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Liliana Rossi Carleo

LA TUTELA AMMINISTRATIVA CONTRO LE CLAUSOLE ABUSIVE

SOMMARIO: 1. La nuova norma nel contesto di riferimento. – 2. Il codice del consumo: un cantiere sempre aperto. – 3. I
nuovi compiti dell’Antitrust. – 4. L’art. 37 bis del codice del consumo. – 5. Le questioni aperte.

1. La nuova norma nel contesto di riferimento

L’art. 5 del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo
sviluppo delle strutture e la competitività (Cresci Italia), apre il Capo II, “Tutela dei consumatori”, con una
norma che prevede l’inserimento nel codice del consumo dell’art. 37 bis dal titolo “Tutela amministrativa
contro le clausole abusive” 1.
Prima ancora di analizzarne il testo, appare indispensabile un cenno di riferimento al contesto nel
quale si inserisce.
Invero, di tutela amministrativa si era ampiamente discusso ancor prima che venisse emanata la
direttiva 93/13 CEE concernente le clausole abusive; anche la dottrina italiana, guardando alle esperienze di
altri Paesi, aveva ben evidenziato le diversità che connotavano la tutela giurisdizionale e quella


Lo scritto riproduce, con l’aggiunta delle note, la relazione svolta al VII Congresso Giuridico Forense, Roma,
16 marzo 2012.
1
Art. 37-bis - (Tutela amministrativa contro le clausole vessatorie).
1. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, sentite le associazioni di categoria rappresentative a
livello nazionale e le camere di commercio interessate o loro unioni, d’ufficio o su denuncia, ai soli fini di cui ai commi
successivi, dichiara la vessatorietà delle clausole inserite nei contratti tra professionisti e consumatori che si concludono
mediante adesione a condizioni generali di contratto o con la sottoscrizione di moduli, modelli o formulari. Si applicano
le disposizioni previste dall’articolo 14, commi 2, 3 e 4, della legge 10 ottobre 1990, n. 287, secondo le modalità
previste dal regolamento di cui al comma 5. In caso di inottemperanza, a quanto disposto dall’Autorità ai sensi
dell’articolo 14, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287, l’Autorità applica una sanzione amministrativa
pecuniaria da 2.000 euro a 20.000 euro. Qualora le informazioni o la documentazione fornite non siano veritiere,
l’Autorità applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 4.000 euro a 40.000 euro.
2. Il provvedimento che accerta la vessatorietà della clausola è diffuso anche per estratto mediante pubblicazione
su apposita sezione del sito internet istituzionale dell’Autorità, sul sito dell’operatore che adotta la clausola ritenuta
vessatoria e mediante ogni altro mezzo ritenuto opportuno in relazione all’esigenza di informare compiutamente i
consumatori a cura e spese dell’operatore. In caso di inottemperanza al provvedimento di cui al presente comma,
l’Autorità applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 50.000 euro.
3. Le imprese interessate hanno facoltà di interpellare preventivamente l’Autorità in merito alle vessatorietà delle
clausole che intendono utilizzare nei rapporti commerciali con i consumatori secondo le modalità previste dal
regolamento di cui al comma 5. L’Autorità si pronuncia sull’interpello entro il termine di 120 giorni dalla richiesta,
salvo che le informazioni fornite risultino gravemente inesatte, incomplete o non veritiere. Le clausole non ritenute
vessatorie a seguito di interpello, non possono essere successivamente valutate dall’Autorità per gli effetti di cui al
comma 2. Resta in ogni caso ferma la responsabilità dei professionisti nei confronti dei consumatori.
4. In materia di tutela giurisdizionale, contro gli atti dell’Autorità, adottati in applicazione del presente articolo, è
competente il giudice amministrativo. È fatta salva la giurisdizione del giudice ordinario sulla validità delle clausole
