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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA

DIPARTIMENTO DI STUDI UMANISTICI


CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN FILOSOFIA

JACQUES LACAN: L’IO, L’ALTRO E IL DESIDERIO

Tesi di laurea di YURI MELIS

Relatore: Chiar.mo Prof. LUCA VANZAGO

Correlatore: Chiar.mo Prof. SIMONE REGAZZONI

Anno accademico 2014-2015


INDICE

Introduzione 3

Cenni biografici 4

Capitolo 1: la strutturazione del soggetto 6

1.1 soggetto dell’inconscio 6

1.2 La divisione tra soggetto e significante 11

1.3 La dialettica dall’Altro 14

1.4 Lo stadio dello specchio 19

Capitolo 2: il desiderio 23

2.1 Il soggetto del desiderio 23

2.2 La famiglia del desiderio 26

2.3 L’amur come desiderio 31

Conclusione 34

Bibliografia 35

Ringraziamenti 37

2
Introduzione

La teorizzazione lacaniana rappresenta una sintesi tra le due anime che hanno composto,

sino a Lacan stesso, la cultura filosofica: l’anima soggettivista e l’anima strutturalista.

L’influenza del soggettivismo si evince, ad esempio, dall’utilizzo a fine esemplificativo che

Lacan opera dei testi di Socrate in seno ai suoi seminari; parimenti la mediazione di

Kojève sulla dialettica hegeliana e la corrente fenomenologica-esistenzialista concorrono

alla strutturazione idealistica del soggetto.

Sul versante dello strutturalismo, l’esperienza di Levy-Strauss, in particolar modo il

concetto dell’autonomia dell’ordine simbolico a cui la soggettività resta consegnata,

trovano collocazione ed elaborazione nel pensiero lacaniano. Questa doppia “filiazione” –

Hegel, Kojéve, Heidegger, Sarte da una parte, De Saussure, Jakobson, Levy-Strauss,

Althusser dall’altra – esprime la condizione storico-filosofica a partire da cui si è venuta a

formare la riflessione sul soggetto compiuta da Lacan.

Attraverso il “ritorno a Freud”, che ne ha permeato in maniera preponderante il pensiero,

Lacan introduce e definisce i registri del simbolico, dell’immaginario e del reale, ovvero il

perno concettuale dello sviluppo teorico del suo insegnamento.

Lo spostamento progressivo da un registro all’altro non nega o elimina il registro iniziale a

favore di quello a cui si giunge, ma è lo stesso movimento a permettere l’elaborazione di

nuove configurazioni. La riflessione che compie è un capovolgimento del sapere

psicoanalitico post-freudiano, reso, quest’ultimo, oggetto di una critica costruttiva volta

all’introduzione in ambito psicoanalitico di nozioni, concetti e terminologie propri di altri

ambiti del sapere.

3
Cenni biografici

Jacques-Marie-Emile Lacan nasce il 13 aprile 1901 a Parigi da Emilie Baudry e Alfred

Lacan. La rigida devozione cattolica della famiglia, esponente della media borghesia

parigina, permea l’ambiente educativo della sua infanzia e della prima adolescenza.

Frequenta il prestigioso collegio Stanislas dove riceve una formazione classica, che lo porta

a interessarsi allo studio della filosofia secondo quell’approccio didattico eterogeneo e

generalista tipico dell’erudizione giovanile. Un’altra esperienza formativa ed umana che

contraddistingue la sua adolescenza è la frequentazione degli ambienti intellettuali dei

surrealisti e dadaisti. In una fase successiva frequenta l’università di medicina e si

specializza in psichiatria, sotto l’egida di Gaetan Gatian de Clèrambault, uno dei suoi

docenti di riferimento. Nel 1930, nell‘ambito di uno stage, incontra e frequenta Carl

Gustav Jung, e nel 1931 pubblica i suoi primi lavori psicoanalitici: Strutture delle psicosi

paranoiche e Scritti: Schizografia. Sono, questi, gli anni in cui il suo contributo alla

psicoanalisi inizia a delinearsi in maniera preponderante.

Nel 1932 la pubblicazione della sua tesi Della psicosi paranoica nei suoi rapporti con la

personalità riscontra un discreto successo nell’ambiente intellettuale e psichiatrico parigino:

i surrealisti, in particolare, mostrano interesse alle sue idee che ricevono anche l’elogio di

Salvador Dalì. Tra il 1933 e il 1937, Lacan frequenta assiduamente le lezioni di Alexandre

Kojève sulla Fenomenologia dello spirito di Hegel; tra i suoi “compagni” di lezione figurano

anche altre importanti personalità intellettuali come Sartre, Bataille, Levinàs che ne

influenzeranno in futuro la metodologia .

Nel 1949, in occasione del XVI congresso internazionale di psicoanalisi di Zurigo, presenta

una relazione intitolata Lo stadio dello specchio come formatore e funzione dell’io, una delle

opere che segnano l’incipit della sua teoria più famosa: «Lo stadio dello specchio».

Nel corso del 1952 è direttore dell'Institut de psychanalyse.

Il 20 gennaio1953 viene eletto presidente della Société psychanalytique de Paris, ma alcuni

mesi dopo, il 16 giugno 1953, è costretto a dimettersi poiché è ritenuto responsabile di aver

sostenuto, e anzi fomentato, le dure critiche rivolte da un gruppo di "allievi" indicati come

4
colpevoli del tentativo di riduzione della psicanalisi "nell'ambito delle scienze mediche e

della neurobiologia". Si distacca quindi dalla SPP fondando la Société française de

psychanalyse (SFP), che rivendica una profonda diversità "di ordine morale ma non

teorico" nei confronti della SPP e identifica il proprio obiettivo nella costituzione di un

Istituto e di una Società Psicanalitici basati sul rispetto e sulla collaborazione reciproca.

Successivamente Lacan, nella relazione Fonction et champ de la parole et du langage en

psychanalyse, approfondisce la polemica con gli analisti dell'Istituto di Parigi ed entra in

conflitto con i principali ambienti psicoanalitici degli Stati Uniti, tacciati di essere fautori di

una mistificazione e di un disconoscimento ideologico dell'insegnamento di Freud, nonché

di un impoverimento sistematico, in ambito terapeutico-psicoanalitico, dell’importanza e

della centralità delle funzioni della parola e del campo del linguaggio. Questo tipo di

critiche e di polemiche, sostenute da Lacan in modo sempre più esplicito, portano ad un

irrigidimento delle posizioni dell'Associazione psicanalitica internazionale, che nel 1963

chiede, come condizione per il riconoscimento della SFP, l'allontanamento di Lacan,

considerato "inaccettabile come didatta". Lacan è così costretto a dimettersi dal direttivo

della SFP, al cui interno si delineano le condizioni per una nuova scissione.

Nel 1964 proseguono i seminari del mercoledì, tenuti da Lacan, fin dal 1953, presso la clinica

Saint-Anne e poi l'École pratique des hautes études. Fonda l'École française de

psichanalyse, che diviene in seguito l'École freudienne de Paris (EFP).

Nel 1965 pubblica gli Scritti (Écrits) e nel 1968 esce il primo numero della rivista Scilicet,

con scritti di Lacan e dei suoi allievi.

A partire dal 1972 inizia la pubblicazione dei Seminaires, tra le opere più importanti della

bibliografia lacaniana. Il 5 gennaio 1980 Lacan propone lo scioglimento dell'EFP e il 21

febbraio dello stesso anno fonda la nuova associazione La cause freudienne.

Sostenitore di un "ritorno a Freud" contro le deviazioni di certe correnti della psicanalisi e

dei neo-freudiani americani, identifica nel sovvertimento della concezione tradizionale

della soggettività, che è fatta risalire a Cartesio, la vera rivoluzione del pensiero freudiano.

Lacan è universalmente considerato una figura di primo piano della cultura e del

movimento psicanalitico francesi. Si spegne il 9 settembre 1981.

5
CAPITOLO 1

La strutturazione del soggetto

«Il soggetto non è padrone del senso, è in mancanza,

è in assenza di senso.

Il senso di un’espressione sfugge sempre

a chi la enuncia e in fondo è

l’Altro a dare al linguaggio il suo senso» 1

Di seguito si procederà ad un approfondimento dell’evoluzione del soggetto lacaniano,

dalla base dell’inconscio alla formazione dell’io.

1.1 Il soggetto dell’inconscio

Che cosa è il soggetto dell’inconscio? Per rispondere a tale quesito occorre operare una

discriminazione concettuale tra il soggetto e l’io freudiano; Lacan distingue il soggetto

dell’enunciato (le moi) dal soggetto dell’enunciazione (le je); il soggetto della psicoanalisi (le

je) si riferisce all’inconscio e la trama dell’inconscio si configura come un discorso che abita

il cuore dell’Io (le moi), ovvero:

1 J.P. Sartre, L’essere e nulla, ediz. Il saggiatore, 2024, p. 458.


6
« Indubbiamente, il vero io (je) non sono io. Ma questo non è sufficiente, dato che ci si può sempre

mettere a credere che l’io non sia che un errore dell’io (je), un punto di vista parziale, una semplice

presa di coscienza di cui basterebbe allargare la prospettiva, abbastanza per scoprire la realtà da

raggiungere nell’esperienza analitica[...] l’io non è l’io (je), non è un errore, nel senso in cui la

dottrina classica ne fa una verità parziale.L’io letteralmente un oggetto che adempie a una certa

funzione che chiamiamo funzione immaginaria » 2 .

