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Schubert
31 Gennaio 2016
Sì, lo so.
c’è un tiglio,
ed anche nell’oscurità
ma non mi voltai.
Il brano, uno dei più celebri del ciclo, comincia con una serie di arpeggi
veloci in maggiore, una cascatella di note, e alla fine della progressione la
mano destra ci suona due quinte, che ci ricordano dei corni, come un
segnale per qualcosa di lontano. Questa caratterizzazione musicale ci porta
subito in un’atmosfera apparentemente serena e placida, ma con degli
aspetti che ci collocano quasi fuori dal tempo, in uno spazio onirico. Gli
elementi sono descritti con velocità ed efficacia, ci viene mostrato un locus
amoenus, l’ombra di un tiglio, dove un uomo è solito riposarsi dagli
affanni, eppure c’è dell’altro. C’è qualcosa che attira il “personaggio” verso
quel tiglio, ma non sa ancora cosa, forse semplicemente la nostalgia verso
una donna amata in passato, per la quale incideva nella sua corteccia
“molte parole d’amore”. Il tiglio, nonostante ciò, è sempre presente, nella
gioia e nel dolore.
Quello che è evidente è che dietro queste frasi ci sia un “mondo” nascosto,
qualcosa che non possiamo percepire con un ascolto distratto, ma a
spiegarvi quale sia questo mondo ci ha già pensato Thomas Mann,
quindi lascerò parlare lui, dopo una breve contestualizzazione. Hans
Castorp, il protagonista del romanzo, ambientato nel 1912, è un giovane
ingegnere, venuto a trovare il cugino malato in una casa di cura sulle alpi
svizzere.Il suo soggiorno dovrebbe durare solo poche settimane, ma
sarà “costretto” a restare più del previsto in quella struttura fuori dal
tempo, dal momento che anche a lui viene diagnosticata un’infezione che si
rivelerà essere poi tubercolosi. Nel frattempo, nella pianura, luogo adibito
alle preoccupazioni umane, del tutto fuori luogo nell’ordine di pensiero
della “montagna”, arrivano sentori di un avvenimento destinato a
sconvolgere le sorti dell’Europa e del mondo. Ora, cosa c’entra tutto questo
con Schubert? Giuro che adesso ci arrivo, se avrete la pazienza di seguirmi,
per citare Alberto Angela.
Era la morte.
Ma no, questa è pazzia!? Una canzone così meravigliosa! Capolavoro puro,
nato dalle profondità più intime e più sacre dell’anima popolare; (…)
Eppure dietro quel puro prodotto dell’ingegno c’era la morte. Esso
intratteneva con la morte relazioni che si potevano amare, non però senza
rendersi ragione(…) di una certa immoralità di tale amore. Poteva darsi
che, secondo la sua essenza originaria, esso non simpatizzasse con la
morte, che fosse qualcosa di intensamente vivo al modo popolare; ma la
simpatia spirituale per esso era simpatia per la morte; pura religiosità,
essenza di contemplazione, all’inizio, non si poteva contestarlo, ma con
successivi risultati di tenebre.”
“La “tendenza al ritorno” al mondo spirituale, l’allontanamento
dall’interesse per l’uomo, è il contrario della vita, è per Settembrini “la
malattia”dell’uomo. Il “pericolo” di ascoltare Schubert, è la tentazione, il
fascino che esso esercita, un fascino che potrebbe “sottomettere il mondo”,
sul quale si potrebbero addirittura fondare regni. Perciò, come risolvere la
questione? “Era così bello e degno morire per la canzone magica! Ma chi
moriva per essa, in realtà non moriva più per essa, ed era un eroe solo
perché moriva per il nuovo, con nel cuore la nuova parola dell’amore e
dell’avvenire”. Così cerca di conciliare la sua contraddizione Hans, le sue
due spinte opposte, restare nel sanatorio o tornare in pianura, dove lo
aspetta la guerra, e sono spinte opposte che in un modo o nell’altro
abbiamo sempre sentito tutti. Finita la “tempesta”, la canzone torna nella
tonalità maggiore dell’inizio, come se fosse tutto come prima. L’uomo del
Tiglio, forse spaventato, alla fine, deciderà di procedere per la sua via, e di
allontanarsi definitivamente da quel luogo, ma resterà sempre nelle
orecchie un mormorio, una frase appena sussurrata con un po’ di ironia:
“Lì troveresti la pace..”
Enrico Truffi