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Stefano Garavaglia 
@Steve_Gary 

 
CHE MALE CI HANNO FATTO 

Perché ci sentivamo orgogliosi di essere italiani ed ora ci chiedono di vergognarci.


Questo breve ​saggio​, sebbene la parola suoni presuntuosa, nasce con la volontà di
realizzare una guida semplice ma sufficientemente completa per capire ciò che ha portato il
nostro amato Paese nelle condizioni attuali a seguito della crisi economica e per dare
risposte a coloro che sono ancora disorientati dal caos scatenato nel dibattito politico
riempito da strane parole: spread, deficit pubblico, clausole di salvaguardia, riforme
strutturali, output gap, austerità, etc.
Eravamo una potenza economica ed industriale, con famiglie ed imprese (chi più e chi
meno) capaci di produrre valore, vivere una vita dignitosa e in grado di risparmiare anche
qualche soldo.
Pensate: nel 1990 una famiglia media riusciva a risparmiare quasi il 20% del proprio reddito;
oggi non arriva nemmeno al 5%. Immagino percepiate tutto questo sulla vostra pelle.
Qualcosa è andato storto, negli ultimi anni. E nelle pagine seguenti potrete iniziare a capire
perché.

Cercherò di essere il più preciso possibile, condendo questo testo con la giusta bibliografia e
servendomi di dati ufficiali e comunemente accettati dalla letteratura scientifica, ma vale la
pena mettere subito in chiaro un conflitto di interessi: alle elezioni, chi scrive voterà Lega.
I motivi di questa mia scelta vi saranno chiari al termine di questa lettura, ma è inutile che ve
lo nasconda; vi prego di apprezzare questa trasparenza. Credo e spero di riuscire a darvi
un’idea più chiara della situazione attuale, e - se ci riesco - riuscirete a capire il perché di
questa mia scelta. Un atto di chiarimento che sembra dovuto se non quasi richiesto, a dire il
vero, per ripulirsi dalla stimmate di votare un partito ​populista ​o ​sovranista​, come piace dire
adesso. Vi esorto però a considerare che quando i dibattiti televisivi o gli articoli di giornale
sono invece alimentati da accademici ed ​esperti che hanno al 90% una posizione molto
vicina (per essere cauti) all’ambiente di “sinistra” (PD, +Europa, etc.), nessuno si sente in
dovere di farvi presente la loro preferenza di voto.

Mi auguro di aiutarvi a capire meglio la realtà che circonda il nostro amato Paese e che
abbiate il coraggio di tornare a sentirvi orgogliosi di essere italiani, sebbene ora ci chiedano
di vergognarci.

Circa 1000 persone in Italia si sono tolte la vita a causa della crisi economica, dal 2011 
ad oggi. 

Non dobbiamo dimenticarle.


E dobbiamo assolutamente smetterla di pensare che sia tutto normale. Perché non lo è.
Ed è proprio dalla normalità di una nazione in salute, che vorrei cominciare…

1
Come cambia la vita, se ti esplode una bomba atomica in casa

Ho scritto di voler cominciare dalla normalità, quindi forse vi chiederete perché il capitolo
abbia nel suo titolo un elemento decisamente fuori dalla norma: la bomba atomica.
Bene, succede che una nazione ad oggi in salute, con fondamentali economici decisamente
migliori dei nostri, abbia dovuto sperimentare tale regalo dal cielo, consegnato niente meno
che dagli americani. Sto parlando del Giappone, il paese del sol levante.

“C'è una battuta che gira tra i miei colleghi: «Sai qual è la differenza tra il Giappone e la
Grecia?». L'agghiacciante risposta è: «Tre anni». L'ovvio riferimento è alla situazione del
debito pubblico. Per quanto paradossale, l'accostamento della grande potenza industriale
asiatica al piccolo e disastrato Stato ellenico non è poi così assurdo.”

Questo scriveva su IlSole24Ore Luigi Zingales, uno dei più importanti economisti italiani, nel
Novembre 2012, più di sei anni fa.1
Il paragone ovviamente era collegato alla situazione disastrosa che stava vivendo la Grecia
in quel periodo (di cui parleremo in seguito), caratterizzata da una crisi incessante, alto
debito pubblico e rischio di fallimento dello Stato.
Sembrava quindi non così azzardato ipotizzare che da lì a tre anni il Giappone si sarebbe
trovato in una condizione simile, mettendo a pericoloso rischio la stabilità della propria
economia.

Insomma, dopotutto il Giappone è una nazione uscita dal secondo conflitto mondiale in
ginocchio, sconfitta e umiliata, abitata poi da una popolazione piuttosto anziana. Quale buon
futuro si potrebbe mai prospettare, se a questo ci aggiungiamo la vertiginosa esplosione del
suo debito pubblico che - come sappiamo - è uno dei mali più grandi?

1
​https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-11-06/tokyo-sembra-atene-063652.shtml?uuid=AbR71Q0G

2
Date un’occhiata al grafico: dal 1991 al 2018, il rapporto debito/PIL (ovvero l’ammontare del
debito dello Stato in proporzione al Prodotto Interno Lordo realizzato durante l’anno) è
aumentato da circa il 63% fino a sfiorare il 250%! In altre parole significa - per semplificare -
che ad ogni euro di beni o servizi prodotti durante l’anno nei confini giapponesi corrisponde
un debito dello Stato pari a due volte e mezzo quella quantità. Provate ad immaginare: è
come se aveste un reddito di 10000€ all’anno e allo stesso tempo un debito di 25’000€;
debito che negli ultimi vent’anni non ha accennato a diminuire, ma anzi è continuamente
aumentato.

Ora capite bene perché Zingales temeva che il Giappone si sarebbe trovato di lì a poco in
una condizione decisamente pericolosa.

Voglio farvi vedere allora un altro grafico, piuttosto semplice, per ribadire il concetto.

Quello che vedete è il tasso di disoccupazione giapponese. Ho cerchiato l’anno 2012 per
riferirci a quell’articolo di Zingales citato in precedenza.
Notate qualcosa? Riuscite a vedere anche voi come negli anni successivi la situazione
peggiori calando costantemente? Aveva ragione, allora?

Fortunatamente, no. La dinamica discendente che potete osservare non è affatto una cattiva
notizia oppure un segnale del possibile accostamento della situazione giapponese con
quella greca, anzi! Quella morbida discesa spiega invece qualcosa di diverso: la
disoccupazione, dal 2012, è diminuita; e non solo nei tre anni successivi, superando la
nefasta previsione di Zingales, ma ha continuato a farlo fino ai giorni nostri, raggiungendo un
livello più basso del 2,5%.

Per farvi un paragone, in Grecia la disoccupazione si misura al 18%. Se quindi in Giappone


meno di 3 persone su 100 in cerca di lavoro sono disoccupate, nello stato greco quelle
persone sono quasi 20.

3
Diventa complicato allora pensare che questi due paesi possano avere un destino comune.
Ma come può, dopotutto, una nazione col debito pubblico al 250% - ovvero il rapporto più
alto al mondo - garantire un’occupazione a quasi tutti i suoi abitanti?

Sono convinto che questa contraddizione possa confondervi: dando retta alle tv ed ai
giornali che ci raccontano molto spesso del fardello del debito pubblico che ci soffoca,
uccidendo le speranze delle nostre future generazioni, sembra irrealizzabile una condizione
simile. Un Paese oppresso da un debito così grande, addirittura più dell’Italia (il nostro
rapporto debito/PIL è al 132%), oltre che da un disastro nucleare senza precedenti (non
parlo di Hiroshima e Nagasaki, ma di Fukushima, ricordate?), dovrebbe ritrovarsi in una
situazione molto diversa. Eppure non è così. Perché?

Zingales si è sbagliato? Sono stati i samurai? I giapponesi hanno solo pescato il biscotto
della fortuna giusto? Oppure c’è dell’altro?

Il biscotto della fortuna ​Zingales​ che i giapponesi fortunatamente non hanno mangiato.

Per provare a spiegarlo, dobbiamo tornare indietro di qualche anno, al 2008. E lo facciamo
per parlare di un’altra bomba atomica: quella scoppiata in pancia al grande colosso
americano Lehman Brothers e che ha scatenato la gigantesca crisi globale di cui ancora
oggi subiamo le conseguenze.

4
La bomba atomica del 2008: il fallimento Lehman

Sono almeno otto anni che sentiamo parlare della ​crisi​, in Italia. Sicuramente dalla fine
dell’anno 2011, quando al governo Berlusconi seguì quello del senatore a vita Mario Monti.
Ma perché c’è questa crisi? Sono sicuro che per molti di voi la motivazione è da ritrovarsi
nella corruzione italiana, nel grande debito pubblico, nella mancata produttività delle nostre
aziende, nell’incapacità della nostra classe politica. E come posso darvi torto? In fondo, ve lo
sentite ripetere continuamente! Potrei azzardare una scommessa: su ogni quotidiano,
almeno una volta a settimana, c’è scritto qualcosa di terribile sul nostro debito pubblico.
C’entrerà pur qualcosa, allora, no?

Ebbene, se vogliamo giungere al nocciolo della questione può essere utile partire da dove è
nato tutto questo caos: dalla crisi dei mutui ​subprime ​negli Stati Uniti, nel 2008.

A distanza di più di dieci anni, è ormai acclarato che l’origine della crisi globale che ha
investito tutte le economie del mondo è stato il fallimento della banca d’affari Lehman
Brothers con sede a New York City, una delle istituzioni finanziarie più importanti ed affidabili
del pianeta.
Ma cosa portò alla sua bancarotta?

Facciamo un passo indietro. Dai primi anni 2000 fino allo scoppio della crisi, negli Stati Uniti
aumentò a dismisura il numero di mutui cosiddetti ​subprime,​ ovvero quei mutui concessi ad
individui o famiglie con basso livello di reddito o punteggio creditizio piuttosto basso. Questi
mutui, dal momento che venivano erogati a persone piuttosto a rischio dal punto di vista
finanziario (in parole povere: spesso alla canna del gas), erano caratterizzati da un alto
tasso d’interesse: la banca lo pretendeva per correre il “pericolo” di concedere il prestito.

Gli istituti bancari e parabancari decisero di erogare questo tipo di prestito a più e più
persone, semplificando, per due motivi essenziali: condizioni del ciclo economico
considerate favorevoli e aumento costante dei prezzi delle case.
L’economia era in crescita, la Banca Centrale abbassava i tassi di interesse (in altre parole:
il denaro costava poco) e per di più il mercato dell’immobiliare era in una vera propria bolla
che allora sembrava non potesse scoppiare. Allora perché non concedere un mutuo anche a
chi forse non se lo può permettere? Tanto, male che vada, la banca si riprende in mano la
casa che quasi sicuramente potrà rivendere sul mercato ad un prezzo addirittura più alto di
quando era stata acquistata dal mutuatario.

Due dati sono esemplificativi:

- la percentuale di mutui subprime sul totale salì da un valore medio dell’8% negli anni
precedenti al 2002, per raggiungere un massimo del 23,5% nel 2006; significa che se
prima erano subprime solo 8 mutui su 100, all’alba della crisi quasi 1 mutuo su 4 era
a rischio;
- il 43% di chi otteneva quel tipo di mutuo non metteva nessuna somma a garanzia:
otteneva il prestito, ad esempio, per una casa da 200.000$ senza versare alcun

5
anticipo, facendosi quindi finanziare l’intero valore dell’immobile.2 A quanti di voi, ora,
è concesso questo lusso?

Unita a questa massiva esposizione al rischio basata sulla speranza che il prezzo delle case
non sarebbe mai sceso, ci fu la diffusione di alcuni strumenti finanziari di cui banche come
Lehman Brothers fecero incetta: si chiamano MBS e CDO, Mortgage Based Security e
Collaterized Debt Obligation.
In parole povere, era possibile acquistare dei titoli di credito (come i BOT del Tesoro o le
obbligazioni di una società quotata) il cui valore ed il premio pagato erano sostenuti
dall’azione di ripagamento dei prestiti di cui sopra.
Mi spiego meglio: una banca o un investitore comprava un MBS, che garantiva un certo
tasso d’interesse; questo titolo poteva offrire questo “premio”, grazie al fatto che coloro i
quali avessero richiesto un mutuo avrebbero piano piano ripagato le loro rate. Il valore di un
MBS era quindi determinato dalle rate di volta in volta ripagate di un gruppo di mutui,
selezionati ed “impacchettati” in un titolo finanziario.
Fecero un enorme successo: in fondo, quali probabilità ci sono che tutto un pacchetto di
mutui diventasse carta straccia perché nessuno riusciva a ripagarli? Contrariamente alle
aspettative, la probabilità era alta.

2
​https://en.wikipedia.org/wiki/Subprime_mortgage_crisis

6
Per una banca od un investitore, un titolo come un MBS era molto appetibile: garantiva dei
rendimenti elevati, nonostante fosse all’interno di un mercato la cui percezione era
sostanzialmente positiva.

Una banca come Lehman Brothers quindi si ritrovò esposta nel mercato immobiliare su due
fronti: concedendo migliaia di mutui subprime attraverso le sue sussidiarie e acquistando
titoli come quelli di cui sopra per centinaia di migliaia di dollari.

Le cose però, per quanto sembrassero rosee, non erano destinate a rimanere stabili per
molto tempo. Il numero di mutui non ripagati iniziò ad aumentare (per quanto fosse facile
ottenere il prestito, avere un reddito per poterlo sostenere non era così facile) e di
conseguenza il prezzo delle case cominciò a scendere.
In un sistema finanziario così veloce, interconnesso e fondamentalmente basato su
“aspettative”, il valore degli immobili si schiantò repentinamente, con una rapidità che pochi
avevano previsto.

Questo quindi portò al fallimento di decine di istituzioni legate a questo mercato:

- chi concedeva i mutui (ad esempio Washington Mutual o Fannie Mae);


- chi gestiva e possedeva titoli sostenuti da questi mutui (ad esempio Lehman
Brothers);
- chi assicurava tali istituzioni nel caso di insolvenza (ad esempio AIG).

Lehman non fu la prima banca a “saltare”, ma fu quella che per dimensione e peso specifico
nel panorama internazionale diede via alla principale catena di eventi.

Per aggiungere del sale a questa storia, è interessante farvi notare come le ormai note
Agenzie di Rating (Standard & Poor’s, Moody’s, Fitch) - quelle che ancora oggi determinano
il giudizio sull’operato di una nazione o di un’azienda - fino a pochi giorni prima del tracollo
assegnassero valutazioni positive alle banche in pericolo. Standard & Poor’s per esempio
valutò Lehman Brothers col rating “A”, fino al giorno del fallimento, il 15 Settembre 2008.3
Questo può darvi - come nota a latere - un’idea sulla fondatezza e l’affidabilità di certe
previsioni.

Al di là di ciò che potessero dire esperti ed agenzie, il crollo di grosse istituzioni che
mobilitavano immense quantità di denaro provocò quindi un effetto domino che si riversò su
tutta l’economia statunitense. E, in un secondo momento - per naturale effetto di un mercato
capitalistico che è globale, anche nel resto del mondo.

