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Antonino Polimeno
1
2 INDICE GENERALE
6 I momenti angolari 79
6.1 Proprietà di commutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79
6.2 Autovalori ed autovettori dei momenti angolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80
6.3 Forma esplicita del momento angolare orbitale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82
6.4 Il rotatore rigido . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83
7 L’equazione di Schrödinger 85
7.1 L’equazione di Schrödinger: insieme di punti materiali . . . . . . . . . . . . . . . . . 86
7.2 Hamiltoniani atomici e molecolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88
7.3 Approssimazione di Born-Oppenheimer . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90
7.4 Separazione delle coordinate elettroniche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91
7.5 La molecola di idrogeno ionizzata: Hamiltoniano elettronico . . . . . . . . . . . . . 93
7.6 Hamiltoniano nucleare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96
7.7 Soluzione approssimata della struttura elettronica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98
In questa sezione saranno discussi i fondamenti della meccanica quantistica, e la loro connessione
con i principi di base della meccanica classica. Senza pretesa di completezza - testi di vari autori,
dedicati a questa tematica da un punto di vista fisico e formale e storico-epistemologico, sono
comunque inclusi nella bibliografia - questi primi quattro capitoli dovrebbero servire a sottolineare
la connessione tra le descrizioni classica e quantistica e a fornire una rapida formulazione egli assiomi
della meccanica quantistica.
La scienza fornisce modelli per l’interpretazione dei fenomeni percepiti dai nostri sensi, o da
estensioni dei nostri sensi. Il successo di un modello o teoria fisica è proporzionale alla sua capacità di
fornire uno schema di comprensione al maggior numero possibile di osservazioni, con il minor numero
possibile di postulati o assiomi fondamentali, vale a dire affermazioni non dimostrabili all’interno
della teoria stessa. Il confronto quantitativo delle previsioni dei modelli con i dati sperimentali
è l’unico criterio per discriminare tra le varie descrizioni teoriche a nostra disposizione. Teorie
che sembrano perfettamente adeguate per comprendere un insieme di osservazioni sperimentali
diventano inadeguate quando nuovi dati sperimentali siano disponibili.
Esempio 1. Storicamente, la crisi della meccanica classica nasce alla fine del XIX secolo.
Varie osservazioni indipendenti divengono disponibili relativamente a vari fenomeni perlopiù legati
all’emissione ed assorbimento di radiazioni. Tra questi, ricordiamo innanzitutto
5
6 CAPITOLO 1. RICHIAMI DI MECCANICA CLASSICA
di livelli discreti di energia o quanti (e questa, non la teoria della relatività fu la motivazione
del premio Nobel);
• la presenza di righe discrete negli spettri di emissione atomica (osservata da Fraunhofer, 1823,
Bunsen, 1861, Ångstrom, 1868, Balmer, 1885); l’interpretazione fornita da N. Bohr (1913) è
basata sulla quantizzazione dei livelli energetici degli atomi.
∂~r
~v = (1.1)
∂t
1
Lo sviluppo scientifico è perciò non solo causa, ma in parte conseguenza dello sviluppo tecnologico: migliori
strumenti tecnici di osservazione comportano teorie più raffinate
1.1. PUNTI MATERIALI 7
Il momento lineare del punto materiale è semplicemente p~ = m~v , dove m è la massa del punto
materiale. Le forze agenti sul punto si sommano in modo vettoriale per dare origine alla forza
totale agente sul punto, F~ . Il principio fondamentale del moto del punto materiale è dato dalla II
Legge di Newton, che stabilisce una relazione tra la forza ed il momento
d~p
F~ = (1.2)
dt
Un sistema di riferimento fisso od inerziale è tale che in esso la II legge di Newton è verificata.
Sistemi di riferimento in accelarzione rispetto ad un sistema di riferimento inerziale sono detti non-
inerziali o non-galileiani. Nel seguito ci riferiremo sempre ad un sistema di riferimento inerziale o di
“laboratorio”, se non specificato diversamente. Altre grandezze importanti, che saranno impiegate
nel seguito e di cui considereremo gli equivalenti quantistici, sono il momento angolare L, ~ definito
come
~ = ~r × p~
L (1.3)
~
ed il momento della forza o coppia N
~ = ~r × F~
N (1.4)
che sono in una relazione reciproca analoga alla (1.2) e da questa ricavabile
~
~ = dL
N (1.5)
dt
Il lavoro fatto da F~ sul punto materiale che si muova da un punto ~r1 ad un punto ~r2 è dato
dall’integrale di linea
Z
W = F~ · d~r (1.6)
W = T2 − T1 (1.7)
1
T = mv 2 (1.8)
2
dove T è l’energia cinetica del punto materiale. Se il lavoro W è indipendente dal cammino scelto
tra i punti iniziale e finale della traiettoria del punto materiale, si dice che la forza e/o il sistema sono
conservativi. In questo caso la forza si può calcolare, come conseguenza di un teorema fondamentale
dell’analisi vettoriale in funzione di una funzione scalare V (~r) come
F~ = −∇V (1.9)
8 CAPITOLO 1. RICHIAMI DI MECCANICA CLASSICA
La somma delle energia potenziale V e dell’energia cinetica T è l’energia totale del punto materiale.
Esempio 2. Un oscillatore armonico classico monodimensionale è una particella di massa m
sottoposta ad un potenziale V (x) = kx2 /2; la legge del moto può essere scritta come una coppia di
equazioni differenziali in x(t) e momento lineare p(t):
p
ẋ =
m
ṗ = −kx
dove i primi due principi discendono dalle leggi del moto di p~ e L,~ ponendo F~ e N ~ pari a zero;
l’ultimo principio si ottiene integrando l’espressione del lavoro dopo aver sostituito l’espressione
della forza in funzione del potenziale ed uguagliando con la (1.7).
dove F~ji è la forza agente sul punto i dovuta al punto j, mentre F~ie è la forza esterna agente sul punto
i. La III Legge di Newton in forma debole assume che F~ji = −F~ij (legge di azione e reazione): non
è valida per tutte le forze, ma nel seguito assumeremo che lo sia sempre. Sommando la precedente
espressione, possiamo facilmente scrivere la seguente equazione che esprime l’effetto delle sole forze
esterne sul sistema di particelle, in condizioni di validità della III Legge di Newton
~
d2 R dP~
M = M = F~ (1.11)
dt2 dt
1.3. MOMENTO ANGOLARE E FORZA TOTALE 9
P P P
~ = i mi vri /M è il centro di massa del sistema P~ = i p~i
dove M = i mi è la massa del sistema, R
P
è il momento lineare totale mentre F~ = i F~ie è la forza esterna totale: il momento lineare totale
del sistema è quello di una unica particella avente massa M e la cui posizione coincide con il centro
di massa del sistema di punti materiali.
Esempio 3. Consideriamo un insieme di N particelle aventi la stessa massa m e costrette
a muoversi lungo una retta; ciascuna particella è legata alle due particelle da una molla ideale
k. Qual è la legge del moto? Basta generalizzare le espressioni precedenti relative all’oscillatore
monodimensionale
mẍ1 = k(−x1 + x2 )
mẍN = k(xN −1 − xN )
P
Il baricentro del sistema è X = ( i xi )/N Le forze esterne agenti sul sistema sono nulle e le forze
interne verificano, come tutte le forze centrali, la III legge di Newton; vale perciò che Ẍ = 0, come
si può vedere anche sommando semplicemente tutte le equazioni precedenti: il baricentro del sistema
è fermo o in moto rettilineo uniforme.
sole se i termini dipendenti dalle forze interne si possono trascurare nella (1.12), che è una forma
forte della legge di azione e reazione. L’espressione del momento angolare può essere messa in una
forma analoga a quella del momento lineare, ma più complicata. Se definiamo con ~ri0 = ~ri − R ~ la
posizione del punto materiale i-esimo rispetto al baricentro e la corrispondente velocità ~vi0 = ~vi − ~v
~
(e momento p~0i = mi~vi0 ) dove ~v = dR/dt, allora il momento angolare totale può essere scritto come
X
~ =R
L ~ × M~v + ~ri0 × p~0i (1.14)
i
10 CAPITOLO 1. RICHIAMI DI MECCANICA CLASSICA
cioè il momento angolare è dato dal momento angolare del centro di massa più i momenti angolari
rispetto al centro di massa. Le definizioni di lavoro ed energia cinetica sono analoghe al caso
precedente di una singola particella. L’energia cinetica si può trascrivere separando la parte relativa
al centro di massa
1 1X 2
T = M v2 + mi vi0 (1.15)
2 2 i
Infine supponiamo che le forze agenti tra le particelle siano i) conservative, cioè ottenibili da un’unica
funzione di coppia Vij , che ii) dipende solo dalla distanza mutua tra le due particelle, Vij = Vij (|~ri −
~rj |). Vagono perciò sia la forma forte che quella debole della III Legge di Newton, dato che
Se anche le forze esterne sono conservative, possiamo scrivere l’energia totale come
1 1X 2 X 1X
W = T + V = M v2 + mi vi0 + Vi + Vij (1.17)
2 2 i i 2 i6=j
Possiamo imporre dei vincoli sia alle posizioni che alle velocità dei singoli punti materiali costituenti
il sistema. Un vincolo è espresso dall’equazione
se le velocità non compaiono nell’espressione del vincolo, si parla di vincolo finito o geometrico
od olonomo; un vincolo generale è invece detto differenziale o cinematico. Un vincolo geometrico
è detto stazionario se il tempo non compare esplicitamente nell’espressione che lo definisce. Un
sistema di punti è detto scleronomo se si impongono solo vincoli stazionari, mentre è detto olonomo
se i vincoli sono finiti. Un corpo rigido è costituito da un sistema di punti materiali scleronomo, cioè
con vincoli stazionari, in numero tale che nota la posizione di un punto materiale siano ricavabili
dai soli vincoli le posizioni di tutti gli altri punti materiali.
per un corpo rigido e in generale per sistemi olonomi, il lavoro totale virtuale dei vincoli vale zero
X
F~ia · δ~ri = 0 (1.20)
i
1.4. EQUAZIONI DI LAGRANGE E DI HAMILTON 11
che è il principio del lavoro virtuale statico. L’equivalente dinamico è detto principio di D’Alembert
X
~ia d~pi
F − · δ~
ri = 0 (1.21)
i dt
che esprime una condizione generale indipendentemente dalle forze di vincolo, generalmente non
note. Possiamo esprimere le leggi del moto del sistema eliminando i vincoli (che supponiamo
olonomi), in funzione di un insieme di n coordinate generalizzate qj ? In generale si esprimono le
coordinate assolute, i momenti e gli spostamenti virtuali in funzione delle coordinate generalizzate.
Con un pò di algebra, si dimostra che il principio di D’Alembert assume la forma
X d ∂T ∂T
− − Qj δqj = 0 (1.22)
j dt ∂ q̇j ∂qj
P
dove Qj = i F~i · (∂~ri /∂qj ) è una forza generalizzata. L’espressione precedente vale per qualunque
insieme di coordinate generalizzate. Se però le coordinate qj sono un set di coordinate indipendenti
ricavate da un insieme di vincoli olonomi, gli spostamenti virtuali deltaqj sono indipendenti, e
dunque
d ∂T ∂T
− = Qj (1.23)
dt ∂ q̇j ∂qj
dette equazioni di Lagrange. Se le forze sono conservative, cioè ricavabili da un potenziale totale
V , anche le forze generalizzate si possono scrivere come
X ∂~ri ∂V
Qj = − ∇i V · =− (1.24)
i ∂t ∂qj
e le equazioni di Lagrange assumono la forma più nota
d ∂L ∂L
− =0 (1.25)
dt ∂ q̇j ∂qj
dove L = T − V è la funzione lagrangiana del sistema.
Esempio 4. Consideriamo una particella che si muova in un piano, con coordinate cartesiane
x e y; vogliamo scrivere le equazioni del moto in coordinate polari r e θ. La relazione tra i due set
di coordinate è nota: x = r cos θ, y = r sin θ; le velocità sono calcolabili come ẋ = ṙ cos θ − rθ̇ sin θ,
ẏ = ṙ sin θ + rθ̇ cos θ; l’energia cinetica in coordinate cartesiane e polari è perciò
· ¸
1 ³ ´ 1 ³ ´2
T = m ẋ2 + ẏ 2 = m ṙ2 + rθ̇
2 2
Le forze generalizzate sono semplicemente Qr = Fr e Qθ = rFθ . Sostituendo, e calcolando le varie
derivate parziali, otteniamo le due equazioni di Lagrange
mr̈ − mr(θ̇)2 = Fr
12 CAPITOLO 1. RICHIAMI DI MECCANICA CLASSICA
mr2 θ̇ + 2mrṙθ̇ = Fθ
∂L
pj = (1.26)
∂ q̇j
La procedura formale che permette di passare dall’insieme qj , q̇j , t all’insieme qj , pj , t è detta trasfor-
mazione di Legendre. Le equazioni canoniche del moto secondo Hamilton hanno la forma
∂H
q̇j = (1.27)
∂pj
∂H
ṗj = − (1.28)
∂qj
∂L ∂H
= (1.29)
∂t ∂t
P
dove H = q̇j pj − L è detta funzione hamiltoniana. Per un sistema scleronomo conservativo (cioè
con vincoli stazionari e sottoposto a sole forze conservative), L = T − V (quindi l’ultima equazione
di Hamilton è subito verificata) ed H = T + V è l’energia totale del sistema.
Capitolo 2
2.1 Operatori
Formuleremo nel seguito i postulati fondamentali della meccanica quantistica (non relativistica)
mantenendo al minimo il formalismo matematico. In un capitolo successivo, di approfondimento,
saranno rivisti alcuni dei principi basilari dell’algebra lineare e riformuleremo i contenuti di questo
capitolo nel linguaggio più conciso degli spazi funzionali.
Consideriamo come oggetto di studio (o sistema) un insieme di N punti materiali, descritto
dall’insieme di coordinate cartesiane {~ri }; nel seguito useremo semplicemente il simbolo r per in-
dicare l’insieme delle coordinate del sistema. Indicheremo anche con dr un elemento di volume
nello spazio delle coordinate del sistema. L’integrale di volume di una funzione generica f (r) verrà
indicato come
Z
hf i = drf (r) (2.1)
Infine con i simboli O, P̂ etc. definiremo semplicemente un operatore, cioè un insieme di istruzioni
che modificano una generica funzione f . Avendo definito queste poche nozioni matematiche di base,
la descrizione quantistica del sistema è definita dai seguenti postulati
Postulato I. Lo stato fisico di un sistema al tempo t è descritto da una funzione, detta funzione
d’onda, a valori complessi, Ψ(r, t); la funzione d’onda deve essere continua, finita e monotona
per tutti i punti r.
