VIII secolo Fiorire a Lesbo delle città di Mitilene e Metimna; da qui e da Cuma (sul continente) partono spedizioni
coloniali verso l’interno della Troade e in Frigia. Il regno di Frigia appare poco interessato a questa espan-
sione essenzialmente agricola, anche perché si trova a fronteggiare le più pericolose scorrerie dei Cimmeri.
VII Secolo I Lesbi rifondano Ilio, in seguito si spingono fino a Sesto, sulla riva europea dell’Ellesponto, e poi ancora
in Tracia (Alopeconneso ed Eno alla foce dell’Ebro). A Mitilene dominano i Pentilidi. Sale la potenza della
Lidia, che argina i Cimmeri, e (soprattutto con la dinasta dei Mermnadi, da Gige a Creso) inaugura una
politica espansionistica verso la costa, occupando Colofone e minacciando Smirne e Mileto.
630-620 Un colpo di Stato, guidato da Megacle, elimina il «re» Pentilo, cui si sostituisce un regime guidato dai
Cleanattidi. A Megacle succede Melancro.
620-610 Gli Ateniesi fondano la Colonia fortificata di Sigeo, con lo scopo di controllare lo Stretto. I Cleanattidi
inaugurano una politica filolidia, riprendendo o rafforzando i rapporti commerciali con Sardi.
610-600 Aliatte diventa re di Lidia. Un nuovo colpo di Stato a Mitilene toglie di mezzo Melancro, che viene sostitui-
to da Mirsilo, forse della stessa famiglia. Al colpo di Stato partecipano anche la famiglia di Alceo e Pittaco.
Un ulteriore tentativo di rovesciare Mirsilo, sostenuto ora da Pittaco e anche dagli Archeanattidi, fallisce.
LA LIRICA MONODICA
Probabile esilio di Alceo a Pirra, una località al Centro di Lesbo. Lo scontro con Atene si acuisce; Pittaco
vince in duello il capo degli Ateniesi; un arbitrato del corinzio Periandro dà ragione ai Lesbi; gli Ateniesi
forse si ritirano; stabiliscono comunque un insediamento a Eleunte sulla sponda europea.
600-590 Muore Mirsilo, e gli succede Pittaco, che si è imparentato con la famiglia dei Pentilidi; Pittaco è nominato
(all’incirca “arbitro”, “mediatore”) per dieci anni e governa senza modificare le istituzioni,
cercando di moderare lo strapotere dei clan e le loro continue risse per il dominio politico. Molte famiglie
vanno in esilio, fra cui Alceo (in Lidia) e forse Saffo (in Sicilia). In seguito Pittaco si ritira, gli esiliati rien-
trano; la città ritorna nelle condizioni politiche precedenti; le nostre informazioni (ricavabili dalle opere
di Saffo e Alceo) si esauriscono.
[Da: Saffo. Frammenti, a cura di A. Aloni, Firenze, Giunti 1997, CII-CIII]
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20 LA LIRICA MONODICA
Lingua poetica In secondo luogo, lingua e metrica mostrano la presenza di filoni poetici indige-
tradizionale ni, elaborati nell’ambito di canti cultuali e di lavoro per noi perduti, ma che Saffo
e Alceo largamente rinnovano pur nella ricezione di forme e temi della poesia
omerica e più in generale della tradizione poetica «ionica». Così il linguaggio
resta ampiamente radicato nel vernacolo isolano anche se ingloba al proprio in-
terno sia forme ormai scomparse dall’uso ma conservate dalla tradizione poetica
orale dell’isola, sia tratti anche formulari (e con essi vicende mitiche) ereditati
dall’epos ionico.
La metrica La metrica invece offre da una parte una varietà di versi e cola, spesso a cellula
cola coriambica (– –) e con base libera bisillabica, che si attengono rigorosamente
coriambica al principio dell’ isosillabismo (senza cioè possibilità di «soluzione» di una lunga
LA LIRICA MONODICA
base libera in due brevi o di «contrazione» di due brevi in una lunga), dall’altra una serie di
isosillabismo strofe quasi sempre molto brevi e regolarmente ripetute: in particolare, la strofe
strofe saffica e la strofe alcaica che, originariamente tristiche, furono trasformate in
tristiche tetrastiche dalla prassi dei grammatici alessandrini di distribuire l’ultimo verso
tetrastiche su due righe separate.
Funzione Anche l’orizzonte sociologico nel cui ambito nasce e viene comunicata questa
e pubblico dei canti poesia rivela importanti tratti in comune: sia Alceo che Saffo compongono i loro
LO SVILUPPO DI UNA CULTURA EOLICA A LESBO 5221
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canti per un gruppo aristocratico (rispettivamente la consorteria politica e il tiaso
femminile) fondato su vincoli profondi e collegato al culto di determinate divi-
nità (da un lato soprattutto Ares e la triade eolica, dall’altro Afrodite e le Muse).
Eteria e tiaso Non meno significative si prospettano le differenze, dal momento che l’eteria po-
litica era un organismo, cementato da un giuramento collettivo, che poteva essere
abbandonato solo col tradimento dei «compagni»; il tiaso, invece, era un’isti-
tuzione, integrata nel programma educativo dell’aristocrazia, che accoglieva le
fanciulle dell’isola o della costa anatolica per il tempo che andava dalla fine
dell’infanzia al momento in cui, con il matrimonio, esse lasciavano la cerchia in
cui si era compiuta la loro formazione.
LA LIRICA MONODICA
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22 LA LIRICA MONODICA
), per , per ;
• participi perfetti attivi con le desinenze caratteristiche del presente (- /
- ): per ;
• la desinenza - per gli infiniti dei verbi tematici, ad esempio per ;
• gli infiniti in - ,- per i verbi atematici: ( ) per , ( )
per ;
• la forma apocopata di alcune preposizioni: per , per ;
• l’uso della particella modale ( ) in luogo di .
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Alceo
La vita
La partecipazione
alla lotta politica A lceo (in lesbio , in attico ) nacque a Mitilene verso il 620 a.C.
e trascorse la vita fra le aspre lotte per l’egemonia condotte dalle famiglie
aristocratiche che appunto a Mitilene aspiravano al potere. Il poeta era ancora un
ragazzo quando vide i suoi fratelli Antimenida e Cici partecipare all’impresa con
cui, nel 612, Pittaco rovesciò il tiranno Melancro: questi aveva ottenuto il potere
dopo una serie di lotte culminate con l’abbattimento del regime della famiglia dei
Pentilidi, che faceva risalire le proprie origini al figlio di Oreste, Pentilo, mitico
colonizzatore di Lesbo.
Il controverso In seguito Alceo combatté a fianco di Pittaco nella guerra contro Atene per
rapporto il possesso del Sigeo, nella Troade, senza tuttavia coprirsi di gloria, poi-
con Pittaco…
ché dovette fuggire abbandonando le armi, come egli raccontava inviando al
compagno di eteria Melanippo un carme che cominciava dicendo (fr. 401B
Voigt):
Alceo è salvo, ma lo scudo
lo hanno appeso gli Ateniesi al tempio di Atena Glaucopide.
L’arbitrato Per dieci anni, fino al 580 circa, Pittaco resse allora la città come «arbitro»
di Pittaco e l’esilio ( ) tra le fazioni e fu in grado di ristabilire l’ordine e sedare gli in-
LA LIRICA MONODICA
.
524
52
24 LA LIRICA MONODICA
Macina, mola, macina!
Anche Pittaco macinava
quando regnava sulla grande Mitilene.
Il ritorno in patria Non si sa nulla di certo sulla conclusione della storia dei rapporti fra Alceo e
e la vecchiaia Pittaco. Alcuni accenni sembrano suggerire che il poeta, dopo aver viaggiato in
paesi stranieri, approfittando della fine dell’incarico di Pittaco, beneficiasse di
un’amnistia e potesse rientrare a Mitilene. Forse in questa occasione poté salu-
tare il ritorno del fratello Antimenida, che aveva combattuto come mercenario al
servizio dei Babilonesi (fr. 350 Voigt):
………………………………………
, ,
‹›
.
Dalla fine del mondo sei venuto. D’avorio,
legata in oro è l’elsa della spada:
[hai combattuto coi Babilonesi]
coprendoti di gloria, in mille rischi salvandoli.
Era un gigante l’uomo che uccidesti
sul campo: misurava
cinque cubiti regi meno un palmo.
[Tr. di F.M. Pontani]
Non sono noti altri particolari della sua vita né la data della morte, ma un fram-
mento (50, 1 s. Voigt) lo mostra vecchio e stanco:
Su questo mio capo che molto ha sofferto versa unguento
LA LIRICA MONODICA
L’opera
Gli argomenti
dei carmi R esta problematica la ricostruzione dei criteri seguiti dai grammatici alessan-
drini nell’organizzare il materiale poetico ad essi pervenuto. I carmi dovettero
essere divisi in dieci libri, non comunque secondo un criterio metrico: qualche
ALCEO 5225
525
citazione sembra accennare a partizioni di carattere contenutistico, come «canti
della guerra civile ( )» e «carmi conviviali». Il I libro conteneva in
numero notevole, anche se non esclusivamente, inni agli dèi.
Inni cultuali e mitici Oltre ai canti politici e a quelli metasimposiali, i due generi che rappresentano le
metasimposiali forme più caratteristiche della poesia alcaica, ci restano frammenti significativi
anche di inni cultuali – come quelli ai Dioscuri (fr. 34 Voigt), al fiume Eno (fr.
45 Voigt), ad Atena (fr. 325 Voigt) – e di rievocazioni di momenti del mito, come
nel caso delle nozze di Peleo e Tetide (fr. 42 Voigt) o della violenza perpetrata,
al momento della presa di Ilio, da Aiace locrese su Cassandra presso il simulacro
di Atena (fr. 298 Voigt).
Poesia e pubblico Dai frammenti di Alceo emergono le immagini di un mondo, quello dell’ari-
simpodiale stocrazia eolica, dove la lotta politica fa da sfondo a un gusto per gli aspetti
edonistici della vita, l’eros e il simposio innanzi tutto: un gusto caratteristico di
quel ristretto gruppo sociale a cui è funzionale tutta la poesia di Alceo, che aveva
come pubblico primario proprio i membri dell’eteria e come luogo della prima
performance le sue riunioni simposiali.
Come ha osservato B. Gentili, «il legame pragmatico-espressivo, di ordine ma-
teriale e psicologico, è un elemento imprescindibile nella coerenza della poesia
alcaica: il politico e il poeta perseguono un solo identico itinerario, che è l’itine-
rario stesso dell’eteria degli Alceidi impegnati nella lotta per il potere. Ne con-
segue che l’impianto del discorso, nelle diverse movenze narrative, si pone in un
reciproco rapporto di emozionalità con il proprio oggetto, gli eventi drammatici
della guerra civile, e con il proprio uditorio. Dionisio di Alicarnasso coglie nel
segno quando afferma che basta togliere il metro ai carmi di Alceo per avere un
discorso politico».
Il linguaggio Nel contesto simposiale in cui si ambienta la poesia di Alceo, che ha come de-
«criptico» dell’eteria: stinatario il pubblico selezionato ed omogeneo dell’eteria, il linguaggio è spesso
l’allegoria della nave
codificato in metafore ardite o anche allegorie, che possono risultare criptiche a
coloro che sono estranei.
Così, ad esempio, nel caso del celebre frammento sulla nave in mezzo alla tem-
pesta, ogni elemento della rappresentazione ha il suo correlativo nella condizione
politica della città, pressata dai cittadini delle varie fazioni: se abbastanza chiara
è l’immagine nei suoi dettagli (il vento, l’onda, la nave, la vela a brandelli, l’ac-
LA LIRICA MONODICA
qua nella sentina, ecc.), del tutto incerti sono (e lo erano anche per i commenta-
tori antichi) il significato complessivo e l’interpretazione allegorica dei singoli
elementi.
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LA LIRICA MONODICA
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Figurazione delle La vigilia di uno scontro armato può essere fissata da Alceo anche in modi diver-
armi ed esortazione si, senza far ricorso al procedimento allegorico, come quando l’esortazione alla
a combattere
lotta imminente viene preparata da un dettagliato elenco, condotto con rapido
taglio paratattico, dei cimeli marziali appesi alle pareti di uno spazio che va pro-
T5 babilmente identificato con un tempio sacro ad Ares: il nesso tra figurazione ed
esortazione svela la funzione pragmatica di ciò che sembra inizialmente proporsi
come mera osservazione.
La ripresa «politica» Analogamente Alceo riesce a sfruttare i moduli convenzionali dell’inno agli dèi
dei moduli dell’inno come nocciolo da cui si sprigionano ancora una volta la passione politica e l’odio
sacro
contro il «traditore» Pittaco in un carme (fr. 129 Voigt) riconducibile al periodo
T3 dell’esilio trascorso a Pirra.
Anche altrove l’esperienza dell’esilio, col senso di frustrazione e di emarginazio-
ne che ne derivava, provoca in Alceo un ricorso agli dèi, un rifugio nell’area del
sacro. Molto suggestivo in questa prospettiva appare il fr. 130b Voigt, relativo
LA LIRICA MONODICA
La poesia Quello che con termine postmoderno potremmo chiamre riflusso è l’altra faccia
del «riflusso» dell’impegno tipico della poesia politica di Alceo. Questa tendenza si esprime
nei momenti della pausa, dell’insuccesso, dell’attesa forzata e si sviluppa per
Alceo e per la sua eteria nello spazio del convito, o meglio – dal momento che
il convito è lo scenario per l’esecuzione di tutta la produzione di Alceo – in una
dimensione «metasimposiale»: in questo caso, infatti, i canonici inviti al bere si
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52
28 LA LIRICA MONODICA
pongono esplicitamente (si «drammatizzano») come occasione del canto e della
riflessione che esso può contenere. Bere dunque per dimenticare le pene, come
T9 nel fr. 335 Voigt, o nel fr. 346 Voigt, con l’invito ad anticipare l’ora simposio,
nella consapevolezza della precarietà umana, per affogare il dolore con una mi-
T11 stura particolarmente forte di vino e acqua. Bere per resistere ai rigori dell’inver-
no (fr. 338 Voigt.), in una scena in cui il bere accanto al fuoco è emblema del
T10 conforto offerto dall’amicizia. Bere, all’opposto, per sopportare gli ardori della
T12 canicola (fr. 347 Voigt). Bere, infine, con più acuta sensibilità esistenziale e con
sapiente riuso del mito di Sisifo, per accettare il ritmo della vita senza sfibrarsi
T1 in temerarie illusioni.
Poeta ad alto Come ha sottolineato W. Rösler (vedi Lettura critica «L’invito a bere nel simpo-
grado alcoolico sio alcaico», p. 000) in polemica con antichi e moderni che più o meno esplicita-
mente hanno ricondotto gli inviti al bere a una reale propensione alcolica del po-
eta (già Ateneo 430a rimproverava al peripatetico Cameleonte di ignorare quella
per cui «sorprendiamo questo poeta a bere in ogni stagione e in ogni
circostanza»), «Alceo non forniva pretesti per bere, ma in un certo senso legit-
timazioni a posteriori, conferme di un fatto (si stava già insieme), anche se esse
si presentavano formalmente come spontanea reazione a una causa qualunque.
Un’impressione del genere è ottenuta soprattutto grazie a indicazioni temporali o
accenni a condizioni esterne, a cui sono connessi di volta in volta i diversi appel-
li simposiali (“ed è subito sera” [346], “è freddo fuori” [338], “estrema calura”
[347]). Anche se non è da escludere che Alceo sia stato in grado di improvvisare
carmi piuttosto brevi di contenuto topico (ma difficilmente un canto molto ricer-
cato come il fr. 347), la seguente spiegazione è in ogni caso più completa: Alceo
anticipava nella stesura situazioni tipiche come quelle menzionate e poi eseguiva
i relativi canti quando si presentava effettivamente la situazione corrispondente».
Si creava in tal modo una peculiare sinergia: «Alceo esorta gli amici a bere pro-
prio mentre li costringe ad ascoltare le sue poesie; in questo modo, sia gli amici
che vengono direttamente interpellati dal poeta sia quelli che fanno parte della
comitiva gustano, nello stesso tempo, il vino e la poesia. Il vino che viene versato
nel bicchiere e le poesie che vengono cantate da Alceo vanno nella stessa dire-
zione, l’uno a stimolare i sensi (la vista, l’olfatto, il gusto), le altre - attraverso
l’udito - a penetrare nel cuore dei convitati; grazie alla loro azione combinata,
entrambi provocano nei presenti il massimo benessere, il duplice piacere del cor-
po e dell’anima» (S. Beta).
LA LIRICA MONODICA
ALCEO 5229
529
Saffo
Hydría (kálpis) attica
decorata nella cosiddetta
«tecnica di Six» dal Pittore
di Saffo. 500-490 circa a.C.
Provenienza sconosciuta;
ora a Goluchow, Museo
Czartoryski (Polonia).
Sul corpo dell’hydría
è tracciata una figura
femminile stante, che
indossa chitone ricamato
ed himátion, intenta a
suonare con il plettro la
lira. Accanto è inciso il
nome Psafwv (Saffo), che
caratterizza questa come
la prima raffigurazione in
assoluto della poetessa.
La vita
Aneddotica
S affo (in lesbio , in attico ) nacque in Lesbo nella città di Ereso
(o a Mitilene), da Scamandronimo e Cleide, verso il 610 a.C. Pochi e non
esenti da sospetti di falsificazione biografistica sono gli episodi della sua vita che
noi conosciamo. Rimasta orfana di padre quando era ancora bambina, viveva a
Mitilene quando andò sposa a un ricco possidente originario di Andro, dal quale
ebbe una figlia di nome Cleide.
Il romanzo amoroso Dei suoi tre fratelli il più giovane, Larico, fu coppiere nel pritaneo di Mitilene,
di Carasso mentre il secondo, Eurigio, ci è pressoché sconosciuto. Da Erodoto (II 134-135)
ricaviamo qualche notizia interessante sul più anziano, Carasso: intrapreso un
traffico commerciale con l’Egitto e giunto nella colonia di Naucrati, Carasso si
innamorò di Dorica, un’etera tracia ricordata da Erodoto col nome Rodopi, forse
per errore (a meno che Rodopi «Sguardo di rosa» non fosse un vezzeggiativo):
non è escluso – come ipotizza A. Aloni – che potesse trattarsi di una prostituta sa-
cra di Afrodite, vista la presenza a Naucrati di un tempio di Afrodite e sulla base
di nuova documentazione che attesta l’esistenza di varie forme di prostituzione
LA LIRICA MONODICA
Vittima indiretta Ben diversamente che in Alceo, nell’opera di Saffo a noi nota sono assolutamen-
delle lotte politiche te eccezionali allusioni ai profondi rivolgimenti politici che sconvolsero l’isola
di Lesbo, ma in un brano si fa riferimento all’esilio dei Cleanattidi, la famiglia
a cui apparteneva Mirsilo, e alla politica di austerità perseguita da Pittaco, che
impediva alla poetessa di procurare alla figlia Cleide un prezioso copricapo pro-
veniente dalla Lidia.
Saffo subì in prima persona le conseguenze della lotta tra le fazioni: fu infatti
esiliata con la famiglia, trovando rifugio in Sicilia in una data compresa tra il
604 e il 599. A Mitilene poté tornare dopo il 590, verosimilmente in seguito agli
sforzi compiuti da Pittaco per giungere a una pacificazione generale e duratura.
Qui Saffo rimase presumibilmente fino alla morte, sopraggiunta quando doveva
essere già anziana, come risulta da alcuni frammenti che alludono a una sua età
T11 e 12 ormai avanzata, in particolare il fr. 58 Voigt, sul quale torneremo.
Il romanzo del Sicuramente romanzesca è la tradizione per cui sarebbe morta suicida precipi-
suicidio per amore tandosi dalla rupe di Leucade per amore non corrisposto del bellissimo barcaiolo
Faone, attestata a partire da Menandro, che scriverà una commedia sul tema, la
Leucadia. Dal fr. 258 Körte-Thierfelder si evince che l’argomento doveva essere
ben noto; del resto noi sappiamo che, a partire da Amipsia, vari autori della Com-
media Antica, e soprattutto di quella di Mezzo, intitolarono loro opere o Saffo o
Faone o Leucadia; la leggenda sarà immortalata da Ovidio nella XV delle sue
Heroides. In realtà questa invenzione biografica, presentata in una moltitudine
di varianti, dovette sorgere come variazione del mito che connetteva Faone (il
cui nome – da «luce» – ne denuncia l’origine come divinità solare eolica)
LA LIRICA MONODICA
con Afrodite.
Le opere
L’opera poetica di Saffo fu divisa dagli alessandrini in almeno 8 libri (probabil-
mente 9, secondo la tradizione confluita nel della Suda), ordinati secondo
criteri metrici.
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32 LA LIRICA MONODICA
La poesia e il tiaso Anche se in molti casi il testo che abbiamo recuperato non è esteso, siamo ora in
grado di farci un’idea più adeguata di una produzione poetica che ruota essen-
zialmente intorno all’esperienza della comunità femminile del tiaso.
Parole chiav e
Tiaso
Il termine non è attestato nei frammenti di Saf- musica, della danza e del canto, praticavano il culto
fo. Indica una sorta di confraternita religiosa consacra- della bellezza e dell’eleganza raffinata, nell’ambito di
ta al culto di Afrodite e delle Cariti (e anche delle Muse, una integrale che prevedeva anche l’inizia-
LA LIRICA MONODICA
come si vedrà negli esempi riportati), di cui Saffo era zione all’eros. Una volta che il cammino di formazione
direttrice e «sacerdotessa». L’esperienza del tiaso era fosse giunto a compimento, la parentesi del tiaso era
riservata a fanciulle che nella comunità trascorrevano il destinata a concludersi con il distacco dalle compagne
periodo della formazione, dall’infanzia all’adolescenza, per fare ritorno alla comunità d’origine e affrontare le
ricevendo un’educazione consona al rango nobiliare cui responsabilità del matrimonio e dell’inserimento in so-
esse appartenevano: apprendevano le discipline della cietà.