Se volete osservare questa storia in modo divertente ed interessante, conoscendo più da


vicino le storie che hanno caratterizzato il periodo, vi consiglio questi tre film: The Inside Job
(docufilm del 2010), Margin Call (2011) ed il più famoso La Grande Scommessa (2015).

3
​https://www.reuters.com/article/lehman-ratings-sandp-idINN2446040820080924​ | Notate come la valutazione
con voto “A” fu difesa indicando il crollo di Lehman come conseguenza di un “sentimento” del mercato e non di
fondamentali di bilancio evidentemente preoccupanti.

7
La crisi in Europa

Nel Vecchio Continente la situazione peggiorò, sotto l’influsso della situazione negli Stati
Uniti, per due ragioni collegate ma distinte.

In primis, ci fu lo sconquasso delle banche europee che - come le gemelle su suolo


americano - erano fortemente esposte nei riguardi del mercato immobiliare o comunque
risentivano del terremoto nel sistema bancario più in generale. Per la prima fattispecie è il
caso ad esempio di Northern Rock nel Regno Unito; per la seconda, cioè l’impatto della
fragilità del sistema bancario più in generale, è il caso della tedesca Commerzbank.
Ho nominato una banca tedesca intenzionalmente. Nel dibattito italiano infatti siamo abituati
a considerare i nostri amici tedeschi come simbolo di efficienza e rigore; diventa quindi
importante sottolineare come i problemi si siano visti anche dalle loro parti e - per certi versi -
in misura anche maggiore.

In secundis, la contrazione economica dovuta alla crisi maturata negli Stati Uniti provocò un
forte aumento del debito pubblico delle nazioni europee. I governi dei singoli paesi infatti si
ritrovarono a dover accrescere le spese pubbliche pur di sostenere il sistema economico e
impedire il fallimento di diversi istituti bancari.
L’impatto del crollo di Lehman Brothers nel 2008 fu così grande che divenne scelta obbligata
evitare qualcosa del genere a tutti i costi.
Se infatti fino al 2007 il rapporto debito/PIL degli stati europei era mediamente in discesa,
dallo scoppio della crisi in poi questa frazione riprese ad aumentare, raggiungendo per
alcuni Stati dei livelli decisamente elevati.

8
Le cifre in gioco erano davvero alte. Basti pensare che il salvataggio delle banche tedesche,
per mezzo di soldi pubblici, dal 2008 al 2016 raggiunse un totale pari a 197 miliardi di euro.
Centonovantasette miliardi di euro.4

Riassumendo, la crisi dei subprime è avvenuta negli Stati Uniti nel 2008. Negli anni
immediatamente successivi, si sono rivelati necessari interventi pubblici per mantenere
stabilità nell’economia e sostenere le varie istituzioni bancarie in difficoltà. Queste attività
hanno scatenato squilibri di finanza pubblica, il cui peso sul PIL è aumentato di molto.

I Paesi dove il debito pubblico è aumentato in maniera più sensibile sono i cosiddetti PIIGS
(la similitudine con “maiali” non è casuale): Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna.

In Europa però la crisi non ha avuto sostanziale risonanza mediatica (nonostante i suoi
effetti fossero già presenti nell’economia) fino al 2010, anno in cui - a partire dalla Grecia -
esplode in tutta la sua forza la cosiddetta “crisi dei debiti sovrani” che ancora oggi è lontana
dall’essere risolta.

Il dissesto dei conti pubblici greci reso noto un paio di anni prima, sul quale non ci
addentreremo, costrinse le nazioni europee a formulare piani di salvataggio attraverso aiuti
economici. ​Nel corso del 2010, a maggio in particolare, i paesi dell'Eurozona ed il Fondo
Monetario Internazionale approvarono un prestito di salvataggio per la Grecia di 110 miliardi
di euro​.
La situazione drammatica di un Paese appartenente all’Eurozona, unita alle condizioni poco
piacevoli di altri stati come il Portogallo e l’Irlanda, allarmò sempre più gli investitori i quali,
per la prima volta, cominciarono a dubitare dell’affidabilità dei singoli paesi.
In particolare in Grecia, appunto, ci si ritrovò a parlare per la prima volta di ​haircut sul debito.
Per evitare il completo fallimento dello Stato, si provò a promettere il rimborso di una sola
parte dei Titoli di Stato o - per dirla in modo più schietto - si tentò di eliminare con un taglio di
forbice gran parte del debito pubblico, lasciando a mani vuote (per il 20% o il 50% a seconda
delle trattative del momento) chi aveva prestato soldi al governo greco.
Se volete avere un’immagine più chiara del dramma vero della crisi in Grecia, vi consiglio di
cercare su Google queste parole: “mortalità infantile Grecia crisi”.

In ogni caso, salvataggi tentati oppure no, qualcosa non torna ed arriva quindi il momento
dello ​spread​: il differenziale che misura lo scarto fra i tassi di interesse offerti dai Titoli di
Stato decennali di un Paese (ad esempio, l’Italia) con quelli di un altro considerato più sicuro
(in questo caso, la Germania).
Non c’è più sicurezza, non c’è più garanzia che i titoli sovrani siano sicuri e inattaccabili: la
Grecia insegna. Il clima di sfiducia si espande a macchia d’olio soprattutto verso i paesi con
un grande debito pubblico e fra questi rientra, come saprete, l’Italia.

Il 9 Novembre 2011 lo spread tra BTP italiani e Bund tedeschi raggiunge il suo record
storico: 574 punti. In quel momento, il tasso d’interesse del titolo italiano era del 5,74% più
alto rispetto a quello tedesco.

4
​https://www.money.it/banche-tedesche-costo-del-salvataggio

9
Ma perché c’è lo spread? Cosa ci rende così diversi rispetto agli Stati Uniti5 o al Giappone o
al Regno Unito che non devono preoccuparsi come noi di questa parola spaventosa? Non è
tempo per pensarci. Ora lo spread è ai massimi e bisogna in tutta fretta correre ai ripari.

Arriva quindi il momento di trovare una soluzione. Il consensus di esperti ed opinionisti ha un


nome per risolvere le sorti del nostro Bel Paese: quel nome è Mario Monti.

La crisi è esplosa da anni sul suolo americano ed è ora esplosa sulla nostra penisola.
Vediamo allora cosa è stato fatto per tentare di risolverla.

5
​https://pbs.twimg.com/media/DfjyEkfX4AAPiOy.jpg:large | Qui potete vedere come il rendimento dei
titoli statunitensi dipenda esclusivamente dalla politica monetaria decisa dalla banca centrale, la
Federal Reserve.

10
Facile trovare la salvezza, quando la tua guida è un Premio Nobel: Barack Obama

Come detto, la crisi finanziaria globale è scoppiata proprio negli Stati Uniti; è quindi pacifico
immaginare che qui abbia avuto delle conseguenze non indifferenti.

In fase di piena emergenza, nei primi mesi, il governo federale e la Federal Reserve (o FED,
la banca centrale statunitense) si preoccuparono di mettere in atto terapie d’urto per evitare
un ulteriore peggioramento della situazione.
La FED abbassò i tassi d’interesse per i prestiti alle banche in cerca di liquidità
(determinando, come sempre accade, una discesa proporzionale di tutti i tassi
nell’economia) e acquistò Titoli di Stato americani ed MBS per sollevare il mercato ed
immettere denaro nel sistema. Nel Novembre 2008, la Federal Reserve iniziò ad acquistare
Mortgage Based Securities per un ammontare pari a 600 miliardi di dollari.6
La banca centrale degli Stati Uniti, tra il 2008 e il 2009, immise complessivamente nel
mercato un ammontare totale di 2000 miliardi di dollari. Leggete bene: duemila miliardi.7
Il governo, dal canto suo, si occupò anch’esso di salvare banche ed istituzioni finanziare
attraverso un programma chiamato ​Emergency Economic Stabilization Act, reso legge
dall’allora presidente George W. Bush.8

La figura che però ebbe ruolo centrale nel risanamento dell’economia statunitense dopo la
crisi fu Barack Obama, Presidente degli Stati Uniti d’America a partire dal Gennaio 2009.
Al di là del parere che possiamo tutti avere per il soggetto in questione, non si può che

6
​https://www.federalreserve.gov/newsevents/pressreleases/monetary20081125b.htm
7
​https://www.nytimes.com/2009/03/19/business/economy/19fed.html
8
​https://en.wikipedia.org/wiki/Emergency_Economic_Stabilization_Act_of_2008

11
affermare come il suo operato si rivelò fondamentale per il risanamento dell’economia
statunitense; economia che - nel momento in cui egli la “ricevette in gestione” - si trovava in
una condizione addirittura per certi versi peggiore di quella vissuta durante la Grande
Depressione del ‘29.
Le principali azioni messe in atto - oltre al sostegno della politica monetaria espansiva della
Federal Reserve - furono l’American Recovery and Reinvestment Act e, successivamente,
quella che è passata alla cronaca come Obamacare.
La prima prevedeva sgravi fiscali, l'espansione delle prestazioni di disoccupazione,
disposizioni di assistenza sociale, spesa nazionale in materia di istruzione, assistenza
sanitaria ed infrastrutture. Il conto totale per questa manovra era stabilito nell’ordine di 787
miliardi di dollari.9
La seconda, la riforma sanitaria, introdusse gradualmente un sistema di sanità a carico dello
Stato che imitava per certi versi l’esperienza delle nazioni europee.

Tutte queste operazioni (ma non solo) permisero agli Stati Uniti di recuperare un livello di
reddito pari a quello pre-crisi nel giro di due anni, riorientando l’economia americana verso
un percorso di crescita che continua ancora adesso.

Le manovre operate dal Governo - finanziate per grossa parte attraverso emissione di nuova
moneta da parte della banca centrale e deficit pubblico - si sono rivelate efficaci anche dal
9
​https://it.wikipedia.org/wiki/American_Recovery_and_Reinvestment_Act

12
punto di vista occupazionale, permettendo al tasso di disoccupazione di tornare nell’intorno
del 7% dopo che - con la crisi - aveva raggiunto il 10%.

Perché tutto questo fosse possibile, durante la Presidenza di Barack Obama il debito
pubblico passò da circa 6000 miliardi nel 2009 a 15000 miliardi nel 2017. Significa che per
poter finanziare le operazioni necessarie a risollevare l’economia, il governo lo fece
emettendo Treasury Bond, che sono l’equivalente dei nostri Titoli di Stato.

Il rapporto debito/PIL passò dal 67% nel 2008 al 105% nel 2016, un aumento di quasi
quaranta punti percentuali.
Il deficit pubblico invece - quello che a noi viene chiesto di mantenere sotto la soglia del 3%
(se non proprio di non farlo) - ebbe una media annua del 5,5% con un picco nel 2009 di
quasi il 10 percento.10

Menziono questi dati per un obiettivo molto chiaro, che vi apparirà evidente nei successivi
capitoli.

10
​https://www.thebalance.com/us-deficit-by-year-3306306

13
Difficile trovare la salvezza, quando la tua guida è un Premio Loden: Mario Monti

Vi prego di apprezzare la similitudine del capitolo precedente con quello attuale: magari vi
farà sorridere o forse lo troverete banale; certo è che la questione del “loden” non sia del
tutto secondaria.
Uno dei motivi per cui i media italiani (ed europei) hanno spinto a gran forza l’arrivo di Mario
Monti alla guida del nostro Paese, in sostituzione del tanto vituperato Berlusconi, fu proprio
la sua sobrietà: sia nel vestire che nell’agire. La contrapposizione con il Silvio nazionale era
evidente! Avevamo proprio bisogno di una persona affidabile, preparata, morigerata e pronta
ad affrontare la situazione con serietà. Insomma: pochi fronzoli, tanta sostanza. Era il
migliore degli uomini possibili.

Cosa accadde, dunque?


Come detto, nei mesi immediatamente successivi allo scoppio della crisi, il Governo
Berlusconi dovette mettere in atto provvedimenti d’emergenza per sostenere il sistema
bancario europeo e l’economia del Paese. Per citare un esempio, nel novembre del 2008
venne previsto il “decreto anti-crisi” con spese per 6,4 miliardi di euro e nel febbraio 2009 il
Decreto incentivi 5/2009 comprendeva misure per altri 6 miliardi.
Ingenti somme vennero poi spese nell’ottica di operare - di comune accordo coi partner
dell’Unione Europea - un salvataggio coordinato dei vari istituti bancari che versavano in
cattive acque.

Questo provocò, come menzionato in precedenza, un deterioramento dei conti pubblici che
dovettero sopportare queste spese determinate dalla situazione critica.
La percezione comune era quella di un Paese, il nostro, che si ritrovava in una condizione
piuttosto precaria dal punto di vista del bilancio dello Stato.

14
Gli anni 2010 e 2011 furono quindi caratterizzati da un dibattito politico e d’informazione
incentrato sul pericolo per l’Italia di finire sull’orlo del baratro, ad un passo dal crollo
inesorabile. È qui che lo spread entra nell’opinione pubblica: il mercato teme un fallimento
dell’Italia, dopo aver visto cos’è successo a Portogallo, Irlanda e - soprattutto - Grecia.
Nonostante la crisi fosse ancora nel vivo e ben lontana dall’essere risolta (ricordiamo che
invece gli Stati Uniti stavano già recuperando), il governo Berlusconi tentò in fretta e furia di
imporre misure restrittive per riguadagnare la fiducia dei mercati e sostenere i conti pubblici:
un esempio su tutti, l’aumento dell’IVA dal 20% al 21%.
Ciononostante, il clima di sfiducia permaneva e lo spread fra i Titoli di Stato italiano e quelli
tedeschi continuò a salire.
Ormai è storico il titolo in prima pagina del Sole24Ore del 10 Novembre 2011.

“Fate presto”: il riferimento era alla necessità di garantire all’Italia un governo di uomini
credibili e preparati, in sostituzione di Berlusconi e dei suoi. Nell’aria si percepiva una vera e
propria emergenza; pareva infatti evidente che - senza un cambio di rotta repentino - ci
saremmo sicuramente schiantati, provocando un disastro senza precedenti. A detta degli
opinionisti, eravamo “sull’orlo del baratro”, come si suol dire.

Per questa ragione, il 16 Novembre 2011 nasce il governo Monti, sostenuto da tutti i partiti
del Parlamento ad esclusione della Lega.11
Lo scopo primario per cui venne costituito fu quello di “mettere i conti in ordine”, frase che
probabilmente avrete sentito decine di volte. Da qui la necessità di fare quelle che vengono
costantemente chiamate “riforme strutturali” (senza che venga mai specificato in che modo e
perché dovremmo riformare strutturalmente il nostro paese).

Iniziò allora una serie di provvedimenti volti quindi a contenere il deficit pubblico e a risanare
la finanza dello Stato, deteriorata dalla crisi e da un governo di incapaci.

