in cui Dio
si trova con voi.»
Ma io da tanto tempo non sono più geloso.
«Per tua grande fortuna non sei neanche Dio. Ma la
nostalgia è più o meno la stessa cosa della gelosia»
aggiunse, e smisi di sorridere. «Solo un pochino più dolce,
ma poco.»
98
coraggio di riconoscerle come sue. Ma l’uomo cresce.
Vuole sentire forze e facoltà ancora più meravigliose;
perciò può cercare altri Dei. E se vuoi saperlo» il
Dominante si chinò un poco verso di me, «per Dio è la
stessa cosa. Anche Dio vede nell’uomo forze e facoltà che
non potrà mai avere appieno, e che perciò desidera. Così
cerca di crescere, quando gli uomini crescono, perché non
lo lascino.»
E che facoltà sono?
«Il corpo.»
99
spostò lo specchietto retrovisore, come se lo incuriosisse
lo snodo.
«Così può essere per ognuno» diceva intanto. «Se riesci
a non avere più passato, allora ti unisci a una Divinità e
concepisci una nuova vita che sarà per molti. Il passato è
fatto soltanto di condizionamenti, e i condizionamenti
generano soltanto passato, esitazioni, personaggi.»
«Ogni tanto te lo ripetiamo» osservò l’Austero, dal
sedile di dietro.
Devo rileggere tutte queste cose e capirle bene.
«Sarà come rileggere la tua vita» disse l’Austero.
E l’Arcangelo chi è?
«L’Arcangelo è l’Arcangelo» rispose il Dominante.
«Semplicemente Gabriele, che distrugge il passato. La
domanda giusta sarebbe: Dov’è l’Arcangelo. E la risposta
è: dappertutto. Le ali degli Arcangeli hanno tutti i colori
del mondo.»
Cioè noi vediamo tutti i colori del mondo per non vedere
l’Arcangelo che è dappertutto?
«Bravo. Solo che l’Arcangelo è in quei colori. Se cambia
il tuo modo di vederli. L’io, certo, ha paura quando lo fa.
E quando è l’Arcangelo, secondo te?»
Adesso?
«Adesso. Bravo.»
100
avete già – ma per essere: per agire, vedere, sentire di più.
E lo stesso è per gli Dei.»
Tacque mentre superavamo un altro tornante.
«La Bibbia dice che Dio non lo si può vedere in faccia» 4
riprese. «E dimmi, qual è una cosa che tu non puoi vedere
nell’universo? Che cosa non vedranno mai le tue pupille,
se non con l’aiuto di uno specchio, che mente sempre un
po’?»
La mia faccia… i miei occhi! dissi guardando verso lo
specchietto.
«Ecco. Perciò il volto di Dio non lo potete vedere. Voi
siete le sue pupille. Vedete ciò che Dio vede, e permettete
a Dio di vedere. Dio non ha specchi; è una delle cose che
proprio non ha.»
Dio scopre i suoi occhi in noi, usandoli.
«Ecco. E la nuova vita che nasce da un vostro amore
ultraterreno è ciò che vedete di nuovo, con i vostri occhi,
che non sono vostri soltanto.»
101
annullerebbe. E se vede qualcosa nell’Aldilà, pensa di
esserselo inventato, non di averlo immaginato. Questi
sono i porci a cui accennavamo prima. Chi è chiuso in
mezzo a questo branco non solo non può salire, ma non
può nemmeno trovare il suo posto nel mondo. Ce l’ha già:
è il suo passato. Così il profeta Giona non può diventare
profeta perché è nella pancia del pesce. Il pesce è
un’immagine del passato.»
E la foresta?
«Anche» rispose l’Austero. «E noi andiamo a tirarci
fuori da lì» mi rassicurò il Dominante.
1. Matteo 8,33.
2. Esodo 34,14.
3. Sono le due mogli infedeli di YHWH, Ezechiele 23,1 sgg.
4. Esodo 33,20.
102
Il mondo intermedio
«Io sono qui» - Vedere e immaginare - Non desiderare la
roba d’altri - La Creazione e la modestia - Il passato e la
bellezza di un quadro - L’illibertà temporale - La
percezione e la cattiva memoria - Le distanze - I ruoli -
L’inferno e il perdono - Una notte in guerra
103
come se fosse non invidiare ciò che gli altri hanno. Invece
vuol dire: non desiderare ciò che desiderano gli altri. Scopri
che cosa desideri tu.»
Sentii addirittura un brivido tra le spalle, tanto era
semplice ciò che mi stava dicendo.
«Il mondo è pieno di gente che usa Cristo e Maria per
chiedere aumenti di stipendi e matrimoni e soluzioni ad
altri problemi del genere, solo perché altri chiedono
queste cose. Gli altri?» Tacque per un istante.
«E le vogliono soltanto per essere tanto noiosi come lo
erano prima di avere quei problemi.» Intanto disegnava
con il dito sul finestrino. Disegnò un occhio, così:
104
Sia la luce, e la luce fu… Anche la creazione è vedere?
«Non te n’eri ancora accorto.»
105
immaginare» mi suggerì. «Come se immaginassi ciò che
vedi.»
Perché?
«Prova. Apri gli occhi un momento.»
Aprii piano gli occhi e provai a guardare la mia stanza
a Milano come se la stessi immaginando. Durò qualche
istante, come la prima volta che camminiamo da bambini,
vacillando; poi strinsi di nuovo le palpebre, forte, e in quel
paesaggio sotto la luna dell’Aldilà rallentai e accostai,
mentre l’altra auto ci passava accanto veloce.
I Maestri ridevano.
«Su, ti sei spaventato?»
Un po’, credo.
«Hai provato a essere te stesso. Usciamo, camminiamo
un poco, così ti passa la vertigine.»
Sono me stesso quando penso che tutto sia il prodotto della
mia immaginazione?
«Ora sei proprio su un confine» sorrise il Dominante, e
uscendo dall’auto inspirò a pieni polmoni l’aria fresca.
«L’io piccolo cerca di vivere il più a lungo possibile nel
mondo che capisce, e di non accorgersi che lo sta soltanto
fabbricando lui. Quando invece ti accorgi che lo
immagini, tutto ti sembra lì lì per crollare. Ma è
esattamente il contrario.»
È come se ciò che capivo non fosse più niente. O come se fosse
dipinto su carta velina.
«Infatti. A quel punto il tuo capire non serve più. Per
esempio, anche l’auto che ci ha superato era importante,
ma non la puoi capire.»
Lo capirò poi?
«Speriamo di no! Qui non puoi più, è tutto più grande
d’ora in poi, ringraziando Iddio», e il Dominante guardò
la luna, con evidente piacere.
106
Ho sbloccato un qualche mio processo di crescita?
domandai vedendolo così soddisfatto.
«Niente che tu possa capire» rispose. «Questo
paesaggio, per esempio, ti ricorda niente?»
Mi guardai intorno: forse qualche larga vallata
dell’Asia, senza alberi. La muraglia di rocce chiare sulla
destra mi ricordava certi deserti, ma non li avevo mai visti
con la luna.
Un po’ il Caucaso.
«Voi percepite attraverso i vostri ricordi. Nell’Aldiquà
come nell’Aldilà, il mondo è ciò che ricordate. In primo
luogo, vedete e capite il presente attraverso le lenti di ciò
che avete visto e capito in passato. In secondo luogo:
percepite solo ciò che ricordate di percepire. E siccome
avete cattiva memoria, a ogni vostro sguardo lasciate che
mille cose scompaiano per sempre.» Mi guardò: «E avete
cattiva memoria perché imparate dagli altri a ricordare»
aggiunse, «caso mai lo avessi dimenticato.»
E c’è un modo per evitarlo?
«Certo. Togliti, come ci si toglie una giacca. Togliti gli
impegni che hai preso. Non preoccuparti che si guastino i
rapporti con il papà, gli amici, la moglie o…»
Va bene, va bene. Ho capito.
Rise.
107
È questo il senso del paesaggio che abbiamo attraversato?
«Certo. Leggi in quel quaderno blu.»
Sfogliai e lessi:
Tra voi e la realtà, come anche tra il vostro Aldiquà e l’Aldilà, sta il
mondo intermedio. Il mondo intermedio è nella distanza tra voi e
ogni cosa: è in tutto ciò che voi non sapete, non potete, non osate. Ma
di per sé non esiste. È solo ciò che voi non sapete di sapere e di
potere, e perciò non osate. Sei tu a porre le distanze tra te e ogni
cosa.
108
«Be’, proviamo» decise il Dominante, «svolterai di là:
prendiamo per dove non c’è strada, e la strada si formerà.
E comincerà a scendere.»
Andiamo verso quelle rocce?
«No. C’è una discesa, prima. Non si vede da qui.»
Salire, scendere, svoltare, ha un senso preciso? Devo
segnarlo su una carta?
«Come le carezze quando accarezzi qualcuno. Se ti va
puoi segnarle, sì, su una carta.»
L’Austero stava sistemando le pieghe del suo abito
d’arabo, sul sedile posteriore.
Non adesso, dissi. Per oggi basta così. Anche se non
sapevo perché.
«Come vuoi.»
109
Cosa mancava, tutt’a un tratto?
Non volevo saperlo. Cercavo di non pensarci. Mi venne
in mente, quella sera, il modo in cui certi genitori parlano
di se stessi in terza persona, ai figli: il padre dice: «Vuoi
che il papà passi a prenderti a scuola?», la madre: «Non
discutere, la mamma ha detto così». In fondo è una forma
di onestà. Quell’uomo e quella donna non sono il Padre e
la Madre che i figli conoscono, immaginano, vogliono.
Cercano magari di esserlo, interpretano generosamente il
ruolo. Personaggi? Ne presi nota, poteva tornarmi utile
per qualche conferenza.
110
perdono”. Per un ebreo come Gesù non c’è perdono se
non per chi lo chiede. Fa’ che si accorgano di non sapere
ciò che fanno e ciò che sono. È già un castigo sufficiente.»
Cominciava di nuovo una foresta, davanti ai fari.
«Così adesso andremo a scrollare un po’ qualche
dannato. Ti saranno grati. E tu a loro, anche: dato che
sarai sempre tu.»
Di nuovo avrei voluto smettere, riaprire gli occhi, e non
sapevo perché, come il giorno prima. Non potevo essere
già stanco, avevamo appena cominciato. Era come se i
miei pensieri avessero perso la direzione, e proseguissero
così, metro dopo metro, come la strada che prendeva
forma davanti a noi mentre andavamo.
«Accosta lì, dove c’è la radura» mi indicò il Dominante.
Obbedii, spensi i fari e scendemmo.
111
appetito. C’era un largo braciere di latta, una sola finestra
illuminata, con il bosco nero intorno. E altri uomini,
armati. Alcuni in piedi, altri seduti sui gradini e su una
panca. Non sapevamo se fossero alleati o no; ma la notte e
l’odore di cibo valsero da armistizio. Nessuno della nostra
scorta scambiò una parola con quegli altri, si passavano
accanto a occhi bassi o guardando altrove. Prendemmo da
mangiare e chiacchieravamo tra noi. Nel bosco non c’era
nessun rumore.
È un ricordo: un tornante? domandai al Dominante.
Anche adesso, qui, c’era gente davanti alla baracca.
«Tu ricordati soltanto che non capisci» rispose. «Vedi
queste cose perché ti sono successe prima, o è successo
prima perché tu lo vedessi meglio ora? Tu perché eri
andato nel Caucaso?»
Non lo so. Non era un buon periodo per me. Cercavo
qualcosa.
«Allora era un ottimo periodo!» rise.
L’Austero entrò deciso nella baracca e noi rimanemmo
fuori. Adesso vedevo come un miope, vaghe sagome
umane nel buio.
«Immagina, immagina!» mi esortò il Dominante
«gioca!»
1. Matteo 19,29.
2. Luca 23,34.
112
Consultazioni
Leggere i personaggi - Cassetti, armadi e nazioni - L’anno
e lo specchio - Tipologie - Salvezza e condanna - Il bosco
di specchi - Le grandi sale e ogni istante - Riconoscerli nel
mondo - Gli smaltitori - Cercare e trovare
Dove due o più sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro.
Matteo 18,20
113
si avvicinava.
Era in basso: una forma biancastra e incoerente, che
esitava a tre passi da noi. Riconobbi l’uomo dal viso a
becco che avevo visto in treno. Guardava ora me ora il
Dominante, si era fermato ed evidentemente non osava
venire più vicino.
«Dagli da mangiare» mi suggerì il Dominante. «Sulla
panca» aggiunse, mentre stavo per gettargli un pezzo di
pane.
Faticò a salire sulla panca, era pesante, si accovacciò
alla mia destra e mangiò muovendo il becco come una
bocca.
«C’è tanta gente così» disse il Dominante, in risposta a
una mia occhiata di disgusto.
L’uomo dal viso a becco aveva occhi tristi e –
rabbrividii – intelligenti: quanto doveva capire e soffrire,
in un corpo così mostruoso?
«Su. Leggigli la vita. È qui perché tu lo aiuti» mi avvertì
il Dominante. L’Austero era sulla porta della capanna, e ci
osservava.
Ma non mi veniva niente da dire.
114
Come imparerò?
«Qui, intanto, farai il contrario. Guarderai quanto
lontano portano i personaggi, verso il nulla. Lui, per
esempio», e indicò l’uomo dal viso a becco «porta lontano
molte vite. Può diventare il destino di molte persone, in
certi periodi della loro vita» E l’uomo dal viso a becco
abbassò lo sguardo. «Te incluso» aggiunse il Dominante.
Me incluso! E cosa si dice, a un personaggio?
«Niente. Lo riconosci. È qui per questo. Così imparerai
a vederlo in tante persone, e a vederlo in te. Cercalo nel
quaderno che una fotografia di montagne in copertina.»
