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Psichiatria”
Riassunto del libro: “Manuale di Psichiatria.
Nuova edizione aggiornata al DSM5”
di R. Quartesan, S. Elisei, L. Ferranti,
P. Moretti, T. Sciarma.
Morlacchi Editore. Perugia. 2014.
1
natura patologica (capacità di critica); frequenti in epilessie, alcolismo, intossicazioni, traumi cranici,
neoplasie del tronco encefalico
5. Disturbi dell’affettività
L’affettività è definita come capacità di rispondere, con modificazioni soggettive a aventi della realtà interna o esterna
(quindi la capacità di provare piacere, dolore, simpatia, odio, amore ecc.). Si possono distinguere: (1) Emozione:
stato affettivo intenso, di breve durata (rapida insorgenza e rapido declino); (2) Sentimento: stato affettivo stabile e
duraturo; (3) Umore: stato affettivo basale, abituale, caratteristico e tipico di una persona.
I principali disturbi dell’affettività sono:
Depressione: diminuzione del tono dell’umore con prevalenza di tristezza, dolore, pessimismo
Disforia: sentimento spiacevole a tonalità negativa, che si associa a irritabilità e spesso a iperattività motoria;
è tipica dello stato misto in cui si verifica la contemporanea presenza delle opposte polarità depressiva e
maniacale
Anedonia: perdita di interesse di capacità di provare piacere per eventi, attività ecc.
Ambivalenza affettiva: contemporanea di presenza di sentimenti antitetici (odio-amore, paura-desiderio…)
Dissociazione affettiva: risposta affettiva diametralmente opposta alla natura dello stimolo
Ansia: stato emotivo caratterizzato da senso di pericolo che insorge in assenza di stimoli adeguati. Si
distinguono: (1) Ansia normale: risposta adeguata di fronte a situazioni oggettivamente traumatizzanti; (2)
Ansia patologica: stato emotivo spiacevole che insorge in assenza di uno stimolo adeguato, accompagnato
da sintomi somatici di vario genere (tachicardia, sudorazione ecc.); (3) Ansia libera: stato di preoccupazione
generalizzato; (4) Ansia anticipatoria: stato di allarme che precede un determinato evento; (5) Ansia
generalizzata: stato di ansia eccessivo e persistente nel tempo; (6) Attacco di panico: episodio di paura e
terrore a sviluppo improvviso e durata limitata; si associa a tremori, sudorazione, palpitazioni; (7) Fobia:
paura persistente immotivata ed esagerata per situazioni, oggetti, animali o persone
Ipocondria: timore esagerato e inadeguato di essere affetti da malattie in assenza di reperti osservabili. Si
distinguono: (1) Ipocondria maior: convinzione irriducibile di essere affetti da una malattia insolita; (2)
Ipocondria minor: caratterizzata da dubbi, preoccupazioni circa il proprio stato di salute
3
Mania o umore ipertimico: esaltazione del tono dell’umore di base con euforia, prevalenza di sensazioni
piacevoli, accompagnato da agitazione, iperattività, ipersessualità, accelerazione ideica e del linguaggio
7. Disturbi dell’attenzione
L’attenzione è quell’attività mentale che rende l’individuo in grado di selezionare, tra diverse alternative, il compito
che vuole eseguire; è indicata anche come la capacità di concentrazione, ovvero la focalizzazione della coscienza su
un atto. Si possono distinguere: (1) Attenzione di base, propria dello stato di veglia; (2) Attenzione spontanea:
tensione selettiva affettiva verso l’oggetto; (3) Attenzione volontaria (attiva): scelta di concentrarsi su un determinato
oggetto; (4) Attenzione involontaria (passiva): dettata da impulsi connessi ai istinti di conservazione, riproduzione,
socializzazione ecc.
Le principali alterazioni dell’attenzione sono:
Aprosessia: incapacità di focalizzarsi su una parte o su un aspetto dell’ambiente esterno o interno
Ipoprosessia: diminuzione globale delle capacità attentive
Iperprosessia: aumentata attenzione in corso di stati tossici indotti da psicostimolanti (allucinogeni,
mescalina, anfetamine ecc.)
Distraibilità: diminuita capacità di focalizzare l’attenzione in maniera stabile
8. Disturbi dell’intelligenza
L’intelligenza è la capacità generica (attitudine) di utilizzare, in modo adeguato, tutti gli elementi del pensiero
necessari a riconoscere e risolvere i problemi, ovvero la capacità di richiamare alla memoria apprendimenti precedenti
quando si è davanti a nuove situazioni. Il quoziente intellettivo (QI) esprime il rapporto tra: (età mentale [valutata
mediante test] / età cronologica) x 100.
Di seguito si trattano le alterazioni dell’intelligenza da danno organico cerebrale:
Ritardo mentale: funzionamento intellettivo globale al di sotto della media (valutato mediante QI) che si
manifesta precocemente nel bambino nel corso dello sviluppo; spesso si associa a patologie internistiche e
neurologiche, nonché a manifestazioni psicopatologiche (aggressività, scarso controllo di impulsi ecc.). In
base all’entità, esso può essere: (1) Lieve (85% dei ritardi mentali), con QI di 50-70; l’individuo è
autosufficiente, necessitando solo di minimo sostegno sociale; (2) Moderato, con QI di 35-50; l’individuo
può lavorare, ma ha necessita di ambiente protetto; (3) Grave, con QI di 20-35; l’individuo necessita di
assistenza continuativa; (4) Gravissimo, con QI < 20; l’individuo presenta gravi patologie organiche
4
Demenza: compromissione di una o più funzioni cognitive precedentemente acquisite, tra cui la memoria;
va distinta dall’invecchiamento e si associa frequentemente a disturbi dell’umore e dell’attenzione
Regressione mentale: arresto dello sviluppo intellettivo e perdita delle capacità acquisite in precedenza
9. Volontà e psicomotricità
La volontà è la facoltà di decidere consapevolmente il proprio comportamento per raggiungere un fine.
Le alterazioni della volontà sono:
Abulia: riduzione dei comportamenti motivati e diminuzione dell’impulso di pianificare l’azione
Apatia: riduzione o assenza di reazioni e di risposte agli stimoli esterni
Adinamia: perdita di energie, forze e spinta di agire
La psicomotricità (il comportamento psicomotorio) è l’espressione (mimica, gestuale ecc.) della vita di relazione
e del mondo affettivo-pulsionale dell’individuo; consiste in un’attività diretta a un fine o al soddisfacimento di un
bisogno.
1. Alterazioni qualitative: (1) Impulso: atto incoercibile, verbale o fisico, non programmato e non finalizzato
a un obiettivo; (2) Acting out: messa in atto impulsiva di desideri inconsci al fine di evitare affetti dolorosi;
(3) Raptus: impulso improvviso che conduce il soggetto, non cosciente, a compiere azioni violente; (4)
Eccitamento o agitazione psicomotoria: aumento dell’attività psicomotoria (irrequietezza motoria, attività
fisica incoordinata, eccessiva produttività verbale ecc.); (5) Acinesia o rallentamento psicomotorio:
diminuzione dell’attività motoria (lentezza delle azioni) e dell’attività cognitiva; è tipica della depressione
grave; (6) Stupor o arresto psicomotorio: manifestazione più grave del rallentamento psicomotorio; consiste
in uno stato di immobilità in cui il soggetto non risponde al stimoli, pur presentando stato di coscienza vigile;
si associa a alterato controllo degli sfinteri e rifiuto del cibo (sitofobia); (7) Catatonia: arresto psicomotorio
caratterizzato da aumento del tono muscolare a riposo (rigidità muscolare) e assunzione di atteggiamenti
bizzarri (posture catatoniche); associata spesso a schizofrenia, disturbi bipolare, depressione; (8) Catalessia
(flexibilitas cerea): stato di immobilità senza reazione a movimenti passivi, con conseguente mantenimento
da parte del soggetto di posizioni corporee, anche scomode; presente nella schizofrenia; (9) Acatisia:
sensazione oggettiva di irrequietezza motoria, che si verifica in disturbi ansiosi; (10) Tic: movimenti
involontari bruschi, stereotipati e iterativi; (11) Balbuzie: disturbo dell’articolazione della parola dovuto a
spasmo intermittente dell’apparato fonatorio; aumenta in condizioni di impegno emotivo (es. esami) e si
attua in circostanze di linguaggio automatizzato (es. canto)
2. Alterazioni quantitative: (1) Negativismo: resistenza motoria e psichica a stimoli esterni (domande,
richieste, consigli); si distingue in passivo (il soggetto si oppone all’esecuzione di qualsiasi movimento) e
attivo o contrario (il soggetto attua un’azione contraria a quella chiesta); tipica della schizofrenia; (2)
Automatismo: il soggetto esegue in modo acritico qualunque ordine o richiesta, senza considerarne il
significato o le conseguenze; si possono avere ecoprassie (ripetizioni di movimenti di qualcuno), ecolalie
(ripetizioni di parole e frasi); ecomimie (riproduzioni di gestualità); (3) Stereotipia: ripetizione continua di
comportamenti motori, vocali, grafici, priva di significato; frequente in schizofrenie; (4) Manierismi:
espressioni mimiche o gestuali compiute in modo goffo, artefatto, esasperato
Il temperamento è la mescolanza degli aspetti innati della personalità; è una condizione ereditabile, interamente
manifesto fin dalla nascita e stabile per tutta la durata della vita.
Il carattere è quella componente della personalità definita come debolmente ereditabile e primariamente influenzata
dall’apprendimento sociale, culturale e dagli eventi di vita.
5
PSICHATRIA E NEUROSCIENZE
1. Premesse
Per l’intero corso della storia documentata, tutte le culture sono state capaci di riconoscere la sofferenza psichica e
la malattia mentale. Il termine “mente” viene comunemente usato nel linguaggio quotidiano (tornare in mente,
passare di mente, avere in mente, venire in mente ecc.); in generale, determinati comportamenti dell’essere umano
vengono spiegati supponendo che siano possibili grazie all’esistenza della mente, che viene utilizzata per descrivere,
interpretare e prevedere il comportamento. Non per nulla, si usa il termine “uscire di mente” per indicare “perdere la
ragione”, ovvero per descrivere un comportamento inatteso e non conforme allo standard, ovvero per indicare una
mente “malata”.
Un problema è rappresentato dalla mancanza di un referente corporeo, quindi parlare di “malattia mentale” è
contraddittorio, in quanto, in ambito medico, le malattie hanno una corrispondenza corporea precisa (cuore, fegato
ecc.). Dall’altra parte, almeno nella cultura occidentale, è difficile sfuggire all’impressione di essere composti da due
parti profondamente diverse, il corpo e la mente; si tratta di comprendere quale sia il rapporto tra queste due
componenti. La definizione più chiara l’ha fornita Cartesio (1673), secondo il quale mente e corpo sono nettamente
distinte; la mente, immateriale (“res cognitans”), la cui conoscenza non aveva bisogno di essere dimostrata e che si
identificava con l’individuo (“cogito, ergo sum”); il corpo, costituito di materia (“res extensa”), puro meccanismo,
macchina esecutrice e autonoma al servizio della mente.
I critici del paradigma dualista hanno invece sostenuto l’esistenza di una sola entità a cui l’altra viene ricondotta.
Nella storia del pensiero le due principali ipotesi, monista e dualista, si sono alternate ripetutamente; ovviamente
le conseguenze pragmatiche delle due teorie sono profondamente differenti:
Il paradigma cartesiano giustifica lo sviluppo di due modalità di studio differenti, con distinzione fra
interpretazioni del comportamento umano di tipo biologico e di tipo psicologico, così come in ambito clinico
nella distinzione fra disturbi organici e disturbi funzionali
L’ipotesi monista (mente prodotto del corpo) ha condotto a trovare un’unica sede nel cervello, organo
“egemone” secondo Ippocrate (V secolo a.C.)
Le scoperte scientifiche recenti hanno rivoluzionato il modo di pensare alle relazioni tra mente, cervello e
comportamento; infatti, il comportamento dell’essere umano non è mai solo il risultato dell’azione dei geni né mai
solo di influenze ambientali. Il paragone più calzante è quello fra pilota e automobile: per vincere una gara sono
necessari una buona macchina e un buon pilota; c’è chi attribuisce maggiore importanza al pilota e chi all’automobile.
La realtà è che mente e cervello non sono entità separabili.
2.1.1 Le afasie
L’afasia è la perdita della capacità di utilizzare il linguaggio come sistema di comunicazione; questa condizione
non è mai secondaria a: disfunzioni articolari, deterioramento intellettivo, malattie mentali e stato confusionale.
La valutazione delle afasie, eseguita anche accanto al letto del paziente, si attua mediante prove che esplorano i
seguenti elementi del linguaggio: (1) Espressione; (2) Comprensione; (3) Ripetizione.
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La valutazione del linguaggio deve tener conto sia di parametri quantitativi che qualitativi:
L’aspetto quantitativo fa riferimento alla fluidità del linguaggio; le afasie vengono allora distinte in: (1)
Fluenti, i discorsi fluiscono con scioltezza, anche se il contenuto non è corretto; (2) Non fluenti, se vi sono
ridotta tendenza a parlare spontaneamente, sforzo evidente all’inizio dell’emissione verbale, produzioni di
frase composte da numero limitato di parole
L’aspetto qualitativo fa riferimento all’efficacia comunicativa di quello che il soggetto dice e può essere
alterato principalmente per la presenza di:
Anomie: impossibilità di evocare intenzionalmente un determinato vocabolo, mascherata spesso con
l’uso di perifrasi, sostituzioni ecc.
Parafasie: distorsioni del linguaggio e sono suddivise in base al tipo di errore: (1) Parafasie fonemiche:
le lettere (fonemi) all’interno della parola vengono omesse, aggiunte, spostare, sostituite (es. tabolo
anziché tavolo); (2) Parafasie morfologiche: una parola viene usata al posto di un’altra che ha una forma
simile (es. pino anziché vino); (3) Parafasie semantiche: una parola viene sostituita con un’altra a cui è
legata da una relazione concettuale (es. forchetta anziché cucchiaio); (4) Parafasie verbali: sostituzione
di una parola con una del tutto estranea (es. albero anziché lampada)
Neologismi: produzioni verbali che non appartengono al patrimonio linguistico del soggetto e non
possono essere classificate come parafasie (es. ipaghedeli)
In definitiva, le afasie possono essere suddivise in fluenti e non fluenti, in relazione alla fluenza dell’eloquio, e in
fonemiche e semantiche, in relazione al tipo di errori effettuati e all’abilità nella ripetizione.
Di seguito viene indicato lo schema delle principali afasie, trattate successivamente.
R
I ESPRESSIONE
P
E Fonemica Non fluente Fluente
T Broca Conduzione Wernicke
I
Semantica Transcorticale motoria Nominum Transcorticale sensoriale
Z
Normale Alterata
I
O
COMPRENSIONE
N
E
1. Afasia non fluente fonemica: classica afasia di Broca per lesione dell’area 44 di Brodmann (piede del giro
frontale inferiore). L’eloquio è ridotto e caratterizzato da errori fonemici, la ripetizione è alterata, la
comprensione è invece conservata; sono presenti anche turbe articolatorie e disprosodia (perdita della
melodia del linguaggio). Il paziente è consapevole della condizione e pertanto può disperarsi
2. Afasia non fluente semantica: afasia transcorticale motoria per lesione delle aree 45, 46 e zone limitrofe
(giro frontale medioinferiore). L’eloquio spontaneo è ridotto (pseudomutismo) e si possono osservare
alterazioni nella costruzione della frase (agrammatismo); ripetizione e comprensione sono invece indenni
3. Afasia fluente fonemica; se ne hanno due forme:
Afasia di Wernicke, per lesione dell’area 22 (giro temporale posterosuperiore); l’eloquio è fluido,
tendenzialmente logorroico, ma poco o affatto comprensibile per la presenza di errori linguistici di ogni
tipo, principalmente fonemici; la ripetizione è alterata, la comprensione è gravemente compromessa e il
paziente, di solito, non è consapevole delle proprie difficoltà (anosognosia)
Afasia di conduzione, per lesione dell’area 40 (giro parietale posteroinferiore) e/o del fascicolo arcuato
di collegamento tra le regioni temporali e quelle frontali. In questo caso la comprensione è conservata,
la ripetizione alterata e l’eloquio fluente sebbene frammisto a errori fonemici che assumono l’aspetto di
ripetuti tentativi di correggersi
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4. Afasia fluente semantica; sono descritti due aspetti correlati a un danno di diversa gravità dell’area 39
(regione di congiunzione dei lobi parietale, temporale e occipitale):
Afasia amnesica o afasia nominum: l’unica difficoltà è rappresentata dalla presenza di anomie
Afasia transcorticale sensoriale: l’eloquio è scorrevole, la ripetizione è indenne, la comprensione è
invece gravemente compromessa (il paziente ripete quello che gli viene detto, senza però comprenderne
il significato)
L’afasia ha grande valore localizzatorio, poiché la sua comparsa indica, nel 98% dei casi, una lesione dell’emisfero
sinistro all’interno della cosiddetta area del linguaggio. Volendo riassumere: (1) Un eloquio fluente indica un
danno delle regioni cerebrali situate posteriormente alla scissura di Rolando; (2) Un eloquio ridotto indica una lesione
delle strutture anteriori; (3) Un deficit di ripetizione e la presenza di errori fonemici indirizza verso una lesione delle
zone perisilviane, poste cioè intorno alla scissura di Silvio; (4) Se la ripetizione è conservata e non si hanno errori
fonemici, la lesione riguarda verosimilmente le porzioni più marginali dell’area del linguaggio.
2.1.2 Le aprassie
L’aprassia è un disturbo del gesto intenzionale, cioè dei movimenti finalizzati, diretti a uno scopo, in assenza di
paralisi, atassia o deficit intellettivo. Si tratta di anomalie rilevabili mediante l’esecuzione di gesti per imitazione o
dietro ordine verbale. La pratica clinica ha codificato varie forme di aprassia:
Aprassia ideativa: si manifesta nell’esecuzione di movimenti necessari per l’uso di oggetti; il paziente dà
l’impressione di non sapere più a che cosa servono gli oggetti che manipola e sembra aver perso la nozione
della sequenza temporale dei singoli movimenti necessari per eseguire un gesto
Aprassia ideomotoria: si manifesta nei movimenti che non richiedono l’uso di oggetti (es. segno della croce
o saluto militare); la formulazione generale del movimento appare compromessa ed il gesto manca di tratti
fondamentali. Le aprassie possono essere localizzate in un distretto specifico (ad es. aprassia buccofacciale,
dello sguardo ecc.). Caratteristica è la dissociazione tra movimenti automatici e volontari (es. il paziente non
riesce a farsi il segno della croce, ma può farlo correttamente se entra in chiesa).
Tipicamente consegue ad una lesione emisferica sinistra; quando è coinvolto il lobo parietale, il disturbo è
bilaterale; se invece la compromissione riguarda il lobo frontale (area premotoria), l’aprassia colpisce solo
gli arti di sinistra (cioè omolaterale al danno) e tipicamente si ha associazione anche di afasia non fluente e
aprassia buccofacciale; una lesione del corpo calloso e/o delle fibre colleganti l’emisfero sinistro con il destro
provoca aprassia solo degli arti di sinistra senza afasia ne’ emiparesi
Aprassia costruttiva: incapacità di costruire nello spazio bi- o tri- dimensionale; viene valutata mediante
prove di disegno. Può verificarsi a seguito di lesione parietali sia dell’emisfero destro (più frequentemente)
che di quello sinistro. Si definisce “closing in” il comportamento di pazienti che riescono a ricopiare un
disegno soltanto ricalcandone i contorni
Aprassia di abbigliamento: difficoltà nell’indossare gli indumenti, solitamente secondarie a diversi tipi di
alterazioni cognitive (anomalie dello schema corporeo, gravi turbe aprassiche, deficit visuospaziali)
2.1.3 Le agnosie
L’agnosia è un disturbo del riconoscimento attraverso un determinato canale sensoriale; essa non è secondaria
a: compromissione della coscienza, deficit linguistico o intellettivo, turba sensoriale elementare.
Classicamente vengono distinte le: (1) Agnosie di tipo appercetivo: il paziente non è in grado di discriminare le
caratteristiche dello stimolo; (2) Agnosie di tipo associativo: il paziente, pur essendo in grado di descrivere le
caratteristiche dello stimolo e confrontarlo, non è in grado di capirne il significato.
L’agnosia tattile o stereoagnosia indica l’incapacità di riconoscere gli oggetti col fatto a seguito di una
lesione del lobo parietale controlaterale
L’agnosia uditiva indica l’incapacità di riconoscere suoni e rumori non verbali, a causa di una lesione del
lobo temporale dell’emisfero destro
Le agnosie visive possono essere clinicamente diverse: (1) Nell’agnosia di oggetti o immagini (“cecità
psichica”) il paziente vede ma non riconosce, a causa di una lesione delle regioni associative occipitali
dell’emisfero sinistro; (2) Nell’agnosia per le fisionomie (prosopoagnosia), il paziente non è capace di
riconoscere il volto di persone riconosciute, a causa di un danno delle regioni associative occipitali
dell’emisfero destro; (3) L’agnosia per i colori consiste nell’impossibilità di evocare i colori specifici di
alcuni soggetti (colore del sangue, del cielo ecc.), a causa di una duplice lesione nel lobo occipitale sinistro
e dello splenio del corpo calloso (disconnessione fra i centri visivi e l’area del linguaggio)
Nella simultaneoagnosia non è possibile cogliere il significato di una scena o di un’immagine pur potendo
identificare i singoli dettagli, a causa di una lesione bilaterale delle aree parieto-occipitali
Nell’agnosia spaziale si ha incapacità di analizzare e utilizzare i dati spaziali (es. localizzare oggetti rispetto
al corpo), apprezzarne la lontananza, la direzione ecc.
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Interessante è l’agnosia spaziale unilaterale (detta “negligenza per emispazio” o “neglect”) che consiste
nell’indifferenza per gli stimoli provenienti da un lato dello spazio (di solito riguarda il sinistro), per cui, per
esempio, il paziente disegna solo in una metà di un foglio; si ha a causa di una lesione delle regioni posteriori
dell’emisfero controlaterale all’emispazio che viene ignorato dal paziente
Le stomatoagnosie sono disturbi dello schema corporeo; a causa di lesione delle regioni posteriori
dell’emisfero destro, il paziente, colpito da emiplegia sinistra, rifiuta di ammettere l’esistenza del deficit
motorio e di riconoscere come proprio l’arto paralizzato (“neglect per l’emicolpo”).
L’agnosia digitale è l’impossibilità di indicare e denominare le dita delle mani, proprie e altrui; la S. di
Gerstmann si caratterizza per un danno del giro angolare dell’emisfero sinistro, con conseguente: agnosia
digitale, non distinzione tra destra-sinistra, acalculia, agrafia pura e spesso anche aprassia e afasia
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Risonanza magnetica nucleare (RMN) Molte diverse proprietà in base alle diverse tecniche, ad
esempio concentrazione dei metaboliti nella RM
spettroscopica (RMS)
Funzionale
Tomografia a emissione di positroni (PET) Tracciante radioattivo nel sangue o nel tessuto
Tomografia ad emissione di fotoni singoli (SPECT) Tracciante radioattivo nel sangue o nel tessuto
Risonanza magnetica funzionale (RMf) Livello di deossiemoglobina nel sangue (effetto BOLO)
Magnetoencefalografia (MEG) Campi magnetici indotti dall’attività neuronale
Mentre gli studi di tipo strutturali non hanno fatto molto successo in psichiatria (con eccezione delle associazioni tra
disturbi del comportamento e presenza di lesioni macroscopiche del SNC), le tecniche di neuroimaging funzionali
hanno modificato significativamente la modalità d’indagine.
In particolare la RMf (Risonanza magnetica funzionale), oltre a valutare in dettaglio le regioni cerebrali che si
attivano durante l’esecuzione di qualsiasi attività, ha consentito di studiare un grande numero di pazienti; infatti, non
si necessitano di mezzi di contrasto, è innocua e non presenta nessuna controindicazione. Quello che ci si aspetta di
vedere su pazienti psichiatrici riguarda: (1) Confronti con il pattern di attivazione fisiologico osservato nei soggetti
di controllo; (2) Immaginare di poter identificare un marker diagnostico specifico per ogni tipo di disturbo; (3)
Comprensione dei meccanismi fisiopatologici implicati nella genesi dei disturbi psichiatrici.
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(utilizzata per il proprio vantaggio) per lasciare spazio alla competenza sociale (caratterizzata dalla considerazione
del vantaggio comune, eventualmente anche in contrasto con il benessere individuale).
Inoltre, ai lobi prefrontali viene attribuito anche il comportamento etico; infatti, quando ci si trova davanti a un
dilemma, si attivano aree diverse in base alla scelta che si prende: (1) O le regioni dorsolaterali, per quanto riguarda
le funzioni cognitive, quando si attua una valutazione di tipo cognitivo, in cui in modo impersonale prevale la
considerazione su quale sia il vantaggio maggiore; (2) O le regioni mediali e orbitarie, per quanto riguarda le funzioni
emotive, con conseguente elaborazione di tipo empatico ed implica un coinvolgimento emotivo-personale.
Un meccanismo patogenetico simile può essere ipotizzato per quanto riguarda l’attacco di panico, che è possibile
interpretare come una risposta inappropriata del network della paura; sono stati suggeriti il ruolo di una suscettibilità
genetica della risposta emotiva, di uno squilibrio omeostatico e di uno sbilanciamento neurotrasmettitoriale tra
l’influenza inibitoria della serotonina e quella eccitatoria della noradrenalina, come anche della perdita precoce del
legame di attaccamento: il disturbo è infatti riscontrato con maggior frequenza in relazione alla morte della madre
(sette volte) o al divorzio dei genitori (quattro volte) prima dei dieci anni d’età oltre che nei casi di abuso fisico o
sessuale. Inoltre, un meccanismo aspecifico di attivazione potrebbe essere dovuto al già discusso opposto effetto di
un trauma psicofisico sulla funzionalità dell’ippocampo e dell’amigdala: il ricordo implicito emozionale di risposta
ad uno stimolo può essere dissociato dal ricordo esplicito e provocare una reazione della cui origine non si è
consapevoli; questo fenomeno potrebbe essere condiviso anche con il DSPT. Esistono almeno due sottotipi di attacchi
di panico: (1) Uno semplice, associato a ipersensibilità del sistema di allarme per il soffocamento, che si attiverebbe
a livello del troncoencefalo in seguito a segnali che indicano l’imminente scarsità di ossigeno; (2) Un altro,
complicato da condotte di evitamento, sarebbe sotteso da un’iperattivazione del sistema ipotalamo-ipofisi-surrene.
Altrettanto aspecifico, ma in modo diverso, appare il meccanismo patogenetico del disturbo d’ansia generalizzato;
questi soggetti mostrano, anche in condizioni di riposo, un incremento dell’attivazione che riguarda diffusamente le
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regioni frontali, temporali e occipitali, così come il cervelletto e il talamo; inoltre compiti di mantenimento
dell’attenzione determinano l’attivazione anche dei gangli della base.
Per quanto invece riguarda le fobie, esse sono associate a un disequilibrio fra le strutture che costituiscono il cervello
emotivo; un ruolo sembrano svolgere anche le aree temporali anteriori, verosimilmente in relazione ad un discontrollo
dei meccanismi mnesici.
Ad esempio, nei soggetti aracnofobici, la visione dello stimolo fobico può essere associata a
un’iperattivazione del giro paraippocampale
Nella fobia sociale, l’elemento differenziale è rappresentato dall’attivazione dell’amigdala in risposta
all’osservazione di un volto; quindi, la patogenesi è differente rispetto a quella della fobia specifica
Del tutto diverso è il meccanismo del disturbo ossessivo-compulsivo in cui numerose indagini confermano
l’esistenza di una disfunzione del circuito frontostriatale. Un deficit primitivo dello striato modifica il filtro operato
dal talamo sugli stimoli afferenti che così possono giungere alla corteccia indisturbati; il risultato è l’iperattivazione
a riposo della corteccia orbitofrontale, che potrebbe essere all’origine delle ossessioni, e quella compensatoria dello
striato, che potrebbe essere all’origine delle stereotipie e delle compulsioni.
3.2.3 Schizofrenia
In questi casi, rispetto ai soggetti di controllo, sono state riscontrate modificazioni anatomiche nel sistema
ventricolare e nel volume cerebrale totale:
Sono state riscontrate atrofie a livello di: giro temporale, ippocampo, amigdala, giro paraippocampale, talamo
anteriore, corteccia cingolata
Sono state descritte relazioni tra le allucinazioni e il volume del giro temporale superiore
Sono state descritte relazioni tra la presenza di sintomi negativi e l’atrofia del giro frontale medio
Anomalie strutturali del cervelletto
La terapia neurolettica determina un aumento di dimensioni del caudato e del putamen
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Anomalie microscopiche nel numero e nella grandezza delle cellule, così come nell’organizzazione
neuronale, hanno fatto ipotizzare l’esistenza di un errore di sviluppo nel pattern di migrazione neuronale, con
particolare riferimento alla corteccia prefrontale dorsolaterale e all’ippocampo
Un’interpretazione neurochimica richiama l’attenzione sui mediatori cerebrali ed in particolare sul ruolo
della dopamina
Studi di neuroimaging hanno documentato differenze funzionali nei differenti sottotipi di malattia: (1) I sintomi
negativi correlano con l’ipometabolismo nelle regioni frontali e parietali sinistre; (2) Allucinazioni e deliri correlano
con l’ipermetabolismo nel giro paraippocampale e nello striato ventrale di sinistra.
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un paradigma convincente di questo effetto è rappresentato dal protocollo “open-hidden”: nella condizione “open”
è il personale sanitario a somministrare la terapia, nella condizione “hidden” il farmaco viene fornito mediante un
sistema computerizzato che stabilisce il momento e la durata della terapia. La differenza sostanziale tra le due
condizioni è che nel primo caso il paziente sa che sta ricevendo la terapia mentre nel secondo non ne è consapevole.
Va sottolineato che contrariamente alle sperimentazioni classiche il confronto non avviene tra un farmaco ed un
placebo ma è lo stesso farmaco che viene somministrato secondo due modalità diverse. In questo modo la differenza
di efficacia tra le due condizioni, valutata sia soggettivamente che in modo oggettivo (es. sulla base di analgesico
richiesta dal paziente) fornisce una misura dell’effetto placebo.
La terapia risulta essere sistematicamente più efficace nella condizione open: i dati derivanti dal paradigma open-
hidden sono una documentazione inoppugnabile che ad innescare la risposta placebo non è la sostanza somministrata
(per definizione inerte), ma la modalità di somministrazione (il contesto).
La risposta è diversa in relazione alla condizione clinica; citando due esempi: (1) Nel caso dell’analgesia le regioni
attivate dal placebo corrispondono a quelle che si attivano dopo somministrazioni di oppioidi; (2) Nella sindrome
parkinsoniana l’effetto è legato ad un incremento dell’attività dopaminergica
In altri termini, i meccanismi sottostanti all’azione del placebo mimano l’attività dei farmaci.
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Ad esempio, le strutture cerebrali deputate all’empatie vengono attivate maggiormente dall’osservare la reazione al
dolore di soggetti contagiati da HIV in seguito a trasfusione con sangue infetto in confronto a soggetti contagiati
perché facevano uso di droghe per via endovenosa.