13
14 CAPITOLO 2. PRESENTAZIONE ANALITICA DELLA MECCANICA QUANTISTICA
Z ·Z ¸∗
drf ∗ Og = drg ∗ Of (2.3)
Postulato III. Siano x̂α e p̂α gli operatori che rappresentano gli osservabili posizione lungo l’asse
α = x, y o z e momento lineare lungo i medesimi assi di una particella generica del sistema.
Allora i sei operatori devono soddisfare le proprietà
Postulato IV. In una serie di misure ripetute di un’osservabile rappresentata dall’operatore gener-
ico O, il valore medio risultante è pari al valore d’attesa dell’operatore sulla funzione d’onda
del sistema
R
drΨ∗ OΨ
hOi = R (2.7)
drΨ∗ Ψ
Postulato V. La probabilità che il sistema sia in un intorno r + dr del punto r, cioè che sia
rinvenibile in un elemento di volume dr intorno al punto r è proporzionale a |Ψ(r)|2 dr
Postulato VI. La variazione nel tempo della funzione d’onda Ψ(r, t) è descritta dall’equazione di
Schrödinger
∂Ψ
ih̄ = HΨ (2.8)
∂t
La presentazione degli assiomi o postulati della meccanica quantistica può variare, anche in dipen-
denza del linguaggio e del formalismo matematico impiegato (cfr. Cap. (3)). Tuttavia, è chiaro
che l’impostazione finora presentata è notevolmente diversa da quella della meccanica classica. In-
nanzitutto lo stato del sistema è definito da un funzione, non da un insieme di coordinate. In altri
termini, la conoscenza di un sistema è data da una relazione funzionale tra le coordinate o spazio
delle fasi classico del sistema stesso, e non da una serie di traiettorie nel tempo che specificano ad
ogni istante la configurazione del sistema. Inoltre il concetto di “osservabile” diviene centrale in
meccanica quantistica. Quello che in fisica classica è solo una funzione delle coordinate e dei mo-
menti del sistema (per esempio, l’osservabile energia cinetica, l’osservabile momento lineare totale
etc.) diviene in fisica quantistica un operatore che agisce sugli stati del sistema. Nasce perciò il
problema di rappresentare gli operatori. Data la prescrizione fondamentale tra l’operatore posizione
e il corrispondente operatore momento (Postulato III),
∂
Rappresentazione della posizione: x̂ ≡ x, p̂ ≡ (h̄/i)
∂x
∂
Rappresentazione del momento: x̂ ≡ −(h̄/i) , p̂ ≡ p
∂p
Nella prima, che sarà usata nel resto di questo testo, l’operatore posizione è semplicemente la molti-
plicazione per x, mentre l’operatore momento è proporzionale alla derivata prima in x; l’opposto nel
caso della rappresentazione del momento. Dati gli operatore momento e posizione, gli altri operatori
rappresentativi delle varie osservabili classiche sono ottenuti usando il principio di corrispondenza,
sostituendo cioè alle posizioni ed ai momenti i corrispondenti operatori. Per esempio, quali sono
gli operatori rappresentativi dell’energia cinetica e dell’energia totale di un sistema di N particelle,
in presenza di un potenziale V ? Per una singola particella, il momento lineare è semplicemente il
vettore formato dai tre operatori momento lineare, lungo le tre coordinate, quindi −ih̄∇i , dove ∇i
è il gradiente rispetto alle coordinate xi , yi , zi
∂
∂xi
∂
∇i =
(2.11)
∂yi
∂
∂zi
16 CAPITOLO 2. PRESENTAZIONE ANALITICA DELLA MECCANICA QUANTISTICA
L’operatore energia cinetica delle singole particelle è semplicemente T i = −(h̄2 /2mi )∇2i dove ∇2i è
il laplaciano rispetto alle coordinate xi , yi , zi
∂2 ∂2 ∂2
∇2i = ∇i · ∇i = + + (2.12)
∂xi 2 ∂yi 2 ∂zi 2
X h̄2 X 1 2
H=T +V = Ti+V =− ∇ +V (2.13)
i 2 i mi i
Oψ = on ψn (2.14)
e che ogni stato del sistema sia esprimibile come combinazione lineare delle autofunzioni stesse, cioè
che il set di autofunzioni sia completo
X
Ψ= cn ψn (2.16)
n
(vedremo in seguito che ciò equivale ad affermare che le autofunzioni di O costituiscono una base
ortonormale dello spazio funzionale del sistema). Se lo stato di un sistema coincide con un autostato,
Ψ = ψn , il valore di attesa di O coincide con on . Altrimenti, un rapido calcolo algebrico permette
di dedurre che il valore di attesa è una combinazione lineare dei vari autovalori
X
hOi = |cn |2 on (2.17)
n
Quindi, solo se lo stato di un sistema è ’puro’, cioè coincide con un autostato, misure ripetute
portano ad unico risultato, on ; altrimenti si ottiene una combinazione lineare di autovalori, pesati
dai valori |cn |2 , cioè dai quadrati dei pesi delle autofunzioni che contribuiscono a definire lo stato
del sistema.
2.3. IL PRINCIPIO DI INDETERMINAZIONE 17
dato un operatore generico, possiamo sempre definire l’operatore aggiunto; gli operatori hermitiani
sono quei particolari operatori che coincidono con i loro aggiunti vale a dire O = O† . La premi-
nenza che è data agli operatori hermitiani in meccanica quantistica nasce dal fatto che essi devono
rappresentare grandezze fisiche sperimentali, a valori reali ed univocamente definiti. Nel caso degli
operatori hermitiani, e solo per essi, valgono infatti due importanti proprietà: 1) gli autovalori di
un operatore hermitiano sono reali e 2) ad autovalori distinti di un operatore hermitiano corrispon-
dono funzioni ortogonali. La prima relazione è molto semplice da dimostrare. Supponendo, come è
sempre possibile, che le autofunzioni siano normalizzate
Z
Oψn = on ψn → drψn∗ Oψn = on (2.19)
e quindi anche
µZ ¶∗
drψn∗ Oψn = o∗n (2.20)
ma per definizione di operatore hermitiano, il primo membro è reale, e dunque anche il secondo,
cioè l’autovalore generico on , è reale. Quanto all’ortogonalità di autofunzioni relative ad autovalori
diversi, scriviamo
ma l’espressione a primo membro è nulla, perchè l’operatore è hermitiano, dunque l’integrale del
prodotto delle due autofunzioni deve essere nullo. Nel seguito considereremo solo operatori lineari
hermitiani, se non altrimenti specificato. Gli autovalori più importanti di un sistema conservativo
sono senz’altro relativi all’operatore hamiltoniano
gli autostati ΨE sono stati del sistema ad energia definita E. L’equazione precedente è l’equazione
di Schrödinger indipendente dal tempo.
18 CAPITOLO 2. PRESENTAZIONE ANALITICA DELLA MECCANICA QUANTISTICA
hν
²q =
exp(hν/kT ) − 1
La densità di energia di radiazione è ora data dalla precdente espressione per il numero di oscillatori
per unità di volume, eq. (2.3) per l’energia media quantistica ²q . Il risultato (moltiplicato per due,
poichè in un campo elettromagnetico oscillano sia il campo elettrico che quello magnetico) è la legge
2.4. VERIFICA DEL PRINCIPIO DI INDETERMINAZIONE 19
di Planck:
8πhν 3 1
E(ν) =
c3 exp(hν/kT ) − 1
che è in ottimo accordo con i dati sperimentali di Lummer e Pringsheim, sostituendo a h il valore
di 6.6262 × 10−34 Js.
Sperimentalmente, un sistema è descritto da un insieme di proprietà fisiche, rappresentate dagli
operatori A, B e cosı̀ via. Possiamo misurare contemporaneamente due proprietà osservabili con
precisione arbitraria? Possiamo cioè individuare gli autostati comuni ad un set di operatori ?
Consideriamo una coppia di osservabili e sia ψ un autostato comune, tale cioè che Aψ = aψ e
Bψ = bψ. Vale il seguente, importante teorema: se due o più operatori ammettono un insieme
completo di autofunzioni comuni, commutano e viceversa, se commutano, ammettono un insieme
completo di autofunzioni comuni. Cioè osservabili multiple sono conoscibili simultaneamente con
precisione arbitraria se e solo i loro operatori commutano. È facile verificare la prima parte del
teorema. Ammettiamo che A, B abbiano un set completo di autofunzioni in comune, ψn : si ricordi
che dire che un set di funzioni è completo significa affermare che ogni funzione può essere espressa
come combinazione lineare delle funzioni stesse. Per una funzione generica f si ha perciò
X X X
ABf = AB cn ψn = cn ABψn = c n a n b n ψn (2.25)
n n n
e la stessa espressione si ottiene evidentemente applicando BA ad f ; quindi AB = BA, cioè [A, B].
Operatori non commutativi corrispondono a proprietà fisiche non conoscibili simultaneamente con
precisione arbitraria in meccanica quantistica. Possiamo chiederci se sia possibile valutare qualita-
tivamente il grado di precisione con cui due grandezze non commutative siano conoscibili. Nel caso
di un operatore posizione e momento, vale il famoso principio di indeterminazione
1
∆x∆px ≥ h̄ (2.26)
2
che limita la possibilità di conoscere con precisione arbitraria il momento e la posizione di una
particella, simultanemamente.
dove s è un numero arbitrario reale: I è evidentemente sempre non-negativo poichè è stato ridotto
all’integrale di un integrando sempre non-negativo, e può essere riscritto come
Perchè l’espressione precedente sia maggiore o uguale a zero basta che il discriminante sia minore o
uguale o zero, da cui si ricava subito che
1
h(δA)2 ih(δB)2 i ≥ hCi2 (2.32)
4
Si definisce lo scarto quadratico medio ∆A di A come la radice quadrata di hA2 i − hAi2 , ed
analogamente per B; poichè si dimostra facilmente che (∆A)2 = h(δA)2 i risulta che
1 1
∆A∆B ≥ |hCi| = |h[A, B]i| (2.33)
2 2
Nel caso di A = x e B = p̂x si ottiene esattamente la (2.26). Se la particella è nota in una posizione
definita, il suo momento è arbitrario; se la velocità della particella è nota con precisione arbitraria,
la sua posizione è sconosciuta. Un approccio alternativo al principio di indeterminazione può essere
basato un’interpretazione qualitativa, considerando solo il caso degli operatori posizione e momento
di una particella generica seguendo l’argomento di Landau e Lifšits. Supponiamo che la particella
sia in un volume di spazio finito ∆V = ∆x∆y∆z, e che il valore medio del momento della particella
sia p~0 ; ciè equivale ad affermare che Ψ ≈ u(~r) exp(i~p0 · ~rh̄), dove u(~r) è una funzione che differisce
da zero solo per valori di ~r nel volume ∆V . La funzione d’onda Ψ può essere sviluppata in funzione
delle autofunzioni dell’operatore vettoriale momento, che ammette in generale autovalori continui
p~, con autofunzioni ψp~ = exp(i~p · ~rh̄)1 . In altri termini, possiamo scrivere Ψ sotto forma di integrale
di Fourier
1 Z
Ψ(r) = d~pa(~p) exp(i~p · ~r/h̄) (2.34)
h3
1
La normalizzazione di un set di autofunzioni con autovalori continui è analoga al caso di autovalori discreti, ma
con la sostituzione di una funzione di Dirac al simbolo di Dirac; nel caso specifico le funzioni sono scelte in modo
tale che
Z
ψp~∗0 ψp~ = h3 δ(~
p0 − p~)
2.5. MECCANICA CLASSICA E MECCANICA QUANTISTICA 21
Solo se i periodi delle funzioni oscillanti exp [i(~p0 − p~) · ~r/h̄] sono non trascurabile rispetto a ∆x,
∆y e ∆z nella regione ∆V i coefficienti a(~p) sono diversi da zero, cioè solo i coefficienti a(~p)
relativi ai valori di p~ tali che (px 0 − px )∆x/h̄ ≤ 1 etc. contribuiscono a determinare la funzione
d’onda. Ma |(a(~p)|2 non è altro che la probabilità che la particella abbia quantità di moto p~, quindi
(px 0 − px ) = ∆px etc. indica gli intervalli ’possibili’ delle componenti delle quantità di moto, da cui
segue che
Tanto maggiore è la precisione con cui è nota una delle coordinate, tanto minore è la conoscenza
disponibile relativa al momento corrispondente.
d Z ∗
Z
∂Ψ∗ Z
∗ ∂Ψ1 Z ∗ 1 Z
drΨ OΨ = dr OΨ + drΨ O =− drΨ HOΨ + drΨ∗ OHΨ (2.37)
dt ∂t ∂t ih̄ ih̄
dhOi 1
= h[H, O]i (2.38)
dt ih̄
d
hp̂x i = hF i (2.39)
dt
d hp̂x i
hx̂i = (2.40)
dt m
note anche come relazioni di Ehrenfest, molto simili alle equazioni del moto canoniche classiche;
la descrizione classica emerge dalla descrizione quantistica come descrizione dei valori medi degli
osservabili posizione e momento.
22 CAPITOLO 2. PRESENTAZIONE ANALITICA DELLA MECCANICA QUANTISTICA
Ψ = exp(iσ/h̄) (2.42)
dσ0 dσ1 1 d2 σ1
+ =0 (2.45)
dx dx 2 dx2
cioè quando il momento non è troppo piccolo, ovvero quando la lunghezza d’onda di de Broglie è
molto minore della lunghezza caratteristica L, che dipende dalla massa e dalla forza classica. La
forma della funzione d’onda semiclassica corrisponde al moto nei due sensi di un pacchetto d’onda
localizzato (possiamo porre per esempio C − = 0 per indicare il moto nella direzione positiva).
Il significato del fattore pre-esponenziale 1/sqrtp è il seguente: la probabilità |Ψ|2 di trovare la
√
particella tra x e x + dx assume nel caso semi-classico, grazie appunto al fattore 1/ p il valore 1/p:
in analogia al caso di un particella classica, che percorre il segmento infinitesimo dx in un tempo
1/p.
24 CAPITOLO 2. PRESENTAZIONE ANALITICA DELLA MECCANICA QUANTISTICA
Capitolo 3
• 0 e 1 appartengono a K
(u + v) + w = u + (v + w) (3.1)
25
26 CAPITOLO 3. FORMALISMO ALGEBRICO DELLA MECCANICA QUANTISTICA
0+u=u+0=u (3.2)
per ogni u di V
u+v=v+u (3.4)
• c(u + v) = cu + cv
• (a + b)u = au + bu
• (ab)u = a(bu)
• 1u = u
1. lo spazio PN (x) di tutti i polinomi a coefficienti reali o complessi di grado N nella coordinata
x; lo spazio F di tutte le funzioni di variabile complessa definite in un intervallo.