SAFFO 5333
533
Le occasioni Dai frammenti superstiti, il tiaso emerge innanzi tutto come un microcosmo auto-
el poetare sufficiente che catalizzava al proprio interno una gamma variegata di emozioni:
lo stupore attonito nella visione della bellezza, che può essere bellezza del corpo,
come in fr. 23, 3-6 Voigt:
] [ ,
] [
,] [ ]
]
...[ perché quando] ti guardo di fronte,
[neppure] Ermione tale [mi sembra]
essere,] e paragonarti alla bionda Elena
[non è affatto disdicevole]...
la bellezza di una veste, come in fr. 22, 13 s. Voigt: «Quella tua veste l’ha scon-
volta, quando l’ha vista, e io gioisco», o di un monile, come in fr. 97, 26 s. Voigt:
«... avorio ... della spilla»; la gelosia per la compagna che si è legata ad altra
figura femminile, come nel fr. 130 Voigt: «Di nuovo mi assilla Eros che scioglie
le membra, dolce-amara invincibile creatura [...] ma tu, o Attide, ti sei stancata di
T18 pensare a me e voli verso Andromeda»; la ripicca verso altre donne, soprattutto
l’Andromeda appena nominata, probabilmente la direttrice di un tiaso rivale: ad
es. fr. 133, 1 Voigt: «Andromeda ha avuto in cambio quello che si meritava»; fr.
55 Voigt: «tu giacerai morta, né più alcuna memoria di te mai / resterà in futuro:
ché tu non hai parte delle rose / di Pieria, ma anche nella casa di Ade oscura /
T10 vagherai, volata via di qui, fra le ombre dei morti»; fr. 57, 1 e 3 Voigt: «chi è la
rozza contadina che ti ammalia la mente? [...] non sa tirarsi gli straccetti sopra
le caviglie»; lo strazio del distacco (fonte di pungente rimembranza) allorché si
appressava il tempo delle nozze (fr. 94 Voigt).
Amore La rimembranza dell’amata assente è al centro anche del fr. 96 Voigt, un carme
di terra lontana tramandato da un papiro berlinese nel quale l’ «io» poetico si rivolge ad Attide,
ricordandole un’amica che ora, forse sposa di un principe lidio, vive a Sardi e
T14 spicca tra le donne della Lidia come la luna che vince lo splendore delle stelle e
diffonde la sua luce sul mare e sui campi. Nel finale è rappresentato lo struggi-
mento di questa amica lontana, che vaga ansiosa, nel ricordo dei bei momenti del
passato, presa da nostalgia irresistibile per Attide.
E al tema della separazione, ma come momento che incombe senza essere no-
LA LIRICA MONODICA
Amore e gelosia
minato, molto probabilmente si riferisce anche la cosiddetta Ode della gelosia
(fr. 31 V.), che rappresenta insieme il testo più illustre di Saffo e anche uno dei
banchi di prova interpretativi più insidiosi per cogliere il nodo comunicativo
che legava la poetessa al proprio uditorio. Dopo l’iniziale (bea-
tificazione) di una figura maschile che gode il privilegio di sedere accanto alla
ragazza posta al centro della rappresentazione, viene descritto lo smarrimento
e lo sconvolgimento psico-fisico che la visione suscita nell’io lirico. L’amore è
rappresentato quale vera e propria patologia, secondo una prospettiva particola-
534
53
34 LA LIRICA MONODICA
re, tipica della sensibilità di Saffo di «descrivere l’amore non quando si realizza
felicemente, ma quando è solo tormentosa speranza o quando è ormai tormento-
T5 so ricordo» (G.A. Privitera).
Omoerotismo Se i legami omoerotici, che abbiamo già visti documentati per la Sparta del VII
passionale secolo nei partenî di Alcmane, sembrano talora effimeri e cangianti come incon-
e insieme cultuale
trollabili accensioni di desiderio (ad es. fr. 36 Voigt: «e desidero e bramo...» e
fr. 47 Voigt: «Eros ha sconvolto il mio cuore, come folata che al monte irrompe
T7 sulle querce»), è indubbio per altro verso che Saffo svolgeva una precisa funzio-
ne cultuale e che in certa misura tali rapporti erotici erano posti sotto il patronato,
se non la complicità, di Afrodite.
Più precisamente, un frammento di una biografia pubblicata nel 1974 (P. Colon.
inv. 5860), ponendo la vita di Saffo in contrasto con quella di Alceo («esiliato e
sempre in guerra coi potenti»), ricorda che:
... , ,
, ,
[ ]
[ ] [ .
«ella, invece, educando in piena serenità non solo le migliori fanciulle dell’isola
ma anche quelle provenienti dalla Ionia, fu così ben vista dai concittadini che,
come dice Callia il mitilenese, a Mitilene ricevette la proedria (cioè il privilegio
di avere un seggio d’onore) della festa di Afrodite».
E la sacerdotessa di Afrodite appunto alla sua dea si rivolge nel carme 1 Voigt
(pervenutoci integro) perché ancora una volta la dea le sia alleata nella «guerra»
T1 d’amore.
La funzione Oltre che ad Afrodite il tiaso era sacro alle Muse, come riscontriamo nella defi-
educatrice delle Muse nizione dell’istituzione come «casa delle Muse» (fr. 150 Voigt):
Coerentemente con tale consacrazione le ragazze che entravano a far parte del
tiaso ricevevano una raffinata educazione nel canto e nella danza e imparavano
LA LIRICA MONODICA
Imenei ed epitalami Non a caso le cerimonie matrimoniali segnano, oltre che il momento terminale
della vita comunitaria, un aspetto importante della poesia di Saffo, come mostra-
SAFFO 5335
535
no i frammenti di carattere nuziale, cioè i canti che venivano intonati in occasio-
ne delle feste di nozze o durante il corteo che alla sera scortava la nuova coppia
alla casa dello sposo (imenei) o davanti alla camera nuziale (epitalami, «canti
davanti al talamo») sia la sera stessa che il mattino seguente (gli antichi definiva-
no questi ultimi epitalami «del risveglio», ).
Tali canti esibiscono di frequente, accanto a una memoria particolarmente assi-
dua della dizione epica, moduli e stilemi tipici della poesia folclorica: gli elogi
della sposa (fr. 112 e 113 Voigt) e dello sposo (fr. 115 Voigt) e anche gli scherzi,
le beffe, gli insulti rituali, ad esempio ai danni dell’amico dello sposo che presi-
diava l’ingresso del talamo impedendo i tentativi delle amiche della fanciulla di
riportarla via (fr. 110 Voigt).
Caratteristiche del genere appaiono anche l’adozione dell’ (refrain)
rituale, come nel fr. 111 Voigt, e la «drammatizzazione» mimetica del discorso
dramatis personae lirico o in forma di dialogo, con l’evocazione di due dramatis personae, come
T17 nel fr. 114 Voigt, o in forma di doppio orientamento illocutivo, come nel fr. 112
Voigt (v. Dossier «Riti nuziali» a p. 000).
Una varietà di soluzioni che include probabilmente quella dell’esecuzione co-
rale, qual è ipotizzabile, sulla base del confronto con il carme LXII di Catullo,
anche per brani come fr. 104a Voigt:
Espero, tu riporti ogni cosa che Aurora lucente disperse:
T16 riporti la pecora, riporti la capra, porti via la figlia alla madre.
Del resto è probabile che anche al di fuori della sfera epitalamica sia da pre-
supporre un dialogo lirico fra due semicori, o fra coro ed exarchon, in un brano
assegnabile a un threnos per la morte di Adone, fr. 140 Voigt:
, , · ;
, , .
– Muore, o Citerea, il delicato Adone: che faremo?
– Battetevi il petto, o fanciulle, e laceratevi la tunica.
IL DOCUMENTO LETTERARIO
’ [ .
Cipro-(...)
giunse l’araldo (...)
Così [diceva] Ideo, il veloce messaggero:
«
e del resto dell’Asia (...) gloria imperitura:
5 Ettore e i compagni conducono la sposa dagli occhi lucenti
da Tebe sacra e dalla Placia che scorre [perenne],
la delicata Andromaca su navi attraverso il salso
mare; e molti braccialetti d’oro e vesti
SAFFO 5337
537
di porpora giungono ai soffi del vento, variegate delizie,
10 e innumeri coppe d’argento e avorio».
Così disse e subito balzò in piedi il padre diletto
e per le vie spaziose della città la fama raggiunse gli amici.
Prontamente le donne di Ilio sotto i carri dalle belle ruote
spingevano le mule e sopra vi montava la folla tutta
15 delle donne e delle vergini dalla caviglia [sottile],
e a parte le figlie di Priamo (...)
e sotto i carri spingevano i cavalli
[tutti] i giovinetti, e grandemente (...)
(...) gli aurighi (...)
20 ...
mancano alcuni versi
(...) simili agli dèi
(...) arcano (...) tutt-
balza verso Ilio (...)
e l’aulo dal dolce suono (...) si confondeva
25 e lo strepito dei crotali (...) e le vergini
intonavano il canto arcano e [arrivava] fino all’etere
l’eco infinita (...)
e dappertutto c’era per le strade (...)
crateri e coppe (...)
30 mira e cassia e incenso si mescolavano
e le donne anziane gridavano «eleleu»
e tutti gli uomini alto clamore festivo innalzavano
invocando Peana lungisaettante dalla bella lira
e inneggiavano a Ettore e ad Andromaca simili gli dèi.
6 Tebe sacra: si tratta di Tebe in Cilicia (cfr. Iliade VI 395- 33 invocando Peana: il dio Peana non è esplicitamente iden-
397). - Placia: una fonte del monte Placo. tificato con Apollo anche se fornito di un epiteto («lungisaet-
tante») tipicamente apollineo. Sul peana, si veda il capitolo «La
31 : levano l’ , il grido sacro che era solito produzione lirica, storia e generi», p. 000.
seguire l’abbattimento della vittima sacrificale.
La bellezza rivaluta Il senso della bellezza come fruizione di luce che emerge con perentoria origi-
anche la vecchiaia nalità nel fr. 16 Voigt permette a Saffo anche di superare la tradizionale visione
che individuava nella vecchiaia l’età della rinuncia a tutto ciò che l’uomo aveva
T12 amato e desiderato (fr. 58, 14-26 Voigt). E questa consapevolezza si rispecchia
in una pienezza esistenziale ben più intensa di quella che affiora in Solone, che,
pure, dichiarava di invecchiare «molte cose sempre imparando», p. 000, rispon-
dendo esplicitamente a Mimnermo che si augurava invece di morire quando non
avesse più usufruito dei doni di Afrodite.
Anacreonte
C on Anacreonte, vissuto mezzo secolo dopo Alceo e Saffo, lasciamo l’area
eolica e l’isola di Lesbo per tornare alla cultura ionica, di cui questo poeta
La vita
A nacreonte ( ) nacque a Teo (città ionica a sud-ovest di Smirne) in-
torno al 570 a.C. Intorno al 545, quando Arpago, generale di Ciro, attaccò le
città costiere dell’Asia Minore, per sottrarsi al dominio persiano il poeta lasciò la
patria e insieme con un gruppo di concittadini fondò la colonia di Abdera, sulla
costa tracia.
I rapporti con All’incirca dal 533 soggiornò a Samo, dove fu precettore di musica al figlio del
Policrate di Samo… tiranno Policrate fino all’uccisione di questi nel 522: i rapporti con il tiranno
furono per Anacreonte molto importanti e, anche se il suo nome non compare
mai nei frammenti a noi noti, Strabone (XIV 1, 16) dice che la sua poesia ne era
piena.
…e con Ipparco Dopo l’assassinio di Policrate si trasferì ad Atene, dove unitamente ad altri poeti
ad Atene… del tempo, fra cui Simonide di Ceo, era stato invitato alla corte del tiranno Ippar-
co, figlio di Pisistrato. Ad Atene pare sia rimasto anche dopo l’assassinio dello
stesso Ipparco nel 514, forse fino alla morte, avvenuta in tarda età. La definitiva
permanenza nella capitale attica sarebbe stata interrotta soltanto da un soggiorno
in Tessaglia, se dobbiamo assumere come autentici i due epigrammi (198 e 199
Gentili) che documentano la sua familiarità col re alevade Echecratida e con la
moglie di lui Diseride.
…evidenziano Come ha sottolineato B. Gentili, «con l’emergere delle tirannidi e della loro po-
l’incarnazione litica culturale, un nuovo tipo di rapporto s’instaura tra il poeta e il suo destina-
del poeta-cortigiano
tario. Anacreonte è tra i primi ad impersonare il modello del poeta cortigiano,
presso la corte di Policrate di Samo e, in un secondo tempo, ad Atene alla corte
dei Pisistratidi. Il racconto erodoteo (III 121), secondo il quale l’inviato del sa-
trapo Orete fu introdotto al cospetto di Policrate mentre era presente anche Ana-
creonte, indica chiaramente quale fosse il grado di confidenza e considerazione
di cui egli godeva presso il tiranno.
Il talento d’oro offertogli da Policrate (che il poeta peraltro avrebbe rifiutato)
lascia intravedere che al prestigio si accompagnava un’adeguata remunerazione
LA LIRICA MONODICA
L’opera
I filologi ellenistici divisero i carmi di Anacreonte in 5 o 6 libri in relazione ai
metri impiegati, distinguendo fra i versi lirici ( : tali sono la grandissima
maggioranza dei frammenti superstiti) e quelli recitativi o considerati tali (giam-
bi e distici elegiaci): il I libro conteneva i carmi in strofe di gliconei chiusi da un
ferecrateo, nel II comparivano carmi in tetrametri ionici. Ce ne restano circa 160
frammenti.
L’amore La poesia di Anacreonte ebbe come temi principali l’amore e il simposio, tan-
e il simposio… to che Seneca (Epistole a Lucilio 88, 37) potrà ricordare, motteggiando, che il
filologo alessandrino Didimo si attardava a disquisire «se Anacreonte fosse più
incline ai piaceri dei sensi o a quelli del vino» (libidinosior Anacreon an ebrio-
sior vixerit).
…proposti secondo Dai suoi canti emergono rapide figure di adolescenti o di etere, idoleggiate
la giusta misura nell’ambito di una socialità simposiale che ricerca ad un tempo il tratto arguto
e l’idealizzazione del bello e mira ad espungere ogni aspetto che possa suonare
eccessivo e dissonante.
Così vediamo il poeta assumere il ruolo del simposiarca e prescrivere la giusta
T1 misura del bere.
L’eros simpodiale Prima fra le gioie del simposio è il gioco erotico, e Anacreonte si riferisce spesso,
come gioco con una peculiare mistione di serietà e di scherzo, alla forza di Eros, il dio gentile
coperto di fiori che però a volte colpisce violento, come fa il fabbro col ferro
T7 rovente (fr. 413 PMG):
Di nuovo Eros come un fabbro mi ha colpito con un grosso
maglio e mi ha tuffato in un torrente invernale.
Talora è in primo piano la bellezza femminile, come nel brano sulla «puledra
T8 Tracia» (417 PMG):
Puledra tracia, perché guardandomi di traverso
2 senza pietà mi fuggi e credi che io abile non sia?
Sta’ certa, con arte potrei metterti il freno
4 e reggendo le redini farti girare attorno ai termini della pista.
Ma tu pascoli sui prati e scherzi saltellando:
LA LIRICA MONODICA
Ritrosa, ma con ben diversa motivazione, è anche la «ragazza di Lesbo» del fr.
T2 358 PMG:
Di nuovo con una palla purpurea
colpendomi Eros dall’aurea chioma
con la ragazza dal sandalo variopinto
mi invita a scherzare.
ANACREONTE 5441
541
5 Ma lei – proviene dalla ben costrutta
Lesbo – la mia chioma
(è bianca) disprezza
e verso un’altra guarda a bocca aperta.
La vecchiaia Questo edonismo estetizzante e mondano ha talora i suoi risvolti cupi, non a caso
e la fine del gioco connessi con quella vecchiaia che, come in Mimnermo, rappresenta il limite fi-
siologico di una simile concezione del vivere: così, nel fr. 395 PMG, il singhioz-
zo del poeta suona tanto accorato e inconsolabile da aver fatto ripetutamente
T4 dubitare (ma senza valide ragioni) dell’autenticità del brano:
Canute ormai a noi
le tempie e candido il capo
e giovinezza leggiadra più
non è qui, ma decrepiti sono i denti
e non più della dolce
6 esistenza molto tempo rimane.
Riguardo a Trasibulo conosciamo specialmente il famoso aneddoto dei suoi rapporti con
Periandro di Corinto. Quest’ultimo aveva inviato a Trasibulo un messaggero per chiedere
consiglio sul miglior modo di governare; il tiranno condusse l’emissario in un campo e
tagliò tutte le spighe più alte. Periandro capì la lezione, quella cioè di condannare a
morte tutti i cittadini che si distinguevano dagli altri. L’aspetto ugualitario del provve-
dimento conferma quanto già sottolineato a proposito del legame tra tirannide e crisi
della società aristocratica. Tuttavia, a voler credere ad Erodoto, alla caduta della tirannia
a Mileto non seguì l’insediamento di un regime stabile, bensì violenti disordini che de-
vastarono le campagne sino a quando la mediazione degli abitanti di Paro non riuscì a
ristabilire l’ordine.
Pittaco di Mitilene non fu un vero e proprio tiranno. Sembra persino che all’inizio
egli fosse l’arbitro chiamato a ristabilire l’ordine dopo le sollevazioni provocate dal-
la tirannia di due personaggi a noi quasi sconosciuti: Melancro e Mirsilo. Non un ti-
ranno dunque, anche se tale apparve agli occhi di due suoi contemporanei, i poe-
ti Alceo e Saffo che preferirono la via dell’esilio piuttosto che piegarsi al suo domi-
nio. Un aneddoto riportato da Diodoro merita comunque la nostra attenzione: in
ringraziamento della sua azione i Mitilenesi avrebbero offerto a Pittaco un Campo
che questi fece «distribuire a ciascuno in parti uguali, sostenendo che l’uguale era
meglio del più», ulteriore esempio, questo, di egualitarismo legato alla tirannide.
Resti dell’Heraion di Samo. Se per noi Trasibulo e Pittaco sono poco più che nomi, il caso di Policrate di Samo è
invece molto diverso. La potenza navale di Corinto nel VII secolo sembra fosse poca cosa
in confronto alla “talassocrazia” samese, almeno secondo Erodoto. Policrate si era impadronito di Samo in
seguito a una stasis. Come altri tiranni già ricordati, questi non era estraneo all’aristocrazia che dominava
LA LIRICA MONODICA
Poiché aveva comunque preteso alcuni privilegi per sé, Meandrio si scontrò con un certo Telesarco che
gli rifiutò il diritto di decidere al posto dei Sami rinfacciandogli le sue modeste origini. Per qualche
tempo Meandrio conservò comunque il potere, sino a quando i Persiani si impadronirono dell’isola per
insediarvi il tiranno Silosonte, fratello di Policrate. Silosonte, esiliato in Egitto dopo
che Policrate aveva preso il potere, intratteneva inoltre ottimi rapporti con Dario. A
Samo, dunque, la tirannide sopravvisse, ma, così come accadde a Mileto e in moltis-
sime altre città della Ionia, il tiranno era ormai un agente della potenza persiana.
[C. Mossé, A. Schnapp-Gourbeillon, Storia dei Greci, trad. it., Roma, La Nuova
Italia Scientifica 1997, 184-86]
544
54
44 LA LIRICA MONODICA
I carmi conviviali:
l’antologia degli «scolî attici»
Tradizione indiretta… Di tali repertori sono giunte a noi testimonianze importanti sia attraverso i papiri
(come è il caso del P. Berol. 13270, che raccoglie i cosiddetti «canti di Elefanti-
na»: di essi, in quanto composti fra V e IV secolo a.C., toccheremo nel capitolo
sui poeti minori dell’età classica) sia attraverso citazioni di eruditi d’età impe-
riale.
…e diretta Da Diogene Laerzio, il quale a sua volta attingeva all’erudito del IV-III secolo
a.C. Lobone di Argo, ci sono stati trasmessi sei scolî attribuiti ai Sette Sapienti
e forse risalenti al V secolo: nonostante il ripetuto sospetto, già avanzato da J.
Casaubon, secondo cui si tratterebbe di falsi inventati dallo stesso Lobone, è
probabile – per motivi tematici, stilistici e metrici – che essi siano stati composti
nel corso del V secolo a.C. e che rappresentassero in origine brani effettivamente
Parole chiav e
LA LIRICA MONODICA
Con o carmina convivalia già gli antichi inten- venti originali, basati sull’improvvisazione estempo-
devano più specificamente quei carmi eseguiti in serie ranea o sul riuso di pezzi già personalmente composti,
con l’accompagnamento della cetra nel corso di un sia rielaborazioni di brani d’autore decontestualizzati
simposio da parte dei convitati più esperti e più abili dalle composizioni di cui originariamente facevano
(i ), i quali potevano offrire sia inter- parte.
I CARMI CONVIVIALI: L’ANTOLOGIA DEGLI «SCOLÎ ATTICI» 5445
545
eseguiti, senza riferimento agli illustri savi, nel corso dei simposi e poi raccolti
entro una cornice narrativa di carattere conviviale dallo stesso Lobone (v. capi-
tolo sui Presocratici, p 000).