5. Conclusioni
La comprensione della mente umana rappresenta il progetto più ambizioso fra tutti i programmi di indagine
scientifica; le neuroscienze stanno imponendo un nuovo paradigma culturale.
Uno degli aspetti più sorprendenti connessi all’introduzione delle neuroimmagini funzionali e dei suoi ulteriori
sviluppo tecnologici è la possibilità, immaginabile fino a pochi anni fa solo nella fantascienza, di vedere il cervello
mentre agisce. Tali metodiche (al contrario di come molti psichiatri credono) rappresentano un’opportunità di
accrescere il contributo della psichiatria alla pratica medica: le nuove discipline possono contribuisce in modo
determinante ad avvinare varie discipline mediche alla metodologia psichiatrica, in accordo alla convinzione che “no
health without mental health” (Prince, 2007).
In definitiva le neuroscienze hanno provocato un ribaltamento delle idee sul funzionamento del sistema nervoso;
contrariamente a quanto si credeva anni fa, il sistema nervoso è un sistema dinamico, plastico, su cui gli stimoli
ambientali agiscono come un giardiniere che porta un cespuglio di rose: selezionando cioè fra tutte quelle possibili
proprie le reti neuronali che risultano più appropriate a svolgere una determinata funzione.
Nell’essere umano natura e cultura non sono in contrapposizione ma sono piuttosto meccanismi complementari:
entrambi raggiungono i loro effetti incidendo sull’organizzazione sinaptica del cervello; la mente cambia il cervello
e quindi il comportamento.
Le implicazioni di un simile approccio per le scienze psichiatriche, non c’è dubbio, appaiono affascinanti.
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DISTURBI NEUROCOGNITIVI (DNC)
Questo capitolo comprende: delirium, disturbi neurocognitivi maggiori e lievi con relativi sottotipi eziologici: M. di
Alzheimer, degenerazione frontotemporale, Malattia a corpi di Lewy, compromissione vascolare, trauma cranico,
sostanze/farmaci, infezioni da HIV, malattie da prioni, M. di Parkinson, M. di Huntington. Il comune denominatore
di queste malattie è la compromissione delle funzioni cognitive.
1. Delirium
Condizione clinica caratterizzata da un’alterazione dell’attenzione o della consapevolezza che è accompagnata da un
cambiamento della capacità cognitiva precedente, che non è spiegata da un disturbo neurocognitivo preesistente o in
evoluzione.
Epidemiologia: riguarda l’1-2% della popolazione generale, ma aumenta nei casi di ricovero ospedaliero e con
l’aumentare dell’età (riguarda l’80% dei pazienti anziani nelle unità di terapia intensiva e può raggiungere il 70% nei
pazienti operati).
Etiopatogenesi: è eterogenea e i meccanismi sono poco chiari. Attuali evidenze suggeriscono il coinvolgimento di
alterazioni neurotrasmettitoriali, dell’infiammazione e della risposta acuta allo stress, che determinano l’insorgenza
di forme tossiche e metaboliche (ruolo dell’ACh e della dopamina) o aumento dell’attività adrenergica (da consumo
di alcool). Il Delirium si associa a malattia intra e extracraniche:
Malattie intracraniche: meningiti, encefaliti, HIV, neoplasie, traumi cranici, ictus, epilessie, malattie
degenerative, vasculiti
Malattie extracraniche: internistiche (infezioni sistemiche, neoplasie ecc.); cardio-polmonari (SC, IMA,
aritmie, shock ipovolemico, IRe); disfunzioni endocrine (dell’ipofisi, pancreas, surrene, tiroide ecc.);
encefalopatie metaboliche (squilibrio idro-elettrolitico o acido-base, ipossia, ipercapnia, disidratazione,
deficit vitaminici, ipo/iperglicemia, anemia, uremia ecc.); farmacologiche (psicofarmaci, anticomiziali,
antiparkinson, antipertensivi, steroidi ecc.); da uso di sostanze (astinenza, intossicazione); tossiche (CO2,
metalli pesanti); altro (deprivazione neurosensoriale o di sonno)
Quadro clinico: l’insorgenza è solitamente rapida (ore o giorni) e preceduta da sintomi prodromici: irrequietezza,
sonnolenza o insonnia, difficoltà di concentrazione ecc.
Diagnosi: si usa il Confusion Assessment Method (CAM), basato su un questionario e un algoritmo diagnostico di
4 criteri: (a) esordio acuto e andamento fluttuante; (b) deficit attentivi; (c) disorganizzazione del pensiero; (d)
alterazione del livello di coscienza. La diagnosi richiede che siano soddisfatti i criteri “a” e “b” insieme a “c” o “d”.
Delirium con altra specificazione e delirium senza specificazione: condizione con sintomi caratteristici del
delirium, ma che non soddisfa pienamente i criteri per la diagnosi dello stesso. In caso di delirium “con altra
specificazione” il medico sceglie di comunicare la ragione specifica per cui la manifestazione non soddisfa i criteri,
mentre nel delirium “senza specificazione” il clinico non attua nessuna specificazione.
Diagnosi differenziale: il delirium deve essere differenziato da altri DNC con alterazioni di coscienza: (1) Il
delirium con allucinazioni e deliri entra in DD con disturbi psicotici (schizofrenia), disturbi bipolari e depressivi; (2)
Il delirium con ansia e paura entra in DD col disturbo da stress acuto.
Trattamento e prognosi: deve essere mirato alla rimozione delle cause. Per quanto riguarda il trattamento
sintomatico, in caso di agitazione psicomotoria è possibile somministrare neurolettici (l’aloperidolo è il preferito),
benzodiazepine (preferite per il delirium da alcool), antistaminici da soli o in associazione.
La prognosi è correlata all’età del paziente, alla gravità e alla durata dell’episodio. Con la risoluzione della patologia
di base, la prognosi è solitamente favorevole.
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E. Vi sono evidenze (anamnesi, EO, esami laboratoriali ecc.) che l’alterazione è conseguenza fisiologica diretta
di un’altra condizione medica (vedi etiopatogenesi), di intossicazione da sostanze (sostanze d’abuso o farmaci)
o di astinenza, o di esposizione a una tossina o dovuta a eziologie molteplici
Specificare quale: (1) Delirium da intossicazione da sostanze: solo quando i sintomi del criterio A predominano;
(2) delirium da astinenza da sostanze: quando i sintomi dei criteri A e C predominano; (3) Delirium indotto da
farmaci: quando i sintomi dei criteri A e C sono un effetto collaterale del farmaco; (4) Delirium dovuto a un’altra
condizione medica; (5) Delirium dovuto a eziologie molteplici: quando il delirium ha più di un’eziologia
Specificare se: (1) Acuto: durata di poche ore o giorni; (2) Cronico: durata di settimane o mesi
Specificare se: (1) Livello di attività iperattivo: agitazione, rifiuto di cure mediche ecc.; (2) Livello di attività
ipoattivo: lentezza e letargia che si avvicina al torpore; (3) Livello di attività misto: l’attività psicomotoria è
normale, ma l’attenzione e la consapevolezza sono disturbate
2. Disturbi neurocognitivi maggiori e lievi
Epidemiologia: circa 36 milioni di persone nel mondo ne soffrono e l’incidenza aumenta con l’età. La prevalenza
delle demenze in Europa oscilla tra il 5.4% e il 7.2%, con 7.5 nuovi casi l’anno ogni 1000 persone; in Italia la
prevalenza per i soggetti di età superiore a 65 anni è del 6% (4.3% negli uomini e 7.5% nelle donne).
Etiopatogenesi: per alcuni sottotipi la diagnosi è diretta conseguenza della malattia, mentre per altri ci si basa sui
criteri specifici (M. di Alzheimer, degenerazione frontotemporale, M. a corpi di Lewy)
Valutazione dei sintomi: i sintomi cognitivi, non cognitivi e dello stato funzionale, oltre che con il colloquio con
il paziente e i familiari, vengono valutati mediante test neuropsicologici; ciò consente la conferma di dati soggettivi
confrontandoli con i dati normativi. Tali test sono: (1) Test per le funzioni cognitive, sia di screening (Mini Mental
State Examination o l’Alzheimer’s Disease Assessement Scale) che di valutazione neuropsicologica (Batteria per il
Deterioramento Mentale); (2) Stadiazione clinica della demenza, mediante la Clinical Demential Rating Scale; (3)
Valutazione della depressione, mediante la Geriatric Depression Scale; (4) Valutazione dei disturbi comportamentali,
mediante la NeuroPsychiatric Inventory – NPI; (5) Valutazione funzionale, mediante la Bedford Alzheimer
Assessment Nursing Scale (BAANs), la Basic Activity of Daily Living (BADL) o l’Instrumental Activity of Daily
Living (IADL)
Trattamento, che prevede più livelli di intervento: (1) Prevenire e controllare i fattori di rischio specifici; (2)
Iniziare terapia psicologica supportiva basata sul sostegno emotivo per migliorare la propria immagine; (3)
Affiancare un intervento di counseling per i familiari, per ottimizzare lo stato funzionale del paziente; (4) Approcciare
il trattamento farmacologico; (5) Favorire l’inserimento dei pazienti in programmi fisici e riabilitativi
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apprendimento e memoria, linguaggio, funzione percettivo-motoria, cognizione sociale), basato su: (1)
Preoccupazione dell’individuo, di un informatore attendibile o del clinico che vi sia stato un significativo
declino cognitivo; (2) Una significativa compromissione della performance cognitiva documentabile mediante
test neuropsicologici standardizzati e un’accurata valutazione clinica
B. I deficit cognitivi interferiscono con l’indipendenza nelle attività quotidiane (necessità di assistenza)
C. I deficit cognitivi non si verificano esclusivamente in contesto di delirium
D. I deficit cognitivi non sono meglio spiegati da altro disturbo mentale (es. schizofrenia)
Specificare se: (1) Senza alterazione comportamentale; (2) Con alterazione comportamentale (es. disturbi
dell’umore) e, in caso, specificare l’alterazione specifica
Specificare la gravità: (1) Lieve: difficoltà con attività strumentali quotidiane (es. lavori domestici); (2) Moderata:
difficoltà con attività di base della vita quotidiana (es. alimentazione); (3) Grave: completamente dipendente
Specificare se: (1) Senza alterazione comportamentale; (2) Con alterazione comportamentale (es. disturbi
dell’umore) e, in caso, specificare l’alterazione specifica
2.1 Disturbo neurocognitivo maggiore o lieve dovuto a Malattia di Alzheimer
La M. di Alzheimer-Perusini è il disturbo degenerativo più frequente, rappresentando il 60-80% di tutti i DNC.
L’esordio può essere sia presenile (< 65 anni) che senile (> 65 anni) e risulta essere insodioso, graduale e con
andamento progressivo; circa il 62% dei malati sono donne.
La predisposizione alla malattia è in parte geneticamente determinata; la percentuale delle forme familiari è del 5-
10%. Nelle forme precoci, sono state individuate mutazioni a carico di 3 geni: APP (proteina percursore
dell’amiloide, nel cr.21), PSEN 1 (presenilina 1, nel cr.14), PSEN 2 (presenilina 2, nel cr.1); nelle forme a esordio
tardivo invece circa il 40-65% dei soggetti presenta almeno un allele E4 per ApoE mutato, condizione che aumenta
marcatamente il rischio di sviluppare malattia. Nella maggior parte dei casi la malattia rimane comunque sporadica,
nella quale i fattori ambientali hanno molta importanza: fattori tossici (inquinamento, alluminio), fattori infettivi
(Herpes Virus), traumi cranici, carenze dietetiche o di sostanze neuroprotettive (es. omega 3).
Da un punto di vista patogenetico si pensa che un’alterazione della β -amiloide sia responsabile della sua insorgenza,
con formazione di delle tipiche placche senili (con nucleo centrale di β -amiloide circondate da cellule gliali reattive),
degenerazione neurofibrillare e degenerazione vacuolare nella corteccia ippocampale. Si assiste quindi a una perdita
di neuroni in specifiche aree: corteccia cerebrale, ippocampo, strutture sottocorticali come il nucleo basale di
Meynert. Sono stati inoltre dimostrati alterazioni di sistemi neurotrasmettitoriali, in primis dell’attività colinergica,
ma anche del sistema serotoninergici, noradrenergico, dopaminergico, vasopressina, CRF.
Per quanto riguarda il trattamento, sono raccomandati i trattamenti non farmacologici come la stimolazione cognitiva;
il trattamento farmacologico prevede invece l’uso di inibitori reversibili dell’acetilcolinesterasi e della memantina:
donepezil, rivastigmina, galantamina, memantina.
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Per il DNC maggiore, per una probabile M. di Alzheimer bisogna venga soddisfatto uno dei seguenti criteri,
altrimenti si parla di possibile M. di Alzheimer:
1. Evidente mutazione genetica dimostrata da anamnesi familiari o test genetici
2. Sono presenti tutti e 3 i seguenti: (a) Chiara evidenza di declino di memoria e apprendimento; (b) Declino
progressivo e graduale nella cognizione, senza plateau estesi; (c) Nessuna evidenza di etiologia mista (cioè
di altre malattie neurodegenerative)
Per il DNC lieve:
Una probabile M. di Alzheimer è diagnosticata se vi è evidenza di una mutazione genetica
Una possibile M. di Alzheimer è diagnosticata se non è evidenza di mutazione genetica, ma sono presenti
tutti e 3 i seguenti sintomi: (a) Chiara evidenza di declino di memoria e apprendimento; (b) Declino
progressivo e graduale nella cognizione, senza plateau estesi; (c) Nessuna evidenza di etiologia mista (cioè di
altre malattie neurodegenerative)
D. L’alterazione non è meglio spiegata da malattie cerebrovascolari, degenerative, effetti di una sostanza o altro
disturbo mentale, neurologico o sistemico
2.2 Disturbo neurocognitivo frontotemporale maggiore o lieve
La demenza frontotemporale è la seconda causa di demenza a esordio precoce, riguardando 15-22 casi/100000/anno
in individui di età compresa tra 45-65 anni.
Una lieve dominanza delle forme di demenza frontotemporale è sporadica, mentre la maggioranza presenta
familiarità positiva (mutazione del gene MAPT, che codifica per la proteina tau e del gene GRN, per la progranulina).
Da un punto di vista antomo-patologico il paziente presenta una progressiva atrofia circoscritta dei lobi fronto-
temporali, con inclusioni argentofile intraneuronali.
Da un punto di vista clinico si hanno 4 varianti: (1) Comportamentale, con disturbi della personalità e del
comportamento (apatia, disinibizione, ipocondria ecc.) che esordiscono prima di quelli cognitivi; (2) Afasia primaria
semantica; (3) Afasia primaria non fluente/agrammatica; (4) Afasia primaria logopenica.
Il trattamento prevede l’utilizzo di inibitori reversibili dell’acetilcolinesterasi e della memantina.
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significativo predominano, ma non soddisfano pienamente i criteri per uno o qualsiasi dei disturbi della classe
diagnostica dei DNC.
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DISTURBI CORRELATI A SOSTANZE E DISTURBI DA ADDICTION
Il DSM5 prende in considerazione i disturbi correlati a sostanze e quelli non correlati a sostanze.
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2 delle seguenti condizioni entro 12 mesi:
1. La sostanza è spesso assunta in quantità maggiori o per un periodo più lungo rispetto alle intenzioni
2. Desiderio persistente o sforzi infruttosi di ridurre l’assunzione
3. Una gran parte del tempo è impiegata in attività per ricercare la sostanza
4. Craving, o forte spinta all’uso della sostanza
5. Uso ricorrente, che causa fallimento nell’adempimento dei principali obblighi lavorativi, a scuola ecc.
6. Uso continuato della sostanza nonostante persistenti problemi sociali o interpersonali
7. Importanti attività sociali e ricreative vengono abbandonate o ridotte a causa di ciò
8. Uso ricorrente della sostanza in situazioni in cui è fisicamente pericoloso
9. Uso continuato nonostante la consapevolezza di un problema persistente o ricorrente, fisico o psicologico,
causato o esacerbato dalla sostanza
10. Tolleranza, definita come: (a) Un bisogno di quantità aumentate per ottenere l’effetto desiderato; (b) Marcata
diminuzione dell’effetto con l’uso continuato
11. Astinenza, manifestata come: (a) La caratteristica sindrome da astinenza (vedi criteri); (b) La sostanza viene
assunta per ridurre i sintomi da astinenza.
Specificare se: (1) Lieve: 2-3 sintomi; (2) Moderata: 4-5 sintomi; (3) Grave: 6 o più sintomi
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Specificare se il disturbo è con alterazioni percettive (casi rari): si applica quando le allucinazioni (di solito visive
o tattili) si verificano con un esame di realtà integro o quando le illusioni uditive, visive o tattili si verificano in
assenza di delirium
Il disturbo correlato all’alcol senza specificazione è invece una categoria applicata alle manifestazioni in cui i
sintomi caratteristici del disturbo da alcol, con disagio clinicamente significativo e compromissione delle attività
sociali quotidiane, predominano ma non soddisfano pienamente i criteri per nessun disturbo correlato all’alcol.
Specificare se il disturbo è con alterazioni percettive (casi rari): si applica quando le allucinazioni con esame di
realtà integro o le illusioni uditive, visive o tattili si verificano in assenza di delirium
L’astinenza da oppiacei può verificarsi in qualsiasi individuo dopo l’interruzione improvvisa di un uso ripetuto di
un oppiaceo (o un antagonista), sia che questo venga assunto a scopi terapeutici o a scopo voluttuario. L’entità del
quadro clinico dipende dalla dose precedentemente assunta, dalla velocità di riduzione dell’assunzione e dalla
sostanza (sostanze a emivita maggiore, come il metadone, danno minore entità clinica rispetto a sostanze a emivita
minore, come l’eroina). I sintomi da astinenza compaiono 8-10 ore dopo la sospensione di oppioidi a breve emivita.
I sintomi precoci sono: ansia, sudorazione, lacrimazione, rinorrea, craving; successivamente si accentuano e
compaiono insonnia, vampate calde e fredde, dolori osteo-muscolari, midriasi, crampi addominali; dopo 36 ore si
presentano agitazione, aumento della T e della P arteriosa, nausea, vomito, diarrea. La sintomatologia acuta
regredisce in 7-10 giorni, ma disturbi del sonno e umore possono permanere per mesi.
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Criteri diagnostici per l’astinenza da oppiacei
A. Presenza di ciascuna delle seguenti condizioni: (1) Cessazione (o riduzione) dell’uso prolungato di oppiacei;
(2) Somministrazione di un oppiaceo antagonista dopo un periodo di uso di oppiacei
B. 3 o più dei seguenti fattori, che sviluppano entro pochi minuti fino a diversi giorni dopo l’astinenza: (1) Umore
disforico; (2) Nausea e vomito; (3) Dolori muscolari; (4) Lacrimazione e rinorrea; (5) Midriasi, piloerezione o
sudorazione; (6) Diarrea; (7) Sbadigli; (8) Febbre; (9) Insonnia
C. I segni e sintomi del Criterio B causano di disagio clinicamente significativo, con compromissione del
funzionamento in ambito sociale, lavorativo o altre aree importanti
D. I sintomi non sono attribuibili a un’altra condizione medica, nemmeno da intossicazione o astinenza da altra
sostanza
Il disturbo correlato agli oppiacei senza specificazione è invece una categoria applicata alle manifestazioni in cui
i sintomi caratteristici del disturbo da oppiacei, con disagio clinicamente significativo e compromissione delle attività
sociali quotidiane, predominano ma non soddisfano pienamente i criteri per nessun disturbo correlato gli oppiacei.
Rischi e sovradosaggio: i rischi sono l’overdose/sovradosaggio e tutti quelli connessi alla somministrazione
parenterale (infezioni da HCV, HIV, batteri ecc.). L’assunzione eccessiva di oppiacei può rappresentare
un’emergenza medica e il decesso si verifica per arresto respiratorio; la triade comprende: coma, pupille a punta di
spillo, depressione respiratoria. Un sovradosaggio va curato subito con naloxone.
L’intossicazione da cannabis comincia con un senso di benessere seguito da euforia con riso inadeguato, sedazione,
letargia, difficoltà ad eseguire ragionamenti complessi, percezioni sensoriali distorte, sensazione di rallentamento del
tempo, deficit di memoria a breve termine e deficit di esecuzione motoria; in seguito, il consumatore manifesta un
periodo di inerzia e abulia, seguito dopo qualche ora da astenia, depressione, malessere generale, svogliatezza.
Inoltre, siccome il Δ-9-THC è liposolubile, gli effetti possono ripresentarsi per 12-24 ore a seguito del rilascio di
sostanze psicoattive dal tessuto adiposo. Fisicamente si ha arrossamento degli occhi, tachicardia, ipotensione
ortostatica. I metaboliti dei cannabinoidi si ricercano mediante esame delle urine.
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Specificare se il disturbo è con alterazioni percettive: si applica quando le allucinazioni con esame di realtà
integro o le illusioni uditive, visive o tattili si verificano in assenza di delirium
Il disturbo correlato alla cannabis senza specificazione è invece una categoria applicata alle manifestazioni in cui
i sintomi caratteristici del disturbo da cannabis, con disagio clinicamente significativo e compromissione delle attività
sociali quotidiane, predominano ma non soddisfano pienamente i criteri per nessun disturbo correlato alla cannabis.
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Specificare l’intossicante e specificare se il disturbo è con alterazioni percettive: si applica quando le
allucinazioni con esame di realtà integro o le illusioni uditive, visive o tattili si verificano in assenza di delirium
L’astinenza da stimolanti si verifica nel giro di poche ore o alcuni giorni dopo la cessazione: (1) Nel caso delle
amfetamine si hanno disforia, aumento/diminuzione dell’appetito, del sonno, della motricità; (2) Nel caso di cocaina
si ha un marcato e istantaneo crollo del tono dell’umore (ansia, depressione) che si stabilizza in disforia e anedonia
per giorni e si conclude con impellente craving della sostanza che perdura molti mesi.
Il disturbo correlato agli stimolanti senza specificazione è una categoria applicata alle manifestazioni in cui i
sintomi caratteristici del disturbo da stimolanti, con disagio clinicamente significativo e compromissione delle attività
sociali quotidiane, predominano ma non soddisfano pienamente i criteri per nessun disturbo correlato agli stimolanti.
I disturbi correlati alla fenciclidina e agli allucinogeni senza specificazione (sono due categorie differenti, come
scritto prima!) sono due categorie applicate alle manifestazioni in cui i sintomi caratteristici del disturbo da
fenciclidina/allucinogeni, con disagio clinicamente significativo e compromissione delle attività sociali quotidiane,
predominano ma non soddisfano pienamente i criteri per nessun disturbo correlato agli fenciclidina/allucinogeni.
Specificare se:
Episodico: soddisfa i criteri più di una volta, con sintomi di cedimento fra i periodi di disturbo di gioco d’azzardo
almeno per diversi mesi
Persistente: fa esperienza di sintomi continui, tali da soddisfare i criteri diagnostici per molteplici anni
In remissione precoce: dopo che i criteri sono stati soddisfatti in precedenza, nessuno dei criteri per il disturbo da
gioco d’azzardo è stato soddisfatto per almeno 3 mesi ma meno di 12 mesi
In remissione protratta: dopo che i criteri sono stati soddisfatti in precedenza, nessuno dei criteri per il disturbo
da gioco d’azzardo è stato mai soddisfatto per più di 12 mesi
Specificare la gravità attuale: (1) Lieve: 4-5 criteri; (2) Moderata: 6-7 criteri; (3) Grave: 8-9 criteri
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DISTURBI DELLO SPETTRO DELLA SCHIZOFRENIA E PSICOTICI
1. Schizofrenia
Le origini della schizofrenia risalgono all’antica Grecia, ma emerge come condizione medica solo nel XIX secolo.
Nel 1896 Kraepelin ha descritto (riprendendo gli studi di Pinel, Haslam e Morel) due profili clinici di “insanita’”: la
psicosi maniaco-depressiva e la “dementia praecox” (o demenza dei giovani). Nel 1911 Bleuler ha usato per primo
il termine “schizofrenia” per indicare una scissione tra pensiero, emozione e comportamento, introducendo il concetto
di sintomi fondamentali e sintomi accessori (vedi dopo).
Epidemiologia: l’eziopatogenesi è ancora lontana dal realizzarsi e data dall’intersecarsi di elementi biologici,
psicologici e sociali; un notevole contributo è stato dato dallo studio di epidemiologia e fattori di rischio intesi come
determinanti concausali che agiscono sulla struttura cerebrale, di elementi presenti prima dell’insorgenza del
disturbo. Si distinguono:
Fattori concomitanti (età, sesso, classe sociale, immigrazione e urbanizzazione): la prevalenza della
malattia è dello 0.3-0.7%, mentre l’incidenza di 15.2 casi/100000/anno; il rapporto M:F = 1.4:1 (poco
maggiore nei maschi). Importante la componente ereditaria: il rischio di svilupparla nei familiari dei pazienti
schizofrenici è 5-10 volte superiore alla popolazione generale e si riduce col diminuire del grado di parentela
e la concordanza è del 50-60% nei gemelli monozigoti e del 10-15% nei dizigoti.
L’esordio è, di solito, compreso tra la fine dell’adolescenza e i 35 anni (in genere 18-35 anni per uomini, 25-
35 anni per donne); inoltre, nel sesso femminile la morbilità è attenuata e con miglior outcome.
La malattia è ubiquitaria (presente ovunque nel mondo), ma la gravità è maggiore nei paesi industrializzati
(dove la maggioranza delle diagnosi è fatta in pazienti di basso livello socioeconomico) e il decorso è
migliore nei paesi in via di sviluppo
Fattori predisponenti (complicanze prenatali, perinatali, infezioni virali e aspetti genetici): è molto comune
la presenza di complicanze ostetriche (es. nel parto cesareo), ritardo nell’accrescimento fetale e basso peso
alla nascita; in generale sono quindi coinvolti fattori determinati ipossia e danno cerebrale.
L’origine infettiva deriva dall’evidenza che si ha il picco di nascite di soggetti schizofrenici in corrispondenza
delle pandemie influenzali, in periodi invernali/inizio primavera; inoltre, i virus erpetici (HSV-2 e CMV), il
poliovirus, il rubivirus e parassiti (es. il toxoplasma gondii) possono aumentare il rischio di schizofrenia.
Altri fattori sono la malnutrizione acuta e l’esposizione della madre a eventi traumatici durante la gravidanza
Fattori precipitanti: eventi stressanti, condizioni legate allo sviluppo e uso/abuso di sostanze stupefacenti
Quadri clinici: le manifestazioni cliniche sono variabili nel tempo e proteiformi, senza nessun sintomo
patognomonico; la diagnosi viene fatta associando la valutazione trasversale (quadro di stato) a quella temporale
(quadro di decorso). Si è tentato di semplificare la diagnosi provando a individuare le “dimensioni psicopatologiche”
del disturbo, ovvero un’alterata funzione psichica espressa da insieme di sintomi e segni che sono indicativi s specifici
per la funzione alterata:
Dimensione “distorsione della realtà”, i cui sintomi cardine sono deliri e allucinazioni; si pensa sia data da
iperattività dopaminergica nel sistema mesolimbico
Dimensione “impoverimento ideoaffettivo e motorio”: (1) Sintomi tipici: appiattimento dell’affettività,
apatia, abulia, mancanza di attivazione, perdita d’interessi e di spinta motivazionale; (2) Altre manifestazioni:
anergia, rallentamento psico-motorio, riduzione della motilità spontanea, impoverimento di mimica e
linguaggio, perdita di capacità relazionali. Questa dimensione è data da una riduzione dell’attività
dopaminergica mesocorticale a prevalente proiezione in sede prefrontale (ipofrontalità)
Dimensione “disorganizzazione”, con: povertà di contenuto, incoerenza, illogicità, tangenzialità,
deragliamento del discorso e incongruità affettiva; sono elementi accumunati da 3 elementi: (1) Perdita delle
caratteristiche formali della comunicazione (perdita di codifica messaggio, nessi logici ecc.); (2) Alterazioni
delle funzioni di filtro, selezione degli stimoli e meccanismi dell’attenzione, con correlati anatomo-funzionali
nel gyrus cinguli e nella corteccia orbito-frontale (a sua volta connessa a nuclei sottocorticali del sistema
limbico e alle aree ventro-mediali del caudato); (3) Alterazione nell’organizzazione degli stimoli sensoriali
per probabile coinvolgimento del talamo
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chiaroveggenza, esperienza extrasensoriali, magia e occulto; l’eloquio diventa impoverito; (4) Ansia, con
senso di disagio e angoscia; (5) Preoccupazioni somatiche immotivate, insolite e bizzarre; (6)
Depersonalizzazione, con vissuti di irrealtà, cambiamento percettivo o di trasformazione corporea
2. Periodo di stato, con alterazione di funzioni percettive, logica, forma, contenuto del pensiero, capacità di
risonanza-modulazione affettiva, controllo dell’affettività motoria, senso del tempo, percezione di
individualità, capacità di giudizio. Si distinguono “fasi attive” e “fasi di stabilizzazione” (dove per un periodo
non sono più osservabili)
3. Periodo degli esiti (decorso degli esiti), che classifica la schizofrenia in: (1) Tipo 1, con fase prodromica di
breve durata, sintomi in fase attiva essenzialmente produttivi e discreto funzionamento premorboso; con
trattamento adeguato si ha una riduzione della sintomatologia quasi completa; (2) Tipo 2, con fase
prodromica di lunga durata, presenza di personalità premorbosa (es. personalità schizoide), parzialmente
modificabile mediante terapia e con esiti di grave deterioramento
Diagnosi differenziale; la schizofrenia entra in DD con: (1) Disturbo schizofreniforme, con uguali sintomi ma durata
< 6 mesi e minor deterioramento; (2) Disturbo psicotico, con sintomi di durata < 1 mese e spesso secondari a eventi
psicosociali stressanti; (3) Disturbo schizoaffettivo, con episodio maniacale che si manifesta in concomitanza con i
sintomi della fase attivi e i sintomi di alterazione dell’umore presenti per la maggior parte della durata della fase
attiva; (4) Disturbo delirante, che si distingue per l’assenza di altri sintomi caratteristici della schizofrenia e per
l’insorgenza in soggetti di mezza età; (5) Altri disturbi psichiatrici, in particolare: disturbi depressivo maggiore o
bipolare con caratteristiche psicotiche, disturbo di personalità schizotipico, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbo
da stress post-traumatico, disturbi di spettro dell’autismo o disturbi della comunicazione; (6) Manifestazioni
psicotiche secondarie alle seguenti condizioni mediche: intossicazione da sostanze psicoattive (amfetamine, cocaina,
allucinogeni, alcol); neoplasie, traumi, malattie cerebrovascolari di aree frontali e limbiche, malattie degenerative
(M. di Huntington), infezioni (AIDS, encefalite erpetica), deterioramento cognitivo (DNC maggiore o minore,
delirium); malattie autoimmuni (LES); porfiria acuta intermittente, deficit di vit. B12, avvelenamento da CO, lipoidosi
cerebrale, M. di Fabry, M. di Fahr, avvelenamento da metalli pesanti, omocistinuria, leucodistrofia metacromatica,
idrocefalo normotesi, S. di Wernicke-Korsakoff, M. di Wilson.