115
«E quell’altro dannato gli è simile.» Il Dominante mi
toccò il braccio e mi indicò una figura davanti a noi, che
non riuscivo a distinguere sullo sfondo del bosco scuro.
«Quella è la parte di te che è troppo grande per la vita: gli
altri possono fargli fare ciò che vogliono, perché non sa
usare la sua immensa forza.»
Infatti non riuscivo quasi a distinguerlo, tanto era largo
e informe. Se il Dominante non me lo avesse indicato non
mi sarei accorto della sua presenza.
«Vedi?» e lo guardava. «È informe eppure è umano.
Troppo libero o troppo vile, chissà. Così sei tu, quando
lasci che gli altri ti facciano fare delle cose.»
E anche questo è una parte di me?
«Sì. E ogni parte di te può essere una salvezza o una
condanna, a seconda che tu la intenda o no.»
E questo come può essere una salvezza, se dite che è un
dannato?
«Ti aiuta ad accorgerti delle forze che non usi. Mentre
se non lo vedi, lo sei.»
L’Austero portò da bere: un vino denso, scuro.
E quello di prima, come può essere una salvezza?
«Ti mostra la tua paura di perdere ciò che sai. Solo se
vedi una tua paura non l’hai più.»
116
teneva sulle ginocchia diversi bambini, troppo piccoli per
essere reali, se li spingeva piano contro il ventre e il suo
corpo li assorbiva. Nel quaderno avevo scritto:
117
Possono, potrebbero perciò fare grandi cose, se solo gli importasse
un poco dell’opinione degli altri. Ma preferiscono di gran lunga
affinare le proprie qualità segrete. L’ approvazione altrui li
insospettisce e li opprime. Se non scopri in te questa parte, starai
sempre a guardare gli altri che guardano te.
118
È la parte di te che non sa riconoscere i propri errori. Se appena si
accorgesse di esser così, aiuterebbe gli altri a riconoscere i loro, e
farebbe un gran bene a chiunque incontra, perché tutti hanno una
parte così. Invece si illude, su se stessa, sugli altri. Spesso non fa che
elemosinare illusioni e sopravvivere alle delusioni. Qui sono i
rimorsi inutili, i rimpianti, la rabbia, il rancore: tutti i tentacoli che in
voi afferrano le malattie e le tengono strette, e che le lasciano andare
quando li vedete. Anche questa parte sarebbe uno splendido
medico, se vedesse se stessa.
119
«Ogni istante della vita è così» il Dominante quasi
gridò, perché lo udissi tra il vocio lì dentro, «ogni io è
così» e mi indicò di nuovo la coppia di poco prima: «Chi
gli porterà via la sua donna?»
Si guardò intorno: «Quello» e indicò un uomo minuto,
dai capelli neri e dai grandi occhi verdastri. «È un
predatore. Un esplosivo, vive soltanto per ampliare
continuamente i suoi bisogni. A suo modo è
freneticamente felice. Hitler e Chaplin erano così.»
Qual è? non riuscii a vederlo. E un predatore come può
diventare una salvezza?
«Leggi.»
120
«Se qui li vedi in te, poi li riconosci nel mondo. E anche
altre persone, anche senza accorgersene, dal tuo
riconoscerli trarranno la forza per non restare prigioniere
di queste loro forme chiuse. Niente cambia il mondo come
il vedere.»
«Così smaltiscono le tue paure» aggiunse l’Austero,
proprio dietro a me. «Sono smaltitori.»
«Eccoli!» il Dominante mi indicò alcuni uomini e una
donna in un angolo: la donna guardava dalla finestra,
scuotendo il capo, e gli uomini parlavano tra loro. «Quelli
sono tra i peggiori.»
Perché?
«Sacerdoti… Ma non necessariamente di qualche
religione. Leggi:
121
E questi come possono essere salvezza?
«Sono parti cupe. Irradiano orgoglio, ambizione e
calunnia. Ma appena ti accorgi di loro, il tuo corpo
diventa una straordinaria ricchezza. Il vigore si moltiplica:
si ribella alla tirannia della mente.»
«Se li vedi, diventano smaltitori e non più personaggi»
insisté l’Austero.
«E quello è l’antidoto dei sacerdoti» il Dominante
indicò qualcuno – e subito mi piacque: avrei voluto che
somigliasse a me, ma non riuscivo a distinguerne il viso.
Una buona cosa è trovare, non cercare. Se cerchi, sai già cosa cerchi:
e ti volti soltanto indietro. Al contrario, solo quando trovi ti accorgi
di cosa cercava ciò che in te è più grande. Perciò, se non te ne accorgi
per tempo, questa parte di te rischia di perdersi nello sciocco sforzo
di far somigliare gli altri a se stessa. Ma per la stessa ragione è la
miglior guida, quando sei davanti a un pubblico.
122
sapienza è in ciò che non ha ancora scoperto. È l’unico
tipo d’uomo che ci guadagna immensamente a non
conoscere se stesso, perché solo ciò che non conosce di sé
è grande in lui.»
Modestia? domandavo nel quaderno.
«No, non c’entra la modestia. È la parte di te che può
soltanto agire. È la saggezza di chi si accorge di non
sapere niente di significativo nella sua memoria, ma solo
nell’intuizione; e allora può diventare un benefattore
dell’umanità.»
Per esempio, in concreto?
«Un medico che dubita della medicina. Un musicista.
Un artista. Un mago. D’Annunzio.»
Ed erano tutti qui da tanto tempo nei miei quaderni?
«Nella calca dei tuoi quaderni, sì. Da sempre.»
123
è un istante solo.»
«Io non sarò più come sono stato prima» citò l’Austero
incontrando il mio sguardo. 2
Usciamo.
E riaprii gli occhi.
124
Il disordine in Cielo
Il pendio di ghiaia - L’ordine lussemburghese e il
disordine dietro a tutto - L’unico io e la fine di ogni ordine
- Il capire, il ricordare e il passato - Un peccatore e
novantanove giusti - Tipologie - La disobbedienza nel
ghiaccio - Essere ed esitare - Vetrate - Le citazioni
dell’Austero - Dio e l’aver ragione - Altri smaltitori - Sei
tu, di nuovo - La Verità ovunque
125
psiche assai più articolato e dinamico dei nostri. L’io per
loro era multiplo; come i mille nomi di Dio; l’uno trino dei
cristiani era un ultimo residuo. Volevo capire,
concentrarmici.
Quando tornai dai Maestri non c’era più la foresta ma
una cittadina antica, con strade strette e ripide, tetti
aguzzi e portoni ad arco. Era notte anche lì; l’Austero
chiuse una porta alle nostre spalle, come se ne fossimo
appena usciti.
«Va meglio così?» mi domandò il Dominante.
Avete cambiato la scena perché nella baracca era tanto
caotico?
«Questo è solo un altro aspetto, oggi preferisci l’ordine.
Il caos c’è sempre, dietro le vostre porte, dietro a tutte le
vostre immagini» e mi indicò le porte delle case intorno.
«Perciò gli Dei di tutte le religioni tengono tanto all’uomo,
che sa moltiplicare le porte.»
In che senso?
«Gli altri animali sono abbastanza saggi per accettare il
disordine ovunque. L’uomo invece vuole ordinare le cose,
dare i nomi, gli schemi. 1 Nomi, numeri: porte. Agli Dei
piace, ne sentono sollievo, come tu ora tra queste stradine
così compite, lussemburghesi. Sono contenti che l’uomo
desideri questo impossibile, e niente è impossibile agli
Dei, se l’uomo sa chiederlo.»
No, non ho capito.
«Se non capisci, è solo perché credi che nei cieli ci sia
ordine. Tutt’altro: quell’ordine lo vedete voi, è solo vostro;
come il bambino quando si meraviglia che gli adulti si
siano organizzati tanto male nel mondo, e cerca di non
farci caso, e di convincersi che sono invece bravissimi.» Il
Dominante sospirò: «In realtà, dietro a ogni immagine ci
sono continui passaggi di tenebre e caos, in terra come in
cielo.»
126
Gli Dei non fanno ordine?
«Mai riusciti. Il Diluvio, la torre di Babele… Certo,
questo vi carica di una grossa responsabilità.»
Camminavamo lungo la via, ed era deserta. Vidi che ci
seguiva anche quell’uomo dal viso a becco.
«Possiamo metterla anche in un altro modo» riprese il
Dominante. «L’ordine è per chi ha poca energia. Chi ne ha
di più, inevitabilmente produce disordine. Perciò voi
amate l’ordine, e gli Dei vi vengono affettuosamente
incontro, rallentando un po’ il ritmo dell’evoluzione, dei
cambiamenti, del riconoscimento dei loro errori.»
Noi rallentiamo l’evoluzione?
«Il bambino non ama che l’adulto cambi idea, no? Che
non rispetti i patti. Vuole fidarsi di un padre. Tu ora lo
stai sperimentando: prima nelle tue consultazioni spiegavi
gli altri a se stessi, e tutto era abbastanza ordinato. Ogni
tanto avevi l’impressione di cercare o scorgere qualcosa di
te, negli altri: e questo era già un po’ meno ordinato. Ora
noi ti stiamo spiegando che l’io è uno solo, chiunque sia a
dire questa parola: io; e che in chiunque l’io ha tanti settori
quanti sono i tipi individuati dagli antichi. Questo manda
all’aria tutto il tuo ordine, e ti preoccupa un po’, non è
vero? Bene, proprio allo stesso modo devi sapere che
qualunque cosa possa apparirvi ordinata nel mondo è
solamente il confine di un disordine che sta per
travolgerla. Dunque non dare troppo peso, al tuo ordine.
Ogni istante è un inizio.»
«Non resterà pietra sopra pietra che non sia diroccata»
citò l’Austero, sollevando le sopracciglia. 2
127
conosciuto vent’anni prima la tua Impossibile ti saresti
comportato diversamente con tua moglie.»
Infatti.
«È il contrario. Ogni tuo istante presente può nascere
soltanto grazie a ciò che hai vissuto prima, per dirla
secondo l’ordine vostro; e secondo il nostro disordine:
tutto ciò che hai vissuto prima, l’hai vissuto perché il tuo
istante presente lo plasmava così e non altrimenti. Tu sei
sempre stato presente adesso.»
«Da prima che Abramo fosse io sono» citò l’Austero. 3
«Solo ciò che capisci e ricordi diventa passato, e solo ciò
che non capisci e non ricordi è futuro. Ma tu sei molto di
più di ciò che capisci e ricordi.» Il Dominante si fermò,
eravamo arrivati accanto a un portico debolmente
illuminato. «E l’ordine è solo ciò che capite e ricordate
voi.»
Cioè se non provassi a capire e a ricordare… ma non
terminai la domanda, come se non osassi.
«Saresti sempre adesso e tutto lo sarebbe. In un gran
disordine, certo.»
128
lontano, ti pare?»
Rise.
«Devi vedere i muri delle prigioni, per accorgerti di
129
quanta parte di te ne era rinchiusa. Le prigioni sono un
posto ordinatissimo. Su, andiamo» e si incamminò. In
fondo alla strada si vedeva un parapetto, e di là un
vallone, e di là dal vallone montagne nere, contro il cielo
indaco scuro, stellato. «Naturalmente anche la tua parte
che hai guardato nella pozzanghera è in chiunque»
proseguì. «Potresti aprire una scuola di disobbedienza.
Ma una scuola è fatta per obbedire. Essere o non essere…
Vediamo, secondo te com’è: gli uomini sono più se stessi
quando esitano, oppure quando si accorgono e si mettono
all’opera? Gesù, per esempio, è se stesso quando esita nel
Getsemani, o quando va e obbedisce?»
È la parte di te che vive per avere figli e per amare la propria casa.
Per essa, tutto ciò che è casa e nella casa è immenso, tutto ciò che è
fuori è scontato, sprecato, o da tollerare soltanto. E casa può essere la
sua pancia, i suoi muri, la scuola, la famiglia, il convento, l’azienda.
Puoi vivere senza casa? Non perderai la testa?
Questa è la parte di te che vive per accorgersi d’un tratto che tutto
130
ciò che ha intorno è vecchio. È lo slancio, l’uscire libera, la folgorante
carriera, che ogni giorno accelera, o la mendicità magari: l’una o
l’altra, purché intorno tutto ciò che era prima rimanga indietro per
sempre. Lì è la sua speranza paziente.
In che senso?
«Se ti rifugi in una gioia, non è una gioia e tu non sei tu.
Se tu e una gioia siete tutt’uno, legati, non è una gioia e tu
non sei tu.» Annuii. «E finché insegui e sogni una gioia,
non è una gioia e tu non sei tu. Questo è il cappio.»
131
vita, se non il lavorare ogni giorno lo stesso numero di ore, per un
padrone che non conosce e che quindi non stima. Rischia seriamente
di morire appena andrà in pensione.
132
«I raggi di una stella vanno tutti in direzioni opposte le
une alle altre, e in questo voi siete proprio come le stelle»
mi spiegò il Dominante. «Questa è la parte che in voi
genera ricchezza e successo. Se non la vedi, genera solo
aggressività o bisogno di consolarsi. La vedi?»
Guardavo e continuavo a non vedere: finché mi accorsi
che la donna ingioiellata era dipinta in uno dei riquadri,
come anche le altre figure che il Dominante mi aveva
indicato.
«Ti riconosci?»
Un po’.
133
«Meno male. È come per la vecchia ingioiellata: anche
lei prima era una vittima e obbediva ai più, e divorava
energia a tutti e la usava per sé sola, sprecandola soltanto.
E la maggior parte delle persone fa a lungo la vittima,
perché le vittime sono la maggioranza.»
134
È una nostra parte scura?