Analizzando il saggio di Freud L’Io e L’Es, si capisce come Freud mantenga le distinzioni

tra le varie sfere della psiche: inconscio, percezione e conoscenza. Si evince altresì come

egli introduca una tripartizione volta a definire la funzione psichica dell’Es, dell’Io e del

Super-io. «Un individuo è per noi un Es psichico, ignoto e inconscio, sul quale poggia nello strato

superiore l'Io, sviluppatosi dal sistema P come da un nucleo […] L'Io non è nettamente separato

dall'Es, ma sconfina verso il basso fino a confluire con esso»3. Questa distinzione muove dalla

consapevolezza, tipicamente freudiana appunto, che l’Io si manifesti solo in parte nella

coscienza. Ponendo L’Io anche in relazione alla sfera nell’inconscio, Freud disgrega la

convinzione che l’Io sia esclusivamente un agente cosciente, sostiene che sia la parte più

superficiale dell’apparato psichico, e che si costituisca come mediazione tra i bisogni

pulsionali propri dell’Es e gli impulsi del mondo esterno. Il concetto di chiarificazione

dell’inconscio, strutturale nel sistema freudiano, è fondamentale nelle tematiche lacaniane.

L’inconscio (Es) è la sede o sfera psichica di quei contenuti e rappresentazioni che in

conseguenza all’intervento della rimozione non si sviluppano e non raggiungono la

coscienza. Non si tratta un abisso, o di una sacca di contenimento di ciò che è stato

rimosso, ma è il luogo psichico dove trovano accoglimento le rappresentazioni

fenomeniche e le pulsioni che “galleggiano” nel soggetto parlante: la dimenticanza di un

nome, una temporanea lacuna lessicale, il lapsus. Ma in che modo l’inconscio manifesta la

sua presenza nella coscienza? Secondo Freud l’inconscio è regolato secondo due grandi

2J. Lacan, Il seminario, Libro II. L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, Einaudi, Torino
1991, p. 53.

3 S. Freud, L’Io e l’Es, Bollati Boringhieri Opere, p. 468.


7
principi: il principio di piacere (che dirige l’inconscio stesso) e il principio di realtà, che è la

funzione regolatrice del preconscio e del conscio. Il residuo marginale verbale dell’idea tra

conscio e inconscio rappresenta la modalità con cui i processi inconsci pervengono alla

coscienza tramite la possibilità del linguaggio. In tal modo si opera una connessione tra

conscio e inconscio. Lo stesso meccanismo è condiviso dall’Io, nel rapporto tra percezione

e coscienza: l’articolazione della parola perviene alla coscienza permettendo l’articolazione

di un discorso, ovvero la connessione di rappresentazioni tra loro. La percezione di idee e

di immagini, nonché la strutturazione dei pensieri, sono essenziali per l’articolazione del

pensiero conscio. L’Io è quell’istanza che, inizialmente, si colloca tra percezione e

coscienza, presiedendo a tali processi.

«Ci siamo fatti l’idea che esista nella persona un nucleo organizzato e coerente di processi psichici

che chiamiamo l’Io di quella persona. A tale Io era legata la coscienza; esso domina le vie d’accesso

alla motilità, ossia alla scarica degli eccitamenti nel mondo esterno; l’Io è quell’istanza psichica che

esercita un controllo su tutti i processi parziali, è l’istanza psichica che di notte va a dormire e che

anche allora esercita la censura onirica.» 4

L’analisi di Freud evolve nella teorizzazione che il soggetto non agisca totalmente

nell’ambito del conscio. In alcuni pazienti analizzati da Freud si manifestano atti definiti

resistenze, ovvero un sistema di rimozione del conscio che porta il paziente a sviluppare la

percezione di una “mancanza” interiore. La non totale coerenza del sistema tra l’Io e la

percezione-coscienza, mostra così la presenza della connessione residuale dell’inconscio

con L’Io. L’Io non è la sintesi dei pensieri e delle percezioni, ma attiene alle realtà esterne e

alle pulsioni interne, ponendosi come una istanza tutt’altro che unitaria e sintetica.

Lacan afferma che l’inconscio sia strutturato come un linguaggio. Nella concezione

lacaniana non si fa riferimento a quella concezione, tipica della psicoanalisi classica, che

dipinge l’inconscio come un qualcosa di incontrollabile, selvaggio e irrazionale ove è l’Io a

regolarne la sua libertà; l’inconscio di Lacan si basa su una funzionalità autonoma e sulla

rigorosa obbedienza ad una logica stringente e strutturata. Attraverso i lapsus, gli atti

4 S. Freud, L’Io e l’Es, Bollati Boringhieri Opere, p. 479.


8
mancati, i sintomi, le falle del discorso cosciente (con riferimento alla sopraindicata

teorizzazione freudiana) « - ca parle - qualcosa parla ».

Questo elemento impersonale dell’inconscio esprime una logica che si manifesta con

procedimenti analoghi a quelli linguistici. Il “limite” che segna la differenza tra Freud e

Lacan risiede nella fisiologica impossibilità di conoscenza della linguistica da parte di

Freud, vissuto ed espressosi antecedentemente all‘affermazione della linguistica come

disciplina metodologica. Come dice Lacan stesso: «è solo che lui non poteva conoscere la

linguistica». L'intuizione freudiana secondo cui alla base delle formazioni del

compromesso (i sintomi) dell'inconscio ci sia un linguaggio articolato, viene accolta e

approfondita da Lacan con l'ausilio degli strumenti offerti dalla linguistica ad egli

contemporanea, in special modo attraverso il contributo di De Saussure (come si vedrà in

seguito nella loro specificità) .

Le definizioni «condensazione» e «spostamento», attribuite da Freud5 ai meccanismi che

operano nel lavoro onirico, equivalgono in Lacan alla «metafora» e alla «metonimia». Il

processo psichico proprio del sogno, e quindi dell'inconscio, diviene pertanto leggibile

come un procedimento linguistico. A partire dall'identificazione di inconscio e linguaggio,

si chiarisce l'assunzione del concetto a struttura, operata da Lacan. Se l'inconscio è un

sistema linguistico e se il sistema strutturalista per sua natura ci trascende, poiché vi siamo

immersi dalla nascita «a bagno nel linguaggio», prosegue Lacan, si può sostenere che non è il

soggetto a produrre il linguaggio, ma è il linguaggio a produrre il soggetto: l'uomo è

propriamente in preda al linguaggio, e come tale è in preda all'inconscio. L'Io stesso per

Lacan è in un certo senso un sintomo, una produzione inconscia e conscia. Questa tesi

dell'inconscio strutturato come un linguaggio non si capirebbe a fondo se non la si

integrasse con un'altra definizione capitale del mondo lacaniano: «l'inconscio è il discorso

dell'Altro». Il termine Altro (con l'iniziale maiuscola) viene introdotto per indicare il luogo

di dispiegamento della parola cioè il campo proprio in cui si esercita il potere del

linguaggio/inconscio sul soggetto. Questo Altro non è il nostro simile o un altro soggetto,

ma rappresenta in un certo qual modo l'alterità assoluta che il linguaggio e l’inconscio

5Per un analisi dettagliata del rapporto storico-teorico tra Lacan e Freud, cfr. P. Bruno, Il padre e i suoi nomi,
ediz. MIMESIS, 2015.
9
rappresentano per noi stessi. Linguaggio e inconscio ci vincolano costantemente alla

nostra dipendenza da leggi di cui non siamo padroni, ad una struttura che ci determina

sin dalla nascita e che Lacan chiama ordine Simbolico. Il bambino, prima ancora che dalla

propria madre, nasce nel regno dell'Altro e da questo dipende. Viene alla luce già immerso

nelle leggi del Simbolico, e dai suoi primi giorni di vita l’infans è alla dipendenze dell’altro,

il suo grido deve essere interpretato, le sue intenzioni incontrano la voce dell’Altro, quella

dei genitori, diventando le loro parole. È attraverso l’interpretazione del grido come una

domanda che il bambino viene introdotto al linguaggio.

Si noti che in questo caso Lacan non parla di soggetto, di essere parlante, di bambino,

bensì di uomo, e afferma che «l’uomo nasce in un bagno di linguaggio», quasi a sottolineare

che l’umanità stessa dell’uomo si strutturi a partire dalla preesistenza del discorso, da una

sonorità significante intesa non come strumento di espressione o in quanto medium della

comunicazione, ma come discorso dell’Altro, trama simbolica entro cui si viene al mondo.