Prognosi; si distinguono: (1) Fattori favorevoli: diagnosi e terapia precoci, esordio acutissimi, sintomatologia iniziale
positiva, buon livello di funzionamento premorbosi, sesso femminile, esordio tardivo; (2) Fattori sfavorevoli: inizio
lento e insidioso, dominanza di sintomi negativi, comportamenti aggressivi/antisociali prima e durante la malattia,
rischio genetico, età d’insorgenza precoce, parziale risposta a farmaci, scarsità di rapporti socio-familiari.
Dopo terapia, la remissione completa si ha nell’8-55% dei casi e la risoluzione parziale nel 50% dei pazienti.
Schizofrenia e suicidio: circa il 20% dei pazienti con malattia tenta il suicidio e il 5-6% riesce a metterlo in atto. In
particolare, i fattori di rischio sono: giovane età, consapevolezza della malattia e sesso maschile.
Violenza, criminalità e abuso di sostanze: i pazienti schizofrenici presentano tassi di criminalità elevata, con
comportamento violento 5 volte superiore alla popolazione generale; frequente è l’associazione con uso/abuso di
sostanze (25-75% dei casi), in genere alcol (40%), cannabis (25%), cocaina (5-10%).
Terapia: le strategie di trattamento devono essere multiple e flessibili, vista la scarsa conoscenza eziologica della
malattia e la sua variabilità. Gli obiettivi sono: (1) Ridurre o eliminare i sintomi; (2) Migliorare la qualità di vita e la
capacità delle funzioni adattative; (3) Promuovere e mantenere la guarigione. Nello specifico:
Terapia farmacologica: i farmaci di prima scelta sono i neurolettici, spesso associati ad antidepressivi nel
trattamento di sindrome negativa. Gli stabilizzanti dell’umore (litio, carbamazepina, valproato) favoriscono
un miglior controllo di comportamenti aggressivi-impulsivi, pur non avendo indicazione specifica
Terapia non farmacologica: sempre concomitante all’uso di farmaci, l’intervento psicoterapeutico di tipo
espressivo-supportivo risulta molto utile; inoltre, essenziali sono le terapie riabilitative con l’obiettivo di
minimizzare lo stress psicosociale responsabile delle recidive. Queste attività si svolgono in comunità
terapeutiche, centri diurni, strutture per il lavoro protetto e case famiglia
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C. Segni continuativi del disturbo persistono per almeno 6 mesi. Questo periodo deve comprendere almeno 1
mese di sintomi (o meno se trattati) che soddisfano il criterio A (fase attiva dei sintomi) e può comprendere
periodi di sintomi prodromici o residui; questi ultimi si caratterizzano per la presenza di sintomi negativi o 2 o
più sintomi del criterio A presenti in forma attenuata
D. Il disturbo schizoaffettivo e il disturbo depressivo o il disturbo bipolare con caratteristiche psicotiche sono stati
esclusi perché: (1) non si sono verificati episodi depressivi maggiori o maniacali contemporaneamente alla fase
attiva, o (2) se si sono verificati episodi di alterazione dell’umore durante la fase attiva, essi si sono manifestati
per una parte minoritaria della durata totale dei periodi attivi e residui della malattia
E. Il disturbo non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza (es. d’abuso) o a un’altra condizione medica
F. Se c’è una storia di disturbo dello spettro dell’autismo o di disturbo della comunicazione a esordio infantile, la
diagnosi aggiuntiva di schizofrenia viene posta soltanto se sono presenti per almeno 1 mese (o meno se
trattatati) allucinazioni e deliri permanenti, in associazione agli altri sintomi richiesti per schizofrenia
Specificare: (1) se con catatonia; (2) la gravità attuale (si veda capitolo “Scale di valutazione” del DSM 5)
Specificare se:
Con caratteristiche prognostiche favorevoli; richiede almeno 2 delle seguenti caratteristiche: (1) Esordio di
sintomi psicotici rilevanti entro 4 settimane dal primo cambiamento osservabile nel comportamento abituale o nel
funzionamento; (2) Confusione o perplessità; (3) Buon funzionamento sociale e lavorativo premorboso; (4)
Assenza di ottundimento o appiattimento affettivo
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Senza caratteristiche prognostiche favorevoli: quando 2 o più delle caratteristiche sopra citate non sono presenti
Con catatonia
Specificare la gravità attuale (si veda capitolo “Scale di valutazione” del DSM 5)
Specificare se:
Con marcato/i fattore/i di stress: se i sintomi si verificano in risposta a eventi che risulterebbero marcatamente
stressanti per quasi tutti nell’ambito culturale dell’individuo, in circostanze simili
Senza marcato/i fattore/i di stress: se i sintomi NON si verificano in risposta a eventi che risulterebbero
marcatamente stressanti per quasi tutti nell’ambito culturale dell’individuo, in circostanze simili
Con catatonia
Specificare la gravità attuale (si veda capitolo “Scale di valutazione” del DSM 5)
3. Il disturbo schizoaffettivo
Epidemiologia: la prevalenza è dello 0.3%, con maggior coinvolgimento delle femmine. Il disturbo schizoaffettivo
con caratteristiche di tipo depressivo è più comune negli anziani, mentre la tipologia bipolare nei giovani
Etiopatogenesi: differenti studi hanno riscontrato che va distinto dalla schizofrenia e dai disturbi dell’umore.
Diagnosi differenziale va posta con: schizofrenia; disturbi depressivi e bipolare con caratteristiche psicotiche;
disturbo psicotico indotto da sostanze/farmaci o dovuto ad altra condizione medica o psichiatrica.
Decorso e prognosi: ha un decorso cronico, con prognosi intermedia tra schizofrenia e disturbi dell’umore e rischio
di suicidio del 5%, soprattutto se correlato a sintomi depressivi. I fattori negativi sono: esordio brusco; predominanza
di sintomi psicotici (soprattutto deficitari o negativi); decorso non remittente.
Terapia: necessario il ricovero; la terapia farmacologica è sintomatica, basata su stabilizzatori del tono dell’umore e
antipsicotici. L’approccio psicoterapeutico è poco efficace, mentre sono utili le terapie di supporto psicosociale.
Specificare se:
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(1) Tipo bipolare: con manifestazioni cliniche includenti un episodio maniacale; possono anche esserci episodi
depressivi maggiori; (2) Tipo depressivo: se le manifestazioni cliniche includono solo episodi depressivi maggiori
Con catatonia
Specificare il decorso:
I seguenti specificatori del decorso devono essere indicati solo dopo 1 anno di durata del disturbo e se non sono in
contraddizione con i criteri diagnostici del decorso: (1) Primo episodio, attualmente in episodio acuto; (2) Primo
episodio, attualmente in remissione parziale; (3) Primo episodio, attualmente in remissione completa; (4) Episodi
multipli, attualmente in episodio acuto; (5) Episodi multipli, attualmente in remissione parziale; (6) Episodi
multipli, attualmente in remissione completa; (7) Continuo; (8) Senza specificazione
4. Il disturbo delirante
Storia: Nell’800 fu definito il concetto di “paranoia” (presenza di delirio lucido, schematizzato, ad andamento
cronico, in assenza di evoluzione in demenza), ma solo Krueger nel 1917 ha distinto la schizofrenia da questo
disturbo, definendolo come un “sistema delirante a costruzione e sviluppo logico senza alterazione della personalità,
dove pensiero, volontà e comportamento possono rimanere chiari e logici”.
Epidemiologia: la prevalenza è dello 0.2% (24-30 casi/100000 persone) e l’incidenza di 0.7-3 casi/100000/anno, ma
si pensa che in realtà siano molto maggiori per la scarsa richiesta di psichiatra per questa condizione. Si può
manifestare in qualsiasi età, ma la più frequente è il range 35-45 anni; non vi è distinzione di sesso. Spesso sono
pazienti immigrati e/o di scarso livello socioeconomico.
Etiopatogenesi: non vi sono dati significativi, ma studi hanno evidenziato come vi sia frequente familiarità.
Diagnosi: vedi criteri diagnostici.
Diagnosi differenziale va posta con: (1) Delirium, caratterizzato da livello fluttuante di coscienza; (2) DNC
maggiore, caratterizzato da compromissione delle funzioni cognitive; (3) Disturbo delirante indotto da sostanze
(cocaina, amfetamine ecc.), nella quale esiste però una correlazione fra l’uso di una sostanza e l’esordio dei sintomi;
(4) Schizofrenia e disturbo schizofreniforme, ma rispetto a essi non si hanno i sintomi psicotici della fase attivi (es.
allucinazioni uditive, eloquio disorganizzato ecc.); (5) Disturbi depressivo, bipolare e schizoaffettivo vengono distinti
dalla relazione temporale tra l’alterazione dell’umore e i deliri e dalla gravità dei sintomi dell’umore; (6) Disturbo
ossessivo-compulsivo; (7) Disturbo di dismorfismo corporeo; (8) Disturbi organici associati a manifestazioni
deliranti: malattie dei gangli della base, del sistema limbico, endocrinopatie.
Decorso; si distinguono: (1) Forma episodica, con un unico episodio nel corso della vita, di durata < 3 mesi ed esiti
che non comportano complicanze a lungo termine; (2) Forma intermittente, caratterizzata da episodi con tendenza
alla remissione spontanea; gli esiti non comportano, in genere, complicanze a lungo termine; (3) Forma stabile, che
è quella più frequente. I temi deliranti tendono progressivamente ad arricchirsi, fino ad assumere la configurazione
di un sistema delirante complesso; questo genera, a lungo termine, una progressiva rigidità di pensiero, dell’affettività
e compromissione dei rapporti sociali, lavorativi e familiari.
Terapia: di solito questi pazienti, con delirio ormai strutturato con la personalità, rifiutano la terapia; fondamentale
è quindi stabilire un rapporto di fiducia. Si basa su neurolettici e associazione di psicoterapia di supporto.
Specificare quale:
Tipo erotomanico: quando il tema centrale del delirio è che un’altra persona sia innamorata dell’individuo
Tipo di grandezza: quando il tema centrale del delirio è la convinzione di avere qualche grande dote o intuizione
Tipo di gelosia: quando il tema centrale del delirio è che il proprio coniuge/amante sia infedele
Tipo di persecuzione: se il tema centrale del delirio comporta la convinzione di essere oggetto di cospirazione,
ingannato, spiato, seguito, avvelenato oppure drogato, calunniato, molestato, ostacolato negli obiettivi
Tipo somatico: quando il tema centrale del delirio coinvolge le funzioni o le sensazioni corporee
Tipo misto: quando non predomina nessun tema delirante
Tipo senza specificazione: quando la condizione determinante non può essere determinata (es. i deliri di
riferimento senza componente persecutoria o di grandezza preminente)
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Specificare se con contenuto bizzarro, cioè se chiaramente non plausibili, non comprensibili, e non sono derivati
dalle comuni esperienze di vita (es. la convinzione che gli organi interni siano stati rimossi e sostituiti con altri)
Specificare il decorso; i seguenti specificatori del decorso devono essere indicati solo dopo 1 anno di durata del
disturbo: (1) Primo episodio, attualmente in episodio acuto; (2) Primo episodio, attualmente in remissione parziale;
(3) Primo episodio, attualmente in remissione completa; (4) Episodi multipli, attualmente in episodio acuto; (5)
Episodi multipli, attualmente in remissione parziale; (6) Episodi multipli, attualmente in remissione completa; (7)
Continuo; (8) Senza specificazione
Specificare la gravità attuale (si veda capitolo “Scale di valutazione” del DSM 5)
5. Catatonia
Consiste in uno stato di apparente insensibilità agli stimoli esterni in una persona che è apparentemente sveglia.
Epidemiologia: la frequenza è sconosciuta e molti casi non rimangono diagnosticati.
Etiopatogenesi: è multifattoriale, riconoscendo disturbi del neurosviluppo; disturbi psicotici; bipolari; depressivi;
cause infettive, metaboliche e neurologiche; effetti collaterali da farmaci.
Diagnosi; si hanno 3 tipi di catatonia, ognuna con i propri criteri diagnostici: (1) Catatonia associata a un altro
disturbo mentale; (2) Disturbo catatonico dovuto a un’altra condizione medica; (3) Catatonia senza specificazione.
Diagnosi differenziale è complessa, in quanto sono numerosissime le cause che la possono comportare, sia mediche
(neurologiche, psichiatriche, infettive ecc.) che psicologiche (immigrazione, sentimenti di rifiuto o alienazione in un
Paese estraneo). Particolare DD da considerare è quella con la “Sindrome maligna da neurolettici”.
Decorso: la guarigione varia dal 12% al 40%, con una risposta in oltre il 70% dei pazienti alle benzodiazepine. La
prognosi è peggiore se il trattamento viene ritardato.
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E. Il disturbo causa disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale,
lavorativo o altre aree importanti
Specificare se: (1) Con esordio durante l’intossicazione o (2) Con esordio durante l’astinenza
Specificare la gravità attuale (si veda capitolo “Scale di valutazione” del DSM 5)
Specificare la gravità attuale (si veda capitolo “Scale di valutazione” del DSM 5)
7. “Disturbo dello spettro della schizofrenia e altri disturbi psicotici con altra
specificazione” e “Disturbo dello spettro della schizofrenia e altri disturbi psicotici
senza specificazione”
Categorie applicate alle manifestazioni in cui i sintomi caratteristici di un disturbo dello spettro della schizofrenia e
altri disturbi psicotici, che causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito
sociale, lavorativo o altre aree importanti, predominano ma NON soddisfano pienamente i criteri per uno qualsiasi
dei disturbi della classe diagnostica dei disturbi dello spettro della schizofrenia e altri disturbi psicotici.
Nel “Disturbo dello spettro della schizofrenia e altri disturbi psicotici con altra specificazione” il clinico
sceglie di comunicare la ragione specifica per cui la manifestazione non soddisfa i criteri per nessuno
specifico disturbo dello spettro della schizofrenia e di altri disturbi psicotici
Nel “Disturbo dello spettro della schizofrenia e altri disturbi psicotici senza specificazione” il clinico
sceglie di NON specificare la ragione per cui i criteri di uno specifico disturbo dello spettro della schizofrenia
e altri disturbi psicotici non sono soddisfatti e comprende le manifestazioni in cui non ci sono informazioni
sufficienti per porre diagnosi più specifica
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DISTURBI DEPRESSIVI
Il concetto dell’umore costituisce una dimensione complessa della vita psichica dell’uomo nella quale convergono
aspetti emozionali, affettivi, cognitivi, temporali, motivazionali e motori. Euforia e tristezza, oltre che oscillazioni
fisiologiche dell’umore, possono essere anche sintomi associati a numerose affezioni. Il DSM 5 classifica i disturbi
del tono affettivo in due capitoli: i disturbi depressivi e il disturbo bipolare e disturbi correlati.
1. Depressione
Corrisponde a una diminuzione del tono dell’umore, caratterizzata dal prevalere di sentimenti di tristezza, dolore e
pessimismo; è uno stato di sofferenza psichica e di lutto, accompagnato da una diminuzione dell’autostima,
dell’attività di pensiero e motoria. Può essere reattiva a un avvenimento, quindi comprensibile (depressione esogena),
come insorgere in assenza di una causa predisponente (depressione endogena).
Secondo il DSM 5 si diversi disturbi depressivi: disturbo da disregolazione dell’umore dirompente; disturbo
depressivo maggiore; disturbo depressivo persistente (distimia); disturbo disforico premestruale; disturbo depressivo
indotto da sostanze; disturbo depressivo dovuto a un’altra condizione medica; disturbo depressivo con altra
specificazione; disturbo depressivo senza specificazione.
Epidemiologia: negli USA presenta una prevalenza del 7%, con differenze per fasce d’età (tre volte maggiore tra i
18-29 anni rispetto a soggetti oltre i 60 anni; le manifestazioni iniziano di solito già dalla prima adolescenza) e sesso
(sesso femminile maggiormente coinvolto con rapporto M:F = 1:1.5-3). Si pensa che il maggior coinvolgimento del
sesso femminile sia dato, oltre che da variabili psicosociali, anche da fattori ormonali (post-partum e fase
premestruale) o ad assunzione di anticoncezionali. Secondo l’OMS, entro il 2020 la depressione diventerà una delle
maggiori cause di mortalità e disabilità, seconda solo alla cardiopatia ischemica.
Etiopatogenesi; è multifattoriale e sono implicati: (1) Fattori genetici: è ampiamente dimostrata la familiarità per
il fenomeno; i parenti di primo grado hanno un rischio di 2-4 volte maggiore rispetto alla popolazione generale e la
concordanza è del 90% nei gemelli monozigoti, mentre scende al 10-25% nei dizigoti. I geni implicati potrebbero
essere localizzati nei Cr. 11, 12, 17; (2) Fattori psicosociali, in particolare: perdita affettiva (lutti, separazioni ecc.)
che riguardano figure significative della vita relazionale; perdita di supporto materiale, sociale, economico;
sovraccarico e tensione nell’ambiente lavorativo; isolamento sociale con mancanza di relazioni di confidenza; bassa
autostima; (3) Correlati anatomo-clinici; (4) Aspetti psicodinamici.
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NOTA: I Criteri da A a C costituiscono un EPISODIO depressivo maggiore
NOTA: Risposte a una perdita significativa (es. lutti, tracolli finanziari ecc.) possono determinare sintomi del Criterio A,
quindi assomigliare a un episodio depressivo. Tuttavia, nonostante tali sintomi siano comprensibili/appropriati alla perdita, la
presenza di un episodio depressivo maggiore in aggiunta alla normale risposta per la perdita significativa, deve essere valutata
attentamente dal clinico, in base alla storia e norme culturali dell’individuo per l’espressione del disagio durante la perdita.
D. L’episodio non è meglio spiegato da disturbo schizoaffettivo, schizofrenia, disturbo schizofreniforme, disturbo
delirante, disturbo dello spettro della schizofrenia e altri disturbi psicotici con altra specificazione o senza
specificazione
E. Non vi è mai stato un episodio maniacale o ipomaniacale
NOTA: tale esclusione non si applica se gli episodi simil-maniacali o simil-ipomaniacali sono indotti da sostanze o
attribuibili a effetti fisiologici di un’altra condizione medica
Specificare se: con ansia; con caratteristiche miste; con caratteristiche melancoliche; con caratteristiche
atipiche; con caratteristiche psicotiche congruenti all’umore; con caratteristiche psicotiche non congruenti
all’umore; con catatonia; con esordio nel peripartum; con andamento stagionale (solo episodio ricorrente)
Specificare il decorso e gravità: in remissione parziale; in remissione completa; lieve; moderato; grave
Specificare se: con ansia; con caratteristiche miste; con caratteristiche melancoliche; con caratteristiche
atipiche; con caratteristiche psicotiche congruenti all’umore; con caratteristiche psicotiche non congruenti
all’umore; con esordio nel peripartum
Specificare il decorso e gravità: in remissione parziale; in remissione completa; lieve; moderato; grave
Specificare se: (1) Con esordio precoce: prima dei 21 anni; (2) Con esordio tardivo: a 21 anni o più tardi
Specificare (per gli ultimi 2 anni di disturbo): (1) Con sindrome distimica pura: i criteri per un episodio
depressivo maggiore non sono stati soddisfatti pienamente nei 2 anni precedenti; (2) Con episodio depressivo
maggiore persistente: i criteri per un episodio depressivo maggiore sono stati soddisfatti pienamente nei 2 anni
precedenti; (3) Con episodi depressivi maggiori intermittenti, con episodio attuale: i criteri per un episodio
depressivo maggiore sono attualmente soddisfatti pienamente, ma vi sono stati periodi di almeno 8 settimane
almeno nei 2 anni precedenti con sintomi sotto la soglia per un episodio depressivo maggiore completo; (4) Con
episodi depressivi maggiori intermittenti, senza episodio attuale: i criteri per un episodio depressivo maggiore
NON sono attualmente soddisfatti pienamente, ma ci sono stati uno o più episodi depressivi maggiori nei 2 anni
precedenti
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1.4 “Disturbo disforico premestruale”; “Disturbo depressivo indotto da sostanze”; “Disturbo
depressivo dovuto a un’altra condizione medica”
Di seguito vengono definiti i criteri diagnostici di ognuno
Specificare se: (1) Con esordio durante l’intossicazione o (2) Con esordio durante l’astinenza
Specificare se: (1) Con caratteristiche depressive: non sono soddisfatti pienamente i criteri per l’episodio
depressivo maggiore; (2) Con episodio simil-depressivo maggiore: eccetto il Criteri C, sono soddisfatti
pienamente i criteri per l’episodio depressivo maggiore; (3) Con caratteristiche miste: sono presenti i sintomi
della mania o dell’ipomania ma non dominano il quadro clinico
1.5 “Disturbo depressivo con altra specificazione” e “Disturbo depressivo senza specificazione”
Categorie applicate alle manifestazioni in cui i sintomi caratteristici di un disturbo depressivo, che causano disagio
clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o altre aree importanti,
predominano ma NON soddisfano pienamente i criteri per uno qualsiasi dei disturbi della classe diagnostica dei
disturbi depressivi.
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Nel “Disturbo depressivo con altra specificazione” il clinico sceglie di comunicare la ragione specifica per
cui la manifestazione non soddisfa i criteri un disturbo depressivo (es. “episodio depressivo di breve durata”)
Nel “Disturbo depressivo senza specificazione” il clinico sceglie di NON specificare la ragione per cui i
criteri di uno specifico disturbo depressivo non sono soddisfatti e comprende le manifestazioni in cui non ci
sono informazioni sufficienti per porre una diagnosi più specifica (es. perché in contesti di pronto soccorso)
Specificare la gravità: (1) Lieve: 2 sintomi; (2) Moderata: 3 sintomi; (3) Moderata-grave: 4 sintomi; (4) Grave:
4 o 5 sintomi con agitazione motoria
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Specificatore andamento stagionale
Si applica al disturbo depressivo maggiore ricorrente
A. Vi è una relazione temporale tra l’esordio degli episodi depressivi e un particolare periodo dell’anno (es.
inverno) (NOTA: non includere i casi in cui sono presenti fattori psicosociali legati alle stagioni, come per esempio
l’essere regolarmente disoccupati d’inverno)
B. Anche le remissioni complete si verificano in un periodo caratteristico dell’anno
C. Negli ultimi 2 anni, si sono verificati 2 episodi depressivi maggiori che hanno dimostrato la relazione temporale
stagionale definita sopra e durante il periodo non si sono verificati episodi depressivi maggiori non stagionali
D. Gli episodi depressivi maggiori stagionali superano numericamente gli episodi depressivi maggiori non
stagionali, che si possono verificare nell’arco della vita
Specificare la gravità attuale (valutazione di: numero dei sintomi dei criteri, gravità degli stessi e grado di disabilità
funzionale): (1) Lieve: sono presenti pochi o nessun sintomo in eccesso rispetto a quelli richiesti per porre diagnosi;
l’intensità dei sintomi è angosciante ma gestibile, con minor compromissione del funzionamento sociale e
lavorativo; (2) Moderata: il numero dei sintomi, l’intensità e/o la compromissione funzionale sono tra “lieve” e
“grave”; (3) Grave: il numero dei sintomi è in eccesso rispetto a quelli richiesti per la diagnosi, l’intensità è
preoccupante, non gestibile e si ha marcata compromissione del funzionamento sociale e lavorativo
2. Diagnosi differenziale
Va posta con:
Disturbi bipolari, che presentano: episodi maniacali o ipomaniacali che si alternano in vario modo ad
episodi depressivi maggiori
Disturbo depressivo o bipolare indotto da sostanze/farmaci, per il quale lo stato di intossicazione o
astinenza da una o più sostanze/farmaci deve essere provato da anamnesi, EO, dati laboratoriali
Disturbo schizoaffettivo, dove sono presenti deliri e/o allucinazioni per almeno 2 settimane in assenza di
sintomi depressivi rilevanti
Disturbo depressivo o bipolare dovuto a un’altra condizione medica, in cui la depressione secondaria si
sviluppa in stretta correlazione temporale con la patologia somatica e il decorso è prevalentemente
condizionato da quello del disturbo fisico
3. Trattamento
Gli obiettivi sono: (1) Risposta al trattamento con remissione dei sintomi e ripresa funzionale; (2) Riduzione del
rischio di ricadute; (3) Miglioramento della qualità di vita. È sempre preferibile associare i farmaci alla psicoterapia.
I punteggi della Hamilton Depression Rating Scale (HAM-D) definiscono:
La riposta, ovvero la riduzione del 50% del punteggio della HAM-D rispetto al baseline della malattia
La remissione, ovvero la riduzione del punteggio della HAM-D a una valore minore o uguale a 7
La guarigione, quando la remissione permane per 9-12 mesi
La ricaduta, quando un nuovo episodio depressivo si manifesta durante il periodo acuto (6-12 settimane) o
di continuazione (4-9 mesi) di trattamento
La ricorrenza, che si verifica durante il trattamento di mantenimento
NOTA
Nei criteri diagnostici dei diversi Disturbi depressivi e bipolari, gli specificatori possono sembrare spesso gli stessi. In realtà
la maggioranza sono comuni, ma ogni Disturbo differisce da un altro per alcuni.
Quindi, quando si studia, fare sempre caso (leggendo “tra le righe”) a quelli differenti!
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DISTURBI BIPOLARI E DISTURBI CORRELATI
Sostituendo il vecchio termine “psicosi maniaco-depressiva”, indica il succedersi di episodi di tipo depressivo,
maniacale e ipomaniacale, che si alternano tra loro con o senza intervallo libero (eutimia).
Il DSM 5 li divide in: disturbo bipolare I; disturbo bipolare II; disturbo ciclotimico; disturbo bipolare e disturbi
correlati indotto da sostanze/farmaci; disturbo bipolare e disturbi correlati dovuto ad un’altra condizione medica;
disturbo bipolare e disturbi correlati con altra specificazione; disturbo bipolare e disturbi correlati senza
specificazione.
Epidemiologia: la prevalenza del disturbo bipolare II negli USA è dello 0.6% e 0.3% nel mondo; l’intero spettro
bipolare coinvolge invece l’1.6-4%. Per il disturbo bipolare I, il rapporto M:F è di 1.1:1, mentre l’età media d’esordio
è di 18 anni per il disturbo bipolare I e 35 anni per il disturbo bipolare II.
Etiopatogenesi: è multifattoriale, potendo intervenire: (1) Fattori genetici e correlati neurobiologici: nei parenti
di primo grado di una persona affetta, la probabilità di sviluppare disturbo bipolare è del 5-10%, con aumento al 40-
70% per i gemelli omozigoti. Secondo studi, questo è dato da molti geni (polimorfismi dei geni implicati nella
regolazione ormonale, codificanti canali del Ca2+, sistemi di II messaggeri e recettori del glutammato) che agiscono
determinando una predisposizione su cui si innestano fattori scatenanti ambientali; (2) Aspetti psicodinamici.
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Criteri diagnostici per l’Episodio depressivo maggiore
Corrisponde ai criteri da A a C (quindi non sono compresi i Criteri D e E e nemmeno gli specificatori!) per il “Disturbo
depressivo maggiore”, comprensivo anche delle due “Note”
Specificare se l’episodio attuale è: (1) Maniacale; (2) Ipomaniacale; (3) Depressivo; (4) Senza specificazione
Specificare se: con ansia; con caratteristiche miste; con cicli rapidi; con caratteristiche melancoliche; con
caratteristiche atipiche; con caratteristiche psicotiche congruenti all’umore; con caratteristiche psicotiche
non congruenti all’umore; con catatonia; con esordio nel peripartum; con andamento stagionale
Specificare il decorso: (1) In remissione parziale; (2) In remissione completa; (3) Non specificato
Specificare se: con ansia; con caratteristiche miste; con cicli rapidi; con caratteristiche psicotiche congruenti
all’umore; con caratteristiche psicotiche non congruenti all’umore; con catatonia; con esordio nel
peripartum; con andamento stagionale
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soddisfano i criteri per un episodio depressivo maggiore
B. Durante questo periodo, i periodi ipomaniacali e depressivi sono stati presenti per almeno metà del tempo e
l’individuo non è stato senza sintomi per più di 2 mesi
C. Non sono mai stati soddisfatti i criteri per un episodio depressivo maggiore, maniacale o ipomaniacale
D. I sintomi del Criterio A non sono meglio spiegati da disturbo schizoaffettivo, schizofrenia, disturbo
schizofreniforme, disturbo delirante, disturbo dello spettro della schizofrenia e altri disturbi psicotici con altra
specificazione o senza specificazione
E. I sintomi non sono attribuibili a effetti di una sostanza o a un’altra condizione medica (es. ipertiroidismo)
F. I sintomi causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale,
lavorativo o in altre aree importanti
Codificare i disturbi bipolari e correlati indotti da: alcol; fenciclidina; altri allucinogeni; sedativi; ipnotici o
ansiolitici; amfetamine (o altri stimolati); cocaina; altre (o sconosciute) sostanze. Codificare se con disturbo da
uso: (1) lieve; (2) moderato o grave; (3) senza disturbo da uso.
Specificare se: (1) Con esordio durante l’intossicazione o (2) Con esordio durante l’astinenza
Criteri diagnostici per il Disturbo bipolare e disturbi correlati dovuto a un’altra condizione medica
A. Un periodo rilevante e persistente di umore anormalmente elevato, espanso o irritabile e un aumento anomalo
di attività o energia che predomina nel quadro clinico
B. Vi è evidenza da storia, EO e dati laboratoriali che l’alterazione è la conseguenza patofisiologica diretta di
un’altra condizione medica
C. L’alterazione non è meglio spiegata da altro disturbo mentale
D. L’alterazione non si verifica esclusivamente durante il corso di un delirium
E. L’alterazione causa disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale,
lavorativo o altre aree importanti, oppure è necessaria l’ospedalizzazione al fine di prevenire danni a sé o agli
altri, oppure sono presenti caratterizzazioni psicotiche
Specificare se: (1) Con caratteristiche maniacali; (2) Con episodio similmaniacale o simil-ipomaniacale; (3)
Con caratteristiche miste
Codificare i disturbi bipolari e correlati dovuta a [Condizione Medica Generale] (es. ipertiroidismo)
1.4 “Disturbo bipolare e disturbi correlati con altra specificazione” e “Disturbo bipolare e disturbi
correlati senza specificazione”
Categorie applicate alle manifestazioni in cui i sintomi caratteristici di un disturbo bipolare e disturbi correlati, che
causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o altre
aree importanti, predominano ma NON soddisfano pienamente i criteri per uno qualsiasi dei disturbi della classe
diagnostica del disturbo bipolare e disturbi correlati.
Nel “Disturbo bipolare e disturbi correlati con altra specificazione” il clinico sceglie di comunicare la
ragione specifica per cui la manifestazione non soddisfa i criteri un disturbo bipolare e disturbi correlati
Nel “Disturbo bipolare e disturbi correlati senza specificazione” il clinico sceglie di NON specificare la
ragione per cui i criteri di uno specifico disturbo bipolare e disturbi correlati non sono soddisfatti
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1.5 Lo spettro bipolare
Questo concetto è impiegato per identificare i gruppi sindromici che sono distinti sul piano clinico-sintomatologico
pur essendo sottesi da un fattore patogenetico comune. Si intende quindi un continuum di entità psicopatologiche che
vanno dal disturbo schizoaffettivo ai tratti temperamentali. Akiskal (2002) li distingue in varie sottocategorie: (1/2)
Disturbo schizoaffettivo bipolare; (1) Malattia maniaco-depressiva; (1 e ½) Depressione maggiore e ipomania
protratta; (2) Depressione maggiore e ipomania; (2 e ½) Depressione maggiore e temperamento ciclotimico; (3)
Depressione maggiore e ipomania scatenata da antidepressivi; (4) Depressione maggiore e temperamento ipertimico;
(5) Stati misti; (6) Depressione minore o breve ricorrente e ipomania. (NOTA: numerarli come indicato!)