11
​https://parlamento16.openpolis.it/votazione/camera/camera-fiducia-governo-monti/37585​ |
https://parlamento16.openpolis.it/votazione/senato/senato-fiducia-governo-monti/37584

15
I principali sono stati l’introduzione dell’IMU e la riforma del sistema pensionistico (la
famigerata “riforma Fornero”), affiancati più in generale da una politica orientata all’austerità.
Contemporaneamente, nel periodo vennero istituiti meccanismi europei allo scopo di
salvaguardare il sistema bancario europeo in pericolo, come il FESF o il MES per un
ammontare previsto per l’Italia pari a circa 60 miliardi di euro.
Cercate di tenere a mente queste cifre citate finora, soprattutto in rapporto a quelle
adoperate dagli Stati Uniti. Torneranno utili per delle considerazioni successive.

Invece di immettere soldi nelle tasche dei cittadini - a differenza di ciò che successe in altre
nazioni - si scelse quindi di aumentare la pressione fiscale e ridurre le spese.

Ma quale fu il risultato di queste politiche? Cosa successe? Le finanze pubbliche


migliorarono? Il PIL si orientò verso un percorso di crescita come negli Stati Uniti?

16
Una risposta possiamo trovarla in questo grafico. Badate: l’Italia è la linea rosa (può essere
utile fare un paragone con quella rossa, il Giappone, di cui abbiamo parlato all’inizio di
questo testo, o quella azzurra, gli Stati Uniti).
L’Italia è l’unico tra i principali paesi ad aver sperimentato trentanove mesi di recessione
continua. Tredici trimestri a segno negativo. Dal 2011 al 2014, infatti, il PIL italiano ha
continuato a scendere, nonostante fossimo governati da Mario Monti indicato come il
migliore delle alternative possibili, prima, e da governi PD ad esso contigui, poi.12

Certamente, dobbiamo anche ricordare cosa è successo al rapporto debito/PIL del nostro
Paese. Dopotutto, Monti è stato chiamato proprio per cercare di sistemare questo annoso
problema che metteva a rischio la nostra presenza sui mercati internazionali.

Questo quello che successe: da una percentuale di poco superiore al 115%, il Governo
Monti portò il rapporto debito/PIL fino al 130%.

Diamo un’occhiata allora anche ad un altro fattore: il tasso di disoccupazione. L’esecutivo


guidato da Monti portò la disoccupazione dal 9% a più del 12%, con uno scostamento
rispetto alla media dei paesi europei superiore all’1,5%: il peggior risultato degli ultimi 15
anni.13

Gli indicatori economici principali erano quindi peggiorati. Sebbene ci fossimo affidati a mani
sicure e competenti - dopotutto, era un “governo tecnico” - non c’era nulla che facesse

12
​https://www.ilfattoquotidiano.it/2014/11/14/pil-01-nel-trimestre-istat-13-mancata-crescita/1211125/
13

https://scenarieconomici.it/il-bilancio-del-governo-monti-valutazione-finale-il-peggior-governo-della-2-repubblica-v
alutazione-analitica-delle-performance-dellitalia-rispetto-alla-ue-di-tutti-i-governi-2/

17
presagire un miglioramento. Quelle politiche avevano fallito, ed il fallimento sta nei numeri
che abbiamo appena visto.
A dire il vero, per molti non fu una sorpresa, anzi. C’era chi già nel 2011 scriveva di come
tutte queste manovre non ci avrebbero salvato, prevedendo ciò che ci sarebbe successo nei
mesi a venire.14

E lo spread? Lo spread invece, come dimostra il grafico a pagina 9, riprese in effetti a


scendere sensibilmente dal Novembre 2011, toccando un minimo di 278 punti base (2,78%)
il 19 Marzo. Se date un’occhiata più approfondita, però, notate come tornò a livelli
preoccupanti anche nel pieno del governo tecnico: il 24 Luglio 2012 raggiunse i 537 punti.

Com’è possibile allora che - nonostante fossimo guidati da un esecutivo di responsabili - lo


spread toccò quel livello? Forse perché lo spread non dipende assolutamente dal livello del
debito pubblico, ma da altri fattori?

La risposta è nel prossimo capitolo, dove introduciamo nel discorso un altro personaggio
diventato notissimo alle cronache: il Presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi.

14
​http://goofynomics.blogspot.com/2011/11/i-salvataggi-che-non-ci-salveranno.html

18
Whatever it takes!

“Within our mandate, the ECB is ready to do whatever it takes to preserve the euro. And
believe me, it will be enough” (Nell'ambito del nostro mandato, la BCE è pronta a fare tutto il
necessario per salvaguardare l'euro. E, credetemi, sarà sufficiente).

Questo pronunciò Mario Draghi, il 26 Luglio 2012, intervenendo alla Global Investment
Conference di Londra alla vigilia della cerimonia di apertura delle Olimpiadi. Con queste
semplici parole, l’italiano Draghi placò il maremoto dello spread e determinò gli
avvicendamenti dell’Unione Europea negli anni a venire.15 Una dichiarazione che - per
quanto breve e semplice - rimarrà nella storia.
Per darvi una dimensione della sua rilevanza, basti pensare che una ricerca su Google
Scholar, motore di ricerca per documenti di letteratura accademica, produce circa 15000
risultati a riguardo.16
Non male, per 23 parole pronunciate da un singolo uomo.

Fate caso alla data: giovedì 26 Luglio 2012.


Poche righe fa parlavamo di come lo spread fosse tornato a livelli altissimi, proprio un paio di
giorni prima. E quando ricominciò a scendere? Esattamente dopo la dichiarazione di Draghi.
Vedete, il governo Monti era già all’opera da mesi, eppure l’andamento dello spread - come
potete sempre notare dal grafico a pagina 9 - non sembrava esattamente correlato alle

15

https://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2015-01-18/cosi-nacque-whatever-it-takes-142215.shtml?uuid=
ABI8myfC
16
​https://scholar.google.it/scholar?hl=it&as_sdt=0%2C5&q=whatever+it+takes+draghi&btnG=

19
azioni intraprese dall’esecutivo. A conti fatti: come pensare il contrario? Come abbiamo
visto, tutti gli indicatori economici17 erano peggiori!
Ricordate che lo spread misurava la “pericolosità” del nostro debito pubblico, cioè la
capacità del nostro Paese di ripagarlo. Un po’ come succedeva per i mutui subprime negli
Stati Uniti, gli investitori pretendevano un tasso d’interesse più elevato per prestare i soldi al
nostro Stato, per giustificare il rischio che avrebbero corso se qualcosa fosse andato storto.
Diventa quindi pacifico immaginare che le condizioni in cui volgeva la nostra economia,
anche e soprattutto in seguito alle politiche di Monti, non promettevano molto bene.
Torniamo quindi alla domanda centrale? Perché lo spread scese?
Lo spread riprese a scendere, per assestarsi a livelli fisiologici, proprio perché Mario Draghi -
con quella dichiarazione virgolettata all’inizio - promise di fare tutto il possibile per
salvaguardare l’euro.
L’euro, la nostra moneta che condividiamo con 19 paesi europei, difficilmente avrebbe retto
se l’Italia fosse “fallita”. Le dinamiche prettamente tecniche sono complesse e non è scopo
di questo testo approfondirle; per ora accontentatevi di considerare che una nazione come
l’Italia, quarta economia dell’intera Unione Europea (terza, a seconda della situazione del
Regno Unito), aveva un peso specifico troppo pesante perché l’intero sistema della moneta
unica potesse mantenersi in piedi dopo un nostro paventato default sul nostro debito.
La promessa di Draghi, di conseguenza, significava tra le righe attivare tutte le azioni
necessarie affinché il sistema non crollasse e ciò poteva quindi includere la garanzia totale
dei debiti sovrani dell’eurozona, Italia inclusa.
Insomma, la BCE non avrebbe mai permesso che l’Italia fallisse, perché non avrebbe mai
permesso che la moneta unica terminasse di esistere.
In una certa forma, assunse il ruolo che già ricoprono tutte le principali banche centrali del
mondo: tecnicamente, quello di prestatrice di ultima istanza.18

A questa dichiarazione seguì poi un programma formulato nella sua interezza il 6 Settembre
2012, ovvero quello che riguardava le OMT (Outright Monetary Transactions): operazioni
rivolte all’acquisto diretto di titoli di debito di paesi in difficoltà, proprio per non pregiudicare la
sostenibilità del sistema. Come detto, i tecnicismi non sono fondamentali ora, ma una cosa
voglio comunque dirvela: quella dichiarazione, unita alle OMT, permise alla BCE di
salvaguardare l’euro e di risolvere il problema dello spread, senza spendere un euro. Infatti,
la sola garanzia che in caso di necessità sarebbero state svolte operazioni di “salvataggio”
placò la tensione sui mercati, senza che la banca centrale dovesse attivamente mettersi
all’opera acquistato titoli per abbassare i tassi d’interesse.19

Super Mario aveva salvato l’Eurozona.

Volete sapere però un’altra cosa di cui difficilmente avete sentito parlare al telegiornale o su
di un quotidiano? Il 22 Dicembre 2011, prima, e il 29 Febbraio 2012, poi - come strumento
aggiuntivo per contrastare la crisi - la BCE offrì alle banche un piano di rifinanziamento a

17
​A dire il vero, un indicatore in miglioramento c’era: quello della bilancia commerciale (semplificando, differenza
tra import ed export), ma non possiamo parlare esattamente di successo. Monti stesso ammise che riuscimmo a
pareggiare i conti con l’estero comprimendo la domanda interna:
https://www.youtube.com/watch?v=LyAcSGuC5zc​.
18
​https://it.wikipedia.org/wiki/Prestatore_di_ultima_istanza
19
​https://voxeu.org/article/how-did-ecb-save-eurozone-without-spending-single-euro

20
lungo termine (chiamato LTRO). In sostanza, permetteva a certi istituti di credito che ne
avessero fatto richiesta di ottenere prestiti, per una durata di tre anni, ad un tasso molto
agevolato, in cambio di certe garanzie.
Ebbene, volete sapere cosa fecero quelle banche, coi soldi ottenuti a prestito? Aiutarono le
imprese per i loro investimenti? Certo che no. Aumentarono la concessione di prestiti ai
cittadini? Ovviamente no.
Coi soldi ottenuti a basso costo dalla BCE, le banche fecero incetta di Titoli di Stato! E questi
- con un Draghi che aveva promesso di fare tutto il possibile per salvare il sistema - erano
sostanzialmente un investimento certo: soldi facili, senza rischio. Queste banche ottenevano
liquidità a tassi, per esempio, dell’1% e acquistavano BTP che pagavano, sempre per
esempio, il 4%. La differenza fra i due tassi (quello pagato per avere i soldi e quello ricevuto
per aver comprato un titolo di credito) costituiva un guadagno del 3% pulito e sicuro, che
ovviamente gli istituti bancari non si sono fatti scappare.

Quei soldi ricevuti dalla banca centrale non si riversarono quindi nell’economia reale, ma
andarono semplicemente a “pompare” gli attivi delle banche richiedenti, felici di aver trovato
una via sicura per guadagnare.

21
Quanto costa un ospedale?

Spero che il capitolo precedente vi sia tornato utile per capire come il problema dello spread
- di cui avrete sentito parlare un giorno sì ed uno no - sia stato risolto dall’azione della Banca
Centrale Europea e non tanto dall’operato del Governo Monti, seguito dai governi PD
successivi. Il grafico qui sotto è abbastanza chiaro: osservate cosa succede ai tassi
d’interesse dei vari paesi da OMT in poi.

Alcuni potrebbero pensare che manchi il controfattuale: non sappiamo cioè cosa sarebbe
successo se fosse rimasto in sella Berlusconi anche nei mesi e negli anni successivi.
Questo è chiaramente vero, ma non possiamo di certo dimenticare come gli indicatori
economici principali si fossero deteriorati, anche in misura piuttosto considerevole. Se
dunque lo spread era l’uccello del malaugurio che preannunciava apocalittiche
manifestazioni, diventa piuttosto difficile spiegare come possa essere migrato altrove
quando il PIL si contraeva, il rapporto debito/PIL aumentava e la disoccupazione
raggiungeva livelli ​mai ​raggiunti dal 1975 ad oggi.20

20

https://www.lastampa.it/2014/11/30/economia/disoccupazione-mai-cos-alta-nella-storia-ditalia-4VBL6pqa8YWsfY
xjnQL8wO/pagina.html

22
Occorre ora ricordare anche un’altra questione fondamentale: quella che riguarda il
cosiddetto QE, Quantitative Easing.
La BCE, nel Marzo 2015, lanciò un nuovo programma di acquisto di titoli (APP, Asset
Purchase Program) nel tentativo di risollevare l’economia dell’eurozona e di riportarla nei
target previsti dal suo mandato.
Nella cronaca e nel dibattito comune, ci si riferisce a questo piano di acquisti come QE,
esattamente come avviene per le altre banche centrali nel mondo.

Con questa operazione, la BCE si impegnava ad acquistare asset per svariati milioni di euro,
imitando - se così si può dire - un comportamento già tenuto dalla Federal Reserve
americana come abbiamo visto in precedenza. Se infatti è vero che gli Stati Uniti uscirono
dalla crisi in poco tempo, è altresì vero che poterono farlo immettendo nell’economia una
mole di liquidità pazzesca, sia a livello di politica monetaria che di bilancio federale (ricordate
l’Obamacare?), inondando letteralmente i mercati di “soldi facili” che a detta di alcuni
avrebbero causato inflazione a due cifre e caos infinito. Ciò ovviamente non successe, anzi:
l’inflazione rimase sotto controllo e l’economia americana riprese stabilmente a crescere.
Così, anche in Europa si manifestò la necessità di mettere in atto pratiche non
convenzionali, a suon di quattrini, per rilanciare i paesi in difficoltà.
Dal 2015 ad oggi, la BCE ha acquistato titoli pubblici europei per un totale che supera i 2000
miliardi di euro. Come al solito, ripetiamo con calma: duemila miliardi di euro. Circa un
milione al minuto.
Una cifra pazzesca, anche solo da immaginare. Nel grafico che segue, sono indicati dalle
barre blu.

23
Qualcuno potrebbe quindi chiedersi da dove arrivino questi soldi. Insomma, come può la
Banca Centrale aver speso, in quattro anni, una cifra superiore a quella dell’intero PIL
italiano?

Al di là di quello che possono dire certi buontemponi (che - a dire il vero - per il ruolo che
ricoprono qualcosa dovrebbero pur saperla)21, questi soldi sono stati ​creati dal nulla​.
Esattamente così.
Non so per quanti di voi questa possa essere una sorpresa e non so quante volte vi abbiano
riso in faccia quando - anche solo sommessamente da giovani - avete provato a dire “ma se
i soldi non bastano, perché non ne stampiamo di più?”. Però - che ci crediate oppure no - è
proprio così che è andata. La Banca Centrale Europea ha potuto acquistare duemila miliardi
di titoli pubblici, emettendo moneta in quanto unico organismo in grado di farlo22. In soldoni:
premendo pulsanti sulla tastiera di un computer. So che per alcuni può essere difficile da
credere, ma questa favoletta delle banche centrali che “stampano” denaro dal nulla è in
realtà un fatto economico abituale dalla fine del Gold Standard, nel 1971. Fino ad allora,
infatti, la moneta circolante era pareggiata da una definita quantità di un metallo prezioso,
l’oro. Era quindi l’ammontare di questo oro a determinare l’ammontare dei soldi in circolo.
Da allora però non è più così e la moneta è diventata come si suol dire “fiat”, non più legata
ad alcun oggetto fisico a pareggio.
Il limite che può determinare quanta moneta emettere allora diventa l’inflazione, cioè il livello
dei prezzi. Come detto prima, però, questa non è di certo aumentata a dismisura come
qualcuno potrebbe temere, nemmeno in stati dove l’acquisto di titoli da parte della banca
centrale ha raggiunto livelli pazzeschi pari al 100% del PIL della nazione, come nel caso del
nostro amico Giappone23, mantenendosi a livelli mai superiori al 3%.