«Tutte possono esserlo, te l’ho già detto. Questa è la
parte di te che ti libera dall’inutile smania di avere
ragione. Voi siete e sempre e comunque come questo
piccolo bugiardo paffuto. Da quando avete dimenticato
che mentite, che recitate sempre? Credi che Dio vostro
padre si sia mai preoccupato di aver ragione?»
135
di vederlo: la montagna del tuo passato, che tu credi tale.
O la montagna di ciò che gli altri sanno di te, e tu di loro.
Ma si spostano anche le montagne.»
Ci affacciammo al parapetto. La ripida valle sotto di noi
era boscosa.
«E sai qual è il maggior vantaggio dell’essere fuori
dall’inferno? Che puoi trovare la Verità semplicemente
guardando una qualsiasi cosa, quando hai imparato a
riconoscere le vetrate e a non lasciartene inquadrare.
Allora vedi, e vedi che sei tu. La Verità è in te, e nelle cose
si riflette ovunque. Ogni pietra, ogni foglia può
rispondere a qualsiasi cosa tu chieda, con noi o senza di
noi. Allora anche innamorarsi è tutt’altra cosa, che non sai
ancora.»
1. «Allora il Signore Dio plasmò ogni sorta di bestie e tutti gli uccelli del cielo e
li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque
modo l’uomo avesse chiamato ognuno di quegli esseri viventi, quello
doveva essere il suo nome» (Genesi 2,19).
2. Matteo 24,2.
3. Giovanni 8,58.
4. Giovanni 3,8.
5. Goethe, Faust I, Studio, vv. 1699-1700.
6. Giovanni 21,4.
136
Il Messia
Il peso di ciò che poteva essere - Limiti educativi - Gli
obiettivi presunti - I limiti umani - Il labirinto: i genitori e
il Messia - L’innamorarsi, di nuovo - In albergo -
Angelologia e psicologia - L’evoluzione secondo la
Kabbalah - La Fanciulla - Il punto più lontano - La fiducia
- Lezione sul Messia: Forma e Anima - Gesù intollerabile -
L’«io, io, io» - L’Io grande e la libertà di scomparire -
Pietro zuccone - I nomi scritti nei cieli
137
quando lo guardai. Proseguivamo in direzione del ponte.
«E i limiti sono educativi, sai?
«Ci sono i limiti che derivano dalla tua fedeltà a valori:
morali, professionali, oppure valori di identità: chi sei, chi
non sei, chi pensi di poter essere. Questi possono anche
essere limiti utili, purché si abbia cura di rimaneggiarli
spesso.
«Ci sono i limiti che derivano da ferite, recenti, antiche
o ereditarie. E sono utili anche questi a modo loro, perché
ti mostrano dove non sei ancora te stesso abbastanza.
«E infine i limiti che ti vengono imposti dalle passioni,
quando vuoi raggiungere certi obiettivi, e punti su quelli
lasciando perdere il resto. Questi limiti derivano sempre
dagli altri due precedenti, ma sono illusori. Qualsiasi
obiettivo vi poniate, è sempre e soltanto un pretesto per
crescere in altre direzioni, per superare vostre ferite o
l’insufficienza dei vostri valori.»
138
«No, quelli non esistono. È troppo facile superarli,
come i confini tra gli Stati. Pensaci: chi chiama limite un
confine?»
139
Cioè ci si innamora di ciò che per i preti è Dio.
«O la Madonna, per i più romantici. Ed è l’io che
sareste, al cospetto di Dio. Nell’Io grande lo siete. Lì non
c’è nessuna distanza.»
Entrammo in un androne e per una breve scalinata
arrivammo nella hall di un albergo.
140
Cioè?
«Come dicono i tuoi kabbalisti? Animali, uomini,
Angeli, Arcangeli e via dicendo, sono stadi evolutivi: una
volta gli Angeli furono ciò che sono oggi gli uomini, e gli
uomini erano ciò che sono oggi gli animali; in futuro gli
Angeli saranno ciò che sono oggi gli Arcangeli, e gli
uomini ciò che sono oggi gli Angeli. Non è così? Ma
l’elementarità del porre gli uomini più in alto degli
animali suggerisce che si tratta soltanto di un indovinello
kabbalistico.»
141
genitori.
Il Dominante la baciò ridendo, salutò i due alati e tornò
a guardare me, che mi ero alzato.
Com’è cambiata!
«Tu sei cambiato.»
E adesso cosa succederà?
«Mmh. Vieni» e si avviò verso le finestre. «Qual è il
punto più lontano da te in tutto l’universo?»
Mi indicò la montagna che limitava il paesaggio
notturno.
«È dove arriva la tua vista a occhio nudo. Tutto ciò che
è più lontano di quel punto diventa proiezione di ciò che
avete in voi stessi. Così è anche con le persone: ciò che
non vedi e che la tua mente non sa di loro, è specchio di
te. Così è per tutti. Tu ora sei in viaggio senza i genitori.»
Cioè lontano dall’entrata del labirinto?
«E l’uscita è il Messia, che voi dovete diventare.»
Cosa?
142
è un’altra descrizione di ciò che chiamate Messia. Le
descrizioni sono tante e diverse solo perché sono tentativi
di capirlo; ma capirlo non occorre e non si può: si impara a
esserlo, e allora ce n’è uno solo.»
E Gesù?
«Non parla d’altro neanche lui.»
Ma era il Messia?
«Che c’entra? Tutti lo sono. Lui ha insegnato a esserlo.
Ascolta e prendi nota.»
143
intendete: il corpo così com’è per voi, è Forma. Sono
Forma l’io piccolo, molti vostri pensieri e molti
avvenimenti della vostra vita.
«Mentre Anima è ciò che vive e cresce per altre
dimensioni, a voi ignote.
«Voi siete l’unione di Forma e Anima; ma non la si può
dire un’unione ben riuscita: di Forma e Anima voi siete
piuttosto il luogo di conflitto. Spesso avviene che l’Anima
non abbia più bisogno di certe forme che la vostra vita ha
assunto. Vorrebbe disfarle e farne materiale per forme
nuove. L’io piccolo invece non le vuole cambiare, tiene a
ogni forma come a se stesso (le forme sono la sua patria) e
continua perciò a mantenere la sua vita in forme vecchie,
che l’Anima trova deprimenti. Allora la vita diventa
fatica, tensione. Questa è la storia narrata nei Vangeli. Fino
a quando starò con voi? 3 e via dicendo.
«E avviene ovunque e sempre, nel mondo. Forma è la
realtà, per voi; è la patria in cui Gesù non può essere
profeta.
«Forma è la croce su cui Gesù muore. Non per nulla a
tanti piace guardarlo inchiodato, e lo portano al collo così:
se lo sentono affine, quando è sulla croce, ben più di
quando insegna, litiga o fa miracoli. È perché lì, così
sconfitto dalla Forma, non li sgomenta più e li rassicura: lì
il suo destino è il loro, neppure lui è scampato, se non per
andarsene via nel Cielo, lontano dalla Forma, così che non
ci sia nessun profeta in patria. E tutto va come deve, come
già andava prima.»
144
È strano che bastò un solo Giuda, perché tutti i discepoli
scappassero? In realtà non vedevano l’ora. E anche poi,
chi lo ha sopportato? La storia di Gesù è da venti secoli la
storia delle immagini fabbricate per non guardarlo, per
non sentire cosa diceva.
«Il Messia! “Io lo sono nel mondo” diceva “e voi
quanto esitate a esserlo?”
«Sosteneva che il Messia fosse l’Io più grande in
ognuno, e che da quest’Io – da ciò che ognuno chiama io,
senza saperlo – passa il divino. Molti dei suoi non
arrivarono a capirlo e pensavano che il Messia dovesse
essere non quell’Io, ma un uomo che osasse dire: io lo sono.
E anche questi avevano ragione. Bisogna osarlo per
esserlo.
«Per esserlo. Non per diventarlo. Perciò nel più antico
dei Vangeli, Giovanni, non si trova neppure un
comandamento di Gesù: non un solo divieto, tanto che se
aveste soltanto il Vangelo di Giovanni non si saprebbe che
cosa Gesù dicesse di fare in pratica: e andrebbe benissimo
così. Lì Gesù dice soltanto “io lo sono”. Non c’è altro da
sapere, se non che io è io. Io è solo io.»
145
disse più: io lo sono. Al contrario: io non lo sono! Come
Pietro davanti alla porta dei capi. 5
«Ci volle del coraggio, certo: e se Dio li avesse puniti
per questo? Ma non li puniva, e continuarono. Così il
vostro cristianesimo diventò la certezza che Dio non c’è, o
che ha da fare altrove, ma che sia meglio non dirlo a
nessuno.»
146
nella folla. Anche i Gesù si moltiplicavano, ed erano
sempre uno solo: Io. Perciò a Roma li fermarono
imponendo che Gesù era morto e che la sua storia era
finita.
«Ma niente va perduto. È sufficiente che una sola
persona abbia colto un frammento di Aldilà, e quel
frammento cresce poi per sempre, per chi ne coglie i
frutti.»
1. Marco 8,27.
2. Giovanni 14,2.
3. Matteo 17,17.
4. Matteo 5,34; 6,5.
5. Giovanni 18,16.
6. Matteo 16,18.
7. Luca 10,20.
8. Luca 1,11 sgg.
147
La Dea che nasce
Le psicologie e le teorie dei Maestri - Tipologie - La
pigrizia, Satana - Come salvare un Dio - La montagna che
si muove - La purezza - I periodi e il tempo che fa soltanto
invecchiare
148
religione nega che l’io possa sapere abbastanza di Dio da
poter ragionare correttamente su di sé; dall’altro,
contraddicendo se stessa, progetta un Dio a somiglianza
dell’uomo, dotato cioè di forme, pensieri e sentimenti
umani – presunzione, questa, che mi aveva sempre fatto
sorridere. Ma senza i Maestri, di là da queste presunzioni
e contraddizioni delle psicologie sacre e profane, non
avrei visto nulla, solamente il vuoto a cui rassegnarmi.
149
di ciò che plasma la nostra realtà; di un altro senso della
vita; di una nuova libertà. Ma al tempo stesso mi
accorgevo che qualcosa si ribellava in me, e non solo non
capivo che cosa fosse ma mi sembrava di non riuscire
neppure a domandarmelo.
Era qualcosa di inerte e ottuso. Come se una parte di
me, dietro a un muro dove non potevo vederla, pensasse
assurdamente che se avevano ragione i Maestri, in ogni
caso io sceglievo di non saperlo e preferivo continuare ad
avere torto.
Tante volte mi era accaduto di notare in altri questa
ottusità, come in un tale che a un dibattito mi aveva
chiesto: «Ma lei perché vuole capire le cose? Un libro
sacro, perché vuole interpretarlo?». Ora mi sentivo
anch’io come lui. Capivo perché quando avevo
cominciato a leggere le vite delle persone, per anni interi
non avessi voluto riflettere su come fosse possibile. Mi
accorgevo di detestare questa mia inerzia e ottusità, ma
non potevo farci nulla.
150
bisogna preoccuparsene. Più ti preoccupi, più si
consolida. Vedi quel vecchio?» e mi indicò un vecchio che
aveva appena ritirato le chiavi alla reception. «È come te
ora. Leggi.»
151
annoia. Come puoi crescere, se no?»
«Una casa troppo stretta è la mia anima, per accogliere
te: e tu ampliala, come dice Agostino» citò l’Austero, dal
divano. 1
152
te.»
E queste parti di me formano la semplice pigrizia?
«Semplice pigrizia? Non è affatto semplice. La pigrizia
è un Satana, una tremenda tentazione. È il tuo io piccolo
che affoga in se stesso, pensando di essere soltanto se
stesso, e accontentandosi. Tutte le parti di te possono
diventare acque profondissime di pigrizia, in cui
affogare.»
E perché è così difficile scuoterla via?
«È ciò che impedisce di guardare. Non è che l’io piccolo
sia di per sé la pupilla e l’Io grande il corpo, come dici tu.
Sono tutt’uno, in tutti i sensi. Ma voi siete l’io piccolo
quando personaggi e pigrizie vi frenano e, come sai, l’Io
grande è ciò che in voi ne è frenato.»
153
«Le religioni oggi sono pigre come non mai» proseguì
il Dominante, «da quando con la caccia alle streghe hanno
definitivamente distrutto la loro parte femminile. È molto
difficile per una Dea nascere oggi. Tu la vedi?» mi indicò
la Fanciulla.
La guardai, o meglio, cercai di concentrarmi
abbastanza da poterla vedere nei dettagli, come un miope
che stringe gli occhi. Vidi le labbra sottili, il sorriso, ma
subito pensai che stavo soltanto inventando: che la mia
fantasia ne costruiva l’immagine come avrebbe potuto
fare la mia mano disegnando, e mi parve che il
Dominante fosse come lo psicologo che sta per
interpretare il disegno.
«Oh, andiamo, che preoccupazioni hai ancora per l’io
piccolo, che si riveli o non si riveli? Come un prestigiatore
con un suo trucco» rise il Dominante. «È una Dea, con gli
occhi della Forma puoi solo immaginarla in mille modi,
ma non la vedrai mai. La vedi meglio nel riflesso del
vetro» e mi indicò la finestra.
Fuori era ancora notte, vedevo la montagna e la luna, al
di là del riflesso di noi e della hall alle nostre spalle, con il
lampadario di cristallo.
154
nell’universo che possa fare questa fatica, fuorché l’uomo.
«Vero è semmai che Dio vorrebbe cambiare gli uomini,
questo sì. Mentre dal canto loro gli uomini hanno sempre
una gran voglia di cambiare Dio e di adattarlo a se stessi.
E in ciò Dio soccombe, sempre. È sempre lui il più debole,
perché gli uomini possono benissimo vivere senza Dio, o
abbandonarne uno per venerarne un altro più comodo.
Mentre Dio senza l’uomo non può esistere.»
Io non lo so.