Gli scoli «attici» Per l’età tardo-arcaica possediamo tramite Ateneo (XV, 694c ss.) una silloge di
25 scolî detti «attici» (nrr. 884-908 PMG):
1 Pallade sovrana, Atena Tritogenia,
solleva questa città e i suoi cittadini
senza dolori e discordie
e morti premature, tu e il padre tuo.
1. Pandroso: figlia di Cecrope, re di Atene. Insieme con le sorelle Erse e Aglauro aprì il cesto affidato loro da
Atena col divieto di guardarvi dentro: alla vista di Erittonio, il misterioso figlio di Efesto, e delle serpi che lo
custodivano, le tre sorelle si precipitarono atterrite giù dal pendio settentrionale dell’acropoli. A Pandroso fu
dedicato un santuario (a cui verosimilmente qui si alludeva) adiacente a quello di Atena Poliade.
546
54
46 LA LIRICA MONODICA
ma quando ci si trovi in mezzo al mare
è necessario correre secondo le circostanze.
2. il compagno… tortuosi: viene condensato uno schema favolistico che ritroviamo in Babrio (109) e in una
favola del corpus Aesopicum (nr. 211 Hausrath = 290 Chambry): «Un serpente e un granchio vivevano nel
medesimo luogo. Il granchio si comportava in modo corretto e gentile verso il serpente, il quale invece agiva
continuamente in modo subdolo e malvagio. Il granchio esortava sempre il suo vicino a mantenere rapporti
leali e ad imitare il suo comportamento, ma il serpente non si lasciava persuadere. Allora quello un giorno
s’irritò e avendo sorpreso il serpente, mentre dormiva gli strinse la gola fra le sue chele e premendo a tutta
forza lo uccise. Come lo vide disteso, gli disse: “Bello mio, è inutile che tu sia retto ora che sei morto, avresti
dovuto darmi ascolto quando io ti esortavo da vivo”» [tr. di F. Maspero].
I CARMI CONVIVIALI: L’ANTOLOGIA DEGLI «SCOLÎ ATTICI» 5447
547
là dove è il piè veloce Achille
e dicono che sia Diomede.
3. Al pari del n. 20 questo scolio viene attribuito alla poetessa Prassilla di Sicione (vedi capitolo sulla lirica
corale tardo-arcaica, p. 000) negli scoli alle Vespe di Aristofane.
4. Cedone: autore di un fallito tentativo (anteriore a quello di cui allo scolio seguente) di cacciare i Pisistratidi.
5. Lipsidrio: località al confine fra Attica e Beozia.
548
54
48 LA LIRICA MONODICA
24 Ahi ahi! Lipsidrio5 che hai tradito i compagni!
Che uomini hai fatto perire, nel combattere
valorosi e di nobile stirpe:
mostrarono allora di quali padri eran figli.
cronologica delle singole variazioni: il nr. 12, con la messa un’ode di Alceo che un papiro (P. Oxy. 2298, fr. 1 = Alceo, fr.
a fuoco dell’uccisione di Ipparco (nel nr. 10 e nel nr. 13 in 249 Voigt) ci ha parzialmente restituito; e il «rifacimento» non
luogo di «Ipparco» troviamo un generico «il tiranno») e col si è limitato alla decontestualizzazione di una singola strofe da
puntuale accenno alla grande festa di Atena (cfr. Tucidide un più ampio componimento ma ha comportato sia una commu-
VI 56, 2: «[i congiurati] attendevano le grandi Panatenee» tazione del maschile π in neutro sostantivato (in
e IV 57, 1 «allorché giunse la festa») ha ogni probabilità di Alceo invece esso si riferiva ad «del vento» all’ultimo
rappresentare, se non proprio – come voleva V. Ehrenberg verso della strofe precedente) sia una serie di innovazioni mi-
– «un oggettivo resoconto dell’attentato», la prova poetica nori ( sostituisce π , ai congiuntivi ed
più antica, annacquata nelle versioni successive da una più al v. 2 subentrano gli ottativi ed ,π
generica intenzione di idealizzare il tirannicidio. si atticizza in π ).
La lirica monodica
Alceo
T. 1 Frammento Con un attacco caratteristico della sua poesia metasimposiale (cfr. 346, 1
38a V. , 347, 1 , 352 ,
), Alceo esorta Melanippo, un compagno di eteria, a bere insieme
con lui, forse per scordare le sofferenze presenti (e il vino è appunto definito
«oblio degli affanni», , in 346, 3). La morte è comunque inevitabile,
come illustra l’autorità mitica di Sisifo, che grazie alle sue astuzie varcò per due
volte il vorticoso Acheronte.
L’ode sembra esprimere un timbro consolatorio, scandito da un’inconsueta pre-
senza di riprese interne ( † 2~
8, 4~ 10, 5~
9) e articolato secondo la composizione anulare. L’esemplarità della
vicenda di Sisifo è inserita fra le esortazioni a non aspirare a cose troppo grandi
(v. 4) e a non pensare alla morte finché dura la giovinezza (vv. 11 ss.). Più che
Mimnermo, a cui pure ci richiama il «finché siamo giovani» del v. 11, l’invito
all’oblio del dolore ricorda il riconoscimento archilocheo (cfr. fr. 128) del flusso
che regola l’esistenza degli uomini. E la fitta trama di omerismi, favoriti dal
ritmo dattilico, conferisce spessore e prestigio allo sviluppo delle riflessioni e
delle apostrofi.
Metro: anche se nessuna fine verso è integralmente superstite, è probabile che si tratti di pentametri
LA LIRICA MONODICA
pena sotto la scura terra. Ma sul via non pensare a queste cose
1 e ubriàcati : si traduce in base all’in- mondo dei morti. A fine verso si adotta come (= ), proposto dal Wila-
tegrazione di E. Diehl [ ]. In l’integrazione di E. Diehl [ mowitz, nel senso di «credeva».
fine verso si può pensare a qualcosa come «grande guado».
[ ( , da ). - ( ): 6 : letter. «che
un compagno di eteria di Alceo. A lui, rac- 3 = ( ). - ] più cose pensò». Espressioni analoghe ri-
conta Erodoto (V 95, 2), Alceo avrebbe in- : ferite a Sisifo in Teognide, 702
viato il carme in cui raccontava di aver ab- . La metafora della vita quale visio- e in Esiodo, fr. 10, 2 M.-W.
bandonato le armi fuggendo di fronte agli ne della luce del sole è topos consolida- . Per completare il
Ateniesi durante la guerra per il possesso to, che avrà grande fortuna. - [ = verso ci si attende qualcosa come
del promontorio del Sigeo; l’apostrofe ini- . Altro supplemento di E. Diehl. (= ) «sfuggire alla morte»
ziale riecheggia la prassi del «brindisi», (Wilamowitz) oppure (=
generalmente formulata, come riscontria- 4 ( ): infinito retto dal verbum ) «dominare la morte»
mo sui graffiti vascolari, con formule come putandi ( ) che si suppone in lacuna al (D. Page).
, che equivale al nostro: «alla salu- v. 1. - : genitivo di genere neutro.
te!», o . L’invito a non protendere le proprie speran- 7 per due volte : l’integrazione è di
ze oltre il consentito sarà ripreso da Orazio, A.S. Hunt.
LA LIRICA MONODICA
11 := . cui Mimnermo ha affrontato il problema. finale del carme è di lettura molto problemati-
Il riferimento alla precarietà della giovinez- ca. A fine verso si può integrare un’espressio-
za richiama alla mente i toni struggenti con 12 [: = . La parte ne come [ (= ).
MEMORIA LETTERARIA
delle chiome è documentata anche in Omero. Quando Achille ficile che le sue acque non fossero oggetto di culto. Il bagno
le recide per il funerale di Patroclo, ricorda che il padre gli ave- in acqua di mare o di fiume appartiene ai riti di purificazione e
va chiesto di dedicarle al fiume Sperchéo una volta che fosse di passaggio. Un caso ben noto è quello della doppia festa di
tornato in patria sano e salvo (Iliade XXIII 144-52). Luoghi di Artemide e Dioniso a Patrasso. Una
culto erano sorgenti e foci. In alcune tradizioni locali, entrare delle cerimonie di quei giorni prevedeva il bagno rituale dei
nell’acqua e uscirne era rito di passaggio, spesso inserito in fanciulli nelle acque del fiume vicino al mare. Alceo
una festa con altri valori religiosi. ha dunque avviato il canto richiamando una cerimonia, forse
Con la preghiera all’Ebro Alceo richiama la tradizione epica, di purificazione femminile, sul cui comportamento rituale non
ben nota ai suoi compagni. Ho appena ricordato il caso di siamo ulteriormente informati».
Achille, che apostrofa da lontano lo Sperchéo, guardando le (M. Vetta, Symposion, Loffredo, Napoli 1999, 151-52)
DOSSIER: ALCEO CONTRO PITTACO 5553
553
Dossier
Agli insulti di cui è testimone Diogene Laerzio noi possiamo aggiungere proba-
bilmente anche quello di «volpe astuta» ( ), affibbiatogli
nel fr. 69, che rievoca una non chiara operazione politico-finanziaria attuata dai
Lidi in collaborazione con l’eteria di Alceo (in questo caso, però, l’identificazio-
ne con Pittaco è solo ipotetica):
Zeus padre, i Lidi addolorati
per le disgrazie duemila stateri
a noi hanno donato, se mai potessimo
nella sacra città entrare
Cattive maniere
U n quadro sarcastico dei modi rozzi e scomposti con cui il padre di Pittaco e
i suoi compagni di bevuta si intrattenevano a simposio era schizzato in un
carme di cui era parte questo frammento (fr. 70 Voigt):
per primo [...] dire queste cose [...]
partecipando al simposio l’arpa [...]
suona: banchettando insieme con sciocchi
5 compagnoni [piace] ad essi,
LA LIRICA MONODICA
Analogamente, in Alceo fr. 72, sono descritti alcuni personaggi in atto di riem-
pire le coppe di vino puro mentre si dilettano nel gioco di origine siciliana del
cottabo, che consisteva nel lanciare gocce di vino e nel centrare o un piattino
posto in cima a un’asta o, come qui, delle coppe galleggianti sull’acqua di una
bacinella; poi si dice che, in contrasto con l’uso greco di bere solo a partire dal
calare della sera, questo vino ribolle giorno e notte:
... e furiosamente con [...]
colmano di vino puro [le coppe, ed esso] giorno
e notte ribolle in gocce risonanti
6 lì dove è spesso costume far bisboccia.
2 tempio: la parola greca in re- 3 comune: denota come il santuario do- 13 d’Irra al figlio: inizia a questo punto
altà lo spazio «ritagliato» (da «io ta- vesse rappresentare un centro sacrale aper- la maledizione contro Pittaco (figlio di Ir-
glio», cfr. anche il latino templum) sottratto to al culto delle varie località dell’isola. ra), accusato di aver tradito i giuramenti e
all’uso comune per essere dedicato al culto gli ideali comuni.
di una divinità. Il santuario qui rappresen- 9 carnivoro: il termine greco
tato è consacrato alla triade divina di Lesbo significa propriamente «divoratore di carni 14 l’Erinni di costoro: il demone vendi-
già nota in Pilo micenea e ricordata anche crude», con riferimento al rituale dell’omo- catore dei compagni («costoro») traditi da
da Saffo nel fr. 17 Voigt: Zeus, Grande fagia, del mangiar crude, da parte delle se- Pittaco.
Madre Eolia, Dioniso. guaci del dio, le carni dell’animale ucciso.
DOSSIER: ALCEO CONTRO PITTACO 5557
557
ovvero, avendo ucciso quelli,
20 il popolo d’angoscia scampare.
19 avendo ucciso quelli: dopo aver ucci- Alcmane, fr. 17, 7, esso designa l’intero di riconoscere che l’azione di Pittaco veniva
so i potenti, poco prima menzionati. corpo civico, che può essere eventualmente dichiarata «contro la legge (o la norma)», e
distinto da coloro che detengono il potere. che erano nominati certamente Mirsilo (v.
20 il popolo … scampare: come osserva 28) e forse Atena. La coronide superstite
Page, l’uso di (= ) in Alceo 21 il pancione: come ampiamente osser- sul margine sinistro del papiro segnala che
non ha certo connotazioni «democratiche»: vato, si tratta di Pittaco. Dopo il v. 24 ci sono il componimento si prolungava ancora per
come in Omero, in Esiodo, Erga 261 e in resti di un’altra strofa, che permettono solo una strofe, comprendendo in tutto 32 versi.
T. 4 Frammento
130b V.
Il papiro che ci ha trasmesso il fr. 129 contiene subito dopo, in base alla pre-
sumibile intenzione degli editori alessandrini di raggruppare i carmi legati al DOSSIER: ALCEO CONTRO PITTACO
confederale di Mes(s)a, un carme estremamente frammentario in stro-
fe tristiche (fr. 130a) di cui vediamo con chiarezza solo che si apriva con una
confessione di scoramento del poeta ( · «Mi
sento terribilmente sventurato perché né i miei amici...») e si concludeva con
un riferimento a un «muro regale» (v. 15 ) che uno scolio
marginale ( ) ci indica relativo allo stesso santuario in cui si situa
la maledizione di fr. 29.
Segue un’ode in sei strofe tetrastiche in cui il poeta, ormai rimasto isolato dai
compagni di eteria, si è rifugiato presso il e di lì invia un messaggio
poetico all’amico Agesilaida lamentando la propria ingiusta esclusione dalla vita
558
55
58 LA LIRICA MONODICA
politica, in particolare dalla partecipazione ai tradizionali organi di governo ari-
stocratici: si tratta dunque di carme “affidato” in forma di messaggio epistolare
a un latore, che doveva esserne anche l’esecutore all’interno di un simposio
(così come anche il fr. 401b, con l’annuncio a Mitilene che il poeta si era salvato
ma le sue armi erano state appese dagli Ateniesi nel santuario di Atena).
D’altra parte questa vita rustica subita nell’attesa di riprendere la lotta trovava
una certa forma di conforto nella possibilità di assistere, nell’area stessa del
santuario, a quelle gare di bellezza ( ) che si svolgevano annual-
mente fra le giovani dell’isola, le quali sfilavano in processione trascinando il
lungo peplo mentre intorno l’aria “fremeva”, attraversata dal grido rituale che
scandiva l’abbattimento della vittima sacrificale.
Metro: strofe ..
tetrastiche costituite
da due asclepiadei
minori, un ipponatteo
e un asclepiadeo [ ] ,
minore acefalo.
Fonte: P. Oxy. 2165,
fr. 1 col. II r. 9-32
[ ]
e fr. 2 col. II r. 1; P. [ ]
Oxy. 3711 fr. 1 col. II. [ ]
8 [ ]
’, ’’
[ ]
1-7 ... : «Avendo «e mettendo in atto ghi a quelli che troviamo nell’epica omeri-
reso santo il mio stile di vita, io sventurato sempre nuovi stili di vita». Una proposta ca. - [ ] ( )=
vivo in una rustica condizione bramando di interessante è (= (da ). - =
ascoltare l’assemblea convocata dall’araldo, ) di G. Burzacchini, con espunzione di .-[ ] (= -)
o Agesilaida, e il consiglio, frequentando i iota in { } (già nel papiro la vocale è forse una neoconiazione del poeta, che
quali mio padre e il padre di mio padre so- appare tagliata da un segno di cancellazio- implica una posizione molto vicina a quel-
no invecchiati insieme con questi cittadini ne) e accusativo di relazione: la espressa da Teognide 59
che si rovinano a vicenda». Ricostruzione e «Del tutto puro nel mio stile di vita»: l’uso .
interpretazione del testo sono al primo ver- di intensivo troverebbe un significativo
so problematiche: la lettura che si propone, riscontro in Sofocle, Edipo Re 8-12 [ ... : «ma io sono
passibile di molti dubbi, presuppone l’inte- ; (va però precisato che le tracce sul stato escluso da queste e mi tengo lontano
grazione [ ] «avendo reso» di Lloyd-Jo- papiro lasciano difficilmente intravedere un dai confini, e come Onomacle l’ateniese mi
nes. - … : è accusativo eo- ). È assai probabile che la sequenza sono insediato da scansalancia per sfuggire
lico = . : l’espressione … fosse assunta da Orazio come “mot- alla guerra: non è infatti meglio rinuncia-
ha il valore di «avendo reso…». - to” incipitario di Carm. I 22, 1 Integer vi- re ala lotta contro i più forti?». - ] =
= : «infelice». Per l’idea di rendere tae scelerisque purus. - : .- = : il termine
LA LIRICA MONODICA
la propria esistenza santa (devota agli dèi), hapax, ma cfr. Saffo fr. 57, 1 indica propriamente le zone marginali (di
anche perché trascorsa attualmente lontano ... = .- = frontiera) di un territorio. - :
dalla guerra nello spazio sacro di un santua- .- [ ] , Onomacle è un personaggio non attesta-
rio, cfr. Euripide, fr. 472, 9 s. K. (parodo dei = , , cfr. Ilia- to altrove, evidentemente divenuto pro-
Cretesi) / de II 51 . Agesilaida verbiale per essere vissuto a lungo alla
«e rendendo santo era presumibilmente un compagno di eteria macchia. - [ ] = .
il corso della mia vita da quando sono di- che non aveva subito la condanna all’esilio. - (= ) :
ventato miste di Zeus ideo» e Baccanti 72 - [ ] , = , . Con “assem- la lettura, anziché ,
«rende santa la propria blea” e “consiglio” Alceo non si riferisce a si deve ad A. Porro: (=
vita». Per il plurale , che si riferisce istituzioni di tipo democratico ma ad orga- - ) è formato sulla radice di e
a vari aspetti della vita del poeta, cfr. Giu- nismi integrati nell’assetto dapprima monar- «evitare» (cfr. liade VI 443
seppe Flavio, Ap. 1.10 chico e poi aristocratico di Mitilene, analo- e X 371
DOSSIER: ALCEO CONTRO PITTACO 5559
559
12 [ ]
.].[...].[..]. [ ]
[…..] [ ]
.[.].[.].[.] ’
16 [ ] ,
[ ]
’ ,
20 [ ]
[ ].[].[.]. .
[ ].[ ] ... ’
[ ]......
24 . [ ]... .
È sfuggita [ai critici] la sconcertante analogia che col carme di Alceo presenta la notissima ode oraziana I 22.
A parte le coincidenze di carattere strutturale e puramente formali (i due carmi sono organati ciascuno su
sei strofe tetrastiche – o tristiche, ove, tanto in Alceo quanto in Orazio, i versi terzo e quarto di ogni strofa
si interpretino come cola di un medesino periodo ritmico), si notino: la relazione tra l’incipit alcaico “Agno~
ªtoi;º~ biovtoi~ e quello oraziano Integer vitae; il parallelismo delle apostrofi w\gesilai?da (v. 4) e Fusce (v.
4); la corrispondenza tra le contrade appartate in cui Alceo è costretto dall’esilio (v. 2 zwvw moi`ran e[cwn
ajgroi>wtivkan, vv. 8 s. ajºpu; ajpelhvlamaiÉ geuvgwn ejscativais(i), v. 14 [?] meªlºaivnv a~ ejpivbai~ cqovno~)
e l’elenco, per quanto letterariamente atteggiato in relazione al topos del «viaggio in capo al mondo», delle
località impervie enumerate da Orazio (vv. 5 ss. sive per Syrtis iter aestuosas/ sive facturus per inhospitalem/
Caucasum vel quae loca fabulosus/ lambit Hydaspes), alessandrinamente amplificato col dotto richiamo alla
militaris/ Daunias (vv. 13 s.) e alla Iubae tellus, … leonum/ arida nutrix (vv. 15 s.) e con la generica ripresa
dei vv. 17-22: la precisa parafrasi di lukaimivai~ (v. 10) [ma vedi la nota relativa] nell’oraziano silva lupus in
Sabina (v. 9), che ne rappresenta l’evidente corrispettivo; la sorprendente affinità – anche se Orazio sembra
volutamente differenziarsi, tuttavia con un tono arguto più che polemico – tra kªavºkwn e[kto~ e[cwn povda~
(v. 16) e curis vagor expeditis (v. 10); la probabile relazione tra il tevmeno~ di Alceo (v. 13) e il terminus oltre
il quale Orazio dice di essersi spinto (vv. 10 s.); l’identica estetica funzionalità delle Lªesbivºade~ crinnov-
LA LIRICA MONODICA
menai fuvanÉ ... ejlkesivpeploi (vv. 17 s.), seducente distrazione per gli occhi del poeta, e della Lalage
di Orazio (vv. 23 s. dulce ridentem Lalagen amabo,/ dulce loquentem), dove il fascino della sognata figura
femminile è espresso di proposito col cerebrale riferimento al notissimo Sapph. 31, 3 ss., filtrato per giunta
attraverso Catull. 51, 5. Si osservi che anche gli dèi Olimpî a cui Alceo chiede la liberazione dai mali (vv. 21
s.) sono in fondo, implicitamente, gli stessi che garantiscono dell’immunità del romano poeta-innamorato.
A ben vedere, dunque, l’ode oraziana, nel suo insieme, appare come un tessuto di preziosa e raffinata fat-
tura, il cui ordito è costituito quasi tutto di spunti alcaici, congiunti talora alla suggestione di Saffo, talora
rimaneggiati attraverso l’esperienza alessandrina o neoterica, in ogni caso riproposti in una nuova dimen-
sione: un autentico pezzo di bravura, insomma, con cui il Venosino ha voluto gratificare, come altrove, i suoi
smaliziati lettori.