21
​https://twitter.com/marcocalvi1973/status/806253900512854018
22
​https://www.ecb.europa.eu/explainers/tell-me-more/html/what_is_money.en.html
23

https://www.reuters.com/article/us-japan-economy-boj/bank-of-japans-balance-sheet-now-larger-than-countrys-g
dp-idUSKCN1NI07Z

24
Torniamo quindi al titolo di questo capitolo: quanto costa un ospedale?

Vedete, questo testo nasce nell’ottica di mostrare come tante delle “punizioni” che ci
meritiamo, a detta di giornali e tv, non reggano poi così tanto alla prova dei fatti. “Che male
ci hanno fatto” infatti vuol significare tutto ciò che ci è stato ordinato di fare (o che siamo stati
obbligati a fare), nell’ottica di un risanamento dei conti, di un ripristino dell’affidabilità del
nostro paese che - come sapete bene - aveva vissuto al di sopra dei propri mezzi.24 Tutto
quello che ci costringe a stringere la cinghia, dimenticando la prosperità degli anni passati,
perché siamo italiani spendaccioni, evasori e improduttivi.
L’austerità, no? Be’, fra le varie misure di austerity c’è anche quella della riorganizzazione
della sanità, magari chiudendo ospedali più piccoli o reparti che “sono un costo insostenibile”
anche se possono costringere malati di cancro a fare chilometri per potersi curare.25
Dunque vi chiedo: quanto costa un ospedale? Pensateci un attimo. Intendo proprio
costruirlo, dall’inizio alla fine, pronto per metterlo in opera.
Non so che cifra abbiate immaginato, ma - giusto per fare un esempio - il nuovo ospedale di
Prato inaugurato nel 2013 ha avuto un costo vicino ai 200 milioni di euro.26

Ebbene, provate a rifletterci: quanti ospedali avrebbe potuto “costruire” la BCE con tutto ciò
che ha speso, emettendo moneta da zero, dal 2015 ad oggi, magari garantendo servizi più
vicini al cittadino e offrendo un’assistenza migliore?
Se è vero che la Banca Centrale Europea ha speso circa 2000 miliardi di euro, stampando
moneta con un click senza chiederla in prestito a nessuno, e se è vero che un ospedale di
medie dimensioni costa 200 milioni di euro, allora la risposta è presto detta.

Si sarebbero potuti costruire diecimila ospedali. Cercate anche solo per un attimo di riflettere
sull’impatto positivo che potrebbe avere un’operazione del genere, a favore di tutta la
collettività. Come detto, è solo una riflessione sommaria che può darci una buona
indicazione.
Aspettate, però: quella somma è stata spesa da Draghi per tutti i paesi membri. Facciamo
dunque un conto solo per l’Italia? I titoli italiani in pancia alla BCE valgono circa 400 miliardi
di euro.27
Se facciamo lo stesso conto di prima, questa volta possiamo dire quindi che - solo
cambiando la direzione dell’investimento del QE - si sarebbero potuti costruire duemila
ospedali su tutto il nostro territorio.

Lo so, lo so… non è compito della BCE occuparsi della sanità, certo. Ma quello appena fatto
è un gioco puramente numerico, per arrivare al centro della questione. Perché se - come
hanno continuato a raccontarci - non avevamo e non abbiamo margini di spesa perché il

24
​https://www.ilfattoquotidiano.it/2012/07/26/quelli-che-abbiamo-vissuto-al-di-sopra-dei-nostri-mezzi/307141/
25

https://www.ilfattoquotidiano.it/2015/10/18/oncologia-di-scilla-a-rischio-chiusura-rabbia-dei-pazienti-chilometri-per
-combattere-il-cancro/427883/
26
​http://www.notiziediprato.it/news/nuovo-ospedale-il-costo-definitivo-sfiora-i-190-milioni-di-euro
27

https://www.am.pictet/en/globalwebsite/global-articles/2018/market-views/in-brief/ecb-impact-on-italia
n-spreads

25
nostro debito è troppo alto (cosa smentita nei capitoli precedenti), perché allora l’Unione
Europea non ha trovato - giusto per fare un esempio - uno strumento che permettesse di
investire in infrastrutture, in sanità, in scuole, in asili nido, in parchi pubblici, in sussidi di
disoccupazione, in pensioni di invalidità più alte, servendosi del supporto della sua banca
centrale?

Questo punto è davvero fondamentale, cercate di fare attenzione anche se sembra di


parlare di cose al di fuori di noi: abbiamo già visto come la Banca Centrale Europea (come le
altre banche centrali del mondo) abbia messo denaro all’interno del circuito economico,
semplicemente creandolo da zero. Lo ha fatto quindi senza prenderlo a prestito o senza
ottenerlo attraverso le tasse. La BCE ​non ​può finire i soldi, semplicemente perché,
all’occorrenza, può emetterne di nuovi. Questo lo dice lo stesso Draghi.28 Ha margini di
spesa quindi virtualmente illimitati, condizionati soltanto dalle circostanze economiche: ad
esempio, come detto, non vuole inondare il mercato di troppo denaro per scongiurare il
rischio di un’alta inflazione. Più volte però in questo testo avete potuto notare come
l’inflazione non sia scoppiata né negli Stati Uniti, né in Giappone, né tantomeno in Europa
dopo le migliaia di miliardi di euro immessi nell’economia.

Scegliere di non farlo, perciò, e di dirottare queste cifre semplicemente verso banche ed
investitori (possessori dei titoli acquistati dalla BCE) piuttosto che utilizzarle per acquistare
anche solo un macchinario salvavita in più, è semplicemente una scelta. Non c’è una legge
della natura che lo impedisce, non c’è un limite universale invalicabile che ci proibisce di
acquistare un milione di euro in farmaci chemioterapici invece che BTP e Bund tedeschi.
Solo, norme e trattati e regolamenti decisi a priori, senza preoccuparsi delle necessità di uno
Stato, e della sua gente.

È stata una scelta.


Questo dev’essere molto chiaro e non possiamo più evitare di considerarlo.

Ed è anche questo il male che ci hanno fatto.

28
​https://www.youtube.com/watch?v=_fF3pNTtmfc

26
Il 3%

Nella bellissima illustrazione che vedete qui sopra29, potete vedere i nanetti della BCE -
senza Biancaneve - che cercano di estrarre dalla miniera i soldi che le servono per
finanziare le sue operazioni. L’ironia ruota attorno a quella percentuale ricreata dalle loro
gallerie: il 3%, ovvero il rapporto deficit/PIL entro il quale ogni Paese dell’UE deve rientrare,
a seguito del Patto di Stabilità e Crescita.30 Fateci caso, più in basso abbiamo anche i
nanetti cinesi che invece praticamente ormai hanno già fatto un buco lungo tutto il mondo: in
fondo, loro non hanno una regoletta da rispettare.
Sappiamo che sotto la sede della BCE non c’è alcuna miniera di preziosi; come detto, quei
soldi sono stati creati dal nulla o - come direbbero gli inglesi - ​out of thin air​.

Dobbiamo allora spiegare perché - se un’istituzione terza ed indipendente può inventarsi


moneta dal nulla - uno Stato sovrano (come Italia, Germania, Spagna, etc…) deve invece
prendere a prestito denaro per le sue attività per una quantità che non deve mai superare il
3% del suo PIL.

29
​Opera di Giuseppe Rubino che potete trovare su Twitter all’account ​@rubino7004​.
30
​https://it.wikipedia.org/wiki/Patto_di_stabilit%C3%A0_e_crescita

27
Per chiarire il motivo per cui ho utilizzato la forma “prendere a prestito” è importante
sottolineare come, dall’avvento dell’euro in poi, le nazioni dell’eurozona non sono più
responsabili e creatrici delle proprie valute. Se infatti prima la tanto vituperata lira era
emessa dalla Banca d’Italia, per conto dello Stato Italiano, ora non è più così.
A dire il vero, per esattezza, Bankitalia ha smesso di emettere lire per finanziare
direttamente il Tesoro nel 1981, quando ci fu il cosiddetto divorzio avvenuto nel Febbraio di
quell’anno.31
Uno Stato sovrano ha fra le sue caratteristiche principali proprio la possibilità di “battere
moneta”, cioè di imporre la valuta che circola nei suoi confini con la quale riscuote le tasse e
paga i suoi servizi. Questo ovviamente spiega perché nel Regno Unito si usi la sterlina, negli
USA il dollaro e in Giappone lo yen. Lo Stato - in cooperazione con la sua banca centrale -
governa questa scelta.
Da quando è stato introdotto l’euro, nel 1999, tutto è cambiato.
Ed ora accade che l’euro sia a tutti gli effetti una moneta estera che occorre procurarsi,
esattamente come accade per un italiano che vuole dollari per andare in vacanza a New
York: o li cambia con propri euro oppure se li deve far prestare.

Questo non lo dico io, non è un azzardo senza prove, bensì è un fatto riconosciuto quasi
assiomaticamente dagli economisti, anche fra i migliori al mondo. Per esempio, Paul
Krugman (premio Nobel nel 2008): “Adottando l'euro, l'Italia si è ridotta allo stato di una
nazione del Terzo Mondo che deve prendere in prestito una moneta straniera, con tutti i
danni che ciò implica”.32
Se volete vedere quante nazioni al mondo hanno deciso di prendere una decisione come la
nostra, questa mappa può tornare utile (soprattutto se considerate che quasi tutti i paesi
africani evidenziati utilizzano il Franco CFA, valuta “satellite” dell’euro).

31
​https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-governatore/integov2011/AREL_150211.pdf
32

https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-12-17/i-sei-premi-nobel-contro-euro-paul-krugman-italia-ridotta-paes
e-terzo-mondo-123937.shtml?uuid=ABsusak

28
Noi europei siamo praticamente in controtendenza con tutto il resto del mondo.
Ogni qual volta che il governo vuole quindi spendere anche un solo euro per pagare una
pensione o uno stipendio, ha solo due alternative: ottenere quell’euro attraverso le tasse
oppure prenderlo a prestito, finanziandosi a debito emettendo Titoli di Stato da piazzare sul
mercato. Questo è in tutta la sua essenzialità il debito pubblico.
Prima che avvenisse il “divorzio” citato prima, poteva accadere che lo Stato italiano
finanziasse parte delle sue spese direttamente attraverso la Banca Centrale che “stampava”
denaro, esattamente come la BCE ha stampato duemila miliardi per acquistare titoli di tutta
Europa. Banca d’Italia acquistava alcuni Titoli di Stato emessi dall’allora Ministero del
Tesoro - proprio come fa ora Draghi - e così facendo forniva al settore pubblico la liquidità
necessaria.
Ad oggi, questo non accade più, dunque ogni euro di spesa finanziato a deficit proviene da
terzi che decidono di investire nei titoli di debito del nostro Paese, che siano essi banche o
cittadini privati.

Perché dunque la regola del 3%? Con un’analisi superficiale si potrebbe dire che non si
possano fare debiti superiori al 3% del PIL perché altrimenti ci si indebita troppo e poi si
rischia di diventare insolventi, un po’ come quei cittadini americani che non riuscivano a
ripagarsi il mutuo.
Parzialmente, sembra pure una considerazione legittima. Sfortunatamente, però, quel 3%
che governa le scelte del nostro Paese (il che può voler dire soldi per pensioni, sanità,
strade o sussidi di disoccupazione) non ha alcun fondamento economico. Questo
dev’essere proprio chiaro, questo limite perentorio predefinito non ha nessun riscontro nella
letteratura scientifica e non ha quindi alcun tipo di valore sostanziale. Possiamo proprio dire
che quel numeretto, 3%, sia nato per caso.33

Non so se vi state rendendo conto: decidere se fare il 3% oppure il 4% di deficit durante un


anno, significa decidere se permettere o meno allo Stato di spendere circa 20 miliardi di
euro. 20 miliardi che potrebbero essere investiti in infrastrutture, per esempio. E questi non
sono numeri aleatori, assolutamente. Una cifra simile, giusto per ricordarlo, è l’ammontare
stanziato nel 2016 dal Governo Gentiloni per salvaguardare Monte dei Paschi di Siena.34
Direi che è abbastanza grave, quindi, aver identificato il 3% in modo puramente casuale.
Senza contare il fatto che - oltre a non aver alcuna validità economica - quasi nessuno ha
poi effettivamente cercato di rispettarlo, a differenza dell’Italia, checché ne dicano
commissari europei.
La Spagna, ad esempio, nazione che viene spesso indicata a modello per quanto riguarda la
gestione della crisi e dei conti pubblici, ha fatto deficit sempre superiori al 3%, con picchi
anche superiori al 10%. Ed il suo debito pubblico è aumentato quasi del 60%.35

33
​https://www.wallstreetitalia.com/deficitpil-al-3-la-regola-cardine-europea-si-basa-sul-caso/
34
​https://www.repubblica.it/economia/2016/12/23/news/mps_governo_salvataggio_fondo_banche-154704338/
35

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/04/28/spagna-dietro-la-crescita-record-ci-sono-esplosione-del-debito-e-salari
-bassi-che-aumentano-la-competitivita/5127319/

29
Al di là di questo, pur volendo ammettere per piacere di ragionamento una ragione nel 3%,
c’è comunque la necessità di considerare questa regola nell’ottica della contingenza in cui ci
si trova. Non è un caso infatti, come detto prima, che Obama è riuscito a risollevare il suo
paese anche grazie alle sue possibilità di spesa. Ha potuto rimettere in moto l’economia,
proprio come si farebbe mettendo benzina in un motore. E qual è la benzina dell’economia:
la moneta.

Se facciamo quindi un confronto con gli Stati Uniti od il Giappone - paesi presi ad esempio
per la loro riuscita nel risolvere la crisi - quella percentuale del 3% sembra ancor di più
scollegata dalla realtà.

30
Date un’occhiata: il Governo USA - a seguito della crisi - ha fatto deficit annui quasi sempre
superiori al 3%, superando addirittura l’8% nei tre anni successivi al crollo Lehman.