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Specificatore con caratteristiche atipiche
Identico allo specificatore con caratteristiche melancoliche descritto nel capitolo dei Disturbi depressivi
Specificare la gravità attuale (valutazione di: numero dei sintomi dei criteri, gravità degli stessi e grado di disabilità
funzionale): (1) Lieve: sono presenti pochi o nessun sintomo in eccesso rispetto a quelli richiesti per porre diagnosi;
l’intensità dei sintomi crea disagio è ma gestibile, con minor compromissione del funzionamento sociale e
lavorativo; (2) Moderata: il numero dei sintomi, l’intensità e/o la compromissione funzionale sono tra “lieve” e
“grave”; (3) Grave: il numero dei sintomi è in eccesso rispetto a quelli richiesti per la diagnosi, l’intensità crea
serio disagio, non è gestibile e si ha marcata compromissione del funzionamento sociale e lavorativo
2. Terapia
Si prevede l’uso di stabilizzatori dell’umore (litio e acido valproico), che possono essere associati a farmaci atipici o
tipici per il contenimento dei sintomi psicotici e dell’agitazione psicomotoria; è preferibile fin dall’inizio un
approccio multimodale associato a psicoterapia.
L’uso di antidepressivi non associati a stabilizzatori dell’umore deve essere evitato nelle fasi depressive per il rischio
di viraggio verso fasi maniacali o ipomaniacali (specie nel disturbo bipolare I); inoltre, numerose evidenze mostrano
come gli antidepressivi siano meno efficaci (se non inefficaci) nelle depressioni bipolari rispetto a quelle unipolari.
Per la prevenzione di ricadute, la terapia dovrà essere continuata per molti anni (se non per tutta la vita) e si basa
sull’uso di stabilizzatori dell’umore (utilizzati singolarmente o in associazione).
Le linee guida NICE (2006) forniscono raccomandazioni per la gestione di questi pazienti: (1) Stabilire e mantenere
rapporti di collaborazione con i pazienti, le famiglie e i caregivers, rispettare l’esperienza di malattia del paziente e
fornirgli informazioni su diagnosi e terapia; (2) Informare e incoraggiare i pazienti, le famiglie e i caregivers
sull’utilità di partecipazione a gruppi di supporto; (3) Sviluppare la relazione terapeutica con i pazienti e informarli
sull’importanza dell’auto-monitoraggio dei sintomi; (4) Programmare eventi finalizzati sia alla cura della salute fisica
che di quella mentale; (5) Incoraggiare la partecipazione dei famigliari nella programmazione dei trattamenti.
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DISTURBI D’ANSIA
Paura e ansia appresentano i livelli diversi di espressione dell’affettività (anche in condizioni di normalità).
La paura è un’emozione primaria, caratterizzata da vissuto spiacevole, che ha la funzione adattativa di
segnalare la presenza di situazioni pericolose, reali o simboliche e far sì che l’individuo agisca con
comportamenti adeguati a tali situazioni (es. prepara l’animale minacciato alla fuga)
L’ansia è uno stato di attivazione psicofisica, uno stato di allerta che caratterizza l’individuo che si confronta
con situazioni e decisioni future e ne valuta la pericolosità non contingente, ma potenziale; anche in questo
caso ha un valore adattativo, poiché favorisce l’adozione di strategie comportamentali più idonee a prevenire
o ridurre al minimo le conseguenze. Essa implica una condizione dolorosa, di apprensione e una risposta
neurovegetativa (tachipnea, tachicardia, aumento della PA ecc.)
Quando lo stato emotivo persiste o insorge in assenza di pericolo reale, ansia e paura divengono patologiche.
Il DSM 5 classifica i disturbi d’ansia in: disturbo d’ansia di separazione; mutismo selettivo; specificatore dell’attacco
di panico; fobia specifica; disturbo d’ansia sociale; disturbo di panico; agorafobia; disturbo d’ansia generalizzata;
disturbo d’ansia indotto da sostanze/farmaci; disturbo d’ansia dovuto a un’altra condizione medica; disturbo d’ansia
con altra specificazione; disturbo d’ansia senza specificazione.
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eventi traumatici (disturbo da stress post-traumatico); separazione da figure di attaccamento (disturbo d’ansia
di separazione); situazioni sociali (disturbo d’ansia sociale)
Specificare se: (1) Animale; (2) Ambiente naturale; (3) Sangue-infezioni-ferite; (4) Situazionale; (5) Altro (es.
paura di situazioni che possono portare o soffocare o vomitare)
Specificare se legata solo alla performance: se la paura è limitata al parlare o all’esibirsi in pubblico
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Criteri diagnostici per il Disturbo di panico
A. Ricorrenti attacchi di panico inaspettati. Un attacco di panico consiste nella comparsa improvvisa di paura o
disagio intensi che raggiunge il picco in pochi minuti, periodo durante il quale si verificano 4 o più dei
seguenti sintomi: (1) Palpitazioni, cardiopalmo, tachicardia; (2) Sudorazione; (3) Tremori fini o a grandi
scosse; (4) Dispnea o sensazione di soffocamento; (5) Sensazione di asfissia; (6) Dolore o fastidio al petto;
(7) Nausea o disturbi addominali; (8) Sensazioni di vertigine, instabilità, “testa leggera” o svenimento; (9)
Brividi o vampate di calore; (10) Parestesie (formicolii); (11) Derealizzazione (senso di irrealtà) o
depersonalizzazione (essere distaccati da se’ stessi); (12) Paura di perdere il controllo o di “impazzire”; (13)
Paura di morire
NOTA: la comparsa improvvisa può verificarsi a partire da uno stato di quiete oppure da uno stato ansioso
B. Almeno uno degli attacchi è stato seguito da un mese o più di 1 o entrambi i seguenti sintomi: (1)
Preoccupazione persistente per l’insorgere di altra attacchi o per le conseguenze (es. perdere il controllo, avere
un attacco cardiaco ecc.); (2) Significativa alterazione disadattiva del comportamento correlata agli attacchi
(es. comportamenti pianificati per evitare l’attacco, come l’evitamento di esercizio fisico)
C. L’alterazione non è attribuibile agli effetti di una sostanza o di un’altra condizione medica (vedi comorbilità)
D. Gli attacchi di panico non sono meglio spiegati da altro disturbo mentale; quindi, NON si verificano solo in
risposta a: una situazione sociale temuta (es. disturbo d’ansia sociale), a una fobia, a ossessioni (es. disturbo
ossessivo-compulsivo), al ricordo di un evento traumatico, alla separazione dalle figure di attaccamento
1.7 Agorafobia
Epidemiologia: ha una prevalenza lifetime del 6-10%, maggiore nel sesso femminile.
Comorbilità e terapia: medesime del “Disturbo di panico”.
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C. In aggiunta, si hanno 3 o più sei seguenti sintomi (nei bambini ne basta 1): (1) Irrequietezza o sentirsi tesi con
“i nervi a fior di pelle”; (2) Facile affaticamento; (3) Difficoltà a concentrarsi o vuoti di memoria; (4) Irritabilità;
(5) Tensione muscolare; (6) Alterazioni del sonno (difficoltà a addormentarsi/mantenere il sonno)
D. L’ansia, la preoccupazione o i sintomi fisici causano disagio clinicamente significativo o compromissione del
funzionamento in ambito sociale, lavorativo o altre aree importanti
E. La condizione non è attribuibile agli effetti di una sostanza o di un’altra condizione medica (es. ipertiroidismo)
F. Il disturbo non è meglio spiegato da altro disturbo mentale (es. ansia o timore da disturbo di panico, disturbo
d’ansia sociale, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbo d’ansia di separazione, disturbo da stress post-
traumatico, anoressia nervosa, disturbo da sintomi somatici, disturbo di dismorfismo corporeo, disturbo d’ansia
da malattia, schizofrenia o disturbo delirante)
Specificare se: (1) Con esordio durante l’intossicazione; (2) Con esordio durante l’astinenza; (3) Con esordio
dopo l’uso di un farmaco: i sintomi possono comparire sia all’inizio dell’uso del farmaco sia in seguito a una
modificazione o a un cambiamento nell’uso
1.11 “Disturbo d’ansia con altra specificazione” e “Disturbo d’ansia senza specificazione”
Categorie applicate alle manifestazioni in cui i sintomi caratteristici di un disturbo d’ansia, che causano disagio
clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o altre aree importanti,
predominano ma NON soddisfano pienamente i criteri per uno qualsiasi dei disturbi della classe diagnostica dei
disturbi d’ansia.
Nel “Disturbo d’ansia con altra specificazione” il clinico sceglie di comunicare la ragione specifica per
cui la manifestazione non soddisfa i criteri per nessun specifico disturbo d’ansia
Nel “Disturbo s’ansia senza specificazione” il clinico sceglie di NON specificare la ragione per cui i criteri
di uno specifico disturbo d’ansia non sono soddisfatti e comprende le manifestazioni in cui non ci sono
informazioni sufficienti per porre diagnosi più specifica
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DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO E DISTURBI CORRELATI
Il DSM 5 li classifica in 9 disturbi: disturbo ossessivo-compulsivo (DOC); disturbo di dismorfismo corporeo;
disturbo da accumulo; tricotillomania (disturbo da strappamento di peli); disturbo da escoriazione (stuzzicamento
della pelle); disturbo ossessivo compulsivo e disturbi correlati indotto da sostanze/farmaci; disturbo ossessivo
compulsivo e disturbi correlati dovuto a un’altra condizione medica; disturbo ossessivo compulsivo e disturbi
correlati con altra specificazione; disturbo ossessivo compulsivo e disturbi correlati senza specificazione.
Etiopatogenesi; sono noti: (1) Fattori ambientali: storia di abusi sessuali e fisici nell’infanzia e altri eventi
stressanti; (2) Fattori genetici: il peso della componente genetica è del 26-33% e nel 10-30% dei casi vi è familiarità
nei parenti di primo grado; inoltre, in questi soggetti, il rischio di sviluppare DOC è doppio e, se tra i parenti di primo
grado affetti c’è stato esordio di DOC nell’infanzia/adolescenza, il rischio aumenta di 10 volte.
Quadro clinico; si annoverano tre forme: (1) Ossessive pure; (2) Ossessivo-compulsive (75% dei casi); (3) Con
prevalenti compulsioni. Il contenuto delle ossessioni/compulsioni varia da soggetto a soggetto e, all’interno di uno
stesso soggetto, spesso sono presenti più temi.
I sottotipi più comuni sono: (1) Idee e pensieri ricorrenti di contaminazione, associati a rituali di pulizia (i “washers”,
più frequenti nelle femmine); (2) Idee e pensieri ricorrenti di non aver eseguito i compiti quotidiani associati a rituali
di controllo (i “checkers”); (3) Idee e pensieri ricorrenti dubitativi su tematiche esistenziali, etiche, religiose NON
connesse a rituali; (4) Idee e pensieri ricorrenti col dubbio di mettere in atto comportamenti aggressivi auto o
eterodiretti associati a rituali di controllo e di evitamento di armi, oggetti ecc. connessi; (5) Ossessioni di simmetria
e rituali di ordine, ripetizione, conta (più frequenti nei maschi); (6) Lentezza ossessiva primaria.
Comorbilità; le principali sono: (1) Disturbo depressivo maggiore o disturbo bipolare (63%); (2) Disturbi d’ansia
(76%); (3) S. di Tourette (35-40%); (4) Disturbi di personalità (23-32%); (5) Disturbo da tic (30% nei maschi con
esordio di DOC nell’infanzia); (6) Disturbi dell’alimentazione (es. anoressia e bulimia); (7) Schizofrenia o disturbo
schizoaffettivo (12%); (8) Talora abuso di sostanze o farmaci.
Diagnosi differenziale con: (1) Principalmente: disturbi d’ansia dovuti a condizione medica generale e indotti da
sostanze (es. amfetamine); disturbo d’ansia generalizzata; fobia specifica; fobia sociale (possibile anche la
comorbilità!); (2) Anche con: altri disturbi correlati al disturbo ossessivo-compulsivo e disturbi in cui si hanno
manifestazioni ossessive e/o compulsive (ipocondria, disturbi dell’alimentazione, parafilie); (3) Schizofrenia, in cui
possono comparire compulsioni egosintoniche (DD con DOC con scarso insight); (4) S. di Tourette (tic vocali).
Terapia: i farmaci di prima scelta sono gli SSRI (da soli o in associazione a psicoterapia qualora la risposta dei soli
farmaci sia insoddisfacente), somministrati a dosi maggiori rispetto a quelle per qualsiasi altro disturbo psichiatrico
(fluoxetina e paroxetina: 40-60 mg; fluvoxamina: 150-300 mg; sertralina: 50-200 mg; escitalopram: 10-20 mg;
citalopram: 20-60 mg). In caso di ridotta risposta si possono aggiungere basse dosi di neurolettico atipico, mentre in
caso di fallimento con SSR si può fare lo switch a: (1) Altro SSRI; (2) Imipramina, un TCA efficace, ma con effetti
collaterali notevoli; (3) SNRI (venlafaxina); (4) NASSA (mirtazapina). La risposta al trattamento è, in tutti i casi,
lenta (8-12 settimane) e deve essere continuata per 1-2 anni.
La psicoterapia di prima scelta è la cognitivo-comportamentale (CBT), basata su: (1) Esposizione in vivo: al paziente
si richiede di esporsi volontariamente alla reale situazione temuta per abituarlo; (2) Prevenzione della risposta: al
paziente viene chiesto di non mettere in atto compulsioni e tollerare la reazione emotiva per ottenere estinzione della
compulsione.
In caso di refrattarietà a qualsiasi trattamento si può valutare la stimolazione magnetica trans-craniale.
Specificare se: (1) Con insight buono o sufficiente: l’individuo riconosce che le convinzioni del DOC sono
decisamente o probabilmente non vere, o che essere possono essere o possono non essere vere; (2) Con insight
scarso: l’individuo pensa che le convinzioni del DOC siano probabilmente vere; (3) Con insight
assente/convinzioni deliranti: l’individuo è assolutamente sicuro che le convinzioni del DOC siano vere
Specificare se correlato a tic: l’individuo ha una storia attuale o passata di disturbo da tic
2. Disturbo di dismorfismo corporeo
Il soggetto può vedersi “non attraente”, “non a posto” o, addirittura, “orribile”, “come un mostro”. Queste
preoccupazioni possono essere relative a qualsiasi parte del corpo. I comportamenti ripetitivi sono messi in atto per
controllare, camuffare il supposto difetto fisico e questa condizione determina un deterioramento nel funzionamento,
che può costringere, nei casi più gravi, il paziente a non uscire di casa per anni.
Specificare se con dismorfia muscolare: l’individuo è preoccupato dell’idea che la sua costituzione corporea sia
troppo piccola o poco muscolosa
Specificare se (indicare il grado di insight riguardo alle convinzioni del disturbo; es. “sono brutto” o “cono
deforme”): (1) Con insight buono o sufficiente: l’individuo riconosce che le convinzioni del disturbo sono
decisamente o probabilmente non vere, o che essere possono essere o possono non essere vere; (2) Con insight
scarso: l’individuo pensa che le convinzioni del disturbo siano probabilmente vere; (3) Con insight
assente/convinzioni deliranti: l’individuo è assolutamente sicuro che le convinzioni del disturbo siano vere
3. Disturbo da accumulo
Sono soggetti che accumulano grande quantità di oggetti (spesso riviste, vecchi vestiti, libri ecc.) a prescindere dal
loto valore ed evitando ogni forma di separazione; il soggetto giustifica questo con la supposta utilità, valenza estetica
o affettiva dell’oggetto. Il disturbo causa disagio, spesso da rendere inutilizzabili gli spazi abitativi o il mantenimento
di adeguate condizioni igieniche. Tentativi di separazione o pulizia causano sofferenza.
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F. L’accumulo non è meglio giustificato da altro disturbo mentale: DOC; ridotta energia nel disturbo depressivo
maggiore; deliri nella schizofrenia o altri disturbi psicotici; DNC maggiore; spettro dell’autismo
Specificare se con acquisizione eccessiva: se la difficoltà di gettare via i beni è accompagnata da eccessiva
acquisizione di oggetti che non sono necessari o per i quali non vi è sufficiente spazio
Specificare se: (1) Con insight buono o sufficiente: l’individuo riconosce che le convinzioni e i comportamenti
del disturbo sono problematici; (2) Con insight scarso: l’individuo è per lo più sicuro che le convinzioni e i
comportamenti del disturbo non sono problematici, nonostante vi sia prova del contrario; (3) Con insight
assente/convinzioni deliranti: l’individuo assolutamente sicuro che le convinzioni e i comportamenti del disturbo
non sono problematici, nonostante vi sia prova del contrario
4. Criteri diagnostici degli altri disturbi della categoria
Criteri diagnostici per la Tricotillomania
A. Ricorrente strapparsi capelli o peli, che porta a perdita di capelli o peli
B. Ripetuti tentativi di ridurre o interrompere lo strapparsi capelli o peli
C. Lo strapparsi capelli o peli causa disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in
ambito sociale, lavorativo o altre aree importanti
D. Lo strapparsi capelli o peli non è attribuito ad un’altra condizione medica (es. condizione dermatologica)
E. Lo strapparsi capelli o peli non è attribuito a un altro disturbo mentale: tentativi di migliorare un difetto
percepito nel disturbo di dismorfismo corporeo
Specificare se: (1) Con esordio durante l’intossicazione; (2) Con esordio durante l’astinenza; (3) Con esordio
dopo l’uso di un farmaco: i sintomi possono comparire sia all’inizio dell’uso del farmaco sia in seguito a una
modificazione o a un cambiamento nell’uso
Criteri diagnostici per il DOC e disturbi correlati dovuto a un’altra condizione medica
A. Nel quadro clinico predominano ossessioni, compulsioni, stuzzicamento della pelle, strapparsi capelli/peli, altri
comportamenti ripetitivi focalizzati sul corpo o altri sintomi caratteristici del DOC e correlati
B. Dall’anamnesi, EO e dati laboratoriali vi è evidenza del fatto che il disturbo sia la diretta conseguenza
patofisiologica di un’altra condizione medica
C. Il disturbo non è meglio giustificato da un altro disturbo mentale
D. Il disturbo non si verifica esclusivamente nel corso di un delirium
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E. Il disturbo causa disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale,
lavorativo o altre aree importanti
Specificare se: (1) Con sintomi simili al DOC; (2) Con preoccupazioni relative all’aspetto: (3) Con sintomi di
accumulo; (4) Con sintomi di strappamento di peli; (5) Con sintomi di stuzzicamento della pelle
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DISTURBI CORRELATI A EVENTI TRAUMATICI E STRESSANTI
Nuova categoria del DSM 5 che comprende: disturbo reattivo dell’attaccamento (infanzia); disturbo da impegno
sociale disinibito (infanzia); disturbo da stress post-traumatico (DSPT); disturbo da stress acuto; disturbi
dell’adattamento; disturbo correlato a eventi traumatici e stressanti con altra specificazione; disturbo correlato a
eventi traumatici e stressanti senza specificazione.
Epidemiologia: il 74% delle donne e l’81% degli uomini è esposto a un evento traumatico nella vita, ma solo una
piccola parte sviluppa DSPT. La prevalenza del DSPT nella popolazione generale è del 6.4%, ma varia in base a
popolazione, livelli di esposizione a eventi traumatici, diversità culturale (es. nei reduci della guerra in Iraq è del
15%, mentre nei reduci del terremoto di l’Aquila è del 12-37.5%). Il DSPT è più frequente nei giovani adulti (in
virtu’ della maggiore incidenza di situazioni traumatiche) e colpisce maggiormente il sesso femminile.
Decorso: il recupero completo si ha nella metà dei casi, mentre nell’altro 50% i sintomi permangono anche per anni;
il DSPT è associato a ideazione suicidaria e tentativi di suicidio.
Etiopatogenesi: si pensa possa esserci una predisposizione genetica; in particolare, sembra che i disturbi di
personalità (dipendente, evitante, paranoide) possano aumentare il rischio di insorgenza del DSPT a seguito di forti
traumi, mentre altri disturbi di personalità (borderline, schizotipico) aumentano il rischio di esposizione a eventi
traumatici. Inoltre, altri fattori predisponenti sono la presenza di esperienze traumatiche nell’infanzia, recenti stress
o cambiamenti esistenziali, sistema di supporto compromesso, grave e recente abuso di alcol. Numerosi studi hanno
evidenziato il ruolo dei sistemi noradrenergici, serotoninergici, dopaminergici, glutammatergici, gabaergici,
cannabinoidi endogeni, oppioidi e dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene; infatti, in questi pazienti le attività
noradrenergici e adrenergica sono aumentate e molti sintomi associati al DSPT sono legate a funzioni del SNC in cui
è coinvolta la serotonina: irritabilità, impulsività, alterazione dell’umore, ansia, disturbi del sonno. Infine, maggiore
è l’intensità del trauma, maggiore è la probabilità di sviluppare DSPT.
Diagnosi differenziale: (1) Anzitutto, bisogna escludere cause organiche: disturbi neurologici (es. da trauma
cranico); disordini endocrini; intossicazioni; malattie cardiovascolari e altre condizioni (anemia, LES, AR, deficit di
vit. B12, ipoglicemia, neoplasie); (2) Distinguere il DSPT da esacerbazioni di malattie psichiatriche preesistenti
(necessaria quindi un’accurata anamnesi!); (3) Porre la DD con i seguenti disturbi: dell’adattamento; acuto da stress;
d’ansia; ossessivo-compulsivo; depressivo maggiore; di personalità; dissociativi; di conversione; psicotici altri
disturbi post-traumatici (es. amnesia dissociativa).
Comorbilità: esiste un 8% di probabilità di avere almeno un altro disturbo associato. Le principali sono: (1)
Patologie psichiatriche di Asse I: disturbi depressivi, bipolari, d’ansia, correlati a sostanze, del comportamento
alimentare, della condotta; (2) Tra i maschi sono più frequenti i disturbi correlati a sostanze, mentre tra le femmine
quelli depressivi; (3) Comorbilità non psichiatriche: DNC; malattie cardiovascolari; disturbi gastro-intestinali;
malattie muscolo-scheletriche; diabete; malattie epatiche non cirrotiche e HIV.
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essere stato violento o accidentale; (4) Fare esperienza di una ripetuta o estrema esposizione a dettagli crudi
dell’evento traumatico (es. i primi soccorritori che raccolgono resti umani, agenti di polizia esposti a dettagli
di abusi su minori) (NOTA: quest’ultimo criterio NON si applica all’esposizione attraverso media elettronici, tv, film,
immagini ecc. ammenoché l’esposizione non sia legata al lavoro svolto)
B. Presenza di 1 o più dei seguenti sintomi intrusivi associati all’evento traumatico, che hanno inizio
successivamente a esso: (1) Ricorrenti, involontari e intrusivi ricordi spiacevoli dell’evento traumatico (nei
bambini può esserci un gioco ripetitivo in cui vengono espressi temi riguardanti l’evento); (2) Ricorrenti sogni
spiacevoli in cui il contenuto e/o le emozioni del sogno sono collegati all’evento traumatico (nei bambini possono
essere presenti sogni spaventosi senza un contenuto riconoscibile); (3) Reazioni dissociative (es. flashback) in cui il
soggetto sente o agisce come se l’evento traumatico si stesse ripresentando (perdita di consapevolezza
dell’ambiente circostante) (nei bambini la riattualizzazione specifica di un trauma può verificarsi nel gioco); (4)
Intensa o prolungata sofferenza psicologica all’esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che
simboleggiano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento; (5) Marcate reazioni fisiologiche a fattori
scatenanti interni o esterni che simboleggiano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico
C. Evitamento persistente degli stimoli associati all’evento, iniziato dopo l’evento, come evidenziato da 1 o
entrambi i criteri: (1) Evitamento o tentativi di evitare ricordi spiacevoli, pensieri o sentimenti relativi o
strettamente associati all’evento traumatico; (2) Evitamento o tentativi di evitare fattori esterni (persone,
luoghi, attività, oggetti, situazioni) che suscitano ricordi, pensieri o sentimenti strettamente associati all’evento
D. Alterazioni negative di pensieri e emozioni associati all’evento, iniziate o peggiorate dopo l’evento, come
evidenziato in 2 o più dei seguenti criteri: (1) Incapacità di ricordare qualche aspetto importante dell’evento
(dovuto a amnesia dissociativa e non traumi cranici, droghe ecc.); (2) Persistenti e esagerate convinzioni o
aspettative negative relative a se stessi, altri o al mondo (es. “io sono cattivo”, “non ci si può fidare di nessuno”,
“Il mondo è pericoloso”); (3) Persistenti, distorti pensieri relativi alla causa o alle conseguenze dell’evento
traumatico che portano l’individuo a dare la colpa a se stesso o agli altri; (4) Persistente stato emotivo negativo
(es. paura, rabbia, orrore, colpa, vergogna); (5) Marcata riduzione di interesse o partecipazione ad attività
significative; (6) Sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri; (7) Persistente incapacità di provare
emozioni positive (es. incapacità di essere felici, di soddisfazione o di amore)
E. Marcate alterazioni dell’arousal e della reattività associati all’evento, iniziate o peggiorate dopo l’evento, come
evidenziato in 2 o più dei seguenti criteri: (1) Comportamento irritabile ed esplosioni di rabbia tipicamente
espressi nella forma di aggressione verbale o fisica verso persone o oggetti; (2) Comportamento spericolato o
autodistruttivo; (3) Ipervigilanza; (4) Esagerate risposte di allarme; (5) Problemi di concentrazione; (6)
Difficoltà relative al sonno (es. difficoltà di addormentarsi, di rimanere addormentato o sonno non ristoratore)
F. La durata delle alterazioni (Criteri B, C, D e E) è superiore a 1 mese
G. L’alterazione provoca disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito
sociale, lavorativo o altre aree importanti
H. L’alterazione non è attribuibile agli effetti di una sostanza (es. farmaci, alcol) o ad altra condizione medica
Specificare se con sintomi dissociativi: i criteri del DSPT sono soddisfatti e, inoltre, l’individuo fa esperienza di
sintomi persistenti o ricorrenti di 1 dei seguenti criteri: (1) Depersonalizzazione; (2) Derealizzazione
NOTA: per usare questo sottotipo, i sintomi dissociativi NON devono essere attribuibili agli effetti di una sostanza (es.
blackout, comportamento durante intossicazione da alcol) o ad altra condizione medica (es. crisi epilettiche parziali complesse)
Specificare se con espressione ritardata: i criteri non sono soddisfatti appieno entro 6 mesi dall’evento (anche se
l’insorgenza e l’espressione di alcuni sintomi possono essere immediate)
2. Disturbo da stress acuto
Introduzione: il disturbo da stress acuto si differenzia dal DSPT in base a esodio e durata (da 3 giorni a 1 mese
dopo l’esposizione al trauma); per questo motivo, molti continuano a non considerarlo un’entità clinica a parte
rispetto al DSPT.
Epidemiologia: gli studi sono pochi, ma si calcola che il 30-83% di soggetti con questo disturbo svilupperanno
DSPT e che il 10-61% dei pazienti con DSPT in passato hanno sofferto anche di questo disturbo. In Italia, dopo il
terremoto di l’Aquila, è stata riscontrata un’incidenza di disturbo di stress acuto del 4.9%.
Terapia: è importante anzitutto controllare l’ansia, somministrando BDZ e, nei casi più gravi, neurolettici atipici a
piccole dosi (olanzapina 2.5 mg). Nel lungo termine, si procede come nel DSPT; di provata efficacia la CBT.
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Criteri diagnostici per il Disturbo da stress acuto
A. Il Criterio A è lo stesso del DSPT
B. Sono presenti 9 o più dei seguenti sintomi di ciascuna delle 5 categorie, iniziati o peggiorati dopo l’evento:
Sintomi di intrusione: (1) Ricorrenti, involontari e intrusivi ricordi spiacevoli dell’evento (nei bambini può
verificarsi il gioco ripetitivo in cui vengono espressi temi riguardanti l’evento); (2) Ricorrenti sogni spiacevoli in cui
il contenuto e/o le emozioni del sogno sono collegati all’evento (nei bambini possono essere presenti sogni
spaventosi senza un contenuto riconoscibile); (3) Reazioni dissociative (es. flashback) in cui il soggetto sente o
agisce come se l’evento traumatico si stesse ripresentando (perdita di consapevolezza dell’ambiente
circostante) (nei bambini la riattualizzazione specifica di un trauma può verificarsi nel gioco); (4) Intensa o prolungata
sofferenza psicologica all’esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simboleggiano o assomigliano a
qualche aspetto dell’evento
Umore negativo: (5) Persistente incapacità di provare emozioni positive (es. incapacità di provare felicità,
amore, soddisfazione)
Sintomi dissociativi: (6) Alterato senso di realtà del proprio ambiente o di sé stessi (es. vedere sé stesso da
un’altra prospettiva, essere in stato confusionale, rallentamento temporale); (7) Incapacità di ricordare qualche
aspetto importante dell’evento (dovuto ad amnesia dissociativa e non ad altro, come traumi cranici o droghe)
Sintomi di evitamento: (8) Tentativi di ricordare ricordi spiacevoli, pensieri o sentimenti relativi all’evento;
(9) Evitamento o tentativi di evitare fattori esterni (persone, luoghi, attività, oggetti, situazioni) che suscitano
ricordi, pensieri o sentimenti strettamente associati all’evento
Sintomi di arousal: (10) Difficoltà relative al sonno (es. di addormentarsi, rimanere addormentato, sonno non
ristoratore); (11) Comportamento irritabile e esplosioni di rabbia (con minima o nessuna provocazione),
espressi come aggressione verbale o fisica verso persone o oggetti; (12) Ipervigilanza; (13) Problemi di
concentrazione; (14) Esagerate risposte di allarme
C. La durata dell’alterazione va da 3 giorni a 1 mese dall’esposizione al trauma (NOTA: tipicamente i sintomi
iniziano subito, ma si necessita la persistente per almeno 3 giorni fino a 1 mese per soddisfare i criteri)
D. L’alterazione provoca disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito
sociale, lavorativo o altre aree importanti
E. L’alterazione non è attribuibile agli effetti di una sostanza (es. farmaci, alcol) o a un’altra condizione medica
(es. lieve danno cerebrale da trauma), e non è spiegata da un disturbo psicotico breve
3. Disturbi dell’adattamento
Epidemiologia: la prevalenza nella popolazione generale è dell’1%; in ambiente di consultazione psichiatrica
ospedaliera è però spesso la diagnosi più comune, con percentuale del 50%.