[da Gabriele Burzacchini, Lirici greci, Firenze, La Nuova Italia 1977]
ALCEO 5661
561
T. 5 Frammento In uno scenario che probabilmente va identificato con la sala di un santuario sacro
140 V. ad Ares, Alceo osserva e descrive l’arsenale bellico che orna il grande edificio,
soffermandosi compiaciuto su elmi, cimieri, schinieri, corazze, scudi, spade calci-
diche, tuniche. Con un’inquadratura che in maniera quasi cinematografica procede
dall’alto verso il basso, il poeta offre la carrellata di un armamentario che – nel
suo complesso – è obsoleto: armi evidentemente non più funzionali, ma cimeli di
un lontano passato, che con il loro fulgore richiamano i fasti di una antica e nobile
tradizione. È un repertorio denso di simboli, per non dimenticare i valori tradi-
zionali del genos di cui queste armi costituiscono un emblematico monumentum,
finché l’osservazione si fa premessa e stimolo alla concreta azione imminente.
Metro: alcaici maggiori, costituiti, secondo l’edizione della Voigt, da due cola, il primo formato da un
gliconeo, il secondo da ipponatteo + cretico, ma i due testimoni papiracei aggregano il primo
elemento dell’iponatteo alla fine del primo colon, così da offrire una successione di ipponatteo
e di ipponatteo acefalo + cretico.
Fonte: P. Oxy 2295, fr. 1 (vv. 1-6), P. Oxy 2296, fr. 4 (vv. 4-9), Ateneo 627a-b (vv. 2-15).
[ ]...[ ]
, ’
,
5
, -
, ,
10
…
barbaglia la grande sala
di bronzo, per Ares il soffitto è adorno
tutto d’elmi splendenti: indi,
5 dall’alto, bianchi cimieri equini
s’agitano, già ornamento
al capo di eroi; bronzei, cingenti intorno
chiodi celati, i lucidi
schinieri, protezione dal duro dardo,
LA LIRICA MONODICA
2 : riferito a un tempio cfr. Iliade 4 : «elmi splen- nieri» di bronzo, che servivano quale pro-
VI 89 , ecc. denti». Si tratta di elmi sovrastati dal tezione della parte inferiore delle gambe.
pennacchio ( … ), al
3 : La forma si deve a influsso tempo di Alceo ormai soppiantato dal più 10 … =
dell epica ionica: in lesbio ci aspetterem- pratico elmo di tipo corinzio, liscio e con … . Sono corsetti di lino, even-
mo .- = «sotto ai una piccola cresta. tualmente a più strati, ricordati già nelle ta-
quali». Sotto agli elmi ondeggiano i bianchi volette in Lineare B dell’archivio di Cnosso
pennacchi. 9 = sono «gli schi- (e in Iliade II 529 è detto Aiace
562
56
62 LA LIRICA MONODICA
,
.
’
15 ’ .
Telamonio), che rappresentano l’articolo nel VII secolo e attestati ad es. in Tirteo fr. 13 : (cfr. ) erano vero-
più singolare del catalogo alcaico perché 19, 7 e in Mimnermo fr. 13a, 2. - … similmente fasce di cuoio da portare sotto
erano quasi sempre indossati, al tempo del = (tmesi). la corazza, come quella di Iliade IV 187.
poeta, da truppe orientali, come nel caso - : erano tuniche corte che
del dedicato dall’egiziano 12 = , con valore avverbiale. arrivavano a mezza coscia (cfr. Polluce 7,
Amasi ad Atena Lindia a Rodi (Erodoto II - : le «spade calci- 60).
182, 1) e di quelli degli Assiri dell’armata desi» erano sciabole corte e larghe, di cui
di Artaserse (Erodoto 1, 63). i Calcidesi dell’Eubea erano celebri fab- 15 … : tmesi per -
bricanti (cfr. Archiloco fr. 3, 3 ss. e Eschi- , aor. III di , cfr. Eu-
11 : si tratta degli scudi roton- lo fr. 356 Radt ripide, Supplici 189
di di tipo oplitico, entrati in uso in Grecia ). .
8 ,
non si può escludere un’ambivalenza di ti- mainato le vele candide e nella notte buia bero maestro» della nave. - : il termi-
po allegorico per cui Alceo alluderebbe al siamo trascinati lungi dalle acque di Melo». ne è usato per la prima volta nell’accezione
più consueto significato del termine, quello - = «in mez- di «vela maestra»: in Odissea III 399 vale
politico di «discordia», «lotta civile», atte- zo al mare» cfr. Odissea V 330 «straccio». - = , formato
stato del resto proprio in relazione ai venti : «il contesto, tuttavia, rende egual- su «chiaro», «ben visibile» – e allo-
in Eschilo, Pr. 1085 ss. mente plausibile l’interpretazione “nel mez- ra l’aggettivo significherebbe propriamente
zo (delle due ondate)”» (G. Burzacchini). «trasparente» – o su «lacerare»,
«le raffiche di tutti i venti - = - , epiteto tradizionale (cfr. ma in questo caso si richiederebbe ,
manifestanti discordia di direzione le une ad es. Iliade I 300 ), usato da non . - = ,
contro le altre». - : «rotola» è il Alceo anche in fr. 34, 12 [ ] .- cfr. Eschilo, Persiani 835 s. …
verbo tradizionale per indicare il moto delle [ ]= «stracci di variegati
onde, cfr. Iliade XI 307 .- . vestimenti». - = «giù
564
56
64 LA LIRICA MONODICA
,
[ ]
.[…].[ ]
12 [
da essa»: per il ricorso alla frase nominale Odissea XII 218 dell’enneasillabo precedente: ]/
cfr. fr. 338, 1 / ) è stato recuperato dal commentario secondo Page, ]/ secondo
e 347, 2 .- = di P. Oxy 2306 col. II. Da esso si ricava Rösler (entrambi col valore di «intreccia-
( ). - : è la lezio- altresì che nella lacuna di v. 10 s. compa- ti», «ritorti». - : «piedi» è termine
ne della tradizione manoscritta di Eraclito, riva il vocabolo (= ) «cime di tecnico marinaresco per indicare i due an-
che è stata corretta in (Unger) o cuoio» (cfr. Odissea II 426 goli inferiori della vela, come in Odissea V
(Bergk, Edmonds) – entrambi «issavano 260. G. Cerri interpreta l’espressione alcai-
i termini col valore di «scotte», «cime» – le candide vele con ben ritorte cime di cuo- ca come «variazione della ben nota formu-
sulla base della considerazione che la scena io»). la tirtaica »,
è collocata in alto mare; tuttavia potrebbe che verrebbe però caricata «di un signi-
trattarsi di «ancore» per ormeggiare al lar- 12-15 … , ficato ben diverso, usandola [Alceo] per
go, come quella usata da un pescatore in [ …]: «... ambedue i piedi restano saldi indicare la resistenza della vela alla furia
Leonida di Taranto, A.P. VII 506, 3; e del (?) nei canapi - solo questo appunto mi sal- dei venti». - [ … [: è incerto se in
resto l’avvenuto cedimento delle sartie par- va (?) -, e le merci alcune, urtate (?), sono fine di v. 12 e di v. 13 bisogna integrare
rebbe smentito dall’augurio espresso più trascinate in alto, di altre...». - : inizia- due indicativi ( [ con Kamerbeek
sotto ai vv. 12 s. - : segmento le rappresentava quasi certamente l’ulti- e [ = con Lobel) oppure due ot-
di testo (cfr. Iliade XIX 43 , ma sillaba di una parola iniziata alla fine tativi ( [ con Page e lo stesso [ ,
quella di Alceo, il coro delle vergini descrive la sciagura della e del combattente, sono gli strumenti tangibili e visivi della
guerra che s’abbatte sui Tebani (vv. 758 ss.): “un mare di mali resistenza ad oltranza contro la furia dei venti e delle onde e,
sospinge l’onda (cioè l’onda dei guerrieri), l’una ricade, l’altra fuor di metafora, contro il divampare della guerra civile con il
solleva la triplice cresta che mugghia intorno alla poppa della ritorno di Mirsilo a Mitilene, in senso più specifico, contro gli
città”. L’acqua che penetra nella sentina della nave ( ) assalti della fazione avversa. Ad essi Alceo affida la propria
denota anch’essa l’onda degli uomini armati che irrompono salvezza».
nella città: nei Sette a Tebe (v. 795 s.) il nunzio narra con esul- Larga e duratura la fortuna del carme alcaico: oltre a Teognide
tanza al coro che la patria è ormai scampata al giogo, gode la (vv. 671-82) e ai Sette contro Tebe eschilei (in particolare vv.
quiete e “sotto i molti colpi delle ondate non accoglie l’acqua 62 ss., 208 ss., 795 ss.), vanno ricordati almeno Polibio (VI 44,
della sentina” ( ), cioè nessuna falla s’aperse all’impeto 3-7), Orazio (Carmina I 37), Dione Cassio (LII 16, 3-4).
ALCEO 5665
565
· [ ]
· [ ]
] [ ] , [ …].
Non sappiamo quali circostanze inducessero Orazio a rielaborare lo schema allegorico alcaico: forse il
periodo che preparò il grande scontro di Azio del 31 a.C. segnando il culmine delle guerre civile oppure,
secondo altri, lo sconcerto prodotto dalla (finta) decisione di Ottaviano, nel gennaio del 27 a.C., di ab-
bandonare il governo dello Stato (ma già il Pascoli, in Lyra, esprimeva il sospetto che si trattasse di un’ode
«d’argomento generico, dedotto dal greco, con appena appena un fiato d’ispirazione dalla realtà»).
Certo è che qui il poeta venosino, diversamente da come è solito fare nei suoi rapporti con i poeti greci, non si
limita a richiamare al principio il modello per poi procedere per proprio conto, bensì ripete in larga misura, al-
LA LIRICA MONODICA
meno fino al v. 10, le scansioni dell’ode di Alceo, e in particolare la descrizione della nave aggredita dalle onde e
dai venti. D’altra parte, se il componimento ha il suo decisivo punto di riferimento in Alceo fr. 208, è anche vero
che l’esortazione a guadagnare in gran fretta il porto replica un momento dell’altra ode allegorica di Alceo che
abbiamo letto più sopra, e cioè fr. 6, 8: [ «e corriamo verso un porto sicuro!».
Di qui, in Orazio, un punto di vista complessivo meno nitido e perentorio, che non senza forzatura giustap-
pone l’energica esortazione di fr. 6 all’ansia sgomenta di fr. 208 e lascia addirittura nel dubbio quale sia la
collocazione della persona loquens. Infatti, come osservava La Penna, in Alceo «si capisce bene che egli è
sulla nave e che la sorte della nave è anche la sua. Nell’ode di Orazio non si capisce bene se egli sia sulla costa
o sulla nave e quest’incertezza ha dato filo da torcere agli interpreti (probabilmente non lo sapeva neppure
Orazio stesso): si consideri o no imbarcato (nulla impedisce, a rigore, di crederlo, ma l’assenza di ogni indizio
positivo farebbe, in questo caso, propendere per il no), è certo che la passione della partecipazione non c’è».
566
56
66 LA LIRICA MONODICA
T. 7 Frammento Mirsilo, l’odiato tiranno succeduto a Melancro, è morto: bisogna «festeggiare» e
332 V. ubriacarsi («a forza», , aggiunge enfaticamente il poeta).
Metro: endecasillabi alcaici. Probabilmente si tratta dei primi due versi di una strofe alcaica.
Fonte: Ateneo 430c.
, .
1-2 N ... : «Adesso biso- . Appartenente al genos filoli- dell’omonimo golfo che si incunea nella
gna ubriacarsi e che ognuno beva a forza dio dei Cleanattidi, Mirsilo era succeduto costa occidentale dell’isola (cfr. lo sco-
poiché Mirsilo è morto». - = a Melandro come tiranno di Mitilene e lio ad Alceo, fr. 114, 1-8: «... durante il
è correzione di Ph. Butt- aveva sventato una congiura organizzata primo esilio, quando la fazione di Alceo
mann per il tràdito . La cor- dall’eteria di Alceo alleata con Pittaco: e di [...], dopo aver preparato la congiura
reptio davanti a muta cum liquida quest’ultimo aveva tradito gli Alceidi, contro Mirsilo, si rifugiò a Pirra preve-
( ) è rara nella lirica eolica ma legit- che erano stati costretti all’esilio a Pirra nendo la repressione...»).
tima. - = .- = (oggi Kaloni), sull’angolo sud-orientale
T. 8 Frammento Questa massima lapidaria sul vino come «spia» della sincerità o della lealtà
333 V. dell’uomo (un’altra sentenza imperniata sul vino è nel fr. 366 ,
, «vino, ragazzo mio, e verità») si ricollega alla funzione es-
senziale che nell’ambito delle eterie assumeva necessariamente il valore della
sincerità. Quella di Alceo non è dunque una riflessione di natura genericamente
esistenziale, ma è strettamente collegata alla vita della consorteria aristocrati-
ca, regolata da un complesso rituale, atto a sanzionare la coesione del gruppo,
che aveva i suoi momenti salienti nei patti giurati e nelle riunioni simposiali.
T. 9 Frammento Questa massima lapidaria sul vino come «spia» della sincerità o della lealtà. Con
335 V. un procedimento caratteristico della sua poesia parenetica (cfr. 214, 2 nºu`n toi
crh`ª, 249, 6 crh` proi?dhn, 332, 1 nu`n crh` mequvsqhn) Alceo – rettificando
Archiloco (fr. 13) col sostituire il vino alla sopportazione (tlhmosuvnh) come
medicina del dolore – esorta l’amico Bicchis a ubriacarsi (cfr. i frr. 38A e 338).
«Ma che l’esortazione a bere non significhi qui rinunzia alla lotta è reso probabi-
le dalle ultime parole di Teucro nell’ode di Orazio [I 7, 32] cras ingens iterabimus
aequor» (G. Monaco) (al verso precedente Orazio sembra appunto riecheggiare e
condensare questo passo alcaico con l’esortazione nunc vino pellite curas).
1 ... : «Non bisogna compagno di eteria di Alceo, nominato an- nide, fr. 512, Euripide, Baccanti 283, Ora-
abbandonare l’animo alle pene: infatti non che in fr. 73, 10. - : l’idea di zio, Carm. 1, 32, 14 s. o laborum / dulce le-
ci guadagneremo nulla ad affliggerci, o Bic- una ‘medicina’ delle sofferenze è già in Ar- nimen. - =
chis, ma la medicina migliore è ubriacarci do- chiloco, fr. 13, 6 s., che la individua nella ( ), riferito a un «noi» implicito, sog-
po esserci fatti portare vino». - capacità di sopportare virilmente il dolore getto di (= , cfr. fr.
= (cfr. «nausea»). - : (la ), e poi ricompare in Simo- 332, 1).
T. 10 Frammento Una scena invernale, delineata con brevi tratti impressionistici, nella quale al ri-
338 V. gore del gelo esterno, con pioggia, tempesta e ghiaccio, fa da contrasto il calore
LA LIRICA MONODICA
del simposio, ravvivato dal focolare e dal vino; nel quadro del convito aristocra-
tico, l’invito a bere senza risparmio è questa volta motivato non da un’occasione
politica, come nel fr. 332, o dal bisogno di vincere la sofferenza, come nel fr.
335, ma semplicemente dal freddo, che induce a ripararsi le tempie con una sof-
fice sciarpa. La ripresa oraziana in Carmina I 9 (la cosiddetta «Ode del Soratte»)
è prolungata ben al di là del «motto» iniziale, dove l’alternanza fra il riferimento
deittico alla situazione presente e l’esortazione conviviale si configura parimenti
ripartita fra prima e seconda strofe (vedi scheda di approfondimento).
568
56
68 LA LIRICA MONODICA
’,
,
8
MEMORIA LETTERARIA
Allusività oraziana
Rispetto ad altri casi di riprese di poesie alcaiche secondo la tecnica che Giorgio Pasquali definì del «motto
allusivo», Orazio in Carmina 9 – la cosiddetta «Ode del Soratte» – ha costeggiato il modello di Alceo fr.
338 in modo assai più esteso, e cioè fino al v. 8:
Vides ut alta stet nive candidum Tu vedi come si staglia lucente per l’alta
Soracte, nec iam sustineant onus neve il Soratte e non più ne reggono il peso
silvae laborantes, geluque le affaticate selve e per il gelo
flumina constiterint acuto. acuto è diventata ghiaccio la corrente.
Permitte divis cetera, qui simul Ogni altra cura affidala agli dèi: appena
stravere ventos aequore fervido 10 placheranno i venti cozzanti sul mare
deproeliantis, nec cupressi che ribolle né i cipressi
nec veteres agitantur orni. fremeranno né i vecchi olmi.
Quid sit futurum cras, fuge quaerere et Non chiedere che avverrà domani, ma
quem fors dierum cumque dabit lucro qualunque giornata ti offrirà la Sorte segnala
adpone, nec dulcis amores 15 a profitto e non ripudiare, giovane come sei,
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sperne puer neque tu choreas, i dolci amori e le danze
donec virenti canities abest finché dai tuoi anni verdi è lontana la canizie
morosa. Nunc et campus et areae bisbetica; ora si cerchino all’ora del convegno
lenesque sub noctem susurri il Campo e le piazze e i sussurri
composita repetantur hora, 20 a prima notte,
nunc et latentis proditor intumo ora la dolce risata che dal più segreto angolo
gratus puellae risus ab angulo tradisce la ragazza nascosta e il bracciale
pignusque dereptum lacertis strappato come pegno dal polso o l’anello dal dito
aut digito male pertinaci. che finge di resistere.
Già nell’ambito del motto iniziale il poeta latino mostra la sua personale cifra espressiva, puntualizzando
le generiche indicazioni meteorologiche del modello nel richiamo al Soratte, visibile dal Gianicolo o da
Monte Mario, e compiacendosi dell’idea delle selve spossate (laborantes) per il carico della neve.
Anche la notazione comunicata da candidum, il bianco luminoso, valorizzato dall’enjambement, non trova
riscontro nel modello, ma risponde al gusto di Orazio per effetti di luce.
Ma l’opposizione fra la dimensione alcaica e quella oraziana si riconduce soprattutto al fatto che, mentre
il poeta greco componeva i suoi carmi in vista di un concreto spazio simposiale animato da un’altrettanto
precisa e concreta occasione e dunque “indicava” come presenti i dati della realtà (era la dimensione della
deixis o demonstratio ad oculos), Orazio, una volta abbandonata la traccia del modello, inserisce nella
chiusa il richiamo a un contesto palesemente non invernale (spazi aperti quali il Campo Marzio e le piazze)
che riesce incompatibile con il quadro iniziale.
In questa nuova prospettiva il nunc del v. 18, iterato al v. 21, non è un indicatore puntuale in quanto non
denota l’ora del presente convito ma rimanda all’intera giovinezza («ora che sei giovane») e dunque ol-
trepassa la dimensione attuale per creare un quadro aperto su una stagione della vita lungo la quale il «re
della festa» (questo il senso dello pseudonimo Thaliarchus) dovrà concentrarsi sulle gioie che gli capiterà
di incontrare senza chiedersi che cosa avverrà domani.
’ ;
LA LIRICA MONODICA
2 , ,
4 ’.
, ’
6 …
( ), dichiarato vocabolo tessalico (e una e due misure colma le tazze fino all’orlo, re». Il dosaggio che prevedeva una misura
dunque eolico-continentale) in Teocri- e una coppa scacci l’altra!». - = : d’acqua e due di vino era considerato al-
to 12, 14. Esichio chiosa il termine con si tratta di Dioniso, figlio appunto di Se- quanto forte: come dice Plutarco (Quaest.
. Il vocativo rappresenta dunque mele e di Zeus. - = , conv. 657d), la miscela basata su questo
un equivalente dell’apostrofe , assai cfr. Iliade XXII 83 , rapporto determina lo stato «di mezza
frequente nei carmi erotici della silloge Aristofane, Rane 1321 ubriacatura». - =
teognidea. «spirale di grappolo che placa , dalla testa ai piedi, da cima a
gli affanni», Orazio, Carmina 7, 21 obli- fondo. - (integrazione di R. Porson)
3-6 ... : «Infatti il vioso ... Massico. - ( )= =
figlio di Semele e di Zeus donò agli uomini . L’espressione ha .- = : III persona
come oblio degli affanni il vino. Mescendo come referente implicito «misu- dell’imperativo di .
potenziale giustificativo di cui Alceo disponeva: da una parte del simposio guardavano i preparativi, ascoltavano un carme in
motivi che si riferiscono esclusivamente al momento presente cui questa realtà veniva tematizzata e che inoltre legittimava
(presto sarà sera), dall’altra concezioni generali, basate su una l’azione prevista. Se l’accordo tra ‘sala d’armi’ e ‘canto d’ar-
verità di principio (il vino come mezzo mandato dal dio contro mi’ aveva indotto un senso di coraggio e di determinazione,
la tristezza). in questo caso il canto doveva programmare un’atmosfera di
letizia e di gioiosa attesa, che si sarebbe diffusa anche tra gli
Al centro di questo schema c’è l’aggancio, qui mancante, ascoltatori.
all’evento politico concreto, alle reali circostanze politiche, in [W. Rösler, Due carmi simposiali di Alceo, in M. Vetta, Poesia e
cui vengono ad intrecciarsi il motivo esterno specifico e la fun- simposio nella Grecia antica. Guida storica e critica, Roma-Bari,
zione generale del bere («fa dimenticare gli affanni» [cfr. per Laterza 1983, 71-73]
ALCEO 5771
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MEMORIA LETTERARIA
Il ricordo del carme di Alceo induce il poeta alessandrino a trasferire a Eros «amaro» l’origine delle soffe-
renze che chiedono di essere lenite dal vino e a trasformare quella che in Alceo si prospettava come una
virile accettazione della morte in una deriva inquietante dove ben presto annegheranno le gioie effimere
del bere in comune.