Qualcuno potrebbe obiettare che Spagna, Francia, Stati Uniti non hanno un grosso debito
pubblico come il nostro (rispettivamente 98%, 98,5% e 77,4%). Non hanno quel “fardello che
pesa sulle spalle delle prossime generazioni” come noi. Ma allora il Giappone col suo grosso
debito? Il Giappone, dal canto suo, ha fatto deficit quasi sempre superiori al 6%.36 E dunque
com’è possibile che uno Stato con un debito grande due volte il proprio PIL possa fare deficit
anche superiori al 9 percento, come accaduto nel 2009, quando noi dobbiamo elemosinare
un misero 2,04% a Bruxelles?

Per cambiare prospettiva con cui guardare il “fardello del debito pubblico”, non dimenticate
poi che ad ogni euro di debito pubblico, corrisponde sempre un euro di risparmio privato.
Questo perché esiste sempre un agente (un’azienda, una banca, un cittadino) che ha in
mano un Titolo di Stato a pareggio di quella cifra. Lo Stato ottiene dei soldi, ma in cambio
offre alla controparte un titolo di credito che gli permette di ricevere i suoi soldi, alla
scadenza, più un qualche interesse.
Lo stesso principio in fondo regola il rapporto fra chi acquista un’obbligazione e chi la
emette: semplicemente, è uno dei tanti strumenti di credito per allocare il risparmio.
Nella maggior parte delle nazioni avanzate, inoltre, i titoli di debito pubblico sono considerati
risk free - cioè senza rischio - perché esiste sempre una banca centrale che all’occorrenza
può “creare” i soldi necessari per ripagarlo, esattamente come ha potuto crearli la BCE per il
Quantitative Easing oppure la Bank of Japan per monetizzare (questo è il termine che si usa
per definire l’acquisto di Titoli di Stato con l’emissione di nuova moneta) gran parte del
debito giapponese; quasi il 40%.

Al di là di tutto questo, l’elemosina di un misero 2,04% in sede europea per evitare di


sfociare in debiti troppo grandi è senza ragione d’essere anche per un altro motivo: non è
per niente certo che il livello di debito di un Paese condizioni negativamente le sue
possibilità di crescita e di spesa. Anzi, è vero spesso il contrario.

Uno degli studi più importanti - portato in alto dai difensori dell’austerità - è quello dei due
economisti americani Reinhart e Rogoff pubblicato nel 2010. Il loro documento, chiamato
Growth in a Time of Debt (crescita in un tempo di debito), cercava di spiegare come un
debito pubblico che fosse superiore al 60% del PIL (nel Patto europeo menzionato in
precedenza è indicata anche questa percentuale) inficiasse negativamente sull’economia di
un paese, alimentando quindi le polemiche che cercavano di motivare la necessità di una
riduzione della spesa pubblica che doveva essere invece preferita ad una quasi totale
restrizione al pareggio di bilancio. Su questo studio si orientò la politica economica di tutto il
mondo, in particolare quella europea; ebbe quindi un impatto non indifferente.
Lo studio dei due americani sosteneva che un debito superiore al 60% del PIL riduceva la
crescita annua del 2% e un debito superiore al 90% la riduceva addirittura della metà.37

36
​https://www.ceicdata.com/en/indicator/japan/consolidated-fiscal-balance--of-nominal-gdp
37
​https://scholar.harvard.edu/files/rogoff/files/growth_in_time_debt_aer.pdf

31
Direte: “Se due importanti economisti hanno verificato che dati alla mano il debito pubblico
elevato è un problema, ecco spiegato perché noi dobbiamo fare meno deficit possibile”.
Giusto.
C’è solo un piccolissimo problema, però: quello studio era sbagliato.
E mica di poco! C’erano gravi ed evidenti errori nel semplice foglio di calcolo utilizzato per
realizzare le stime, e a dimostrarlo non fu altro che un umile dottorando nell’Aprile 2013.38

Sistemando i calcoli correttamente, quel declino citato poco fa diventava una crescita del
2,2%. Avete capito bene: presi correttamente in esame, Stati con debito superiore al limite
crescevano circa del due percento all’anno, in media con altre nazioni con debito più basso.
Capite la dimensione dell’errore e quali conseguenze ha portato?

Per dirla usando le parole di Paul Krugman sul New York Times del 19 Aprile 2013: “La
questione di Reinhart-Rogoff ci mostra fino a che punto l’austerità è stata venduta su false
premesse. Per tre anni, la svolta verso l’austerità è stata presentata non come una scelta
ma come una necessità. Studi economici, difensori dell’austerity hanno mostrato ciò che di
terribile succede una volta che il debito supera il 90% del PIL. Ma gli “studi economici” non
hanno per niente dimostrato questo; un paio di economisti hanno sostenuto quella tesi,
mentre molti altri non erano d’accordo. I politici hanno abbandonato la disoccupazione per
orientarsi verso l’austerità perché hanno deciso di farlo, non perché fossero costretti”.39

Monti in primis, i governi Letta-Renzi-Gentiloni poi - in piena e pedissequa ubbidienza nei


confronti delle regole europee - ci hanno costretti a sopportare tasse e tagli perché era
necessario; perché era quella l’unica strada da cui poteva passare la nostra guarigione.

Ma tutto questo è falso.


Hanno scelto di imporci una medicina, anche se era chiaro che mai ci avrebbe curato.

Ed è anche questo il male che ci hanno fatto.

38
​https://theconversation.com/the-reinhart-rogoff-error-or-how-not-to-excel-at-economics-13646
39
​https://www.nytimes.com/2013/04/19/opinion/krugman-the-excel-depression.html?_r=0

32
In crisi per scelta

Lo so, può essere difficile da credere. Può essere dannatamente complicato accettare che le
politiche “lacrime e sangue” che abbiamo dovuto subire siano state decise a tavolino, senza
che fossero necessarie.
Per questo motivo, in questo capitolo voglio preoccuparmi di mostrarvelo ancora con più
precisione, perché non possiate far altro che superare il lutto e decidere di reagire con
orgoglio alla distruzione del nostro Paese.

Nei capitoli precedenti abbiamo parlato di come la crisi in Europa si sia manifestata
maggiormente dopo il 2011, con l’appellativo di “crisi dei debiti sovrani”. Pare quindi
abbastanza immediato ipotizzare che la radice del problema fosse, appunto, il debito
pubblico. Abbiamo già dimostrato come questa sia in realtà un’inesattezza, ma mi rendo
conto che la percezione negativa del nostro immenso debito sia difficile da scacciare, quindi
può tornare utile fare una riflessione che mette in gioco anche altri paesi, compagni del
nostro triste destino.
Con la sigla PIIGS indichiamo i paesi europei che più di tutti hanno sofferto la crisi
economica: Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna.
Tra questi, quelli che hanno seriamente subito un colpo duro dopo il crack Lehman, sono
stati Irlanda, Spagna e Portogallo.
Se è vero che il debito pubblico ha assunto un ruolo centrale durante la crisi, possiamo dare
un’occhiata ai livelli di questi paesi nel 2009, in confronto ad altri.

33
Se è vero che il debito pubblico è il nocciolo del problema, com’è possibile che Spagna ed
Irlanda fossero addirittura gli stati con il debito pubblico più basso dell’Eurozona? Semplice:
perché il debito pubblico non è il problema e non è mai stato causa della crisi.

Per dirla tutta, infatti, è vera semmai un’altra considerazione: quella per cui il debito pubblico
è aumentato solo dopo la crisi, proprio perché il governo dei singoli paesi ha adoperato tutte
le politiche di spesa necessarie a risollevare l’economia. Questa infografica che proviene dal
Ministero di Economia e Finanza lo spiega molto bene (datata 2016, quindi impossibile
pensare che sia pro “governo gialloverde”).

Un’altra opera di Governo che sicuramente ha impattato sulla vita e sulla prosperità di molte
famiglie è quella della Riforma Fornero, che ha cambiato il sistema previdenziale. Ormai è
storia la conferenza in cui - poco prima di pronunciare la parola “sacrificio” - il ministro si
mise a piangere. Sembrava quasi non riuscisse a dire con serenità che la riforma imponeva
conseguenze scomode, necessarie però per evitare il tracollo dei conti pubblici italiani.
Giunti fino a questo punto, spero abbiate iniziato a dubitare di queste considerazioni vendute
per assodate. Occorre quindi cercare di verificare se realmente il sistema previdenziale
italiano fosse così malconcio da giustificare una manovra del genere. Questo non è cosa da
poco, perché per qualcuno, i cosiddetti “esodati”, ha significato trovarsi senza lavoro e senza
pensione; un dramma umano che non possiamo trascurare e che - come ci si poteva
attendere - avrebbe portato anche a scelte drastiche come quella di decidere di porre fine
alla propria vita.40

40
​https://www.blitzquotidiano.it/cronaca-italia/lui-esodato-lei-pensione-suicidio-miseria-vergogna-1523418/

34
Per farlo, per capire se davvero era necessario intervenire, c’è un documento piuttosto
efficace che proviene nientemeno che dalla Commissione Europea. Non possiamo quindi
trattarlo con sufficienza o derubricarlo. Pubblicato nel 201141, mostrava il grafico seguente.

Può sembrare complicato, ma quello che è mostrato qui è il grado di sostenibilità del debito,
includendo le passività conseguenti alla spesa del sistema pensionistico.
I paesi più in basso e più a sinistra dimostrano un rischio di sostenibilità basso. Quale, fra
tutti queste nazioni, è in condizioni migliori insieme alla Svezia? L’Italia.
Anche l’edizione 2012 del Fiscal Sustainability Report42, sempre della Commissione
Europea, in riferimento all’indicatore di lungo termine S0, confermava la tesi.
Riuscite a percepire il peso di tutto questo? Significa che un uomo nel limbo creato dalla

41
​http://ec.europa.eu/economy_finance/publications/european_economy/2011/pdf/ee-2011-3_en.pdf
42
​http://ec.europa.eu/economy_finance/publications/european_economy/2012/fiscal-sustainability-report_en.htm

35
riforma Fornero, come decine di persone a lui simili, non doveva ritrovarsi a vivere per strada
senza un euro in tasca, perché lasciato senza lavoro e senza pensione.43

Uno dei tanti motivi per spiegare tutto questo - e per motivare quindi come non ci fosse
assolutamente bisogno di una riforma come quella della Fornero - è dettato dal nostro
pluriventennale avanzo primario. Non vi preoccupate, niente di esoterico: significa che da
più di vent’anni, il nostro Stato, risparmia di più di quanto spenda, al netto degli interessi
pagati sul debito pubblico. È considerato senza dubbio un indicatore forte, per valutare la
stabilità delle finanze.
Lo stesso documento del MEF citato in precedenza ci mette a confronto con le altre nazioni
europee.

Come potete notare, l’Italia è da anni uno dei paesi più virtuosi sotto questo punto di vista.
Perché tv e giornali non sottolineano questo dato con la stessa forza con cui ci martellano
sul debito pubblico?

A proposito di debito pubblico, proprio per scongiurare ogni dubbio che ancora adesso
dovrebbe esservi rimasto riguardo la sua pericolosità, vi voglio mostrare qualcosa che
elimina il problema alla radice e ci permette di escludere “il fardello del debito” una volta per
tutte dalla discussione di tutti i nostri mali.

Come abbiamo visto nei capitoli precedenti, la BCE (così come la FED negli Stati Uniti, la
Bank of England nel Regno Unito e la Bank of Japan in Giappone) ha acquistato Titoli di
Stato per migliaia di miliardi. Le cifre le abbiamo già indicate.
Voglio quindi proporvi ora un’osservazione strana all’apparenza, ma molto efficace.

43

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/04/20/esodati-manager-diventato-barbone-racconta-la-vita-in-strada-senza-u
n-euro-in-tasca-su-fq-millennium-in-edicola/5125350/

36
Cosa pensereste se vi dicessi che tutti quei titoli di debito acquistati dalla Banca Centrale
potrebbero essere eliminati immediatamente, con uno schiocco di dita? Magari mi
prendereste per pazzo, ma se mi garantite il beneficio del dubbio per le prossime righe
saprò spiegarmi meglio.

In uno Stato dotato di propria valuta ufficiale, governata in maniera autonoma, la Banca
Centrale è a tutti gli effetti un’istituzione che rientra nell’alveo del settore pubblico. Se
vogliamo, è ciò di cui un Governo “si serve” per indirizzare la propria politica monetaria.
Questo succede - come immaginate - nei due stati presi ad esempio più volte, Giappone e
Stati Uniti, ma anche in svariate altre nazioni del mondo, indipendentemente dalla loro
dimensione.

Date un’occhiata a questo grafico pubblicato dall’economista Frederik Ducrozet, allora.

La porzione che vedete in rosso, è la quantità di titoli pubblici posseduti dalla Banca d’Italia
(che ora opera nel sistema di tutte le banche centrali dell’eurozona, sotto l’ombrello della
BCE) in percentuale al PIL. Dal 2015 in poi, quando è iniziato il QE spiegato nei precedenti
capitoli, la quantità di debito posseduto in rapporto al totale è cresciuta di molto. Significa
che gran parte del nostro debito pubblico, sotto forma di Titoli di Stato (BTP, BOT, etc…), è
nelle mani della nostra banca centrale.

37
Ora immaginate uno scenario del genere: firmate una cambiale a vostro papà, mamma,
fratello o sorella, promettendo di restituirgli fra 1 anno quei 100€ che vi ha prestato. Cosa
succederebbe, se il vostro gentile donatore decidesse di stracciare quella cambiale, come
gesto d’affetto? Semplice: il vostro debito scomparirebbe. Chi vi ha prestato i soldi non li
recupera, ma voi non dovete restituire quei 100€. Chiaro, no? Bene.
Immaginate ora che la Banca d’Italia sia la sorella della situazione; è la sorella dello Stato.
Cosa accadrebbe se decidesse di eliminare i Titoli di Stato che possiede? Esattamente
come nell’esempio precedente, contestualmente sparirebbe il debito e quindi lo Stato non
dovrebbe più restituire quella cifra.
Nell’esempio di prima, però, chi vi ha prestato quei soldi non li recupera e quindi li perde.
Possiamo immaginare che fossero frutto del loro lavoro, una parte di stipendio, e che quindi
li abbiate privati di quella somma. Ma è questo il caso di una banca centrale? Quale lavoro
ha dovuto fare, per ottenere quei soldi con cui ha comprato il nostro debito pubblico?
Ne abbiamo già parlato: nessun lavoro. Ha semplicemente creato quegli euro, emettendoli
dal nulla. Questo è il ruolo e la funzione di una banca centrale. Dunque diventa scontato
dedurre che se decidesse di scontare la percentuale di debito che possiede, non
incorrerebbe in nessuna perdita: quei soldi se li è semplicemente inventati e non deve darli a
nessuno.
Il grafico mostrato vuole indicare proprio questo: se la BCE autorizzasse la Banca d’Italia ad
eliminare la percentuale di debito che possiede, il rapporto debito/PIL dell’Italia scenderebbe
immediatamente al 110%, facendoci cioè tornare in un attimo al livello pre-crisi.