«Il tuo io, no di sicuro» approvò il Dominante. «Ogni io
piccolo dà sempre la precedenza alla parte esteriore che
deve recitare: alla forma che lui conosce di sé e che perciò
155
gli altri vedono di lui. Quello è il buio. Lì non lo sai.»
Togliamo questa parte.
«Mmh… Hai mai visto una montagna che si muove?
Guarda là con me.»
Mi avvicinai al vetro e davvero la montagna stava
scivolando in avanti, verso la valle che restava ferma.
«Bello, eh?» La guardavo fisso. Non scivolava, si
spingeva avanti, come una compatta massa ripida di
roccia, boschi, e minuscole case illuminate dalla luna.
Veloce e ampia, ed era già a metà della valle.
156
«Lei lo saprebbe.»
E cosa cambierebbe nel mondo?
«Tutto.»
La montagna aveva coperto la strada e stava
avvicinandosi alla finestra, vedevo distintamente gli
alberi dei suoi boschi.
«Le forme sono enigmi trasparenti» continuava il
Dominante, accanto a me, guardando anche lui la
montagna. «Questa montagna, per esempio, è come la
pigrizia. Annuncia cose nuove, se riesci a vederla.
«Ma alle cose nuove occorre prepararsi: quando
cominci a scoprirne, viene voglia di scoprire quelle e di
lasciarti alle spalle il mondo solito. La pigrizia è appunto
questo mondo, che vuole anche lui la sua parte. Ogni
cosa, ogni tua conoscenza ha in sé questa montagna,
questa pigrizia. Devi lasciarla arrivare, entrarci, per
vedere oltre» mi gettò uno sguardo, lo vidi con la coda
dell’occhio; io non riuscivo a distogliere la vista dalla
montagna.
«Bisogna scoprire il mondo terreno tanto quanto scopri
quelli superiori» diceva il Dominante. «Più sali, e più è
bene che tu scenda contemporaneamente. Altrimenti non
sei più strumento di percezione, e non sei più nulla.»
E per questo lei deve nascere come donna prima di nascere
come Dea, e io…
«E tu devi guardare di più il mondo e meno noi.»
Quando la montagna fu a meno di un metro dal
davanzale, strinsi il braccio del Dominante, e chiusi gli
occhi.
157
aspettavo un crollo. Guardai e fuori, invece del buio della
roccia che evidentemente ci aveva sepolti, c’era il verde-
indaco di un’acqua profonda, come se la finestra fosse
adesso un oblò.
«Niente rimane indietro» disse il Dominante. «Niente è
lontano, niente va perduto. Ci si passa attraverso. La
purezza – cerca di ricordarlo – è solo il contrario della
privazione. Quanto più trovi cose di cui doverti privare,
quali che siano, tanto più dai importanza a te, e tanto
meno puoi essere puro.»
Così gli errori o le sconfitte non si dimenticano mai?
«Se le dimentichi le ripeti. Purezza non è certo essersi
comportati bene o aver chiesto scusa per essersi
comportati male. È quando nella tua mente non passa
nessun pensiero che tu possa voler rifiutare. Allora va
bene. Solo allora lasci veramente da parte ciò che gli altri
sanno di te. Vale per gli uomini proprio come per gli Dei.»
Io sono pieno di pensieri di cui ho paura.
«Eh sì» sospirò il Dominante, «ci sono periodi così.»
Ma voi dite che non c’è il tempo. Periodi?
«Il vostro tempo lineare non c’è come lo intendete voi:
non è l’unico tempo esistente. E i periodi ci sono, ma non
è necessario allinearli secondo il vostro tempo lineare.
Sono come i colori nel mondo: li si vede, semplicemente.
Così come nel mondo ci sono il bianco, il grigio, l’azzurro,
allo stesso modo nella vita c’è il periodo in cui siete
discepoli che annaspano, e il periodo in cui siete Giuda, e
il periodo in cui in voi Maria risponde: “Sì, sono pronta” e
nasce Gesù, e lei diventa Madre di un Dio. Ma voi,
pensando che il tempo sia uno solo e lineare, vi lasciate
passare accanto questi periodi senza vederli, sperando che
quel vostro tempo vi porti avanti comunque. Non vi porta
da nessuna parte. Vi fa soltanto invecchiare.»
158
1. Agostino, Le confessioni 1, V.
159
Lezione di creazione
Le tre forme degli Dei e come cambiano la vita - L’ombra
degli Dei creatori - La creazione in ogni istante - La
servitù e l’evoluzione - Il Signore di questo mondo e i suoi
timori - L’ombra e il principio di identità - I consigli
dell’ombra - Mosè - Il Diluvio - La nostalgia di
un’appartenenza - Sul tetto - La luce accolta o soffocata -
Tu e le Chiese
160
«Voi scegliete quale forma far prevalere, e la vostra vita
cambia di conseguenza» proseguì. «È facile accorgersene.
La terza forma è quando puoi dire di Dio: “Lì sono io”. Ed
è vero, perché allora, ovunque siate e qualunque cosa
facciate, è in Dio che siete e agite. Allora create.»
L’ascensore stava arrivando.
«Negli altri due aspetti l’io piccolo pensa: “In tutto ciò
ci sono io”, cioè: in fondo sono tutte proiezioni mie, sono
soltanto io. E forma immagini di Dio e si sforza di
crederci. Ciò ha poco senso ed è triste, ed è la costante
delle vostre religioni.»
161
altre sue forme: il Dio dei noi – dei gruppi di persone che
pensano di aver ragione e si sottomettono gli uni agli altri
– e il Dio dell’io piccolo, che ai noi si sottomette sempre.
In alto, Dio è poter essere, fare, diventare; più giù si
addensa rallentando nel volere e nell’essere, che sono
come strati della vostra atmosfera; e proiettano ombra
sulla realtà.» Lo stava disegnando con il dito su un vetro
dell’ascensore:
162
«nella sua ombra prendete forma, appunto.»
163
«Perché dovunque c’è evoluzione, c’è anche una parte
che le resiste accanitamente» spiegò il Dominante. «È il
Signore di questo mondo, come lo chiama Gesù. 3 Il Dio
dei divieti e dei castighi.»
164
e dalla somma di tutte le decisioni che avete preso lì
dentro il cono. Tu lo fai esistere, fino a che sei tutto
questo. E questo ti ignorerebbe, innanzitutto, prima che ti
ignorino gli altri.
«L’ombra è la vostra inquietudine perenne e pigra, è la
volontà distruttiva che ti assedia e ti fa sbagliare, perché ti
instilla l’idea che tutto sia comunque vano e piatto, come
l’ombra, sempre uguale a se stessa. Il colore dell’ombra di
un muro è forse diverso dal colore dell’ombra di un
uomo?»
E come la si vince?
L’ascensore si fermò, ma il Dominante guardò fuori e
premette ancora l’ultimo pulsante in alto.
«Come la si vince? Lascia che l’ombra sia» disse. «Tu
sei comunque più grande. Come la sofferenza, ricordi? L’
ombra va semplicemente ascoltata; leggi lì» e mi indicò un
quaderno.
165
quanto poté, finché durò. Lo salvò. C’è qualcosa di più
utile da conoscere, in te e intorno a te?
«Anche ora, in ogni istante, quanto più ascolti la tua
ombra, tanto più ti è maestra. Ti mostra i tuoi limiti: dove
l’ombra ti frena, lì ci sono i punti in cui devi crescere. Là
dove impedisce che i tuoi desideri si realizzino, ti mostra
come e perché in quei desideri non credi ancora
abbastanza. Così è anche nelle malattie, che sono l’ombra
della salute e arrivano quando l’io non ascolta ciò che la
sua salute richiede, perché la salute gli sembra una cosa
troppo grande, e la teme. Così è sempre, e il mondo è
pieno della tua ombra.»
166
dell’asmatica religione degli altri, che non ti va di parlarne
né di pensarci, come se non esistesse. Così la lasci agire,
fuori e anche dentro di te.»
Io non ho nessuna paura della religione degli altri. Scrivo
libri eretici. Perché asmatica?
«Libri eretici! Come vedi, dipendi ancora dalla loro
approvazione: la Chiesa stabilisce cosa è eretico e cosa no,
e tu ti ci adatti. Buone maniere? Prego, passi prima lei?»
Arrossii. Eravamo sulla porta dell’ascensore. L’Austero
mi invitò a uscire per primo:
«Perché averne paura?» mi chiese mentre uscivo. «Ti
senti solo?»
Non ero mai appartenuto a nessuna Chiesa, i miei
genitori erano di religioni diverse e nessuno dei due
teneva particolarmente alla propria. Forse era proprio
questo: la nostalgia di un’appartenenza, di una patria
mia?
«Sono illusioni. Altre ali» spiegò il Dominante.
L’ascensore si chiuse alle nostre spalle, e discese, chiamato
da giù.
167
vostra religione è l’idea che l’umanità sia
fondamentalmente stupida. E come darle torto? Da tanti
secoli i preti vedono gli uomini ripetere sempre gli stessi
errori e orrori, e cercare consolazione da loro, quando a
chiunque basterebbe dedicare una settimana a leggere un
po’ del Vangelo, per cominciare a vivere libero, sensato e
felice, senza nessun bisogno di farsi consolare. O almeno
saprebbe cosa sta perdendo, e questo sarebbe già un bel
passo avanti.»
Appunto. Potrebbero insegnarglielo, il Vangelo.
«Non possono: per loro l’umanità è stupida, loro
inclusi, mentre il Vangelo è intelligente. Perciò è tabù.
Così, il Vangelo dice: «La Luce splende nelle tenebre e le
tenebre non l’hanno soffocata», e loro traducono: “La luce
splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno accolta”. 4 I
fedeli lasciano fare. Gli si impone di essere tenebra, e
obbediscono.»
Sì, è deprimente. E cambierà, un giorno?
«No.»
Guardavo le mie ginocchia. Alzai gli occhi verso
l’orizzonte e le belle nuvole bianche; c’era silenzio lì,
adesso. Lasciai che i miei pensieri si perdessero in quella
luce d’estate.
168
«E le paure quali sono? Hai paura di far male agli altri,
e tutti l’avete, dalle ore del parto, in cui vostra madre
soffriva per farvi nascere e voi lo sapevate benissimo.
«Hai paura del tuo potenziale nascosto, e per tutti è
così, dall’adolescenza, da quando uno pensa a cosa
potrebbe scatenare nel mondo se solo disobbedisse di più.
«Hai paura di ciò che tu e tutti avete intuito da giovani:
che le regole su cui il mondo si regge sono false, e fondate
sul vuoto. Ricordi cosa dicevamo del sacro? Tutto per voi
lo è troppo, e troppo poco.
«Perciò hai solo la gran voglia che hanno tutti, di farsi
voler bene da tanti, e di aver paura con loro.»
Guardai di nuovo le mie ginocchia.
«Insomma» concluse il Dominante, «dovresti proprio
cambiare le cose.»
169
La sindrome di Gesù
«Una religione senza Dio» - La strage degli innocenti - La
religione della fiducia: nell’accorgersi tutti sono uno - Il
servo di tutti - Leggi - Il Dio che nasce a ogni passo - Gesù
e Don Giovanni - L’Agnello di Dio - Le tre strutture
portanti
170
cui sei è davvero necessario che cambi qualcosa,
altrimenti ciò che già esiste si porterà via tutto ciò che hai
trovato, e dovrai ricominciare daccapo.»
Cioè, se non do forma a una nuova religione, le religioni
vecchie erodono in me ciò che posso capire?
«Erodono, bravo» approvò l’Austero. «Erode.»
«Se stai bene, tutto ciò che hai c’è e puoi superarlo»
precisò il Dominante. «Se stai male, ciò che hai non c’è e ti
ferma. Ecco tutto, ed ecco anche Erode.»
Questo è il senso della strage degli innocenti?
«Il senso è che le cose devi scoprirle tu, per stare bene.
Se non sei tu a scoprire, quello che già sai distrugge in te
tutto ciò che è nuovo. Così Erode mandò i Magi a
indagare, e poi sterminò ciò che nasceva nel suo popolo.
Ognuno può essere Erode o i Magi, nei riguardi di ciò che
scopre. Questo intendeva dire il Vangelo, lì.» 1
171
«Riguardo al capire siamo d’accordo. Ma noi parliamo
di accorgersi; è un’altra cosa. Non metterla sulla nostra
bocca, la parola capire: noi abbiamo detto accorgersi.»
Accorgersi, d’accordo. Ma per spiegarlo bisognerebbe
cambiare il mondo intero.
«Infatti voi cambiate molto le cose, accorgendovi.
Mettete l’io al posto del noi, accorgendovi. Mettete la
verità al posto delle illusioni, delle superstizioni. E per
accorgersi di qualsiasi cosa non occorre né acume né
dottrina: occorre solo essere io. La verità non c’è, senza
l’io che si accorge.»
L’io piccolo o l’Io grande?
«Tutti e due. Perché lasciare da parte l’io piccolo, come
dicono di fare le religioni? La crescita nell’Io grande serve
a farvi esistere di più e farvi stare meglio in ogni senso:
anche nell’io piccolo. L’io piccolo ha il suo territorio, i suoi
compiti, le sue specialità. Ha le parole, il pensiero
razionale, il tempo, lo spazio, la forma, e nessuno sa usare
queste cose meglio di lui. Provoca guai soltanto quando
crede di essere la vetta della coscienza o magari la
coscienza tutta intera, il che è inevitabile quando lo si
vuole lasciar da parte.»
E come si fa a spiegarlo alla gente?
«Questa è questione di forma. Dunque devi risolvertela
da te.»
172
«Ma sì. È semplice scrivere leggi. Per esempio: non c’è
il cosiddetto male. Il male è solo ciò di cui ancora non ci si
è accorti. E la malattia è solo un interrogativo a cui trovare
risposte.