Decorso: (1) Se il fattore di stress è un evento acuto, l’insorgenza è immediata e la durata è breve; (2) Se il fattore
di stress o le sue conseguenze persistono, il disturbo dell’adattamento può diventare una forma persistente.
Etiopatogenesi: le persone con circostanze di vita svantaggiose incontrano un elevato tasso di stress e un aumentato
rischio di contrarre il disturbo; inoltre, bisogna sempre valutare il contesto socio-culturale, perché la natura dei fattori
di stress e la valutazione della risposta variano tra le differenti culture.
Diagnosi differenziale va posta con: DSPT; disturbo acuto da stress; disturbo depressivo maggiore; disturbi
d’ansia; disturbi di personalità; fattori psicologici che influenzano una condizione medica; reazioni non patologiche
allo stress.
Terapia: la psicoterapia è il trattamento di scelta (psicoterapia di supporto, tecniche di rilassamento e gestione dello
stress); la terapia farmacologica si limita alla gestione sintomatica dei disturbi presenti.
Specificare se: (1) Acuto: il disturbo dura meno di 6 mesi; (2) Persistente (cronico): il disturbo dura più di 6 mesi
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Specificare quale: (1) Con umore depresso; (2) Con ansia; (3) Con ansia e umore depresso misti; (4) Con
alterazioni della condotta; (5) Con alterazione mista dell’emotività e della condotta; (6) Non specificati
4. “Disturbo correlato a eventi traumatici e stressanti con altra specificazione” e
“Disturbo correlati a eventi traumatici e stressanti senza specificazione”
Categorie applicate alle manifestazioni in cui i sintomi caratteristici di un disturbo correlato a eventi traumatici e
stressanti, che causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale,
lavorativo o altre aree importanti, predominano ma NON soddisfano pienamente i criteri per uno qualsiasi dei disturbi
della classe diagnostica dei disturbi correlati a eventi traumatici e stressanti.
Nel “Disturbo correlato a eventi traumatici e stressanti con altra specificazione” il clinico sceglie di
comunicare la ragione specifica per cui la manifestazione non soddisfa i criteri per nessuno specifico disturbo
correlato a eventi traumatici e stressanti
Nel “Disturbo correlati a eventi traumatici e stressanti senza specificazione” il clinico sceglie di NON
specificare la ragione per cui i criteri di uno specifico disturbo correlato a eventi traumatici e stressanti non
sono soddisfatti e comprende le manifestazioni in cui non ci sono informazioni sufficienti per porre diagnosi
più specifica
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DISTURBO DA SINTOMI SOMATICI E DISTURBI CORRELATI
Definizione: Sono disturbi con sintomi somatici che causano disagio clinicamente significativo e riduzione del
funzionamento in ambito sociale e lavorativo. Rispetto al DSM 4, nel DSM 5 sono state apportate modifiche per
consentire al medico di Medicina Generale di identificare meglio queste condizioni. Secondo il DSM 5, per la
diagnosi servono sintomi somatici ASSOCIATI a determinate caratteristiche piscologiche; quindi, il sintomo
somatico in sé NON ha valenza diagnostica: va valutata l’esperienza che il soggetto fa di esso nelle tre componenti
della processazione cognitiva, risonanza emotiva e risposta comportamentale.
All’etiopatogenesi contribuiscono vari fattori: (1) Vulnerabilità genetica e biologica (es. aumento della sensibilità al
dolore); (2) Precoci esperienze traumatiche (violenza, abuso, deprivazione); (3) Modalità di apprendimento (ottenere
attenzione tramite la malattia, mancanza di rinforzo positivo quando il disagio non viene espresso con
somatizzazioni); (4) Fattori sociali e culturali (valutare sempre il disagio all’interno del background socio-culturale).
La comunicazione di sentimenti e emozioni si avvale di due linguaggi: verbale (che partecipa e amplifica le emozioni)
e corporeo (i sintomi somatici possono essere una via di comunicazione per esprimere il disagio psicologico ad un
livello preverbale); i possibili casi sono:
L’individuo non ha acquisito la capacità simbolica; in tal caso, le funzioni fisiologiche del corpo fungono
da via di scarico delle emozioni e il disturbo fisico è privo di significati e di rimandi simbolici inconsci
L’individuo ha acquisito capacità di simbolizzazione e può scegliere il corpo per esprimere le emozioni: il
corpo sostituisce il linguaggio verbale e il sintomo ha valenze pulsionali intrinseche
Fattori psicodinamici: per Winnicott (1988) la persona è definibile in termini di interrelazione tra mente e corpo:
la mente e la coscienza hanno bisogno, oltre che di un corpo e cervello efficienti, anche di relazioni e soddisfazioni.
Nelle prime settimane di vita, il neonato, sensibile agli stimoli interni (es. fame), presenta un comportamento istintivo
(es. suzione) volto verso l’ambiente esterno e finalizzato a soddisfarli; la madre modula la tensione emotiva del
neonato. Il bambino quindi attua la relazione: “latte che sfama” e “madre buona che allatta”. In seguito, tra i 6-24
mesi, il bambino impara a procrastinare i suoi bisogni, perché la rappresentazione della madre, lo rassicura anche
durante la sua assenza; quindi, le capacità di accudimento corporeo (handling) e di contenimento emotivo (holding)
favoriscono lo sviluppo psico-fisico e l’integrazione corpo-mente. Il corpo resta centrale nell’organizzazione della
vita psichica e la pelle diventa il confine tra la propria unità psico-somatica e il mondo esterno.
Se la percezione sensoriale è bloccata nella sua elaborazione mentale, la coscienza non riconosce il sentimento ma
percepisce solo il bisogno, che scarica attraverso il corpo (c’è la scarica somatica, ma manca la capacità di
rappresentare mentalmente desideri, sentimenti e intenzioni).
Epidemiologia: la prevalenza è dello 0,4% (con un 1-3% degli ospedali e 5% in setting neurologici) e incidenza di
2-5/100000/anno. L’età di insorgenza è quella giovane adulta (18-32 anni), con rapporto M:F = 1:3. Le forme di
presentazione sono, ordine di frequenza: crisi similepilettiche (40%); deficit o disfunzioni sensitive (40%); quadri
misti (12%); deficit o disfunzioni motorie (5%). La correlazione con disturbi d’ansia e depressione è alta.
Etiopatogenesi: (1) Fattori neurobiologici: studi di neuroimaging hanno evidenziato una riduzione del flusso di
sangue alla corteccia premotoria e motoria controlaterale quando si sollecita il paziente a muovere l’arto paralizzato;
questa alterazione è secondaria all’aumento dell’attivazione delle aree inibitorie della corteccia prefrontale e del
cingolo. Altri studi hanno evidenziato una disfunzione del talamo e dei nuclei della base, a dimostrazione del
controllo esercitato dalle emozioni sul movimento; (2) Fattori psicologici; c’è un legame che connette il sintomo da
conversione a una pulsione rimossa: il sintomo è manifestazione dell’Es (gli organi interessati sono quelli con cui si
potrebbe realizzare il soddisfacimento dell’impulso) e sua occultazione da parte dell’Io (privato della funzione,
l’organo non raggiunge lo scopo). In aggiunta alla dissimulazione del conflitto (vantaggio primario), il paziente
richiama a sé l’attenzione dell’ambienta ed evita responsabilità (vantaggio secondario); (3) Temperamento; (4)
Sviluppo: frequente anamnesi di traumi/abusi infantili; (5) La presenza di patologie mediche con sintomi simili
(es. crisi non epilettiche sono comuni in pazienti con comorbilità per epilessia).
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Diagnosi: la diagnosi rappresenta una sfida per il clinico, in quanto i sintomi possono accompagnarsi a diversi quadri
psichiatrici (ansia, depressione, disturbi di personalità, dissociazione) e diverse condizioni mediche in parte
compatibili con il quadro clinico. Un tratto caratteristico, ma non patognomonico, è l’indifferenza che il paziente
mostra verso il sintomo. I sintomi possono essere acuti o cronici, generalmente meno gravi quando il paziente è
distratto e più accentuati quando l’attenzione gli è rivolta. Inoltre, a un deficit motorio non corrisponde un’alterazione
dei riflessi e a un disturbo sensoriale (visivo, uditivo) non si associano alterazioni degli esami strumentali (es.
potenziali evocati); in caso di pseudocrisi epilettiche il paziente: non ha incontinenza sfinterica, manca la confusione
post-critica, difficilmente riporta lesioni, l’EEG è nella norma.
Prognosi e terapia; esistono: (1) Fattori prognostici positivi: breve durata dei sintomi; accettazione della diagnosi;
(2) Fattori prognostici negativi: comorbilità per malattie fisiche; percezione di avere beneficio dalla disabilità.
Generalmente i sintomi si risolvono spontaneamente; è stata dimostrata l’utilità delle terapie espressivo-supportive
e, di uguale efficacia, anche della terapia cognitivo-comportamentale. La farmacoterapia è sintomatica.
Specificare il tipo di sintomi: (1) Con debolezza o paralisi; (2) Con movimento anomalo (es. tremore, mioclono,
disturbi della deambulazione ecc.); (3) Con sintomo riguardanti la deglutizione; (4) Con sintomi riguardanti
l’eloqui (es. disfonia, biascicamento); (5) Con attacchi epilettiformi o convulsioni; (6) Con anestesia o perdita
di sensibilità; (7) Con sintomi sensoriali specifici (es. problemi visivi, olfattivi, uditivi); (8) Con sintomi misti
Specificare se: (1) Episodio acuto: i sintomi ci sono per < 6 mesi; (2) Persistente: i sintomi ci sono per > 6 mesi
Specificare se: (1) Con fattore psicologico stressante (specificare il fattore stressante); (2) Senza fattore
psicologico stressante
2. “Disturbo da sintomi somatici”, “Disturbo da ansia di malattia”, “Fattori
psicologici che influenzano altre condizioni mediche” e “Disturbo fittizio”
Di seguito i criteri diagnostici delle 4 condizioni citate nel titolo
Specificare se con dolore predominante, quando i sintomi somatici rappresentati prevalentemente da dolore
Specificare se persistente, caratterizzato da sintomi gravi, marcata compromissione e lunga durata (più di 6 mesi)
Specificare la gravità: (1) Lieve: un solo sintomo del Criterio B; (2) Moderata: 2 o più dei sintomi del Criterio B;
(3) Grave: 2 o più dei sintomi del criterio B + molteplici sintomi fisici (o un sintomo fisico grave)
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D. L’individuo attua eccessivi comportamenti legati alla salute (es. controlla ripetutamente il corpo cercando segni
di malattia) o presenta evitamento disadattivo (es. evita visite mediche e ospedali)
E. La preoccupazione per la malattia è presente da almeno 6 mesi, ma la specifica patologia temuta può cambiare
nel corso di tale periodo di tempo
F. La preoccupazione riguardante la malattia non è meglio spiegata da altro disturbo mentale, come i disturbi: da
sintomi somatici; di panico; d’ansia generalizzata; di dismorfismo corporeo; ossessivo-compulsivo; delirante,
tipo somatico
Specificare quale: (1) Tipo richiedente l’assistenza: l’assistenza medica è usata frequentemente; (2) Tipo evitante
l’assistenza medica: l’assistenza medica è usata raramente
Criteri diagnostici per i Fattori psicologici che influenzano altre condizioni mediche
A. È presente un sintomo o una condizione medica (diversa da un disturbo mentale)
B. Fattori psicologici o comportamentali influenzano negativamente la condizione medica in uno dei seguenti
modi: (1) I fattori hanno influenzato il decorso della condizione medica, come dimostrato da una relazione
temporale tra i fattori psicologici e l’insorgenza, o l’aggravamento, della condizione medica, o la sua ritardata
guarigione; (2) I fattori interferiscono con il trattamento della condizione medica (es. scarsa aderenza); (3) I
fattori costituiscono ulteriori rischi accertati per la salute dell’individuo; (4) I fattori influenzano la
fisiopatologia sottostante, scatenando o aggravando i sintomi, o sollecitando attenzione medica
C. I fattori psicologici del Criterio B non sono meglio spiegati da altro disturbo mentale (es. i disturbi: di panico,
depressivo maggiore, da stress post-traumatico
Specificare la gravità: (1) Lieve: aumenta il rischio medica (es. scarsa aderenza a una terapia antipertensiva); (2)
Moderata: aggrava la condizione medica sottostante (es. ansia peggiorata da asma); (3) Grave: conduce a ricovero
o a visita in pronto soccorso; (4) Estrema: mette in grave pericolo la vita (es. ignorare i sintomi di un IMA)
Specificare se: (1) Episodio singolo; (2) Episodi ricorrenti: 2 o più episodi del Criterio A
Specificare se: (1) Episodio singolo; (2) Episodi ricorrenti: 2 o più episodi del Criterio A
3. “Disturbo da sintomi somatici e disturbi correlati con altra specificazione” e
“Disturbo da sintomi somatici e disturbi correlati senza specificazione”
Categorie applicate alle manifestazioni in cui i sintomi caratteristici di un disturbo da sintomi somatici e disturbi
correlati, che causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale,
lavorativo o altre aree importanti, predominano ma NON soddisfano pienamente i criteri per uno qualsiasi dei disturbi
della classe diagnostica dei disturbi da sintomi somatici e disturbi correlati.
Nel “Disturbo da sintomi somatici e disturbi correlati con altra specificazione” la definizione si ferma
alla riga precedente (non so se sia per errore di stampa o perché sia davvero così)
La categoria “Disturbo da sintomi somatici e disturbi correlati senza specificazione” NON dovrebbe
essere usata, a meno che non ci siano situazioni decisamente insolite in cui non ci sono informazioni
sufficienti per porre una diagnosi più specifica
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DISTURBI DELLA NUTRIZIONE E DELL’ALIMENTAZIONE (DNA)
Comportamento e alimentazione: Il comportamento è spesso espressione diretta del complesso ideo-affettivo
con cui il soggetto apre sé stesso al mondo e rende manifesto ciò che desidera per acquisire la certezza di “essere”
e/o per soddisfare la sua richiesta di avere. I DNA poggiano su queste basi con in più la certezza che l’alimentazione
costituisce un evento connesso allo sviluppo dell’identità, mantenendo il carattere sia del rifiuto che del desiderio di
controllo di sé stessi.
Psicopatologia dei DNA: nonostante l’eterogeneità dei quadri clinici, i DNA sono espressione di un unico disturbo
psicopatologico caratterizzato da un’alterata percezione dell’immagine corporea, attenzione al peso e meccanismi di
controllo. Il nodo fondamentale (il nucleo psicopatologico fondamentale) del DNA è la paura di ingrassare, data da
una distorta e insoddisfacente percezione dell’immagine corporea:
Sul versante anoressico il desiderio di dimagrire e la paura di ingrassare spingono a limitare il consumo di
cibo mediante la dieta
Sul versante bulimico la spinta biologica verso il cibo e la tendenza a perdere il controllo dell’assunzione
portano verso l’abbuffata
A ciò si affianca la necessità di controllare l’introduzione del cibo e la conseguente perdita di controllo, da cui
derivano condotte compensatorie (abuso di lassativi, vomito autoindotto, attività fisica coatta e digiuno) al fine di
neutralizzare gli effetti dell’eccessiva introduzione.
L’immagine corporea è il modo con cui il soggetto esperisce il proprio corpo, come entità personale e come strumento
di rapporto interpersonale; la non corretta percezione di questa è il risultato dell’interazione tra fattori intrinseci
(struttura di personalità) e fattori relazionati, legati di solito a infanzia e adolescenza. Tale percezione NON è innata,
ma deve essere frutto di un apprendimento, dato da influenze precoci nella vita dell’individuo.
Merita un cenno la valutazione delle pressioni socio-culturali nella strutturazione dell’immagine corporea: gli
stereotipi culturali che assimilano un fisico piacente e magro alla possibilità di successo professionale e sentimentale
sono fin troppo evidenti, contribuendo in parte alla prevalenza di questi disturbi nella società occidentale.
Epidemiologia: l’anoressia nervosa (AN) ha una prevalenza dello 0.4%, mentre la bulimia nervosa (BN) dell’1-
1.5%; entrambi seguono un decorso cronico con frequenti ricadute e complicanze mediche (talora fino alla morte).
Il sesso maggiormente coinvolto è quello femminile; l’età d’esordio tra i 10 e i 30 anni con andamento bimodale: un
primo picco tra i 14-20 anni e un secondo picco tra i 30-35 anni; esistono anche forme tardive con incidenza a 40-50
anni (soprattutto recidive). L’incidenza dell’AN nelle ragazze tra i 15-24 anni è stabile, mentre è in aumento la BN
(3-5%) ed entrambe sono in aumento nei maschi, con un rapporto che è passato da 10:1 a 5:1.
Il disturbo da binge eating ha una prevalenza dell’1.6% per le donne e 0.8% per gli uomini; invece, la pica, il disturbo
di ruminazione e il disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo, non presentano dati epidemiologici esaustivi.
Etiologia; concorrono:
Fattori biologici: oltre che studi sul linkage genetico (vulnerabilità geneticamente trasmessa), sono in corso
ricerche sul ruolo delle monoamine, con coinvolgimento del nucleo paraventricolare: (1) La NA stimola
l’appetito e promuove l’assunzione di carboidrati a scapito delle proteine; (2) La DA ha una duplice azione:
ad alte dosi diminuisce l’appetito determinando la liberazione di 5HT, mentre a basse dosi aumenta
l’appetito; (3) La funzione serotoninergica è diminuita nei DNA, verosimilmente secondaria a denutrizione,
ed aumentata in corso di guarigione. Queste alterazioni possono essere fattori predisponenti per lo sviluppo
e mantenimento della patologia
Fattori psicologici: il nucleo centrale della malattia è il difettoso senso di Sé che coinvolge un’ampia gamma
di deficit dello sviluppo, dell’immagine corporea alla consapevolezza del corpo e all’individuazione. Questo
in accordo a nuove scoperte che definiscono il ruolo fondamentale delle interazioni dinamiche tra il bambino
e i caregivers primari nello sviluppo della personalità e nell’organizzazione delle strutture neurofisiologiche.
In particolare: il disturbo regolatorio primario è una menomazione (che può essere costituzionale o acquisita
attraverso l’esperienza di un legame affettivo in ambiente di crescita inadeguato) della capacità di elaborare
e regolare cognitivamente le emozioni; per compensare, i pazienti sviluppano comportamenti alimentari
patologici spesso associati anche a abuso di sostanze, promiscuità sessuale, cleptomania. Secondo alcuni
autori i sintomi si organizzano intorno a un Io fragile nel tentativo di proteggerlo dalla disintegrazione;
mancando una struttura psichica autoregolatoria, i pazienti sono soggetti a fattori esterni, quali gli ideali
culturali; si impongono allora un peso ottimale, basato sull’immagine della donna nella cultura occidentale.
La comorbilità con i disturbi dell’umore o d’ansia potrebbe essere correlata a un difetto di relazione
dell’affettività (simile in entrambe le situazioni), mentre l’abuso di sostanze e/o i comportamenti alimentari
anomali deriverebbero da un tentativo di superare il disagio causato dal deficit di capacità autoregolatoria
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Il modello multidimensionale: studi su familiarità
psichiatrica e su gemelli indicano una vulnerabilità su
base genetica, che sono il substrato su cui i fattori
piscologici, socio-culturale e familiare si innestano:
Fattori predisponenti o di rischio; sono: (1)
Genere femminile; (2) Gruppo etnico: disturbo
tipico dei paesi industrializzati, dove c’è
abbondanza di cibo; (3) Classe sociale:
nessuna in particolare; (4) Cultura e società:
nella società occidentale si è bersagliati dai
mass-media che valorizzano l’immagine di
donne magrissime; (5) Età adolescenziale; (6)
Patologie organiche: la probabilità di DNA
Modello multidimensionale dei DNA (adattato da Gamar, 1993)
aumenta in coloro che hanno avuto patologie
gastrointestinali o problemi di obesità (o i loro stretti familiari); (7) Abuso sessuale e traumi vari; (8) Storia
psichiatrica familiare: disturbi dell’umore o DNA nei familiari di primo grado aumentano il rischio; (9)
Relazioni familiari: presenza di genitori invadenti o assenti (entrambe le opposte polarità)
Fattori precipitanti; sono:
Dieta ferrea: le persone che le attuano presentano caratteristiche, quali il perfezionismo, il pensiero del
“tutto o nulla”; si hanno 3 fasi: (I fase) Denominata “Luna di miele”, con apparente normalità nella sfera
affettiva/cognitiva e iperattività; (II fase) Ossessione per il cibo, controllo della fame, fobia per il cibo;
(III fase) Assenza di manifestazioni ossessive e comparsa di emozioni negative (depressione, irritabilità,
isolamento) associate a calo ponderale e corpo emaciato
Pubertà: i cambiamenti fisici e psicologici determinano riorganizzazione della personalità
Altri: ricerca dell’autostima; ricevere commenti spiacevoli per l’aspetto fisico; un lutto per una persona
cara; una malattia propria o di un familiare
Fattori perpetuanti: fattori responsabili della cronicità del disturbo; sono:
Fattori cognitivi: pensiero dicotomico (del tutto o nulla)
Fattori comportamentali: comportamenti di restrizione, eliminazione, abbuffata innestano un circolo
vizioso che automantiene il disturbo sia per la restrizione che per l’abbuffata:
RESTRIZIONE ALIMENTARE perdita di peso e bisogno di cibo. Dalla perdita di peso e
bisogno di cibo si innescano viziosamente abbuffata senso di colpa vomito autoindotto
perdita di peso e bisogno di cibo ecc.
AUMENTO ASSUNZIONE CIBO aumento di peso e bisogno di cibo. Dall’aumento di peso e
bisogno di cibo si innescano iperfagia e compulsione per il cibo autosvalutazione
isolamento e riduzione di attività compensatorie aumento di peso e bisogno di cibo ecc.
1. Inquadramento nosografico
I DNA sono caratterizzati da un disturbo persistente che comporta un alterato consumo e assorbimento di cibo e
compromette significativamente la salute fisica e il funzionamento psicosociale. Di seguito vengono analizzati i
singoli DNA, classificati secondo il DSM 5.
1.1 Pica
La pica è un disturbo caratterizzato dall’ingestione di sostanze senza contenuto alimentare, non commestibili (es.
carta, sapone, intonaco, terra, capelli); è frequente nei bambini, ma può comparire anche in adolescenza e negli adulti.
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1.4 Anoressia nervosa (AN)
Il termine “anoressia” è inappropriato perché la mancanza di appetito è poco frequente. L’AN è caratterizzata da una
progressiva perdita di peso dovuta a una notevole riduzione dell’apporto alimentare, da un’ostinata ricerca dell’esilità
e della magrezza e da una patologica paura di ingrassare; allo scopo di ridurre il peso molte pazienti effettuano
esercizio fisico estremo o mettono in atto comportamenti di eliminazione. L’evoluzione e gli esiti sono variabili.
Markers diagnostici; sono presenti le seguenti anomalie di laboratorio:
Ematici: leucopenia, talora concomitante a lieve anemia o trombocitopenia e, raramente, sanguinamenti
Biochimici: (1) La disidratazione riflette un aumento dell’azoto ureico nel sangue; (2) L’ipercolesterolemia
è comune; (3) Gli indici di funzionalità epatica possono essere elevati; (4) Occasionalmente si hanno anche
ipomagnesemia, ipozinchemia, ipofosfatemia e iperamilasemia; (5) Il vomito autoindotto può dare alcalosi
metabolica, ipocloremia e ipokaliemia; (6) L’abuso di lassativi può dare acidosi metabolica
Sistema endocrino: (1) I livelli di T4 sono ai limiti inferiori della norma, quelli di T3 sono ridotti e quelli di
T3 inversa sono elevati; (2) Spesso ci sono bassi livelli di estrogeni nel sangue nelle donne e di testosterone
negli uomini
Anomalie ECG: bradicardia sinusale e, raramente, aritmie; in alcuni si hanno prolungamenti significativi
dell’intervallo QT
Massa ossea: la densità minerale ossea è bassa, con aumentato rischio di fratture
Anomalie EEG: anomalie diffuse legate a encefalopatia metabolica, connesse a alterazioni idro-elettriche
significative
Dispendio energetico a riposo: significativa riduzione del metabolismo basale
Segni e sintomi: molti sono dati dal digiuno: (1) Amenorrea molto comune (in una minoranza di casi precede anche
il calo ponderale) o menarca ritardato in donne in età prepuberale; (2) Costipazione, dolore addominale, intolleranza
al freddo, letargia e energia eccessiva; (3) Emaciazione; (4) Ipotensione significativa, ipotermia, bradicardia, lanugo
(fine e soffice peluria) e edemi periferici (soprattutto durante il recupero di peso o in seguito alla cessazione
dell’abuso di lassativi e diuretici); (5) Raramente petecchie o ecchimosi, di solito alle estremità, possono indicare
una diatesi emorragica; (6) In alcuni si ha ingiallimento della cute associato a ipercarotemia; (7) Inducendosi vomito,
questi individui (come quelli affetti da BN) possono presentare ipertrofia delle ghiandole salivari (parotidi
soprattutto) e erosione dello smalto dentale; (8) Cicatrici o callosità sulla superficie dorsale della mano, dato dalle
sfregamento ripetuto contro l’arcata dentaria nel tentativo di provocare vomito
Rischio suicidario: è elevato nell’AN, con tassi di 12 pazienti su 100000 all’anno.
Specificare quale:
Tipo con restrizioni: negli ultimi 3 mesi, l’individuo NON ha presentato ricorrenti episodi di abbuffata o condotte
di eliminazione (es. vomito autoindotto, uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi). In questo sottotipo
la perdita di peso è ottenuta principalmente attraverso la dieta, il digiuno e/o l’attività fisica eccessiva
Tipo con abbuffate/Condotte di eliminazione: negli ultimi 3 mesi, l’individuo ha presentato ricorrenti episodi di
abbuffata o condotte di eliminazione (es. vomito autoindotto, uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi)
Specificare se: (1) In remissione parziale: dopo la precedente soddisfazione dei criteri per l’AN, il Criterio A non
è stato soddisfatto per un consistente periodo di tempo, ma sia il Criterio B che il Criterio C sono ancora soddisfatti;
(2) In remissione completa: dopo la precedente soddisfazione dei criteri per l’AN, NON è stato soddisfatto
nessuno dei criteri per un consistente periodo di tempo
Specificare la gravità:
Il livello minimo di gravità si basa, per gli adulti, sull’attuale indice di massa corporea (IMC) o, per bambini e adolescenti, sul
percentile dell’IMC; i valori sono definiti dall’OMS. Il livello di gravità può essere aumentato al fine di riflettere sintomi
clinici, il grado della disabilità funzionale e la necessità di una supervisione.
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(1) Lieve: IMC ≥ 17 Kg/m2; (2) Moderato: IMC 16-16.99 Kg/m2; (3) Severo: IMC 15-15.99 Kg/m2; (4) Estremo:
ICM < 15 Kg/m2
Specificare se: (1) In remissione parziale: dopo la precedente soddisfazione dei criteri per la BN, alcuni, ma non
tutti, i criteri sono stati soddisfatti per un buon periodo di tempo; (2) In remissione completa: dopo la precedente
soddisfazione dei criteri per la BN, nessuno dei criteri è stato soddisfatto per un consistente periodo di tempo
Specificare la gravità:
Si basa sulla frequenza di condotte compensatorie inappropriate (episodi di condotte compensatorie inappropriate a
settimana). Il livello di gravità può essere aumentato per riflettere altri sintomi e il grado di disabilità funzionale.
(1) Lieve: 1-3 episodi/settimana; (2) Moderato: 4-7 episodi/settimana; (3) Severo: 8-13 episodi/settimana; (4)
Estremo: ≥ 14 episodi/settimana
Specificare se: (1) In remissione parziale: dopo la precedente soddisfazione dei criteri per il BED, gli episodi di
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abbuffata si verificano con una frequenza media di meno 1 episodio/settimana per un consistente periodo di tempo;
(2) In remissione completa: dopo la precedente soddisfazione dei criteri per il BED, nessuno dei criteri è stato
soddisfatto per un consistente periodo di tempo
Specificare la gravità:
Si basa sulla frequenza degli episodi di abbuffata a settimana. Il livello di gravità può essere aumentato per riflettere altri
sintomi e il grado di disabilità funzionale.
(1) Lieve: 1-3 episodi/settimana; (2) Moderato: 4-7 episodi/settimana; (3) Severo: 8-13 episodi/settimana; (4)
Estremo: ≥ 14 episodi/settimana
2. Terapia
Linee guida: si richiede la competenza di diverse professionalità e la necessità di interventi tecnici differenziati
(trattamento multidisciplinare). L’approccio verso il malato deve essere globale, teso a valutare e a enucleare, oltre
ai problemi fisici, le problematiche di fondo che sono le vere forze motrici per tali patologie.
Terapia dell’AN: queste pazienti negano la loro malattia, per cui i loro comportamenti alimentari diventano
atteggiamenti fortemente egosintonici con i quali il paziente si identifica, fino a scegliere “un’identità anoressica”; la
maggior parte di queste pazienti tendono quindi a non chiedere alcun trattamento:
Intervento di prima scelta: CBT a lungo termine, in alterativa psicoterapia individuale psicodinamica.
Intervento sulla famiglia ed eventuale terapia farmacologica sintomatica
Intervento di seconda scelta: ricovero ospedaliero salvavita o terapia intensiva in regime di day-hospital
quando le condizioni organiche diventano scadenti, con riferimenti a: (1) IMC persistentemente inferiore a
15; (2) Disturbi idroelettrolitici; (3) Abuso di farmaci, diuretici, lassativi, alcol, stupefacenti ecc.
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DISTURBI DI PERSONALITÀ
La personalità, insieme di aspetti psicologici ereditari e acquisiti, esprime la modalità con la quale ciascuno di noi
risponde, percepisce, pensa e interagisce con l’ambiente; è quindi la “miglior soluzione possibile esistenziale” che
ciascuno si costruisce con esperienze personali a partire dal temperamento, componente perlopiù ereditaria.
Il DSM 5 definisce il “Disturbo di personalità” un pattern abituale di esperienza interiore e di comportamento che
devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo e si manifesta in 2 o più delle seguenti aree:
(1) Cognitività (modi di percepire/interpretare sé stessi, gli altri e eventi); (2) Affettività (varietà, intensità, labilità e
adeguatezza della risposta emotiva); (3) Funzionamento interpersonale; (4) Controllo degli impulsi.
Inoltre: determina disagio clinicamente significativo; è stabile e di lunga durata; ha esordio nell’adolescenza o nella
prima età adulta; non è meglio giustificato da altro disturbo mentale; non è collegato a effetti di una sostanza (d’abuso,
farmaco) o di un’altra condizione medica.
Nella sezione II il DSM 5 classifica i disturbi della personalità in criteri di tipo clinico-descrittivo (categoriale) e non
di gravità, in tre cluster (denominati A, B e C): (A) Disturbi con comportamento bizzarro (paranoide, schizoide,
schizotipico); (B) Disturbi con alta emotività (antisociale, borderline, narcisistico, istrionico); (C) Disturbi con forte
ansietà (dipendente, evitante, ossessivo-compulsivo). Inoltre, vengono considerati: modificazioni di personalità
dovute ad un’altra condizione medica; disturbi di personalità con altra specificazione e senza specificazione.
