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Alcune riflessioni sulla povertà educativa:

- gli indicatori che vengono utilizzati vi sembrano completi e adeguati? (che bambini di 7
anni non siano mai stati ad un concerto di musica "CLASSICA" è effettivamente così
grave?) ho l'impressione che siano stati scelti degli indicatori facilmente influenzabili, tra le
altre cose, anche da caratteristiche culturali e mi sembra abbastanza normale trovare delle
differenze tra regioni (esempio banale: il nido al sud non è visto come una grande
necessità ed è culturalmente consigliato solo a quelle coppie che non hanno i genitori,
ovvero i nonni, che possano prendersi cura dei bambini. idem per la questione tempo
pieno)
- sembra che gran parte del lavoro sia stato svolto e analizzato dalla facoltà di economia.
anche questo mi sembra già indirizzi molto gli interessi
- la resilienza a cui si fa riferimento è per lo più incentrata su capacità di calcolo e
lettura/comprensione del testo. in realtà per quanto mi riguarda non l'ho mai considerata
sotto un punto di vista scolastico. Ritengo ancor più che bambini con un contesto
educativo scadente possano non esprimere il meglio di sè a livello di risultati scolastici, ma
essere resilienti dal punto di vista affettivo, creativo. non punterei tanto al buon voto in
pagella o alla sola competenza scolastica ma proverei ad esplorare qualcosa di più
personale e relazionale. in fin dei conti, se cresco in un quartiere difficile e non possiedo
molti strumenti la mia ambizione non è tanto quella di prendere una laurea quanto di
riuscire a realizzarmi come persona tenendomi lontano dai guai e dai comportamenti a
rischio.
- mesi fa con la De Piccoli abbiamo parlato di un concetto di povertà educativa che a me
sembra molto più interessante di quello proposto da save the children: la povertà
educativa non è necessariamente correlata alla povertà economica, ma si manifesta in
tutte le carenze non cognitive dei bambini/Ragazzi. La nuova generazione dispone di
strumenti che anche nelle classi più disagiate sono comunque superiori a quelli di cui
disponevano le generazioni del dopo guerra, eppure c'è una carenza emotiva,
comunicativa, esplorativa che lascia perplessi. credo che effettivamente vada fatto più un
lavoro di potenziamento personale (autostima, autoefficacia ma anche conoscenza di limiti
e risorse) e relazionale (empatia, prosocialità, comunicazione, interazione al di fuori dai
contesti digitali e all'interno di essi). è vero che i bambini di quartieri complicati hanno un
accesso limitato agli strumenti e alle risorse di cui dispongono i pari benestanti, ma è
proprio sul lato umano che bisogna lavorare per evitare che sentendosi abbandonati
decidano di intraprendere percorsi a rischio. focalizzarsi esclusivamente sulla scuola o
sulle attività ritenute da ricchi (andare a chiedere ad un ragazzo dei quartieri spagnoli se è
mai stato a teatro o ad un concerto di musica classica a me fa ridere) significa operare già
una discriminazione.
- altro punto che spero venga preso davvero in considerazione è il contesto. come dicevo,
se la mia famiglia ha problemi economici e vivo in un quartiere dove si spaccia per
campare parlare di teatro, musica, danza e lettura è davvero fuori luogo. a meno che il mio
contesto non cambi. è una sfida enorme, ma portare servizi del genere nei quartieri che
non ne dispongono potrebbe essere la svolta. magari questi ragazzi non sono mai stati ad
un concerto di musica classica perchè ne sconoscono l'esistenza, e allo stesso modo non
leggono perchè non hanno avuto l'occasione di perdersi in una biblioteca decente e di
conoscere libri diversi da quelli scolastici (che di certo non rappresentano una lettura
stimolante per chi a scuola non vuole andarci). portare il teatro, la musica, l'arte (a piccole
dosi) in questi quartieri significa creare l'occasione per generare cambiamento. su questo
si deve davvero puntare se si vuole mettere in moto qualcosa di più del semplice "aiutiamo
questi poveri disperati".
- un altro concetto che manca è a mio avviso il "prendersi cura". nei quartieri più complessi
gran parte delle difficoltà nascono a mio avviso dalla mancanza di cura. se i ragazzi
avessero a cuore ciò che li circonda (umano e ambientale) il sistema funzionerebbe
meglio perchè diventerebbero loro stessi garanti di un equilibrio sano. trasmettere
passione attraverso la conoscenza mi sembra un bel modo di innescare cambiamento. se
costruisco il campetto di calcio, se lo progetto, se lo disegno e lo vedo prender forma, non
solo imparo come si fa ma mi lego ad un luogo di cui vorrò prendermi cura, lo rispetterò e
vorrò che venga rispettato anche dagli altri. se invece il campo di calcio mi viene donato
dall'ente che non mi conosce

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