La soggettività non è affatto un qualcosa di dato; al contrario, sembra costituirsi attraverso

alcune tappe fondamentali che implicano un rapporto spesso drammatico con l'alterità che

ci predetermina. In questa delineazione del soggetto lacaniano, si nota la dimensione

oscura del rapporto che lega il soggetto al linguaggio, dimensione in cui il soggetto risulta

essere spaesato in assenza di una riconduzione sicura. Attraverso un movimento dialettico

Lacan pone un accento critico sulla nozione di soggetto e sulla dimensione del rapporto

tra uomo e linguaggio. Ma si può definire davvero rapporto ciò che lega la dimensione

della parola a quella della soggettività, se entrambe possono essere isolate come due

componenti autonome, estranee l’una all’altra, e sussistere, anche solo idealmente, l’una

escludendo l’altra? Tale è il quesito che, a questo punto, una spontanea riflessione

deduttiva potrebbe azzardarsi a porre nei confronti del pensiero lacaniano sinora

esplicitato.

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1.2 La divisione tra soggetto e significante

Si procederà ora alla trattazione del modello significato-simbolico, con riferimento

all’esperienza elaborativa attuata da Lacan negli anni 50’, allorché il perno dell’attenzione

fu spostato dall’immaginario al simbolico.

Abbiamo visto come il soggetto lacaniano sia diviso, nell’inconscio come nell’io. Nella

parte iniziale del suo insegnamento, Lacan mostra come la parola e la verbalizzazione

possano restituire al soggetto il senso dell’esperienza in relazione all’Altro, che può di

conseguenza riunire il soggetto a quello stadio che era stato inizialmente censurato

nell’inconscio. Si osserva una rottura, una scissione, tra il soggetto e la parola, in

conseguenza alla distanza strutturale tra il piano dell’esistenza e il piano dell’enunciato.

La concezione del segno linguistico strutturalista di Lacan, desunta da De Saussure

attraverso lo “schema del segno”, utilizza la forma dell’ellissi per conferire un preciso

significato retorico alla struttura linguistica dell’inconscio. L’etimologia di ellissi, derivante

dal greco èlleipsis , esprime concettualmente la “mancanza” di uno o più elementi

grammaticali o sintattici nel discorso. La tesi lacaniana procede

definendo la separazione tra significato e significante: il

significante è l’essenza fonetica e morfologica della parola, a cui

in maniera arbitraria e convenzionale viene attribuito un

significato atto a veicolare un concetto.

Il segno è il legame di reciprocità biunivoca tra significato e

significante. La rappresentazione grafica, elaborata da De Saussure, del segno linguistico

come rapporto tra significato (s) e significante (S), viene da Lacan ristrutturata ed

articolata in 3 movimenti:

1) contrariamente a quanto teorizzato da De Saussure, in questo primo passaggio

evolutivo Lacan sancisce la maggiore importanza del significante rispetto al significato e

attua un cambiamento di forma che introduce l’algoritmo s/S, da leggersi significante

su significato;

11
2) scomponendo l’ellissi d’unità logico-linguistica del segno, l’evoluzione lacaniana

incrementa la divisione e la scissione tra significante e significato;

3) Identificato, nella barra, il nesso fondamentale che veicola la divisione strutturale tra

significante e significato e che produce una resistenza al senso, Lacan rende il

significante indipendente, autonomo e sovrastante rispetto al significato, in un’ottica in

cui la barra stessa incarna l’analogia che pone il rapporto significante-significato in

relazione al rapporto simbolico-immaginario.

«Cos’è questa barra ? [...] E’ quella funzione che impedisce che vi sia un rapporto diretto di

rispecchiamento -di rappresentazione- tra le parole e le cose.» 6

Nel testo di Massimo Recalcati Il vuoto e il resto, da cui la citazione sopra è tratta, si elabora

un chiarimento sul rapporto e sul meccanismo dell’algoritmo del significato-significante di

Lacan. Si dimostra come in De Saussure l‘arbitrarietà del segno, che non intrattiene un

rapporto naturale con la sua rappresentazione, sia vincolata al codice linguistico di

riferimento. Secondo Recalcati, inoltre, Lacan sancisce la non corrispondenza tra il

significante e il significato, contrariamente a quanto teorizzato da De Saussure in merito al

rapporto univoco tra la cosa e l’oggetto. Dato che nel pensiero lacaniano non vi è nulla che

si formi autonomamente, il significato non è autonomo nella sua costituzione ma è reso

tale solo dall’atto della significazione, ovvero dall’articolazione dei significanti concepita

per colmare la mancanza della connessione naturale tra le parole e le cose.

Si è posto dunque il significato come un qualcosa di rappresentabile e costantemente

condizionato dal significante. Secondo Lacan il linguaggio inconscio non ha niente in

comune con il linguaggio conscio. Manca la distinzione tra significante e significato ed i

termini propri del linguaggio inconscio possono “trasferire la loro energia” ad altri per

«spostamento» o per «condensazione», ovvero per «metonimia» e per «metafora».

La metonimia è il processo attraverso cui si capovolgono le sequenze: l’effetto prende il

posto della causa, il contenuto quello del contenente, il tutto quello della parte. Come già

6 M. Recalcati, Il vuoto e il resto, ediz. MIMESIS, 2013, p. 24.


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ebbe a dire Jakobson, la metonimia indica una sostituzione di significanti tra loro contigui,

ad esempio si dice “bere un bicchiere” (contenente) anziché “bere l’acqua” (contenuto).

L’evoluzione del pensiero lacaniano porta ad una interpretazione psicoanalitica del

concetto linguistico di metonimia: sono la mancanza ed il bisogno, nel rapporto soggetto-

oggetto, a portare il soggetto stesso a sostituire il significante parziale con un altro

significante; in altre parole è il desiderio di colmare la mancanza o il bisogno che richiama

i significati associati complementari.

Nel processo metonimico, attraverso la concatenazione dei significanti, si dovrebbe

pervenire al soddisfacimento del bisogno primario: fondersi con la madre.

La metafora è invece il processo attraverso il quale si trasforma la significazione propria di

un termine in un’altra significazione che gli si adatta solo in virtù di un paragone

sottinteso. Essa è la sostituzione di un significante ad un primo significante che così

diventa significato, ma che, a livello latente, può costituire ancora un significante. Non si

tratta quindi di una sostituzione totale. Per esempio metafora è il significante “leone” per

esprimere il significato di “uomo coraggioso” (S/s). L’importanza della metafora si rivela,

secondo Lacan, allorché, tramite essa, il “senso” assume le apparenze del “non-senso”, ossia

quando il nuovo significante non richiama più al significato antico. A questo punto è

necessario scavare nell’inconscio per recuperare tale significato e per poter comprendere

alfine il discorso del soggetto.

Per concludere è evidente in Lacan il ritorno a Freud, soprattutto per quanto concerne il

linguaggio analizzato da quest’ultimo attraverso L’interpretazione dei sogni (linguaggio

primitivo): è Freud che ha scoperto il processo delle condensazioni e delle sostituzioni

(«Verschiebung» e «Verdichtung»), nonché il processo degli spostamenti-combinazioni che

corrispondono, appunto, alla metafora ed alla metonimia lacaniane. Sebbene Freud non

abbia mai esplicitato l'interesse per il rapporto tra psicoanalisi e linguaggio, Lacan

riconosce una matrice freudiana alla propria teoria del linguaggio dell’inconscio: tramite

l’utilizzo della rimozione originaria cerca di integrare la logica del significante, dal momento

che il significato è rimosso dal significante; qualcosa si cancella laddove qualcosa si

produce, qualcosa si perde laddove entra in funzione l’azione del significante, in un

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processo dialettico costante e continuo. Il «witz» freudiano del moto di spirito viene da

Lacan reinterpretato in termini di metafora e diviene «pas-de-sens»

«Il pas-de-sens è proprio ciò che si realizza nella metafora. E’ l’intenzione del soggetto [...]

Soggettività è la parola alla quale giungo adesso, poichè fino a ora, e ancora oggi, parlando con voi

dei cammini del significante, qualcosa continua a mancare - e a mancare non senza ragione, come

vedremo. Non per nulla, in mezzo a tutto questo, noi vediamo apparire solamente dei soggetti

pressochè assenti, sorta di semplici supporti che si rinviano la palla del significante. E tuttavia, che

cosa c’è di più essenziale al motto di spirito della soggettività? Quando dico soggettività, voglio dire

che fa nessuna parte si può afferrare l’oggetto del motto di spirito. E perfino ciò che esso designa al

di là di ciò che esprime, perfinoil suo carattere di allusione essenziale, di allusione interna, non fa

qui allusione a nulla fuorchè alla necessità del pas-de-sens.» 7

1.3 La dialettica dell’Altro

Seguendo l’ordine della strutturazione del soggetto, vediamo come Lacan, nella prima

elaborazione dello stadio dello specchio degli anni 30’, esprima così la teorizzazione

inaugurale di come si costituisca il rapporto del soggetto alienato con l’Altro; vi sono due

elaborazioni della tematica in questione, delle quali una incentrata sul concetto di

alienazione. Negli anni 30’ Lacan sviluppa la tesi secondo cui l’alienazione avviene

mediante un movimento immaginario, in cui il soggetto è altro nel doppio speculare, ed in

cui l’io si riconosce nella propria immagine dell’io ma che al tempo stesso si perde

«Tutto ruota attorno all’immagine speculare in cui il soggetto scorge e forgia il proprio Io. Il

problema della psiche è, in sostanza, il problema dell’identificazione umana.» 8

7 D.Tarizzo, Introduzione a Lacan, ediz Laterza, 2003, p. 55.

8 D.Tarizzo, Introduzione a Lacan, ediz Laterza, 2003, p. 12.


14
Successivamente, negli anni 50’-60’ il movimento tramite cui il soggetto si riconosce e crea

l’io, è sostituito dal movimento dell’azione del significante, per cui l’elaborazione

concettuale si sposta dal piano dell’immaginario al piano del significante;

«-il lavoro dell’analisi come una pratica di disalienazione- formulazione che diventerà

nella logica stessa che Lacan promuove, inaccettabile poiché non c’è possibilità alcuna per

l’essere umano di uscire dall’alienazione, ovvero di liberarsi dall’azione del significante, di

sottrarsi all’incatenamento simbolico.» 9

Con riferimento le posizioni di Kojève sulla rilettura di Hegel, nello specifico sul concetto

di alienazione immaginaria articolato nella sezione dell’Autocoscienza della Fenomenologia

dello spirito; Lacan chiarisce il modus operandi della funzionalità dello specchio.