«Oppure: non ci sono confini tra i popoli né tra i
mondi. Di leggi così te ne troviamo a decine. Purché ti sia
chiaro il principio.»
E le religioni vecchie?
«Il passato è la materia di cui siete fatti. La scelta è se
esserlo, o usarlo per costruzioni nuove. E l’immagine di
Dio cambia a seconda di questa scelta. Nelle religioni
vecchie Dio era sempre il creatore del mondo: cioè del
passato. Era colui che in passato aveva creato tutto ciò che
per voi è passato, la materia che siete. Così diventava
inevitabilmente il Signore di questo mondo. Adesso
avreste un Dio che deve ancora nascere: che ovunque siate
è sempre oltre, e al tempo stesso nasce a ogni vostro
passo, così com’era prima che il mondo esistesse. Davvero
non ti piace?» e scambiò un’occhiata sorridente con la
Fanciulla, che mi guardò.
173
tuo cuore non ha nutrimento, cercalo, non morire.
«Ascolta maestri ovunque: nel vento e nelle voci per
strada, nel tuo cuore e nel mutare delle stagioni, nei colori
del mare e della notte, ma non ascoltare nessun maestro
che voglia insegnarti cosa imparare.»
Mentre rileggevo questo trilogo, il Dominante
aggiunse:
«E se uno si domandasse: “Perché dovrei obbedire a
queste cose?” in un attimo lo saprebbe: per stare meglio,
per essere di più.»
174
salvati molto meglio se fosse rimasto a fare il suo dovere.
Vent’anni dopo la sua morte erano già lì a litigare: Pietro,
Paolo. E poi andò sempre peggio.»
175
vergine, il sepolcro era vuoto, e della vita di Gesù si
ignora sia il lato sentimentale sia la condizione economica.
Volete cioè tenerlo lontano dal sesso, dalla morte e dal
denaro: cioè in primo luogo dalla vostra realtà, dato che
queste sono le tre strutture portanti della vostra realtà;
hanno il potere di far esistere, di rendere reali le cose che
voi immaginate, desiderate o temete. Perciò volete
riservarle per chi comanda.»
Annuii. Viene tenuto alla larga anche dalla medicina. I preti
vanno dal medico, anche se Gesù nei Vangeli insegna a curare.
«Dunque si spiega perché lasciate che si faccia
uccidere» continuò il Dominante, «invece di fargli
instaurare il suo insegnamento nella vita di tutti,
rendendolo ben visibile e concreto.»
«Certi volevano venire a prenderlo e farlo re, ma Gesù
si ritirò di nuovo sulla montagna, solo» citò l’Austero. 4
«E voi rimanete soli nel mondo di prima» concluse il
Dominante.
176
giardino, sotto di noi, vicino a un cespuglio di lamponi.
Aveva ai piedi stivali troppo grandi per lui.
«Quello sei tu, vedi?» disse il Dominante. «E vedi
com’è quando si allarga il cerchio?» e mi indicò
l’orizzonte, tutt’intorno, e poi in alto. «È tutto futuro e
tutto adesso. Ora riapri gli occhi e riposa un po’.»
177
Scie
Altra stasi - La voglia di sentirsi in colpa - Il naturale
squilibrio della crescita - Due tipi - Mia moglie -
Elemosinare l’approvazione - La moglie dei sette fratelli -
Il sogno della nave - La donna dai capelli rossi - Il
linguaggio dei sensi - «Non doveva essere lei» - Un altro
sogno
Ti aggrappi sempre a ciò che hai già visto, e non lo sei più. Ti
rimpicciolisci soltanto e tutto diventa piccolo per te. Brutta
situazione, per uno che sa già ascoltare più in alto! Se tutto comincia
a sembrarti piccolo, non senti alcun impulso a usare ciò che sai, a
dare a chi ha bisogno, a cercare il tuo posto nel mondo e a creare il
mondo che vuoi. Solo piccole passioni, per passare il tempo.
178
anni da quando le avevo annotate. Sfogliando quel
quaderno vi trovai anche il tetto della casa di campagna,
ma non riuscivo a pensarne niente di utile.
Passarono tre settimane prima che tornassi dai Maestri:
fu a casa di un’amica, di notte, mentre lei dormiva.
«Si stanno smuovendo un po’ le tue radici, ti
preoccupa?» Il Dominante mi accolse con queste parole,
ma non riuscivo a vederlo bene.
179
riconosciuto o sviluppato. È perché tu le veda. È anche
questa una parte di te, e adesso prevale.»
E se le riconosco, la vita non le favorisce?
«Se le riconosci, le favorisci e le sviluppi tu. Questa tua
parte cercatrice, intanto, serve a ricordarti che non hai
finito di ritrovare te stesso, ciò che hai perso di te o che ti
sei lasciato rubare.»
Sì, ma fammi capire meglio. Lei si è cercata apposta un
marito così, per farsi rubare una parte di vita? Per vedere
all’esterno di sé il suo smaltitore?
«Il suo personaggio, vuoi dire. Sì, si sono scelti con
precisione reciproca. Lui è tutta tensione: lui è quella
parte di te che vive per opporsi a chi lo opprime, per
liberarsi da situazioni soffocanti: solo allora sta bene.
Perciò se ne crea apposta, e ne trova appena può. Se non
ne trova si sente inutile, sperduto.»
Ed è anche lui come sono io in questi giorni?
«Sì. Fortunatamente è anche una delle parti che ti
spingono a parlare con noi, quando l’Aldiquà è troppo
angusto, o a voler scrivere cose belle, con tutta la fatica
che occorre. Se non l’ascoltassi, saresti soltanto uno che
brontola.»
180
incontravano. Avrei dovuto smettere di parlarne, ma non
riuscivo. Mi ipnotizzava quell’allargarsi della distanza,
così rapido, frase dopo frase, tra due persone che per
quindici anni avevano creduto di vivere insieme.
«Io tengo moltissimo a queste cose» dissi. «Bene.»
Cercai di sorridere e mi alzai per bere un po’ d’acqua. «È
importante» dissi «riuscire a deviare la conoscenza della
mente verso ciò che ne avevano scoperto culture di
duemila, tremila anni fa. Non sono cose passate, siamo
noi che siamo rimasti indietro e non riusciamo più a…»
cercai un verbo adatto e scelsi «decifrarle», ma non era ciò
che intendevo. «Ma proprio non te ne importa un
accidente. Com’è possibile.»
«No, no: è interessante.»
E intanto faceva un conto, con la calcolatrice del
cellulare.
181
professori di filosofia non lo sanno.» Goffo. «Comunque»
tornai a sedermi «dove eravamo rimasti?»
«Ecco, è meglio.» E continuammo i calcoli.
Il Dominante rideva.
«Quanto tempo hai perso nell’elemosinare
approvazione: troverai mai il coraggio di calcolarlo?» mi
domandò. «Perché vuoi riempire questo vuoto? Lì è solo
vuoto, in te. Lascia che sia.»
Ma faceva male come una nevralgia; tanto da impedire
la rassegnazione, così come una nevralgia impedisce un
movimento alle membra.
Lo so, ma perché mi importa così tanto? E più importa, più
sono goffo.
«La tua energia si rifiuta di seguirti. È più saggia di te.»
«Questa donna, di quale dei sette fratelli sarà moglie
nell’Aldilà?» citò l’Austero.
Cioè?
«Hai mai interpretato la parabola della donna che
sposa uno dopo l’altro i sette fratelli?» riprese il
Dominante. «Nessuno la interpreta mai.»
Andai a leggerla. 1
C’erano sette fratelli: il primo sposò una donna, e morì senza figli.
Allora la sposò il secondo, e poi il terzo, e così tutti e sette; e
morirono tutti senza aver avuto figli. Da ultimo anche la donna
morì. Questa donna, nella resurrezione, di chi sarà moglie? Perché
tutti e sette l’hanno sposata.
Gesù rispose: I figli di questo mondo si sposano; ma quelli che
sono giudicati degni di un altro mondo e della resurrezione dai
morti non si sposano, e non possono nemmeno morire, perché sono
uguali agli Angeli.
182
«Così è un po’ depurata, diciamo» commentò il
Dominante. «In origine era più orientale; lì, vedi,
importava ai cristiani che Gesù prendesse le distanze dal
sesso e dalla morte: non si sposano e non possono morire!
Una vera fissazione.»
In origine com’era?
«Non hanno bisogno di sposarsi, e nemmeno di
morire.»
E qual è il senso?
«La moglie sei tu. I mariti fratelli sono i molti volti che
tu diventi via via, nella tua vita. Rimangono indietro,
punti d’arrivo superati, migrano altrove. A un certo punto
ti accorgi che attraverso tutti quei volti tuoi è passato un
solo io: ed è ciò che nella parabola si chiama moglie.»
Anche i sette fratelli della parabola sono quelli che chiamate
personaggi?
«Certo. Dunque, a quale di questi volti passati vorrai
appartenere? È lo stesso domandarti Chi sei? E chi sei
stato? Sono due domande molto diverse.»
Pensavo.
«Sai cosa sono le proiezioni ma non l’applichi a te
stesso. Nella parabola si chiama moglie, e anche tu la
chiami così. È questo fondamento del loro io che molti
uomini cercano in una moglie; ma è in loro stessi. Così
non vedono né se stessi, né la donna che hanno sposato.
Forse si annoierebbero, se la vedessero; preferiscono
soffrire.»
E il desiderio di approvazione?
«Perché approvare ciò che non sei più? Che ti importa
di una scia?»
E chi vuol avere un volto solo, essere un solo fratello?
«Tutti ci provano e tanti lo fanno; muoiono insieme a
qualche loro personaggio. In loro il desiderio
183
d’approvazione l’ha vinta sulla vita. Ma tu sai già
abbastanza dei limiti: perché chiedi? Qualunque cosa di te
tu riesca a capire e a ricordare, l’hai già superata,
malvagia o buona che sia. Ripetiamo tante frasi, hai
notato?»
«Tutte le cose che tu mi hai dato vengono da te» citò
l’Austero. 2
«Infatti» approvò il Dominante. «Sono frasi che tu dici
al tuo io. E rimangono tutte indietro a te.»
184
La sera, alla presentazione di un mio libro vidi tra la
gente una donna dai capelli d’uno strano rosso cupo,
intenso, folti, che passava tra la gente cercando qualcuno.
Seguii con lo sguardo quel colore rosso, fra le altre teste, e
ogni tanto lo cercavo poi con lo sguardo. Alla fine vidi
anche i suoi occhi, grandi e chiari – era vicina, a due passi
da me – e notai l’apparecchio metallico che aveva ai denti,
e che le guastava orribilmente il sorriso. «Devo
conoscerla» mi accorsi di pensare, ma stavo parlando con
alcune persone: «Come l’ho notata subito, tra tanta
gente!..»
Rientrando a casa fantasticavo di lei e della sua
bellezza, che quell’apparecchio pareva ricattare. Non ero
riuscito a conoscerla e pensai che il sogno potesse riferirsi
in qualche modo a quell’incontro mancato: forse era
importante per me, lei, ma era già lontana, l’acqua
tornava uguale e non avrei mai saputo perché mi avesse
tanto colpito.
185
ossessioni.»
E lei che via segue?
«La seconda. Se no sarebbe un medico o un’attrice.»
Perché mi ha tanto colpito? domandai perplesso.
Qualcosa non andava, lì da loro, o in me, non capivo. Che
c’è?
«Non ci siamo accorti» rispose il Dominante dopo una
pausa. «E ne siamo piuttosto sorpresi. Ma può darsi che
sia solo un’impressione.»
Un’impressione? Voi? Perché oggi parlate così?
«È uno strano momento. Ma è molto bella. Voi
chiamate bellezza ciò che non si esaurisce, ciò di cui lo
sguardo non riesce mai a cogliere e intendere tutto: è
l’immagine di aspirazioni più grandi, che tu non conosci.»
È ciò che dicevamo nei giorni scorsi.
«Sì. Tu sei la nave.»
Di cosa non vi siete accorti?
Altra pausa.
«Non doveva essere lei, avevamo pensato a un’altra in
quella sala, ma ti ha colpito lei e si vede che così deve
essere. Anche questo può aiutarti a conoscere meglio la
tua realtà. Cambiano molte cose. Torna tra un po’ di
tempo.»
Riaprii gli occhi.
186
cominciava a parlarmi: ma dalla bocca le usciva qualcosa
di verde e ripugnante, come un fumo pesante, e io non
riuscivo né a staccare lo sguardo né ad allontanarmi.
L’indomani pensai che quell’apparecchio ai denti doveva
avermi molto impressionato, e che questo fosse tutto il
significato del sogno.
Due giorni dopo la vidi di nuovo, a una mia
conferenza, e all’uscita la fermai e facemmo conoscenza.
Dissi semplicemente: «Aspetti. Non dobbiamo parlarci un
po’?» Rise, con quell’apparecchio che luccicava, e siccome
ero con altra gente e lei con amici suoi, ci scambiammo il
numero di telefono e ci salutammo subito. Dal
pomeriggio seguente cominciammo a darci
appuntamenti.
1. Luca 20,29-36.
2. Giovanni 17,7.
3. Paradiso II,14-15.
187
Gli altri esseri
Appuntamenti - La pioggia sul vetro - «Non hai notato
niente» - Gli influssi sui destini - I distacchi e le stasi - Il
dimenticare, il prendere e il silenzio - Somiglianze - Spiriti
di fuoco e di neve - I rituali - Gli elementi nemici
nell’Aldilà - I rapaci - Un buon modo di chiudere
188
più noioso della giornata. Pensai che mi facesse tenerezza
sentirglielo dire come se fosse una cosa sensata.
Così dicevate che era un’altra e non lei? domandai ai
Maestri dopo il secondo appuntamento.
«Ormai è evidentemente lei.»
