Søren Kierkegaard nasce a Copenhagen il 5 maggio del 1813, in una famiglia di
stretta osservanza protestante, egemonizzata dalla figura del padre, il mercante
Michael, che ha sposato in seconde nozze l’ex cameriera di casa, con cui già intratteneva una relazione mentre la prima moglie era ancora in vita. Michael impone al figlio - uno dei pochi sopravvissuti ai molti lutti che colpiscono la famiglia - una rigida educazione, ossessionata dal senso di un “peccato” latente ed originario, che condiziona molto la prima formazione del giovane, radicando in lui il convincimento di essere profondamente diverso rispetto ai compagni e ai coetanei, e di essere destinato ad una vita di sofferenze ed angosce. Nel 1830, Søren si iscrive alla Facoltà di Teologia della capitale danese, dove si laurea nel 1840: nel mezzo dei dieci anni, la morte della madre (1832) e del padre (1838), la scoperta della letteratura romantica tedesca (principalmente Goethe) e della filosofia di Hegel, Aristotele e Platone (Kierkegaard discuterà appunto una tesi Sul concetto di ironia in costante riferimento a Socrate), l’incontro con la diciottenne Regine Olsen, con cui Søren si fidanza. La prospettiva di un’esistenza normale e “borghese” (gli studi, la famiglia, la possibilità di diventare pastore luterano si infrange subito, quando Søren, con una scelta apparentemente inspiegabile, abbandona Regine e, con l’aiuto dell’eredità paterna, si dedica alla scrittura filosofica e all’apologia della religione cristiana in polemica contro la chiesa danese, accusata di mondanità e conformismo etico. Dopo una caduta in strada, Kierkegaard si spegne a Copenhagen, dove ha vissuto praticamente tutta la vita, il 2 ottobre del 1855. Gli anni che vanno dal 1843 alla morte (avvenuta a soli quarantadue anni) sono quelli della produzione filosofica: alle pagine del Diario, che il filosofo tiene a partire dal 1834, si aggiungono opere quali Aut-Aut(Enten Eller nel titolo danese; 1843) i Discorsi edificanti e Timore e tremore (sempre del 1843), Il concetto dell’angoscia (1844), Stadi sul cammino della vita (1845), La malattia mortale (1849) e l’Esercizio del Cristianesimo (1850). Da notare che tutti gli scritti filosofici, a differenza di quelli religiosi, sono pubblicati sotto pseudonimo, quasi a voler porre una barriera tra sé e gli altri e, al tempo stesso, per suggerire una chiave di lettura ai propri scritti (come nel caso degli alter ego di Victor Eremita, Johannes de Silentio e Anti-Climacus). Come si vede, nella riflessione kierkegaardiana si intrecciano costantemente molti piani: la riflessione sull’essenza e l’esistenza umana (che per alcuni fa del filosofo danese il primo degli “esistenzialisti”), lo spiccato interesse per la problematica del Cristianesimo (con un arco di letture molto eterogeneo, che va da San Paolo ai mistici) e per la vis polemica contro gli avversari (dato che, nel momento in cui tutti si dichiarano cristiani, poi “conducono la loro vita, in stragrande maggioranza, in tutt’altre categorie”), l’inclinazione ad una scrittura fortemente autobiografica ed antiaccademica. Centrale in Kierkegaard è allora il problema etico-esistenziale, attraverso cui Søren contesta l’intera filosofia hegeliana, e una costante ricerca della “verità”, che diventa assillo personale e tormento intimo per lo stesso filosofo.