Lacan muove dalla struttura Hegeliana, che distingue 3 momenti fondamentali nella

costituzione dell’autocoscienza :

1) il bisogno è strutturalmente diverso rispetto al desiderio, necessità di una negazione,

reiterata all’infinito rivolta verso un gamma di oggetti. Non vi è conclusione al

meccanismo di negazione, il soggetto è lasciato in un perenne stato d’insoddisfazione;

mentre il desiderio si rivolge ad un altra soggettività, anziché ad un oggetto;

2) il desiderio umano è rivolto ad un riconoscimento nell’Altro, non alla negazione

unilaterale. Tanto per Lacan, quanto per Hegel il desiderio è il desiderio dell’Altro, nella

progressione del movimento che si realizza come riconoscimento speculare «dell’uno

nell’Altro», movimento dialettico imprescindibile per il ritrovamento di sé;

3) la dialettica del riconoscimento pone ciascuna delle due autocoscienze (servo e padrone)

in un rapporto asimmetrico. Il riconoscimento deve avvenire tramite la conflittualità,

un’autocoscienza deve soccombere all’altra perché entrambe si vogliono determinare;

soltanto una delle due si può riconoscere come l’autocoscienza del «padrone».

9 M. Recalcati, Il vuoto e il resto, ediz. MIMESIS, 2013, p. 24.


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Per quanto l’accento posto sul desiderio consenta a Kojève di restituire all’idealismo

hegeliano della volontà, una radice realistica, è comunque fortemente presente in Kojève la

determinazione attiva a sottrarre al campo del non-conosciuto ciò che nel desiderio e nella

volontà virile, consente di portare progressivamente un contenuto alla coscienza. Si tratta

di un’opposizione irriducibile, mediante la quale il non-essere si traduce in accadere

orientato. Nel considerare questa opposizione tanto essenziale quanto costitutiva

dell’essere umano, Kojève non prende in considerazione il fatto che il misconoscimento

possa appartenere ad un campo in cui l’eterogeneo resta tale e non si risolve

dialetticamente in divenire discorsivo. Lacan interiorizza l’idea Hegel-kojeviana che sia il

desiderio a compiere la strutturazione primitiva del mondo umano, e fornisce una sua

interpretazione sull’operato concettuale dei due autori. «Il desiderio non è cosa semplice!»

dice Lacan nel corso di una conferenza pronunciata il 9 marzo 1960 a Bruxelles, in cui

viene ripresa la trattazione freudiana sul desiderio. Il desiderio non è niente di nominabile;

il desiderio inconscio è quello che vuole colui o ciò che tiene il discorso inconscio; il

desiderio corrisponde all’intenzione vera di questo discorso. Ma quale può essere

l’intenzione di un discorso in cui il soggetto, in quanto parlante, è escluso dalla coscienza?

Per Lacan, risiede nel fatto che il soggetto, dall’origine e fino alla fine, avverta anche se

non completamente ciò che vuole. Tale astuzia di ragione si esprime quindi nel desiderio

del sapere, in una dialettica in cui il non-saputo dell’assoggettante e dell’assoggettato,

trova in ogni caso un dispiegamento. L’elemento progressivo del sapere è il motore

pulsante della dialettica hegeliana. In Freud questo non potrebbe essere in alcun modo

possibile, perché si stratta di un sapere che non può essere riportato all’identico della

conoscenza. Esiste una conoscenza degli istinti che si qualifica come tale perchè non può

essere un sapere. Il soggetto non sa nulla di questo tipo di conoscenza istintuale.

«Ciascuno porta scritto sulla propria nuca il destino che l'Altro ci ha assegnato senza poterlo

decifrare.» 10

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2016/01/10/siamo-tutti-edipo-leroe-
10

maledetto-della-conoscenza56.html
16
Con questa frase e con la rievocazione della leggenda antica dello schiavo messaggero

secondo cui lo schiavo, appunto, si fa veicolo di messaggi che non possono essere

“fisiologicamente” letti, Recalcati chiarisce come i messaggi che l’Altro incide sulla “nuca”

di ciascuno, frutto delle sentenze, delle maledizioni, degli auspici, delle speranze, dei

desideri, delle gioie espressi dalle nostre madri e dei nostri padri, non possano essere letti

e colti dal soggetto.

Il non–sapere chiamato inconscio, condivide un simile statuto di sottrazione al sapere

come tutto-sapere, ma reca con sé anche un’irriducibile e non addomesticabile alterità:

quando si tratta del soggetto inconscio non si sa neanche bene chi parli. Lacan opera allora

una sovversione del soggetto, che prende di mira tanto il movimento del sapere Hegeliano

quanto la concezione cartesiana del soggetto. Cartesio ed Hegel sono in effetti coinvolti

come emblema della razionalità filosofica che conferisce sovranità al soggetto, razionalità

che può essere sconfessata dalla critica freudiana. Nel rapporto soggetto e desiderio,

l’ambiguità di un misconoscimento essenziale al conoscersi risiede nel processo

dell’alienazione, secondo una modalità che non è riducibile alla dialettica dell’essere per la

quale reale e razionale siano risolti l’uno nell’altro senza resti o perdite assimilabili

nell’orizzonte del sapere. Il soggetto che non sa quel che vuole e neanche sa quel che dice,

cioè il soggetto dell’inconscio, non è certo il soggetto del sapere assoluto, ma è sottoposto

allo stesso “effetto di retroversione” per cui diviene, ad ogni tappa, ciò che è stato prima,

«e s’annuncia soltanto al futuro anteriore: sarà stato». Analizzando la figura hegeliana in tal

senso, Lacan sostiene che il soggetto si garantisce un’immagine anticipata che viene ad

esso incontro e che corrisponde all’immagine alienata che ha assunto di sé allo specchio,

come unità anticipata e alienata in un Altro. Ciò che gli viene incontro in quanto immagine

è una padronanza che il soggetto non potrebbe ascrivere a se stesso, in quanto il corpo

nella fase iniziale del processo speculare è frammentato e l’immagine riflessa non fa

ancora corpo con sé. Si tratta di una relazione immaginaria, quella nella quale il rapporto

con il simile si scompone nel rapporto servo-padrone. L’io diventa funzione di

padronanza, rivalità costituita, scarica aggressiva, quando è asservito ad una cattura

speculare, che Lacan definisce come una servitù inaugurante le vie della libertà. Nella

formula del desiderio come desiderio dell’Altro, Hegel sostiene che sia l’altro a guardare il

17
soggetto riflesso nello specchio, su tale visione si innesca la conflittualità. Nel senso

hegeliano “il desiderio di desiderio” è desiderio che un desiderio risponda all’appello del

soggetto. In Hegel il soggetto ha bisogno di sostenersi nell’Altro desiderante a cui

dipende: ciò a cui mira è che questo Altro lo riconosca. In questo piano del riconoscimento

non posso tuttavia coesistere «l’io o l’altro», o per essere più precisi «me o l’altro».

Se l’altro mi riconosce mi riconosce in quanto oggetto e questa è la ragione per cui non c’è

mediazione che non sia la violenza. Senza dilungarci oltre su questioni che richiederebbero

un’approfondita trattazione e l’introduzione di un tema essenziale quale l’angoscia,

possiamo attestarci su un dato macroscopico. L’idea di mancanza in gioco nella psicanalisi

lacaniana fa saltare qualsivoglia simmetrica reciprocità nella formula del desiderio

ereditata da Hegel-Kojève. Nella misura in cui nella dialettica del desiderio viene

introdotta la nozione di fantasma e di «oggetto-a», si afferma un’irriducibilità del desiderio

alla struttura intenzionale della coscienza. In altri termini, se la stoffa del desiderio

appartiene alla mediazione simbolica, il desiderio conserva un carattere d’irriducibilità a

qualsivoglia predominanza del sapere sulla volontà. Se esiste un imperativo dell’etica

analitica, questo è tanto lontano da una prescrizione normativa che assicuri una via

garantita al bene, quanto da una cura che ricomporrebbe un presunto rapporto armonico

io-oggetto-mondo. Resta dunque da capire in virtù di quale consapevolezza Lacan abbia

non solo voluto far irrompere l’insegnamento di Freud nella tematica hegeliana del

conoscere che è un riconoscere, ma anche e soprattutto perché egli abbia lottato contro

qualsiasi riduzione della psicanalisi a scienza del sapere sessuale. Riguardo al desiderio e

alle sue verità, sembra dirci Lacan, non è possibile formulare alcun sapere, se non quel

singolare discorso senza parole, mediante il quale la psicanalisi si mette in ascolto del

disagio della civiltà e dei suoi sintomi tentando una codificazione del linguaggio

dell’inconscio, il luogo di origine della verità che è stata rimossa ed esiliata dal soggetto

stesso.