2. Dato l’insieme Rn di tutte le n-uple di numeri reali, dove la somma di due elementi è definita
come la somma ordinata delle componenti, (x1 , . . . , xn ) + (y1 , . . . , yn ) = (x1 + y1 , . . . , xn + yn )
e il prodotto per uno scalare come a(x1 , . . . , xn ) = (ax1 , . . . , axn ), allora Rn è uno spazio
vettoriale. Lo studente provi a dimostrarlo verificando i vari punti della definizione di spazio
vettoriale.
è detta combinazione lineare del set di vettori {xi }; gli n vettori sono linearmente dipendenti se
esistono n scalari ai non tutti nulli tali che la combinazione lineare sia zero, o linearmente indipen-
denti se non esistono. Se è possibile esprimere tutti gli elementi di V come combinazioni lineari del
set {xi }, allora si dice che il set genera (in inglese, span) lo spazio vettoriale. Una base dello spazio
vettoriale è definita come un’insieme di vettori {ei } che sia linearmente indipendente e generi lo
spazio. Si può dimostrare che due basi qualunque di uno spazio, se esistono, hanno lo stesso numero
di elementi. La dimensione n dello spazio V è il numero di elementi di una base, e può anche essere
infinita. Per un vettore generico possiamo scrivere perciò:
n
X
x= xi e i (3.6)
i=1
Esempio 9. Consideriamo lo spazio vettoriale delle coppie di numeri reali R2 . Si noti che tale
spazio è in corrispondenza biunivoca con lo spazio dei vettori (in senso tradizionale, quantità con
una intensità, direzione e verso) nel piano. Definiamo il prodotto scalare di due vettori u = (u1 , u2 )
e v = (v1 , v2 ) come:
u · v = u1 v 1 + u2 v 2
Torniamo all’insieme di tutte le funzioni periodiche a valori reali in [−π, π]. Definiamo il
prodotto
Z π
f (θ) · g(θ) = dθf (θ)g(θ)
−π
n
X
u·v= u∗i vi
i=1
Il prodotto è definito positivo poiché se u 6= 0, allora almeno uno dei numeri ui è diverso da
zero (complesso) e u∗i ui è sempre positivo.
2. Consideriamo lo spazio delle funzioni f (θ) a valori complessi definite in [−π, π]. È uno spazio
vettoriale, di dimensione infinita, e possiamo introdurre il prodotto hermitiano definito posi-
tivo:
Z π
f ·g = dθf (θ)∗ g(θ)
−π
Non è difficile verificare che l’insieme di funzioni {1, e±iθ , e±2iθ , . . .} costituisce una base or-
togonale del problema; se indichiamo con fn = einθ dove n è un numero intero, la norma di
ciascuna funzione di base è
Z π
fn · fn = dθe−inθ einθ = 2π
−π
Ogni elemento generico dello spazio può essere espresso come combinazione lineare delle fun-
zioni di base; il coefficiente di Fourier n-esimo è il coefficiente che misura il contributo di
ciascuna funzione di base:
X X
f (θ) = cn fn = cn einθ
n
f · fn 1 Zπ
cn = = dθf (θ)∗ einθ
fn · fn 2π −π
30 CAPITOLO 3. FORMALISMO ALGEBRICO DELLA MECCANICA QUANTISTICA
u+v
v
u
u x v u
3
e1
u
2
u
1
e
2
un vettore ottenibile con la regola del parallelogramma (vedi Figura 3.1). Il prodotto scalare è
ottenuto in accordo con la definizione nota di prodotto scalare, ~u · ~v = uv cos θ, dove u e v sono
il modulo dei due vettori e θ è l’angolo compreso. Alternativamente, se si considera l’equivalente
3.3. VETTORI E MATRICI 31
spazio R3 , introducendo una base di tre versori ~e1 , ~e2 , ~e3 , ed ogni vettore viene rappresentato dalle
sue componenti sulla base, la somma e il prodotto scalare sono definiti
3
X
u+v= (ui + vi )ei (3.9)
i=1
3
X
u·v= ui vi (3.10)
i=1
Altri prodotti possono essere definiti con un chiaro significato geometrico. Il prodotto vettoriale
di ~u e ~v è un vettore che ha per modulo la quantità uv sin θ, per direzione la perpendicolare al
piano definito da ~u e ~v e per verso quello ottenuto avvitando una vite destrorsa lungo la direzione
definita, in modo da portare ~u su ~v (regola della vite o della mano destra). Il prodotto vettoriale
è un esempio di applicazione definita in uno spazio vettoriale: ovvero un’operazione che associa
elementi dello spazio ad altri elementi dello spazio. Ecco alcune utili identità:
~a × ~b = −~b × ~a (3.11)
(x − x0 ) · n = 0 (3.15)
dove n è un versore normale al piano. L’angolo diedro tra due piani è invece dato come
Molte altre identità e definizioni della geometria analitica nello spazio tridimensionale sono note
allo studente dai corsi di matematica. L’uso della notazione vettoriale è utile anche per definire
funzioni vettoriali. Possiamo distinguere funzioni scalari, o campi scalari, che associano elementi di
R3 a R o funzioni vettoriali che associano elementi di R a R3 . Un campo vettoriale è infine una
funzione che associa elementi di R3 a R3 .
Esempio 12. Ecco alcuni esempi di campi scalari, funzioni vettoriali e campi vettoriali:
32 CAPITOLO 3. FORMALISMO ALGEBRICO DELLA MECCANICA QUANTISTICA
Campi scalari: la temperatura di un laboratorio, intesa come funzione delle coordinate spaziali; la
funzione f (x) = |x|; la funzione f (x) = x21 − x2 x3 ; la concentrazione di cloruro di terbutile in
un reattore contenente alcol terbutilico, cloro e cloruro di terbutile.
Funzioni vettoriali: la retta x(t) = x0 + nt; la funzione x(t) = r cos ωte1 + r sin ωte2 + vte3 , che
rappresenta la traiettoria di una particella che si muova lungo un’elica destrorsa, con asse
parallelo a e3 (vedi Figura 3.2).
Campi di vettori: la forza di gravità tra due corpi; la funzione f(x) = x × n; l’orientazione delle
molecole di cristallo liquido che formano il display di un orologio digitale.
3.4 Matrici
Una matrice di mn elementi dove m ed n sono rispettivamente il numero di righe ed il numero di
colonne, è definita come una tabella rettangolare di numeri, il cui elemento generico è aij (dove
1 ≤ i ≤ m e 1 ≤ j ≤ n), e si indica nel modo seguente
a11 a12 a13 ... a1n
a21 a22 a23 ... a2n
A= (3.17)
...
am1 am2 am3 . . . amn
o con notazioni equivalenti: p.es. doppie linee invece di parentesi. Consideriamo l’insieme delle
matrici m × n. Possiamo definire la moltiplicazione per uno scalare α di una matrice A come la
matrice ottenuta moltiplicando ciascun elemento di A per α
La somma di due matrici si ottiene sommando gli elementi delle matrici addende
0ij = 0 (3.20)
Si verifica facilmente che l’insieme cosı̀ definito è uno spazio vettoriale di dimensione mn. Una base
è costituita dalle mn matrici con elementi ovunque nulli, tranne che in una posizione
à ! à !
1 ... 0 0 ... 0
e11 = ,..., emn = (3.22)
0 ... 0 0 ... 1
3.4. MATRICI 33
10
5
z
0
−1
−1
0
y 0
1 1 x
Esempio 13. Definiamo un prodotto tra due matrici m × n come la matrice ottenuta moltipli-
cando gli elementi nella stessa posizione (A ∗ B)ij = aij bij . L’operazione ∗ è un prodotto scalare?
Il prodotto tra matrici è un’applicazione che associa a due matrici generiche A m × n e B n × p
una matrice AB m × p (il numero di colonne della prima matrice deve essere uguale al numero di
righe della seconda):
n
X
(AB)ij = aik bkj (3.23)
k=1
L’insieme delle n-uple di numeri, cioè gli elementi di Rn o C n si possono mettere in relazione
biunivoca con le matrici 1 × n (matrici riga) oppure n × 1 (matrici colonna). Cosı̀ la moltiplicazione
di una matrice m × n per un vettore n dimensionale significa in pratica la moltiplicazione per una
matrice colonna n × 1 ed il risultato è una matrice colonna m × 1:
a11 a12 a13 ... a1n u1 v1
a21 a22 a23 ... a2n u v
2 = 2 ≡ Au = v (3.24)
... ... ...
am1 am2 am3 . . . amn un vm
P
dove vi = nj=1 aij uj .
Esempio 14. Il prodotto tra matrici non è commutativo, ovvero AB 6= BA. Si definisce il
commutatore come la matrice: [A, B] = AB − BA. Evidentemente perché il commutatore esista
deve essere m = p; si dice che due matrici commutano se [A, B] = 0.
Consideriamo nel seguito solo le matrici quadrate n × n (nel seguito, di dimensione n), e vettori
(matrici riga o colonna). Alcune matrici quadrate speciali di dimensione n sono le seguenti:
• la matrice identità
1 0 0 ... 0
0 1 0 ... 0
1= (3.25)
...
0 0 0 ... 1
• le matrici scalari, A= a 1
• le matrici diagonali
d1 0 0 ... 0
0 d2 0 ... 0
D= (3.26)
...
0 0 0 . . . dn
3.4. MATRICI 35
• le matrici tridiagonali
d1 e1 0 ... 0
e1 d2 0 ... 0
Td = (3.27)
...
0 0 0 . . . dn
• le matrici idempotenti: P2 = P
In associazione con una generica matrice A con elementi aij si possono definire alcune matrici
strettamente collegate
• la matrice trasposta
a11 a21 a31 ... an1
a12 a22 a32 ... an2
AT =
(3.29)
...
a1n a2n a3n . . . ann
• la matrice aggiunta
∗
a 11 a∗21 a∗31 ... a∗n1
∗
† a12 a∗22 a∗32 ... a∗n2
A =
(3.31)
...
a∗1n a∗2n a∗3n . . . a∗nn
36 CAPITOLO 3. FORMALISMO ALGEBRICO DELLA MECCANICA QUANTISTICA
di definizione un poco più complicata: si tratta della somma di n! addendi, ciascun dei quali
è ottenuto moltiplicando n quantità che coincidono con un elemento per ciascuna riga; vi sono
appunto n! possibili scelte, che coincidono con le permutazioni tra gli n indici 1, 2, . . . , n; ogni
permutazione è caratterizzata dal simbolo P ed è pari, (−1)P = 1 o dispari (−1)P = −1 a seconda
che sia ottenuto con un numero pari o dispari di trasposizioni degli indici. In pratica il calcolo dei
determinanti è effettuato applicando il seguente teorema
cioè scegliendo una colonna della matrice (indice j) e sommando i determinanti delle sottomatrici
di dimensione n − 1 ottenute cancellando la colonna e la riga corrispondente a ciascun elemento
(e.g. A12 è la matrice ottenuta cancellando la prima riga e la seconda colonna). Un’analoga
relazione sussiste per uno sviluppo lungo una riga. Varie proprietà elementari dei determinanti
sono facilmente dimostrabili:
• det(1) = 1
• det(D) = Πni=1 di
• det(AT ) = det(A)
• det(A∗ ) = det(A)∗
• det(A† ) = det(A)∗
• det(αB) = αn det(A)
3.4. MATRICI 37
Possiamo ora definire esplicitamente la matrice inversa di una matrice generica come la matrice
A−1 tale che
• matrice simmetrica: AT = A
• matrice hermitiana: A† = A
z
β
X O
α
γ y
Y N
x
Figura 3.3: Angoli di Eulero α, β, γ per specificare la rotazione di un sistema di riferimento moleco-
lare rispetto ad un sistema di riferimento di laboratorio.
~ in ~y ;
• una rotazione antioraria di un angolo γ intorno a ~z; questa rotazione porta N
Dopo la prima rotazione, le coordinate del vettore siano (x0 , y 0 , z 0 ); dopo la seconda rotazione
(x00 , y 00 , z 00 ); dopo la terza, nel sistema di riferimento molecolare (x, y, z). Applicando la trigonome-
tria, si vede che:
0
x cos α sin α 0 X
0
y = − sin α cos α 0 Y
(3.37)
0
z 0 0 1 Z
00 0
x cos β 0 − sin β x
00 0
y = 0 1 y (3.38)
00 0
z sin β cos β 0 z
x cos γ sin γ 0 x00
00
y = − sin γ cos γ 0
y (3.39)
z 0 0 1 z 00
m ~
~ = aE (3.41)
dove m ~ e E~ sono vettori tridimensionali, mentre a è un tensore cartesiano del secondo ordine,
cioè una proprietà rappresentabile da una matrice 3 × 3 (Figura 3.4). Se la nostra molecola ha
una simmetria cilindrica, e si esprimono tutte le grandezze vettoriali in un sistema di riferimento
solidale con la molecola ed avente l’asse z diretto lungo l’asse principale della molecola, allora la
matrice di polarizzabilità assume una forma particolarmente semplice:
a⊥ 0 0
a=
0 a⊥ 0 (3.42)
0 0 ak
O
m E
a II
aI
Figura 3.4: Schema del momento dipolare indotto in una molecola di CO2 da un campo elettrico
esterno.
In generale, le proprietà fisiche rappresentabili da matrici 3 × 3 sono dette proprietà tensoriali, e
si può sempre identificare un sistema di riferimento (di solito solidale con la molecola), tale che
siano rappresentate da matrici diagonali (i valori diagonali si chiamano allora valori principali). Le
40 CAPITOLO 3. FORMALISMO ALGEBRICO DELLA MECCANICA QUANTISTICA
Relazione tensoriale y A x
Momento angolare = tensore di inerzia × velocità angolare ~
L I ω~
Momento di dipolo = polarizzabilità × campo elettrico m
~ a E~
Induzione elettrica = tensore dielettrico × campo elettrico D~ ² E~
Magnetizzazione = suscettibilità magnetica × campo magnetico M~ χ H~
Velocità della luce = indice di rifrazione × velocità nel vuoto ~v n ~v0
grandezze tensoriali in Tabella (3.1) sono sempre rappresentabili come matrici reali simmetriche.
Se i tre valori principali sono uguali, la rappresentazione della proprietà tensoriale è la stessa in
qualunque sistema di riferimento, e si parla di proprietà scalare.