Una tonalità che si coglie assai bene per contrasto leggendo un epigramma del contemporaneo Edilo di
Samo (Edilo 5 Gow-Page, da Ateneo 472f), dove l’analogo invito al vino (ma rivolto dal poeta ai convitati,
non viceversa) si risolve assai più convenzionalmente, pur se con elegante colloquialità, in levità edoni-
stica:
· , π ’
’ π π .
“π ,
4 ”. , .
Beviamo! Perché qualcosa di nuovo, perché qualche parola nuova col vino
dovrei trovare, qualche parola lieve e dolce.
Ma tu innaffiami con anfore di Chio e dì: «Scherza,
4 Edilo»: odio vivere rinunciando a bere senza ragione.
1 2
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57
72 LA LIRICA MONODICA
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2 ’ , ’ ,
’ ...
4 ,
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6 …
1 : «bagna i polmo- beneficio dal liquido che vi affluisce, men- denota la conclusione di un ciclo) avve-
ni». L’esortazione iniziale è una variazione tre risalirebbe a Platone (Timeo 70c e 91a) niva, al tempo di Alceo, il 19 luglio. Sul
del tipico «beviamo» o «bevi». Secondo la falsa opinione che le bevande attraver- nesso fra vino e «canicola», cfr. Teognide
Plutarco, Quaest. conv. 697f-698a, Alceo sano i polmoni. - … : l’astro 1039 s. «stolti coloro che non bevono vino
si sarebbe limitato a pensare che i polmoni, è Sirio (cfr. v. 5), della costellazione del al levarsi di Sirio e del Cane».
in quanto prossimi allo stomaco, traggono Cane, la cui levata eliacale ( LA LIRICA MONODICA
È evidente come Alceo costeggia da presso il proprio modello e in questo caso è difficile pensare alla co-
mune, ma indipendente, rielaborazione di una traccia tematica tradizionale.
Si è perfino asserito che «Alceo si compiacque di ripetere ai suoi compagni di convito un passo di Esiodo
tradotto nel dialetto e nel metro locali» (D. Page), ma non vanno per altro verso sottovalutati due scarti
significativi operati da Alceo: la subordinazione dell’intera descrizione all’energica esortazione conviviale
dell’attacco, in modo che il quadro della calura opprimente viene a porsi come motivazione ( 1) dell’invi-
to a bere (mentre in Esiodo non di invito si tratta, ma di un augurio, cfr. 589), e l’incalzante allineamento
paratattico alcaico di contro alla più ragionata coordinazione temporale esiodea ( 582… 585).
Saffo
T. 1 È l’unico componimento sicuramente intero che possediamo di Saffo: nell’edizione
Ode 1 V.
alessandrina occupava il primo posto del I libro. Dionisio di Alicarnasso lo cita co-
me documento esemplare dello stile fondato su un’elegante, morbida associazione
dei suoni. Strettamente personale è l’occasione che determina questo carme: la
ripulsa della ragazza amata, che l’intervento della dea dovrà condurre ad amare la
poetessa; e soggettivamente orientata risulta sia la selezione degli epiteti con cui
LA LIRICA MONODICA
la dea viene invocata (con l’insistenza sul e sulla , sulle arti varie e
astute che rappresentano i requisiti della conquista amorosa) sia il tipo di dialogo,
colloquiale e immediato (si noti l’agilità del passaggio al discorso diretto), che si
instaura fra la dea e la poetessa. Poesia personale, quindi, confessione erotica, ma
insieme poesia comunitaria, destinata a essere cantata entro la cerchia più intima
del tiaso e a fungere da elemento di coesione emotiva e culturale della comunità,
col ruolo centrale assegnato alla dea dell’amore e alla sfera di valori che si coagu-
lano intorno all’esperienza erotica.
SAFFO 5775
575
Metro: strofe saffiche. ’ ’ ,
Fonte: Dionisio , ,
di Alicarnasso, de
compositione verborum ’ ’ ,
173-79; P. Oxy. 2288 , ,
(vv. 1-21).
5 ’ ’,
’ ’
10
’ ’ -
’ ’, ,
fondersi in un’unica sillaba per il fenome- un favore ricevuto in passato dalla divinità,
no della sinecfonesi. La definizione di una cfr. Iliade V 116 … , 13-20 … -
singola divinità come «immortale» – qui in Sofocle, Edipo Re 164 ss. - : «e subito giunsero, e tu, o beata,
contrasto «con la mortalità di Saffo che pre- = sorridendo con il volto immortale, chiedesti
ga» (G. Perrotta) – è molto rara, e in Omero .- = . che cosa ho sofferto e perché di nuovo chia-
ricorre solo nell’espressione - = : in conformità con mo e che cosa massimamente con animo fol-
di Iliade II 41, mentre è frequen- l’indicazione del papiro, che lo fa seguire da le voglio che avvenga per me. “Chi di nuovo
te il plurale .- : è for- un punto in alto, l’aggettivo si doveva colle- devo persuadere ... indietro al tuo amore?
se un neologismo, di formazione identica gare a , piuttosto che ad , sia per- Chi, o Saffo, ti fa torto?”». C’è un trapasso
rispetto a , detto di Eros, in fr. ché in tal modo ne deriva una più salda unità sommerso fra discorso indiretto e discor-
188, ripreso in “Teognide” 1386 della strofe, con più nitido risalto del richia- so diretto: in dipendenza del tempo storico
e in Carm. adesp. 949 PMG mo interno fra ( )5e 8, sia per il ( ) «chiedevi» (imperfetto di )
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76 LA LIRICA MONODICA
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Se l’adozione di epiteti non tradizionali come π di paure che sono invece provocate dal surriscaldamento del
e anche π accanto a «immortale» e «figlia di Zeus» cervello a causa della bile.
mostra che il rito non è un dato inerte, un relitto ossificato, ma Poiché dal testo dell’Ode ad Afrodite si evince che la condi-
viene rimodellato o rifocalizzato, altra cosa è il modo con cui zione per cui il soggetto prova nausea e tormento coincide
Saffo definisce le ragioni della propria supplica. con π … (v. 25 sg.), una lettura “clinica”
Queste ragioni si riconducono a una situazione che doveva dell’ode dovrebbe prendere atto della delineazione di una fase
essere tipica e ricorrente nelle relazioni fra la direttrice di un ansioso-depressiva patita da un soggetto che si conosce come
gruppo e le sue adepte (relazione che i testi stessi dimostrano solitamente vulnerabile alle pulsioni e allo squilibrio (cfr. v.
colorate di forti connotazioni erotiche). Quel che però vogliamo 18 ) e che in virtù dell’intervento di Afrodite
mettere a fuoco è la forma che la sofferenza assume per l’ab- vorrebbe appunto sottrarsi alla frustrazione indotta dal rifiuto
bandono della persona amata. della persona amata.
Ipotizzare che la sottolineatura del proprio patire fosse con- Nell’arco di questo percorso la nausea viene a porsi, secondo la
venzionale e servisse a valorizzare per contrasto il valore di co- medicina ippocratica, come somatizzazione di un atteggiamen-
lei che della sofferenza era la causa e l’importanza del vincolo to ossessivo a cui viene dato il nome di – pensiero
che era stato rescisso è corretto, ed è probabilmente una spie- fisso, ossessione –, come vediamo in un passo del De morbis
gazione adeguata per il «vorrei sinceramente essere morta» di ippocratico (2.72):
fr. 94, 1: una confessione tanto enfatica quanto generica, un Il pensiero fisso ( ) è una malattia difficile da
‘modo di dire’ quale ritroviamo anche in Anacr. fr. 411a PMG guarire: il paziente ha l’impressione di avere nelle vi-
π ( ). Ma questo tipo di spiegazione non scere qualcosa di simile a una spina e che questa lo tor-
può non apparire insufficiente quando al v. 3 della prima stro- turi, e la nausea lo afferra, e scansa la luce e la gente,
fe dell’ode ad Afrodite incontriamo una frase – «non prostrar- ama l’oscurità e la paura lo coglie, e il suo diaframma
mi con ansie né con tormenti» - in cui il nesso / si gonfia e sente dolore a essere toccato e si sente sgo-
trova riscontro in un trattato medico sulle turbe epilettiche. mento e ha visioni terrificanti e incubi e talvolta vede
Leggiamo infatti nel De morbo sacro (15.1-4 Jouanna = 6, p. persone defunte; la malattia sopravviene per lo più in
388 Littré) attribuito a Ippocrate: primavera.
La corruzione del cervello avviene per effetto del fleg-
ma e della bile. Riconoscerai l’uno e l’altra in questo E un nesso fra nausea e forte agitazione psicomotoria talora ac-
modo: quelli che sono folli per effetto del flegma sono compagnata da allucinazioni ottiche e acustiche si coglie anche
tranquilli, non gridano e non strepitano, quelli che lo in altri luoghi ippocratici, mentre in Areteo di Cappadocia, atti-
sono per effetto della bile gridano, si comportano ma- vo nel II secolo d.C. e autore fra l’altro del trattato De causis et
le e non riescono a stare fermi, ma compiono sempre signis acutorum morborum, la nausea apre una serie asindetica
qualcosa che non dovrebbero; se dunque sono conti- completata da «disorientamento, vista annebbiata, rimbombo
nuamente in preda alla follia ciò avviene per queste acustico, cefalea, intorpidimento».
cause. Potremmo continuare in questa lettura di Saffo, o almeno del
Se invece sovrastano timori e paure, ciò avviene per personaggio che porta il suo nome messo in scena nel testo,
effetto di un cambiamento del cervello; esso cambia ma dobbiamo chiederci subito che cosa possa significare questa
per effetto del calore; si riscalda per effetto della bile coincidenza fra i sintomi di sofferenza segnalati da Saffo e la
quando essa muove verso il cervello dal corpo attra- loro riapparizione nel De morbo sacro ippocratico.
verso le vene sanguigne; la paura resta fino a che la C’è naturalmente da considerate che Saffo parla di ansie e tor-
bile non torni di nuovo nelle vene e nel corpo, quin- menti invocando l’intervento di Afrodite come unica terapia
di cessa. Soffre e ha nausea ( … ) possibile del suo male, mentre l’autore del trattato (forse com-
senza motivo se il cervello si raffredda e si condensa posto nella seconda metà del V secolo a.C.) conduce un’aspra
più del solito. Questo gli succede per effetto del fleg- polemica contro la tradizione – impersonata da «maghi, purifi-
LA LIRICA MONODICA
ma; quando gli accade ciò perde anche la memoria. catori, accattoni e ciarlatani» (1.10, cfr. 18.6) – che aveva fatto
Di notte grida e urla, quando il cervello si surriscal- dell’epilessia una malattia “sacra” attribuendole un carattere
da improvvisamente (questo succede ai biliosi, ma ai divino e uno statuto diverso da quello di ogni altra patologia
flegmatici no); si surriscalda quando il sangue arriva sia per il suo carattere straordinario sia per l’incapacità umana
al cervello in grande quantità e bolle. di interpretarne la genesi.
(Tr. di A. Roselli) Un atteggiamento “scientifico” che per altro non va oltre un’in-
dicazione terapeutica legata al clima e alla dieta, nella presun-
La condizione “flegmatica”, tipica di coloro che «sono folli re- zione che lo scatenarsi della malattia dipenda dal cambiamento
stando tranquilli» e che appunto per questo provano sofferenza dei venti e dalla conseguente inondazione del cervello ad opera
e nausea, viene contrapposta dall’autore del trattato al caso del flegma (11.1-2).
SAFFO 5779
579
Saffo, al contrario, non solo si pone storicamente al di qua di poetica ma sfruttando anche tratti del linguaggio corrente, ela-
queste e simili teorizzazioni della medicina ippocratica, ma borasse un ritratto della propria condizione che, pur muovendo
neppure parla di , come ad esempio fa Sofocle con molta da una situazione convenzionale, ne approfondiva la sostanza
insistenza per l’accesso di follia che assale Aiace ottenebran- esistenziale.
dogli la mente: registra sintomi occasionali all’interno di una È arduo stabilire in che misura la poetessa attingesse per que-
personalità incline alla . sta ricerca tematica e linguistica alla propria esperienza per-
Ciò non toglie che, com’e noto, la dizione della medicina ip- sonale o, in altre parole, in che misura le forme dei contenuti
pocratica, al pari di quella del pensiero presocratico, sia stata e dell’espressione dipendessero da materie dei contenuti rin-
elaborata lentamente e gradualmente in un’autonoma direzio- tracciate nella propria storia. Certo Saffo doveva partecipare
ne specialistica, e lo abbia fatto muovendo dal linguaggio co- il magma dell’esperienza a un pubblico comunitario entro una
mune. Da questo punto di vista si può pensare che la poetessa cornice cultuale e festiva e pertanto sia le articolazioni concet-
di Mitilene utilizzasse vocaboli ed espressioni correnti al suo tuali dei suoi carmi sia la loro formulazione dovevano garantirle
tempo per esprimere un disagio e una sofferenza a loro volta una comunicazione felice con il proprio uditorio.
riconducibili alle convenzioni della passione amorosa. [F. Ferrari, Una mitria per Kleis. Saffo e il suo pubblico, Pisa,
Sembra di capire che Saffo, attraverso i moduli della tradizione Giardini editori 2007, 154-158 passim]
1 da Creta: a proposito del ruolo di E d’altra parte i Cretesi consideravano la 4 : è la più antica menzione
Afrodite nella cultura religiosa cretese, G. dea nativa della loro terra. (con quella nel fr. 44, 30), dell’incenso,
Pugliese Carratelli ha richiamato da un lato introdotto in Grecia verso la fine dell’VIII
la scoperta di un santuario consacrata ad 2-3 bosco… di meli: il bosco sacro di sec. a.C.
Afrodite a Kato Simi (Creta occidentale), meli sembra essere un esplicito omaggio ad
che attesta la continuità del culto dall’età Afrodite cretese, trattandosi dei cotogni (le 5 acqua … rami: immagine raffinata, di
minoica e micenea a quella romana, di Ibico fr. 286, 1), che tipo analogico: lo scroscio di una sorgente
dall’altro gemme minoiche e micenee raf- traevano il nome da Kydonia (oggi Cha- o di un torrente fuori vista è percepito attra-
figuranti epifanie di una dea al cospetto di nia), il maggiore centro minoico di Creta verso i rami dei meli, visibili.
donne adoranti entro un santuario alberato. occidentale.
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T. 3 Frammento Erodoto racconta che Carasso, il fratello maggiore di Saffo andato a vendere
5 V. una partita di vino (questo particolare è aggiunto da Strabone XVII 1, 33)
nella colonia milesia di Naucrati, presso il braccio occidentale del Nilo, si
innamorò di un’etera tracia di nome Rodopi, per la quale dilapidò una grande
fortuna (cfr. Ateneo XIII 596b) attirandosi gli aspri rimproveri della sorella
(II 135). Dato che Erodoto riferisce i rimproveri in un certo a un mo-
mento successivo al ritorno del fratello a Mitilene, mentre l’ode presente
LA LIRICA MONODICA
(che comprendeva cinque strofe, di cui le ultime due sono troppo mutile per
estrarvi un senso continuo) risulta pervasa di tenerezza e di spirito di ricon-
ciliazione e sembra prospettarsi come composta in occasione del prossimo
ritorno del fratello, è plausibile dedurne che lo storico alluda a un diverso
componimento, occasionato dal timore di un ritorno di fiamma di Carasso
per Rodopi (che Saffo chiama Dorica; forse Rodopi, «Sguardo di rosa», era il
nome professionale dell’etera o invece è Dorica a costituire un nome fittizio,
coniato su ).
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1 Cipride e Nereidi: secondo quanto rica- e a Posidone in un golfo di Pirra dove erano tempio con le Nereidi e appunto in questo
viamo da un frammento dello storico Mir- approdati i primi coloni dell’isola. La noti- tempio l’ode deve essere stata eseguita da-
silo di Metimna (FGrHist 477 f 14), a Le- zia conforta l’ipotesi secondo cui Afrodite vanti a un largo uditorio.
sbo era stato dedicato un culto alle Nereidi protettrice della navigazione condivideva il
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16 …
Un attacco a Dorica e alla sua «arroganza» ( ) è an- re cantata in un tempio sacro ad Afrodite (Lasserre), osserviamo
che nel fr. 7: è piuttosto nel fr. 12 che, specialmente sulla base come Saffo ragioni nell’ambito dell’etica arcaica convenzionale,
della sicura presenza del motivo del «rimprovero» (cfr. v. 6 imperniata sui valori del «far bene agli amici e male ai nemici» e
), è stato rintracciato un sia pur lacunosissimo residuo della , l’onore o buona fama come cardine delle relazioni in-
del componimento a cui Erodoto faceva riferimento. terpersonali. L’originalità del componimento sta piuttosto nell’aver
Comunque sia, il fr. 5 V. presenta le movenze di un incanalato gli schemi formali del π π π e dell’inno cle-
π π , ovvero di un carme di accompagnamento per tico (l’invocazione iniziale a Cipride e alle Nereidi, la struttura ad
chi si metteva in viaggio, cfr. ad es. Teocrito VII 52 ss. e so- anello bloccata dal ritorno dell’apostrofe a Cipride nell’ultima, qua-
prattutto Orazio, Carmina I 3, che costituisce un interessante si illeggibile, strofe che non abbiamo riportato: v. 18 su; [ ]
riscontro, in quanto parimenti aperto da una preghiera a Cipride: [ ]) in un tono medio di affettuosa colloquialità.
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T. 4 Frammento Alle cinque strofe conservate da P. Oxy. 1231 con una sola lacuna di una certa
16 V. estensione (quella che riguarda i vv. 12-14) seguivano nell’edizione alessandri-
na altre tre, qui non riportate, di cui possediamo alcuni resti grazie alla com-
binazione tra i frustoli del medesimo papiro e P.S.I. 123: entrambi i testimoni
riportano sul margine sinistro, in coincidenza con la fine dell’ultima strofe, la
coronide (il segno di conclusione di un componimento). Pertanto o la nostra ode
è un carme completo seguito da un altro di sole tre strofe oppure essa contava
otto e non cinque strofe. Certo è che i vv. 1-20 sembrano possedere una propria
conclusa autonomia, marcata dal ritorno circolare, ai vv. 17-20, del paragone
col mondo della guerra.
La prima strofe appare organizzata secondo il modulo detto del «preambolo»
(Priamel), una figura paratattica della poesia greca arcaica, consistente nel far
precedere il dato che si vuol mettere in evidenza da uno o più esempi paralleli,
ognuno dei quali rappresenta un caso di eccellenza nel proprio ambito. Esempio
classico di Priamel è l’esordio della Olimpica I di Pindaro («Ottima l’acqua, come
vampa di fuoco/ sfavilla nella notte su ricchezze superbe l’oro,/ ma se tu, mio
cuore,/ vuoi cantare premi agonali/ non guardare nel giorno/ astro più caldo del
sole/ splendente per l’etere deserto/ né celebriamo gara più eccelsa di Olimpia
... ), dove l’eccellenza dei giochi olimpici sugli altri agoni corrisponde all’eccel-
lenza dell’acqua, dell’oro e del sole rispettivamente nell’ambito degli elementi
naturali, delle ricchezze e degli astri.
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20 ] .
in entrambi i casi con enfasi del valore di tà» (Theander). - : è integrazione ( ), cfr. Pindaro,
.- [ ] = - di Schubart. A Pafo in Cipro sorgeva il più fr. 52o, 35 , Bacchilide
(aferesi). - [ = antico santuario della dea (cfr. dissea VIII 2, 6 .-
. Per lo schema narrativo cfr. Al- 362 s., Inno a Venere 58 s., Erodoto I 105, 3. = .- ] =
ceo, fr. 283, 4-6 [ ] [ / (relativo) .- (cfr.
[ ] [ / 13-20 ] … ] - )= .- = :
«e resa folle dall’uomo di Tro- : «infatti inflessibile [ha il pensiero «scintillio» è connesso con e
ia traditore degli ospiti lo seguì sulla nave ...] agevolmente [... e] ora mi ha fatto ricor- anche con , cfr. Esiodo, F 43(a),
attraverso il mare». dare di Anattoria assente, della quale vorrei 4; 70, 38; 73, 3; 196, 6, Apollonio Rodio
vedere l’amabile passo e il luminoso scintil- III 288 , detto di Me-
10-13 [ ] … : lio del volto più dei carri dei Lidi e i fanti dea, sempre riferito a uno sguardo amoro-
«e non si ricordò affatto della figlia né dei che combattono in armi». - ] : so. - = .
cari genitori, ma Cipride la traviò [contro ( «piegare», ) è inte- - : nel corso del VII secolo
la sua volontà.]». - = : grazione di Schubart, cfr. Bacchilide 9, 73 la cavalleria lidia aveva provocato grande
per l’espressione cfr. “Omero”, Inno a ] [ ] ). - : impressione sui Greci dell’Asia Minore:
Cerere 282 s. / l’integrazione di fine di verso è di V. Di Be- Mileto e Priene furono attaccate da Ardys,
.- = : nedetto. - : l’avverbio, che si legge Mileto da Sadyattes prima e da Alyattes
cfr. Archiloco fr. 124b, 4 in un verso per il resto fortemente corrotto, poi, Clazomene e Smirne dallo stesso Al-
. Incerta l’integrazio- doveva sottolineare la facilità con cui Afro- yattes. - ]
ne del v. 12, che comunque doveva con- dite porta a compimento le sue intenzioni. = . La pri-
tenere un’indicazione relativa a Elena: fra In principio di v. 15 Lobel ha pensato a ma sillaba di è breve per la cosid-
le proposte avanzate «suo ] ( ). - [ : Anat- detta correptio Attica (la vocale breve aper-
malgrado» (Kamerbeek), oppure, tenendo toria viene ricordata dalla Suda ( 107), ta - non si chiude dinanzi al gruppo muta
conto dell’unica traccia superstite a inizio se è corretta la correzione di cum liquida, in questo caso / /, e dunque
rigo, ] ; di senso opposto in , come un’allieva di Saffo si ha una scansione sillabica - -, non
] «non contro la sua volon- originaria di Mileto. - ] ( )= - -. LA LIRICA MONODICA
· ·
, , .