18
1.4 Lo stadio dello specchio

La famosa teoria di Lacan, lo “stadio dello specchio”, è qui posta in ultima istanza poiché si è

deciso di collocarla nella fase conclusiva della trattazione che riguarda la costituzione

psichica del soggetto, trattazione che nelle prime fasi, a onor di una più organica ed

esaustiva resa espositiva, si è avvalsa delle tematiche freudiane dell’inconscio, del

simbolico di De Saussure e della dialettica Hegel-kojèviana.

Nella teoria dello “stadio dello specchio” è radicata l’indagine lacaniana sulla paranoia,

inizialmente mutuata dal concetto freudiano della conflittualità tra l’Io e l’ideale dell’Io

(Super-io). Ricordiamo, infatti, che per Freud il narcisismo rinvia al rapporto del soggetto

con la propria immagine ideale (l’Io ideale) e alla funzione che l’immagine ideale svolge

nella formazione dell’Io. La nascita del soggetto avviene attraverso due oggetti

fondamentali: il corpo materno (il suo sguardo, le sue cure) e l’immagine del corpo

proprio. Da qui si determinerebbero le successive scelte oggettuali, come ricorda lo stesso

Freud, o forme d’amore: una forma anaclitica (dalla funzione di sostegno esercitata dalla

madre) e una scelta narcisistica nella quale l’oggetto è amato perché restituisce al soggetto

un’immagine ideale di sé.

Il concetto lacaniano di paranoia si connette pertanto al narcisismo freudiano. In freud la

paranoia è un caso di personalità che si ravvisa e si studia solo a livello individuale, e la

cui genesi e spiegazione sono da ricondursi ad un arresto dell’evoluzione infantile della

personalità, in concomitanza con la seconda fase narcisistica che vede l’Io (je) - già

costituito- rimodellato dal Super-io. Lacan quindi muove da quello che egli vede come un

limite della trattazione freudiana - il narcisismo primario e le lacune che permangono per

quanto concerne la spiegazione della formazione dell’Io - per proporre una soluzione

originale.

19
In Lacan l’identificazione con un’immagine di sè non è soltanto prerogativa dell’Io del

paranoico, ma attiene all’Io di ogni persona e quindi l’Io(je) in quanto tale si costituisce

all’origine tramite un’identificazione ideale con l’Io(moi)

«Ci atteremo per ora a questa metafora topica- il soggetto è decentrato rispetto all’individuo. E’

questo che vuol dire Io (je)» 11.

Tale teorizzazione prende dunque il nome di stadio dello specchio. Come scrive nel suo

lavoro del 1936 L’aggressività in psicoanalisi negli Scritti, Lacan delinea la specularità

dell‘immagine nello specchio come un «crocevia strutturale» nella costituzione della

soggettività umana. Il senso di questa fase si riferisce all’esperienza dello sviluppo

psichico del bambino in un’età collocabile tra i 6 e 18 mesi, periodo in cui l’infans non

padroneggia ancora il linguaggio né il coordinamento motorio. Il bambino può vedersi

nell’immagine riflessa e da ciò trarre la formazione della sua autocoscienza, può ovvero

riconoscere se stesso osservandosi nell’immagine dell’Altro che lo specchio gli restituisce e

di fronte alla quale il bambino ha un moto di giubilo. La gioia e il senso di appagamento

dinnanzi a questa immagine nascono dal fatto che il bambino, percependo se stesso come

un corpo in frammenti e come un qualcosa di incontrollabile e solo marginalmente

consapevole di sè, trova al di là dello specchio un’immagine «imago» idealizzata ed

unificante, in cui si identifica e di cui si percepisce come padrone, superando il senso di

frustrazione dello stato paranoico primordiale e appunto l’impossibilità di

un’identificazione con un’immagine ideale di sé. Il procedimento del riconoscimento è

permeato concettualmente dalla dialettica hegeliana. L’io, secondo Lacan, non si

costituisce secondo la modalità teorizzata dalla psicologia classica, ovvero attraverso

un’operazione sintetico-unitaria della volontà dell’io come motore unificatore. L’io (je) si

identifica solo nel rapporto con l’Altro, nell’immagine dell’Altro; Hegel aveva già

impostato una metodologia d’identificazione nella dipendenza con l’Altro. Vi è tuttavia

una “discordanza” tra ciò che lo specchio rimanda - l’illusione della padronanza e

dell’unità del proprio corpo – e la condizione di prematurità strutturale che caratterizza la

11J. Lacan, Il seminario, Libro II. L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, Einaudi, Torino
1991, p. 11.
20
condizione di dipendenza del piccolo dall’uomo. La funzione dello specchio è quella di

produrre uno sdoppiamento nel soggetto per cui egli può “oggettivarsi” nell’immagine

speculare dell’altro da sé, al fine di potersi riconoscere in un’alterità che lo identifica, in

un’esteriorità che lo riflette.

«Ciò che Lacan teorizza e intende far comprendere con lo stadio dello specchio è : «[…] quanto c’è

nell’uomo di slegato, di frammentato, di anarchico (che) si pone in rapporto con le sue percezioni sul

piano di una tensione assolutamente originale. E’ l’immagine del suo corpo a essere il principio di

ogni unità che percepisce gli oggetti. Ora, di questa stessa immagine egli percepisce l’unità solo al di

fuori e in modo anticipato. Per il fatto di avere questa relazione doppia con se stesso, è sempre

intorno all’ombra errante del suo proprio io che si struttureranno tutti gli oggetti del suo mondo.»
12.

La riflessione sinora perpetrata suggerisce una serie di considerazioni conclusive che

riassumo e distillano l’intelaiatura concettuale lacaniana della formazione psichica del

soggetto.

Lacan sottolinea che nel momento in cui il soggetto (je) prende coscienza di sé,

riconoscendosi come un Io distinto dal mondo oggettuale, diventa cosciente che esiste una

realtà distinta da sè, dall’Io (moi). Alla nascita dell’Io, alla sua identificazione si associa la

nascita della coscienza e alla nascita della coscienza si associa a sua volta la nascita

dell’autocoscienza. Ne derivano alcune conseguenze concettuali. Se il soggetto je non è più

coscienza, lo si può definire allora come inconscio, ovvero il lato invisibile della riflessione

speculare. L’Io (moi), sinonimo di coscienza, è l’immagine «imago» riflessa dallo specchio,

immagine in cui si materializza la coscienza stessa che è divisa dal corpo perché

incarnante l’immagine ideale del corpo stesso. Tale movimento dialettico tra il «corp

morcèlè», corpo frammentato al di qua dello specchio, e l’immagine riflessa al di là dello

specchio, caratterizza ogni rapporto successivo tra il soggetto e i propri simili, in un

costante procedere sostitutivo che vede il soggetto Io (je) alienarsi, ovvero scambiare

l’immagine di un proprio simile con la propria immagine speculare, passando da un

12J. Lacan, Il seminario, Libro II. L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, Einaudi, Torino
1991, p. 191.
21
identificazione all’altra, secondo il ritmo della propria storia personale che è poi possibile

ricostruire attraverso l’analisi.

22
CAPITOLO 2
Il desiderio

«È nella natura del desiderio di non poter essere soddisfatto,

e la maggior parte degli uomini vive solo per soddisfarlo.» 13

(Aristotele)

«Incurabile − aggettivo d’onore, di cui dovrebbe fregiarsi una sola malattia,

la più tremenda di tutte: il Desiderio.» 14


(Emil Cioran)

2.2 Desiderio come soggetto

Desiderio15 è una parola centrale della teoria lacaniana. La tematica del desiderio è

utilizzata da Lacan in molteplici accezioni, la più importante delle quali probabilmente è

quella del desiderio inteso come base costituente del soggetto, a cui viene dedicato l’intero

capitolo.

Riprendendo in parte le analisi già impostate nel primo capitolo, si può affermare che

secondo Lacan, alla base di ogni possibile definizione di soggettività in psicoanalisi, vi sia

un punto fondamentale: la non coincidenza tra l’Io (je) e il soggetto. La nostra parte

13 Aristotele

14 Emil Cioran, Il funesto demiurgo, 1969.

15Per un’ulteriore chiarificazione del desiderio in Lacan crf. M. Recalcati, Introduzione alla psicoanalisi
contemporanea. i problemi del dopo freud, ediz Bruno Mondadori, 2003, p. 28.
23
razionale, sede del pensiero e delle relazioni con l’esterno, non “è” il soggetto del nostro

inconscio, ma è definibile come ciò che Lacan chiama una «formazione immaginaria»(moi).