È così vuota. Tutta io io io, dissi, con una vaga speranza
che mi dessero torto.
«No. Non hai notato niente.» Il Dominante me ne
parlava con grande serietà. «Non voler sempre plasmare
le cose quando guardi. In ogni caso voi plasmate la sorte
di chi incontrate, influite sempre. Ma guardare e vedere
richiedono un diverso coraggio.»
189
distacco, triste come tutti gli addii. I Maestri che se ne
vanno poi non tornano più.
È il momento?
«Già da un po’ occorreva un cambiamento» proseguì il
Dominante. «Siamo troppo vicini, noi e te. È bene che
entriamo a far parte della tua coscienza, di ciò che in te
conosce, e conoscerai altri.»
“Entrare a far parte della coscienza” è una delle
espressioni con cui i Maestri indicano i distacchi.
E sarà presto?
«Non saprei; ma se restassimo comincerebbe una stasi
che sarebbe meglio risparmiarti. Si combinano solo
pasticci, nelle fasi di stasi.»
190
te».
«Eppure» aggiunse il Dominante «è come se non fosse
ancora il momento. È molto interessante.»
191
Un pomeriggio andai a casa dell’amica dei capelli rossi.
Ero passato a prenderla, i genitori erano usciti e voleva
che vedessi dove abitava. La sua stanza mi fece
rabbrividire: era la cameretta di una bambina. I mobili
dipinti di colori pastello, le dimensioni del letto, i
giocattoli sugli scaffali e persino i disegni delle tende
potevano andar bene per un’undicenne. C’era un’aria
davvero di incantesimo, soffocante, da bella
addormentata.
«È in questo che le assomiglio? Da qualcosa del genere
devo staccarmi anch’io?» pensavo osservando gli gnomi e
l’elefantino di pezza sul comodino.
In quella stanza cominciò a raccontarmi dei suoi amanti
– «fidanzatini», come diceva lei – e specialmente
dell’ultimo, che l’aveva piantata un mese prima.
«Mi piantano sempre, non so.»
Intanto mi mostrava l’album dei suoi acquerelli,
eravamo seduti sul letto.
«Ecco» mi indicò nell’album una figura dal volto di
bambola, in vesti turchese e arancione, tutte svolazzi,
«questo è lui, il mio unico, grande compagno.»
«Un fidanzato importante?»
«No! È lui. Il mio Spirito di fuoco. Vedi che è tutto di
fiamme. È bellissimo.»
«Uno Spirito?»
«Credi di averli solo tu? Anch’io ne ho. Perché ci siamo
conosciuti, se no?»
Mi sentii come se nella mia mente qualcosa stesse
cadendo: precipitando.
192
Sempre con il volto da bambola di porcellana.
«E ci parli?»
«Certo. Ma non scrivo, ci parlo diretto» e sfogliava
l’album.
«E di me cosa dice?»
«Malissimo. Parla malissimo di te e dice che non devo
fidarmi. Che sei di un altro clan di Spiriti.»
«E tu mi frequenti lo stesso?»
«Voglio vedere se ha ragione. Tanto lui mi protegge in
ogni caso. Solo adesso non c’è, non so perché» e si guardò
attorno.
Anch’io mi guardai attorno. C’era una bambola su uno
scaffale, con un abito a svolazzi come quello del suo
Spirito dipinto. E dentro di me qualcosa continuava a
precipitare, senza nulla a cui aggrapparsi. “Anch’io sono
così rudimentale?” pensavo.
193
«E questi abiti così sfarzosi?» le domandai, come se
parlassimo di bambole da vestire.
«Sono belli, no? Si vede che servono a proteggerli. E a
proteggere me.»
«Da cosa?»
«Da tutto, boh, dalle cose. Mi proteggono anche da me,
io tante volte ce l’ho con me. Mi viene voglia di
schiantarmi in moto. Ma poi mi passa e non ci penso. Be’,
usciamo?» propose chiudendo l’album. «Dove andiamo?»
«E come li hai scoperti, i tuoi Spiriti?»
«Nei sogni. C’era un periodo in cui ero molto giù, un
po’ matta anche. Prima ancora di lavorare in discoteca.
C’era stato un mio fidanzatino che mi aveva fatto fare
delle cose, dei riti. Ma niente roba di perversione. Erano
dei riti tipo preghiera, come. Lui ci credeva tantissimo.»
Il suo labbro superiore si era un po’ sollevato,
l’apparecchio luccicava. Si alzò e ripose l’album in un
cassetto.
«Delle cose per non reincarnarsi più. Ma non posso
dirlo, c’era il giuramento. Usciamo?» e prese le chiavi: «A
ogni modo da allora sono più strana, prima ero brava; poi
ho cominciato a fare confusione con le persone. Basta, va
bene?»
194
nostra stirpe. I Suoi di sicuro la aiutano. Ne ha bisogno.
Hai visto com’è paralizzata.»
Ha una stanza che sembra un incubo.
«È mangiata. Tanta gente vive così. Del suo io le è
rimasto solo qualche frammento, e con quelle sue paralisi
lo difende.»
I suoi Spiriti la mangiano?
«No. Ti abbiamo parlato di altri esseri, una volta: e vedi
come sono le nostre storie? Sono fatte in modo che se te le
raccontiamo cominci a viverle, e hai cominciato. Ora
possiamo parlarne.»
195
«Fai un bel respiro e ascolta con calma» mi suggerì il
Dominante, e attese che facessi quel respiro.
Ma il tempo, il prima e il poi non esistono per voi.
«Per noi no. Ma queste sono cose accadute a voi.»
Voi prima vi alimentavate di noi?
«No, noi siamo Spiriti della ricchezza. Questi altri
hanno una natura rapace: per mancanza di vita interiore
dovevano nutrirsi di vita, e hanno cominciato a nutrirsi di
voi.»
Come può uno Spirito non avere vita interiore? Voi siete
interiorità.
«Non loro. Mancavano di vita, semplicemente. Come
un organismo non ha in sé certe vitamine, o certi enzimi.»
Una specie di vampiri?
«Ma non malvagi. Come sai, di per sé nulla e nessuno è
malvagio nell’universo. È malvagio un lupo che uccide
una gallina? Non è una gioia guardare i lupacchiotti che
mangiano? Ma rapaci sì. E adesso regnano nel vostro
invisibile, e di conseguenza anche nel visibile, attraverso
di voi.
«La tua amica dai capelli rossi è a metà, per ora, tra i
Suoi e loro. Aveva Spiriti alti, poi ha invitato quelli e sono
arrivati. E tu l’hai incontrata e hai scelto lei.»
Ho fatto male?
«No, era necessario, e può anzi essere una cosa bella.
Un buon modo di chiudere.»
196
Lo scambio
Gli allevamenti e le distruzioni - Il non avere più il tempo
- Più in alto - L’altro continente - «Agiscono » - Piani
d’azione - La morte per gli Spiriti - I lager? Errori e
annunci - Pasqua
197
Il disegno era la mappa del percorso interiore che mi
conduceva alla Stanza Tonda. Nel quaderno leggevo:
«Insieme alla vita placida ebbe inizio in voi una gran voglia di
distruggere: un po’ come nel vostro Cinquecento nelle Americhe. E
nelle vostre storie di distruzione voi in realtà recitavate
quell’invasione che aveva cambiato la vostra vita. Come se vederla
all’esterno vi dovesse aiutare a riconoscerla in voi; ma non servì a
questo scopo.
«Chi distrugge lo fa per sapere di non essere il solo a soffrire, a
non avere tempo: altri hanno meno tempo di lui – quelli che lui
198
distrugge –, sono meno padroni del tempo e del mondo. Fu un
vostro modo di esprimere quella disperazione. A questo servì, sì.
«Da allora noi siamo diventati più mobili, più Spiriti, diciamo, e
abbiamo imparato a spostarci in molte dimensioni: e voi con noi –
quelli, s’intende, che ancora comunicavano con noi. Noi, in
compenso, ci siamo molto sparsi. In questo più ampio spazio di
movimento (sempre parlando nei termini vostri) siamo diventati più
radi. Piccoli gruppi, clan…»
199
«Come dice la tua amica» mi fece osservare l’Austero.
200
«Sì. Tutto ciò che vive lo può. Gli Spiriti hanno territori
ben distinti gli uni dagli altri proprio perché il contatto
con altri Spiriti non li annienti. È chiaro che possiamo
morire: noi siamo vita, interamente costituiti di vita, senza
materia, e la vita è tutto per noi. Ma non per loro.»
No, non riesco a capire proprio.
«Poco male. Sono più forti grazie a voi, ma non hanno
vita: la assorbono da voi, e voi non ne avete molta.
Assorbendo la nostra ne sarebbero distrutti, perché è
troppa.» Il Dominante mi guardò negli occhi: «Molta vita
e molta forza sono due cose diverse, questo lo puoi
capire» spiegò. «Ed è già accaduto nella vostra storia che
qualche gente si sia distrutta proprio distruggendo altra
gente meno forte, ma più viva.»
201
E tutto questo perché alla conferenza mi sono sentito attratto
da lei.
«I vostri sensi sono veloci, ne abbiamo parlato, ricordi?
Questa volta anche più veloci di noi. Perciò abbiamo
dovuto rifletterci, allontanarci un po’ da te, per vedere.»
Ma avevate detto che ciò che avviene di nuovo nell’Aldiquà
dipende da ciò che cogliamo di voi. Qui è il contrario.
«I tuoi sensi hanno colto più di noi, perché il nostro
tempo è terminato. Sei più alto, e presto sarai nuovo. A
volte ciò che appare un errore è invece un annuncio. Qui è
un’occasione. Molto bella, anche.»
202
labbro inferiore. Guardava dritto dinanzi a sé.
E poi?
«Poi resterai solo per un po’ e verranno altri Maestri,
più alti di noi, come d’altronde doveva avvenire. In questi
casi di solito sono i vecchi Maestri a presentare i nuovi,
perché tu non rimanga solo. Stavolta sarà un po’ più
movimentato, come addio, ma le esperienze forti alzano il
livello di intensità e ne avrai sicuramente vantaggio.»
Rifletté e aggiunse, rivolto all’Austero:
«Sia chiaro che non sono tenuti tutti a partecipare; io e
gli alati siamo più che sufficienti.»
«Per me va bene» disse l’Austero.
Il Dominante tornò a rivolgersi a me:
«Ti spiegheremo come fare. Uno di noi ti
accompagnerà quando dovrai andare via. Non sarà facile
nelle prime ore, una parte della tua mente cosciente
resterà un po’ confusa.
«Ma potresti fare così: chiederai a qualcuno a cui hai
insegnato la tecnica per raggiungerci, di insegnarla a te di
nuovo. Di guidarti fino a una nuova Stanza Tonda, perché
questa sarà distrutta. Ne ricostruirai un’altra. Lungo il
percorso ritroverai anche quella parte di te che sarà
rimasta dispersa. Sarà come un gioco.»
Non è possibile, questo deve significare qualcos’altro, è solo
che non lo capisco adesso.
«No, significa solo questo. Va bene così e noi ne siamo
molto fieri.»
203
Istruzioni
Come si resiste - Blocchi di cemento - Un lembo turchese
nell’aria - Chi è in trappola - I luoghi delle attese - Mio
padre e la boxe - «È per te e per noi» - Altri smaltitori -
Come non usai il tempo che restava
204
sarei dovuto rimanere fino all’arrivo di quegli altri, perché
– disse – la Stanza Tonda viveva di me, era prodotta dalla
mia energia psichica; ma una volta entrati quelli, era
necessario che me ne andassi immediatamente, altrimenti
si sarebbero attaccati a me.
«Non rimarrebbe niente di ciò che conosci, niente di
tuo, per molto tempo.»
Non credo a una parola di quello che dici.
«Infatti; c’è nel nostro mondo qualcosa di credibile e di
possibile, per il tuo io piccolo? C’è mai stato?»
205
un’iniziazione. L’iniziazione dà sempre dei poteri. Ma
perché lo vuoi sapere?»
«E perché non gli chiedi qualcosa di serio, se sono
poteri?»
«Certe cose le chiedo, e le fanno. Ma devi per forza
parlarne?»
«Potresti mandarmeli, se ti dico come? Per vedere cosa
sono. Io li studio, questi fenomeni.» E senza aspettare che
acconsentisse le spiegai l’itinerario che seguivo per
raggiungere la Stanza Tonda, e le dissi il giorno e l’ora in
cui quelli sarebbero potuti venire.
«Digli che voglio conoscerli e verranno. Che male c’è?»
e in quel momento mi sentii particolarmente stupido. Ma
disse di sì.
“Assurdo” pensai mettendo giù. “Cosa sto facendo?”
Ero di cattivo umore.
206
soltanto per questo tutto ciò che vedevo era come sempre.
207
“No, è un trucco” cercavo di convincermi, “e alla fine
rideranno perché ci ho creduto e mi sono preoccupato.”
Mi era capitato qualcosa del genere, molto tempo
prima. Avevo cinque anni, e la domenica mattina facevo
sempre passeggiate per la città con mio padre. Una
domenica mio padre mi disse che aveva preso un
impegno per me: un incontro di boxe con un altro
bambino. Sapevo che lo preoccupava il mio carattere
troppo tenero, avevo sentito che ne parlava con mia
madre. Mi chiese se me la sentivo di affrontare la sfida;
disse che poteva anche inventare una scusa se avessi
risposto di no. Risposi di sì. E solo allora aggiunse che
quell’altro bambino aveva nove anni.
Ripetei che accettavo; e mi accorsi che ne era fiero.