T. 5 Frammento È forse l’ode più letta e più ammirata di Saffo, citata dall’Anonimo del Sublime
31 V. come capolavoro di poesia amorosa per l’abilità con cui Saffo sceglie e collega
le circostanze più salienti della passione: «Saffo, ad esempio, descrive le folli
sofferenze d’amore ogni volta traendo spunto dalla realtà stessa delle circostan-
ze. E dove mostra la sua grandezza? Quando è straordinaria nello scegliere e nel
connettere tra loro i momenti più intensi e acuti … Non resti ammirato di come
ripercorre nello stesso tempo l’anima, il corpo, le orecchie, la lingua, gli occhi,
la pelle, come se fossero cose a lei estranee, e disperse: e passando da un posto
all’altro gela, brucia, è fuori di sé, sragiona, è sconvolta dal timore e poco manca
che muoia, tanto che sembra provare non una sola ma un groviglio [ ]
di passioni? Tutto questo, infatti, accade a chi ama: ma, come dicevo, la scelta
dei momenti più intensi e il loro collegamento ha prodotto il capolavoro» (cap.
10, tr. di G. Guidorizzi).
niensia 1, 208, 13 ss. Cramer (v. 13), P.S.I. 1470 (vv. 14-16) ecc.
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suppongono il riferimento a una persona , è correzione di Danielsson per accordo con la nota:
definita, come in Alceo 72, 7 s. …/ il tràdito .- : è usato imper- « :
.- = : «chiunque egli sia» sonalmente col valore di «è pos- questa parola presso gli Eoli è femmini-
denota persona definita di cui però non si sibile», cfr. Iliade XVIII 520 le». F.W. Schneidewin suppose che
conosce l’identità. - = .- «dove a loro era possibile fosse nato da una falsa interpretazione di
= .- = .- tendere l’agguato». Per l’afasia quale sin- , preverbio di , inteso come
= .- tomo dell’amore, cfr. Teocrito II 108 abbreviazione di ( ). Il codice Pari-
(= -): propriamente: «ascolta con atten- .- … : «è sino del ha:
zione»; è implicito il pronome «te», rica- spezzata» tmesi per , con che , che è certamente cor-
vabile dal del verso 2. - ha subito il fenomeno dell’assimilazione e rotto, ma presenta l’aggettivo (per
= : «che sorridi dell’apocope ( = ); è perfet- ), espunto da L. Spengel, che ha a
in modo tale da suscitare desiderio»; il neu- to intensivo di . L’immagine trova suo favore l’imitazione che ne fa Teocrito
tro singolare ha funzione avver- riscontro in Lucrezio III 155 et infringi lin- in II 106 s., in cui compare la stessa as-
biale e richiama il di guam, nell’ambito della descrizione della sociazione di sudore e di gelo:
Iliade VI 484. Cfr. Orazio, Carm. 1, 22, 23 sindrome di panico. - = : , /
s. dulce ridentem Lalagen amabo,/ dulce l’avverbio «è tipico delle descrizioni sin- «mi sentii tutta ge-
loquentem. - : è un nesso fortemente tomatologiche dei trattati medici» (V. Di lare più della neve, dalla schiena/ il sudore
asseverativo. - = Benedetto), cfr. ad es. Epidemie 7, 118. - mi scorreva»; del resto anche il testimone
( = ) è un aoristo ingressivo: … = - nel commentare il passo annota (10, 3):
«ha preso a sgomentarmi», s’intende qui e ( ). - . Una soluzione pos-
ora, non un passato più o meno remoto; in = .- ( )= .- - sibile, ma insoddisfacente per altri versi, è
Omero è connesso con la paura = , da , di D. Page.
(cfr. Odissea XXII 298, come in Anacreon- che propriamente denota un moto vibrato- La presenza dell’articolo e tutto il giro
te 408, 3); in contesto erotico lo troviamo rio o rotatorio; alcuni, a partire da Bergk, espressivo trovano preciso riscontro in fr.
anche in Alceo, 283, 3 s., detto di Afrodite preferiscono correggere in , 96, 12 (vedi T.
che svia Elena (numerosi sono i casi di tale sulla base di Apollonio Rodio IV 908 14), mentre per l’uso di in nesso con
LA LIRICA MONODICA
† †
spetta come un’iperbole costruita secondo cuperata grazie a P.S.I. 1470 (la tradizione successive al v. 16
uno schema che ritroviamo anche in fr. 156, dello Ps.-Longino ha solo . † † nel codice P dello Ps.-
2 «più aurea dell’oro» Longino sono effettivamente di Saffo e non
e in fr. 167 «mol- 17 … †: «Ma tutto si appartengono al commento dell’Anonimo;
to più candido di un uovo». - = . può sopportare poiché il povero (?) …» è l’ode continuava pertanto con un «ma tutto
- = .- = l’inizio di una nuova strofe, perduta per il si può sopportare poiché …». Cfr. Sofocle,
.- = (aferesi). resto: la presenza della grafia Filottete 634 … .
- = : la lezione è stata re- (= ) garantisce che le parole
simile/-i agli dèi o a un dio determinato (fr. 44, 21 e 34 e no incapsulati dentro la comunicazione fra la ragazza stessa e
111, 5), il confronto con la lode di Odisseo per l’uomo che l’uomo che le siede di fronte.
potrà prendersi in sposa Nausicaa, mentre conferma l’infles- In una tale rete di relazioni la crisi di panico che occupa il
sione nuziale che è stata talora rivendicata all’incipit del carme centro dell’ode non può allora che prospettarsi come anti-
(Wilamowitz, Snell), contrasta nel contempo con una conte- cipazione fobica di un evento iscritto nella storia ordina-
stualizzazione epitalamica dell’ode. ria del gruppo: l’icona matrimoniale costruita dalla prima
La scena non può infatti alludere alla processione nuziale, strofe annuncia all’«io», come una sorta di premonizione,
nel cui ambito uomo e donna procedevano affiancati a piedi che quella ragazza ormai nubile presto si sposerà abbando-
o sopra un carro, né al convito in casa del padre della sposa nando, con le implicazioni emotive che si osservano in fr.
prima dell’avviarsi del corteo perché nel corso di tale convito 94 (vedi T. 13) e in fr. 96 (vedi T. 14), le consuetudini di
SAFFO 5889
589
vita in cui si era integrata da quando era ancora una pais denique concidere ex animi terrore videmus
acerba. saepe homines; facile ut quivis hinc noscere possit
Di qui una quasi-morte che non a caso trova significativi an- esse animam cum animo coniunctam, quae cum animi vi
tecedenti nel terrore di Andromaca per la sorte del marito in percussast, exim corpus propellit et icit. 160
Iliade XXII 452-454 e 460-474: dapprima la donna parla del
Ma, quando la mente è commossa da timore più veemente,
proprio battito accelerato, delle ginocchia che le si paralizza-
tutta l’anima vediamo consentire attraverso le membra,
no, della paura che Ettore sia rimasto tagliato fuori della città,
e quindi sudore e pallore effondersi per tutto il corpo
poi il poeta descrive la notte che le scende sugli occhi e lo sci-
e balbettare la lingua e spegnersi la voce, annebbiarsi 155
volare giù dalla sua testa del diadema, della rete, del nastro e
gli occhi, fischiar le orecchie, venir meno le articolazioni;
del velo che le erano stati donati nel giorno delle nozze, finché
alfine per il terrore dell’animo vediamo spesso gli uomini
la sequenza si chiude con l’immagine di Andromaca posseduta
crollare; sì che facilmente ognuno può da questo conoscere
da un turbamento (v. 474 ) che la trascina alle
che l’anima è congiunta con l’animo e, quando dalla potenza
soglie della morte.
Dell’animo è stata percossa, sùbito urta e sospinge il corpo. 160
La dimensione erotica è tutt’altro che assente dal carme, ma
(Tr. di F. Giancotti)
più che la sostanza ne costituisce la premessa: l’ansia del di-
stacco erompe come uno sgomento, consegnato all’aoristo Né, qualora in fr. 1 fossero rappresentati gli effetti di un colpo
π , che va ben oltre lo stupore attonito rintracciabile di fulmine, avrebbe senso l’enunciato π nel pur
nei presunti paralleli che sono stati richiamati in merito alla problematicissimo ultimo verso conservato dell’ode (v. 17).
specializzazione erotica del verbo: luoghi nei quali manca il Non è l’eros ma l’angoscia che si può «sopportare», forse con
collegamento del verbo, decisivo per l’articolazione del senso la consolazione di un pensiero che, sulla base del pur corrotto
dell’ode saffica, a sintomi fobici. π π , è stato individuato (M. West) nella fiducia
Il dato del sudore ( π ), il richiamo alla repen- (o almeno nella speranza) che prima o poi le cose potranno
tinità del fenomeno ( ), l’uso del verbo π in cambiare allo stesso modo in cui il povero può d’improvviso
concomitanza con l’atto di guardare ( ) li troviamo in- diventare ricco con il favore degli dèi (cfr. Teognide 657-666).
vece associati nel già ricordato fr. 5 di Mimnermo, dove non West osservava che in tal modo la chiusa di fr. 31 poteva ma-
viene certo rappresentata una condizione di innamoramento, nifestare lo stesso ottimismo (la stessa fiducia nel successo)
bensì lo sgomento che a contatto con l’oggetto consueto dei della chiusa dell’Ode ad Afrodite e riferiva l’eventualità di un
suoi desideri (i coetanei) afferra la persona loquens al pensiero cambiamento futuro a «quell’uomo». Ma l’uomo resta del tutto
angoscioso della brevità della giovinezza. fuori campo dopo la prima strofe, e anche il nesso fra invito al-
E un quadro del tutto analogo emerge in Lucrezio là dove que- la sopportazione e richiamo alla legge del cambiamento con la
sti, in III 152-160, viene a trattare dei rapporti fra animus (la menzione prioritaria del povero che può diventare ricco (e non
funzione egemonica, collocata nel cuore, sede sia del consilium del ricco che può diventare povero) suggerisce il riferimento
che della paura e della gioia) e l’anima (sparsa per l’organismo della sentenza all’«io»: al di là della crisi provocata dall’attesa
e regolata dall’animus): della prossima partenza della persona amata doveva profilarsi
Verum ubi vementi magis est commota metu mens, la possibilità di un ritorno all’equilibrio emotivo e alle gioie
consentire animam totam per membra videmus della vita in coerenza con quella funzione terapeutica della cri-
sudoresque ita palloremque existere toto si di panico per cui, una volta esauritasi la sindrome patologi-
corpore et infringi linguam vocemque aboriri, 155 ca, la persona sofferente si riconosce libera dalle angosce che
caligare oculos, sonere auris, succidere artus, proprio la crisi aveva portato alla luce.
LA LIRICA MONODICA
1-4 … la nozione del “bello” si ha in fr. 58, 26 ripresa del luogo saffico in Nonno, Dio-
: «Gli astri ( = ) ... (vedi T12). - : nisiache XLI 256 ss.
intorno alla bella luna ( = l’avverbio sottolinea il carattere ciclico del / -
) di nuovo nascondono ( - fenomeno. - = «pie- / «quanto più
= ) l’aspetto na», nella fase del plenilunio, cfr. fr. 154, Selene nasconde gli astri, saettando i raggi
luminoso ( = ), quando 1 ‹ › e sgombri di nubi nel plenilunio» (tr. di D.
( = ) piena risplende al suo Iliade XVIII 484 ... . Accorinti), dove lo splendore degli occhi di
colmo ( ) su tutta la terra». - - : è supplemento, general- Beroe oscura quelli delle coetanee come la
= come nota Di Benedetto, mente accolto, di Holt Okes (1810) sulla luna gli astri.
una analoga associazione del «brillare» con base di Iliade VIII 1 . Una
si vedono tutte le stelle e si rallegra nel suo cuore il pastore. delineato da Pindaro in Istmica IV 23 s.:
[Tr. di G. Paduano] ,/
«[la Fama] destata risplende in volto come tra gli altri astri la
È subito chiaro che con Saffo è sulla stella lucente del mattino».
linea di (e anche è consonan- Subito dopo questi versi la luna era inoltre definita «argen-
te con ), ma già l’innovativo introduce una tea», come attesta ancora Giuliano, Epist. 19, 387a π …
qualificazione soggettiva; e la situazione è diversa, perché in
Omero – come osservava Eustazio – luna e astri risplendono , e anche tale aggettivo
insieme mentre in Saffo le stelle scompaiono, «nascondono» ben si poteva adattare al paragone (cfr. Alcmane 1, 5
il loro aspetto di fronte allo splendore della luna al suo col- π π ).
SAFFO 5991
591
T. 7 Frammento Esempio illustre di similitudine ridotta all’essenziale. Colpisce la fisicità con cui
47 V. l’eros è rappresentato, con una concretezza che trova un antecedente solo in
Archiloco (frr. 191 e 193).
Metro: pentametri xx ‹ ›
eolici.
Fonte: Massimo di Tiro , .
18, 9 p. 22 Hobbein.
1-2 … : «… ed Eros condo lo schema «del tutto e della par- di pula secca», ma senza precedenti è il
( = ) mi ha turbato il cuore, te». - : il verbo già in riferimento del turbine alla sfera amo-
come vento che si abbatte contro le quer- Omero qualifica l’azione del vento, cfr. rosa. - = : il verbo
ce ( = ) sul ( = ) Odissea V 368 è usato per Borea da Esiodo,
monte». - : è integrazione di Lobel, / «come un Erga 511 ss.
ma si potrebbe pensare anche a se- vento impetuoso disperde un mucchio
T. 8 Frammento L’attesa esaudita dell’amata è resa con vigorosa brevità, riutilizzando una meta-
48 V. fora omerica sul «refrigerio» del cuore.
Metro: pentametri , , ’ ,
eolici.
Fonte: Giuliano, Epist. ’ .
183-240 s.
Bidez-Cumont.
1-2 … : «Venisti, e bene osservato V. Di Benedetto – un modulo è brillante correzione del Thomas, per il
hai fatto ( = ), e io ti espressivo colloquiale, attestato ad es. in corrotto , cfr. Meleagro,
agognavo, e desti refrigerio al mio ( Euripide, Medea 465 ss. e in Erodoto V A.P. XII 132, 7 s. ,
= ) cuore che bruciava di desiderio». 24, 4 .- /
- : cfr. Iliade III 428 … : tmesi = : già «ani-
, Teocrito XII 1 , in Iliade XIII 84 ma greve d’affanni, che un attimo bruci
.- ( ): è correzione di (e cfr. X 575); è usato meta- nel fuoco e ti riprendi un attimo e rifiati»
Lobel per il della parafrasi di Giu- foricamente, per denotare il riprender [tr. di F.M. Pontani].
liano; con si recupera – come ha fiato in una pausa bellica;
T. 9 Frammento I due versi sono citati da fonti diverse, ma un passo di Terenziano Mauro (de
49 V. metris 2154 s. cordi quando fuisse sibi canit Atthida/ parvam, flora virginitas
sua cum foret) suggerisce che essi si susseguissero nell’ordine qui riprodotto o
LA LIRICA MONODICA
, , ·
’ .
1-2 ... : «Io to dei pronomi personali è certamente ma anche l’acerba immaturità può esser
( = ) ero innamorata ( intenzionale. - ( ) = fonte di innamoramento nel cosmo del
= da , cfr. 16, 4 [T4]) , cfr. 31, 1 .../ tiaso, che proprio dell’acquisizione del-
di te tanto tempo fa (potav = potev), o (T5). - … = la faceva l’obiettivo dei processi
Attide: mi sembravi essere una bimba mi- … , con elegante col- formativi (eleganza, arte ecc.) che si pra-
nuta e sgraziata». - = , con locazione degli aggettivi ai margini del ticavano al suo interno.
suffisso di provenienza: l’accostamen- verso. Non solo il fulgore della bellezza
T. 10 Frammento Con movenza risoluta Saffo profetizza a una donna a noi ignota («ricca e igno-
55 V. rante», informa Plutarco) uno squallido aggirarsi nella dimora di Ades, perché
essa non conosce le «rose della Pieria». Da un lato questo frammento mostra
un’intransigente aggressività in una poetessa che pur asseriva di non avere tem-
peramento maligno ma animo gentile (fr. 120), dall’altro fa risaltare, per con-
trasto, la funzione che Saffo attribuiva alla propria poesia, capace di garantirle
l’immortalità: si confrontino ad esempio i frammenti 32
/ «(le Muse) che mi resero onorata, donandomi le loro
opere» e 147 «credo che qualcu-
no si ricorderà di noi anche in futuro».
Metro: asclepiadei
maggiori.
Fonte: Stobeo III
’
4, 12 (vv. 1-4); ’
Plutarco, coniug. praec.
145f-146a (vv. 1-3), ecc.
’ .
Dossier
La «nuova Saffo» di Colonia e il tema
della vecchiaia nel mondo greco arcaico
C ome abbiamo già avuto occasione di osservare in Mimnermo (v. pp. 000-000),
l’eros, in quanto vitalità e piacere, nella poesia greca trova un limite invali-
cabile nella vecchiaia, i cui segni invasivi, che offendono così il corpo come la
mente, sono al centro di un’ode di Saffo che già in parte conoscevamo da P. Oxy
1787, fr. 1 (= Saffo fr. 58) ma che un papiro dell’Università di Colonia recente-
mente pubblicato (P. Köln 21351) ci permette ora di leggere quasi integralmente:
onde evitare confusioni nella numerazione dei versi tra fr. 58 e il nuovo papiro
chiameremo questa ode Senilità.
T. 11 Si propone il carme sulla vecchiaia restituito dal papiro di Colonia: il testo risulta
Senilità
leggibile in modo complessivamente chiaro, tranne che nel margine sinistro dei
primi 4 versi, che sono stati ricostruiti exempli gratia (per un approfondimento
sui problemi testuali del papiro, vedi F. Ferrari, Una mitra per Kleis, Pisa, Giardi-
ni editori 2007, 180). L’ode è costituita da sei strofe distiche: dopo un invito a
coltivare i doni delle muse, Saffo lamenta gli effetti psico-fisici della vecchiaia,
proponendo poi il paradigma mitologico di Titono, come esempio dell’inelutta-
bilità, per gli esseri umani, del declino fisico che il procedere dell’età comporta.
Metro: ipponattei ] [ ] , ,
acefali espansi. ]
Fonte: P. Köln 21351
col. I 9-12 e col. II ] [ ]
1-8; P. Köln 21376 , ]
col. II 4-8; P. Oxy
1787, fr. 1, 11-22. [ ] , ’ ,
6 ’ .
, ;
8 ·
] [ ]
10 o [
_[ ] ,
12 [ ] .
[Se amate] o fanciulle, i bei doni [delle Muse] dal seno di viola,
2 [danzate al suono di questa] cetra sonora amica del canto,
[ma a me] la pelle che un tempo era [delicata] ormai la vecchiaia
4 [l’ha sciupata,] e i capelli da neri sono diventati bianchi,
e l’animo mi si è fatto greve, e non reggono le ginocchia
6 che una volta erano agili a danzare come cerbiatti.
Di questo spesso gemo: ma cosa posso farci?
8 Un essere umano sfuggire a vecchiaia non può,
e infatti dicevano che un tempo Aurora dalle braccia di rose,
10 per amore salì nella coppa portando Titono,
che era bello e giovane, ai confini del mondo, ma pure lui che aveva
12 una sposa immortale lo ghermì col tempo la vecchiaia canuta.
MEMORIA LETTERARIA
Mimnermo, come abbiamo visto, enumera gli effetti penosi della vecchiaia «che rende brutto anche
l’uomo bello» e in fr. 4 ricorda al pari di Saffo la vicenda di Titono, «a cui Zeus impose la vecchiaia, che è
un male ancor più angoscioso della morte» (v. p. 000): si fa riferimento al mito secondo cui Aurora dalle
braccia rosate aveva ottenuto da Zeus l’immortalità per l’amato Titono, ma non l’eterna giovinezza, con
conseguenze spiacevolissime per la mitica coppia; e come in Mimnermo, fr. 12 W. (e anche in Stesicoro,
fr. 185 P. e in Eschilo, fr. 187 R.) si rievoca la coppa del Sole (ma anche di Aurora), il letto-imbarcazione
su cui la dea compie il suo viaggio notturno da ovest a est, unendosi al giovane amante appena rapito
DOSSIER: LA NUOVA SAFFO DI COLONIA 5995
595
(si tratta, per la “coppa” solare, di un paradigma mitico del Vicino Oriente illustrato da C. Watkins, The
Golden Bowl: Thoughts on the New Sappho and its Asianic Background, “Classical Antiquity” 26 [2007],
305-324).
Ma particolarmente affine al carme di Saffo è il catalogo di sintomi della vecchiaia snocciolati con la stessa
serialità parattica e analogamente conclusi con un verbo ( del v. 7 rispetto a
al v. 7 di Senilità) che denota il singhiozzare del soggetto in Anacreonte, fr. 395, 1-7 (v. p. 000):
Ma se questi poeti eseguivano i loro brani, con l’accompagnamento della lira o dell’aulo, nelle sale simpo-
siali, qual era il contesto di esecuzione del carme di Saffo?
Secondo gli editori di Colonia Saffo, al principio, direbbe alle ragazze ( ) a cui si rivolge che ella stessa
porta i doni delle Muse prendendo di nuovo la cetra, ma tanto più ora che il nuovo papiro ha confermato la pre-
senza del verbo «danzare» ( ) al v. 6 e ha mostrato che l’enumerazione dei segni della senilità culmi-
nava nell’impossibilità del soggetto a danzare, ne consegue che Saffo doveva invitare le ragazze del suo gruppo
non già ad ascoltare o a suonare, bensì a danzare, come fanno un gruppo di ragazze cretesi in Inc. auct. 16:
’ ’
’ ’ ’
Così un tempo fanciulle cretesi danzavano a tempo
attorno all’amabile altare con i piedi delicati.