In termini filosofici, la differenza tra l’Io, nucleo razionale (il Cogito di Cartesio) che Lacan

indica col termine francese Moi e il soggetto dell’inconscio (il Sum di Cartesio), che Lacan

indica col termine francese Je, potrebbe essere paragonata a quella esistente tra il man (il

“si” impersonale) e il Mann (l’uomo autentico) di Heidegger. Il cogito ergo sum cartesiano,

spiega Lacan, unisce due termini (il cogito e il sum) che per loro natura non sono

unificabili né sovrapponibili, in quanto tra pensiero ed essere c’è una scissione (Spaltung)

che determina una ineluttabile divisione interna, una fenditura all’interno della

soggettività umana – che perciò Lacan definisce soggetto sbarrato ($).

Quanto sinora premesso consente di affermare che la sostanza del Moi, la maschera

adattiva delle relazioni sociali, è la moltitudine di identificazioni che il bambino annovera

fino all’età adulta; l’Io-Je, invece, è proprio il desiderio, che quindi si configura come vero

motore propulsivo dell’inconscio, nella più classica tradizione lacaniana.

Il desiderio teorizzato Lacan, inoltre, può essere definito anche in un’altro modo: è il

rapporto con il proprio corpo, in particolare con quella condizione di mancanza originaria

che, in qualche modo, è segnata dalla percezione corporea, ma che poi si iscrive

simbolicamente nella vita psichica in senso lato. Esplicitando meglio questa seconda

accezione della definizione di desiderio, si può dire che la sua struttura filogenetica si

collochi in un sentimento che Lacan definisce bisogno (besoin). Il bisogno, a sua volta, è la

trascrizione organica (cioè corporea) della mancanza (manque), ossia una incompletezza

(l’alienazione) e una nostalgia della unità radicale e originaria che si costituisce, sul piano

inconscio, nel momento dell’uscita dal ventre materno, inaugurando la conflittualità

interna del soggetto, nella prima forma di paranoia. Questa mancanza iniziale, che Lacan

definisce béance, è un sentimento preliminare alle pulsioni stesse e nasce molto prima

della venuta al mondo del soggetto. Lacan, a differenza di Freud, pone la pulsione, colta in

questa connessione col bisogno, all’interno dell’organismo e prima di ogni

24
rappresentazione psichica. La béance, dunque, è mancanza a-essere, ovvero la causa del

desiderio.

«Il desiderio è un rapporto da essere a mancanza. Questa mancanza è mancanza di essere, nel senso

proprio della parola. Non è mancanza di questo o di quello, ma mancanza di essere grazie a cui

l’essere esiste» 16 .

Si evince quindi come la configurazione lacaniana di desiderio, inteso come mancanza

originaria e radicale, béance, sia letteralmente una falla, una distanza incolmabile tra la

mancanza-aessere e il completamento materno. Perduta, con la nascita, la sua

complementarietà anatomica, ciascun individuo costituisce una incompletezza strutturale

che è espressione di questo stato di mancanza; mancanza che, essendo associabile ad un

sentimento di sradicamento ancestrale dalla fusione primitiva col corpo della madre, è

anteriore al soggetto stesso e, come tale, non può trovare soddisfazione in una serie di

oggetti libidici compensatori – che Lacan chiama oggetti piccoli (a)17 – i quali, invece, sono

posteriori al soggetto, cioè sono inseriti davanti a sé e non “dietro”, come quell’oggetto

“irrappresentabile” e primitivo che è la Madre.

Il desiderio è dunque l’espressione di questa mancanza che, da uno stato inconscio, si

rende evidente attraverso processi incentrati su spinte pulsionali e sublimazioni culturali.

Il continuo tentativo inconscio di reintegrazione di tale unità perduta, in altri termini,

traduce il bisogno in desiderio, che a sua volta si esprime come il vettore emotivo rivolto a

una infinità di oggetti diversi da quello primordiale a cui il bisogno si rivolge, ma

comunque insufficienti a colmare la béance iniziale. Questa pulsione a rincorrere oggetti

del desiderio che possano ristabilire, simbolicamente, l’unità col ventre materno, è definita

16J. Lacan, Il seminario, Libro II. L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, Einaudi, Torino
1991, p. 61.

17 Oggetto piccolo (a) si riferisce all’espressione dello psichiatra e filosofo Jacques Lacan usata nella sua
riflessione sul godimento. Lenzi afferma in proposito: «è un sinonimo di desiderio di qualcosa che non è mai
raggiungibile fino in fondo.» Ed è proprio attraverso la costituzione dell’oggetto piccolo (a) che il soggetto si
stacca dall’Altro, perché l’oggetto piccolo (a) non appartiene al Significante, ma è un qualcosa di
assolutamente personale, di diverso tra soggetto e soggetto. Lacan chiama fantasma i diversi modi di
ognuno di articolare i propri rapporti di godimento con l’oggetto piccolo (a), ed è quindi il fantasma che
distingue un soggetto da un Altro.
25
da Lacan «domanda» e si manifesta come la ricerca continua, da parte del discorso

dell’inconscio, dei molteplici significanti che possono evocare illusoriamente il

ricongiungimento con la pienezza perduta. È chiaro allora come la struttura antropologica

del desiderio umano sia, nella spiegazione di Lacan, una sorta di sublimazione della falla

ancestrale che ogni individuo conserva a livello inconscio. Di conseguenza al desiderio

non è consentito il raggiungimento della sua vera meta, che è, come scrive Lacan, «al di

qua» del punto di partenza da cui lo stesso desiderio prende le mosse, e che si struttura

attraverso una continua opera di trasformazione tesa, a livello inconscio, a ricostruire «il

fantasma» dell’unità primigenia con la madre, vero simbolo della dimora archetipica.

2.2 La famiglia del desiderio

Dopo aver delineato, pur marginalmente, la concezione lacaniana del desiderio del

soggetto, si procederà qui di seguito ad approfondire le modalità con cui il soggetto si

struttura al di fuori del suo specifico internalismo psichico. Si è visto, per quanto concerne

la matrice freudiana delle teorie di Lacan, come egli utilizzi lo stadio dello specchio per

esprimere la teoria della simultanea nascita dell’io e della sua immagine idealizzata; si è

altresì visto, sul medesimo selciato concettuale, come venga meno la distinzione tra un

narcisismo primario e secondario, e come si sia annullata la sussistenza autonoma dell’Io

rispetto al Super-io o all’ideale dell’Io.

Qual’è dunque il luogo esterno in cui nasce e si definisce il soggetto?

26
Nel 1938 Lacan pubblica il testo i complessi famigliari nella formazione dell’individuo 18, in cui

è trattata la tematica dello svezzamento, dell’intrusione e del complesso edipico, ed in cui

si completa concettualmente la struttura del soggetto. Prosegue l’approfondimento del

fenomeno delle psicosi, con riferimento a quelle maturate in seno all’apparato famigliare,

che è visto ed analizzato come l’habitat formativo primario di numerose patologie

psichiche. La psicosi nasce e matura in seguito al fraintendimento e al misconoscimento

che il bambino opera ed esprime, durante le principali fasi evolutive dello sviluppo

psichico, nei confronti delle figure famigliari fondamentali. Lo sviluppo psichico si articola

intorno al confronto progressivo e costante con il padre, la madre e i fratelli, i tre elementi

che compongono la costellazione famigliare del bambino. L’insieme delle reazioni indotte

nel bambino dal confronto con queste tre figure, è definito -complesso-, e sono tre i

complessi che secondo Lacan scandiscono la formazione dell’individuo a partire

dall’ambiente famigliare di riferimento: il complesso di svezzamento, il complesso

d’intrusione e il complesso d’Edipo 19.

Il complesso di svezzamento ha come epicentro la figura e la «imago» della madre, che

permea lo sviluppo affettivo fin dalla nascita e ancor prima dello svezzamento

comunemente inteso come tale; difatti per Lacan lo svezzamento non si riferisce solo al

distacco dal seno materno (esperienza che è di per sé traumatizzante e di cui vi è sempre

traccia nella psiche umana), ma al distacco dalla madre al momento della nascita,

esperienza che rappresenta una separazione traumatica, il trauma originario del soggetto

umano. É il complesso che caratterizza, nei primi sei mesi di vita, il rapporto simbiotico

bambino-madre, in cui il soggetto bambino non dispone ancora di un proprio Io, si

percepisce come un corpo in frammenti e vive angosciosamente il progressivo

allontanamento dalla figura materna, percependo come una minaccia gli eventi che in

questa fase riverberano il trauma del distaccamento originario. Lacan colloca nella non

piena o incompleta conclusione di questa fase fisiologica, l’origine di alcune criticità che

riguardano la vita psichica del soggetto, quali «l’istinto di morte» freudiano, da intendersi

18 D.Tarizzo, Introduzione a Lacan, ediz Laterza, 2003, p. 20.

19 per una chiarificazione ulteriore crf. Il soggetto vuoto, M. Recalcati,Edizioni Centro Studi Erickson.