Durante la settimana – l’incontro era fissato per la
domenica seguente – mi allenò, ogni sera facevamo
lezione di boxe e andavo a letto preoccupato,
immaginando l’avversario di nove anni, gigantesco nella
mia mente, e le spiegazioni che avremmo dato alla
mamma, la sconfitta praticamente sicura, l’assurda
possibilità della vittoria. Giunse domenica. Arrivammo
sul luogo stabilito, un giardino pubblico; era novembre e
ricordo bene il berretto con i paraorecchie di lana, il
cappotto – che, pensavo, avrebbe attutito i colpi, se me
l’avessero lasciato tenere – e l’aria fredda e grigia.
Aspettammo dalle undici fin quasi a mezzogiorno, e poi
papà concluse che evidentemente l’altro bambino aveva
avuto paura di me. Tornai a casa felice e più di trent’anni
dopo mio padre mi confessò, ridendo, di aver inventato
tutto, per vedere se ero coraggioso.
208
degli Spiriti si annientassero in una specie di duello?
Anche ammettendo che quegli altri fossero ostili o
parassiti, in nessuna teologia Dio annienta il Diavolo, né il
Diavolo Dio; neanche Zeus annientò i Titani, li mandò
altrove dopo averli sconfitti. Non si annientano i
contenuti psichici, piuttosto li si trasforma, li si integra. E
poi, che metafora infantile: un duello! No, doveva esserci
un trucco, o un indovinello. Ma non ne vedevo la
soluzione.
209
onnipotenti. Tu pensavi di sì?» domandò con un sorriso, e
anche l’Austero sorrise. Mi si strinse il cuore.
Altri smaltitori, altre parti di te che trovi negli altri: se sai esserle
tutte ed equilibrarle, è la gioia, è un capolavoro. Unica armonia.
Perciò è detto: ama gli altri come te stesso.
210
femminile al contempo, da non desiderare nulla dal sesso opposto, e
da guardare gli altri come se i sessi non esistessero. E solo se ha il
coraggio di accorgersi della propria duplicità e completezza,
raddoppia di colpo la propria energia di crescita in cielo come in
terra, e vede gli altri come sono, senza che il desiderio o la
ripugnanza la intralci. Cerca chi ha in se stesso due sposi l’uno
all’altro fedeli, perché così trovi te.
E la parte opposta…
E nei quaderni c’è scritto anche ciò che avverrà tra due
giorni? È già avvenuto anche questo anni fa?
«Non tutto. Tra due giorni è un tempo nuovo, e questi
nostri periodi che si ripetono e si completano non si
ripeteranno più. Continua a leggere, non ti piace
quest’album di fotografie?»
211
E queste mie parti possono davvero essere vissute tutte
insieme?
«Sì.»
212
ti sei ancora riconosciuto in questi? È tempo.
E tutti sono luce, e solo se sai essere tutti sei luce e sei tu. Ciò che non
vedi di te in loro è una tua mutilazione che sanguina, e negli altri ti
ferisce, o inutilmente ti attrae.
213
*
E la parte opposta, i cui orizzonti sono talmente vasti che per essa
nessuna verità ha importanza. Solo gli altri importano, quali che
siano: solo degli altri gioisce, solo davanti agli altri è se stessa, e a
tutti si adegua per esserlo, per inesauribile amore. Finge perciò
sempre. Se si adeguasse così anche agli invisibili, nessuno meglio di
lei potrebbe scoprire le leggi dell’universo, che è la vostra più
duratura finzione.
214
Non tornai dai Maestri nei due giorni seguenti. E non
feci quasi nulla: come se non usando il tempo che ancora
restava avessi sperato di conservarlo, di far durare di più
quei due giorni. E rendendomi conto che così non era, mi
detestavo al pensiero che certamente avevo fatto la stessa
cosa con tanti altri aspetti della mia vita, da tanto tempo,
senza volermene accorgere mai.
215
Arrivano
Un carro da guerra e i giardini - Come sei, sei - Il mondo
degli adulti - «Passerà alla storia» - La sua prova di
coraggio - Consigli per la prossima Stanza Tonda - Sorte
ulteriore degli Spiriti guida - Dove non c’è più nulla da
sapere - Non è tutto già successo? - L’essenziale da vivere
216
Maestri.
«Tutto bene, non c’è fretta» disse il Dominante mentre
arrivava nella Stanza con gli altri.
Mi sono addormentato!
«Tutto bene. Bene anche che non sei passato da noi in
questi giorni. Lei avrà parlato con loro, e probabilmente si
saranno incuriositi: se fossi passato da noi avrebbero
sicuramente sentito qualcosa; rimane la scia, quando passi
da noi. Hai fatto la cosa giusta.»
La scia. “Il Fiammeggiante” mi passò per la mente
ancora intorpidita dal sonno.
Ho fatto un sogno, adesso, che…
«Hai sognato un parto. È una specie di parto ciò che
avviene adesso, e dunque perché trattenerlo? Quanto agli
acquerelli: la guerra, il duello che immagini è sicuramente
uno svolazzo. La tua amica è una ragazzina, anche tu sei
un ragazzino, avete i vostri svolazzi: lei li ha nel modo di
usare il pennello.»
Cioè dipende da me? Se io immaginassi in un altro modo il
vostro incontro con quelli, cambierebbe tutto?
«Se fossi un’altra persona, potresti. Ma allora non
saremmo i tuoi Maestri e non ci sarebbe questa Stanza-
caverna, ma un’altra diversa. Tu sei tu e così è, e va
benissimo così, ma occorre che lo si superi. Fra trenta dei
vostri minuti entreremo tutti nel tuo mondo intermedio,
che è tuo e non può essere diverso da com’è, e tu ne verrai
fuori cresciuto.»
Se invece cresceste con me?
«Va bene così. Si tratta solo di illuminare un’area di
buio, e questa è la nostra lampada. È stato bello con te, per
tutti questi anni. Tu, come ti senti?»
217
Ero seduto al tavolo, tra le stalagmiti. Il Dominante era
in piedi accanto a me.
Crescere.
È così mediocre il mondo degli adulti, riflettei – e i
pensieri arrivavano ancora come i sogni nel sonno –, è
fatto a cono, si stringe, si chiude. Mi annoiavano le regole
dei giochi di carte, perciò non ne avevo mai imparati, e il
mondo degli adulti mi era sempre apparso come un gioco
di carte un po’ più complicato, noioso. Il gioco degli adulti
consisteva nel fingere di non aver capito che le regole
sono sbagliate. I bambini hanno almeno la saggezza di
giocare soltanto per una parte della giornata: poi c’è la
realtà, che per loro è ancora più caleidoscopica del gioco.
Gli adulti invece giocano soltanto, sempre, con le loro
regole.
Le regole. Mi tornò in mente che io ero almeno una
cinquantina di io, e non uno. C’erano tutti quegli appunti
di tipologia angelologica da ordinare, e in cui riconoscersi.
Dunque tutto ciò che mi accorgevo di pensare e di sentire
era comunque troppo poco.
«Credi che crescere significhi diventare adulti come lo
intendi tu ora?» mi domandò il Dominante, che si era
seduto sul tavolo. «No, è far esistere di più ciò che tu
chiami il mondo dei bambini. Non crescere è aver paura
che questo mondo dei bambini non basti e non regga.
Vedrai.»
«Noi in ogni caso ci sentiamo bene» aggiunse dopo una
pausa. «Si ricorderanno di noi.»
Chi?
«Gli altri nostri Spiriti. Passerà alla storia, direste voi.»
218
una delle poltrone.
«Oh, lei è molto più guerriera di noi» rispose
compiaciuto il Dominante. «Sei tu a vederla come una
bella Fanciulla soltanto. E lei è noi: solo tu ci vedi diversi
gli uni dagli altri. E noi siamo te; o siamo stati te.»
Alzai lo sguardo e vidi che sorrideva.
«Sappi comunque che per noi hai fatto tanto. Senza
conoscerci ci hai dato ciò che per noi era tanto prezioso, le
parole, per arrivare fino a te. Non importa se sia poco ciò
che attraverso le parole è passato da noi a te: poi
aumenterà, e ti aiuterà a scoprire tante altre cose. Grazie
di questo.»
E c’è anche lui, dissi indicando l’uomo dalla faccia a
becco.
«Ha voluto restare. È una sua prova di coraggio; così
avrà un senso nuovo anche lui.»
«Riguardo al coraggio» intervenne l’Austero, «nella
Stanza che costruirai dopo di noi, metti anche una mazza
per sfondare la parete in fondo. Ci sono sempre altre
Stanze più in là. Noi ti facevamo fare più o meno questo,
quando ti spiegavamo le cose.»
E dove andrete, poi?
«Più nulla» disse il Dominante.
Nell’aria? Liberi?
«Il posto degli Spiriti è sempre stato nell’aria, liberi,
mentre altri costruiscono. Non siamo noi a costruire»
rispose l’Austero.
«Quando degli Spiriti guida arrivano al termine del
loro compito» spiegò il Dominante, «una parte di ognuno
di loro (per dirlo in modo che tu capisca) rimane nella
vostra coscienza, a renderla più ampia e forte, un’altra
parte va a rendere più intensi altri Spiriti guida che stanno
crescendo; e un’altra parte ancora torna libera, come dici
219
tu.»
Gli Spiriti crescono anche?
«Non fanno altro. Tutto è inizio da noi, lo sai. Quanto
più gli uomini li ascoltano, tanto più crescono: la loro
sapienza si unisce alla vostra e cresce con essa. Non
importa quanto grande diventi: è nel crescere la bellezza.»
Ma dove andrete?
«Per noi non ci sarà più nessun dove. Non sappiamo
che cosa ci sia, perché dopo per noi non ci sarà più nulla
da sapere.»
«Ci siamo trattenuti troppo con te» aggiunse l’Austero,
allontanandosi. «Ma tutto rientra in una precisa necessità.
In un ordine, finalmente.»
220
nessuno.»
Mi alzai e cominciai a camminare accanto al tavolo.
«Sei preoccupato?» mi domandò il Dominante.
L’uomo dalla faccia a becco chiuse gli occhi.
Ho paura di non aver capito, risposi fermandomi. Ho
paura di non aver capito l’essenziale!
«Bene» disse il Dominante, «l’essenziale è da vivere. Ci
sono tanti intrecci tra cielo e terra, più grandi di te, ma
tuoi! Ricordati del dimenticare e del prendere.»
Non me ne ricordavo.
«E ricordati di comprare un campo» aggiunse
l’Austero.
Un campo?
«Sono le due» il Dominante sorrise. «Com’è
ingannevole davvero il vostro tempo. Quante cose da dire
ancora, e sono già tutte dette.» E sono le ultime parole che
ho di lui.
221
Immaginavo
Arrivano - La Fanciulla e la donna alata, che potevano
diventare uguali - «Questo posto è mio!» - L’ascensore -
«Nessuno» - La corsa e i gradini - I pensieri - Sull’acqua
222
Poi sentii che erano entrati: non si vedevano, qualche
altro mio senso li percepiva, ed erano come strutture
d’aria, che si addensava e si comprimeva al loro interno
senza perdere trasparenza. Non erano visibili ma si
avvertiva sempre più netto ogni loro movimento: erano
entrati, si erano fermati a due o tre passi dalla porta,
guardandosi in giro sorpresi. Sentii che uno guardava me.
Erano lenti, come se avessero il peso del cemento, in
quella loro struttura d’aria.
Il Dominante chiuse la porta, mentre io non so perché
esclamai: «Questo posto è mio!».
In quello stesso istante cominciai a vederli, e rimasi
immobile, agghiacciato.
223
L’ascensore sussultò una volta, poi un’altra più forte,
inclinandosi un poco su un lato, e si fermò così inclinato.
Il vecchio forzò la porta, che doveva essersi bloccata, e
continuammo a scendere nel vuoto, non capivo come. Il
vuoto divenne alberi, un bosco rado con un sentiero in
salita, e percorrevamo il sentiero, svelti, scostando i
cespugli sporgenti. Il vecchio correva vigoroso davanti a
me. Rallentava ogni tanto per guardare verso sinistra,
oltre gli alberi a sinistra c’era una discesa ripida e si
vedeva lontano. Gli alberi si diradavano, c’era un prato
con rocce: da lì, un’ampia vista su colline dai versanti
ripidi, in un forte chiarore come di sole e foschia. Il
vecchio guardava verso una collina alta. «Le cime delle
colline sembrano vicine e invece scendere e risalirle è
tanta strada» ricordo che pensai.
Cosa si vede? E ansimavo per la corsa.
«Di loro non è rimasto nessuno.»
E di noi?
Il vecchio socchiuse le labbra e dopo qualche secondo
disse:
«Va’ da quella parte, non ti fermare, io torno là» e scese
di corsa per il sentiero da cui eravamo saliti.
Scomparve subito tra gli alberi. Feci per seguirlo, ma
mi fermai: e sentii d’un tratto di essere solo. Pensai che sì,
sicuramente la Fanciulla e la donna alata dovevano essersi
raggiunte e avere la stessa età, e che tante cose adesso
potevano cambiare e tutto poteva essere diverso. E senza
capire ciò che così pensavo mi misi a correre nella
direzione che il vecchio mi aveva indicato.
224
Dalla collina dov’ero si apriva una distesa piatta e
deserta, e improbabile, come se lì fossero stati saldati
frettolosamente due paesaggi del tutto diversi fra loro:
colline e steppa, e in entrambe le direzioni a perdita
d’occhio. Resistevo alla tentazione di chiedermi perché,
dato che non bisognava smettere di immaginare, e
immaginavo di correre.
Ero ben cosciente del mio corpo seduto alla scrivania, e
del fatto che stessi sforzandomi di formare immagini. Ma
al tempo stesso, e malgrado lo sforzo, sentivo che quelle
immagini non obbedivano in alcun modo alla mia
volontà: volevano mostrarsi a me, e io le aiutavo soltanto,
piegando il mio pensiero in modo che tacesse. «Ecco,
questi sono i miei pensieri» mi dissi anche, a un certo
punto, immaginando i ciuffi d’erba più alti che
intralciavano la corsa.