La vecchiaia impedisce alla poetessa di danzare alla guida del coro secondo un ruolo che le era stato abi-
tuale e che viene rievocato in un epigramma adespoto di età ellenistica (A.P. IX 189):
,
, ’ ·
· ’
4 .
·
.
Il tempio di Hera era certamente il fulcro di quel santuario confederale, forse situato nella piana di Messa,
in onore della triade (ma con la dea come nume centrale) Zeus - Hera - Dioniso, presso il quale l’eteria
di Alceo implora la punizione di Pittaco in Alceo fr. 129 (p. 000) e dove lo stesso Alceo assiste agli agoni
femminili di bellezza in Alceo fr. 130b (p. 000).
Se dunque per i condizionamenti dell’età la poetessa canta senza danzare e se le sue giovani adepte so-
no invitate a onorare i doni delle Muse assecondando con i loro passi di danza la musica e il canto della
maestra – verosimilmente seduta come sul dritto di una moneta di Mitilene del 150 circa d.C. conservata
al British Museum –, il carme viene a replicare nella sua struttura di fondo la situazione sottesa al famoso
brano di Alcmane sul cerilo e le alcioni (fr. 26) anche se, mentre questo brano in esametri dattilici doveva
essere parte di un “proemio” citarodico a un partenio che le vergini apostrofate avrebbero dovuto cantare
danzando, nel caso di Saffo il coro doveva limitarsi a danzare (p. 000):
Non più, vergini dal canto soave, dalla voce sacra,
le membra hanno la forza di portarmi: fossi, oh fossi un cerilo
596
59
96 LA LIRICA MONODICA
che sul fiore dell’onda vola insieme con le alcioni
con intrepido cuore, sacro uccello dal cangiante colore del mare!
Il racconto della vicenda di Eos e Titono che occupa la parte finale di Senilità ha un precedente, forse di
pochi decenni, nell’inno omerico ad Afrodite.
Ad Anchise atterrito al pensiero di essersi appena congiunto con una dea e che prega Afrodite di non
lasciarlo vivere fra gli uomini, la dea risponde di avere coraggio e cerca di consolarlo col pensiero che
avrà un figlio (Enea) che regnerà sui Troiani; poi gli ricorda appunto la vicenda di Eos e Titono (Inno ad
Afrodite, vv. 225-238):
225 ’ ,
’ ·
,
230 ’ ,
’ ’
’ .
’
’ ’ ,
235 ·
, ’ .
’ ,
’ .
225 E in verità, fin quando egli era nella molto amabile giovinezza,
godendo dell’Aurora dai fiori d’oro, che sorge di buon mattino,
dimorava presso le correnti dell’Oceano, ai confini della terra:
Ma quando le prime ciocche bianche scesero
giù dal suo bel capo e dal nobile mento,
230 dal suo letto si astenne l’Aurora veneranda;
tuttavia, tenendolo nelle sue stanze, lo nutriva
di cibo terreno e di ambrosia, e gli donava belle vesti.
Ma quando con tutto il suo peso gravò su di lui l’odiosa vecchiaia
ed egli non riusciva più a muovere né a sollevare le membra,
235 questa nel suo animo le sembrò la decisione migliore:
lo relegò nell’interno della casa, e serrò su di lui le porte risplendenti.
La sua voce mormora senza fine, ma il vigore
non è più quello che un tempo risiedeva nelle agili membra.
(Tr. di F. Càssola)
Afrodite avrebbe potuto evitare di ripetere la fatale dimenticanza di Eos chiedendo a Zeus non solo l’im-
mortalità ma anche l’eterna giovinezza dell’amato. D’altra parte l’eventualità non viene neppure presa in
considerazione anche perché – aggiunge subito dopo la dea (vv. 247 ss.) – ella dovrà già penare non poco
per sottrarsi alla censura che per essersi unita a un mortale le muoveranno gli altri dèi.
Del resto, non migliore fortuna arride nel mito alle prove di immortalità di Calipso con Odisseo, di Demetra
con il piccolo Demofonte, di Selene con Endimione, e Anchise sa bene (v. 189 s.) che «non ha vita fiorente
colui che giace con le dee immortali».
LA LIRICA MONODICA
La reazione giusta resta quella di Saffo «ma cosa posso farci?» (v. 7), replica senile del «ma tutto si può
sopportare» che in fr. 31 blocca l’elencazione dei sintomi patologici (T5).
In entrambi i casi il richiamo all’esperienza vissuta sfocia nel riconoscimento della necessità, e la rinuncia a
un vincolo che non può perpetuarsi o all’utopia di un’eterna giovinezza diventa materia di canto, saggezza
da condividere, convalida di una funzione didattica che faceva della poetessa anche una maestra di vita.
Se la cosa più bella per gli uomini non è il potere o la forza di cui sono emblema i carri dei Lidi e i fanti in
completa armatura, bensì ottenere ciò che si desidera (fr. 16) (T4), tuttavia, ove questo non sia possibile,
la rinuncia – l’accettazione dei condizionamenti istituzionali (la partenza di una ragazza amata) o di quelli
biologici (la senescenza) – diventa la migliore supplenza del bene.
Nel caso della vecchiaia, se si accetta l’inevitabile degrado delle membra, la consolazione può venire, per un
poeta come Saffo, dalla gioia di poter ancora guidare con la musica e il canto un coro di ragazze adolescenti.
SAFFO 5997
597
T. 12 Frammento Quello che già conoscevamo come fr. 58 V. trasmesso da P. Oxy 1787, un pa-
58 V. piro fortemente danneggiato nella parte sinistra, deve essere valutato sotto
nuova luce: infatti nel papiro ossirinchita dopo l’ode Senilità, che abbiamo
visto concludersi al v. 12 con le parole , vi sono ulteriori
versi che – in virtù del confronto col papiro di Colonia precedentemente
T11 esaminato e delle conclusioni che se ne sono tratte – devono essere ritenuti
l’inizio di un carme autonomo. E del resto vi è una netta cesura fra il tono
sconsolato del mito di Titono che chiude Senilità e l’opzione per una grazia
raffinata ( ) e luminosa, che Saffo afferma in questo componimen-
to. Le lacune del papiro sono integrate ai vv. 3-4 da una citazione di Clearco,
presso Ateneo XV 687b.
Metro: ipponattei x ].
acefali espansi.
Fonte: P. Oxy 1787, fr.
x ]
1, 22-25 e fr. 2, 1-3. ’ ,[ ]
Clearco, fr. 41 Wehrli
[ ] [ ] .
ap. Ateneo XV 687b.
[ ].[...] .[
.[ ...
[
T. 13 Frammento L’occasione più tipica di sofferenza nella poesia di Saffo è quella connessa al mo-
94 V. mento in cui le ragazze che facevano parte della sua cerchia lasciavano il gruppo
per andare spose a un aristocratico della stessa Lesbo o anche di altra località:
un distacco che comportava lacrime e rimpianti sia per chi si allontanava sia per
le coetanee sia infine per Saffo stessa, come emerge con particolare intensità in
questo frammento, restituitoci da una pergamena conservata a Berlino e data-
bile al VI secolo d.C.
Questa ode, mutila al principio e alla fine, forse meglio di ogni altra ci dischiude
lo scenario raffinato del tiaso saffico. «Vorrei sinceramente essere morta», dice
la poetessa rievocando il momento della separazione, forse molto recente, da
una ragazza del gruppo; ma parole di conforto Saffo ha pronunciato nel momen-
to del distacco: «Va’ e sii felice e ricordati di me!».
La finezza con cui sono reciprocamente organizzati i piani del presente e del
passato, del desiderio e della memoria, sta soprattutto nell’opposizione fra
l’attuale desiderio di morte e il pacato autocontrollo, congruente col suo ruolo
LA LIRICA MONODICA
Metro: strofe composte da due gliconei e da una sequenza costituita da un gliconeo espanso con un
dattilo (glda).
Fonti: P.Berol. 9722 fol. 2; Ateneo 674d (v. 15 s.).
SAFFO 5999
599
’
2
’ [ ·
’ [ ] ,
5 ’, ’ ’ .
’ ’
’
8 ’,
, ’
[…(.)].[..(.)]..
11 [ ( ) ………] ’
[ ]
E io così le rispondevo:
«Addio, e di me
8 ricordati, perché tu sai che ci curavamo di te:
e se no – ma io voglio
richiamarti alla memoria […]
11 quante cose [piacevoli] e belle godevamo:
’
17 [ ] .
.....[ ].
.[ ] [..]
20 [ ]
[ ]
[ ]
23 [ ].
[ ]
[ ]
26 ’ [ ] ,
e su morbide coperte
[…] placavi il desiderio […]
23 di tenere […],
LA LIRICA MONODICA
] .[..]
2 ] [ ]
-
’
8
‹ › ’ ’ -
[…da] Sardi
2 […] spesso qua volgendo la mente
5 simile a dea ben riconoscibile: la ri- temide) e sembra preferibile a quella che di Saffo si è sposata, è diventata una .
costruzione di Lobel - vede in Arignota un nome proprio.
«simile a dea ben riconoscibile» si 8 : «dalle dita di rosa»
giova del confronto con Odissea VI 108 6 : evidentemente la ra- Saffo trasferisce alla luna l’epiteto omerico
(detto di Ar- gazza che un tempo faceva parte del gruppo dell’Aurora, .
SAFFO 6003
603
’
11
’ -
’ -
14
’ -
’
17 [ ] [ ]
’ .[..].. ’
’ [..] [..(.)]
20 [..(.)] [.....(.)].
13 : (= ) i fiori per eccel- trifoglio ricco di miele. che invoca Saffo e l’amica di un tempo
lenza sacri ad Afrodite sono un ingrediente perché varchino il mare e giungano sino a
non raro del mondo saffico. 20 … : del seguito dell’ode lei; ai vv. 21-23, i meglio leggibili di que-
restano schegge in genere assai misere di sta sezione, si dice che «non è facile per
LA LIRICA MONODICA
14 : una pianta aromatica altre cinque strofe: ai vv. 18-20 parrebbe noi eguagliare la bellezza incantevole delle
delle ombrellifere. - : sorta di di cogliere il grido della ragazza assente, dee…».
T. 15 Frammento Più volte in Saffo il sentimento amoroso è colto allo stato nascente, sia nei mo-
102 V. di della tradizione lirica popolare sia come improvvisa rivelazione di una forza
irresistibile.
Alla tradizione dei canti di lavoro, e precisamente delle canzoni intonate du-
rante la tessitura (le chansons de toile), appartiene un breve brano in due versi
lunghi, dove una ragazza (anonima e proprio per questo tale da confondersi con
tutte coloro che intonano la canzone) dichiara di non non riuscire a tessere la
tela perché si è innamorata di un giovane.
,
’’
LA LIRICA MONODICA
MEMORIA LETTERARIA
Chanson de toile
La cadenza da chanson de toile è motivo che sarà rielaborato attraverso una serie di dettagli puntuali da
Orazio in Carmina III 12.4-7 rivolgendosi a una certa Neobule (il nome è una reminiscenza archilochea):
Tibi qualum Cuyherae puer ales, tibi telas A te il figlio alato di Citerea ruba il cesto da lavoro,
operosaeque Minerevae studium aufert, a te lo splendore di Ebro lipareo sottrae, Neobule,
Neobule, Liparei nitor Hebri, i tessuti e l’impegno sacro a Minerva operosa
simul unctos Tiberinis umeros lavit in undis. quando i lucidi omeri immerge nelle acque del Tevere.
LA LIRICA MONODICA
Dossier
Riti nuziali
L ’eros trova un’espressione positiva e socialmente rilevante
per la perpetuazione del gruppo e dei suoi valori nei carmi
nuziali, che occupano uno spazio significativo nella poesia
di Saffo: canti intonati in occasione delle feste di nozze o
durante il corteo che alla sera scortava la nuova coppia al-
la casa dello sposo (imenei) o davanti alla camera nuziale
(epitalami, «canti davanti al talamo») sia la sera stessa
che il mattino seguente (gli antichi definivano questi ultimi
epitalami «del risveglio», ).
È opinione diffusa che i filologi alessandrini includessero
nel libro degli Epitalami, di cui non sappiamo se era l’ot-
tavo o il nono, non tutti i carmi nuziali di Saffo, ma solo
quelli composti in metri diversi da quelli degli ‘epitalami’
disseminati negli altri libri, ma, come è stato osservato,
in relazione al tema nuziale solo il corpus di cui fanno
parte i frammenti 104-117 – che è stato costruito da-
gli editori moderni associando brani esplicitamente
ricordati nelle citazioni antiche come epitalamici (fr.
113 e fr. 116) e carmi di sicuro tenore nuziale – offre
componimenti la cui «destinazione alla cerimonia
sembra sempre evidente, concreta, e ottenuta spes-
so attraverso il ricorso a toni immediati, popolareg-
gianti, e a forme dirette come, per esempio, l’apo-
strofe, il dialogo o il vero e proprio motteggio» (C.
Pernigotti).
Una tendenza già notata da Ps.-Demetrio, De elocutio-
LA LIRICA MONODICA
Canti vespertini
T. 16 Frammento Dopo il banchetto presso la casa della sposa la processione iniziava sul far della
104a V. sera al lume delle fiaccole, e appunto al calar della sera, segnata dall’apparizio-
ne di Espero, si riferisce fr.
Metro: il primo verso è un esametro dattilico. Nella convinzione che, come in Catullo 62, tutto il carme
fosse in esametri, vari editori hanno considerato irrimediabilmente corrotto il v. 2.
Fonte: Ps.-Demetrio, De elocutione 141.
’ ,
DOSSIER: RITI NUZIALI
, , .
MEMORIA LETTERARIA
Ascolta, si fa sera…
La sezione del canto di Saffo era intonata dal semicoro delle vergini che cantano a contrasto con i maschi,
come ricaviamo in Catullo 62, 20-24:
20 Hespere, qui caelo fertur crudelior ignis?
Qui natam possis conplexu avellere matris,
conplexu matris retinentem avellere natam
et iuveni ardenti castam donare puellam.
Quid faciunt hostes capta crudelius urbe?
Venere, non sei tu l’astro più allegro che splende nel cielo?
La tua fiamma suggella unioni da tempo promesse,
pattuite tra uomini, pattuite da padri e da madri:
ma unione vera niente, se prima non sorge il tuo fuoco.
30 Danno gli Dei un’ora più dolce e sperata di questa?
[Tr. di E. Mandruzzato]
Catullo ripete da Saffo non solo il motivo di Espero crudele per le une e gioioso per gli altri, ma anche
una tessitura espressiva giocata sull’iterazione, e vi aggiunge l’epanalessi conplexu ... matris / conplexu ...
matris secondo una mimesi orale che vuol comunicare il senso dell’improvvisazione e dell’immediatezza.
Certo è che entrambi i poeti puntano a realizzare col massimo nitore formale una tematica che lascia ben
poco spazio a invenzioni o novità.
Un esempio di come la poesia novecentesca possa trasformare spunti classici fino a sintonizzarli senza
residui alla temperie della civiltà industriale è offerto da T.S. Eliot, The Waste Land, 220-223:
At the violet hour, the evening hour that strives
homeward, and brings the sailor home from sea,
the typist home at teatime: clears her breakfast, lights
LA LIRICA MONODICA
Una nota dell’autore (al v. 221) dichiara la memoria consapevole di questo luogo saffico («… questo può
non apparire esatto come i versi di Saffo, ma io avevo in mente il pescatore costiero o di dory, che ritorna
al calare della notte»).
DOSSIER: RITI NUZIALI 6009
609
T. 17 Frammento Analogamente, ben si addicono a un gruppo di vergini, ma con un contrasto
114 V. fra voce singola e coro delle compagne che personificano globalmente la ver-
ginità, due sequenze che toccano della fine della condizione di vergine, e cioè
il fr. 107: ; «devo tenermi ancora stretta alla
verginità?» e il fr. 114 V., che propone un dialogo scherzoso, nel quale «il gioco
è accentuato dal fatto che l’appello della prima battuta sembra presupporre la
possibilità del ritorno di Verginità» (V. Di Benedetto).
Metro: il v. 1 è un tetrametro coriambico catalettico, del v. 2 è impossibile, per lo stato del testo,
stabilire lo schema metrico.
Fonte: Ps.-Demetrio, De elocutione 140.
– , , ;
–† , †.
Frammento In un frammento che spicca per la sagace intonazione colloquiale, una ragazza
105a V. che forse troppo a lungo ha serbato la verginità viene assimilata a una mela che
rosseggia sulla cima del ramo più alto.
’ ,
’ , ,
’, ’ ’ .
Come quel dolce pomo rosseggia in cima al ramo,
alto sul ramo più alto, e se ne scordarono i coglitori di mele,
anzi, non se ne scordarono, ma non riuscirono a raggiungerlo.
, ...
come il giacinto che sui monti i pastori
coi piedi calpestano, e a terra (è) il fiore purpureo…
Davanti al talamo
A ltro momento essenziale della cerimonia di nozze che i nostri esigui fram-
menti riescono a illuminare è quello del canto corale davanti alla porta della
camera nuziale dopo che gli sposi erano entrati ed essa era stata chiusa.
Frammento A un momento successivo alla chiusura del talamo appartiene invece questo
110 V. frammento, in cui viene fissato, nel timbro “faceto” a cui faceva riferimento
Ps.-Demetrio, De elocutione 166-167, il costume rituale per cui le amiche della
sposa fingevano di voler riportare via la compagna e, incontrata l’opposizione
di un amico dello sposo che aveva il compito di chiudere la porta del talamo e di
vietarne l’accesso, prendevano a schernirlo: DOSSIER: RITI NUZIALI
, Il portiere ha i piedi lunghi sette braccia,
, per le scarpe ci sono voluti cinque buoi,
’ . e dieci calzolai ci hanno lavorato.
Pure qui, come per l’assimilazione dello sposo ad Ares o ad Achille, è lo stru-
mento dell’iperbole a innescare la scintilla burlesca.
Anche laddove difettano i precedenti è legittimo immaginare che Saffo propo-
nesse questi tocchi di rustico humour ripetendo motivi convenzionali. La sua arte
sembra consistere tutta, in questi casi, nel nitido splendore della forma: qui, in
612
61
12 LA LIRICA MONODICA
particolare, il parallelismo fra le prime due frasi, con i numerali posti in fine di
verso nella prima parte di due composti entrambi pentasillabici, rispetto all’in-
versione nella terza frase, col numerale posto al principio.
E il faceto che sembra dominare in questi canti davanti alla porta («epitalami»
in senso letterale) viene ad opporsi al patetico che a principio della cerimonia
colorava di sé, dal punto di vista della sposa e delle sua compagne, la coscienza
dell’imminente abbandono della condizione verginale.
Il congedo
A nche se di interpretazione non del tutto univoca, i due saluti che troviamo in
fr. 116 e in fr. 117 V. vanno intesi come forme di congedo rivolto agli sposi
verso la fine della cerimonia.
Mentre in fr. 116
, , , , ...
Salve, o sposa, e salve a te, sposo onorato!
alla seconda persona (ma in ottativo desiderativo) usata per la sposa corrisponde
per lo sposo un imperativo in terza persona, ma i due enunciati differiscono solo
per una sfumatura di tono.
– ,
’, .
– , ’ .…
’, ’ ’
5 ……… ’ ’’ .
Frammento Sul piano, dei significanti, affiora qui un nuovo tratto di oralità popolaresca,
115 quella “rima” / fra v. 1 e v. 2 che certo non a caso trova in Saffo un
preciso parallelo in un altro brano epitalamico.
’, , ;
’ .
A che cosa, sposo caro, ti potrei ben paragonare?
Proprio a un virgulto snello io ti paragono. DOSSIER: RITI NUZIALI
Saffo, insomma, componeva canti nuziali de-
stinati a diventare parte integrante di diversi
Analisi del testo momenti della cerimonia nuziale, né vi è alcun
Nel delicato paragone, in forma di indovinello, fra lo sposo e indizio che uno stesso carme potesse correlarsi
un giovane virgulto si individuano reminiscenze colte (l’assimi-
a momenti diversi del rito. Per quanto raffinata
lazione di Nausicaa a un fresco germoglio di palma,
, in Odissea VI 163, e cfr. anche Alcmane, fr. 110 potesse essere la sua arte, la nostra poetessa ri-
«somigli a lino maturo»), che si in- modulava gli schemi della tradizione al servi-
trecciano a movenze popolaresche (oltre alla forma a domanda zio delle specifiche esigenze ‘registiche’ delle
e risposta, la rima fra i due versi, come in 112, 1 s.).
varie fasi della festa.
614
61
14 LA LIRICA MONODICA
T. 18 Frammento Se l’epica arcaica non ignora aspetti e momenti dell’amore – come ad es. il lega-
130 V. me di Ettore con Andromaca o di Odisseo con Penelope, la seduzione di Zeus ad
opera di Hera nel canto XIV dell’Iliade o quella di Anchise ad opera di Afrodite
nell’inno omerico ad Afrodite – è nella poesia lirica (e più tardi nella tragedia
attica) che le diverse prospettive dell’eros sono indagate con lucida consapevo-
lezza della natura umana e con l’adozione.