27
come l’aspirazione a ritornare e perdersi nel corpo materno e a vivere in maniera

nostalgica il rapporto fusionale con la madre.

Il complesso d’intrusione verte sulla figura «imago» del fratello. La parola -intrusione -

evoca la comparsa, percepita come intrusiva, di un nuovo elemento all’interno del nucleo

famigliare con cui il bambino (il fratello maggiore) rivaleggia; l’imago di un fratello

(maggiore) si “introduce” nell’Io dell’altro (fratello minore). Viene rievocata la fase dello

specchio: l’immagine speculare è sostituita dall’immagine del proprio simile, il fratello, in

cui il soggetto si aliena e al contempo si identifica. Si tratta di un’identificazione instabile

tra l’immagine del proprio Io e il corpo in frammenti; il bambino, osservando

l’allattamento del fratello ed identificandosi con questi, vede realizzato un ritorno ad un

rapporto armonico con la madre che a lui è negato. Vive in maniera sofferta la separazione

dal seno materno e dall’immagine idealizzata del suo stesso Io.

Vi è un -altalenamento-, da parte del bambino tra l’immagine al di qua e l’immagine al di

là dello specchio, tra un corpo in frammenti foriero d’angoscia e l’imago fraterna in cui si

identifica; si instaura un processo di conflittualità e di rivalità tra il bambino e la figura

fraterna, un «dramma della gelosia» che secondo Lacan caratterizza la natura paranoica delle

formazioni arcaiche dell’Io. Questa forma d’identificazione paranoica dell’io è superabile

(non tutti i soggetti sviluppano psicosi paranoiche) mediante la soluzione offerta, allo

sviluppo, dal complesso d’Edipo che Lacan rielabora a partire dall’omonimo complesso

freudiano.

«Edipo, nella sua vita stessa, è totalmente questo mito. Lui stesso non è altro che il passaggio dal

mito all’esistenza. Poco importa che sia esistito o no, poiché in una forma più o meno riflessa egli

esiste in ognuno di noi, è dappertutto, ed esiste molto di più che se fosse realmente esistito.» 20.

In Lacan, la natura del complesso edipico è di matrice culturale (di una certa cultura

occidentale) e non sessuale istintuale ovvero: è presente nell’influenza della famiglia (una

20J. Lacan, Il seminario, Libro II. L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, Einaudi, Torino
1991, p. 263.
28
precisa formazione sociale e quindi culturale) sulla psiche umana, ad orientare e

caratterizzare il desiderio del bambino. Desiderio che, a differenza della visione freudiana

che implica l’impulso sessuale verso la madre, compete sia al maschio sia alla femmina, e

mira alla riconquista dell’unità e dell’armonia perdute nel distaccamento dal corpo

materno. L’anelito di un ritorno alla madre, fomentato dall’angoscia del proprio corpo in

frammenti e placato dell’identificazione dell’Io nell’immagine speculare, è riacceso dal

divieto paterno che impone culturalmente e socialmente di non desiderare il corpo della

madre. Invertendo l’approccio freudiano, Lacan esime la natura dalla responsabilità nel

conflitto edipico e ne identifica l’origine nell’imperativo paterno, reo di rinnovare nel

bambino il desiderio angosciante di un ritorno alla madre e il fantasma della

scomposizione del corpo e dell’unità del proprio Io (moi). Si tratta dunque di un problema

che riguarda il narcisismo e non la sessualità. La via d’uscita dal complesso edipico

lacaniano è offerta dall’imago del padre: il bambino identifica nel padre il rivale per il

possesso del corpo materno e ne trae l’angoscia primordiale del corpo in frammenti.

«Il padre si afferma nella sua presenza privatrice in quanto è colui che supporta la legge e questo

non si fa più in modo velato ma in modo mediato dalla madre, che è quella che lo pone come colui

che fa la legge» 21

L’identificazione con il padre, suscitata dal padre stesso attraverso il “divieto all’incesto”

che coincide con il divieto proprio di un’intera cultura patriarcale di riferimento,

interrompe la successione potenzialmente infinità d’identificazioni speculari dell’Io; offre

altresì una stabilità data dall’immagine idealizzata del proprio Io (moi) e corroborata dal

conforto “stabilizzante” di tutte le figure patriarcali della società. Ne deriva però che

l’identificazione con il padre porta il soggetto al confronto con il Super-io «Il padre – precisa

Lacan – non è un oggetto reale […] Ora, se non è un oggetto reale, che cos’è? […] Il padre è una

21 J. Lacan, Il seminario, libro V - Le formazioni dell’inconscio, Einaudi 2004, p. 143.

29
metafora.» 22 (la cui nascita per Lacan è simultanea a quella dell’Io, dato che il super-io è la

figura del doppio speculare), ovvero con un ideale dell’Io paterno «simbolico» a cui ci si

può avvicinare (allontanandosi progressivamente dal corpo materno) senza mai coincidere

con esso. Si crea una “empasse” che vede l’Io oscillare tra l’avere e il non avere il corpo

materno, tra il dover essere come il padre ma il non poter essere come il padre. Con

l’espressione Nome-del-Padre, Lacan sottolinea la funzione simbolica del padre che, in

quanto rappresentante della Legge, è più decisiva della sua funzione reale di genitore, per

consentire al bambino il passaggio dal registro del bisogno a quello del desiderio che trova

la sua espressione nella domanda dell’Altro.

Il complesso di Edipo rappresenta la chiave di volta dell’evoluzione del soggetto, dove il

bambino tramite l’ideale dell’Io paterno-culturale o edipico-simbolico lo protrarrà verso

un continuo processo d’identificazione, rendendo instabile l’ideale riportandolo alla

continua mancanza dell’identificazione ultima.

22 J.Lacan, Il seminario, libro V - Le formazioni dell’inconscio, Einaudi 2004, p. 176.

30
2.3 L’amur come desiderio

Si è visto come la nascita del desiderio nel soggetto, si sviluppi e come si manifestai nel

rapporto interpersonale all’interno del complesso famigliare. Il desiderio è implacabile ed

ha una “spinta” nevrotica potenzialmente illimitata, come si evince dalla spiegazione che

Lacan riserva alle fasi del complesso e alla loro centralità nella crescita del soggetto e nella

stessa dialettica dello stadio dello specchio; si osserva un continuo spostamento di

idealizzazione dell’Io nell’Altro. La riflessione psicoanalitica di Jacques Lacan offre la

possibilità di approfondire il tema della specificità del desiderio d’amore, un’ambizione

che nasce innanzitutto da una sensazione di mancanza, scaturita dal distacco primordiale

con la madre.

Il desiderio d’amore è il meccanismo con cui il soggetto anela a riporsi in un tutt’uno, ed è

l’immagine esterna in cui il soggetto si aliena andando a colmare il vuoto tensionale

protratto a partire dalla mancata unificazione primordiale. Nel testo Introduzione al

narcisismo, Freud differenzia due tipi d’amore: l’amore narcisistico e quello anaclitico.

Nell’amore narcisistico l’io ama, nell’altro, ciò che è, ciò che è stato, ciò che vorrebbe essere

oppure, più semplicemente, una parte di sé; nell’amore anaclitico, l’io ama nell’altro, la

madre che lo ha nutrito, il padre che lo ha protetto e i loro sostituti.

«L'amore parentale, così commovente e in fondo così infantile, non è altro che il narcisismo dei

genitori tornato a nuova vita; tramutato in amore oggettuale, esso rivela senza infingimenti la sua

antica natura» 23.

Si evince facilmente come queste due forme freudiane dell’amore siano state riprese e

debitamente riformulate da Lacan, che concepisce le definizioni di amore immaginario e

amore simbolico, quest’ultimo inteso come il più diretto corrispondente alla concezione

23 S. Freud, Introduzione al narcisismo, ediz. Bollati Boringhieri, p. 53.


31
freudiana dell’amore anaclitico, in virtù della complessa dialettica che si articola intorno al

concetto di scambio con l’Altro.

Il desiderio di godimento è strutturalmente destinato a una perdita di soddisfacimento,

poiché rappresenta la ricerca ripetitiva di una pienezza immaginaria che risulta

impossibile; si tratta di un godimento “svuotato”, di un desiderio di nulla e di morte.

Secondo la prospettiva psicoanalitica classica, il rapporto sessuale rappresenta la ricerca di

un’unione capace di colmare, e superare la distanza che separa il soggetto dal proprio

«oggetto perduto». Eppure l’essere umano non riuscirà mai a riappropriarsi di una pienezza

che sembra rimandare a un’esperienza mitica di soddisfacimento.

Da questo punto di vista il rapporto sessuale è destinato a fallire e a deludere l’attesa di

ritrovamento dell’oggetto perduto. Sul piano della relazione sessuale, non può avvenire la

ricongiunzione del soggetto con quell’oggetto che darebbe la sensazione di fare tutt’Uno

con l’Altro. «Non esiste rapporto sessuale» vuol dire dunque che gli esseri umani, sul piano

del godimento sessuale, si esiliano reciprocamente rimanendo su posizioni inavvicinabili:

non può essere un’esperienza edificante, dal punto di vista della strutturazione del

soggetto, l’incontro sessuale tra due soggetti, poiché uno dei due rimane precluso,

inaccessibile. È pur vero che il nostro corpo ci apre alla relazione con l’Altro, ma nessun

rapporto sessuale può consentire a chi vi si dedica, il ritorno all’unità perduta.