Esempio 17. Consideriamo il seguente problema; è data una molecola del complesso Cu(NH3 )2+ 6 .
Calcoliamo il tensore di inerzia nel sistema di riferimento indicato in Figura 3.5 dai versori ~x, ~y , ~z.
Dal corso di Fisica I è noto che per un sistema di punti materiali con masse mi e coordinate
P P
ri = (xi , yi , zi ), il momento di inerzia ha componenti I11 = i mi (ri2 − x2i ), I12 = − i mi xi yi e cosı̀
via. Nel sistema di riferimento indicato in Figura 3.5 si ha perciò:
1 0 0
2
I = 4mNH3 l 0 1 0
0 0 1
Quindi il sistema di riferimento ~x, ~y , ~z è tale che il tensore di inerzia è già in forma diagonale. Lo
studente può verificare facilmente che anche il sistema ruotato ~x0 , ~y 0 , ~z0 gode di questa proprietà).
NH 3
NH 3 NH 3
y
2+
Cu
x
NH 3 NH 3
x’ y ’
NH 3
Figura 3.5: Calcolo del momento di inerzia del complesso Cu(NH3 )2+
6 .
Esempio 18. 100 ml di una soluzione di iodio I− e Cl− titola 100 ml 0.1 N di AgNO3 . 100 ml
della stessa soluzione, trattati con un eccesso di AgNO3 , danno 1.5 g di precipitato. Calcolare la
concentrazione di iodio e cloro nella soluzione.
Di interesse sono anche i sistemi omogenei:
Ax = 0 (3.44)
in cui b = 0; se A non è singolare, l’unica soluzione possibile è A−1 0 = 0, cioè l’n-upla nulla. Se
A è singolare, det(A) =, l’equazione ammette infinite soluzioni, multiple della soluzione generica:
3.6 Trasformazioni
Come un vettore tridimensionale ha diverse componenti in un diverso sistema di riferimento (o, nel
linguaggio degli spazi vettoriali, in una diversa base), cosı̀ una matrice ha diverse componenti in un
diverso sistema di riferimento.
Nella Sezione precedente era stato discusso brevemente il concetto di rotazione di un sistema di
riferimento; inoltre nell’esempio riferito alla polarizzabilità, il momento di dipolo, il campo elettrico
e la polarizzabilità erano stati espressi implicitamente in un sistema di riferimento ‘conveniente’, che
permetteva di esprimere la polarizzabilità in una forma semplice. In generale, qual è la relazione tra
42 CAPITOLO 3. FORMALISMO ALGEBRICO DELLA MECCANICA QUANTISTICA
v = Tv0 (3.46)
Nell’esempio della rotazione del sistema di riferimento T era l’inversa della matrice di Eulero, che
coincide con la trasposta della matrice di Eulero (che è ortogonale), T = ET . Consideriamo ora
una relazione tra due vettori generici, u e v, nella forma
u = Av (3.47)
Nelle due basi ei e e0i (o nei due sistemi di riferimento, se si preferisce), si possono scrivere due
distinte relazioni matriciali:
u = Av (3.48)
u0 = A 0 v 0 (3.49)
A0 = T−1 AT (3.51)
Ax = λx (3.52)
3.7. PROBLEMI AGLI AUTOVALORI 43
cioè tale che la moltiplicazione per A non ne modifica altro che la lunghezza, di un coefficiente
scalare λ, detto autovalore. L’insieme degli autovalori è detto spettro della matrice. La n-upla nulla,
0 è sempre una soluzione, triviale; dato un autovettore x, ogni vettore ax è pure un autovettore.
E‘ possibile avere più di un autovettore linearmente indipendente corrispondente ad uno stesso
autovalore. Il numero di autovettori linearmente indipendenti che condividono lo stesso autovalore
è detto molteplicità dell’autovalore; se la molteplicità è diversa da uno, l’autovalore è degenere. La
soluzione del problema agli autovalori è impostabile come il calcolo degli zeri di un polinomio di
grado n. Infatti l’equazione agli autovalori si può scrivere come un sistema omogeneo
(A − λ1)x = 0 (3.53)
L’equazione precedente è detta equazione secolare. Se si è in grado di trovare gli autovalori e i cor-
rispondenti autovettori, i quali possono essere eventualmente normalizzati per evitare l’arbitrarietà
di un fattore scalare, possiamo costruire un matrice diagonale Λ con gli autovalori in diagonale ed
una matrice X la cui colonna i-esima è l’autovettore i-esimo. L’insieme delle n equazioni lineari
diviene dunque
AX = XΛ (3.55)
od anche
Λ = X−1 AX (3.56)
La matrice degli autovettori è dunque una matrice che trasforma A secondo una trasformazione
di similitudine che la rende diagonale: se due matrici generiche A, B commutano, [A, B] = 0,
allora si possono scegliere combinazioni lineari di autovettori di A che sono anche anche autovettori
di B o viceversa. In altre parole, due matrici con commutatore nullo si possono diagonalizzare
simultaneamente con la stessa trasformazione; questa affermazione si generalizza anche ad un nu-
mero generico di matrici: se A1 , A2 , . . . , An commutano fra loro, possono essere diagonalizzate
simultaneamente.
Esempio 19. Nella teoria MO, basata sull’approssimazione di Huckel, per calcolare gli orbitali
molecolari π dell’alchene 1,4-butadiene è necessario diagonalizzare la seguente matrice
0 1 0 0
1 0 1 0
A=
0 1 0 1
0 0 1 0
44 CAPITOLO 3. FORMALISMO ALGEBRICO DELLA MECCANICA QUANTISTICA
λ4 − 3λ2 + 1 = 0
X† HX = Λ (3.58)
P∞
• Esponenziale in A: f (A) = exp(A) = n=0 An /n!
P∞ n 2n
• Coseno in A: f (A) = cos(A) = n=0 (−1) A /(2n)!
P∞ n 2n+1
• Seno in A: f (A) = sin(A) = n=0 (−1) A /(2n + 1)!
P∞ n n
• Inversa di 1 + A: f (A) = (1 + A)−1 = n=0 (−1) A ; con la condizione limn→∞ An = 0
P∞ n
• Inversa della radice di 1 + A: f (A) = (1 + A)−1/2 = n 2n 2
n=0 (−1) (2n)!A /2 n! ; con la
condizione limn→∞ (2n)!An /22n n!2 = 0
Dato lo sviluppo in serie di una funzione, la valutazione della funzione di matrice si persegue
utilizzando il concetto di diagonalizzazione. Sia data la funzione generica (3.60) in A. Siano note
la matrice degli autovalori Λ e la matrice degli autovettori X di A, allora
∞
X ∞
X
f (A) = cn An = cn (XΛX−1 )n (3.61)
n=0 n=0
e lo studente può verificare per ispezione che (XΛX−1 )n = XΛn X−1 da cui segue
̰ !
X n
f (A) = X cn Λ X−1 = Xf (Λ)X−1 (3.62)
n=0
e f (Λ) è immediatamente valutabile come una matrice diagonale il cui i-esimo elemento diagonale
è f (λi ).
Esempio 21. È data la matrice 2 × 2:
Ã√ !
2 1
A= √
1 2
Valutare exp(A). Le matrici Λ e X (gli autovettori non sono normalizzati) sono:
Ã√ ! à !
2+1 0 1 1
λ= √ X=
0 2−1 1 −1
Quindi exp(A) è data da:
à !à √ !à !
1 1 exp( 2 + 1) 0 1/2 1/2
exp(A) = √
1 −1 0 exp( 2 − 1) 1/2 −1/2
ed infine
à √ √ √ √ !
exp( 2 + 1) + exp( 2 − 1) exp( 2 + 1) − exp( 2 − 1)
A= √ √ √ √ /2
exp( 2 + 1) − exp( 2 − 1) exp( 2 + 1) + exp( 2 − 1)
La soluzione di un sistema di equazioni lineari differenziali ordinarie può essere espressa formal-
mente usando la funzione esponenziale della matrice dei coefficienti.
46 CAPITOLO 3. FORMALISMO ALGEBRICO DELLA MECCANICA QUANTISTICA
Esempio 22. La soluzione di un sistema di equazioni lineari differenziali ordinarie per n specie
chimiche aventi concentrazioni al tempo t date da c1 (t), c2 (t), . . . , cn (t) si presta molto bene ad
evidenziare l’utilità delle funzioni di matrici. Il sistema si può scrivere in forma compatta come:
dc(t)
= −Kc(t)
dt
dove K è una matrice di coefficienti costanti. Le condizioni iniziali, che specificano la concentrazione
al tempo iniziale, sono c(0) = c0 . La soluzione del sistema è semplicemente
c(t) = exp(−Kt)c0
che si può scrivere anche come: c(t) = X exp(−Λt)X−1 c0 . Quindi il problema è equivalente alla
diagonalizzazione della matrice K.
3.9 Esercizi
1. Siano x ⊗1 y e x ⊗2 y due prodotti scalari definiti nello stesso spazio vettoriale. Dimostrare
che anche le seguenti operazioni: x ¯1 y = x ⊗1 y + x ⊗2 y e x ¯2 y = λx ⊗1 y + µx ⊗2 y, sono
prodotti scalari dove λ e µ sono numeri arbitrari non negativi e non simultaneamente nulli.
2. Definire il prodotto scalare dello spazio dei polinomi di grado ≤ n in modo che la base
1, t, t2 /2!, . . . , tn /n! sia ortonormale.
x1 + x2 + λx3 = 1
x1 + λx2 + x3 = 1
λx1 + x2 + x3 = 1
3.9. ESERCIZI 47
L’estensione dei concetti introdotti nelle Sezioni del precedente Capitolo per spazi vettoriali di
dimensioni finite è abbastanza ovvia. Un concetto completamente nuovo che deve però essere
introdotto è quello di completezza, essenziale per il calcolo di autovalori ed autovettori e per il
trattamento computazionale di matrici di dimensioni formalmente infinite. Gli spazi vettoriali di
dimensioni infinite per i quali si possa definire la proprietà addizionale di completezza sono anche
detti spazi di Hilbert e sono di importanza fondamentale per lo studio della meccanica quantistica.
Per questo motivo cambieremo la simbologia generica del Capitolo precedente utilizzando la no-
tazione di Dirac o notazione bracket tipica delle applicazioni quanto-meccaniche. Un vettore di uno
spazio Hilbertiano è rappresentato da un ket |φi.
49
50 CAPITOLO 4. MECCANICA QUANTISTICA E SPAZI VETTORIALI
Una volta definita una base, possiamo rappresentare ogni vettore nella base definendone le
componenti. Se pensiamo agli elementi dello spazio hilbertiano come a delle funzioni generiche,
queste possono essere rappresentate da vettori colonna di dimensioni infinite. Un’applicazione
ovvero una corrispondenza che mette in relazione un vettore con un altro vettore può essere espressa
tramite il concetto, fondamentale, di operatore
Nell’equazione precedente l’operatore O agisce sul vettore |φi trasformandolo nel vettore |ψi. Sia
ora data una base ortonormale {|ii}; stando alle definizioni del Capitolo 3, si ha che hi|ii = δij . Un
vettore generico è
X
|φi = φj |ji (4.3)
j
Oφ = ψ (4.5)
dove O è un operatore lineare, a e b due scalari generici. Tutti i concetti definiti in precedenza per
le matrici possono essere generalizzati per gli operatori
P
• operatore unità: 1̂ = i |iihi|
∗
• operatore aggiunto di un operatore O: hψ|O† |φi = hφ|O|ψi
Il problema agli autovalori per un operatore si pone analogamente a quello di una matrice di
dimensioni finite:
anzi, coincide con un problema matriciale a dimensioni infinite una volta che si sia introdotto una
base:
Oφ = λφ (4.8)
Valgono per gli operatori hermitiani le medesime proprietà introdotte per le matrici hermitiane:
gli autovalori sono reali, autovettori (o autofunzioni) corrispondenti ad autovalori distinti sono
ortogonali; l’operatore di trasformazione è unitario. Nella notazione di Dirac un autovettore con
autovalore λ si indica con |λi, ovvero O|λi = λ|λi.
Principio II: una grandezza fisica osservabile è rappresentato da un operatore lineare hermitiano
F̂ .
Principio III: i risultati possibili della misura di un’osservabile F sono gli autovalori fi di F:
hφ|F|φi
F̄ = (4.10)
hφ|φi
∂
ih̄ |φ(t)i = H|φ(t)i (4.12)
∂t
dove H è l’operatore hamiltoniano del sistema isolato. Gli autovalori dell’hamiltoniano sono
le autoenergie del sistema:
Cosa significa ‘spazio appropriato’ ? Dipende dalla natura fisica del sistema. Consideriamo il caso
di una particella che si muova lungo una retta: la coordinata (nel senso della meccanica classica) è
x, il momento associato è p. Gli operatori quantomeccanici corrispondenti sono x̂ e p̂. Definiamo
la base continua |xi come gli autostati di x̂ con autovalori x:
Nella base continua |xi, un vettore |φi è rappresentato come una funzione φ(x), l’operatore sposta-
mento x̂ è rappresentato dalla moltiplicazione per la funzione x, cioè x̂|φi = xφ(x) l’operatore p̂ è
∂
rappresentato da h̄/ i . L’hamiltoniano è invece dato dall’espressione
∂x
h̄2 ∂ 2
H=− + U (x) (4.15)
2m ∂x2
dove il primo termine rappresenta l’energia cinetica (m è la massa), il secondo l’energia potenziale.
4.4. IL METODO VARIAZIONALE 53
è stazionario, cioè massimo o minimo? Assumiamo inoltre che ξ debba essere normalizzata
hξ|ξi = 1 (4.17)
Dal punto di vista del calcolo variazionale il problema può essere posto sotto forma della ricerca di
un punto stazionario vincolato, ed è dunque equivalente ad individuare le condizioni di stazionarietà
del funzionale non vincolato
La soluzione si ottiene i) se hξ|ξi = 1, dato che solo cosı̀ il termine in δλ si annulla e poi ii) se
Hξ = λξ (4.22)
²[ξ] ≥ E0 (4.24)
Data dunque una funzione generica normalizzabile, il rapporto di rayleigh costituisce sempre un lim-
ite superiore dell’auovalore più basso dell’hamiltoniano del sistema. Nella sua versione piú comune,
il teorema variazionale è implementato sotto forma di metodo variazionale lineare. Il vettore
4.4. IL METODO VARIAZIONALE 55
d’onda di prova |ξi è cioè dato come una combinazione lineare di N vettori noti, che indichiamo
semplicemente come |1i, |2i etc.