Questo non è un azzardo contabile, una proposta bislacca senza fondamento. Infatti è
materia di discussione anche tra economisti di caratura mondiale, come Paul DeGrauwe44 o
Joseph Stiglitz (anch’egli Premio Nobel).45
Un documento della Banca dei regolamenti internazionali (BIS) ne parlava già nel 2004.46

Capite dunque che questa è un’altra riprova del fatto che non sia vero che non possiamo
fare politiche più espansive a causa del debito pubblico. Solo un’operazione di questo tipo
potrebbe abbassarlo per decine di miliardi. Non penso di dovervi elencare quali margini di
manovra può avere un Governo, se vuole realizzare opere utili alla propria popolazione, con
decine di miliardi di euro in più.

Impedirci di spendere soldi per la nostra gente è stata una scelta puramente politica.

Ed è anche questo il male che ci hanno fatto.

44
​https://www.wallstreetitalia.com/cancellare-250-miliardi-di-debito-in-teoria-si-puo-lo-disse-stiglitz-gia-nel-2013/
45

https://www.facebook.com/notes/joseph-stiglitz/canceling-boj-owned-bonds-an-option-for-debt-stiglitz-says/15916
68527513510/
46
​https://www.bis.org/publ/work161.pdf

38
Salvate quella banca!

Veniamo ora ad un punto altrettanto fondamentale. Per molti di voi, forse a ragion veduta, le
banche non sono viste di buon occhio. Esistono solo per “fregarci i soldi”, qualcuno direbbe.
Il loro ruolo però è centrale nell’economia di un paese sviluppato. Permettono di ricevere del
credito, che sia per acquistare una casa o avviare un’attività, e di regolare i pagamenti che
effettuiamo giorno per giorno coi nostri bancomat o le nostre carte di credito.

Per motivi differenti, tutte le banche del mondo hanno sofferto la recessione. E dovunque
quindi è stato necessario operare delle misure che potessero salvaguardarle. Dopotutto, il
fallimento di una banca significa anche il mancato prestito di cui si aveva bisogno per
mandare avanti l’impresa oppure il mancato rimborso delle obbligazioni che costituivano il
risparmio di una famiglia. Se si vuole mantenere un sistema economico in salute, è
impensabile lasciare che una banca - soprattutto se di grandi dimensioni - fallisca. In altre
parole è il concetto di “too big to fail” (troppo grande per fallire) che gli americani hanno
imparato sulla loro pelle dopo il crollo di Lehman Brothers.

In Europa si è voluto a tutti costi evitare una situazione del genere, ed è per questo che si è
cercato di intervenire prontamente. In alcuni casi, banche in difficoltà sono state
nazionalizzate (cioè acquisite dallo Stato, per mantenerne l’operatività), come per esempio è
successo a SNS in Olanda.47 In altri casi invece il settore pubblico ha mantenuto
l’indipendenza privata dell’istituto bancario, offrendo misure di garanzia più o meno diretto,
come nel caso della Commerzbank tedesca che avevamo citato agli inizi di questo testo.
Come ulteriore misura, sono poi stati istituiti dei meccanismi a livello europeo come il MES,
volti a proteggere di fatto le esposizioni di alcune banche nei confronti di paesi in difficoltà
come la Grecia.

L’Italia ha partecipato attivamente, per l’istituzione di strumenti del genere, in proporzione al


suo peso all’interno dell’Unione Europea. E se da un lato sembra cosa positiva, quella di
essere riusciti a sostenere il sistema bancario evitando fallimenti catastrofici, da un altro lato
d’osservazione diventa peculiare notare come gran parte di questi aiuti forniti non siano
arrivati alle banche italiane, bensì principalmente a quelle francesi e tedesche.

Per dirla in termini proprio essenziali, l’Italia ha contribuito corposamente al sostenimento di


banche che non avevano nulla a che fare con il proprio Paese, e che erano entrate in
pericolo attraverso comportamenti rischiosi - a volte ingiustificabili - verso economie fragili
come quella greca. 48
Le cifre, come già ricordato, non sono per niente irrisorie. Si parla di più di cinquanta miliardi
di euro, soldi che - come in tutte le considerazioni che abbiamo fatto - si sarebbero potuti
orientare verso investimenti produttivi e risanatori per il nostro tessuto economico.

47
​https://www.repubblica.it/economia/2013/02/01/news/olanda_nazionalizza_banca-51686066/?ref=search
48
​https://www.agi.it/economia/soldi_salvataggio_grecia_banche-4064035/news/2018-06-23/

39
Vi è poi un altro dato da considerare, cioè la quantità di denaro speso dai singoli Stati per
salvare le proprie banche. Tutti lo hanno fatto, Germania in cima alla lista. E se è vero che le
nostre banche furono meno intaccate da altre durante la crisi del 2009, la recessione che ci
ha travolto nel 2011 ha invece seriamente messo in pericolo la loro stabilità, motivo per cui
avremmo avuto necessità anche noi, in quanto sistema Italia, di salvaguardarle.
Questo però non è mai accaduto nella misura necessaria, passando per fallimenti rovinosi
come quelli di Banca Etruria e per l’implementazione di meccanismi come il ​bail-in c​ he
hanno distrutto i risparmi di molte famiglie.

Se osservate questo grafico che proviene dal MEF, potete notare come l’Italia sia la nazione
che meno di tutte ha versato contributi per il salvataggio delle proprie banche. Il confronto
con una nazione considerata virtuosa come la Germania è impressionante: quasi 240
miliardi a fronte di un solo miliardo. Se considerate che il PIL tedesco è circa 1,8 volte quello
italiano, facendo una proporzione noi avremmo potuto spendere circa 130 miliardi di euro.

Non è stato fatto ed, anzi, le poche misure adottate ci sono state anche fortemente
contestate a livello europeo: gli altri paesi hanno salvato ciò che dovevano, per poi criticare
anche il semplice supporto ad una piccola banca di territorio come la Popolare di Bari.49
Ci hanno costretto a non aiutare il nostro sistema bancario, partendo dalle più importanti
banche popolari e cooperative che hanno mantenuto in piedi per anni il nostro sistema
produttivo fatto di piccole e medie imprese.
Hanno scelto di impedirci di aiutare il nostro paese, passando per le banche vicine al
territorio.

Ed è anche questo il male che ci hanno fatto.

49

https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2019-03-19/tribunale-ue-intervento-fitd-popolare-bari-non-fu-aiuto-stato-1
00853.shtml?uuid=AB01AifB

40
Riassumendo

Nei capitoli precedenti abbiamo potuto osservare le cause scatenanti della crisi economica e
le terapie messe in atto per contenerla e superarla, confrontando il nostro operato con quello
di altri paesi, europei e non.
Nei numeri e nei dati mostrati appare evidente il fallimento delle politiche messe in atto in
Italia, per mano dei governi che - da Monti in poi - si sono susseguiti alla guida del nostro
Paese fino alle elezioni del 2018.
Inoltre, spero vi sia parso evidente anche come il fallimento di tali politiche non sia stato
dettato da una sfortunata serie di eventi ma da una precisa volontà d’intenti che ci ha
imposto manovre, riforme, tagli al solo scopo di asservire ordini e norme senza fondamento
economico e senza precedente alcuno.
L’austerità ha fallito, perché non poteva far altro che fallire.50
Le politiche di rigore e contenimento delle spese - in un periodo di profonda crisi come
quella che stiamo vivendo, in totale contrapposizione con l’esperienza del passato e di altri
paesi (come abbiamo più volte visto) - hanno distrutto il nostro tessuto produttivo e causato
una recessione addirittura paragonabile a quella che abbiamo vissuto al termine della
Seconda Guerra Mondiale.
Imporre una riforma come quella del sistema pensionistico attuata nel 2012 ha significato
causare un dramma reale, tangibile, per centinaia di famiglie che hanno perso speranza e
libertà per sé stessi. Sogni e prospettive andate in fumo, per mettere in opera una riforma
che - come abbiamo visto - non era necessaria, soprattutto in un momento in cui per reagire
alla crisi sarebbe stato necessario mettere in moto l’economia arricchendola con più
liquidità. Ha significato privare della dignità di essere umani, lavoratori e gente per bene.
Chiunque abbia difeso la crociata contro il debito ed il deficit pubblici, in controtendenza
totale con le esperienze di tutti i paesi avanzati del mondo, ha scelto (in buonafede o in
malafede, questo sarete voi a deciderlo) di metterci in un vicolo cieco dal quale sarebbe
stato impossibile uscire.
Nascosti dietro buone belle parole - sfruttate proprio per addolcire la pillola - come “tagli alla
spesa”, “spending review”, eccetera eccetera, vi erano conseguenze dannatamente pesanti,
che hanno impattato sulla vita delle persone, partendo dai poliziotti nella pubblica
amministrazione fino ad arrivare al più piccolo artigiano di paese.

Nelle pagine precedenti avete potuto osservare come l’alternativa fosse possibile e come già
paesi a noi vicini come Germania, Francia o Spagna avessero intrapreso una serie di
politiche diverse volte a difendere - come è giusto - i propri interessi nazionali, per fare il
bene della loro gente.

Per mettere ancora sotto i vostri occhi la crudeltà del male che ci è stato inflitto, così come è
stato inflitto ad uno Stato culla della cultura per l’umanità, la Grecia, mi affido alle parole di
Guido Brera, gestore di un noto fondo di investimenti, che si racconta nel libro ​Tutto è in

50
​https://www.theguardian.com/business/ng-interactive/2015/apr/29/the-austerity-delusion

41
frantumi e danza​. Si riferisce al comportamento dei mercati nei confronti della repubblica
ellenica:

“Ora però mi ritrovavo a dover investire contro uno stato - un libero stato di quell’Europa in
cui avevo sempre creduto e che era stata uno dei capisaldi della mia educazione, sia
personale sia professionale. Stavolta non era il destino di un’azienda a essere messo in
discussione, ma il destino di milioni di persone, di europei come me, che io e i miei colleghi
di tutto il mondo stavamo mettendo a rischio. Perché, se la Grecia falliva, i suoi undici milioni
di cittadini non potevano farsene una ragione e abbandonarla per andare a vivere e lavorare
altrove.
Mi accorsi che era il mio stesso ruolo a cambiare. Smettevo di essere un investitore
imparziale, interessato solo ed esclusivamente a far conseguire un utile lecito ai miei clienti,
per diventare una specie di legislatore occulto della Grecia.
Sì, perché erano le nostre vendite - le mie e quelle dei miei colleghi in giro per il mondo - a
far salire lo spread e terrorizzare l’Europa e a costringere il governo di Atene a intervenire
più volte sul suo bilancio con misure improvvise e draconiane, approvate nel cuore della
notte da un parlamento terrorizzato mentre piazza Syntagma era cinta d’assedio da migliaia
di dimostranti e dalle troupe televisive di tutto il mondo: ai greci venivano aumentate l’IVA e
le tasse, tagliate le pensioni e gli stipendi. Erano migliaia le persone che perdevano il lavoro
da un giorno all’altro.
Vendere forzatamente e congiuntamente il debito di uno stato fino a metterlo in ginocchio e
ottenere di influenzarne le leggi significa diventare un soggetto politico di quello stato, non
eletto eppure potentissimo. Significa falsare la democrazia di quel paese e di conseguenza
di tutta l’Europa, indebolirla fino a renderla poco più di un simulacro, e poi cancellarla del
tutto.
Non era Papandreou a governare la Grecia. Eravamo io e quelli come me. Se una riforma
non ci convinceva, intensificavamo la pressione in vendita e costringevamo il governo di
Atene a sostituirla con una più dura. E per quanto dure fossero, non lo erano mai
abbastanza da convincerci. Era sempre troppo poco, e troppo tardi.
Non mi piaceva per nulla impoverire i greci. Lo facevo, certo. Perché dovevo. Lo dovevo ai
miei clienti: al mandato fiduciario che mi avevano dato e che consisteva nel farli
guadagnare. Se per qualche ragione avessi smesso di farlo, qualcuno avrebbe preso il mio
posto. E così, mentre con le vendite proteggevo i patrimoni dei miei clienti dal crollo di un
paese, continuavo a ripetermi che la colpa non era mia, che stavo solo facendo il mio lavoro.
Ma non riuscivo a smettere di guardare le immagini dei telegiornali. Gli scioperi. Le continue
dimostrazioni nelle piazze. I ragazzi incappucciati con le felpe nere che appena cadeva la
notte iniziavano a lanciare sassi contro la polizia. Le molotov. Gli scudi. Le nubi dei
lacrimogeni. I volti sempre tirati dei giornalisti e degli intervistati. Gli sguardi di ghiaccio dei
nazisti di Alba Dorata.
Dormire diventò difficile, e raro. Ad angustiarmi non era solo il tracollo della Grecia. Mi
chiedevo cosa sarebbe successo di lì a poco anche alle altre nazioni europee fortemente
indebitate. Cosa sarebbe successo all’Irlanda, al Portogallo. Alla Spagna. Cosa sarebbe
successo all’Italia.
Fermarsi, però, non era possibile. Era tutto il sistema che rischiava di crollare, e nessuno
voleva rimanere sotto le macerie”.

42
Chi ha permesso che “legislatori occulti” - come li definisce Brera - governassero il destino
di una nazione e di tutti i suoi abitanti, sacrificando le loro vite e il loro benessere, è di fatto
colpevole del male che ci hanno fatto.

Chi ha lasciato passare in sordina quanto fosse antidemocratico e pericoloso “il partito dello
spread”, non opponendosi con forza o addirittura difendendolo perché ci avrebbe insegnato
la durezza del vivere51, è di fatto colpevole del male che ci hanno fatto.

Chi ha sostenuto i governi precedenti (o chi ha promosso le loro politiche o ne avrebbe


volute altre ancora più stringenti) è di fatto colpevole del male che ci hanno fatto.

Ed è importante riuscire a cambiare direzione, prima che sia, letteralmente, troppo tardi.52

51

http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/oettinger-mercati-insegneranno-italiani-votare-modo-giusto-b3e13ea2-ad
ed-41ea-bbd7-d8b876982d56.html
52
​https://www.confesercenti.it/blog/crisi-quasi-1000-suicidi-per-motivazioni-economiche-dal-2012/

43
Fake news

Un concetto entrato violentemente nel linguaggio comune è quello di “fake news”. Questo
capitolo è dunque dedicato a smentire alcune di queste notizie false che circolano riguardo il
nostro Paese, smontando dei luoghi comuni che voi stesse magari avete creduto veri.

Troppo piccoli per fare da soli

Una delle questioni che viene più volte ripetuta dai sostenitori dell’Unione Europea (un
esempio su tutti, il PD), è quella secondo cui l’Italia non può gestire le proprie politiche in
totale autonomia (cosa di per sé auspicabile) perché è troppo piccola e finirebbe assalita dai
giganti del mondo come Stati Uniti, Russia o Cina. L’idea di fondo è che gli “stati nazione”
siano stati ormai superati.
Questa considerazione è smentibile su due fronti: il primo puramente numerico ed il secondo
più precisamente economico.
Finita la Seconda Guerra Mondiale, gli stati riconosciuti erano meno di un centinaio; ad oggi
sono più di 200. Dunque lo stato nazione è sicuramente attuale ed, anzi, si va sempre più
verso la frammentazione.