vessatorie e sul risarcimento del danno.
5. L’Autorità, con proprio regolamento, disciplina la procedura istruttoria, in modo da garantire il contraddittorio
e l’accesso agli atti, nel rispetto dei legittimi motivi di riservatezza. Con lo stesso regolamento, l’Autorità disciplina le
modalità di consultazione con le associazioni di categoria rappresentative a livello nazionale e con le camere di
commercio interessate o loro unioni attraverso l’apposita sezione del sito Internet di cui al comma 2 nonché la
procedura di interpello. Nell’esercizio delle competenze di cui al presente articolo, l’Autorità può sentire le autorità di
regolazione o vigilanza dei settori in cui i professionisti interessati operano, nonché le camere di commercio interessate
o le loro unioni.
6. Le attività di cui al presente articolo sono svolte con le risorse umane, strumentali e finanziarie già disponibili
a legislazione vigente».
amministrativi e i limiti e le opportunità dell’una e dell’altra2. La scelta, non solo del legislatore italiano, ma
della prevalenza dei legislatori europei, è stata quella di introdurre anche per la tutela di carattere generale e
preventivo una forma di controllo giurisdizionale. La scarsa incidenza che ha avuto in concreto questo tipo di
controlli ha indotto ad interrogarsi sulla efficienza dello strumento e ha posto in evidenza la possibilità di
affiancare al rimedio giurisdizionale quello amministrativo.
Di certo un bilancio che evidenzi, sotto l’aspetto tecnico, i punti critici dell’azione inibitoria appare
fondamentale3 anche per verificare se l’azione amministrativa potrà superare le maggiori criticità; tuttavia,
privilegiando una lettura pragmatica, a noi sembra che la tutela amministrativa possa apportare notevoli
miglioramenti sotto il profilo della efficienza (legata alla diversità dei tempi che connotano l’attuazione dei
due strumenti) e della economicità (in virtù del suo carattere oggettivo e del fatto che si pone come
strumento di regolazione del mercato)4.
La nuova norma deve essere letta, dunque, considerando la costante evoluzione che ha accompagnato
la materia e che ha posto, direi, la necessità di introdurre questa tutela ulteriore.
In rapida sintesi possiamo ricordare che la esigenza trova le sue radici sia nella tutela del consumatore
– intesa in senso sempre più ampio, in virtù dello spostamento dell’ottica dalla tutela successiva e di carattere
individuale, alla tutela preventiva, di carattere generale e astratto – sia nella circostanza che questo costante
cammino – attraverso la crescente attenzione che viene posta al mercato corretto – ha portato a ritenere che,
in una ottica di sussidiarietà, dovesse far capo all’Autorità a ciò preposta un’attività di vigilanza, in funzione
di regolazione del mercato, anche sul contratto standardizzato5.
Questi poli di riferimento appaiono imprescindibili al fine di analizzare correttamente il testo, la cui
lettura, tuttavia, oltre che al passato, risulta intimamente collegata anche al futuro per l’importanza che
assume il Regolamento a presidio di una attività sempre più complessa.
Occorre, dunque, guardare alla norma in un insieme sempre più contrassegnato dalla complessità che
vede il contratto caratterizzarsi non solo in misura sempre minore come operazione isolata tra due parti, ma
anche, in misura sempre maggiore, come atto rispetto al quale assume un’incidenza diretta la fase che lo
precede e la fase che lo segue.
Questo rilevo consente di focalizzare l’attenzione, per quanto riguarda il tema specifico, sul legame
inscindibile che si pone sulla “lotta” alle clausole vessatorie e alle pratiche commerciali scorrette, con la
conseguenza concreta che l’attività di vigilanza può esplicarsi tenendo conto della consequenzialità che si
determina tra i due procedimenti6.