225
ricordo di quel posto, e neanche lì ce n’erano. L’erba era
molto alta, mi fermai, immaginai la mia schiena e la fronte
grondanti di sudore, e mi sedetti sfinito.
Come mai aveva detto che ci sarebbe stata nebbia e non
ce n’è? E perché mi ha detto di comprare un campo? Qui
devo comprarlo? E da chi? Anche queste domande
passarono e scomparvero. Bisognava immaginare.
Sulla destra immaginai acqua tra gli alberi, lago o
fiume, non si capiva. Nel posto che avevo visto da
bambino non c’erano corsi d’acqua, e perciò ora
immaginai che dovessi andare verso quella riva, appunto
perché là c’era del nuovo. Mi accorsi poco dopo che le mie
forze aumentavano e dunque, pensai, era la direzione
giusta.
226
molti. Viltà, cattiverie, pigrizie. Come fiumi invisibili
scorrevano nella mia vita correnti che producevano errori,
sempre gli stessi: profonde, forti. In quelle correnti ero
sprofondato, a volte senza volerlo, a volte apposta. A
volte – e questo faceva più male – per volere di altri, cioè
in qualche modo senza volerlo e apposta al contempo. Ma
le correnti erano sempre le stesse. «Questo vuol pur dire
qualcosa» pensai, «devo ricordarmi quello che vedo.»
Guardavo la corrente del fiume, era un fiume. «Devo
entrare nel fiume?»
Mi alzai in piedi. Era largo, sicuramente c’erano
correnti profonde. Del resto stavo immaginando, potevo
quindi immaginare che tutto andasse bene; ed entrai
nell’acqua fredda, dal fondo melmoso.
227
nel mare aperto.
228
I nuovi Maestri
Avere obiettivi - Imparo - Il campo da comprare - La vista
nell’Aldilà, per i Maestri nuovi - «Non ci sono Maestri» -
Non occorre mandare a memoria - Spiegazione
dell’impresa dei miei vecchi Maestri - Le nuove direzioni -
Il desiderio - Cosa ti dissangua?
229
davanti a loro e non vedevo l’ora di chiudere gli occhi,
affidarmi e fare come se imparassi.
«Cominciamo?»
Uno cominciò: «Chiudi gli occhi. E porta l’attenzione
sulla tua palpebra destra, immagina di accarezzarla…» e
così via. 1
230
«Ma com’è possibile che gli Spiriti muoiano?» mi
domandò uno dei miei amici milanesi.
«Siamo noi che non moriamo. Loro sì» risposi. «Loro
esistono attraverso di noi; noi esistiamo attraverso
l’universo intero.»
«Quindi non sono assolutamente anime di persone?»
«No, sono noi. Come dicono di solito? Tu sei tu in un
mondo piccolo, noi siamo te in un mondo più grande.
Loro sono me in un periodo della mia vita: quando cresco
e cambio, la parte di me che non cambia scompare, e
anche i Maestri di quel periodo scompaiono. E la parte
che cresce trova nuovi Maestri.»
«Sì, ma hai detto che i tuoi Maestri sono morti, non
scomparsi. Che li hanno annientati altri.»
«È una cosa che devo ancora capire» ammisi.
«Secondo me» obbiettò l’altra mia amica «hai fatto una
stronzata per danneggiarti. Ma si vede che ne avevi
bisogno.»
«No, sai com’è secondo me?» propose il primo. «È che
sono morti per darti davvero tutto quello che avevano. Se
avessero solo lasciato il posto ad altri Maestri, un po’ delle
loro energie sarebbero rimaste con loro. Invece ti hanno
voluto dare proprio tutto.»
E continuarono a parlarne tra di loro, mentre io
ascoltavo. Nelle tre settimane seguenti rimandai tutte le
conferenze e i corsi che avevo programmato. Non rividi
più l’amica dai capelli rossi; la sentii al telefono altre due
o tre volte, e mi sembrò che stesse bene, ma non
domandai più di tanto.
231
un altro tentativo di ripiegarti su te stesso» affermano.
«Non c’è bisogno che tu veda noi, perché non ci sono
Maestri di alcun genere» dicono. «Nel tuo mondo hai tanti
modi di giocare a essere diverso da te. Lì vi piace e prima
ti piaceva anche qui. Ma la conoscenza è solo imparare a
essere liberi, nessun maestro le occorre.
«Tu conosci la tua mano che scrive. Così tutto ciò che
conosci ti mette in grado di conoscere di più. Invece della
diversità e della distanza c’è soltanto l’orizzonte che si
allarga; e l’orizzonte sei tu.»
Come il mare, durante il mio viaggio nell’acqua e nell’aria?
«Sì.»
232
già una settimana dopo Pasqua.
«Bisognava. Il loro tempo era trascorso, ti avevano
condotto fin dove potevano; più in là non era più terreno
loro. Ma il modo che hanno scelto è stato splendido: un
atto di libertà.»
Qui uno di questi Maestri mi guardò, occhi scuri,
labbra immobili. Era come essere guardati da un albero.
«Hanno dato forma a una storia, a una realtà» disse «e
così hanno superato se stessi, dato che gli Spiriti non
avrebbero accesso alla Forma. Lo sai, sì? Donandoti quel
loro superamento, ti hanno portato molto più in là di
quanto ci si sarebbe potuti aspettare. Ti volevano molto
bene.»
E con quegli altri, con gli allevatori di uomini, l’equilibrio di
forze è cambiato?
«Quella è leggenda. Quella è appunto la storia a cui
hanno dato forma.»
Cioè non era vero?
«Vero, non vero. È una storia. L’hanno inventato loro.
Gli allevatori esistono, sì, e sono proprietari di intere
nazioni (lo vedrai bene, d’ora in poi), ma non c’è
possibilità che incontrino noi. Come due Stati che non
confinano.»
(Mi ricordai: «Chi chiama limite un confine?».)
«Loro hanno fatto in modo che l’incontro avvenisse,
adoperando te: la tua immaginazione, perché
nell’immaginazione umana tutto può convergere e
diventa possibile. Questo li ha annientati, non il duello
con gli altri.» Scrivevo più in fretta. «La tua
immaginazione, per loro, era sempre stata come la
pellicola nel buio della macchina fotografica. Così c’eri tu,
nella tua vita d’ogni giorno, e c’erano le loro fotografie, le
loro immagini. Due mondi distinti. Dando forma a una
storia – a una realtà, dunque – è come se avessero aperto
233
la macchina: la luce li ha cancellati. E ora ci sei tu soltanto,
un mondo solo.»
La macchina fotografica era la Stanza Tonda?
«Sì, e ciò che racchiudeva e isolava di te.»
Così hanno voluto trasformare l’immaginazione in realtà?
«Togliere il confine. E quello era l’unico modo.»
234
devi solo imparare anche a voltarti e a guardare più alto.»
E voi?
«Noi siamo il livello più alto che puoi raggiungere
ora.»
235
sguardo, i pensieri; puoi usarli.
«Riuscirci, non riuscirci, possibile e impossibile: non ha
nessuna importanza ora. Non c’è vostro desiderio che non
serva a farvi desiderare molto di più. Ciò che chiamate
desiderio è sempre più grande di come siete, trova solo
maschere che lo limitano e sempre se le toglie, perché non
può essere diverso da com’è. C’è; così come anche tu ci
sei.
«Il vostro io piccolo ne ha paura, cerca intorno i freni
per rallentarlo: ma anche dai suoi passi rallentati, dagli
inutili calcoli, mentre il desiderio lo spinge avanti,
vengono poi i vostri ricordi più belli.
«Ma tu? La tua gabbia è aperta adesso, tra
immaginazione e realtà, tra cielo e terra. Che cosa ti
impedisce di andare e venire come ti piace? Cosa c’è che ti
dissangua?»
1. Cfr. il mio libro Il frutto proibito della conoscenza, Mondadori, Milano 2014.
2. Geremia 32,15.
236
Epilogo
237
Il Cielo ovunque
«Sai già» - Guardare senza cornice - «Sii pronto a
diventare niente» - Le cose nuove e un mondo per
accoglierle - Non basta mai - Come ci si lascia inghiottire -
Il guscio - La cultura - Il mondo e il Cielo
238
«Spiriti, spiritus, vento, respiro. L’aria si mescola con
l’aria, il nostro respiro si unisce sempre con il vostro. Se ti
accorgessi che il tuo io è solo un piccolo intermediario,
diventeresti immenso, tra il mondo finito e l’infinito.»
Cioè la cornice è l’io piccolo?
«È l’io piccolo che si accorge di sé, parlando con noi. A
voi preme che l’io piccolo rimanga stabile nonostante
tutto. Così finite per guardare non attraverso la cornice,
ma la cornice stessa. Ma dopo i tuoi vecchi Maestri non
puoi più. Sii sempre pronto, invece, a diventare niente, e
allora tutto è tuo e sempre meraviglioso. Allora sei in
cima al mondo, a questo di ora e al mondo futuro.»
Diventare niente?
«Sì, e fare tante cose. Così come fai ora ci fai da
fidanzato e ci trovi altri fidanzati, tra quelli che lì ti
ascoltano. È bello da parte tua e te ne siamo grati, ma
sarebbe tempo che uscissi. E che insegnassi ad altri a
uscire dalla cornice nel mondo, oltre che da noi.»
239
pretesti non valgono e delle intenzioni non si fa il calcolo»
mi dicevano i miei nuovi Maestri. «Allora cesserà anche
l’attrazione tra te e noi, e ci capiremo meglio, senza più
differenze. Forse non sarà con le parole, non sarà nel
salottino del tuo pensiero: ma comunicheremo in una
parte più alta, che di parole non ha bisogno. Da lì saprai e
agirai.
«Così aprirai in te la via a cose che non esistono ancora
nel mondo, e non esiste neppure il mondo che le può
accogliere. Dando forma a queste cose, senza accorgertene
creerai un mondo intero che le accolga, e c’è qualcosa di
più importante di questo?»
Ma in quale campo?
«In ogni istante. E per tutta la vita.
«E sarà sempre poco. Ti ricordi di quando riflettevi che
chi parla con gli Spiriti ha la sensazione di fare poco per
gli altri? 1 Tutti fanno poco per gli altri, con o senza gli
Spiriti. Ma chi ha imparato a parlare con noi, fatica a
radicare nel mondo la parte alta che così ha scoperto; e
non perché il terreno in cui radicarla sia duro o lontano,
ma perché quella parte è sempre più alta. Così la tua vita
non basterà mai, e questa è la cosa più bella.»
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è stato inghiottito riemerga: non riemerge. Allora vanno a
cercarlo dov’è sommerso, e là rimangono, sommersi
anche loro.
«Oppure si fanno forza, diventano freddi e cinici, e
pensano di non aver più bisogno di ciò che è stato
inghiottito; allora è la collera a massacrarli. Né le sconfitte
né le vittorie parlano più al loro cuore, solo la collera li
riempie, e l’invidia. E lì hanno il disastro.»
E quale altra via rimane, in pratica?
«Guardati e vediti come sei nel mondo, negli altri. Ciò
che di te si è lasciato inghiottire è negli altri, è diventato
loro. Il tuo io è in tutti loro. Se lo vedi, cominci a imparare
da loro e da tutto, proprio come impari da noi.»
Nei primi tempi, quando capitavamo su questo
discorso, sentivo calare rapidamente le mie forze mentali,
e sapevo che apposta stavo suscitando in me questo
sfinimento, per avere un pretesto per non ascoltare.
Ma bastava farsi forza, inspirare, e continuavo.
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tracciato nella mente le strisce dei sette colori e la cornice,
immagino di muovere la nuca, i gomiti, e c’è come un
guscio che si spezza a ogni mio movimento. Immagino di
crescere e tutto intorno a me cresce, anche la Stanza; le
conversazioni non interrompono questo crescere: e
bastano pochi secondi per abituarcisi, come se fosse la
cosa più naturale.
«E il campo? Non l’hai ancora comprato» mi ricordano
ogni tanto i Maestri nuovi.
Il campo sarebbe l’uscire dalla Stanza Tonda e trovare il
futuro dove non si sa cosa ci sia?
«Sì. E ti avevano raccomandato di avere un muro da
rompere, lì, no?»
C’è.
«Rompilo.»
Lo romperò.
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pure, e spera di sopravvivere.»
No, la cultura serve comunque, a migliorare le proprie
capacità.
«Serve a limitarne il numero. Se stessi veramente bene
non avresti più capacità e non avresti più confini. Faresti
ciò che occorre quando occorre. La tua gioia non avrebbe
più contenuti e scorrerebbe come un fiume nel mare.»
E nel mondo è possibile questo?
«Il mondo e il tempo sono dal Cielo, e ti guidano. Era la
prima cosa che i tuoi Maestri desideravano che tu
imparassi, ma l’hai imparata soltanto con una piccola
parte di te. Vedila adesso. Il Cielo è ovunque.»
Meno che nella mente umana?
«No. La vostra mente è solo il punto più basso del
Cielo. Tanto meglio: è tra tutti i punti quello che ha più
possibilità di crescere.»
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Indice
Il libro
L’autore
Frontespizio
L’arca dei nuovi Maestri
Introduzione. La vita accanto
L’arredamento della Stanza Tonda
Grandi esseri dalle grandi ali
Nell’acqua
L’abbondanza
I fantasmi nell’universo
I personaggi dell’io
L’Impossibile
Vittime e colpevoli
Le occasioni
Il mondo intermedio
Consultazioni
Il disordine in Cielo
Il Messia
La Dea che nasce
Lezione di creazione
La sindrome di Gesù
Scie
Gli altri esseri
Lo scambio
Istruzioni
Arrivano
Immaginavo
I nuovi Maestri
Epilogo. Il Cielo ovunque
Copyright
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