Dal punto di vista economico poi, le dimensioni più ristrette permettono ad uno Stato di
essere più flessibile e di adattarsi alle contingenze esterne molto più velocemente. Logico
pensare che sia più semplice trasmettere capillarmente un certo tipo di politica in un’area
geografica ridotta, piuttosto che farlo per centinaia di migliaia di cittadini che occupano
un’area maggiore e magari parlano lingue diverse.
Un esempio calzante può essere quello della Corea del Sud. Per dimensioni, può essere
paragonata all’Italia ed anche il numero di abitanti è assimilabile: circa 51 milioni. La Corea
potrebbe essere letteralmente inghiottita dall’egemonia cinese, data la vicinanza sia fisica
che culturale, eppure è una nazione in salute che sperimenta tassi di crescita annua
costantemente superiori al 2%.
Per usare le parole di Alberto Alesina, noto economista italiano: “Ai giorni nostri, grazie al
commercio ed alle istituzioni internazionali, essere piccoli non significa essere poveri,
mentre essere grandi non è garanzia di prosperità. Tra le cinque nazioni più ricche al mondo
in termini di reddito pro-capite, la più popolata è Singapore, con poco più di 5 milioni di
abitanti”.53

Meno debito è sempre meglio

Ricordate i giganteschi cartelloni di +Europa che campeggiavano nelle più importanti


stazioni italiane? Al di là dei dubbi su chi finanziasse una campagna così faraonica (a parte

53
​https://www.e-ir.info/2015/11/09/whats-happening-to-the-number-and-size-of-nations/

44
Soros, s’intende)54 per un partito microscopico, se ne ricorda in particolare uno che
identificava nel debito pubblico che continuava a crescere “il vero problema italiano”.
Più volte in questo testo è stato mostrato come questa sia una pura e semplice falsità non
confermata dai dati e dalla storia, ma può essere interessante aggiungere due
considerazioni.
La prima è che praticamente nessuno Stato avanzato riduce il suo debito in valore assoluto.
Ricordate il grafico a pagina 12 che mostrava il debito degli Stati Uniti? Appare evidente che
sia in costante aumento, così come accade in tutte le economie sviluppate, semplicemente
perché il Titolo di Stato è lo strumento attraverso il quale la finanza pubblica accresce le sue
spese nei confronti dei suoi cittadini. Alla scadenza, viene semplicemente rinnovato con
emissione di nuovi titoli.

A questo possiamo poi aggiungerci un’altra valutazione, tanto semplice quanto efficace. Se il
debito pubblico è “il vero problema”, parimenti il credito pubblico sarà la “vera soluzione”.
Allora perché nessuna nazione al mondo ce l’ha? Perché, dall’Afghanistan allo Zimbabwe,
tutti gli stati hanno una certa percentuale di debito pubblico?
Forse però è vero, tanto debito fa male. Vediamo allora quali paesi ne hanno davvero poco.
Giusto per fare qualche esempio: Repubblica Democratica del Congo (14,6%), Botswana
(18,5%), Kosovo (20,6%). Non credo si possa dire che stiano meglio di noi.

Inflazione a due cifre

Un altro pericolo paventato, nel caso in cui il Governo decidesse di ampliare le proprie
spese, è quello dell’inflazione. Viene per esempio ricordato che le regole europee servono
ad impedirci di ritornare al nefasto passato in cui sperimentavamo inflazione a due cifre.
Ma è vero?

54
​http://www.ilgiornale.it/news/politica/europee-soros-dona-200mila-euro-pi-europa-1667349.html

45
L’Italia ha vissuto inflazione a due cifre solo dal 1973 al 1985, in corrispondenza di due
shock petroliferi che fecero aumentare persino di quattro volte il costo del greggio.
Dal grafico potete vedere come la verità non sia poi come quella che raccontano. Eravamo
pienamente in linea con altri paesi, che ancora ad oggi sopravvivono al di fuori delle regole
europee.
Oltretutto, poi, pur ammettendo di aver fatto esperienza di tassi di inflazione elevati, ciò che
va considerato è il dato reale, cioè quello comparato coi redditi delle persone. Parliamo
quindi del cosiddetto “potere d’acquisto”. Se il prezzo di un litro di latte va a 3 euro, ma il mio
stipendio raddoppia, capite bene che il problema non si pone. Molto diversa è la situazione
attuale in cui - con inflazione praticamente nulla - il reddito disponibile si è ristretto di molto.55

Il grafico qui sopra rappresenta il reddito medio da lavoro dipendente, depurato dall’effetto
dei prezzi. Vedete come il livello sia sempre salito (il che significa che la retribuzione è
aumentata più di quanto lo facesse l’inflazione) anche in quegli anni, ed è invece diventato
praticamente stazionario proprio dal momento in cui abbiamo deciso di adottare le regole
europee.
Per aggiungere un dettaglio, la BCE ha poi nel suo mandato quello di mantenere prezzi
stabili con inflazione al 2%: obiettivo fallito miseramente.56
Perché dovremmo dunque affidarci a chi non è in grado di raggiungere gli obiettivi che
autonomamente si prefigge?

55
​https://codacons.it/istat-cala-il-reddito-disponibile-delle-famiglie-per-fare-acquisti-si-ricorre-ai-propri-risparmi/
56
​http://bruegel.org/2018/12/ecbs-huge-forecasting-errors-undermine-credibility-of-current-forecasts/

46
Ci vuole Più Europa

Diversi partiti politici fanno campagna elettorale parlando della necessità di “più Europa”.
Uno slogan che fa riferimento ad un generale bisogno di una maggiore integrazione, spesso
correlata ad una spinta più decisa per cambiare le regole europee, perché tutti ne si giovi. Il
classico “sbattere i pugni sul tavolo” per eliminare le storture che ci hanno danneggiato.
Lasciando per un attimo perdere la razionalità che possa avere auspicare di essere più
integrati ad un sistema che ci ha in maniera inequivocabile reso se non altro la vita più
difficile, c’è una fallacia logica molto importante che sottostà a questo ragionamento.
Invocare “più Europa” infatti presuppone che possa esistere una volontà da parte degli altri
Stati europei di allentare le corde e di aumentare il benessere della nostra nazione.
Prima di tutto questo non è possibile perché non è realizzabile un sistema di regole
complessivo che sia adatto alle fattispecie di paesi così diversi, che parlano lingue diverse,
hanno sistemi fiscali diversi, necessità diverse (se non contrapposte) ed hanno a volte
anche culture diverse.
In secondo luogo - anche se sono certo quasi mai ne sentite parlare nel dibattito mediatico -
non bisogna mai dimenticare che gli altri paesi europei sono nostri concorrenti. Quello
considerato da tutti egemone per rilevanza e potenza economica, ovvero la Germania, è
nostro principale concorrente in diversi settori, per alcuni dei quali ci giochiamo letteralmente
il primo e il secondo posto al mondo.

Pensare quindi che sia anche solo ipotizzabile una volontà tedesca di darci strumenti per
guarire la nostra economia e - di contro - danneggiare la loro è evidentemente senza senso
alcuno. Come si potrebbe giustificare un governo tedesco che dovesse mai frenare l’export
di Audi e Volkswagen per favorire quello di Alfa Romeo e Fiat?

47
Ci vuole credibilità perché i mercati si fidino di noi

Un altro luogo comune è quello della credibilità. Viene infatti difesa la nostra china ricezione
dei diktat europei perché questo ci ha permesso (e ci permette) di essere credibili,
affacciandoci quindi sui mercati internazionali e offrendo opportunità per gli investitori esteri.
Questa affermazione sembra pacifica ai più, ma in verità è la più insidiosa di tutte. Per
spiegarlo, mi servo inizialmente delle parole di Alberto Bagnai in un articolo del suo blog sul
sito de Il Fatto Quotidiano: “Il problema non era che abbiamo vissuto al di sopra dei nostri
mezzi? E la soluzione sarebbe? Farsi prestare altri soldi dall’estero!? Ci vuole molto a capire
che, se un’azienda italiana passa in mano estera, l’Italia è meno ricca? Per i luogocomunisti
evidentemente sì. E ci vuole molto a capire che, dopo, i redditi che l’azienda produce
verranno molto probabilmente espatriati, riducendo il reddito nazionale e aggravando la
bilancia dei pagamenti? Pare di sì”.
Il punto è esattamente questo: perché mai dovrebbe essere considerato un vantaggio avere
un investitore estero che spende i suoi soldi in Italia, per poi ricevere indietro molto di più in
cambio? Perché mai dovrebbe essere una cosa positiva lasciare che una città come Milano
sia occupata da grattacieli di proprietà di un fondo del Qatar?57
Senza considerare poi che l’investimento (che poi è un debito) estero è molto più pericoloso
rispetto al tanto osteggiato debito pubblico.
L’Irlanda prima della crisi pagava redditi da capitale (cioè il “prezzo da pagare” per
l’investimento che un cittadino straniero faceva nel suolo irlandese) al resto del mondo per
un ammontare pari al 32% del PIL, quando la media di tutta l’Eurozona era circa del 6%.58
Ebbene, l’Irlanda è uno dei paesi che è stato maggiormente colpito dalla crisi economica ed
è uno dei primi che ne ha subito le conseguenze. Vogliamo davvero fare di questo un
modello?

E sapete qual era il debito pubblico dell’Irlanda, prima che finisse in crisi? Appena del 25%.
Se ancora foste convinti che il problema sia davvero quello…

I vincoli sono necessari per poterci permettere l’euro

Se c’è davvero una ragione per cui tutto ciò che è successo, è quello di essere riusciti a
mantenerci all’interno dell’Eurozona, continuando ad adoperare l’euro come moneta. Questo
è un fatto acclarato.
Quanti elogi per la moneta unica, quante occasioni per ricordare perché sia stata nostra
salvezza e strumento che ci ha permesso di rimanere aggrappati al treno dello sviluppo.
Non cercherò qui di smentire tutto questo, dopo vent’anni dalla sua introduzione è ormai
pieno il mondo di evidenze, analisi, studi che lo contestano.59
Voglio però offrirvi un piccolo paragone. Per qualcuno magari apparirà semplicistico, ma
fondamentalmente rimane utile per mettere tutte le considerazioni che abbiamo fatto fin qui
nella giusta ottica.

57
​https://www.repubblica.it/economia/finanza/2015/02/27/news/catella_porta_nuova_hines-108321720/
58
​https://www.lavoce.info/archives/26654/la-morale-della-favola-irlandese/
59
​https://twitter.com/fdragoni/status/1077485022817468422​ | A questo link, un thread che porta in esame più d
100 dichiarazioni di esperti, critici verso la moneta unica.

48
Se è vero che il rigore e l’osservazione delle norme europee ci hanno permesso di avere
l’euro, sarà altrettanto vero che l’euro permette di crescere?
Nel grafico superiore mettiamo a confronto la crescita reale di alcuni paesi del nord:
Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia. Vorremo mica pensare che siano corrotti, che
siano poco produttivi o che non siano biondi (il che non fa mai male)... No, giusto? Bene. Se
certe buone caratteristiche li accomunano, ce n’è una invece che li divide: l’utilizzo dell’euro.
Norvegia e Svezia hanno la loro valuta (corona norvegese e svedese), mentre Danimarca e
Finlandia si servono, come noi, della moneta unica. Ebbene, quale coppia di paesi è
cresciuta di più, molto di più, rispetto all’altra? La risposta è nei dati, e la conoscete.
Dopotutto, anche Carlo Cottarelli non ha potuto far altro che ammettere un fatto evidente:
senza euro, saremmo stati meglio.60

I fondi europei ci permettono di avere milioni da spendere, ma non lo facciamo

Questa è una delle fake news più fuorvianti, utilizzate consapevolmente per piegare la realtà
a favore della propria agenda politica. Per motivare la nostra necessità di supportare
l’Unione Europea (se non di ringraziarla), si fa riferimento spesso ai contributi che l’Europa
rende disponibili, nei suoi vari progetti infrastrutturali e di promozione dello sviluppo
economico. Se è vero che - per diverse problematiche, burocratiche e non - si è rivelato
piuttosto complicato farne uso negli anni, è totalmente scorretto raccontare solo parte di
questa storia.
L’Italia, infatti, è un contributore netto dell’Unione Europea. Significa che mediamente versa
nelle casse europee più di quanto riceva in cambio. Pare assurdo quindi elogiare questa
sovrastruttura europea perché ci offre fondi da cui attingere, quando siamo noi per primi a
fornire liquidità affinché questa struttura stia in piedi. Lo capite il paradosso?

60
​https://www.italiaoggi.it/news/l-euro-e-una-trappola-ma-non-c-e-alcuna-via-d-uscita-2298100

49
Facendo un calcolo fino al termine del 2018, in sette anni l’Italia ha versato nelle casse di
Bruxelles 113,1 miliardi di euro ricevendone indietro 75,4. In questo periodo di tempo il
Paese è stato quindi contributore netto dell’Unione per 37,7 miliardi di euro, per una media
di circa 5 miliardi all’anno.61
Quante buone opere si sarebbero potute svolgere, per il bene della nostra nazione, con 5
miliardi di euro in più ogni anno?
Come sempre, vi invito a riflettere seriamente su certe cifre, perché sembrano semplici
numeri imponderabili ma sono sostanza effettiva che impatta sulla vita di ognuno di noi.

Aumenterà l’IVA: le clausole di salvaguardia

Si è scritto più volte di come le norme europee che hanno condizionato la nostra politica non
avessero fondamento, danneggiando in maniera decisa l’economia italiana.
Fra queste, ci sono le ormai note “clausole di salvaguardia”, sventolate come spauracchio
dai detrattori del governo Lega-Movimento5Stelle, mettendoci in guardia dalla terribile
eventualità di un aumento dell’IVA.
Tralasciando che l’IVA sia già aumentata più volte - soprattutto per mano di chi ora usa
questo strumento per farne una battaglia elettorale (il governo Berlusconi la aumentò dal
20% al 21% e il PD stesso, con il governo Letta, la aumentò dal 21% al 22%) - occorre
precisare che queste fantomatiche clausole di salvaguardia non siano un obbligo perentorio
nei confronti di qualcuno, al quale dobbiamo assolutamente attenerci.
Fa parte invece di quel pool di vincoli contabili totalmente senza senso economico, promessi
in sede europea per mantenere i conti in ordine.
La prima apparizione ci fu nel 2011, poco prima del decadimento del governo Berlusconi.
Già allora venne prevista una prima clausola di salvaguardia: in altre parole, aumento IVA
per gli anni successivi nel caso in cui non si fosse riusciti a trovare un modo per non far
sforare il deficit.
Come abbiamo visto, il deficit identifica quanto lo Stato versa nell’economia al netto di
quanto preleva attraverso tasse ed imposte; di conseguenza, per limitarlo ci sono solo due
strade: limitare la spesa (ad esempio, quella pensionistica, in stile Fornero) oppure
aumentando le tasse (ad esempio, quelle sulla prima casa, in stile IMU).
Capite bene che - in un contesto in cui le principali nazioni hanno fatto deficit di gran lunga
superiori ai nostri, per risollevarsi dalla crisi - impegnarsi ad aumentare l’IVA per evitare di
sforare i vincoli di bilancio imposti dall’Europa è un’assurdità.
Infatti in tutti questi anni, dal 2011 ad oggi, ogni Governo che si è susseguito ha trovato delle
vie per disinnescarle, cioè non farle entrare in vigore. Anche il Governo attuale, come i
precedenti, lo farà. Ma è importante ricordare ancora che non dobbiamo questi soldi a
nessuno e non c’è alcun vincolo reale che ci imponga di attivare queste clausole.
Come tutto il resto di cui abbiamo parlato fin qui, sono una scelta puramente politica.
Inserirle nella Legge di Bilancio dello Stato è divenuto un dovere quasi morale, per
compiacere l’Unione Europea che non vuole che il limite del 3% discusso in precedenza
venga superato. Anzi, se possibile, pretendendo che quel numero diventi 0%.

