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Appunti su ‘Vasche di prima pioggia e di laminazione’.

Corso di Costruzioni Idrauliche, Marittime e Idrologia 2


Prof. M. Marani
A.A. 2005/2006

Vasche di prima pioggia

L’inquinamento associato alle acque di scorrimento superficiale di aree urbanizzate è una


delle principali cause di alterazione della qualità dei corpi ricettori. Infatti, nelle aree urbane
le acque meteoriche dilavano un miscuglio eterogeneo di sostanze disciolte, colloidali e
sospese.
Una parte significante del carico inquinante delle acque di pioggia deriva dal dilavamento
atmosferico di inquinanti di origine naturale e antropica. In prevalenza, il carico inquinante
di origine atmosferica riguarda i composti disciolti (metalli, cloruri, sodio). La troposfera
inoltre contiene aerosol, polveri e gas inquinanti come CO, SO2, NOx, e idrocarburi volatili
provenienti da immissioni industriali e veicolari e da processi di combustione incompleti.
In particolare alta è la presenza in prossimità di zone ad alta densità abitativa di metalli
pesanti connessi al traffico su ruota: Zn e Cd sono associati all’usura dei pneumatici, Cr e
Cu alla corrosione della carrozzeria e delle parti meccaniche in movimento, Pb e Ni agli
scarichi dei veicoli e agli oli lubrificanti.
Successivamente l’acqua entra in contatto con le superfici urbane, dalle quali rimuove una
parte del materiale accumulato durante i periodi asciutti. Tale materiale deriva dalla
deposizione atmosferica nei periodi secchi, dal traffico veicolare (derivati di combustione
dei carburanti, usura dei pneumatici, parti meccaniche e impianto frenante dei veicoli,
corrosione della carrozzeria, etc.), da rifiuti in prevalenza organici, dalla vegetazione,
dall’erosione del suolo ed alla corrosione delle superfici.
Infine, l’acqua giunge alla rete fognaria, dove può risospendere i sedimenti qui
precedentemente accumulati durante i periodi caratterizzati da piccole portate. Nei sistemi
di fognatura separata, la risospensione è connessa alle particelle depositate in occasione
di eventi precedenti, mentre nelle reti di tipo misto, vengono risospesi anche sedimenti di
natura organica.
A causa delle interazioni tra precipitazione, atmosfera e superfici dilavate, particolare
rilevanza ambientale assumono dunque le cosiddette acque di prima pioggia: esse sono
costituite dal volume d’acqua meteorica di scorrimento defluito durante la prima parte della
precipitazione. Tale frazione di pioggia è caratterizzata da elevate concentrazioni di
sostanze inquinanti e richiedono particolari procedure di smaltimento.

Quadro legislativo essenziale

L’art. 39 del Decreto Legislativo 11 maggio 1999 n° 152 e del Decreto Legislativo n ° 258
del 2000 riguardante le acque meteoriche di dilavamento e acque di prima pioggia e di
lavaggio delle aree esterne afferma che vanno disciplinate “ ai fini della prevenzione dai
rischi idraulici ed ambientali”, rimandando alle regioni l’autorità in materia.
Da un punto di vista cronologico, la prima regolamentazione ad affrontare l’argomento in
modo diretto è la legge regionale della Lombardia del 27 maggio 1985 n°62 relativa alla
“Disciplina degli scarichi degli insediamenti civili delle fognature pubbliche e tutela delle
acque sotterrane dall’inquinamento”. L’art. 20 comma 2 di tale legge regionale definisce
“acque di prima pioggia” quelle corrispondenti per ogni evento meteorico ad una
precipitazione di 5mm uniformemente distribuita sull’intera superficie scolante servita dalla
rete di drenaggio. Lo stesso articolo stabilisce che, ai fini del calcolo delle portate, tale
precipitazione deve considerarsi avvenire per una durata di 15 minuti e indica un
coefficiente di afflusso alla rete pari a 1 per le superfici lastricate o
impermeabilizzate e pari a 0,3 per quelle permeabili. Successivamente lo stesso
Consiglio Regionale ha chiarito che devono considerarsi acque di prima pioggia risultanti
da eventi meteorici che si succedono a distanza l’uno dall’altro non inferiore a 48 ore e
provenienti da superfici scolanti di estensione superiore a 2000 m2 (computati escludendo
le aree a verde). Le rimanenti regioni si sono per la maggior parte allineate alla normativa
della regione Lombardia, la quale è ormai adottata da quasi tutte le regioni italiane.