Forza che investe la persona dall’esterno col potere di disarticolarne le mem-
bra, l’eros è sentito come un valore che rende bella e godibile la vita ma, se
non è corrisposto o viene tradito o per qualche altra ragione (una partenza, la
morte) viene soffocato, può trasformarsi in sofferenza e malattia, tormento che
annebbia la ragione, pena che consuma e avvilisce. Di qui la sua natura di serpe
«dolcemaro», che sarà largamente riecheggiato anche nella poesia latina (in 68,
18 Catullo dirà che Venere dulcem curis miscet amaritiem).
Metro: tetrametri ’ ,
eolici.
Fonte: Efestione 7,
7 (p. 34 Consbruch);
altri.
1-2 ... : «Di nuovo Eros , 910 s. .../ , avrà ampia fortuna in seguito, cfr. ad es.
( = ) che scioglie le membra Archiloco 196 ... , Sofrone, P.S.I. 1214 d, 2 ss.
mi agita, dolceamara irresistibile fiera». - Alcmane, fr. 3, 61 , [ ] , Posidip-
= , come già segnalato in carmina popularia 873, 3-4 / po, A. P. V 134, 4, Orphica, fr. 361 Kern
nota a 1, 15, l’avverbio sottolinea il topos .- = : il verbo, già noto [ ] , Catullo 68, 18, do-
della ciclicità dell’esperienza erotica (cfr. ad Omero, è assorbito nella sfera erotica ve Venere dulcem curis miscet amaritiem.
anche Ibico, fr. 287, 1). - = solo con Saffo e questo uso verrà ripreso - = , contro cui non
, da e «membra» in età ellenistica cfr. Bione 9, 5 c’è , cfr. Inno a Hermes 434
(quindi ). L’aggettivo è . - : ... , Sofocle, Antigone 781
spesso utilizzato nella poesia arcaica per probabile neoconiazione di Saffo, creata .- = ,
indicare l’effetto fisico provocato da eros: muovendo da nessi del tipo cfr. nota ad Alcmane 89, 3 e Teocrito 29,
cfr. già Esiodo, Teogonia 120 s. …/ ... (Teognide 1353 s.), che 13 .
T. 19 Frammento Si è già visto, a proposito del fr. 5, come Saffo rievocasse talora le vicende dei
132 V. propri familiari. La madre è menzionata nel fr. 98a, 1 [ ( ), e
la figlia Cleide, che portava lo stesso nome della nonna, è ricordata anche nel
fr. 98, dove Saffo si duole di non poterle procurare, per il particolare frangente
politico, la mitra lidia che tanto desidera («… ma io, o Cleide non so dove tro-
vare la mitra variopinta: al Mitilenese …»: il «mitilenese» è Pittaco). Qui l’elogio
della bellezza della bionda Cleide è delineato con enfasi affettuosa, modificando
SAFFO 6115
615
il modulo tradizionale (cfr. Odissea IX 21 ss., Pindaro, Peana IV 13 ss.) per cui si
dichiara di non voler cambiare la propria patria, per quanto angusta o povera,
con nessun’altra contrada.
Metro: Efestione cita questi versi dicendo che sono costituiti da metri giambici e trocaici e che hanno
tutti la stessa scansione salvo il variare della cesura. E in effetti il v. 1 e il v. 3 si configurano
come un dimetro trocaico seguito da un dimetro giambico catalettico, mentre il v. 2 si mostra
refrattario a questo schema.
Fonte: Efestione 15, 18 s. (p. 53 Consbruch); scolio A a Efestione 15 (p. 159, 18 ss. Consbruch).
,
’ ...
1-3 ... : «Io fiore determinato, quale il di valore di «vorrei» o di «darei in cambio»,
ho una bella figlia ( = Dioscoride 4, 58: cfr. piuttoso Alcmane 3, cfr. Pindaro, Peana IV 15 ]
) che ha ( = ) l’aspet- 68 , Pindaro, Olimpica II 72 «non lo scambierei
to ( = ) simile ( .- = con le ricchezze di Babilonia». -
= ) a fiori d’oro, la mia diletta , propr. «amata» ( ), ma = per sinecfonesi. -
… Cleide, in cambio della quale ( l’aggettivo in Omero, dove compare cinque = , che in Omero è riferito solo
= , relativo) io non vorrei né tutta volte, tende a denotare, più che l’affettività a località: forse qui si legava a al
( = ) la Lidia né l’amabile». del legame, l’unicità della discendenza bio- verso seguente, cfr. Mosco 3, 89
- = logica. - : nei versi seguenti ricor- .
: è improbabile che Saffo pensi a un reva evidentemente un verbo reggente col
Metro: ipponattei
acefali in serie
continua.
,
Fonte: Efestione 11, 5
(p. 37 Consbruch). Tramontata è la luna
e le Pleiadi; a mezzo
LA LIRICA MONODICA
1-4 : perfetto stativo, che de- stelle della costellazione del Toro, consi- apparire poco prima dell’alba, il loro tra-
nota l’assenza dell’astro, come in Platone, derate nella Grecia arcaica soprattutto in monto «cosmico» verso la fine di ottobre,
Fedone 116e ... .- relazione ai cambiamenti stagionali: come allorché poco prima dell’alba scompariva-
= : l’articolo in ge- raccomanda Esiodo, Erga 383 s., al tem- no alla vista: poiché qui il «tramonto» delle
nere è assente in relazione a corpi celesti, po della loro comparsa nel cielo notturno Pleiadi si dà per compiuto a metà della not-
ma può essere tollerato, soprattutto nel no- bisogna mietere, al momento della loro te, la situazione è implicitamente collocata
stro contesto, in cui è in oppo- scomparsa bisogna arare. Più precisamen- nell’estate matura. - : in lesbio ci
sizione con ; cfr. fr. 154, 1 te, a cavallo fra VII e VI sec. a.C. la loro attenderemmo , ma il nesso
.- levata eliacale doveva avvenire verso il poteva già essere d’uso corrente: è
= : si tratta del grappolo di sette 10 maggio, allorché esse cominciavano ad attestato di frequente nella prosa attica. -
616
61
16 LA LIRICA MONODICA
, ·
.
: le parti della notte (da qui il plura- stantivo, vedi sotto. - ( ) : una (B. Marzullo). - = ; il
le). - … ( )= , iunctura dotata di un «vissuto valore “pro- verbo ha valenza erotica già in Odissea
cfr. Teognide 985, Platone, Protagora tagonistico” e generalmente oppositivo, VIII 313 .
310a .- che costituisce, per l’estrema frequenza, - = .
= , per il valore circostanziato del so- un tratto personale della poesia di Saffo»
Immagini topiche
Solitudini
Il topos della notte in solitudine avrà grandissima fortuna, come si può constatare anche da pochi
esempi:
Aristofane, Ecclesiazuse 912 s.
( )
il mio amante non è arrivato,
e io resto qui sola
Ps.-Teocrito XX 45
e dorma sola di notte
Bione II 27 s. ,
, , ,
le altre come sorelle dormono fra di loro,
invece io sola, e anche tu, vergine, dormi da sola
, ,
, ’
.
Anacreonte
T. 1 Frammento Ateneo cita dapprima i vv. 1-6 in relazione al rapporto tra vino e acqua, poi i
356 P. vv. 7-11 per dimostrare che la «bevuta scitica» consiste nel bere vino schiet-
to. Nel primo gruppo di versi l’invito è a tracannare il vino, miscelato con un
dosaggio piuttosto forte, tutto d’un fiato, per «baccheggiare» senza freni; ben
diversa invece – come ha messo in luce R. Pretagostini – la situazione simpo-
siale auspicata nei versi successivi (7-11), che contengono un’esortazione ai
partecipanti al simposio perché, facendo ricorso a un uso più moderato del be-
re e all’intonazione di bei canti, eliminino dal convito quella caratteristica di
esaltazione e di sfrenatezza ( ) che lo fa somigliare a un simposio scitico,
riportandolo invece ai modi tipici del simposio greco, quell’occasione di letizia
( ) e di canti che Anacreonte delinea anche in un brano elegiaco
(56 Gentili = 2 West):
,
,
a b
’ , , , ’
,
, ’ ’
, ’ 10 , ’
5 , .
.
T. 2 Frammento Un capolavoro di epigrammatica eleganza, uno scherzo conviviale dal breve re-
358 P. spiro di due strofe tetrastiche, in relazione alle quali si orienta l’articolazio-
ne sintattica. Nella prima strofe, la scena di Eros che invita il poeta al gioco
erotico con la ragazza dal sandalo variopinto (e molto della grazia del quadro
deriva dall’uso studiato dell’aggettivazione, con duplice chiasmo – ...
, , – e con sensuale
gioco coloristico). Il tono e il ritmo cambiano nella seconda strofe: le nervose
parentetiche sulla provenienza della ragazza e sulla chioma bianca del poeta
preparano la conclusiva espressione di disappunto: il poeta sarebbe ben pronto
a rispondere all’invito di Eros, ma la ragazza «dispregia» il vecchio spasimante e
guarda estasiata verso la chioma di un giovane.
tetrastiche, composte
ciascuna di tre gliconei
e un ferecrateo.
Fonte: Ateneo XIII ·
599c.
1-4 ... : tipica funzione in Anacreonte, cfr. nota al T1. bianca del poeta ai vv. 6 s. - : qui
«Di nuovo Eros dall’aurea chioma, colpen- - : epiteto più spesso riferito ad è usat nel senso erotico del lat. ludere, come
domi con una palla purpurea, mi invita a Apollo, ma sarà ripreso da Euripide, Ifigenia in Asclepiade, A.P. V 158, l
scherzare con la ragazza dal sandalo vario- in Aulide 548 : qui an- .- = .-
pinto». - = : per la sua più ticipa ironicamente la notazione sulla chioma =- è un hapax.
ANACREONTE 6221
621
5 ’, ’
, ,
, ,
’ .
5-8 ( ) ... : «ma lei – pro- tante centro culturale, luogo di eleganza e vecchiaia è sviluppato anche nel fr. 395, 2
viene infatti da Lesbo ben costruita – di- di lusso che poteva aver alimentato il senso (T4) e nel fr. 420
sprezza la mia chioma – infatti essa è bian- di superiorità della bella etera: in questa di-
ca – e guarda incantata verso un’altra». rezione va l’epiteto , che richia- «quando i capelli bianchi mi si
- : probabilmente ma l’ riferito a Lesbo in Iliade intrecceranno ai neri»; si confronti anche
l’isola non è ricordata né per i tiasi omo- IX 129 e 271, nel contesto di un elogio l’ode di Saffo Senilità, di recente scoperta
erotici né per la fama di cui le sue donne della bellezza e della sapienza artigianale (T11), v. 4 ]
godevano come raffinate amatrici, quanto delle donne dell’isola. - : il mo- . - : «sta a bocca
piuttosto perché rappresentava un impor- tivo della canizie quale conseguenza della aperta», costruito con e l’acc. anche
in Aristofane, Nuvole 996
.- : sott. ,
cioè la chioma di un giovane, in marcata
Analisi del testo opposizione a del v. 6; altri,
come Page, pensano a una deliberata ambi-
Come ha osservato O. Vox, «l’atteggiamento del dio che, nell’invitare a un gioco
guità fra /un’altra chioma e /
erotico con la fanciulla di Lesbo, all’inizio può sembrare innocente e benevolo, si un’altra ragazza: «Anacreonte, preparatasi
chiarisce con quello che (almeno per noi) è l’insuccesso finale: l’apparente “invito” la via con la menzione apparentemente ca-
(π ) con il lancio della “palla purpurea” di odissiaca memoria (Odissea suale dell’isola nativa, trasforma il proprio
VIII 372 s.) non era altro che il lancio di “sfida” nei confronti dell’“io” anacreontico, insuccesso in uno scacco della ragazza
una regolare provocazione agonistica a misurarsi nel gioco amoroso, direttamente grazie all’inatteso scherzo finale – la vera
ragione del suo disdegno non è che egli è
con la ragazza e indirettamente con lui stesso, il dio».
vecchio, ma che è un uomo».
T. 3 Frammento Artemone uno e due. Prima portava un berrettino a punta e orecchini di legno
388 P. e una sudicia fodera di scudo, e se la faceva con fornaie e prostitute; ora mon-
ta in carrozza, il figlio della fattucchiera, e porta collane d’oro e un parasole
d’avorio.
Metro: strofe tristiche, composte da due tetrametri coriambici anaclomeni (il coriambo può essere
sostituito da un metron giambico) e da un dimetro giambico.
Fonte: Ateneo XII 533f.
’ LA LIRICA MONODICA
‹ › ,
1 : è un hapax che denota retto frigio. - : è part. perf. «stringere a forma di vespa ( )».
un copricapo a punta forse simile al ber- di , che propriamente significa
622
62
22 LA LIRICA MONODICA
,
5
,
, ’ ,
,
’ ·
10 ’ , ,
,
Lasciata la consueta maniera morbida e raffinata, Anacreonte sequenza, succede la più essenziale fotografia della condizione
si cimenta nel ritratto di un volgare parvenu (forse un man- attuale di Artemone, fino alla divertita immagine dell’ombrelli-
tenuto, cfr. fr. 372, 1 s.), tuttavia manifestando – a livello no d’avorio, che il disgraziato di un tempo porta proprio come
«comico» – la medesima abilità compositiva: tutto il brano è una signora.
studiatamente imperniato sull’antitesi π 1/ ( ) Nonostante qualche consonanza anche verbale, non c’è in Anacre-
10 (entrambi in principio di strofe); e alla serie quasi inter- onte lo sdegno reazionario di Teognide contro i nuovi ceti emer-
minabile di cola sintattici incentrati su una forma participiale genti quanto piuttosto un elegante gioco letterario che si compia-
( 1, 5, 6, 7, 8), ce di selezionare parole rare (e alcuni hapax sono probabilmente
talora allargati con ironiche apposizioni (vv. 1 e 4), della prima neoconiazioni) costeggiando con bravura il sermo vulgaris.
ANACREONTE 6223
623
T. 4 Frammento Abbandonati i toni frivoli del contesto simposiale, Anacreonte indugia sulla mi-
395 P. nuziosa rappresentazione degli effetti della vecchiaia: da una parte la deva-
stazione fisica, evidenziata con tratti di stilizzato realismo (la canizie, i denti
malandati), dall’altra la consapevolezza della precarietà dell’esistenza umana e
dell’incombere ineluttabile dell’aldilà, sul quale il poeta ferma per un attimo lo
sguardo terrorizzato.
’
·
10 , ’
·
.
1-6 ... : «Canu- … : (cfr. Odissea V 152 720 ss. con «Tartaro» si designa il luogo
te (sono) ormai a noi le tempie e candido (è) ). posto tanto più in basso dell’Ade di quanto
LA LIRICA MONODICA
T. 5 Frammento L’invito conviviale prepara l’arguto proposito di fare a pugni con Eros nel senso
396 P. di voler resistere al suo potere, come rivela anche l’eco sofoclea in Trachinie 441
s. / ,
«non è saggio chi, come un pugile che scambia i colpi, vuol resistere
a Eros». Come osserva B. Gentili, «il tema dell’invincibilità del dio si risolve
nell’immagine arguta di un pugilato con Eros. Un atteggiamento ardimentoso
e sicuro si nasconde nel tono scherzoso della sfida; il poeta cerca la lotta quasi
certo di vincere l’avversario o almeno di resistergli». Un gioco disinvolto, che
viene da Anacreonte rinnovato nel lacunoso fr. 346 (4): «Facevo a pugni dura-
mente, e ora riprendo fiato e vigore … molta gratitudine ti devo, o Dioniso, per
essere sfuggito a Eros via davvero dai vincoli pesanti per causa di Afrodite … ‹il
coppiere› porti vino con l’anfora e porti acqua ribollente …» [tr. di B. Gentili].
Metro: anacreontici. , ,
Fonti: AteneoXI 892a
‹ ›
(vv. 1-4); Demetrio,
De elocutione 5 (v. 1); ,
Orione, p. 62, 30, ecc. .
1-4 ... : «Porta = : le corone erano un requi- di Ateneo e di Eustazio) io faccia a pugni
acqua, porta vino, o ragazzo ( , tipi- sito costante dei conviti), portali ( ( , raro per – cfr. 346
co invito al coppiere, cfr. 356a, 1 ( ) = : ridetermina il triplice ), (4), 1; Ipponatte 102, 8 ] )
… ), porta a noi ( = ) corone affinché ( finale, enfatizzato da , con Eros».
fiorite ( [con sinizesi di / /] che è la lezione di Orione di contro a
LA LIRICA MONODICA
T. 6 Frammento Anacreonte assimila una ragazza ritrosa a un giovane cerbiatto di latte, sbigotti-
408 P. to dall’assenza della madre. Il paragone compare anche nell’epodo archilocheo
di Colonia (v. 31 [ ), in Alceo (fr. 10, 5-6
«un bramito spaurito di cervo nasce nel cuore») e in
Saffo (nell’ode Senilità, T. 11 v. 6) e sarà distesamente e virtuosisticamente rie-
laborato da Orazio, Carmina I 23.
ANACREONTE 6225
625
Metro: trimetri ionici puri (v. 1) o anaclomeni (vv. 2 e 3).
Fonti: Eliano, Nat. anim. 7, 39; Ateneo IX 396d; scolio a Pindaro, Olimpica III 52 (I 120 Drachmann);
Eustazio, Commento all’Iliade 711, 34.
1-3 ... : «… dolce- ( + rad. di ), «sbocciato di fre- III 52a (I 120 Drachmann), per un delibe-
mente come giovane cerbiatto di latte che sco», usato in senso proprio in Iliade XIV rato intervento di Zenodoto di Efeso sulla
nella selva, rimasto separato dalla madre 347 e in Esiodo, Teogonia 576. - galaqh- base dello scrupolo naturalistico legato al
cornigera sbigottisce». - : che si novn: il nesso con nebrov~ era già in Odissea dato per cui le cerve femmine non hanno
lega a un verbo precedente, che doveva IV 336 = XVII 127 nebrou;~ ... nehgeneva~ corna; d’altra parte le corna vengono attri-
reggere sia un complemento oggetto fa- galaqhnouv~. - : indica buite alle cerve anche altrove in testi poe-
cente parte dell’illustrandum sia separazione, «lungi da». - :è tici: Pindaro, Olimpica III 29
1: in ambito erotico l’aggettivo corrispon- incerto se la variante «amabile», , appunto il passo commentato
dente ricorre in Saffo 96, 15 s. ... «leggiadra», probabilmente inferiore, si sia dallo scolio appena citato. - : aor.
.- : nesso comparativo già prodotta per corruzione meccanica, o, co- ingressivo: cfr. nota a Saffo 31, 6.
noto ad Omero. - = me dichiara lo scolio a Pindaro, Olimpica
MEMORIA LETTERARIA
Lo smarrimento di cerbiatta
Questo è il testo dell’ode oraziana rivolta a Cloe, che sviluppa la similitudine della ragazza e del cer-
biatto:
Metro: due versi composti ciascuno da un dimetro ionico catalettico (parteneo) e da un dimetro giam-
bico catalettico.
Fonti: Efestione 12, 4, p. 39 Consbruch.
, .
1-2 ... : «Di citato nella premessa; studiata la collo- ’ «ed io,
nuovo Eros, come un fabbro, mi ha colpito cazione, con forte iperbato, di un cane, attraversai il torrente/ scuotendo
con un grosso maglio e mi ha tuffato in un e , simmetricamente dislocati via ogni cosa nella corrente impetuosa»,
torrente invernale». - : cfr. nota a a principio di verso. - … Apollonio Rodio IV 460 s. /
T1, v. 6 (e anche T2, v. 1). - : : cfr. Teognide 347 s. (T5) .
per questa accezione cfr. Odissea IX 391, /
·
.
1-2 ... : «Pule- me di consueto in età arcaica, l’agg. sigli di Nestore ad Antiloco in Iliade XXIII
dra tracia, perché guardandomi di traverso indica abilità e competenza. 306 ss. e Orazio, Carmina I 1, 4 s. metaque
mi fuggi senza pietà e credi che io non pos- fervidis/ evitata rotis.
segga alcuna abilità?». - : cfr. Esichio 3-4 ... : «Sappilo
, Eubulo, fr. 84, 2 Kock bene, con arte potrei metterti il freno e, 5-6 ... : «ma tu
; connotazioni eroti- reggendo le redini, farti girare attorno ai pascoli sui prati e scherzi saltellando legge-
che sono anche in Anacreonte 346(1), 7-9 termini della pista». - : originariamente ra: infatti non hai per cavalcatore un abile
[ ] / ] pronome personale (= ), proprio come cavallerizzo». - : per la connota-
/ ....]´[.] [ ] il secondo di questo verso, tende già zione erotica del verbo cfr. nota a fr. 358,
«… i prati di giacinti, dove Cipride in Omero a cristallizzarsi come particella 4. - : cfr. Iliade XX 226 (sc.
lega le puledre lasciate libere dal giogo». - asseverativa: qui introduce una sfumatura )
: i cavalli traci sono apprezzati già enfaticamente scherzosa. - : per la .- : acc. dell’ogg. interno
in Omero, in particolare i cavalli di Reso metafora del «reggere le redini», in conte- con funzione avverbiale. - :
in Iliade X 434 ss. - : l’avverbio, sto erotico, cfr. 360, 3 s. / cfr. Euripide, Baccanti 782 …
da , già noto all’epica, ricorre anche «reggi le redini della mia ani- : questo tipo di doppio senso
in Eschilo, Prometeo 240, Apollonio Rodio ma». - : nelle corse equestri, si sarà largamente sfruttato da Aristofane,
II 626: ha sapore aulico e quindi, nel con- tratta delle colonnine che delimitavano il e compare anche in Teognide 1249-52. -
testo, ironico. - : propriamente: punto estremo attorno a cui girava il carro : l’aggettivo è un hapax co-
«(credi che io non) conosca». - : co- per invertire il senso della corsa; vedi i con- struito su e .
LA LIRICA MONODICA