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1.3 Disturbo schizotipico (prevalenza 3.9%)
Area cognitiva: i soggetti hanno comportamenti eccentrici, con distorsioni percettive e cognitive, che comprendono:
idee di riferimento (es. interpretazione non corretta di incidenti casuali o eventi esterni abbia un significato
particolare), esperienze di chiaroveggenza, di tipo telepatico, pensiero magico, linguaggio vago e stereotipato.
Area affettiva: ansia sociale dipendente da preoccupazioni paranoidi, piuttosto che sul giudizio negativo di se’.
Area relazionale: difficoltà di adattamento e disagi che possono portare il soggetto a episodi psicotici transitori.
Interpretazione: in alcuni casi questo disturbo assomiglia a un disturbo schizoide (ad eccezione di accentuazioni di
lievi bizzarrie comportamentali e di comunicazione) e in altri alla schizofrenia.
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come socialmente inetto, non attraente e inferiore agli altri; (7) E’ insolitamente riluttante ad assumere rischi
personali o impegni in qualsiasi nuova attività, poiché questo può rivelarsi imbarazzante
Criteri diagnostici per la Modificazione della personalità dovuta ad un’altra condizione medica
A. Un’alterazione persistente di personalità, che rappresenta una modificazione del precedente pattern di
personalità caratteristico dell’individuo. (NOTA: nei bambini si ha marcata deviazione del normale sviluppo o una
modificazione netta dei pattern di comportamento usuali, che dura almeno 1 anno)
B. Vi è evidenza fondata da anamnesi, EO e dati laboratoriali che l’alterazione è la conseguenza patofisiologica
diretta di un’altra condizione medica
C. L’alterazione non è meglio giustificata da altro disturbo mentale
D. L’alterazione non si verifica esclusivamente durante il decorso di un delirium
E. L’alterazione provoca disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito
sociale, lavorativo o in altre aree importanti
Specificare se: (1) Tipo labile: la caratteristica predominante è la labilità affettiva; (2) Tipo disinibito: la
caratteristica predominante è uno scarso controllo degli impulsi; (3) Tipo aggressivo: la caratteristica
predominante è il comportamento aggressivo; (4) Tipo apatico: la caratteristica predominante è marcata apatia e
indifferenza; (5) Tipo paranoide: la caratteristica predominante è sospettosità o ideazione paranoide; (6) Tipo
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diverso: la presentazione non è caratterizzata da alcuno dei sottotipi precedenti; (7) Tipo combinato: presenza di
più di una caratteristica; (8) Tipo non specificato
5. “Disturbo di personalità con altra specificazione” e “Disturbo di personalità senza
specificazione”
Categorie applicate alle manifestazioni in cui i sintomi caratteristici di un disturbo di personalità, che causano disagio
clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o altre aree importanti,
predominano ma NON soddisfano pienamente i criteri per uno qualsiasi dei disturbi della classe diagnostica dei
disturbi di personalità.
Nel “Disturbo di personalità con altra specificazione” il clinico sceglie di comunicare la ragione specifica
per cui la manifestazione non soddisfa i criteri per nessuno specifico disturbo di personalità
Nel “Disturbo di personalità senza specificazione” il clinico sceglie di NON specificare la ragione per cui
i criteri di uno specifico disturbo di personalità non sono soddisfatti e comprende le manifestazioni in cui
non ci sono informazioni sufficienti per porre diagnosi più specifica
6. Appendice
Il DSM 5, pur mantenendo inalterate le categorie della sezione II, propone nella sezione III un modello alternativo
basato sul sistema multidimensionale di tratti. I criteri generali per il disturbo di personalità adottati sono:
a) Moderata o più grave compromissione del funzionamento (del Sé e interpersonali, vedi Tab. 1)
b) Uno o più tratti di personalità patologici
c) Le compromissioni del funzionamento della personalità e l’espressione dei tratti di personalità sono
relativamente inflessibili e pervasive in una vasta gamma di situazioni personali e sociali
d) Le compromissioni del funzionamento della personalità e l’espressione dei tratti di personalità sono
relativamente stabili nel tempo e il loro esordio si può far risalire almeno all’adolescenza o all’inizio dell’età
adulta
e) Le compromissioni del funzionamento della personalità e l’espressione dei tratti di personalità non sono
meglio spiegate da altro disturbo mentale
f) Le compromissioni del funzionamento della personalità e l’espressione dei tratti di personalità non sono
attribuibili agli effetti di una sostanza o a un’altra condizione medica
g) Le compromissioni del funzionamento della personalità e l’espressione dei tratti di personalità non possono
essere considerate normali per la fase di sviluppo o l’ambiente socioculturale del soggetto.
I tratti patologici di personalità fanno riferimento a 5 domini: (1) Affettività negativa; (2) Distacco; (3) Antagonismo;
(4) Disinibizione; (5) Psicoticismo. Per ogni dominio viene indicata la polarità opposta e le sfaccettature del tratto.
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Angoscia di separazione Timore di rimanere soli a causa del rifiuto o separazione da parte di figure
significative, a causa di una mancanza di fiducia delle proprie capacità di prendersi
cura di sé stessi, sia fisicamente che emotivamente
Sottomissione Adattamento del comportamento a interessi e desideri di altre persone, anche quando
ciò è antitetico ai propri interessi, bisogni o desideri
Ostilità Sentimenti di rabbia persistenti o frequenti, anche in risposta a offese e insulti di poco
conto; comportamento meschino, malevolo, vendicativo. Si veda anche Antagonismo
Perseverazione Persistenza in un’attività o in un particolare modo di fare le cose molto più a lungo
di quanto risulti funzionale o efficace; continuare nello stesso comportamento
nonostante ripetuti fallimenti o palesi motivi per interromperlo
Depressività Si veda Distacco
Sospettosità Si veda Distacco
Affettività ridotta La mancanza di questo aspetto caratterizza i bassi livelli di Affettività negativa.
(mancanza di) Si veda Distacco per la definizione di questo aspetto
2. Distacco (vs. estroversione)
Distacco Evitamento dell’esperienza socioemotiva, comprendente sia il ritiro dalle interazioni
(vs. estroversione) interpersonali (da quelle causali quotidiane ai rapporti di amicizia, alle relazioni
affettive) sia ridotta capacità di provare ed esprimere gli affetti, in particolare limitata
capacità di provare piacere
Ritiro Preferenza per il restare da soli; reticenza nelle situazioni sociali; evitamento di
contatti e di attività sociali; mancanza di iniziativa nel contatto sociali
Evitamento dell’intimità Evitamento di relazioni intime, di stretti legami interpersonali e di relazioni sociali
Anedonia Incapacità di trarre godimenti da/ impegnarsi in/ o trovare l’energia per le esperienze
di vita; deficit della capacità di provare piacere o interesse per le cose
Depressività Sentimenti di scoraggiamento, infelicità e/o mancanza di speranza; difficoltà nel
riprendersi da tali stati d’animo; pessimismo sul futuro; vergogna e/o senso di colpa
pervasivi; scarsa autostima; pensieri di suicidio e comportamento suicidario
Affettività ridotta Scarsa reazione a situazioni eccitanti; ridotta capacità di provare ed esprimere
emozioni; indifferenza e freddezza nelle situazioni comunemente coinvolgenti
Sospettosità Attesa di – e sensibilità ai – segni di malevolenza o aggressività interpersonale; dubbi
sulla lealtà altrui; sensazione di essere maltrattati, usati e/o perseguitati dagli altri
3. Antagonismo (vs. disponibilità)
Antagonismo Comportamenti che mettono l’individuo in contrasto con le altre persone, tra cui un
(vs. disponibilità) esagerato senso della propria importanza e una concomitante aspettativa di essere
trattati in modo speciale, così come un’insensibile mancanza di empatia, come
comprende sia l’inconsapevolezza degli altrui bisogni sia la tendenza a usare gli altri
per i propri vantaggi
Manipolatorietà Uso del sotterfugio per influenzare o controllare gli altri; uso di seduzione, fascino,
loquacità o piaggeria per raggiungere i propri fini
Inganno Disonestà e fraudolenza; fuorviante presentazione di sé; esagerazione o invenzione
di eventi nel racconto
Grandiosità Convinzione di essere superiore e meritare un trattamento speciale: egocentrismo,
sentimenti del “tutto è dovuto”, “degnazione” verso gli altri
Ricerca di attenzione Comportamenti mirati a farsi notare, mettersi al centro dell’attenzione e farsi piacere
Insensibilità Mancanza di preoccupazione per i sentimenti o i problemi altrui; mancanza di senso
di colpa o di rimorso per gli effetti negativi o dannosi delle proprie azioni sugli altri
Ostilità Si veda Affettività negativa
4. Disinibizione (vs. coscienziosità)
Disinibizione Orientamento verso la gratificazione immediata, che porta a comportamenti
(vs. coscienziosità) compulsivi guidati da pensieri, sentimenti e stimoli esterni attuali, senza riguarda per
l’esperienza passata o considerazione delle conseguenze future
Irresponsabilità Disinteresse per obblighi e impegni finanziari e di altro genere; inadempienza nel
rispettare – e portare avanti – accordi e promesse; incuria verso la proprietà altrui
Impulsività Agire immediatamente in risposta a stimoli contingenti; agire su base momentanea,
senza un piano o un esame dei risultati; difficoltà a formulare e seguire piani; senso
di urgenza e comportamento autolesivo se sottoposti a stress emotivo
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Distraibilità Difficoltà di concentrazione e focalizzazione sui compiti; l’attenzione è facilmente
deviata da stimoli estranei; difficoltà a mantenere un comportamento finalizzato, che
comprende sia la pianificazione che l’esecuzione dei compiti
Tendenza a correre rischi Intraprendere attività pericolose, rischiose e dannose per sé, senza preoccuparsi per
le conseguenze; noncuranza dei propri limiti e negazione del reale pericolo per la
persona; sconsiderato perseguimento di obiettivi, indipendentemente dal loro rischio
Perfezionismo rigido Rigida ostinazione sul fatto che qualsiasi cosa debba essere impeccabile, perfetta e
(mancanza di) senza errori o difetti, incluse le prestazioni proprie e altrui; rinuncia alla tempestività
per garantire la correttezza nei dettagli; convinzione dell’esistenza di un’unica
modalità corretta di fare le cose; difficoltà a cambiare idee e/o punto di vista.
La mancanza di questa sfaccettatura caratterizza bassi livelli di Disinibizione
5. Psicoticismo (vs. lucidità mentale)
Psicoticismo Manifestazione di una vasta gamma di comportamenti e pensieri culturalmente
(vs. lucidità mentale) incongruenti, bizzarri, eccentrici o insoliti, sia nei processi (es. percezione,
dissociazione) che nei contenuti (es. convinzioni personali)
Convinzioni ed esperienze Convinzione di possedere insolite capacità, come: lettura del pensiero, telecinesi,
inusuali fusione pensiero-azione, insolite esperienza di realtà (tra cui quelle allucinatorie)
Eccentricità Comportamento, aspetto e/o eloquio strani, inusuali o bizzarri; pensieri strani e
imprevedibili; affermazioni insolite o inappropriate
Disregolazione cognitiva e Processi di pensiero ed esperienze strani o insoliti, tra cui depersonalizzazione,
percettiva derealizzazione ed esperienze dissociative; esperienze di stati misti sonno-veglia;
esperienze di controllo del pensiero
Adottando il Criterio A di funzionamento della personalità e B) di tratti patologici di personalità e rispettando i Criteri
C, D, E, F, G, il DSM 5 definisce il: disturbo antisociale, evitante, borderline, narcisistico, ossessivo-compulsivo,
schizotipico e tratto specifico.
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FONDAMENTI DI PSICHIATRIA PSICODINAMICA
1. Metapsicologia
Questo termine indica gli aspetti teorici della psicanalisi, la quale fu coniata da Freud (1901) per elaborare un apparato
concettuale costantemente arricchibile e rinnovabile capace di dare una struttura per le conoscenze attuali e per
indirizzo di ulteriori ricerche; le coordinate utilizzate sono quella dinamica, economica e topica (Boulanger, 1979).
Coordinata dinamica (aspetto qualitativo): considera i fenomeni psichici come risultato di combinazione
di forse più o meno antagoniste; viene qui proposta la nozione di forza e di conflitto
Coordinata economica (aspetto quantitativo): è considerata da un punto di vista quantitativo; è qui
importante conoscere come l’energia circola, come si suddivide tra istanze, oggetti e rappresentazioni
Coordinata topica (aspetto spaziale): l’apparato psichico è organizzato in diversi sistemi che assicurano
funzioni differenti.
In merito alla psicanalisi, Fred elabora due teorie, definite come prima e seconda topica.
Nella prima topica viene proposto un apparato psichico composto da tre sistemi:
Conscio: è alla periferia dell’apparato psichico ed è incaricato di registrare le informazioni esterne e di
percepire le sensazioni interne secondo il carattere binario piacere-dispiacere. Non conserva traccia degli
stimoli che percepisce; è sede dei processi di pensiero, del riaffiorare dei ricorsi e del controllo motorio
Preconscio: non è nel campo della coscienza, ma è accessibile. Appartiene al sistema delle tracce mnesiche
ed è composto di rappresentazioni di parole (per rappresentazione si intende un contenuto di pensiero
investito affettivamente energia limbica); questa è una rappresentazione verbale con qualità acustiche ed
è in opposizione alle rappresentazioni delle cose di ordine visuale non accessibile dalla coscienza
Inconscio: è retto dal principio di piacere, l’energia circola libera da una rappresentazione all’altra (processo
primario), è sede di rappresentazioni di cose che hanno subito la rimozione.
I confini tra i differenti settori sono garantiti da: (1) Censura tra inconscio e preconscio: si impedisce rigidamente
alle rappresentazioni “vietate” di passare dall’inconscio al preconscio; (2) Censura tra preconscio e conscio: meno
rigida e seleziona più che reprimere; (3) Sistema parastimoli: situato tra il mondo esterno e conscio; funge la filtro
per stimoli troppo violenti che non potrebbero essere dominati.
2. Aspetto genetico
2.1 Sviluppo psicosessuale
Secondo Freud, il trauma della nascita è dato dall’afflusso iniziale di eccitazioni, a causa della separazione del
bambino dalla madre; questo diventa modello per ogni ulteriore angoscia. La sessualità del bambino è d dall’adulto
per 3 motivi: a) Zone erogene, non necessariamente genitali; b) Sessualità più autodiretta che eterodiretta; c) Scopi
non necessariamente sessuali.
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usuali (buoni) e inusuali (minacciosi); (3) Manipolazione corporea da parte della madre e comunicazione duale
preverbale; (4) Relazione ambivalente (seconda fase dello stadio orale).
Questo stadio è suddiviso in due fasi:
1. Stadio orale primitivo, con oggetto assimilato, non distrutto senza differenze tra il proprio corpo e l’oggetto,
privo di sentimenti del tipo Amore-Odio
2. Stadio orale tardivo, con incorporazione sadica distruttiva dell’oggetto, che si attua col mordere il seno sia
per rivincite su presunti torti subiti che per espressione della pulsione aggressiva. È il primo conflitto che
minaccia la primitiva unità rassicurante con la madre, la quale deve essere sufficientemente “buona” e capace
di tollerare questi momenti aggressivi, come di modulare la frustrazione da mancanza di oggetto con la
certezza di una ricompensata legata all’alimentazione, al fine di garantire il transito verso il superamento
dell’allucinazione del desiderio (trasformazione del principio di piacere in principio di realtà)
Lo svezzamento è la risoluzione dello stadio orale, che può diventare un trauma quando vissuto come conseguenza
dell’aggressività, come punizione “taglionica”.
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b) La relazione oggettuale edipica: il superamento delle tendenze edipiche determina è condizione preliminare
per l’accesso alla sessualità adulta, mentre l’aggrapparvisi pone le basi per la nevrosi
c) Il complesso di Edipo nel bambino: il bambino completamente in potere della madre introduce il papà
quando prende coscienza che l’oggetto d’amore materno coincide col padre, portatore di fallo. Il bambino
tenta allora la conquista della madre affermando sempre la sua posizione fallica e incontra come rivale il
padre, che invidia perché più forte; il senso di colpa diventa crescente. Il padre è sia un rivale che un modello
da imitare (identificazione). La competizione non è reale ma solo fantasmatica perché la madre ha già scelto
il padre e, l’inutilità degli sforzi del bambino associati alla paura di essere punito dal padre, permetterà allo
stesso di rinunciare alla conquista della madre e alla competizione col padre. Il bambino “fa una croce
sull’oggetto mamma”, permettendo alla libido ormai libera di essere investite su nuovi oggetti
d) Il complesso di Edipo nella bambina: dopo la delusione per la mancanza di fallo, la bambina abbandona la
madre incolpandola di averle preso il pene e va verso il padre per riottenerlo, sostituisce poi il desiderio di
avere il pene con quello di avere un bambino dal padre (un risarcimento). Verso la madre si ha ambivalenza,
con: odio, gelosia e senso di colpa a causa del forte attaccamento preedipico. In seguito si ha la rinuncia al
padre per paura di perdere l’amore della madre, ma non sarà mai così incisiva come quella del bambino
e) L’Edipo è organizzatore e strutturatore della personalità, poiché: (1) Proibisce l’incesto; (2) Permette
l’accesso alla genitalità; (3) Orienta verso oggetti esterni visti come globali e non più parziali; (4) Permette
la scelta dell’oggetto d’amore definitivo; (5) Costituisce il Super-Io e Ideale dell’Io
f) Il Super-Io è un caso di identificazione riuscita; è l’erede del complesso di Edipo. L’identificazione è un
processo psicologico attraverso cui un soggetto assimila un aspetto, una proprietà dell’altro e si trasforma in
modello per costui; si conoscono: (1) Un’identificazione primaria correlata all’incorporazione orale, che mira
a definire l’identità del soggetto, la costituzione del Sé e dell’Io; (2) Un’identificazione secondaria
dipendente dall’Edipo. Nelle nostre condizioni sociali, il Super-Io paterno è quello decisivo per i due sessi
La dissoluzione del complesso di Edipo lascia poste a due istanze morali: (1) L’ideale dell’Io, erede del narcisismo
(“sii come tuo padre”, “pensa come lui”); (2) Il Super-Io, erede dell’Edipo.
2.1.6 La pubertà
Tra latenza e pubertà c’è la prepubertà, in cui lo sviluppo sessuale inizia a riprendere dove era stato lasciato all’epoca
del termine del complesso di Edipo. Il ragazzo continua ad attribuire valore narcisistico al suo pene, mentre la ragazza
la ragazza trasferisce l’interesse narcisistico verso gli organi genitali (clitoride, seni) e il corpo in modificazione.
Questa fase è l’ultima occasione per risolvere spontaneamente il conflitto edipico, se non già stato risolto.
La pubertà propriamente detta definisce l’accesso alla maturità sessuale fisica. La libido si concentra su sentimenti,
scopi e idee genitali (quelle pregenitali sono all’ultimo posto); le tendenze genitali trovano espressione nella
masturbazione, di cui se ne ha necessità, ma al contempo si ha condanna (sia da sé che dagli altri). La libido è rivolta
verso gli oggetti d’amore dell’infanzia (oggetti d’amore parentali), per cui l’Io deve far sì che si abbandoni questa
scelta, con la “rivolta puberale” contro i genitori e le autorità.
74
dell’immagine corporea, con trasformazione sia qualitativa che quantitativa. Gradualmente l’attenzione si integra
con la memorizzazione della comparsa-scomparsa della madre, di esperienze buone e cattive.
A 6 mesi inizia il tentativo di sperimentare, evidenziabile da comportamenti quali tirare i capelli, le orecchie, il
naso della madre, esplorare meglio l’ambiente circostante. Mahler divide questa fase in due parti: (a) Una precoce,
in cui il bambino può allontanarsi dalla madre camminano carponi e arrampicandosi; (b) Il periodo di deambulazione
eretta.
Le 3 linee di sviluppo che contribuiscono alla consapevolezza del bambino di essere separato sono: (1)
Differenziazione corporea dalla madre; (2) Instaurarsi di un legame specifico con lei; (3) Sviluppo e funzionamento
degli apparati autonomi dell’Io.
Il bambino che si separa senza problemi trova, nello sviluppo dell’Io, una consolazione narcisistica di fronte alla
minima minaccia di perdita oggettuale; il bambino si concentra nella padronanza delle proprie capacità autonome; è
soddisfatto per le scoperte del mondo in espansione e innamorato della propria onnipotenza. Ma il bambino ha
bisogno di perdere e riacquistare l’oggetto d’amore gratificante: il suo continuo scappare sottende la necessità di farsi
prendere dalla madre, anche per rassicurazione (la madre è sempre disposta a riprenderlo).
Inizia la fase del riavvicinamento: il bambino, pur consapevole di essere separato, usa ogni meccanismo per negare
la propria separazione dalla madre; Mahler suddivide questa fase in 3 periodi: (a) Riavvicinamento iniziale; (b)
Crisi di riavvicinamento; (c) Soluzioni individuali alla crisi.
I bambini trovano allora mezzi per far fronte all’altezza della madre: si rivolgono a sostituti adulti e si dedicano al
gioco. I giochi rilevano un’identificazione con la madre o col padre (modo in cui tengono bambole/orsacchiotti). È
possibile la ricomparsa della reazione all’estraneo (già presente nelle fasi precedenti), con insieme di angoscia,
interesse e curiosità, con il “conflitto di fedeltà: il bambino ha paura che gli estranei possano per lui diventare
importanti, facendo vacillare l’illusione di un’unione esclusiva con la madre.
Dai 17-18 mesi c’è la crisi di riavvicinamento, con una ambitendenza: alternanza improvvisa fra il desiderio di
evitare la madre e quello di starle vicino; caratteristico è usare la madre come estensione del Sé. I seguenti aspetti
sono importanti per la possibilità del bambino di funzionare a distanza dalla madre: (1) Sviluppo del linguaggio; (2)
Processo di interiorizzazione, sia per atti di identificazione con madre e padre “buoni”, sia per l’inizio del Super-Io,
caratterizzato da interiorizzazione di regole e richieste; (3) Progresso nella capacità di esprimere desideri e fantasie
attraverso il gioco e l’uso del gioco per acquisire maggiore autocontrollo.
Nell’ultima fase (3° anno di vita) si ha la conquista di un’individualità definita, in cui si attua una migliore
organizzazione dell’Io e si hanno segni di interiorizzazione che indicano la formazione del Super-Io. Ciò dipende
dall’interiorizzazione graduale di un’immagine interna della madre, che permette al bambino di funzionare
separatamente (es. al nido), anche se con un moderato livello di disagio. Viene raggiunto un senso stabile di identità
(confine del Sé) e sembra inizi un consolidamento primario dell’identità sessuale. Per Mahler la costanza di oggetto
implica anche l’integrazione dell’oggetto “buono” e “cattivo” in un’unica rappresentazione; ciò conduce alla fusione
delle pulsioni aggressive con quelle libidiche e attutisce l’odio per l’oggetto quando l’aggressività è intensa.
3. Meccanismi di difesa
La difesa è un’attività dell’Io con lo scopo di proteggere il soggetto da istanze pulsionali troppo grandi; le difese
appaiono come comportamenti patologici quando esiste un profondo confitto tra le istanze psichiche (Io, Es, Super-
Io, Ideale dell’Io) o tra esse e l’esterno. Un soggetto è malato quando le difese sono inefficaci, rigide, inadatte.
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Gli aspetti psicodinamici delle nevrosi propriamente dette sono:
a) Isteria di conversione (Freud, 1901): sotto la spinta del Super-Io le pulsioni sessuali indesiderabili sono
disinvestite in rappresentazioni, che vengono rimosse nell’inconscio, e affetti, che vengono trasformati
nell’ambito corporeo in sintomo psicosomatico. Tuttavia, questi scarichi di affetti conservano un sentore
delle loro origini, come se la rappresentazione sessuale rimossa continuasse a parlare a livello dei sintomi.
Se “l’affetto” parla troppo forte l’isterico come ultima cosa da fare usa le formazioni satelliti e, quando tutte
le soluzioni sono esaurite, non resta che sparire nell’amnesia, sonno e inattività. Quando invece la rimozione
viene complementare, si assiste alla bella indifferenza dell’isterico davanti al suo sintomo (questo spiega
perché questi soggetti rifiutano spesso consulti psichiatrici e psicologici)
b) Isteria d’angoscia (Freud, 1908): è la fobia posta sotto il segno della sessualità e di conseguenza l’unica
forma nevrotica. L’amore e l’odio per il padre coesistono in rapporto alla situazione edipica; le
rappresentazioni dell’odio per il padre e la conseguente paura sono rimosse; ma il meccanismo non è
sufficiente, c’è bisogno di una formazione sostitutiva e a seguire l’evitamento e la fuga
c) Nevrosi ossessiva (Freud, 1908): la sterilizzazione dell’affettività, il pensiero che sostituisce gli atti, la
scomparsa della spontaneità (isolamento) costituiscono uno schema che permette al paziente di ritirarsi e di
prendere le distanze. Le caratteristiche sono: assenza di emotività, freddezza, sessualità povera, funzione
mentale con logica inesauribile. Dopo il ritiro, si va alla verifica di tutte le fughe possibili e di tutte le vie
d’uscita (controllo ossessivo); da qui deriva il carattere ossessivo della preoccupazione, la necessità d’ordine
e precisione. Infine, il ritiro ossessivo si presenta sotto forma di ossessione-impulso, irruzione del dubbio nel
pensiero, fenomeno morboso in disaccordo con l’Io cosciente, che persiste malgrado tutti gli sforzi per
sbarazzarsene e che scompare solo a seguito della realizzazione. Tutto ciò dura poco perché l’angoscia si
insinua nuovamente e da qui la ripetizione all’infinito
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l’anaclitismo. Sono soggetti iperattivi, con vita fantasmatica inconsistente, con giudizi morali difensivi rigidi,
che non si dichiarano mai malati o anormali, ma che accusano di tali debolezze il loro ambiente. Sono presenti
anche avidità, gelosia, pessimismo
b) Psicosi di carattere: difficoltà di valutazione della realtà; il soggetto commette errori riguardante gli aspetti
oggettivi spiacevoli per il narcisismo
c) Perversione di carattere: si manifesta con aggressioni spesso minime, senza cattiveria di fondo, ma ripetute
continuamente, che il soggetto usa per mantenere una posizione di rispetto; questo riflette una negazione
focalizzata e parziale della realtà, che verte sul diritto degli altri di possedere un loro proprio narcisismo nella
misura in cui esso è recepito come una barriera per l’utilizzo dell’altro
d) Organizzazione perversa: si ha quando l’angoscia depressiva viene evitata attraverso l’utilizzazione del
diniego per il sesso femminile, oggetto parziale che non deve esistere, mentre l’oggetto parziale fallico viene
superinvestito con modalità narcisistica
Nella schizofrenia, per Pao (1984), l’esordio costituisce uno snodo critico. Prima della catastrofe interiore vengono
ipotizzate una carenza genetica dell’apparato di autonomia dell’Io e un deficit evolutivo da traumi ambientali; dopo
la catastrofe interiore si ha la carenza funzionale; infatti, il bambino è impotente e il suo benessere dipende dalle cure
materne. Mahler (1975) ipotizza che nell’evoluzione dalla fase autistica a quella simbiotica il primo passo sia
rappresentato dal soddisfacimento dei bisogni del bambino da parte materna; se ciò non avviene, si ha incapacità di
concepire la madre come colei che garantisce l’omeostasi; la mancanza di segnalazione reciproca provoca nell’infante
l’esperienza di dolore nell’essere tenuto e dolore nell’essere deposto (ambivalenza) si viene a creare uno stato di
panico organismico. Il bambino, non potendo utilizzare le cure materne, può stabilire un’omeostasi ricorrendo a
meccanismi di mantenimento (deanimazione, dedifferenziazione, fusione dei confini del Sé-oggetto) che operano per
mantenere un contatto arcaico con l’ambiente primitivo globale; essi non sono né meccanismi adattativi né
meccanismi di difesa. Pao elabora lo sviluppo della sintomatologia schizofrenica in 5 punti:
a) Il conflitto: i sintomi sono determinati dalla risposta dell’Io schizofrenico, non dal contenuto dei conflitti
b) Panico organismico: estrema angoscia che lo schizofrenico manifesta in situazioni conflittuali, con capacità
di funzionamento dell’Io completamente perduta; alla base c’è la mancanza di regolazione reciproca con la
madre. Successivamente si manifestano i meccanismi di mantenimento e, perciò, il soggetto non riesce a
stabilire rapporti soddisfacenti con gli altri, in cui qualsiasi rapporto diventa fonte di panico
c) La paralisi acuta delle funzioni integrative dell’Io durante il panico, seguita da un cambiamento
drammatico di personalità
d) Adattamento e migliore soluzione possibile: l’Io adotta di solito espedienti cognitivo-percettivi per scopi
adattativi e difensivi; poiché l’apparato cognitivo-percettivo matura secondo una traccia evolutiva, i
meccanismi di difesa possono modificarsi solo quando i mezzi utili al loro funzionamento sono
cognitivamente possibili. Così lo schizofrenico, al fine di mantenere un precario sentimento di sicurezza (Sé),
cerca la migliore soluzione possibile, ricorrendo a meccanismi di difesa primitivi, cioè già conosciuti
e) La riorganizzazione del Sé e la formazione del sintomo: il bambino a 2-3 mesi inizia a essere consapevole
della distinzione tra Sé e non Sé; la coscienza del Sé determina: (1) Il senso di immediata tensione
intrapsichica affettivo-istintuale; (2) Il senso dello scambio tra oggetti attuali, reali, fantasmatici; (3) Il senso
di continuità con il Sé e con l’oggetto nel complesso di esperienze, rappresentazioni consce e inconsce
Normalmente l’evoluzione del funzionamento dell’Io e il senso di continuità del Sé si influenzano a vicenda: l’Io
salvaguardia la continuità del Sé e permette l’assimilazione di esperienze che inducono espansione del Sé, mentre il
l’evoluzione del Sé è data da: (1) Immagine corporea del Sé; (2) Immagine del Sé in rapporto a oggetti visti come
separati; (2) Immagine di un Sé grandioso associato all’oggetto idealizzato.
Nello schizofrenico l’Io è alterato e il bambino è soggetto ad angoscia organismica (per l’interruzione della
segnalazione reciproca madre-bambino) squilibrio tra libido e aggressività disturbo evolutivo sia nel senso di
continuità del Sé che nel funzionamento dell’Io. Il Sé è soggetto a una vasta gamma oscillazioni; il compito dell’Io
è quello di mantenere costantemente un precario senso di continuità del Sé, evitando un altro panico organismico,
77
facendo ricorso a meccanismi di adattamento e difesa con rallentamento e blocchi di funzioni dell’Io stesso
fallimento adattativo panico organismico. Per far sì che riprenda il funzionamento dell’Io, il soggetto ricorre a
precedenti esperienze di oggetti con un certo senso di continuità (Sé patologico) (Quartesan 2003; 2005).