La necessità di avviare al trattamento le acque di prima pioggia richiede la predisposizione


di opportuni volumi di immagazzinamento, vasche di prima pioggia, che consentano di
immagazzinare tali acque onde rispettare le ridotte portate che caratterizzano
normalmente gli impianti di depurazione. Soluzioni alternative più recenti, ma ancora
sperimentali, sono costituite da impianti filtranti in grado di trattare in continuo la portata
defluente. Tali impianti sono normalmente utilizzati nelle situazioni in cui non sia possibile
inviare le acque di prima pioggia a vicini impianti di trattamento o per le quali sia
consigliabile la depurazione di una maggiore frazione delle acque di dilavamento (e.g.
deflussi nella Laguna di Venezia).

Vasche di prima pioggia di tipo tradizionale

Nella pratica corrente, le acque di prima pioggia vengono separate da quelle successive
(seconda pioggia) e rilanciate all’unità di trattamento (Dissabbiatori, Disoleatori, etc)
tramite un bacino di accumulo interrato di capacità tale da contenere il volume d’acqua
corrispondente ai primi 5mm di pioggia caduta sulla superficie scolante di pertinenza
dell’impianto.

Il bacino è preceduto da un pozzetto separatore che contiene al proprio interno uno


stramazzo su cui sfiorano le acque di seconda pioggia dal momento in cui il pelo libero
dell’acqua nel bacino raggiunge il livello della soglia dello stramazzo. Nel bacino è di solito
prevista una pompa di svuotamento che viene attivata automaticamente da una sonda
rivelatrice di pioggia.
Schema di una vasca di prima pioggia e del relativo pozzetto di separazione

Vasche a trattamento continuo

Tali impianti sono costituiti da una vasca di raccolta la quale contiene un sistema di filtri ad
alta capacità di trattamento, dell’ordine di 1 l/s per ciascuna unità filtro. Poiché le unità filtro
possono essere alcune centinaia le portate che è possibile trattare sono potenzialmente
piuttosto elevate. Il sistema di filtraggio presenta il vantaggio di non richiedere l’impiego di
flocculanti ed è caratterizzato da filtri auto-pulenti di lunga durata. Anziché prevedere il
trattamento dei soli 5 mm iniziali di pioggia, l’impianto può essere dimensionato per il
trattamento di una frazione fissata di pioggia (anche pari al 95%) rispetto ad un tempo di
ritorno di progetto (e.g. 30 anni). Tale approccio consente di contenere sensibilmente la
quantità totale di inquinanti sversati nel corpo ricettore rispetto all’impostazione
tradizionale.

I filtri esistenti sono in grado di trattenere sedimenti, nutrienti, metalli, le schiume


superficiali, gli olii e i grassi. Nel caso di presenza di olii e grassi in quantità superiore a 5
g/l è tuttavia necessario prevedere un pre-trattamento di disoleazione.
Vasche di laminazione

Generalità e quadro normativo

L’urbanizzazione, aumentando sensibilmente l’estensione delle superfici impermeabili,


comporta un’importante alterazione delle frazioni di pioggia infiltrata, da un lato
aumentando il deflusso superficiale e quindi i contributi di piena, dall’altro riducendo la
ricarica delle falde.

(estratto dagli allegati della legge regionale del veneto)


In quest’ottica la legge ‘Sarno’ (267/98) istituisce i Piani per l’Assetto Idrogeologico (PAI),
da adottarsi da parte delle Autorità di Bacino e delle Regioni. I PAI devono recare norme
per la regolamentazione idraulica e idrologica degli strumenti urbanistici generali e delle
loro varianti. In particolare, la Giunta Regionale del Veneto (delibera delibera n. 3637 del
13.12.2002 e piano di tutela delle acque del 2004) ha previsto che per tutti gli strumenti
urbanistici generali e le varianti, generali o parziali o che, comunque, possano recare
trasformazioni del territorio tali da modificare il regime idraulico esistente, sia presentata
una “Valutazione di compatibilità idraulica”.