2. Il codice del consumo: un cantiere sempre aperto.

In primo luogo la norma consente di guardare con interesse alla nuova linfa vitale che viene ad
accrescere un codice di settore che, seppure caratterizzato nella sua essenza proprio dall’essere un cantiere
sempre aperto, ha di recente subito modifiche che destano preoccupazioni più per l’assordante silenzio che le
ha accompagnate che per i risultati concreti che realizza. Il riferimento va alla sottrazione dal codice del
consumo della disciplina di due importanti contratti “tipici” del consumatore: il credito al consumo e la
vendita di pacchetti turistici. Questa sottrazione è stata considerata da molti come una grave ferita inferta alla
riorganizzazione sistematica di norme che hanno a riferimento la qualificazione soggettiva, incentrata sul
consumatore. Invero le maggiori perplessità sul come riorganizzare (e coordinare) la complessità che i settori

2
Restano fondamentali, a tale riguardo, i volumi su Le condizioni generali di contratto a cura di C.M. Bianca,
Milano, 1979.
3
Da ultimo, cfr. la relazione di A. BELLELLI, Azione inibitoria e clausole vessatorie, svolta al VII Congresso
Giuridico Forense, Roma, 16 marzo 2012, pubblicata sul sito del CNF http://www.consiglionazionaleforense.it/site/
home/ eventi/ congressi/ docCat.2207.1.40.2.all_ar.html.
4
Vedi, al riguardo, infra, par. 4.
5
In questa logica, viene riservato un sintetico riferimento ai nuovi poteri attribuiti all’AGCM, nella
consapevolezza che l’argomento meriterebbe un autonomo e ben più ampio approfondimento proprio con riferimento
allo specifico aspetto dell’intervento atto a vigilare sulle situazioni di squilibrio normativo determinato da differenze
strutturali di potere.
6
Il forte legame tra le due discipline – sia pure rispetto ad una diversa angolazione da quella ulteriore che può
suggerire la norma in esame – è stato di recente evidenziato dalla sentenza della I Sezione della Corte europea di
giustizia del 15 marzo 2012, nella causa C-453/10, nel procedimento Jana Pereničová,Vladislav Perenič contro SOS
financ, spol. s r.o. (sul punto, v. infra, par. 4).
sottendono vanno avanzate in considerazione del fatto che l’aggiornamento “per sottrazione” di recente
operato non sembra porsi nel rispetto dell’art. 144 del codice stesso, che richiede interventi espliciti e diretti
per ogni modifica. Per quanto riguarda, invece, i profili sostanziali il mutamento di “contenitore” può
determinare un risultato positivo: consente di revocare ogni dubbio sulla forza espansiva delle norme a tutela
del consumatore, la cui applicazione non può più ritenersi costretta al limite della specialità del settore.
In questo contesto il decreto legge n. 1/2012 e la futura, successiva conversione in legge, sembra
andare in senso opposto rispetto alla fase immediatamente precedente: difatti, arricchisce il codice del
consumo di nuove e significative disposizioni che, oltre quella in esame, determinano incisive modifiche,
essenzialmente in tema di pratiche commerciali scorrette e, forse meno, in tema di Class action.
Invero, le novità interessano non certo per il profilo quantitativo, quanto piuttosto, per quello
qualitativo. A questo riguardo occorre ribadire che dai cambiamenti traspare, con chiarezza sempre
maggiore, il graduale e costante ampliamento dell’orizzonte interpretativo, non più circoscritto al profilo
soggettivo/individuale, caratterizzato dalla ricerca di rimedi posti a riequilibrare, ex post, le posizioni di
debolezza, ma aperto al profilo oggettivo/collettivo, caratterizzato dall’esigenza di vigilare sulla correttezza
del mercato, anche con l’obiettivo di reprimere comportamenti e offerte che possano incidere sulla libertà e/o
sulla consapevolezza del consumatore.
Da questa angolazione, diventa sempre più stretto il legame tra tutela della concorrenza e tutela del
consumatore: il “concorrere” di offerte di beni e servizi è funzionalmente connesso alla tutela del
consumatore, volta a preservare, o meglio, ad accrescere la sua libertà e la sua consapevolezza. A tale
risultato si perviene non solo frenando le intese o colpendo l’abuso di posizione dominante, ma anche
reprimendo le pratiche commerciali scorrette, che incidono sulla libertà di scelta e incentivando un’offerta
corretta attraverso un contratto che, seppure non concordato, risulti almeno privo di clausole vessatorie.
Si vuole determinare, quindi, una circolarità virtuosa che, attraverso modalità e strumenti diversi,
persegue un medesimo obiettivo: preservare e accrescere la correttezza del mercato, come luogo nel quale
possa esplicarsi al meglio il libero incontro di domanda ed offerta. Nel disegno delineato dai più recenti
interventi legislativi, il raggiungimento di questi obiettivi viene perseguito attribuendo all’AGCM quello che
potremmo definire il ruolo di guardiana del mercato corretto e, di conseguenza, libero.