Nei disturbi dell’umore unipolari e bipolari bisogna citare il contributo di Freud (1915) in Lutto e melanconia in
cui si sottolineano affinità e divergenze tra il lavoro del lutto e la melanconia. I due infatti hanno elementi in comune,
quali il dolore e la necessità di distaccare gli investimenti energetici dall’oggetto perduto, ma anche differenze; ad
esempio, lo svilimento e l’autoumiliazione dell’Io sono propri solo della melanconia, ma soprattutto, a seguito della
perdita le due condizioni prendono una via diversa:
nel lutto il processo di disinvestimento giungerà, prima o poi, al termine
nella melanconia, a causa dell’eccessiva ambivalenza e della scelta narcisistica dell’oggetto, non è possibile
svincolarsi dal rapporto con l’oggetto introiettato (l’oggetto è stato inglobato nella struttura narcisistica
dell’Io e ne è divenuto parte) perdita di stima di sé e le esagerate autoaccuse del malinconico sono il
prolungamento degli attacchi di quella parte dell’Io non identificata con l’oggetto, contro quella identificata
Freud aggiunge poi il concetto di “trionfo maniacale”: liberazione di energie istintuali; così facendo l’Io riesce a
dominare o allontanare lo stesso “complesso” che lo schiacciava nella depressione. Successivamente, Freud (1921)
aggiunge che le oscillazioni dell’umore delle persone normali e dei nevrotici sono causate dalle tensioni tra Ideale
dell’Io e Io e che queste diventano eccessive nel caso di malattia maniaco-depressiva. Freud (1921) conclude che la
fase maniacale è il frutto di una riunione trionfante tra Io e Ideale dell’Io, nel senso di un’espansiva pienezza di sé,
ma senza un equilibrio stabile.
In seguito, Benedetti (1979) postula nella genesi della depressione un’intensa frustrazione dei bisogni affettivi e di
una relativa debolezza psicobiologica dell’Io a resistere a tali frustrazioni; l’insufficienza dell’io si realizza però, non
più solo verso la realtà esterna, ma anche verso quella interna rappresentata dalle pulsioni dell’Es, dalle norme del
Super-Io e dalle aspirazioni dell’Ideale dell’Io. L’Io debole viene allora criticato il tutte le sue qualità, i suoi moti, i
suoi attributi, si determina così autoaggressione contro l’io decisionale e contro l’Io operativo, che porta alla paralisi.
Si delineano tre componenti:
a) Componente egoica, in cui l’Io depressivo che si ritiene incapace nella realtà, lo è anche verso altre istanze
psicologiche, ovvero Es, Super-Io, Ideale dell’Io
b) Componente superegoica, in cui la colpa nasce come difesa dell’Io contro il vissuto di insufficienza, più
temibile rispetto a quello di colpevolezza
c) La componente dell’Es è quella più complessa nella psicodinamica della depressione, perché’ una
frustrazione acuta dei bisogni vitali può agire in senso depressivo; solo quando la frustrazione viene
internalizzata, cioè quando si passa dal piano dell’Es a quello dell’Io, si trasforma in inibizione, quindi
depressione.
Pertanto, si può parlare di 4 tipi di depressione:
1. Depressione da insufficienza dell’Io
2. Depressione da perversione del Super-Io
3. Depressione da inibizione dell’Es
4. Depressione da collasso dell’Io Ideale
L’anello comune è l’impossibilità dell’Io a esaudire le richieste fondamentali che gli vengono dalla sua istintività,
dal suo mondo super egoico, dai suoi bisogni narcisistici e dalla realtà; la depressione è la sopraffazione dell’Io da
parte delle frustrazioni che riceve dalle pulsioni dell’Es, dalle norme del Super-Io, dalle aspirazioni dell’Ideale dell’Io
e dalla realtà esterna. L’Io ha però possibilità di ribellarsi e di realizzare il suo trionfo sul mondo interno ed esterno
e questa possibilità è rappresentata dalla mania. Secondo Maher l’euforia è la caratteristica dell’umore nel bambino
nella fase di sperimentazione (II fase), mentre la depressione è propria del riavvicinamento (III fase). Benedetti
prospetta una regressione alla fase di sperimentazione, dove un ruolo fondamentale è svolto dall’unità Io-Es che si
contrappone all’alleanza Es/Super-Io che si crea nella depressione ai danni dell’Io. I meccanismi di difesa sono la
scissione e il diniego; quest’ultimo si realizza grazie all’invasione da parte dell’Es nell’Io con tutto il suo apporto
energetico, che viene a costituire il Sé maniaco; il fenomeno è reso possibile dalla scissione dei nuclei pre-edipici del
Super-Io (di origine soprattutto materna). (Elisei et. Al. 2007)
78
PSICOFARMACOLOGIA
I primi psicofarmaci risalgono agli anni ’50 con la scoperta fortuita della clorpromazina da parte di Laborit; da allora
c’è stato uno sviluppo straordinario (e in continua evoluzione) influenzato dalle numerose scoperte neuroscientifiche.
79
Tipo D2 (recettori D2, D3, D4), che sono associati a proteine Go e Gi, determinando l’inibizione
dell’adenilatociclasi:
I D2 sono sia pre- che post-sinaptici e si localizzano a livello di: area limbica, ipofisi e ipotalamo. Hanno
maggiore affinità per la DA rispetto ai D1 e inibiscono: l’adenilatociclasi, il turnover del
fosfatidilinositolo, i canali del Ca2+ e del K+. I D2 presinaptici inibiscono la sintesi di DA
I D3 sono simili ai D2 e maggiormente presenti a livello limbico; si ipotizza il coinvolgimento nella
mediazione dei processi che interessano la sfera emotiva
I D4 hanno espressione più limitata, principalmente a livello di: corteccia frontale, mesencefalo, midollo
80
1.7 Il sistema glutammatergico
Il glutammato (GLU) è un aminoacido che origina dalla glutammina a opera della glutaminasi mitocondriale; in
seguito viene immagazzinato in vescicole sinaptiche per il successivo rilascio. La sua degradazione è interrotta da
due differenti pompe di trasporto.
Il complesso recettoriale NMDA (N-metil-D-aspartato) glutammato-canali del Ca2+ presente 5 siti allosterici
modulatori: (1) Tre sono localizzati attorno al recettore e sono specifici per glicina, poliammine e zinco; (2) Gli altri
due sono localizzati all’interno o in prossimità del canale ionico e sono specifici per il magnesio e per l’agente
psicotomimetico fenciclidina (PCP). Il legame GLU-recettore causa l’apertura dei canali del Ca2+ e l’eccitazione
neuronale. Il GLU è anche in grado di provocare la degenerazione progressiva della cellula per eccitotossicità: attività
glutammatergica senza sosta progressivo ingresso di Ca2+ attivazione degli enzimi in grado di formare radicali
liberi dannosi per la cellula.
La via principale è la cortico-striatale; altre vie proiettano a ippocampo e tratto olfattorio. Le afferenze
glutammatergiche striatali sembrano stimolare il metabolismo del GABA e dell’ACh e sono modulate probabilmente
da DA, GABA e enkefaline.
2. Ansiolitici e benzodiazepine
Le benzodiazepine (BDZ) hanno attività ansiolitica, miorilassante, ipnoinducente e anticonvulsionante.
Farmacodinamica e dosaggi: le BDZ hanno la capacità di agire con uno dei siti di legame del recettore del GABA
(posto a livello postsinaptico), fungendo da agonisti sulla trasmissione GABAergica (che determina azione
inibitoria sugli altri sistemi neurotrasmettitoriali); esistono 2 tipi di recettori del GABA, ma solo il GABAA sembra
rivestire un importante ruolo clinico (vedi sopra gli altri modulatori oltre alle BDZ). Ci sono almeno 3 tipi di recettori
per le BDZ, responsabili dei loro effetti (sia terapeutici che avversi): BDZ-I (o ω1), BDZ-II (o ω2), BDZ-III (o ω3).
La distribuzione dei GABAA è molto diffusa, principalmente a livello di: nucleo caudato, globo pallido, substantia
nigra, ipotalamo, corteccia cerebrale, cervelletto, ippocampo (vedi sopra le vie). Il GABA è il neurotrasmettitore
inibitorio per eccellenza e il sistema GABAergico il principale modulatore di tutti gli altri sistemi
neurotrasmettitoriali; il GABA e le sostanze GABA-agoniste (tra cui le BDZ) determinano, dopo interazione col
recettore: apertura dei canali del Cl- passaggio del Cl- iperpolarizzazione della membrana aumento della
soglia di eccitabilità azione inibitoria sulla trasmissione nervosa post-sinaptica (effetto finale).
I dosaggi delle BDZ variano ampiamente a seconda delle molecole utilizzate, a loro volta diverse in termini di: (1)
Affinità: capacità di legarsi al recettore tanto maggiore quanto è maggiore la capacità di inibire il legame del
flunitrazepam marcato col sito recettoriale per le BDZ; (2) Attività intrinseca: capacità di modificare la
conformazione del GABAA. La potenza d’azione si calcola facendo riferimento al dosaggio di BDZ espresso in mg
necessari per ottenere l’effetto di 5 mg di diazepam (vedi Tab. 1).
Tab. 1. Dosi medie equivalenti fra alcune BDZ confrontate con 5 mg di diazepam
BDZ Dose equivalente
Clonazepam 0.5
Alproazolam 0.5
Lorazepam 1
Clordemetildiazepam 1
Bromazepam 1.5
Clotiazepam 5
Clorazepato 7.5
Clordiazepossido 10
Oxazepam 15
Farmacocinetica: sono farmaci ben assorbiti dal tratto GI, con picco plasmatico che viene raggiunto, in base al
composto, tra i 30-120 minuti; l’assorbimento è buono anche per via rettale, mentre è variabile per via IM. Le BDZ
sono liposolubili, quindi si distribuiscono bene in tutti i tessuti ricchi di lipidi; la velocità di distribuzione dal plasma
al cervello influenza la rapidità di comparsa e durata dei loro effetti.
Le caratteristiche importanti sono: (1) Presenza/assenza di metaboliti attivi: i metaboliti attivi hanno un’attività più
significativa rispetto al composto originario; (2) Emivita plasmatica; è possibile suddividere le BDZ in: lunga
emivita (> 24 h), emivita intermedia (6-24 h), breve emivita (< 6 h). Le BDZ a lunga emivita hanno un basso rischio
di sintomi da astinenza, maggior fenomeno di accumulo e possono essere somministrati 1 dose/die; invece, le BDZ
a breve emivita hanno scarsi rischi d’accumulo, durata d’azione limitate a poche ore e maggior rischio di astinenza.
Le vie metaboliche epatiche possono essere: ossidazione (in sede microsomiale con meccanismi di metilazione e
idrossilazione), nitroriduzione e coniugazione con acido glucuronico (precede di poco l’eliminazione della BDZ). In
base al destino metabolico, le BDZ possono essere suddivise in:
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Pronordiazepam-simili: subiscono ossidazione, il principale metabolita è il demetildiazepam, possiedono
metaboliti attivi e lunga emivita (bromazepam, clorazepato, clordemetildiazepam, diazepam, ketazolam,
medazepam, pinazepam, prazepam, quazepam)
Nitro-benzodiazepine: subonoscono nitroriduzione e acetilazione, hanno lunga emivita, ma non possiedono
metaboliti attivi (clonazepam, nitrazepam, flunitrazepam)
Triazolo-benzodiazepine: subiscono ossidazione, hanno emivita medio-breve e solo alcuni metaboliti sono
attivi (alprazolam, triazolam, brotizolam e tieno-benzodiazepine [etizolam])
Oxazepam-simili: subiscono solo glucurono-coniugazione, non hanno metaboliti attivi e l’emivita è breve
(oxazepam, lorazepam, lormetazepam, temazepam). Il processo di glucuro-coniugazione NON subisce
variazioni in base a età e funzionalità epatica; pertanto, possono essere prescritte anche a anziani e epatopatici
Tab. 2. Emivita plasmatica media delle BDZ
Molecola Emivita plasmatica (ore) Classificazione
Clordemetildiazepam 80-100 Emivita lunga
Prazepam 30-120 (> 24 h)
Diazepam 20-30
Flunitrazepam 9-25
Clordiazepossido 5-30
Clobazam 10-38
Lormetazepam 10-15 Emivita intermedia
Lorazepam 10-20 (6-24 h)
Bromazepam 10-20
Alprazolam 10-15
Oxazepam 5-12
Etizolam 6
Triazolam 5 Emivita breve
Brotizolam 5 (< 6 h)
BDZ e trattamento dei disturbi d’ansia: negli anni ’60, le BDZ hanno rivoluzionato il trattamento dell’ansia,
sostituendo i barbiturici, farmaci sedativi e più pericolosi. Oggi le BDZ si usano per i disturbi d’ansia limitati a
condizioni di carattere acuto e per brevi periodi (rischio di assuefazione e astinenza); quindi, per trattamenti di durata
> 4-6 mesi si preferiscono gli antidepressivi SSRI e SNRI.
Effetti collaterali: sedazione eccessiva, astenia, riduzione delle performance cognitive e psicomotorie, hangover
se usate come ipnotici (malessere, cefalea, stordimento); meno frequenti amnesia retrograda e irrequietezza. Invece,
sono rari: atassia, vertigini, reazioni paradosse (insonnia, incubi, tremori, ipertono, crampi, convulsioni, aggressività),
amenorrea, galattorrea e alterazioni della crasi ematica (neutropenia, trombocitopenia, pancitopenia, agranulocitosi).
Farmacodipendenza e astinenza: tutte le BDZ possono dare dipendenza psichica e fisica (soprattutto quelle a
breve emivita), che in genere si instaura per dosi elevate somministrate per più di 6 mesi; la frequenza è inferiore
rispetto ad altri farmaci sedativi (barbiturici, carbammati). La S. da astinenza si ha con la brusca somministrazione
in un 15-45% di pazienti che ne fanno uso cronico e inizia dopo 48 ore (BDZ a breve emivita) o 4-5 giorni (BDZ a
lunga emivita), per poi regredire dopo 1-3 settimane. I sintomi (1) Più frequenti sono: ansia, insonnia, anoressia,
nausea, irritabilità, agitazione, cefalea, palpitazioni, sudorazione e tremore; (2) Meno frequenti: vomito, dolori
muscolari, iperacusia, fotofobia, iperestesia, tinniti, diminuita coordinazione motoria, difficoltà a concentrarsi,
astenia, letargia mancanza di iniziativa; (3) Rari: distorsioni percettive, sintomi psicotici, convulsioni e coma.
Tossicità da sovradosaggio: sono farmaci abbastanza sicuri in caso di sovradosaggio; gli effetti pericolosi si
hanno se il sovradosaggio è associato ad assunzione di altri farmaci sedativi e/o alcol, con: (1) Quando grave:
depressione respiratoria, cardiovascolare o del SNC; (2) Meno grave: astenia, sonnolenza, ipotensione ortostatica,
ipotermia, confusione e disartria. Il trattamento prevede l’uso di flumazenil (antagonista delle BDZ) a dose iniziale
di 0.3 mg per via EV; se entro 30-60 sec. non si ha ripresa di coscienza, la dose si può aumentare fino a 2 mg.
Insonnia e ipnotici: il disturbo va trattato solo se dura più di 3 settimane, solo dopo aver valutato possibili
comorbilità fisiche e psicologiche; sono raccomandate BDZ a breve emivita e senza metaboliti attivi. In alternativa
alle BDZ: (1) Zolpidem e zopiclone agiscono anch’esse sulla subunità ω1 del GABAA, hanno breve emivita e
agiscono sia con il I e il II ciclo riducendo l’effetto rebound da privazione di fase REM; (2) Lo zaleplon ha lo stesso
meccanismo delle precedenti e emivita inferiore a un’ora; per questo, facilita l’addormentamento.
Ripasso del sonno e classificazione dell’insonnia
Nel ritmo sonno-veglia si possono identificare:
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1. Lo stato di veglia (o coscienza) è dato dalla formazione reticolare (parte tegmentale di midollo allungato e
ponte); sue lesioni determinano sonnolenza o coma. Nella veglia sono attivati neuroni NAergici e AChergici,
mentre nel sonno la stimolazione GABAergica facilita la produzione di 5-HT dai nuclei rostrali del rafe
2. Sonno Non-REM: (1) Sonno leggero con una fase I, con tono muscolare ridotto, persistente attività mentale,
e una fase II con tono muscolare ridotto, scomparsa di movimenti oculari e attività mentale ridotta; (2) Sonno
profondo con fasi III/IV: onde δ (lente); si hanno sogni, incubi, sonnambulismo
3. Sonno REM: EEG simile allo stato di veglia, tono muscolare molto ridotto, compaiono movimento oculari,
IAS, tachicardia, erezione, congestione pelvica nelle donne, secrezione di cortisolo negli ultimi minuti; è la
vera fase di riposo del sonno
L’insonnia può essere: (1) Transitoria (es. da stress, jet-lag ecc.); (2) Di breve durata (es. conflitti familiari, lutti);
(3) Lunga durata (es. disturbi psichiatrici, astinenza o tolleranza da BDZ, alcolismo, tossicodipendenza)
3. Gli antidepressivi
Teoria neurotrasmettitoriale nelle depressioni; negli anni ’50 le prime evidenze furono: (1) La reserpina
(depletore di 5-HT, NA e DA) induceva depressione; (2) L’iproniazide, farmaco antitubercolare, riduceva la
depressione inibendo l’attività degli enzimi monoaminoossidasici. Si pensò allora che la depressione fosse da
ricercare in deficitarie concentrazione di NA, 5-HT, DA. Le prime sostanze introdotte furono gli inibitori delle
monoaminoossidasi (IMAO), ma per i pericolosi effetti collaterali, sono state ben presto sostituite dai triciclici.
Già si notò la latenza d’azione di 10-15 giorni: infatti, il neurotrasmettitore non ricaptato agiva sui recettori inibitori
presinaptici, riducendo la sintesi del mediatore stesso; dopo 10-15 giorni però si ha desensibilizzazione del recettore
presinaptico, quindi via libera alla sintesi di nuovo neurotrasmettitore. Negli anni ’80 poi si evidenziò come la
depressione fosse legata a ipersensibilità a livello post-sinaptico dei terminali NAergici e 5-HTergici: esposizione
di un maggior numero di recettori post-sinaptici attivazione dell’adenilato-ciclasi formazione di cAMP
attivazione di un meccanismo inibitorio di autoregolazione pre-sinaptica riduzione del neurotrasmettitore; si capì
come i livelli urinari di NA e 5-HT non fossero dipendenti da una primaria carenza di amine. Secondo questa teoria,
i triciclici quindi riducevano l’ipersensibilità, con conseguente interruzione del feed-back inibitore prima citato.
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Sertralina (SER): è l’unico SSRI a presentare un rilevante blocco del reuptake della DA e, inoltre, blocca
la NOS (con disturbi della sfera sessuale). Ha emivita di 2-3 giorni, bassa incidenza di sindrome da
sospensione, ma è l’SSRI con maggior effetti collaterali a livello GI. Le indicazioni sono: depressione,
disturbo di panico, DOC, fobia sociale, DSPT e disforia premestruale. Dosaggio: 50-200 mg/die
Paroxetina (PAR); agisce anche: bloccando il reuptake di NA, bloccando la NOS e come antagonista
muscarinico (con conseguenti effetti clinici rilevanti). Ha emivita di 20-30 ore, non possiede alcun metabolita
attivo e ha alta incidenza di sindrome da sospensione. Indicazioni: depressione, fobia sociale, DOC, DSPT
ed è il primo SSRI a essere approvato per il disturbo d’ansia generalizzato. Dosaggio: 20-60 mg/die
Fluvoxamina (FLV): non inibisce la NOS e, infatti, è l’SSRI con minori effetti collaterali (anche sulla sfera
sessuale). Ha emivita di 9-28 ore e alta incidenza sindrome da sospensione. Indicazioni: depressione, DOC,
disturbi d’ansia, deficit di controllo degli impulsi, DNA e disforia premestruale. Dosaggio: 100-200 mg in
due somministrazioni giornaliere o in singola dose la sera prima di coricarsi
Citalopram (CIT): inibisce anche i recettori istaminergici (responsabili di sedazione e aumento
dell’appetito). Ha emivita di 20-40 ore e bassa incidenza di sindrome da sospensione. Indicazioni:
depressione, DOC, disturbo di panico, disturbo d’ansia generalizzato, DSPT. Dosaggio: 20-60 mg/die
Escitalopram (ESC); è il primo SSRI sviluppato come singolo isomero ottico: è la forma S del CIT; ha
efficacia doppia rispetto al CIT nella ricaptazione della 5-HT ed è scevro da attività antistaminica. Ha emivita
di 27-32 ore e i metaboliti non contribuiscono alla sua azione. Dosaggio: 10-20 mg/die
Effetti collaterali sono elevati nei primi giorni di trattamento; sono: (1) Frequenti: nausea, cefalea, insonnia,
riduzione della libido; (2) Meno frequenti: perdita di appetito e peso, disturbi dell’eiaculazione; (3) Occasionali:
disturbi extrapiramidali, bradicardia, aumento del tempo di sanguinamento, iponatriemia. Talora si ha S.
serotoninergica, tipicamente dopo aumento di dose o aggiunta di un altro farmaco 5-HTergico e dopo 2-24 ore, con:
disturbi comportamentali (confusione, ipomania, agitazione); disfunzioni del SNA (diarrea, brividi, febbre,
sudorazione, alterazioni della PA, nausea, vomito); alterazioni delle funzioni neuromuscolari (mioclono, iperriflessia,
tremore, incoordinazione).
Sindrome da sospensione: tipicamente si manifesta dopo terapie superiori a 2 mesi, con: instabilità, parestesie,
letargia, nausea, sogni vividi e irritabilità.
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indesiderati: (1) Frequenti: cefalea iniziale, ansia, insonnia, aumento della sudorazione e disturbi GI; (2) Talvolta
tremore e/o acatisia; (3) Rari: allergie, dismenorrea, perdita di capelli, sudorazione, sedazione, affaticamento,
anoressia, vertigini. Invece, non determina: ipotensione ortostatica, aumento del peso, alterazioni della conduzione
cardiaca, disfunzioni sessuali. Dosaggio: 150-300 mg/die, con inizia somministrazione di 150 mg/die al mattino, per
poi aumentare, dopo quattro giorni, a 300 mg/die.
4. I neurolettici
4.1 Teorie neurotrasmettitoriali delle schizofrenie
Dopamina (DA): è il neurotrasmettitore più coinvolto nelle schizofrenie. Le vie DAergiche sono:
Via meso-limbica: proietta dall’area tegmentale ventrale del tronco (VTA) al nucleo accumbens. Iperattività
allucinazioni uditive, deliri, disturbo di pensiero, aggressività, discontrollo di impulsi (sintomi positivi)
Via meso-corticale: origina dalla VTA e proietta alla corteccia limbica. La sua carenza locale determina
sintomi negativi e deficit cognitivi; questa carenza può essere: (1) Primaria, da iperattività eccitotossica dei
sistemi glutammatergici; (2) Secondaria, da eccesso di 5-HT inibizione di sintesi e/o rilascio di DA
Via nigrostriatale: proietta dalla substantia nigra ai gangli della base (striato); fa parte del sistema
extrapiramidale e controlla l’attività motoria. Blocco dei recettori D2 disturbi del movimento (se il blocco
è cronico si ha discinesia tardiva)
Via tuberoinfundibolare: proietta dall’ipotalamo all’ipofisi anteriore, inibendo il rilascio di prolattina.
Blocco dei recettori D2 iperprolattinemia, galattorrea, amenorrea e disfunzioni sessuali
Serotonina (5-HT); origina da: (1) Nucleo dorsale, che proietta a corteccia e regioni striatali; (2) Nucleo mediano
del rafe, che proietta alle regioni limbiche. Inibisce il sistema DAergico nel mesencefalo e proencefalo, grazie alla
presenza dei recettori 5-HT2A nei neuroni DAergici; infatti, antagonisti 5-HT2 (neurolettici atipici) concorrono a
una disinibizione biochimica e funzionale nel sistema DAergico.
Altri neurotrasmettitori: i neuroni glutammatergici e GABAergici sembrano avere attività regolatoria sulle
proiezioni corticale DAergiche e 5-HTergiche. Infatti: (1) Antagonisti del recettore glutammatergico NMDA
determinano effetti simil-psicotici in soggetti sani, mentre peggiorano i sintomi negli schizofrenici; (2) Agonisti degli
NMDA (glicina e D-serina), determinano un miglioramento dei sintomi negativi e della funzione cognitiva.
Inoltre, la riduzione dei neuroni GABAergici in regione limbica e corteccia prefrontale e un aumento della densità
recettoriale, negli schizofrenici suggerisce un coinvolgimento di questo sistema nella schizofrenia.
Tab. 3. Schizofrenia: sintomi positivi e sintomi negativi
Sintomi positivi Sintomi negativi
1. 1 o più dei seguenti è parte preponderante della 1. 2 o più dei seguenti sono presenti in grado marcato:
malattia: (a) Allucinazioni; (b) Deliri; (c) Disturbo (a) Alogia; (b) Appiattimento affettivo; (c)
formale positivo del pensiero; (d) Comportamento Anedonia, asocialità; (d) Assenza di volizione,
bizzarro e disorganizzato apatia; (e) Compromissione dell’attenzione
2. Nessuno dei seguenti è presente in grado marcato: 2. Nessuno dei seguenti domina: (a) Allucinazioni; (b)
(a) Alogia; (b) Appiattimento affettivo; (c) Deliri; (c) Disturbo formale positivo del pensiero;
Anedonia, asocialità; (d) Assenza di volizione, (d) Comportamento bizzarro e disorganizzato
apatia; (e) Compromissione dell’attenzione
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4.2 Gli antipsicotici tradizionali
I neurolettici tradizionali sono sostanze psicotrope con azione: sedativa; incisiva (antidelirante e antiallucinatoria);
antimaniacale; disinibente. In base alla struttura chimica si dividono in:
Fenotiazine; suddivise a loro volta in tre classi: (1) Alchiliche, con più spiccata azione sedativa rispetto a
quelle antidelirante e antiallucinatoria; hanno potente azione anticolinergica; sono: promazina,
clorpromazina, prometazina e levomepromazina; (2) Piperidiniche, con effetti simili alle alchiliche; ne fa
parte la periciazina; (3) Piperaziniche, che hanno effetto disinibitorio, con stimolazione dell’umore e
miglioramento delle condizioni di inerzia; sono: flufenazina, perfenazina, trifluoperazina
Butirrofenoni: sono potenti antagonisti D2 e hanno minimi effetti anticolinergici e autonomici; il principale
è l’aloperidolo
Tioxanteni: chimicamente assomigliano alle fenotiazine alchiliche; si ricorda lo zuclopentixolo
Tab. 4. Antipsicotici tradizionali, classe, picchi plasmatici, emivita e dosaggi
Classe Farmaco Picco plasmatico Emivita Dosaggi
Clorpromazina os 2-4 h; i.m. 15’ 15-30 h 100-1000 mg/die
Fenotiazine Levomepromazina 1-4 h 20-70 h 100-800 mg/die
alifatiche Promazina 2-4 h 6h 200-500 mg/die
Prometazina 2-3 h 4-6 h 20-100 mg/die
Fenotiazine Perfenazina 1-4 h 8-21 h 12-60 mg/die
piperaziniche Trifluoperazina Non disponibile Non disponibile 6-20 mg/die
Fenotiazine Periciazina Non disponibile 17 h 5-50 mg/die
piperidiniche
Tioxanteni Zuclopentixolo 2-4 h 20 h 10-75 mg/die
Difenilbutil- Pimozide 8h 50-60 h 2-20 mg/die
piperidine
Butirrofenoni Aloperidolo os 1-6 h; i.m. 20’ 20 h 2-40 mg/die
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In particolare, la clorpromazina ha elevati metabolismo intestinale (per azione della flora batterica) e effetto del primo
passaggio; questo riduce molto la biodisponibilità rispetto agli altri neurolettici tipici. Inoltre presenta
un’autodistruzione enzimatica a livello microsomiale, che riduce nel tempo le concentrazioni plasmatiche.
4.3.2 Molecole
Sono:
Clozapina: primo AA; a causa del rischio di agranulocitosi (0.5-2%), richiede controlli dell’emocromo
settimanali nei primi 6 mesi di terapia e successivamente bisettimanalmente; inoltre, alte dosi comportano
rischio di crisi comiziali. L’affinità per i recettori istaminergici e colinergici può determinare sedazione e
ipotensione, mentre l’aumento di peso sembra dato dalle proprietà antistaminiche e anti 5-HT2C. Ad oggi
non è di prima scelta, usata nelle forme resistenti. Posologia: 50-600 mg/die, con inizio di 25-50 mg/die e
aumento di 25-50 mg/die fino a 300 mg/die in 7-14 giorni
Risperidone presenta anche azione antagonista su 5-HT7, α1 e α2; è atipico a basse dosi (0.5-4 mg/die), ma
può diventare tradizionale a dosi maggiori (6-8 mg/die) con manifestazioni extrapiramidali; è poco sedativo
e presenta buona azione su sintomi positivi e negativi. Si può avere aumento della prolattinemia, ma
asintomatica; altri effetti sono: nervosismo, disturbi sessuali, ipotensione ortostatica. Posologia: 1-8 mg/die
Olanzapina: anche a dosi elevate, non dà effetti extrapiramidali; ha anche alta affinità antagonista sui 5-
HT2C, 5-HT3, 5-HT6, D1, D3, D4, H1, α1, M2. È di solito ben tollerato, ma comunemente si hanno: aumento
di peso, iperglicemia, alterazioni lipidiche. Posologia: 2.5-20 mg/die; è usata anche per il disturbo bipolare
Quetiapina: ha anche moderata affinità per i 5-HT2C, α1 e α2 e bassa affinità per D1, H1 e M1; ne consegue
bassa/nulla incidenza di effetti extrapiramidali, sedazione, aumento ponderale e ipotensione ortostatica.
Posologia: 50 mg il primo giorno, 100 mg il secondo giorno, 200 mg il terzo giorno, 300 mg il quarto giorno,
dal quinto giorno dose di mantenimento
Aripiprazolo: ha un profilo d’azione unico tra gli AA, essendo antagonista su 5-HT2A e D2 e agonista
parziale su D2, D3, 5-HT1A. Presenta minor tendenza a generare effetti collaterali metabolici e incremento
ponderale, ma comunemente si possono avere: cefalea, acatisia, nausea e ansia. Posologia: (1) Per la
schizofrenia la dose è di 15 mg/die nell’adulto e 10 mg/die dell’adolescente; (2) Per il trattamento degli
episodi maniacali e la prevenzione di ricadute nel bipolare I la dose è di 15 mg/die, fino a massimo 30 mg/die
Amisulpiride; bezamide che: (1) A basse dosi (50-200 mg/die) blocca i recettori pre-sinaptici D2 e D3
inibendo il reuptake della DA attività pro-DAergica con effetto disinibente e attivante; (2) Ad alte dosi
antagonizza i post-sinaptici D2 e D3, comportandosi come un neurolettico classico. La sua affinità per i
recettori muscarinici, adrenergici e serotoninergici è scarsa; il picco plasmatico si ha dopo 4 ore; scarsamente
metabolizzata, viene eliminata perlopiù con le urine (70% immodificata, 10-15% come metaboliti) e il 15%
con le feci. A dosi di 400-1200 mg/die agisce bene sui sintomi positivi, ma soprattutto su quelli negativi.