Scopo fondamentale della valutazione è quello di far si che le valutazioni urbanistiche, sin
dalla fase della loro formazione, tengano conto delle possibili alterazione del regime
idraulico che le nuove destinazioni o trasformazioni d’uso del suolo possono venire a
determinare. Per i nuovi strumenti urbanistici, o per le varianti, dovranno essere analizzate
le problematiche di carattere idraulico, individuate le zone di tutela e fasce di rispetto a fini
idraulici ed idrogeologici nonché dettate le specifiche discipline per non aggravare
l’esistente livello di rischio idraulico, fino ad indicare tipologia e consistenza delle misure
compensative da adottare nell’attuazione delle previsioni urbanistiche.

La valutazione di compatibilità idraulica ha un duplice scopo:

- In primo luogo deve essere verificata l’ammissibilità dell’intervento, considerando le


interferenze tra i dissesti idraulici presenti e le destinazioni o trasformazioni d’uso del suolo
collegate all’attuazione della variante. I relativi studi di compatibilità idraulica potranno
prevedere anche la realizzazione di interventi per la mitigazione del rischio, indicandone
l’efficacia in termini di riduzione del pericolo.
- In secondo luogo va quantificato l’incremento del coefficiente di deflusso ed il
conseguente aumento del coefficiente udometrico delle aree trasformate. Ogni progetto di
trasformazione dell’uso del suolo che provochi una variazione di permeabilità superficiale
deve prevedere misure compensative volte e mantenere costante il coefficiente
udometrico secondo il principio dell’”invarianza idraulica”.

In linea generale le misure compensative sono da individuare nella predisposizione di


volumi di invaso che consentano la laminazione delle piene. Potrà essere preso in
considerazione il reperimento di nuove superfici atte a favorire l’infiltrazione dell’acqua,
solamente come misura complementare in zone non a rischio di inquinamento della falda
e ovviamente dove tale ipotesi possa essere efficace.
Lo studio idrologico annesso alla valutazione della compatibilità idraulica dovrà essere
corredato di analisi pluviometrica con ricerca delle curve di possibilità climatica per durate
di precipitazione corrispondenti al tempo di corrivazione critico per le nuove aree da
trasformare. Il tempo di ritorno cui fare riferimento viene definito pari a 50 anni. I
coefficienti di deflusso, ove non determinati analiticamente, andranno convenzionalmente
assunti pari a:

- 0.1 per le aree agricole;


- 0.2 per le superfici permeabili (aree verdi);
- 0.6 per le superfici semi-permeabili (grigliati drenanti con sottostante materasso
ghiaioso, strade in terra battuta o stabilizzato, …);
- 0.9 per le superfici impermeabili (tetti, terrazze, strade, piazzali,…..).
I metodi per il calcolo delle portate di piena potranno essere di tipo concettuale ovvero
modelli matematici.
Tra i molti modelli di tipo analitico/concettuale di trasformazione afflussi-deflussi disponibili
in letteratura si può fare riferimento a tre che trovano ampia diffusione in ambito
internazionale e nazionale:

- il Metodo Razionale, che rappresenta nel contesto italiano la formulazione


sicuramente più utilizzata a livello operativo;
- il metodo dei Curve Number proposto dal Soil Conservation Service (SCS)
americano [1972] ora Natural Resource Conservation Service (NRCS);
- il metodo dell’invaso.

Tuttavia è sempre consigliabile produrre stime delle portate con più metodi diversi e
considerare ai fini delle decisioni i valori più cautelativi o comunque ritenuti appropriati dal
progettista in base alle opportune considerazioni caso per caso.

Appare opportuno inoltre introdurre una classificazione degli interventi di trasformazione


delle superfici. Tale classificazione consente di definire soglie dimensionali in base alle
quali si applicano considerazioni differenziate in relazione all'effetto atteso dell'intervento.
La classificazione è riportata nella seguente tabella.