61
​https://quifinanza.it/finanza/ue-in-ultimi-sette-anni-italia-contributore-netto-per-377-miliardi-di-euro/233459/

50
Per capire che assurdità sia, date un’occhiata ai deficit di bilancio della Francia negli ultimi
quarant’anni. Quante volte il deficit è stato dello 0%? Quante volte inferiore al 3%?
In questo grafico molto semplice c’è la dimostrazione, ancora una volta, del male che ci
hanno fatto.

51
Che male ci hanno fatto

Penso sia più chiaro, ora, ​che male ci hanno fatto.​ L’Italia recupererà livelli di PIL
paragonabili a quelli pre-crisi probabilmente non prima del 202362; questo a causa delle
politiche sbagliate e dannose che abbiamo sperimentato nel nostro Paese. Le classi più
povere hanno perso dal 2008 fino al 17% del loro reddito.63
Negli stessi giorni in cui la BCE stampa miliardi di euro per acquistare Titoli di Stato,
chiedere un prestito è pressoché impossibile sia per le piccole imprese che per i privati: i fidi
vengono rifiutati, i mutui non sono disponibili e i finanziamenti personali per togliersi anche
un semplice sfizio diventano un’utopia. Di tutta la liquidità che circola, solo le briciole
arrivano a noi. Chi ha accesso ai tassi zero - come le banche e i grandi investitori - può fare
ciò che vuole. Chi invece non ne ha accesso - i poveri cristi che poveri devono morire - vede
abbassarsi il prezzo delle cose inutili prodotte chissà dove, ed alzarsi il prezzo invece di ciò
di cui dannatamente hanno bisogno, come la corrente elettrica, mentre lo stipendio se sei
fortunato non lo perdi, ma di certo non si alza.
La classe media è stata distrutta, e così le prospettive delle nuove generazioni.
I risparmi privati - frutto di sudore, resilienza, parsimonia di tantissimi italiani - sono stati
decimati, a volte per legge ed altre volte per poter sopravvivere in un mondo senza crescita
e senza opportunità. Grazie al cielo, che abbiamo una prima casa! Grazie al cielo, che il
nonno aveva qualcosa da parte per mantenere il nipote disoccupato o finito a fare il ​rider p ​ er
una multinazionale senza radici! Senza tutto questo, saremmo finiti molto probabilmente a
gambe all’aria già da un pezzo.
Tutto ciò che un tempo sosteneva milioni di persone, uomini e donne, e le faceva sentire
parte integrante della società - cioè il lavoro, l’ambizione, le prospettive di un futuro migliore -
non c’è più. È stato tutto sacrificato in onore del rigore, dell’austerità; sacrificato per
osservare politiche di sacrificio, punizione massima per tutti i nostri peccati da espiare. Ma -
arrivati a questo punto - ancora ci credete, che siamo maiali (i PIIGS, ricordate?) da
mandare al macello? Del maiale non si butta via niente, poi, quindi strizzandoci fino all’ultima
goccia?
Sono quasi cinque milioni le persone che in Italia vivono sotto la soglia di povertà assoluta.
Una cifra pazzesca, più che raddoppiata, dal 2008.64
Famiglie schiacciate in uno stretto anfratto del presente, in cui occupare il solo ruolo dei
perdenti, dimenticati e lasciati da parte. ​Bisogna rispettare il 3%​, dicono. Utilizzano formule
astratte, parole solenni, tutto purché dimentichiate che dentro a quelle cifre è nascosto il
vostro destino. Destino mandato in rovina, e mai per caso.

Come ho cercato di mostrarvi, ciò che è successo non è stato frutto del caso ma molto più
spesso è stato conseguenza di una precisa scelta politica che ha voluto ingabbiarci in un

62
​https://www.weforum.org/agenda/2018/06/how-can-italy-resolve-its-debt-crisis/
63

https://www.tgcom24.mediaset.it/economia/classe-media-in-crisi-dal-2008-persi-2-350-euro-di-reddito_3206872-
201902a.shtml
64

http://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2018/05/09/aumenta-la-poverta-assoluta-coinvolge-5-milioni-di-persone-i
n-italia_67332280-f5c6-4544-9d38-0e0f060fa02e.html

52
sistema di regole e predisposizioni che ci hanno impedito di ripristinare la crescita nella
nostra economia, a differenza di ciò che è successo nel resto del mondo.
Oltretutto, quasi sempre preferendo gli interessi esteri rispetto a quelli della nostra nazione,
come candidamente ammesso dal partito che ha governato negli ultimi anni.

L’Italia, nonostante tutto, è ancora oggi la seconda potenza manifatturiera d’Europa, grazie
al sapiente lavoro dei nostri imprenditori e dei nostri lavoratori. Non siamo l’ultima ruota del
carro e - come abbiamo visto - non è assolutamente vero che ci trovavamo in condizioni tali
da giustificare certe manovre messe in atto, che hanno impedito all’Italia di tornare a
prosperare. Abbiamo la capacità e le possibilità per poter reagire, e per ritornare una
nazione in salute che non deve preoccuparsi di saracinesche che chiudono ma, anzi, di un
futuro migliore.
Questa realtà è possibile ed è alla prova dei fatti la capacità di realizzarla, se solo si decide
di attivare politiche rivolte a riportare benessere per la nostra gente.

Anche al costo di sembrare pedante, è importante che questo lo teniate a mente: ciò che ci
è successo, non è per caso. Qualcuno lo ha voluto. Qualcuno ha scelto di impedirci di
salvare le nostre aziende. Qualcuno ha scelto di proibirci di abbassare le tasse o di investire
in infrastrutture. Qualcuno ha deciso di imporci regole sbagliate per la nostra economia.
Quel qualcuno è chi ha governato fino alle ultime elezioni del 2018, in piena continuità con
l’esecutivo di Monti e con le regole europee che - come abbiamo ribadito più volte - non
hanno alcun fondamento economico e sono valide solo per alcuni, i figliastri di questa
Unione Europea.

Lo spread è in mano alla BCE. Governarlo, mettendo a rischio la stabilità di un Paese


oppure obbligandolo a riforme lacrime e sangue, come è successo in Grecia (salvo poi
scusarsi65), distruggendo la sua economia e impoverendo i suoi cittadini, è stata una precisa
scelta politica e non è vero che è colpa nostra.

65

https://www.milanofinanza.it/news/mea-culpa-di-juncker-abbiamo-sbagliato-a-insultare-i-greci-durante-la-crisi-201
901151344201181

53
Obbligarci sotto minaccia di non fare un deficit eccessivo, che può significare anche
semplicemente una strada senza buche in più e una morte per incidente stradale in meno, è
una precisa scelta politica e non è vero che è colpa nostra.

Permettere alla nostra stampa e alla nostra tv di continuare a raccontare la storia di un


Paese allo sfascio, popolato da persone pigre e corrotte quando ciò non è vero66, è stata
una precisa scelta politica e non è vero che è colpa nostra.

Creare le condizioni per cui, per la prima volta dal dopoguerra, le future generazioni saranno
più povere delle precedenti67, è stata una precisa scelta politica e non è vero che è colpa
nostra.

Costringerci ad una lotta fra poveri, mettendo a confronto i nostri bisognosi con gli immigrati
da altri paesi, al solo scopo di abbassare i salari per tutti68, è stata una precisa scelta politica
e non è vero che è colpa nostra.

Inserirci in un sistema europeo che esautora il governo nazionale dalla possibilità di


scegliere per sé, condizionando ogni sua decisione a quella di un potere non eletto e lontano
dal controllo democratico come quello della Troika, è stata una precisa scelta politica e non
è vero che è colpa nostra.

Privarci del nostro orgoglio nazionale, svilendo il concetto di patria come se fosse uno
sbiadito reperto del passato, mentre già solo la nazione più potente del mondo come gli Stati
Uniti d’America ne fa motivo di orgoglio e vanto, è stata una precisa scelta politica e non è
vero che è colpa nostra.

Questo è il male che ci hanno fatto.


Ed è nostro dovere fare tutto ciò che è in nostro potere per fermarlo.

L’alternativa è possibile.

66
​https://quifinanza.it/lavoro/italia-paese-europa-lavora-piu-ore/269212/
67

http://www.ansa.it/pmi/notizie/lavoro/2016/12/02/figli-piu-poveri-genitori-prima-volta_0237f801-19ed-461d-925a-4
64c5fba0151.html
68
​https://www.youtube.com/watch?v=rYuW0UlH3DE

54
Perché votare il 26 Maggio

Con questo testo spero sinceramente di essere riuscito a darvi un’immagine più chiara della
situazione. Era il mio scopo, e averlo raggiunto anche solo in parte mi renderebbe molto
felice.
Fondamentale per il nostro Paese e per la nostra dignità di italiani, è ritrovare la voglia di
difendere i nostri interessi e proteggere la nostra economia. Ne va della vita di tutti noi, e
soprattutto dei nostri figli.
Il 26 Maggio abbiamo l’opportunità in sede europea di manifestare il nostro disappunto nei
confronti di tutto “il male che ci hanno fatto”, riempiendo il Parlamento Europeo di persone
intenzionate a garantire che i nostri interessi siano protetti.
Come ho premesso all’inizio, alle elezioni europee che ci aspettano voterò Lega.
Non voglio provare a convincervi, non voglio stare qui a fare una lunga discussione.
Sappiate questo, però: il motivo della mia scelta è molto semplice: la Lega è l’unico partito a
non aver appoggiato il Governo Monti ed è l’unico partito, assieme al Movimento 5 Stelle, ad
essersi opposto continuamente alle politiche che hanno distrutto il nostro Paese negli ultimi
anni. Correggo: politiche scelte sapendo che avrebbero distrutto il nostro Paese.
Dire “prima gli italiani” non è populismo: è difendere lo scopo principe di uno Stato, nato e
organizzato per gli interessi dei propri cittadini.
È necessario tornare a fare grande la nostra nazione, occupandoci della nostra gente,
riconoscendo il valore del nostro popolo e dei nostri settori produttivi, da sempre modelli
esemplari. L’unico modo è quello di scegliere persone con questa volontà, attraverso il
nostro voto.
Non si parla di tornare alla lira, di cominciare a fare spese pazze e di aumentare gli stipendi
dei parlamentari per permettere loro una vita di sfarzi e godimento. Non si parla di rivivere i
tempi del fascismo o di mandare la nazione allo sbando, come ad alcuni piace far credere.
Si parla di riappropriarsi del potere che ci spetta e che ci è garantito dalla nostra
Costituzione, cioè quello di governare la nostra nazione e di autodeterminarci, facendo tutto
ciò che è nel nostro interesse e che può permettere a tutti i cittadini di vivere una vita degna
di essere vissuta.
Per la prima volta, sarà possibile avere una maggioranza totalmente differente da quella che
ha alimentato i fuochi europei in questi anni, composta dai partiti che - come detto - hanno
accettato senza fiatare le regole imposte, anche prima di tutti.
Armatevi di buona volontà, presa di coscienza, e prendete una decisione che finalmente
possa far cambiare rotta al nostro amato Paese.
Rifiutate qualunque partito che faccia campagna contro la nostra indipendenza, che si
preoccupi di paventare disastri attorno al nostro debito pubblico o che indichi come
impensabile la nostra permanenza in un mercato globale pronto ad inghiottirci.
Non date risalto a chi - a distanza di anni - ancora oggi disinforma raccontando una storia
all’incontrario del vero.
Non ascoltate coloro che ripetono costantemente che non possiamo farcela o che
preferiscono dedicarsi agli interessi di altre nazioni, sull’onda di un fantomatico “sogno
europeo” totalmente irrealizzabile.

55
Non è difficile fare quello che è giusto. Semmai, è difficile sapere cosa sia giusto fare.
Ma quando trovi quella risposta, quando capisci qual è la via per raggiungere ciò che cerchi,
la scelta giusta - poi - è difficile non farla.

Spero dunque di avervi aiutato a scegliere.

E che il 26 Maggio vi sentiate fortemente orgogliosi di essere italiani.


 
 
 
 
 
Circa 1000 persone in Italia si sono tolte la vita a causa della crisi economica, dal 2011 
ad oggi. 
 
Forse, potevano essere salvate. 
 
Non dimentichiamole. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

VIVA L’ITALIA 

56
Per approfondire

Se volete approfondire questi temi, vi consiglio di acquistare i due libri del professor Alberto
Bagnai, ​Il Tramonto dell’euro69 e ​L’Italia può farcela70, oltre a seguire il suo blog all’indirizzo
http://goofynomics.blogspot.com​. La sezione “Per cominciare” è ideale per chi vuole iniziare
ad arrivare a fondo alle questioni economiche che influenzano la nostra vita.

Consiglio inoltre la lettura del libro di Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia citato in
precedenza, che mette in evidenza tutte le contraddizioni della moneta unica; il titolo è
L’euro. Come una moneta comune minaccia il futuro dell’Europa.​ 71

Vi indico poi due video che possono aiutarvi a capire meglio ciò che è accaduto:

“È vero che Monti ha salvato l’Italia? - Alessandro Greco”


https://www.youtube.com/watch?v=gm24m72qY6o
“Ce lo chiede l’Europa - Alberto Bagnai”
https://www.youtube.com/watch?v=gEhZMldT-FE

Per rimanere aggiornati sulle questioni trattate in questo testo, vi consiglio di seguire su
Twitter le seguenti persone (a cui va il mio personale ringraziamento):

Claudio Borghi | ​@borghi_claudio


Alberto Bagnai | ​@AlbertoBagnai
Fabio Dragoni | ​@fdragoni
Claudio Messora | ​@byoblu

Il programma della Lega - Salvini Premier può essere trovato qui:


https://salvinipremier.it/t_programma.asp?l2=1802

69
​https://www.amazon.it/tramonto-delleuro-Alberto-Bagnai/dp/8897949282
70
​https://www.amazon.it/farcela-flessibilit%C3%A0-democrazia-Strategie-globalizzazione/dp/8842820482/
71
​https://www.amazon.it/Leuro-moneta-comune-minaccia-dellEuropa/dp/8806230131

57

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