Effetti avversi: iperprolattinemia, ginecomastia, galattorrea, amenorrea, agitazione, insonnia, sonnolenza,
ansia, aumento di peso ed effetti extrapiramidali
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Paliperidone (9-idrossi-risperidone): metabolita attivo del risperidone, con attività anche contro α1, α2, H1
(ma non i muscarinici) e minor affinità sui D4 rispetto al risperidone. È usato per la schizofrenia e per il
disturbo schizoaffettivo. Causa minore catalessia e riduzione della capacità motoria. Effetti avversi: cefalea,
tachicardia, iperprolattinemia. Posologia: (1) Schizofrenia: 6 mg/die, intervallo raccomandato 3-12 mg; (2)
Disturbo schizoaffettivo: 6 mg, intervallo raccomandato 6-12 mg
Asenapina: ha affinità contro i 5-HT2A ben 19 volte maggiore rispetto ai D2. Ha anche maggiore affinità,
rispetto agli altri, su 5-HT2C, 5-HT7, 5-HT2B, 5-HT6, α2, β, D3. È disponibile in formulazione sublinguale,
con miglior biodisponibilità rispetto a quella orale (35% vs 2%) per mancanza del primo passaggio epatico;
lo steady state è raggiunto entro 3 giorni; i suoi due metaboliti sono inattivi; l’emivita è di 24 ore. È eliminato
per il 50% con le urine e per il 40% con le feci. Posologia: 5-20 mg/die
5. Stabilizzanti dell’umore
Sono un gruppo eterogeneo di farmaci accumunati dall’efficacia nel trattamento della fase acuta maniacale e nelle
profilassi del disturbo bipolare. I pazienti bipolari tendono ad avere scarsa compliance di terapia (soprattutto nelle
fasi maniacali o ipomaniacali, a causa dell’euforia e del senso di onnipotenza); ne consegue che occorre creare un
clima collaborativo tra paziente, psichiatra, medico di base. È pertanto fondamentale integrare la terapia
farmacologica con interventi psicoeducativi che accrescano la consapevolezza nel paziente e nella sua famiglia.
90
l’interazione del litio a livello nucleare con fattori che regolano l’espressione genetica di proteine implicate nella
neurotramissione.
Farmacocinetica: il litio è rapidamente assorbito per OS, con picco entro 30-120 minuti; non si lega alle proteine
plasmatiche e non ha metabolismo epatico. È escreto per il 95% per via renale, è riassorbito per il 75% nel tubulo
prossimale e nell’ansa di Henle; il riassorbimento prossimale compete con il Na+, per cui una deficienza di Na+
determina ritenzione di litio. L’emivita è compresa tra 12 e 46 ore (in media 24; 36 negli anziani).
Indicazioni: (1) Trattamento della fase acuta dell’episodio maniacale nel disturbo bipolare; (2) Profilassi nelle
recidive maniacali o depressive nel disturbo bipolare; (3) Prevenzione delle recidive depressive nelle depressioni
ricorrenti; (4) Forme depressive resistenti agli antidepressivi (in associazione a antidepressivi).
Riduce in modo significativo il rischio di suicidio nei pazienti affetti da disturbo bipolare.
Dosaggi ed esami laboratoriali: il dosaggio (900-1800 mg/die) è direttamente correlato ai livelli plasmatici (0.9-1.2
mEq/L nella fase acuta maniacale e 0.6-0.8 mEq/L nella fase di mantenimento). Il dosaggio va eseguito: giornalmente
nei primi 7 giorni di trattamento; settimanalmente nel mese successivo; ogni tre mesi in seguito.
Prima di fare la terapia bisogna eseguire: un EO generale, un esame emocromocitometrico, elettroliti sierici,
funzionalità renale (creatininemia, azotemia, clearance della creatinina, esame urine, test di concentrazione urinaria),
funzionalità tiroidea (TSH, FT3, FT4, test di stimolazione al TSH), Ab antitireoglobulina, antiperossidasi tiroidea e
anti-TSH, test di gravidanza; un esame neurologico con EEG; un esame cardiologico con ECG.
In corso di terapia bisogna fare un ECG semestrale e sospendere la terapia in caso di intervallo QTc > 0.44 sec.
Interazioni farmacologiche: i diuretici (soprattutto tiazidici), i FANS (soprattutto ibuprofene e COX-2 selettivi), il
metronidazolo e le tetracicline possono aumentare i livelli plasmatici di litio. Calcio antagonisti, metildopa,
carbamazepina possono aumentare la tossicità del farmaco. Inoltre, il litio può aumentare l’azione dei bloccanti
neuromuscolari (pancuronio, succinilcolina) e potenziare l’effetto di digossina e clonidina.
Effetti avversi:
Sintomi neurologici (dose dipendente): tremori fini, astenia, vertigini, tinniti, iperreflessia, offuscamento
visivo, fascicolazioni fino a difficoltà nel linguaggio, atassia, disturbi extrapiramidali, riduzione della soglia
convulsionante, nistagmo, allucinazioni, coma
Apparato GI: nausea, vomito, diarrea, secchezza delle fauci, sapore metallico in bocca (30% dei casi)
Cardiotossicità: appiattimento/inversione dell’onda T, ritardo di conduzione AV con ampliamento del QRS
Apparato urinario: poliuria e polidipsia (40% dei casi), talora da dare diabete insipido (12% dei casi)
Tiroide: l’inibizione dell’adenilciclasi può determinare una ridotta funzione (reversibile) nel 15% dei casi
Controindicazioni: cardiopatie, ipotiroidismo, tumori maligni tiroidei, diminuita funzionalità o insufficienza renale,
alcolismo, alterazioni idroelettrolitiche, epilessie, leucemie in atto o pregressa, gravidanza e allattamento, terapia
cronica con FANS, digossina, diuretici tiazidici e curari.
NOTA: il litio è teratogeno soprattutto nella parte terminale di una gravidanza; pertanto, se una donna che assume
litio rimane incinta, si ha la possibilità di interrompere il trattamento senza particolare preoccupazione
Approfondimento sul litio: indicatori prognostici
Indicatori prognostici favorevoli: (1) Buona risposta a terapia con litio nel corso di un precedente trattamento di episodio
maniacale; (2) Episodio maniacale “puro”; (3) Pochi episodi precedenti l’attuale episodio; (4) Assenza di ciclicità rapida
(meno di 4 episodi l’anno); (5) Assenza di manifestazioni psicotiche; (6) Assenza di abuso di sostanze; (7) Gravità moderata
dell’episodio maniacale; (8) Sequenza cronologica degli episodi secondo lo schema: mania-depressione-eutimia.
Predittori di risposta antimaniacale parziale: (1) Mania disforica e stati misti; (2) Cicli rapidi; (3) Abuso di sostanze; (4)
Esordio tardivo di episodi maniacali; (5) Mania secondaria a condizioni mediche; (6) Sequenza cronologica degli episodi
secondo lo schema: depressione-mania-eutimia.
Predittori positivi dell’attività profilattica: (1) Sequenza cronologica di episodi secondo lo schema: mania-depressione-
eutimia; (2) Età elevata di insorgenza della malattia.
Predittori negativi dell’attività profilattica: (1) Numero elevato di precedenti ricoveri; (2) Sequenza cronologica degli
episodi secondo lo schema: depressione-mania-eutimia; (3) Rapida ciclicità.
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Indicazioni: (1) Trattamento della mania, con efficacia paragonabile a litio, AA e superiore a carbamazepina e
maggior tollerabilità; (2) Terapia di mantenimento del disturbo bipolare (a cicli rapidi), con buona attività profilattica
su riduzione delle ricadute del disturbo bipolare. Buoni i risultati su comorbilità ansiose e abuso di sostanze.
Dosaggio ed esami laboratoriali; prima di iniziare la terapia bisogna eseguire: esame emocromocitometrico
completo; funzionalità epatica (GOT, GPT, γGT, ALP, bilirubina, colinesterasi, albumina sierica); funzionalità
pancreatica (amilasi-P e lipasi); parametri coagulativi (PT, PTT, tempo di sanguinamento e dosaggio fattore VIII);
funzionalità tiroidea (TSH, FT3, FT4). In corso di terapia si ripetono: emocromo e funzionalità epatica ogni settimana
nei primi sei mesi, mensilmente per i tre mesi successivi, quindi trimestralmente.
Il dosaggio è compreso fra 750-3000 mg/die per l’episodio maniacale, 750-2000 mg/die per la terapia profilattica del
disturbo bipolare. I livelli ematici ottimali sono compresi tra 50 e 100 mcr/mL.
Interazioni farmacologiche: il VPA inibisce il metabolismo di carbamazepina e lamotrigina, con aumento dei livelli
ematici e maggior rischio di neurotossicità; inibisce anche il metabolismo di warfarin, fenobarbital, fenitoina,
etosuccimide. I livelli di VPA sono aumentati da fluvoxamina, cimetidina, topiramato, eritromicina, ibuprofene.
Effetti avversi; comunemente si hanno: nausea, vomito, inappetenza, aumento di peso, perdita di capelli, sedazione,
tremore, vertigini, atassia, cefalea, trombocitopenia, aumento delle transaminasi. Può inoltre dare: iperammonemia,
tendenza al sanguinamento, pancreatite, epatite e rash cutanei.
Controindicazioni: coagulopatie, epatopatie acute e croniche, discrasie ematiche, pancreatiti croniche, gravidanza.
NOTA: il valproato è, al contrario del litio, è teratogeno nella prima parte della gravidanza (durante l’embriogenesi)
per cui, prima di prescrivere questo farmaco a una donna, bisogna sempre informare la paziente e prevedere le
gravidanze (se la donna vuole rimanere incinta, bisogna gradualmente sospendere il farmaco)
Approfondimento sul valproato di sodio: indicatori prognostici
Predittori di buona risposta: (1) Disturbi bipolare a cicli rapidi; (2) Stati misti; (3) Comorbilità con attacchi di panico; (4)
Comorbilità con l’abuso di alcol e/o abuso di sostanze; (5) Episodi maniacali associati a disturbi neurologici; (6) Episodi di
mania a seguito di una malattia organica.
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Fegato: frequenti l’aumento di γGT, transaminasi e fosfatasi alcalina, secondarie a induzione enzimatica;
raramente epatopatia tossica colestatica, nausea e vomito
Reazioni allergiche: orticaria e prurito, dermatite esfoliativa, eritrodermia, S. di Stevens-Johnson
Midollari: leucopenia, trombocitopenia, anemia, porfiria acuta intermittente
Sistema cardiovascolare e renale: disturbi della conduzione (bradicardia, blocco AV), tromboflebiti e
ritenzione di liquidi
Controindicazioni: malattie mielo-linfoproliferative, storia di pregresse manifestazioni a carico dell’apparato
emolinfopoietico (anemia aplastica, neutropenia, trombocitopenia, anemia), epatopatie, cardiopatie (blocco di braca
e blocco AV), gravidanza e allattamento.
Approfondimento sulla carbamazepina: indicatori prognostici
Predittori di risposta positiva per il trattamento delle fasi maniacali: (1) Gravità della malattia; (2) Presenza di sintomi
psicotici; (3) Resistenza al trattamento con litio.
Predittori di risposta positiva per il trattamento di episodi di depressione: (1) Gravità della malattia; (2) Presenza di cicli
rapidi.
Predittori di risposta positiva per il trattamento profilattico: (1) Sequenza cronologica degli episodi secondo lo schema
mania-depressione senza intervallo di eutimia; (2) Esordio prima dei 30 anni; (3) Sintomi atipici.
5.4 Lamotrigina
Meccanismo d’azione; le azioni principali sono: (1) Inibizione dei canali del Na+ voltaggio-dipendenti e dei canali
del Ca2+; (2) Riduzione dell’attività eccitatoria glutammatergica.
Inoltre, a dosi elevate inibisce debolmente il reuptake di 5-HT, NA e DA (debole effetto antidepressivo).
Farmacocinetica: rapido assorbimento per OS con picco in 2-3 ore; si lega alle proteine plasmatiche per il 50% e ha
metabolismo epatico legato a glucuronazione; l’emivita è di circa 26 ore.
Indicazioni: (1) Prevenzione delle fasi depressive del disturbo bipolare; (2) Disturbo bipolare di tipo II.
Dosaggio ed esami laboratoriali; prima di iniziare la terapia bisogna: valutare i parametri di funzionalità epatica,
eseguire un emocromo con formula leucocitaria e un test di gravidanza. A causa di effetti avversi a livello
dermatologico è necessaria una lenta titolazione.
Tab. 6. Titolazione della lamotrigina in monoterapia e in combinazione con un inibitore o induttore
enzimatico
Settimane Lamotrigina (mg/die) Lamotrigina + Lamotrigina +
valproato carbamazepina
1+2 25 12.5 50
3+4 50 25 50 2x
5 100 50 100 2x
6 200 100 150-200 2x
7 200 100 200 2x
8 200 100 200 2x
Dose massima raccomandata 200 100 400
Interazioni: (1) Il metabolismo della lamotrigina è indotto da contraccettivi orali e carbamazepina (in quest’ultimo
caso l’emivita si riduce di 14 ore); (2) Il valproato ne inibisce il metabolismo allungandone l’emivita fino a 70 ore.
Effetti avversi:
I principali sono rappresentati da eruzioni cutanee: S. di Stevens-Johnson (febbre alta, ulcerazione della
mucosa e lesioni cutanee bollose); epidermiolisi tossica; rash cutanei maculopapulari, talora associati a
febbre, linfadenopatia, epatomegalia e eosinofilia
Altri: cefalea, astenia, atassia, nausea, dispepsia, stipsi, diplopia, visione offuscata, nistagmo
In caso di sovradosaggio: rash cutaneo morbilliforme, leucocitosi, epatite e insufficienza renale acuta
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PSICOTERAPIE
In Italia la psicoterapia è regolata dalla legge n. 56 del 18 Febbraio 1989, che stabilisce che l’esercizio dell’attività
psicoterapeutica è riservata ai laureati in Medicina e Chirurgia e in Psicologia, iscritti ai rispettivi albi, che abbiano
conseguito successivamente una specifica formazione quadriennale, acquisita presso le scuole di specializzazione.
Il concetto attuale di psicoterapia deriva dal contribuito delle scuole di pensiero del primo ‘900, in particolare la
psicoanalisi e la psicologia sperimentale.
1. La psicoanalisi
È la scienza dei processi psichici profondi, fondata da Freud a fine XIX secolo; ha il merito di aver definito: (1)
Un complesso di teorie psicologiche e psicopatologiche sulla psiche; (2) Un metodo di indagine psicologica che
permette di esplicitare il significato di inconscio delle azioni; (3) Un intervento terapeutico fondato su queste teorie.
La “scoperta” dell’inconscio, dell’Es, Io e Super-Io insieme ai meccanismi di difesa, sono i cardini della psicoanalisi.
Da questa impostazione nasce il concetto che le motivazioni dell’agire sono spesso di natura inconscia, da cui deriva
la visione del disagio mentale e la concezione del sintomo come “formazione di compromesso” tra il mondo
pulsionale dell’Es e la censura operata dal Super-Io.
La “presa di coscienza” dei conflitti inconsci rappresenta la via verso la guarigione: la storia del paziente assume
grande importanza, poiché esso deve esaminare il vissuto emotivo e affettivo del passato
Freud con la “talking cure” (“cura del parlare”) lascia che i pazienti, stesi sul divano, dessero libero sfogo alle parole
e al flusso di idee, superando la censura di tradizioni e morale. Da qui derivano i concetti “transfert”, “controtransfert”
e “interpretazione”, elementi centrali e distintivi della psicoanalisi, indispensabili per qualsiasi percorso di cura.
Nel transfert il paziente vede, inconsciamente, il suo analista come una persona significativa del suo passato
e inizia a sviluppare sentimenti nei suoi confronti che ricordano figure chiave della sua infanzia
Per controtransfert si intende la risposta emotiva dell’analista al vissuto del paziente
La resistenza è un fenomeno più o meno conscio che il paziente mette in atto per nascondere i suoi stati
emotivi
L’interpretazione è la comunicazione al paziente, da parte dell’analista, del “significato latente” dei suoi
comportamenti e della natura dei suoi conflitti
La psicoanalisi è un lavoro di introspezione, un’esperienza in cui paziente e analista partecipano a un comune sforzo
di acquisizione e conoscenza del “profondo”, con lo scopo di attivare alla soluzione dei sintomi del paziente.
Regole, ruoli e condizioni sono definite nel “setting analitico”, nel quale l’analista deve garantire neutralità (non
condizionare il paziente nei propri vissuti) e astinenza (incontrare il paziente solo nel setting).
Un altro grande contributo è stato fornito da Jung, secondo cui la psicologia analitica propone, come obiettivo
finalistico, la ricerca del “senso” dei processi inconsci e della sofferenza psichica, attuata attraverso l’analisi della
“tensione” dinamica della psiche, dello sviluppo dell’Io e del suo progetto di vita (“Processo di invidualizzazione”).
L’inconscio, articolato in personale e collettivo, è allora concepito come porzione della psiche contenente potenzialità
e contenuti che non fanno ancora parte della coscienza: gli archetipi (modelli originali) e i complessi a tonalità
affettiva, articolatisi nel corso delle relazioni significative. La psicologia junghiana prende inoltre in considerazione
l’atteggiamento (introversione, estroversione), la funzione psichica prevalente (pensiero, sentimento, sensazione,
intuizione) che organizza il comportamento (Persona) e il rapporto con il mondo interiore (Anima).
2. Le psicoterapie analitiche
Sono quelle tecniche che si sono modellate sui principi della psicoanalisi, ma che si differenziano da essa nella prassi
terapeutica. Significativo l’apporto di Gill (1984) sui cambiamenti concettuali riguardanti i cosiddetti “criteri
intrinseci” (interpretazione del transfert, neutralita’) ed “estrinseci” (frequenza, durata, uso del lettino), che vanno
rivisitati a causa delle trasformazioni della società.
Ad oggi le psicoterapie analitiche sono definite in molti modi: espressiva, a orientamento analitico, dinamica,
esplorativa, orientata nell’insight ecc… la tecnica di base è il “dialogo verbale”, con interesse rivolto principalmente
sul vissuto conscio e inconscio del paziente. Le principali scuole di pensiero alla base sono state: la teoria delle
relazioni oggettuali, derivata dal lavoro di Klein; la “scuola britannica” di Fairbairn, Winnicott, Balint; la psicologia
dell’Io di Hartmann; la teoria dell’attaccamento di Bowlby; la psicologia del Sé, fondata da Kohut.
Particolare menzione merita la psicoterapia supportiva-espressiva, nella quale il terapeuta, a orientamento
analitico, può oscillare tra un atteggiamento prevalentemente di supporto (es. il problem solving) a uno espressivo
(analisi delle difese), considerando le caratteristiche, la necessità, il livello di maturazione e la tolleranza del paziente;
questo atteggiamento flessibile può consentire di stabilizzare gli adattamenti raggiunti.
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Terapia cognitiva, che mira a individuare gli errori cognitivi ricorrenti (pensieri automatici distorti, schemi
fissi di ragionamento e interpretazioni errate di eventi con distorsione cognitiva della realtà), con lo scopo di
correggerli e integrarli con pensieri più oggettivi o comune più funzionali al benessere della persona
Terapia comportamentale, che ha l’obiettivo di cambiare abituali reazioni emotive che il paziente mostra
in particolari situazioni stressanti, mediante l’apprendimento di nuove modalità di reazione
Lo scopo della PCC è la risoluzione dei problemi psicologici concreti: il terapeuta “suggerisce” valide ed efficaci
strategie che possano aiutare il paziente a liberarsi dai problemi che lo imprigionano.
La durata media della PCC varia solitamente dai 3 ai 12 mesi a seconda del disagio, con cadenza perlopiù settimanale.
4. Psicoterapia di gruppo
Si è sviluppata nella prima metà del ‘900 su idea di Moreno, Bion e Foulkes. L’aspetto specifico del gruppo-analisi
è dato dal fatto che il gruppo analitico è assimilabile ai modelli della realtà, dalla famiglia alla società; nel gruppo la
comunicazione permette al paziente un’esperienza diretta delle dinamiche e degli aspetti più nascosti e spesso meno
accettati. Nel setting del gruppo analitico si crea una “rete relazionale” (definita anche “matrice”) tra i suoi membri,
che consente agli individui si sperimentare le capacità contenitive e materne del gruppo stesso.
La “matrice” è il conteso nel quale le persone si incontrano, interagiscono e comunicano; qui gli aspetti consci e
preconsci si intrecciano con le componenti inconsce, con una risonanza di scambi verbali e non e con una “reazione
speculare” (riflessiva, proiettiva e introiettiva) tra realtà esterna e soggettività interna.
Nel gruppo l’analista mantiene la neutralità e usa confrontazioni, chiarimenti e interpretazioni che possono essere
rivolti al gruppo interno, a un sottogruppo o ai singoli membri.
5. La terapia familiare
Nasce e si sviluppa dall’osservazione che molte patologie hanno in comune la loro origine all’interno del nucleo
familiare.
La terapia familiare è una modalità di intervento attuata mediante strategie terapeutiche di natura sistemica, cioè
attraverso modelli che riconoscono la stretta connessione esistente tra fenomeni individuali, familiare e sociali.
I modelli di lavoro (analitico, comportamentale, sistemico-relazionale) operano su 4 livelli principali di osservazione:
1. Storia trigenerazionale della famiglia (nonni-genitori-figli)
2. Organizzazione relazionale e comunicativa attuale della famiglia
3. Funzione del sintomo nel singolo individuo nell’equilibrio della famiglia
4. Fase del ciclo vitale della famiglia in cui si presenta il sintomo del singolo (es. uscita da casa dei figli,
matrimonio, decesso di un genitore, nascita di un figlio ecc.)
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LEGISLAZIONE PSICHIATRICA
1. Cenni storici
Sino al XVIII secolo l’approccio medico alla malattia mentale ruotava soprattutto sulle pratiche dell’internamento e
sui mezzi che occorreva mettere in atto per assicurare, al di là della tranquillità e del buon ordine, il “benessere
pubblico”; si poneva il problema della contraddizione tra le istanze di salvaguardia della salute pubblica e quelle di
rispetto della libertà personale; le legge sui Pazzi del 1838 in Francia è il prototipo delle legislazioni psichiatriche
europee e consentì alla medicina mentale il potere di ricoverare gli alienati, secondo le modalità di isolamento.
Solo tra la fine del XVIII-inizi del XIX secolo si iniziò a costruire la “politica della salute mentale”, un agire
psichiatrico caratterizzato dall’articolarsi di una serie di elementi, tra cui la messa a punto di uno statuto giuridico.
In Italia la prima normativa che regolava l’assistenza psichiatrica fu la legge n. 36 del 14 Febbraio 1904, detta
“Legge sui manicomi e sugli alienati, disposizioni e cura degli alienati”; questa legge aveva finalità prevalentemente
di custodia e la pericolosità costituiva un requisito necessario per il ricovero; infatti, erano espressamente previsti
obblighi di denuncia degli “alienati pericolosi” e le omissioni erano penalmente sanzionate. L’internamento era
disposto dal pretore o in caso di urgenza dalla polizia, sulla base di una certificazione medica; in seguito, dopo un
periodo di osservazione di non oltre un mese, il Direttore dell’Ospedale Psichiatrico poteva decidere le dimissioni o
l’internamento definitivo (autorizzato dal Tribunale). La facilità delle procedure determinava la non rara possibilità
di uso/abuso di tale strumento.
La concezione custodialistica-coercitiva di questa legge, successivamente integrata da un regolamento nel 1909 che
ne limitava l’utilizzo ai “casi assolutamente eccezionali”, ha governato il lavoro degli psichiatri fino agli anni ’60-
’70. L’emanazione della legge stralcio n. 431 del 18/03/68, detta Legge Mariotti, introduceva significativi elementi
per l’assistenza psichiatrica: la possibilità di ammissione volontaria nell’ospedale psichiatrico; la revoca dell’obbligo
di annotazione del ricovero nel casellario giudiziario e disposizioni amministrative finalizzate a istituire un’area di
servizi territoriali a contorno dell’ospedale psichiatrico (i centri di salute mentale).
2. La legislazione attuale
Nel 1971 l’OMS indicava i principi su cui ispirare le normative di ogni stato. In Italia soprattutto a Trieste, Gorizia,
Arezzo e Perugia dove da anni venivano sperimentati modelli finalizzati alla integrazione del malato mentale, si
realizzava un radicale cambiamento nella legislazione psichiatrica. Il 13 Maggio 1978 veniva approvata la Legge
stralcio: “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”, detta anche “Legge 180” o “Legge Basaglia”,
che sanciva il passaggio da un intervento centrato sull’ospedale psichiatrico a un’assistenza più radicata sul territorio,
contribuendo a restituire centralità al malato mentale, nella sua complessità, dignità e considerazione; veniva sancito
il carattere di tutela del malato psichico, non più “alienato mentale”, ma utente del SSN a pieno diritto.
Elementi cardini della legislazione erano: (1) Consenso e volontarietà di accertamenti e cure; (2) Possibilità di
trattamento sanitario obbligatorio (TSO) in particolari situazioni e per brevi periodi; (3) Abolizione degli Ospedali
Psichiatrici (manicomi) e il passaggio delle competenze psichiatriche ai servizi territoriali per la salute mentale; (4)
Istituzione di servizi psichiatrici per la diagnosi e la cura negli ospedali generali.
Questa legge fu inserita negli artt. 33-34-35-64 della Legge n. 833 di “Riforma Sanitaria” ed è tutt’ora vigente.
3. Il consenso informato
Il consenso informato è un atto giuridico grazie al quale una persona conferisce a un altro soggetto il potere giuridico
di agire. In Italia è regolato da enunciati giuridici, etici e deontologici; il suo significato è riassunto nell’art. 32 del
Codice Deontologico.
Il consenso informato è giuridicamente valido solo se colui che lo conferisce ha la capacità, il diritto, la libertà e la
legittimità a consentire; la persona quindi deve essere consapevole e informata del significato e delle conseguenze
dell’atto specifico che sta per compiere su di lei.
L’informazione spetta al personale medico e deve essere personalizzata, completa e comprensibile; le notizie ritenute
potenzialmente in grado di provocare particolari sofferenze al paziente devono essere comunicate ai congiunti. In
caso di pericolo per la salute e/o la vita della persona e manchi, in quel momento, la capacità del paziente di
autodeterminarsi, il medico può far ricorso allo “stato di necessità” (art. 54 c.p.), per cui non è necessario il consenso.
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1. Malattie veneree in fase contagiosa
2. Malattie mentali
3. Malattie infettive e diffuse
4. Vaccinazioni obbligatorie
5. Trattamenti imposti al lavoratore in caso di infortunio sul lavoro e malattie professionali
6. Trattamenti rifiutati per evitare o limitare l’instaurarsi di un’invalidità
7. Accertamenti periodici di assenza di tossicodipendenza per le categorie che comportano rischi per la salute
di terzi.
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5. L’organizzazione dei servizi assistenziali psichiatrici
La riforma psichiatrica del 1978 ha radicalmente cambiato lo scopo principale dell’intervento psichiatrico, che dal
controllo sociale del malato centrato sul manicomio, è passato a programmi di assistenza finalizzati alla prevenzione,
cura e promozione della salute mentale.
La Legge n. 833.78 di riforma sanitaria e i successivi Progetto Obiettivo “Tutela della salute mentale” del 1994-
96 e 1998-00 hanno individuato quattro questioni principali da affrontare per migliorare la qualità dell’assistenza
psichiatrica sul territorio nazionale: (1) Costruzione di una rete di servizi in grado di fornire un intervento integrato,
con particolare riguardo a riabilitazione e gestione degli stati di crisi; (2) Lo sviluppo dell’organizzazione
dipartimentale del lavoro, dotando la rete dei servizi di una precisa responsabilità tecnica e gestionale; (3) L’aumento
delle competenze professionali degli operatori per far fronte a tutte le patologie psichiatriche, con particolare riguardo
a quelle più gravi, attraverso intervento diversificati che prevedono la partecipazione di più soggetti, compresi i
famigliari; (4) Il definitivo superamento dell’ospedale psichiatrico mediante l’attuazione di programmi mirati a una
nuova sistemazione dei degenti.
L’aspetto concreto di questo cambiamento è stato la creazione, in tutte le ASL, di una rete di strutture all’interno di
un assetto organizzativo denominato Dipartimento di Salute Mentale (DSM). Le strutture del DSM sono:
a) Il Centro di salute mentale (CSM) per l’assistenza territoriale e domiciliare
b) Il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) e il Day Hospital per l’assistenza in regime di ricovero
c) I Centri Diurni, per gli interventi socio-riabilitativi in regime semiresidenziale
d) Le Strutture residenziali, per gli interventi terapeutico-riabilitativi in regime residenziale
I CSM e i SPDC sono esclusivamente pubblici, mentre gli altri tipi di strutture possono essere sia pubblici che “privati
convenzionati”.
Il DSM appartiene all’ASL; al dipartimento fanno capo tutte le attività, territoriali e ospedaliere, dell’assistenza
psichiatrica in modo da garantire: (1) Unitarietà di programmazione delle diverse attività; (2) Riconoscimento in
termini di rilevanza istituzionale, potenzialità operativa e pari dignità dei compiti operativi con le altre strutture
dell’ASL; (3) Coordinamento della gestione dei poli operativi mediante la direzione affidata a una figura medica
apicale; (4) Programmazione dei progetti terapeutici e di risocializzazione; (5) Integrazione con l’ospedale, la
medicina di base, il dipartimento materno-infantile, i servizi per le tossicodipendenze, i servizi di assistenza agli
anziani; (6) Collegamento con l’associazionismo dei famigliari degli utenti; (7) Rapporto con le cooperative sociali
e il volontariato; (8) Limitazione dei ricoveri; (9) Limitazione della cronicità e della pratiche assistenzialistiche; (10)
Prevenzione e gestione delle crisi; (11) Incremento degli interventi di rete sociale e famigliare; (12) Disponibilità ad
accogliere i tirocini professionali e le prestazioni di obiettori di coscienza e di volontari; (13) Rilevazione e
valutazione epidemiologica dell’attività svolta; (14) Responsabilizzazione nella gestione economico-finanziaria.
Il DSM deve:
Garantire tutti gli interventi, compresa l’urgenza
Avere un organico multiprofessionale
Disporre di una sede, di ambulatori, posti letto ospedalieri, strutture semiresidenziali e residenziali
Per garantire tutti i servizi, ogni DSM adotta bacini di utenza tendenzialmente non superiori a 150000 abitanti; inoltre,
si avvale di altre strutture come le cliniche psichiatriche universitarie e le case di cura private convenzionali.
Potrebbe essere chiamato a rispondere, a titolo di concorso, dei reati eventualmente commessi dal paziente durante
il ricovero (art. 590 c.p.) e a rispondere, a titolo di colpa, di omicidio nel caso di suicidio del malato (art. 589 c.p.).
Lo psichiatra non appartenente a una struttura pubblica, nel caso rifiuto di proporre un TSO, potrebbe incorrere nel
reato di “omissione di soccorso”. Nei casi in cui lo psichiatra propone un TSO e non ricorrono le tre condizioni di
cui all’art. 34 della legge 833, oppure non trasforma in volontario (TSV) un trattamento obbligatorio quando non più
necessario (eccesso di TSO), corre il rischio (teorico) di trovarsi imputato di:
Sequestro di persona (art. 605 c.p.)
Violenza privata (art. 610 c.p.)
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