N
X
|ξi = cn |ni (4.30)
n=1
La variazione infinitesimale della funzione di prova diviene ora una variazione infinitesimale dei
coefficienti cn ; dal principio variazionale segue perciò
δc† Hc − ²δc† Sc
δ² = + complesso coniugato = 0 (4.33)
c† Sc
che è verificata solo se δc† (Hc − ²Sc) = 0 ovvero
Hc = ²Sc (4.34)
cioè la forma generalizzata di un problema agli autovalori, che si può risolvere calcolando le radici
dell’equazione secolare
Il problema agli autovalori diviene più semplice se si assumono delle funzioni di base ortonormali
S = 1:
Hc = Ec (4.36)
che è ora un problema agli autovalori in forma standard, con matrici e vettori di dimensioni finite,
poiché la rappresentazione (4.30) è di solito arrestata ad un numero finito di termini.
Esempio 25. È dato l’hamiltoniano
h̄2 ∂ 2
H=− + V (x)
2m ∂x2
per un sistema monodimensionale. il potenziale V (x) è
V
0
0 < x < L/2
V (x) = 0 L/2 < x < L
∞ altrove
56 CAPITOLO 4. MECCANICA QUANTISTICA E SPAZI VETTORIALI
H = H0 + ²V (4.37)
Gli autovettori |ni costituiscono una base ortonormale e completa dello spazio hilbertiano. Cerchi-
amo la soluzione al problema perturbato (PP)
Nel seguito, per semplicità considereremo inizialmente solo sistemi con spettri di autovalori discreti e
non degeneri. Possiamo rappresentare le autofunzioni del PP nella base costituita dalle autofunzioni
del PI:
X
|Φi = cn |ni (4.40)
n
4.6. SISTEMI IN ORDINE ZERO CON AUTOSTATI DEGENERI 57
dove Vmn = hm|V|ni. Si vuole calcolare la correzione all’ m-esimo autostato, cioè si vuole che
per ² → 0 (perturbazione nulla) il sistema perturbato tenda all’autostato m-esimo del sistema
perturbato. Espandiamo ora i coefficienti cn e l’energia E in serie di ²:
(0)
E = Em + ²E (1) + ²2 E (2) + . . . (4.43)
(0)
come si vede, per ² → 0 l’energia diventa Em , mentre i coefficienti cn diventano δmn , e quindi 1 se
m = n, e zero in caso contrario. Per calcolare le correzioni alle energie e ai coefficienti si procede
sostituendo le espansioni in serie nelle equazioni (4.42), raccogliendo i termini nella stessa potenza
di ² a primo e secondo membro, ed eguagliando. Cosı̀ per esempio la correzione al primo ordine per
le energie si ottiene conservando solo i termini di primo ordine nell’equazione (4.42) con n = m:
Gli autovalori del sistema perturbato sono ancora scritte nella forma
∞
X
(0)
E= Em + ²l E (l) (4.48)
l=1
mentre per la generica autofunzione perturbata possiamo scrivere
X
|Φi = |φi + cn |ni (4.49)
n6=m
che può essere moltiplicata per il generico elemento hmi |. Il termine relativo al sistema imperturbato
si annulla, e resta l’espressione
k
X
(1) (0)
hmi |V|mj i = Em ai (4.52)
j=1
In questo Capitolo è inclusa una raccolta di problemi risolti relativi a sistemi quantomeccanici
risolvibili analiticamente. Tra i vari casi trattati sono compresi gli esempi che si trovano in tutti i libri
di testo: particella nella scatola monodimensionale e bidimensionale, rotatore monodimensionale,
oscillatore armonico, particella su una sfera, atomo idrogenoide. In più sono presentate “variazioni
sul tema”, come particelle in scatole monodimensionali di forme svariate, scatole tridimensionali,
scatole cilindriche e set di oscillatori interagenti.
Esempi/esercizi non risolti (con suggerimenti e schemi di soluzione in alcuni casi) sono distribuiti
nel corso del testo.
∂
ih̄ |ψ(x, t)i = H|ψ(x, t)i (5.1)
∂t
al tempo t = 0 la funzione è definita da una configurazione generica (che ci dice come il sistema è
stato preparato inizialmente):
59
60 CAPITOLO 5. SISTEMI RISOLVIBILI ANALITICAMENTE
che sono ortonormali hE|E 0 i = δE,E 0 e costituiscono una base completa dello spazio. Quindi possi-
amo espandere |ψ(x, t)i
X
|ψ(x, t)i = cE (t)|Ei (5.4)
E
i coefficienti CE (t) sono ottenute come proiezioni della funzione d’onda sulle autofunzioni
Dunque la funzione d’onda è una sovrapposizione degli autostati del sistema con ‘pesi’ che dipendono
dal tempo in modo esponenziale, dove le ‘costanti di decadimento’ di ciascun esponenziale sono
proporzionali agli autovalori, e dalle condizioni iniziali.
In linea di principio possiamo distinguere lo spettro di autoenergie di un sistema in due parti: lo
spettro discreto, ovvero l’insieme delle autoenergie separate da intervalli non accessibili, e lo spettro
continuo. Consideriamo un sistema monodimensionale con un potenziale U (x) che tenda a U0 per
x → +∞ e a U1 > U0 per x → −∞, vedi Fig. (5.2). Lo spettro discreto si ha per autostati con
energie E < U0 : la particella è chiusa nella scatola. Se E > U0 lo spettro diviene continuo, e la
partcella è libera. Il numero di autostati discreti può esser finito (se U0 e U1 sono quantità finite)
od infinito. Nel seguito consideremo solo stati con autovalori discreti, cioè sistemi in stati confinati.
Torniamo ora al caso della particella in una scatola monodimensionale con pareti infinite. As-
sumiamo che l’energia potenziale sia nulla all’interno della scatola ed infinita all’esterno. La funzione
5.1. SISTEMI MONODIMENSIONALI 61
L x
d’onda è dunque definita solo per 0 ≤ x ≤ L, vedi Fig. (5.1). L’equazione di Schrödinger indipen-
dente dal tempo assume la forma 1 :
h̄2 d2
− ψE (x) = EψE (x) (5.10)
2m dx2
L’Eq. (5.10) è un’equazione differenziale ordinaria a coefficienti costanti del secondo ordine. La sua
soluzione generica ha la forma
A1 + A2 = 0 (5.14)
s s
2mE 2mE
A1 exp iL 2 + A2 exp −iL =0 (5.15)
h̄ h̄2
1
Ci poniamo nella rappresentazione continua, in modo da lavorare direttamente con funzioni della variabile x
62 CAPITOLO 5. SISTEMI RISOLVIBILI ANALITICAMENTE
U(x)
U
1
U
0
ma il seno di kπ/2 vale è zero per k pari; per k = 2n + 1 dispari, con n ≥ 0, vale (−1)n ; perciò
" # Ã !
2 X (2n + 1)2 h̄π 2 kπ
ψ(x, t) = (−1)n exp 2
t sin x (5.21)
L n≥0 2mL L
Naturalmente per una scatola con pareti infinite tutte le autoenergie sono discrete (non esistono
stati “liberi” della particella).
Esempio 27. Calcolare e rappresentare in un grafico ai tempi t: 1 ps, 10 ps, 1 ns e 1 µs la
densità di probabilità |ψ 2 (x, t)| per un neutrone in un pozzo largo 1 Å, che sia posto al centro del
pozzo a t = 0.
A1 + A2 = B1 (5.24)
h̄a nπ − kL
arcsin √ = (5.28)
2mV 2
con n ∈ N , che si risolve in a. Si verifica subito che il numero degli autostati discreti è finito.
V2
V
x
L L
1 2
V3
L3
L x
(a) (b)
Figura 5.3: Potenziali per una particella in una scatola 1D con una barriera interna.
5.3. UNA SCATOLA CON UNA BARRIERA INTERNA 65
V
1
0 ≤ x < L1
V (x) = V2 L1 ≤ x < L 2 (5.29)
V3 L2 < x ≤ L3
La soluzione generica per l’autofunzione ψE (x) con autoenergia E è definita nei singoli intervalli
come
(1) (1) (1) (1)
1
A exp(α1 x) + A2 exp(α2 x) 0 ≤ x < L1
(2) (2) (2) (2)
ψ(x) = A1 exp(α1 x) + A2 exp(α2 x) L1 ≤ x < L2 (5.30)
(3) (3) (3) (3)
A1 exp(α1 x) + A2 exp(α2 x) L2 < x ≤ L3
q
(i)
dove α1,2 = ±i 2m(E−V h̄2
i)
. Le condizioni al contorno sono analoghe al primo caso: ai confini del
pozzo l’autofunzione deve annullarsi, poichè la particella non può penetrare una barriera infinita.
I coefficienti ignoti dell’autofunzione sono sei, e disponiamo di due condizioni al contorno piú altre
quattro condizioni: per ciascun dei punti interni, in L1 ed L2 la funzione deve essere continua e
derivabile. In definitiva, valgono le sei relazioni lineari:
(1) (1)
A1 + A2 = 0
(1) (1) (1) (1) (2) (2) (2) (2)
A1 exp(α1 L1 ) + A2 exp(α2 L1 ) = A1 exp(α1 L1 ) + A2 exp(α2 L1 )
(1) (1) (1) (1) (1) (1) (2) (2) (2) (2) (2) (2)
α1 A1 exp(α1 L1 ) + α2 A2 exp(α2 L1 ) = α1 A1 exp(α1 L1 ) + α2 A2 exp(α2 L1 )
(2) (2) (2) (2) (3) (3) (3) (3) (5.31)
A1 exp(α1 L2 ) + A2 exp(α2 L2 ) = A1 exp(α1 L2 ) + A2 exp(α2 L2 )
(2) (2) (2) (2) (2) (2) (3) (3) (3) (3) (3) (3)
α1 A1 exp(α1 L2 ) + α2 A2 exp(α2 L2 ) = α1 A1 exp(α1 L2 ) + α2 A2 exp(α2 L2 )
(3) (3) (3) (3)
A1 exp(α1 L3 ) + A2 exp(α2 L3 ) = 0
da cui si ricava il determinante 6 × 6 che permette di determinare E. A questo punto lo schema
di soluzione per un potenziale generico monodimensionale che sia rapresentabile da una serie di
segmenti orizzontali e verticali, con pareti infinite, vale a dire un pozzo monodimensionale infini-
tamente profonda con un “fondo” qualunque, dovrebbe risultare chiaro: 1) si imposta la soluzione
generica in ciascun intervallo; 2) si impongono condizioni di continuità e derivabilità in ogni punto
interno; 3) si annulla la soluzione alle due pareti. Il risultato è un sistema omogeneo di equazioni per
i coefficienti dell’autofunzione in ciascun intervallo, il cui determinante si deve annullare e fornisce
un’equazione per calcolare le energie.
Esempio 28.
1. Impostare e risolvere numericamente il problema agli autostati relativo al pozzo (a) di Fig.
(5.4). Cosa succede se V → 0, o l → 0?
2. Impostare e risolvere numericamente il problema agli autostati relativo al pozzo (b) di Fig.
(5.4). Cosa succede se il numero di gradini diviene infinito, mentre la loro larghezza tende a
zero (ovvero N → ∞ con N L → cost.)?
3. Impostare e risolvere numericamente il problema agli autostati relativo al pozzo (c) di Fig.
(5.4). Cosa succede se il numero di gradini diviene infinito, mentre la loro larghezza tende a
zero (ovvero N → ∞ con N L → cost.)?
66 CAPITOLO 5. SISTEMI RISOLVIBILI ANALITICAMENTE
V1
l L V2
(b)
(a) V3
L
V2
Vn
V1 V
n-1
V1
V2
V3
V4
L
V3
(c) (d)
h̄2 ˆ 2
H=− ∇ + U (x) (5.32)
2m
ˆ è l’operatore laplaciano, che in coordinate cartesiane ha la forma
dove ∇
2 2 2
ˆ2 = ∂ + ∂ + ∂
∇ (5.33)
∂x1 2 ∂x2 2 ∂x3 2
Nel caso di una particella racchiusa in una scatola in tre dimensioni, con pareti di lato a1 , a2 e a3 , il
potenziale è nullo all’interno della scatola, ed infinito all’esterno. Il problema è ridotto allo studio
di tre problemi separati lungo i tre assi; cioè l’autofunzione del sistema si può scrivere come:
e
3
a
3
e
1
a2
a
1
e
2
(1)
dove ψE (x1 ) è definita per 0 < x < a1 e cosı̀ via. Le autoenergie sono date dall’espressione:
à !
h̄2 π 2 k12 k22 k32
E= + + (5.35)
2m a21 a22 a23
dove k1 , k2 e k3 sono interi. I corrispondenti autostati sono dati dall’equazione inserendo le forme
(1)
esplicite di ψE (x1 ) etc. nella (5.34):
s à ! à ! à !
8 πk1 πk2 πk3
ψE (x) = sin sin sin (5.36)
a1 a2 a3 a1 a2 a3
È importante notare che nel caso tridimensionale le autoenergie possono essere degeneri: per una
scatola cubica (a1 = a2 = a3 ) una coppia di autostati identificate da terne k1 , k2 e k3 che differiscano
solo per una permutazione hanno lo stesso energia.