Nelle varie classi andranno adottati i seguenti criteri:

- nel caso di trascurabile impermeabilizzazione potenziale, è sufficiente adottare


buoni criteri costruttivi per ridurre le superfici impermeabili, quali le superfici dei
parcheggi;
- nel caso di modesta impermeabilizzazione, oltre al dimensionamento dei volumi
compensativi cui affidare funzioni di laminazione delle piene è opportuno che le luci
di scarico non eccedano le dimensioni di un tubo di diametro 200 mm e che i tiranti
idrici ammessi nell’invaso non eccedano il metro;
- nel caso di significativa impermeabilizzazione, andranno dimensionati i tiranti idrici
ammessi nell’invaso e le luci di scarico in modo da garantire la conservazione della
portata massima defluente dall’area in trasformazione ai valori precedenti
l’impermeabilizzazione;
- nel caso di marcata impermeabilizzazione, è richiesta la presentazione di uno
studio di dettaglio molto approfondito.
In caso di terreni ad elevata capacità di accettazione delle piogge (coefficiente di
filtrazione maggiore di 10-3 m/s e frazione limosa inferiore al 5% ), in presenza di falda
freatica sufficientemente profonda e di regola in caso di piccole superfici
impermeabilizzate, è possibile realizzare sistemi di infiltrazione facilitata in cui convogliare
i deflussi in eccesso prodotti dall’impermeabilizzazione.

Tuttavia le misure compensative andranno di norma individuate in volumi di invaso per la


laminazione di almeno il 50% degli aumenti di portata. Qualora si voglia aumentare la
percentuale di portata attribuita all’infiltrazione, fino ad una incidenza massima del 75%, Il
progettista dovrà documentare, attraverso appositi elaborati progettuali e calcoli idraulici,
la funzionalità del sistema a smaltire gli eccessi di portata prodotti dalle superfici
impermeabilizzate rispetto alle condizioni antecedenti la trasformazione, almeno per un
tempo di ritorno di 100 anni nei territori di collina e montagna e di 200 anni nei territori di
pianura.
(fine estratto allegati legge giunta regionale del veneto)

Riguardo alle dimensioni degli invasi, secondo il genio civile di Padova è necessario
garantire una capacità di invaso minima pari a 300 m3/hm2, indicazione spesso recepita
dai consorzi di bonifica veneti. Tuttavia, più precise determinazioni sono da eseguirsi,
particolarmente nel caso di marcate impermeabilizzazioni.

Per la realizzazione di misure compensative, i volumi necessari possono essere ricavati


secondo le seguenti principali modalità:

- realizzazione di parte o di tutte le superfici impermeabilizzate utilizzando materiali in


grado di far infiltrare parte della precipitazione (e.g. grigliati erbosi);
- sovradimensionamento dei collettori di raccolta delle acque bianche;
- disposizione di vasche interrate per la laminazione delle portate;
- predisponendo o ampliando fossati di scolo;
- maggiorando scoline e drenaggi nel caso di superfici stradali impermeabili;
- individuando aree verdi temporaneamente esondabili, da adibirsi a superfici di
invaso;
- creando volumi riempiti con materiale granulare poroso nelle parti concave delle
aree a verde;

Misure complementari sono quelle volte ad aumentare l’infiltrazione nel terreno e possono
essere realizzate per mezzo di:

- bacini di infiltrazione. Raccolgono i deflussi dalle zone circostanti e ne consentono


l’infiltrazione in tempi successivi;
- canali filtranti. Sono costituiti da trincee in grado di far filtrare nel terreno parte della
portata;
- pavimentazioni filtranti. Costituite da superfici alveolari di materiale lapideo o
sintetico.
Schema di una vasca di laminazione al servizio di una zona di parcheggio. Si noti come in questi
casi sia opportuno riunire la funzionalità di una vasca di prima pioggia a quella di laminazione.

Sistema di realizzazione di invasi diffusi al di sotto del piano campagna per mezzo di elementi vuoti
in polietilene ad alta densità. Gli stessi elementi possono essere utilizzati sia per realizzare un
sistema di drenaggio, sia per realizzare un sistema di dispersione delle acque.
Caratteristiche esemplificative di un sistema di drenaggio/invaso diffuso.

Posa in opera degli elementi di invaso/drenaggio.

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