Il godimento è in fondo un’esperienza che, come il dolore fisico, ci divide dall’Altro.

L’incontro con il partner avviene allora sullo sfondo di un esilio, dell’impossibilità che il

rapporto si possa realizzare sul piano sessuale. L’amore emerge come l’unica immagine

“fantasmagorica” possibile, come un «miraggio». Lacan designa come il «miraggio»

dell’amore, il desiderio di ritornare ad essere Uno, un desiderio derivante del narcisismo,

poiché l’unità idealizzata dell’amore «è innanzitutto della stessa natura di quel miraggio di

Uno che si crede di essere» 24 . Nella frase «l’atto d‟amore è la perversione polimorfa del maschio,

nell’essere parlante» 25 Lacan sostiene che il “maschio” indichi il versante maschile della

sessuazione, l’area di pertinenza del godimento fallico. Su questa riduzione dell’Altro a

oggetto-A che è chiamato a saturare il desiderio vuoto, su questo desiderio eternamente

24 J. Lacan, Il seminario, libro XX, ediz. Einaudi,2011, p. 47.

25 J. Lacan, Il seminario, libro XX, ediz. Einaudi,2011, p. 47.


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incolmabile che nessun oggetto può colmare, si pongono le basi della nascita e

dell’evoluzione di tutte le degradazioni della vita amorosa, già individuate ed esplicitate

da Freud e da questi attribuite all’uomo.

«L’oggetto si incontra e si struttura sulla via di una ripetizione-ritrovare l’oggetto, ripetere

l’oggetto. Però non è mai lo stesso oggetto che il soggetto incontra. In altri termini, non cessa di

generare oggetti sostitutivi.» 26

Si tratta appunto di un miraggio e non di un complemento, poiché la realizzazione

dell’Uno rimane di fatto impossibile: nonostante l’amore rappresenti una tensione verso

l’Uno, costituisce altresì un ponte sul vuoto che separa irrimediabilmente l’esperienza di

godimento dei due amanti. La connessione creata dall’amore restituisce ai due partner la

possibilità di incontrarsi al di là del godimento. L’amore annulla la differenza reale tra i

corpi in relazione, elevando la presenza del partner a causa del desiderio del soggetto.

La molla dell’amore non è infatti da collocare sul piano del godimento, ma sul piano del

“segno”. Nell’amore «l’altro davanti a noi», dunque, non comporta il riempimento

pulsionale della propria incompletezza (destinata a immutare il senso di mancanza), ma

simboleggia la possibilità di divenire soggetti del desiderio, aperti all’incontro con

l’alterità radicale dell’Altro e non più ridotti alla ricerca di una pienezza chiusa su se

stessa. La dimensione relazionale, sancita dall’amore, risponde allora all’impossibilità dei

due soggetti di essere Uno: se sul piano del godimento non esiste un rapporto duale, sul

piano del desiderio è possibile vivere la presenza del partner come possibilità di apertura

all’Altro. È in tal senso che si può comprendere l’affermazione lacaniana «solo l’amore

permette al godimento di accondiscendere al desiderio» 27.

Per concludere, la direzione del pensiero lacaniano volge nuovamente a Freud, poiché

giunge a sancire la cattura del soggetto da parte di un'istanza a lui superiore, da parte,

ovvero, dell’ideale dell'Io, del Super-io, dell’Oggetto-a.

26J. Lacan, Il seminario, Libro II. L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, Einaudi, Torino
1991, p. 187.

27 J. Lacan (1962-1963), Il seminario, Libro X, L’angoscia, ed. it. a cura di A. Di Ciaccia, Einaudi, Torino 2007,
p. 193.
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Conclusione

Il contributo di Lacan alla cultura contemporanea, l’insegnamento di colui che è stato più

di un filosofo e più di uno psicoanalista, rappresentano una mirabile evoluzione di quel

sapere accademico e clinico che ha travalicato i confini delle discipline specifiche e che si

pone come fondante e imprescindibile per quanto concerne lo studio della psiche umana.

La trattazione che qui si conclude ha inteso delineare alcuni aspetti basilari della

divulgazione lacaniana, con particolare riferimento ai Seminari, opera fondamentale di cui

si è lettori appassionati, intellettualmente stimolati e, in definitiva, grati.

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BIBLIOGRAFIA

J.Lacan, Il seminario, Libro II. L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, Einaudi, Torino

1991.
M. Recalcati, Il vuoto e il resto, ediz. MIMESIS, 2013.

D. Tarizzo, Introduzione a Lacan, ediz Laterza, 2003.


F. Palombi, Jacques Lacan, ediz Carocci Editore, 2012.

1 J.P. Sartre, L’essere e nulla, edi. Il saggiatore, 2024, p 458

2J. Lacan, Il seminario, Libro II. L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, Einaudi, Torino
1991, p. 53.

3 S. Freud, L’Io e l’Es, Bollati Boringhieri Opere, p.468.

4 S. Freud, L’Io e l’Es, Bollati Boringhieri Opere, p.479

5Per un analisi dettagliata del rapporto storico-teorico tra Lacan e Freud, cfr. P. Bruno, Il padre e i suoi nomi,
ediz. MIMESIS, 2015.

6 M. Recalcati, Il vuoto e il resto, ediz. MIMESIS, 2013. Cit, P.24.

7 Introduzione a Lacan, D. Tarizzo, ediz Laterza, 2003. P 55.

8 Introduzione a Lacan, D. Tarizzo, ediz Laterza, 2003. P 12.

9 Il vuoto e il resto, M. Recalcati, ediz MIMESIS, 2013. P 24.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2016/01/10/siamo-tutti-edipo-leroe-
10

maledetto-della-conoscenza56.html

11J. Lacan, Il seminario, Libro II. L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, Einaudi, Torino
1991, p. 11.

12J. Lacan, Il seminario, Libro II. L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, Einaudi, Torino
1991, p. 191.

13Aristotele

14 Emil Cioran, Il funesto demiurgo, 1969

M. Recalcati, Introduzione alla psicoanalisi contemporanea. i problemi del dopo freud, ediz Bruno
15

Mondadori, 2003, p. 28

16J. Lacan, Il seminario, Libro II. L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, Einaudi, Torino
1991, p. 61.

18 D. Tarizzo, Introduzione a Lacan, ediz Laterza, 2003 p. 20

19M. Recalcati, Il soggetto vuoto, Edizioni Centro Studi Erickson.

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20 J.
Lacan, Il seminario, Libro II. L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, Einaudi, Torino
1991, p. 263

21 J.Lacan, Il seminario, libro V - Le formazioni dell’inconscio, Einaudi 2004, p.143.

22 J.Lacan, Il seminario, libro V - Le formazioni dell’inconscio, Einaudi 2004, p.176.

23 S.Freud, Introduzione al narcisismo, ediz. Bollati Boringhieri.

24 J.Lacan, Il seminario, libro XX, ediz. Einaudi,2011, p. 47.

25 J.Lacan, Il seminario, libro XX, ediz. Einaudi,2011, p. 47.

26J. Lacan, Il seminario, Libro II. L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, Einaudi, Torino
1991, p. 257.

27 J. Lacan (1962-1963), Il seminario, Libro X, L’angoscia, ed. it. a cura di A. Di Ciaccia, Einaudi, Torino 2007,
p. 193.

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Ringraziamenti

L’ultima pagina per ricordare le persone che hanno contribuito a questo traguardo della
mia carriera accademica.

Il professor dott. Luca Vanzago per la grandissima collaborazione fornita e il suo


insegnamento;

il professor dott. Simone Regazzoni nell’avermi per primo mostrato la straordinarietà del
pensiero lacaniano;

la dott.ssa Laura Polato per avermi sostenuto moralmente, fisicamente e amorevolmente


nel raggiungimento di ogni mio traguardo, sopportando ogni mia follia con una pazienza
che solo chi ama può esprimere;

Matteo Picco, fondamentale amico che con la sua estrema pazienza, dedizione alla forma e
al linguaggio ha tradotto i miei pensieri più oscuri in una forma comprensibile anche per
altri;

dott.ssa Alessia Guzzi compagna fedele di numerose battaglie, nevrosi ed instancabile


amica;

dott. Alessandro Grasso amico d’idee, di tempo e di vita;

dott. Matteo Persico un amico e compagno che mi ha sostenuto con il suo temperamento
nietzschiano;

dott. Riccardo Belleggia, dott. Matteo Negri, dott. Claudio Gallo - amici, compagni che in
modi diversi hanno contribuito a loro modo a tutto questo;

i miei genitori che hanno sostenuto ogni mia scelta, idea e spronato ad un obbiettivo
sempre più alto;

Jacques Lacan per essere stato così illuminante;

37
Grazie.

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