Esempio 29. Consideriamo il caso di una scatola bidimensionale quadrata: i) scrivere le espres-
sioni generali per le autoenergie e gli autostati; ii) porre in grafico le autofunzioni corrispondenti ai
primi cinque autovalori distinti.
dettate naturalmente dalla geometria del potenziale. Come primo caso prendiamo in analisi una
particella che sia racchiusa in una zona dello spazio bidimensionale in una circonferenza: V = 0 se
|x| < a, V = ∞ se |x| > a, vedi Fig. (5.6) (a); a è il raggio della circonferenza; oppure che sia
costretta a muoversi sulla circonferenza stessa (rotatore planare). L’hamiltoniano per il sistema nel
e
2
P
r
e
1
R
e1
P(x 1 , x 2 )
(a) (b)
e2
piano è:
h̄2 ∂ 2 ∂2
H=− + (5.37)
2m ∂x1 2 ∂x2 2
Introduciamo le coordinate polari: r, φ, dove r è il modulo del vettore x = (x1 , x2 ) e φ è l’angolo
formato con l’asse delle ascisse. È facile dimostrare che l’hamiltoniano, proporzionale all’operatore
laplaciano in due dimensioni, assume la forma:
h̄2 ∂ 2 1 ∂ 1 ∂2
H=− + + (5.38)
2m ∂r2 r ∂r r2 ∂φ2
Consideriamo prima il caso del rotatore planare. La particella si muove su una circonferenza a r = a,
di consequenza le derivate in r si annullano. L’hamiltoniano si riduce al solo termine dipendente
da φ. L’equazione di Schrödinger assume la forma:
h̄2 d2
− ΨE (θ) = EΨE (φ) (5.39)
2I dφ2
dove I = ma2 è il momento di inerzia. Risolvendo, si trova come nel caso della particella nella
scatola monodimensionale:
ΨE (θ) = A1 exp(iml φ) + A2 exp(−iml φ) (5.40)
5.5. PARTICELLA IN E SU UN ANELLO 69
q
dove ml = 2IE/h̄2 . Le condizioni al contorno sono da ricercarsi nelle proprietà fondamentali delle
funzioni d’onda di un sistema quantomeccanico, che devono sempre dar luogo ad una densità di
probabilità univoca: cioè dato x, un punto dello spazio delle coordinate del sistema, la funzione
|φ(x)| deve essere univocamente determinata. Nel caso in questione questo implica che la funzione
calcolata in φ o in φ + 2π (quindi nello stesso punto), deve essere uguale:
che è un’equazione separabile; il primo e il secondo membro devono sempre essere uguali, indipen-
dentemente dal valore di r e φ; scriviamo perciò
d2 Ψ
= −m2l Ψ (5.46)
dφ2
dove m2l è una costante; poichè la funzione deve essere univocamente definita e dunque Ψ periodica,
ml è un numero intero. Resta però da risolvere un’equazione in R:
2 µ ¶
2d R dR 2mE 2
r +r + r − ml 2 R = 0 (5.47)
dr 2 dr h̄2
70 CAPITOLO 5. SISTEMI RISOLVIBILI ANALITICAMENTE
le condizioni al contorno sono: i) la funzione d’onda deve essere continua ovunque, anche all’origine
r = 0; e ii) deve annullarsi sul bordo r = a. Le funzioni che verificano l’equazione radiale con queste
condizioni sono dette funzioni di Bessel di ordine intero:
s
2mE
Rml (r) = Jml r (5.48)
h̄2
con il vincolo:
s
2mEml ,n
Jml a =0 (5.49)
h̄2
risolvendo l’equazione precedente si trova un set di valori di Eml ,n per ogni valore di ml , con
n = 1, 2, . . .. In definitiva la soluzione generica è:
s
2mEml ,n
Ψml ,n (r, φ) = exp(iml φ)Jml r (5.50)
h̄2
h̄2 ˆ 2
H=− ∇ (5.51)
2m
dove si è fatto uso dell’operatore laplaciano. Introduciamo ora le coordinate polari sferiche r, φ, θ,
vedi Fig. (5.7):
x1 = r sin θ cos φ
x2 = r sin θ sin φ (5.52)
x3 = r cos θ
Il laplaciano assume una forma particolarmente semplice nelle coordinate sferiche:
ˆ 2 = 1 ∂ r2 ∂ + 1 M2
∇ (5.53)
r2 ∂r ∂r r2
5.6. PARTICELLA IN E SU UNA SFERA 71
e3
θ
φ
r
e
2
e
1
2 1 ∂2 1 ∂ ∂
M = 2 + sin θ (5.54)
sin θ ∂φ2 sin θ ∂θ ∂θ
dove M2 è anche detto operatore legendriano. Procediamo ora come abbiamo fatto per il caso del
rotatore planare. Se la particella è costretta a muoversi sulla superficie della sfera, trascuriamo
le derivate in r, e poniamo r = R. Dall’equazione di di Schrödinger si ottiene un’equazione in
ΨE (φ, θ):
h̄2 2
− M ΨE = EΨE (5.55)
2I
dove I = ma2 . La funzione ΨE dovrà essere periodica in φ e in θ. Inoltre deve essere finita a
θ = π. La soluzione generale si può scrivere in termini di funzioni speciali, note come funzioni
armoniche sferiche, che altro non sono, da un certo punto di vista, che l’equivalente tridimensionale
degli esponenziali complessi che sono stati usati nel caso bidimensionale. Varie loro proprietà sono
note (e si rimanda lo studente ad opportuni testi specializzati). Tra le altre proprietà, fondamentale
è il fatto che sono autofunzioni del legendriano:
h̄2
Elml = l(l + 1) (5.57)
2I
Si noti che per ogni autostato, caratterizzato dai numeri quantici l e ml , esistono 2(l + 1) autovalori
degeneri, dato che Elml non dipende da ml .
Procediamo ora con il caso della particella confinata nella sfera. Ora dobbiamo considerare il
laplaciano nella sua forma completa. Analogamente al caso precedente, si può assumere che la parte
angolare debba essere quella determinata dal moto sulla sfera:
1 d 2 dR l(l + 1) 2m
2
r − 2
R + 2 ER = 0 (5.59)
r dr dr r h̄
1 d2
rR − κ2 R = 0 (5.60)
r dr2
q
dove κ = 2mE/h̄2 . La soluzione finita a r = 0 è
sin(κr)
R(r) = A (5.61)
r
h̄2 n2 π 2
E= (5.62)
2I
Esempio 31. Normalizzate l’autofunzione radiale. Ricordate che nel passaggio da coordinate
cartesiane a coordinate sferiche si ha che:
Z Z Z Z Z Z
dx1 dx2 dx2 f (x1 , x2 , x3 ) = drr2 dθ sin θ dφf (r, θ, φ)
5.7. OSCILLATORE ARMONICO 73
mω 2 2
V (x) = x (5.63)
2
ω è la frequenza dell’oscillatore. Consideriamo l’hamiltoniano del sistema:
−
h̄2 d2 mω 2 2
+ x ψE (x) = EψE (x) (5.64)
2m dx2 2
q
mω
Introduciamo per comodità di calcolo la coordinata adimensionale ξ = h̄
x. L’equazione in ψ(ξ)
diviene:
µ ¶
d2 2E
ψ +
2 E
− ξ 2 ψE = 0 (5.65)
dξ h̄ω
La funzione ψ deve essere finita per ξ → ∞; per x molto grandi si può trascurare il termine in E
rispetto a ξ 2 , quindi la funzione si deve comportare asintoticamente come exp(−ξ 2 /2):
dove χ(ξ) può anche divergere con ξ → ∞, ma non più velocemente di exp(−ξ 2 /2); possiamo perciò
ottenere l’equazione in χ(ξ):
µ ¶
d2 χ dχ 2E
2
− 2ξ + −1 χ=0 (5.67)
dξ dξ h̄ω
La soluzione generica all’equazione differenziale precedente, con la condizione al contorno che per
ξ → ∞ la funzione χ non cresca più rapidamente di una potenza finita di ξ (in modo che comunque
ψE vada a zero per ξ → ∞, è data dai polinomi di Hermite, con il vincolo che
2E
− 1 = 2n (5.68)
h̄ω
ed n deve essere naturale. Le autofunzioni di un oscillatore armonico monodimensionale sono
dunque proporzionali ai polinomi di Hermite, con autovalori quantizzati dall’indice n. La costante
di proporzionalità è determinabile, come sempre, dalla condizione di normalizzazione della funzione
d’onda. Sostituendo di nuovo x al posto di ξ infine si trova:
µ ¶1/4 µ ¶ "µ ¶1/2 #
mω 1 mω 2 mω
ψn (x) = exp − x Hn x (5.69)
πh̄ (2n n!)1/2 2h̄ h̄
74 CAPITOLO 5. SISTEMI RISOLVIBILI ANALITICAMENTE
analogamente al caso della particella in tre dimensioni (e in generale in tutti i casi in cui il potenziale
sia scritto come una somma di potenziali separati agenti ciascuno su una coordinata), possiamo
scrivere gli autostati come il prodotto degli autostati lungo ciascuna coordinata
µ ¶1/4 µ ¶ "µ ¶1/2 #
mωi 1 mωi 2 mωi
ψn1 ,n2 ,n3 (x) = Π3i=1 exp − x Hni xi (5.72)
πh̄ n
(2 ni !)
i 1/2 2h̄ i h̄
h̄2 ∂ 2
− ψE (x) + D(1 − e−αx )2 ψE (x) = EψE (x) (5.75)
2m ∂x2
V(x)
∂ 2χ ∂χ
ξ 2
+ (2s + 1 − ξ) + nχ = 0 (5.79)
∂ξ ∂ξ
La soluzione generica è detta funzione ipergeometrica confluente e si scrive in generale χ = F (−n, 2s+
1, ξ); sappiamo che χ deve essere finita per ξ → 0; per ξ → ∞ χ non può tendere all’infinito più
rapidamente di una potenza finita di ξ. Queste condizioni si ottengono dallo studio delle proprietà
76 CAPITOLO 5. SISTEMI RISOLVIBILI ANALITICAMENTE
delle funzioni ipergeometriche confluenti, solo nel caso n intero non negativo. Da ciò segue che le
autoenergie discrete sono:
"
µ ¶#2
αh̄ 1
En = D 1 − 1 − √ n+ (5.80)
2mD 2
√
Si noti che se αh̄/ 2mD > 2 non esistono autovalori discreti. Il potenziale di interazione tra gli
atomi di una molecola biatomica può essere rappresentato in modo qualitativo da una curva di
Morse. In realtà possiamo interpretare un sistema rappresentato dalla curva di Morse come un
esempio di oscillatore anarmonico.
I momenti angolari
Nel Capitolo (1), dedicato ad un breve ripasso dei principi fondamentali della meccanica classica,
abbiamo definito il momento angolare di una particella come L~ = ~r × p~. Esprimendo le componenti
~ abbiamo
di L
Possiamo costruire l’equivalente operatore quantomeccanico per il momento angolare di una parti-
cella usando il principio di corrispondenza
h̄ ∂ ∂ h̄ ∂ ∂ h̄ ∂ ∂
Lx = y −z Ly = z −x Lz = x −y (6.2)
i ∂z ∂y i ∂x ∂z i ∂y ∂x
79
80 CAPITOLO 6. I MOMENTI ANGOLARI
dove ²ijk è il tensore di Levi-Civita o tensore di unità assiale: le sue 27 componenti sono pari a +1
se gli indici i, j, k sono una permutazione pari di 1,2,3, −1 se sono una permutazione dispari, zero
altrimenti. Dalle precedenti espressioni possiamo ricavare finalmente le operazioni di commutazione
del momento angolare con se stesso
[Lx , Lx ] = 0 [Lx , Ly ] = iLz [Lx , Lz ] = −iLy
[Ly , Ly ] = 0 [Ly , Lz ] = iLx [Ly , Lx ] = −iLz (6.7)
[Lz , Lz ] = 0 [Lz , Lx ] = iLy [Lz , Ly ] = −iLx
o in forma compatta
Relazioni analoghe valgono per il momento angolare di un sistema di particelle o di un corpo rigido
(vedi Capitolo (1)), le cui componenti indichiamo nel seguito con il simbolo J i
[J i , J j ] = i²ijk J k (6.10)
[J 2 , J x ] = [J 2 , J y ] = [J 2 , J z ] = 0 (6.11)
e come vedremo in seguito, per le componenti del momento angolare di spin di una particella o
di un sistema di particelle. In generale possiamo definire un operatore vettore come un operatore
momento angolare se valgono relazioni di commutazione analoghe alle (6.8) e (6.9).
dove definiamo con ˆl± = ˆlx ± ˆly gli ’operatori scaletta’ che, vedremo, hanno molte interessanti
caratteristiche. Il termine ’operatori scaletta’ od ’operatori di spostamento’ dipende dalla loro
azione sugli autostati. Per cominciare, diamo le relazioni, facilmente dimostrabili
dove a e m numeri per ora arbitrari. Grazie alle relazioni (6.14), si verifica che
quindi ˆl+ ed ˆl− aumentano o diminuiscono di un’unità gli autovalori di ˆlz . Poichè invece commutano
con ˆl2 non hanno effetto sui valori di a. Dalle relazioni precedenti segue che
dove c± sono costanti da definirsi. I due operatori di spostamento sono aggiunti l’uno dell’altro;
dunque ha, m|ˆl+ ˆl− |a, mi ≥ 0 (dimostratelo) è hermitiano, perciò ha, m|ˆl2 − ˆlz (ˆlz + 1)|a, mi = a −
m(m + 1) ≥ 0. Partendo dal valore di attesa di ˆl− ˆl+ otteniamo un’espressione analoga; in definitiva
valgono le seguenti disequazioni
a − m(m ± 1) ≥ 0 → a ≥ m2 (6.18)
Per ogni a abbiamo perciò una valore minimo e massimo di m, che chiamiamo m e m. Poichè per
definizione ˆl+ |a, mi = ˆl− |a, mi = 0 e quindi a − m(m + 1) = a − m(m − 1). Segue che il valore
massimo e minimo sono legati dalla relazione m2 + m − m(m − 1) = 0, ovvero m = m − 1 (da
82 CAPITOLO 6. I MOMENTI ANGOLARI
1 ∂2 1 ∂ ∂
L2 = − 2 2
− sin θ (6.22)
sin θ ∂φ sin θ ∂θ ∂θ
2
si noti che L2 = −M̂ , operatore legendriano, già incontrato durante lo studio del moto di una
particella su una sfera. Le autofunzioni di L2 e ˆlz sono dunque le armoniche sferiche, giv̀iste nella
medesima occasione
L2 Ylm (θ, φ) = l(l + 1)Ylm (θ, φ) (6.23)
Lz Ylm (θ, φ) = mYlm (θ, φ) (6.24)
con l ≥ 0 intero, e −l ≤ m ≤ l. Le funzioni armoniche sferiche possono essere scritte nella forma
v
lu
u
(−1) t (2l + 1)(l − |m|)! |m|
Ylm (θ, φ) = l
Pl (cos θ)eimφ (6.25)
2 l! 4π(l + |m|)!
|m|
le funzioni Pl (x) sono dette funzioni associate di legendre di grado l e ordine |m| e sono definibili
in funzione dei polinomi di Legendre (vedi Appendice (A))
|m| d|m|
Pl (x)(1 − x2 )|m|/2 Pl (x) (6.26)
dx|m|
6.4. IL ROTATORE RIGIDO 83
h̄2 2
H=− L (6.28)
2I
Le auofunzioni del rotatore sono dunque le armoniche sferiche Ylm (θ, φ) con autovalori
h̄2 l(l + 1)
El = (6.29)
2I
ogni livello energetico è degenere 2l + 1 perchè corrisponde ai possibili autostati di Lz .
84 CAPITOLO 6. I MOMENTI ANGOLARI
Capitolo 7
L’equazione di Schrödinger
In questa dispensa sarà data un’introduzione schematica alle metodiche di calcolo più comuni per
la determinazione di funzioni d’onda elettroniche. Le tecniche di calcolo quanto-meccanico permet-
tono la previsione ed ottimizzazione di geometrie molecolari e lo studio di proprietà molecolari (mo-
mento di dipolo, polarizzabilità, densità elettronica etc.) a partire dalla definizione dell’operatore
hamiltoniano di una data specie chimica, e dalla soluzione numerica dell’equazione di Schrödinger
corrispondente.
Tradizionalmente, le tecniche di calcolo vengono classificate in
• metodi ab initio: calcoli autoconsistenti di Hartree-Fock (HF), interazione di configurazione
(CI); l’equazione di Schrödinger viene risolta in modo ‘esatto’ (mediante un’espansione della
funzione d’onda su una base di funzioni note, o mediante l’applicazione di tecniche perturba-
tive);
• metodi semiempirici: metodi di Hückel, Hückel esteso, PPP, i vari metodi NDO (neglect of
differential overlap); varie approssimazioni e parametrizzazioni sono introdotte per semplifi-
care gli integrale numerici a uno, due o più elettroni che sono definiti nell’approccio esatto.
I metodi ab initio consentono una buona definizione del problema quantomeccanico, essendo basati
fondamentalmente sull’hamiltoniano esatto del sistema molecolare, e dunque in principio definito
solo da informazioni sulla struttura della molecola e di costanti fondamentali. La dimensione del
problema di algebra lineare (diagonalizzazione di matrice) correlato ad un calcolo ab initio per un
sistema molecolare di N elettroni cresce almeno come N 2 : molecole di media complessità possono
già costituire un serio problema computazionale. D’altra parte, i metodi semiempirici sono in grado
di trattare in modo veloce ed efficiente anche il calcolo delle strutture di equilibrio di molecole
organiche di notevole complessità. Non sempre però l’hamiltoniano approssimato è definito in
modo chiaro, nè la parametrizzazione degli integrali elettronici scelta per un determinato metodo
semiempirico, in modo da ottimizzarne i risultati per determinate classi di molecole, consente di
ottenere buoni risultati in diverse condizioni o per altre classi di sistemi molecolari.
85
86 CAPITOLO 7. L’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER
HOMO del pirrolo calcolato con il metodo Extended Hückel (isosuperficie a 0.06 unità atomiche).
h̄ ∂
− Ψ({~ri }, t) = HΨ({~ri }, t) (7.1)
i ∂t
N
X p~2i
T = (7.2)
i=1 2mi
7.1. L’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER: INSIEME DI PUNTI MATERIALI 87
h̄ ∂
p~i = (7.3)
i ∂~ri
e dunque l’operatore energia cinetica può essere scritto anche nella forma
h̄2 X
N
1 ˆ2
T =− ∇ (7.4)
2 i=1 mi i
2
dove ∇ˆ i è l’operatore di Laplace relativo alla particella i-esima. La funzione d’onda è definita quando
siano stabilite delle condizioni iniziali, ovvero lo stato del sistema al tempo t = 0 e le condizioni
al contorno, ovvero l’integrabilità della funzione d’onda. La soluzione formale dell’equazione di
Schrödinger é data nella forma:
µ ¶
iHt
Ψ({~ri }, t) = exp − Ψ({~ri }, 0) (7.5)
h̄
con la condizione di integrabilità
Z
hΨ|Ψi = d~rΨ({~ri }, t)∗ Ψ({~ri }, t) = 1 (7.6)
dove d~r = d~r1 d~r2 . . . d~rN . La funzione d’onda generica è ottenibile come un’espansione rispetto alle
autofunzioni dell’hamiltoniano
X
Ψ({~ri }, t) = exp(−iEn t/h̄)Ψn ({~ri })hΨn ({~ri })|Ψ({~ri }, , 0)i (7.7)
n
ˆ 2e e ∇
dove con ∇ ˆ 2R indichiamo il laplaciano rispetto ai vettori ~re e R.
~ I gradi di libertà complessivi del
sistema sono dunque 6. L’atomo di elio, He, è un sistema descritto da tre particelle tridimensionali
e
1
|R - r |
1
He
|r - r |
1 2
|R - r |
2
r
1
R
e2
r
2
dove con ∇ ˆ 2 indichiamo i laplaciani rispetto a ~r1 e ~r2 . I gradi di libertà complessivi del sistema
1,2
sono dunque 9. In Fig. 1 viene riportato uno schema delle coordinate nell’ambito di un sistema di
riferimento inerziale (di laboratorio).
La molecola di idrogeno ionizzata, H+2 , è ancora un sistema descritto da tre particelle tridimen-
sionali (due nuclei e un elettrone). L’hamiltoniano è dato come:
à !
h̄2 ³ ˆ 2 ˆ 2
´ h̄2 ˆ 2 e2 1 1 e2 1
H=− ∇A + ∇B − ∇e − + + (7.11)
2mH 2me 4π²0 ~ A − ~re |
|R ~ B − ~re |
|R ~ ~ A|
4π²0 |RB − R
dove con R~ A ed R
~ B indichiamo la posizione dei nuclei, con ~re quella dell’elettrone. I gradi di libertà
complessivi del sistema sono sempre 9.
Definiamo ora con un certo grado di generalità l’hamiltoniano, limitato ai soli termini di in-
terazione elettrostatica, per una molecola di M nuclei ed N elettroni. Siano R ~ p (p = 1, . . . , M ) i
vettori posizione dei nuclei e ~ri (i = 1, . . . , N ) i vettori posizione degli elettroni. L’hamiltoniano
molecolare non-relativistico con i soli termini elettrostatici è allora scritto come:
h̄2 X
M
1 ˆ 2 h̄2 X N
ˆ 2 e2 M,M
X Zp Zq e2 N,N
X 1 e2 M,N
X Zp
H=− ∇p − ∇i + + − (7.12)
2 p=1 mp 2me i=1 ~ ~ ~
4π²0 p<q |Rp − Rq | 4π²0 i<j |~ri − ~rj | 4π²0 p,i |Rp − ~ri |
È conveniente nel seguito introdurre un insieme di unità di misura ad hoc, dette unità atomiche,
che permettano di definire grandezze fisiche riscalate in modo semplice. Nella Tabella 1 sono
definite le principali unità atomiche: di particolare importanza sono l’unità di lunghezza, detta
Bohr, e l’unità di energia, chiamata Hartree. Nel seguito si useranno sempre unità atomiche, se non
Indichiamo per semplicità con gli indici i, j coordinate elettroniche, con gli indici p, q coordinate
nucleari.
Esempio 36. Vogliamo scrivere l’hamiltoniano molecolare per un sistema con nuclei a spin
nullo, non-relativistico ed in assenza di interazioni con campi esterni. L’hamiltoniano molecolare
si può descrivere in prima approssimazione come dato da tre termini principali
H = H0 + HSO + HSS
Il primo contributo è dato dall’operatore relativo all’energia cinetica + elettrostatica (7.13). Il sec-
ondo contributo corrisponde al termine di interazione spin-orbitale, vale a dire tra il momento di
spin (vedi Capitolo 8) di ciascun elettrone e il moto spaziale dell’elettrone stesso
X 1
HSO = −gβe2 ˆ j + sj · rij × ∇
(2si · rij × ∇ ˆ j)
3
i6=j rij
Parecchi termini di interazione al secondo ordine sono stati trascurati nella definizione (7.2). I
nuclei sono considerati come aventi momento di spin nullo. Nei calcoli di strutture elettroniche si
considera di solito solo il primo termine.
dove M è la massa totale del sistema; definiamo inoltre N coordinate vettoriali ~xi che specificano la
posizione degli elettroni rispetto al baricentro dei soli nuclei ed infine 3M − 3 coordinate ’interne’
QI (con I = 1, . . . , 3M − 3) per i nuclei, che descrivono il moto rotazionale e vibrazionale della
7.4. SEPARAZIONE DELLE COORDINATE ELETTRONICHE 91
molecola e che si possono esprimere, per esempio [cfr. Appendice (C)] come combinazioni lineari
delle coordinate vettoriali dei nuclei. In pratica siamo esattamente nelle condizioni descritte in
Appendice (C) dove gli elettroni sono le particelle leggere e i nuclei le particelle pesanti. Usiamo le
conclusioni che sono tratte in Appendice (C) per scrivere l’hamiltoniano nelle forma
Hnu = T nu (7.18)
dove le coordinate vettoriali elettroniche sono definite relativamente al baricentro; la forma esatta
dell’energia cinetica nucleare T nu dipende dalla scelta delle coordinate interne QI nucleari; le com-
ponenti dei vettori R~ p −~ri etc. sono funzioni di dette coordinate interne e dei vettori ~xi . Indichiamo
con ∇ˆ i il gradiente relativo a ~xi e cosı́ via. Il primo contributo Hc è relativo al moto traslazionale
del baricentro. Il secondo termine è dato dalla somma dell’energia cinetica elettronica, corretta con
un termine dipendente dall’inverso della massa totale del sistema detto di polarizzazione di massa,
e dell’energia potenziale elettroni-elettroni ed elettroni-nuclei. Il terzo termine descrive il moto nu-
cleare roto-vibrazionale. Si noti che l’energia potenziale nucleare è stata inclusa nell’hamiltoniano
elettronico, per convenzione.
che dipendono parametricamente dalle coordinate nucleari Q, con autovalori ²n (Q). Le autofunzioni
Ψn costituiscono una base ortonormale per lo spazio di Hilbert in x. Il seguente sviluppo è perciò
del tutto generale:
X
Ξ(Q, x) = Φn (Q)Ψn (Q|x) (7.21)
n
che fornisce un sistema di equazioni per determinare le funzioni incognite Φn (Q). Si noti che
l’integrazione hldotsi è rispetto a x. Sinora non è stata fatta alcuna approssimazione, e l’equazione
(7.23) è equivalente all’equazione di Schrödinger di partenza. Si danno ora varie possibilità. Dal
punto di vista fisico è lecito attendersi che ad ogni significativo cambiamento della configurazione
nucleare gli elettroni vadano incontro ad un rapido riaggiustamento, in una scala dei tempi molto più
veloce di quella tipica dei moti nucleari a causa della grande differenza di massa. È quindi ragionev-
ole attendersi che la dipendenza parametrica delle funzioni d’onda elettroniche Ψn (Q|x) sia ’debole’,
ed addirittura trascurabile in prima approssimazione. L’approssimazione di Born-Oppenheimer
consiste nel trascurare completamente questa dipendenza, cosicchè il valor medio (in generale
un’operatore agente sulle coordinate nucleari) che compare nel secondo termine della (7.23) di-
venta:
B.O.
hΨm |T nu |Ψn i = hΨm |Ψn iT nu = T nu δm,n (7.24)
• L’equazione (7.20) è alla base dell’interpretazione delle osservazioni sperimentali basate sulla
spettroscopia elettronica (UV, visibile);
• l’equazione (7.25) è utilizzata per la comprensione delle osservazioni sperimentali basate sulla
spettroscopia vibrazionale (IR);
• l’approssimazione di Born-Oppenheimer non può essere impiegata per interpretare quei fenomeni
chimico-fisici in cui vi siano interazioni forti fra elettroni e nuclei (es. scattering elettronico), o
quando in generale non sia lecito considerare la funzione d’onda elettronica come debolmente
dipendente dalle coordinate nucleari.
7.5. LA MOLECOLA DI IDROGENO IONIZZATA: HAMILTONIANO ELETTRONICO 93
A
rA
+R/2
rB
z e1
y
-R/2
x
B
e3
energetici della molecola di idrogeno ionizzata saranno in generale funzioni parametriche di R. Per
R → 0 la molecola diviene l’atomo di elio ionizzato, ed i suoi orbitali e stati energetici sono quelli
di un atomo idrogenoide con Z = 2. Per R → ∞ la molecola diviene equivalente alla coppia H + +
H. Scriviamo l’equazione di Schrödinger nella forma
µ ¶
1 ˆ2 1 1
− ∇ − − Ψ = EΨ (7.27)
2 rA rB
94 CAPITOLO 7. L’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER
1
E el = E + (7.28)
R
Introduciamo le coordinate ellissoidali µ, ν e l’angolo azimutale φ relativo alla rotazione intorno
all’asse internucleare; valgono le relazioni dirette ed inverse:
µ = rA + rB /R
ν = q rA − rB /R
x = (µ − 1)(1 − ν 2 )/R cos φ
2
(7.29)
q
y = (µ2 − 1)(1 − ν 2 )/R sin φ
z = µνR/2
con µ ≥ 1, −1 ≤ ν ≤ 1; µ descrive gli ellissoidi di rivoluzione aventi come fuochi i nuclei, mentre ν
descrive gli iperboloidi confocali di rivoluzione [cfr. Fig. (7.3)]. Il laplaciano può essere espresso in
00
11
00
11
00111111111111111111
11
111
000 000000000000000000
000
111 000000000000000000
111111111111111111
000
111 000000000000000000
111111111111111111
000
111 000000000000000000
111111111111111111
000
111 000000000000000000
111111111111111111
000
111 000000000000000000
111111111111111111
000
111 000000000000000000
111111111111111111
000
111 000000000000000000
111111111111111111
000
111 000000000000000000
111111111111111111
000
111 000000000000000000
111111111111111111
000
111 000000000000000000
111111111111111111
000
111 000000000000000000
111111111111111111
000
111 000000000000000000
111111111111111111
µ A111
000
000
111
0
1
000000000000000000
111111111111111111
0000000000000000001
111111111111111111
11111111111111111111
000000000000000000000
0
1 0
1
B
dovuta all’equivalenza delle due direzioni di rotazione attorno all’asse. I valori permessi di κ e ²
sono determinabili numericamente. In generale i vari stati, doppiamente degeneri, di H+ 2 sono sim-
boleggiati da una notazione del tipo nlαu,g dove: n ed l sono riferiti ai numeri quantici dell’orbitale
atomico idrogenoide, cfr. Appendice (B), cui l’orbitale molecolare tende per R → 0; α è un una
lettera greca σ, π, δ, φ, . . . corrispondente a |λ| = 0, 1, 2, 3, . . .; u o g corrispondono alla simmetria
dell’orbitale molecolare rispetto all’operazione di inversione rispetto al punto centrale tra i nuclei -
si può dimostrare che l’orbitale molecolare cambia di segno (u) o resta invariato (g) rispetto questa
operazione di simmetria.
96 CAPITOLO 7. L’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER
MMMMOOOOLLLLDDDDEEEENNNN
MMMOOOLLLDDDEEENNN
defaults used
CONTOUR VALUE
1 0.12500
2 0.15000
3 0.17500
4 0.20000
5 0.22500
6 0.25000
7 0.27500
8 0.30000
9 0.32500
10 0.35000
11 0.37500
12 0.40000
13 0.42500
dove L è l’operatore di momento angolare del sistema nucleare. Le coordinate angolari sono sepa-
rabili e dunque la funzione d’onda è fattorizzata in una parte radiale (vibrazionale), ed in una parte
rotazionale:
MMMMOOOOLLLLDDDDEEEENNNN
MMMOOOLLLDDDEEENNN
defaults used
CONTOUR VALUE
1 0.00000
2 0.02500
3 0.05000
4 0.07500
5 0.10000
6 0.12500
7 0.15000
8 0.17500
9 0.20000
10 0.22500
11 0.25000
12 0.27500
13 0.30000
14 0.32500
15 0.35000
16 -0.02500
17 -0.05000
18 -0.07500
19 -0.10000
20 -0.12500
21 -0.15000
22 -0.17500
23 -0.20000
24 -0.22500
25 -0.25000
............
che può essere risolta per via numerica od anche analitica, se si assume una particolare forma
funzionale per E el (R) che ne approssimi l’andamento. Consideriamo per esempio lo stato elettronico
1sσg ed approssimiamolo con un potenziale di Morse
dove a è l’elemento di matrice dell’hamiltoniano elettronico a meno del termine 1/R rispetto a
1sA (~r), b è l’elemento di matrice dell’hamiltoniano elettronico a meno del termine 1/R rispetto
a 1sB (~r), s è l’elemento di matrice di overlap tra le due funzioni, che sono normalizzate ma non
ortogonali:
−2R
a = − 12 + e−2R + e R −1 < 0
b = − 2s +
³
e−R (1 + R)´ < 0 (7.42)
2
s = e−R 1 + R + R3 > 0
Risolvendo si trovano le seguenti espressioni for i due autovalori E1 < E2 e relativi autostati
Stato fondamentale
a+b 1 1
E1 = + Ψ1 = q (1sA + 1sB ) (7.43)
1+s R 2(1 + s)
Stato eccitato
a−b 1 1
E2 = + Ψ1 = q (1sA − 1sB ) (7.44)
1−s R 2(1 + s)
7.7. SOLUZIONE APPROSSIMATA DELLA STRUTTURA ELETTRONICA 99
La scelta della base utilizzata per il calcolo approssimato dei primi due stati elettronici della molecola
di idrogeno ionizzata è stata effettuata in base al comportamento al limite di R → ∞ della molecola,
cioè assumendo che sostanzialmente gli orbitali molecolari siano ottenibili come combinazioni lineari
degli orbitali atomici idrogenoidi centrati sui nuclei (metodo LCAO, Linear Combination of Atomic
Orbitals).
100 CAPITOLO 7. L’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER
Capitolo 8
Funzioni d’onda
Le pseudo-coordinate di una particella avente spin S = 1/2 saranno quindi completamente definite
solo dopo aver specificato le coordinate spaziali (x, y, z) e il numero quantico di spin MS che può
essere 1/2 (stato α) o −1/2 (stato β).
101
102 CAPITOLO 8. FUNZIONI D’ONDA
• la probabilità di trovare 1 in q1 e 2 in q2 :
|Ψ[q1 (1), q2 (2)]|2 dq1 dq2 ;
• la probabilità di trovare 1 in q2 e 2 in q1 :
|Ψ[q2 (1), q1 (2)]|2 dq1 dq2 ;
Quindi, poiche’ si puo’ sempre scegliere una funzione d’onda in modo che sia reale (almeno in assenza
di campi vettoriali, come un campo magnetico esterno), la funzione d’onda può solo cambiare di
segno quando le coordinate delle due particelle siano scambiate fra loro:
• Tutte le particelle con momenti di spin multipli dispari di 1/2 sono descritti da funzioni d’onda
antisimmetriche; p. es.: elettrone, protone, neutrone, 32 He2+ (e i nuclei a numero di massa
dispari). Tali particelle sono dette FERMIONI e seguono la statistica di Fermi-Dirac.
• Tutte le particelle con momenti di spin multipli pari di 1/2 sono descritti da funzioni d’onda
simmetriche; p. es.: fotone (S = 1), deuterone (S = 1), 42 He2+ (e i nuclei a numero di massa
pari). Tali particelle sono dette BOSONI e seguono la statistica di Bose-Einstein.
Gli elettroni sono fermioni con S = 1/2 e di conseguenza la funzione d’onda elettronica di una
molecola deve essere una funzione antisimmetrica rispetto allo scambio di coordinate tra due elet-
troni qualunque (principio di Pauli). In generale data una collezione di bosoni indistinguibili rapp-
resentata dalla funzione d’onda Ψbosoni , se si definisce con P un generico operatore di permutazione
(che opera un certo numero di scambi tra le coordinate delle particelle, argomenti della funzione
d’onda), vale che
cioè la funzione d’onda non cambia. Se è data invece una collezione di fermioni indistinguibili, con
funzione d’onda Ψfermioni , gli scambi di coordinate portano ad un possibile cambio di segno della
funzione d’onda:
dove indichiamo con [. . .] l’integrazione in q. Una funzione d’onda elettronica è perciò sempre
rappresentabile come una combinazione lineare di spin-orbitali:
X
Ψ= ck Sk (q) (8.9)
k
In un sistema multi-elettronico, sia Sk (n) un generico spin orbitale relativo all’elettrone n, cioè
avente come argomento le pseudo-coordinate qn . Una funzione di N elettroni può essere scritta
come il prodotto delle N funzioni spin-orbitaliche:
N
Y
ΨHartree = Sk (k) (8.10)
k=1
La funzione d’onda è detta determinante di Slater. La proprietà (8.7) è infatti verificata osser-
vando che dalla definizione di determinante risulta:
1 X
Ψ= √ (−1)P PΨHartree (8.12)
N! P
104 CAPITOLO 8. FUNZIONI D’ONDA
Esempio 37. Verifichiamo che la funzione d’onda soddisfi la (8.7). Le permutazioni costituis-
cono un gruppo, quindi date due permutazioni P0 e P, P0 P è un’altra permutazione e la sua parità
è (−1)P0 +P = (−1)P0 (−1)P . Quindi:
1 X X 0
P0 Ψ = √ (−1)P P0 PΨHartree = (−1)P0 (−1)P P 0 ΨHartree = (−1)P0 Ψ
N! P P0
Il principio di esclusione di Pauli è implicito nella definizione della funzione d’onda multielettron-
ica det Ψ, poichè questa vale zero se 2 elettroni sono rappresentati dallo stesso spin-orbitale (infatti
un determinante con due colonne uguali è zero) e cambia di segno se due elettroni scambiano la
loro posizione (infatti un determinante cambia di segno se si scambiano due righe).
In letteratura sono utilizzate di frequente le notazioni alternative:
• Ψ ≡ |S1 S2 . . . SN |
• φi (j) ≡ φi (j)α(j)
• φi (j) ≡ φi (j)β(j).
Una configurazione in cui gli elettroni hanno tutti gli spin accoppiati deve essere necessariamente
una autofunzione di S 2 con spin 0 (singoletto)
S 2Ψ = 0 (8.13)
e può essere scritta a partire da N funzioni d’onda monoelettronica sotto forma del seguente deter-
minante di Slater:
Ψ = |φ1 φ1 φ2 φ2 . . . φN −1 φN −1 φN φN | (8.14)
Ψ = AΨHartree (8.15)
dove
1 X
A= √ (−1)P P (8.16)
N! P
Nel seguito di questa sezione, consideriamo alcune proprietà degli operatori permutazione, dell’operatore
A e dei determinanti di Slater, che ci saranno utili nel seguito.
quindi P † = P −1 .
A è hermitiano. Infatti:
1 X 1 X 1 X
A† = √ (−1)P P † = √ (−1)P P −1 = √ (−1)−P P −1 = A (8.21)
N! P N! P N ! −P
√
hΨ|Ψ0 i = hAΨHartree |AΨ0Hartree i = hΨHartree |A2 |Ψ0Hartree i = N !hΨHartree |A|Ψ0Hartree i (8.24)
P
hΨ|Ψ0 i = hΨHartree | P 0
P (−1) P|ΨHartree i = hΨHartree |Ψ0Hartree i = δΨ,Ψ0 (8.25)
106 CAPITOLO 8. FUNZIONI D’ONDA
Invarianza. I determinanti di Slater sono invarianti rispetto ad una trasformazione unitaria degli
spinorbitali. Sia U una matrice N × N unitaria, tale cioè che U† = U−1 , il che implica
| det U|2 = 1. Una trasformazione unitaria degli spinorbitali conserva l’ortonormalità
X X
Si0 = Sj Uji → [Si0 |Si00 ] = Uji∗ Uj 0 i0 [Sj |Sj 0 ] = (U† U)ii0 = δi,i0 (8.26)
j j,j 0
Se indichiamo con Ψ0 il determinante di Slater costruito con gli spinorbitali Si0 , abbiamo che
¯ ¯ ¯ ¯
¯ S 0 (1) S 0 (1) . . . SN 0
(1) ¯ ¯ S (1) S (1) . . . SN (1) ¯
¯ 1 2 ¯ ¯ 1 2 ¯
¯ ¯ ¯ ¯
1 ¯ S 0 (2) S 0 (2) 0
. . . SN (2) ¯ ¯
1 ¯ S1 (2) S2 (2) . . . SN (2) ¯
¯ ¯ ¯
Ψ0 = √ ¯ 1 2
¯= √ ¯ ¯ det U(8.27)
¯
N! ¯ . . . ... ... ... ¯ N ! ¯¯ . . . ... ... ... ¯
¯ ¯
¯ 0 ¯ ¯ ¯
¯ S (N ) S 0 (N ) 0
. . . SN (N ) ¯ ¯ S1 (N ) S2 (N ) . . . SN (N ) ¯
1 2
vale a dire Ψ0 = Ψ det U = Ψ exp(iφ), cioè il nuovo determinante di Slater differisce dal
vecchio solo per un fattore di fase, che è ininfluente nel calcolo dei valori di attesa.
Capitolo 9
Metodi ab-initio
dove
1 X Zk
ĥ(n) = − ∇2n − (9.2)
2 k |~
rn − R~ k|
1. si assume una forma di funzione d’onda compatibile solo con un hamiltoniano separabile dei
N elettroni;
107
108 CAPITOLO 9. METODI AB-INITIO
E = hΨ|H|Ψi (9.3)
Assumiamo che gli N spinorbitali S1 , . . . , SN siano ortonormali; diciamo VHF il sottospazio generato
dalla base S1 , . . . , SN ; per una variazione infinitesimale di ciascun spinorbitale
Ψ0 = |S10 S20 . . . SN
0
| (9.5)
P
e limitando lo sviluppo ai soli termini al primo ordine si ottiene Ψ0 = Ψ + i δΨi dove δΨi =
|S1 . . . δSi SN |. Se le variazioni δSi sono ortogonali allo spazio VHF risulta che la variazione al primo
ordine del valore di attesa dell’hamiltoniano rispetto al determinante di Slater è data da
X
δE = hδΨi |H|Ψi + hΨ|H|δΨi i (9.6)
i
Possiamo perciò affermare che la variazione infinitesimale δE è nulla al primo ordine (cioè E è
minimo) se sono indipendentemente nulli i seguenti integrali
cioè se una variazione infinitesimale di un generico spinorbitale, ortogonale a VHF , dà un contributo
nullo alla variazione del valore di attesa.
La condizione (9.7) può essere ridotta al calcolo di un integrale monoelettronico:
1 X Z 0 00 −1
hδΨi |H|Ψi = dq(−1)P (−1)P δΨi ∗Hartree P 0 HP 00 ΨHartree (9.8)
N ! P 0 ,P 00
dove si ricordi che q rappresenta l’insieme delle pseudocoordinate del sistema e ΨHartree è il prodotto
di Hartree costruito con gli N spinorbitali; nell’equazione precedente siè fatto uso della proprietà
P † = P −1 . La sommatoria su P 00 può essere sostituita con la sommatoria su P = P 0−1 P 00 , tenendo
conto del fatto che H commuta con una generica permutazione, [H, P] = 0. Si ottiene perciò che
X Z
hδΨi |H|Ψi = (−1)P dqδΨi ∗Hartree HPΨHartree (9.9)
P
e di scambio:
L’operatore di Fock dipende, tramite gli operatori di Coulonb e di scambio, dal set di spinorbitali
che definisce VHF . La condizione di stazionarietà variazionale è espressa dall’equazione
per tutti gli spinorbitali Si e qualsiasi variazione δSi ortogonale a VHF , che deve perciò essere uno
spazio chiuso rispetto a F:
Teorema l’operatore F è invariante rispetto ad una trasformazione unitaria della base che genera
lo spazio VHF
risulta invariata, e dunque l’operatore di Fock stesso risulta invariato. Un’altra importante proprietà
dell’operatore di Fock è la seguente
Infatti ĥ(1) è autoaggiunto per definizione; per gli operatori coulombiani e di scambio vale che:
h i Z ·Z ¸
1
Sa |J †n |Sb = [Sb |J n |Sa ]∗ = dq1 Sa (1)∗ dq2 Sn (2)∗ Sn (2) Sb (1) = [Sa |J n |Sb ] (9.25)
r12
h i Z ·Z ¸
∗ 1
Sa |K†n |Sb = [Sb |Kn |Sa ] = ∗
dq2 Sa (2) ∗
dq1 Sn (1) Sb (1) Sn (2) = [Sa |Kn |Sb ] (9.26)
r12
Poichè F non genera spinorbitali che appartengono allo spazio complementare a VHF , una volta nota
una base ortonormale completa di spinorbitali in cui i primi N elementi siano base per lo spazio
VHF stesso, l’operatore di Fock è rappresentabile come una matrice diagonale a blocchi, ovvero
(F)ij = [Si |F|Sj ] vale 0 se 1 ≤ i ≤ N e j ≥ N + 1 o i ≥ N + 1 e 1 ≤ j ≤ N . Per mezzo di
una trasformazione unitaria della base ortonormale iniziale possiamo sempre rendere diagonale la
matrice F, vale a dire possiamo sceglere come base ortonormale l’insieme di autofunzioni di F:
FSi = ²i Si i = 1, . . . , N, N + 1, . . . (9.27)
1. scelta di una base di spinorbitali e selezione di una sottobase, cioè dello spazio VHF
3. diagonalizzazione di F
4. confronto delle prime N autofunzioni di F e della base; iterazione della procedura dal punto
2. fino al raggiungimento della condizione di autoconsistenza, ovvero della indistinguibilità (a
meno di qualche opportuno criterio di precisione numerica) tra le prime N autofunzioni di F
e della base.