3. I nuovi compiti dell’Antitrust.

L’AGCM, nella sua esperienza ormai più che ventennale in cui ha sperimentato percorsi dalle
fisionomie differenziate, ha assunto in questa fase, come abbiamo appena accennato, un nuovo ruolo: agli
interventi di carattere consultivo – che avevano caratterizzato la fase precedente e che hanno trovato
un’importante espressione nella legge annuale della concorrenza – si aggiungono interventi che ampliano
l’attività di vigilanza attraverso strumenti ulteriori, che denotano intenti ambiziosi.
Malgrado il timore di ricorrere ad un termine che potrebbe apparire inflazionato, potremmo dire che
l’obiettivo cui si tende, peraltro in linea con l’U.E., va anche oltre la correttezza del mercato: si tende a
favorire il perseguimento di un “mercato etico”. Una testimonianza puntuale in tal senso si rinviene nel
dettato dell’art. 5 ter «“Rating” di legalità»: la norma, che meriterebbe un autonomo commento, da una parte
attribuisce il compito di «promuovere l’introduzione dei principi etici nei comportamenti aziendali»,
dall’altra impone «di procedere (...) alla elaborazione di un rating di legalità» le cui ricadute concrete sono
molto rilevanti, dal che discende l’importanza di individuare indicatori efficienti dai quali partire, ponendo il
rispetto delle leggi (solo) come presupposto inderogabile a fondamento di uno sviluppo sostenibile7.
Parlare dell’attuale ruolo dell’Autorità imporrebbe di dar conto di una pluralità di attività e di compiti
che operano in maniera diversa; ciò che preme rilevare in questa sede è come il ruolo di garante del mercato
corretto si esplica in tutte le direzioni. Difatti, è singolare e degno di nota osservare che tale ruolo si accentua
non solo nei riguardi del potere privato, come testimonia il nuovo art. 37 bis, ma, ancora più incisivamente
questo ruolo si espande anche nei confronti della pubblica amministrazione: l’autorità assume il ruolo di p.m.
della concorrenza, come si evince dall’art. 35 del d.l. n. 201 del 2011, significativamente intitolato

7
Il profilo degli indicatori è fondamentale anche per il controllo sociale della CSR, che l’U.E. pone come
strumento indispensabile per lo sviluppo del mercato sostenibile. Cfr. al riguardo la recente Comunicazione della
Commissione “La responsabilità sociale delle imprese: una nuova strategia dell’Unione europea per il periodo 2011-
2014”, del 25 ottobre 2011, COM (2011) 681 fin.
«Potenziamento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato»8.
Spostando l’ottica dal profilo orizzontale a quello verticale, focalizzando pertanto lo sguardo su uno
specifico aspetto, ci soffermiamo in questa sede ad esaminare il dettato del nuovo art. 37 bis.

4. L’art. 37 bis del codice del consumo.

L’art. 37 bis, fin dal titolo, consente di individuare chiaramente le proprie finalità
Il «contro», contenuto nella rubrica della norma, rende palese che la lotta all’inserimento di clausole
vessatorie nei contratti diretti ad una serie di soggetti- astrattamente identificabili quali soggetti deboli in
ragione della conformazione dell’offerta e, quindi, nei contratti diretti essenzialmente al consumatore-
rappresenta il punto nodale intorno al quale si aggrega una disciplina relativa ad una pluralità di rimedi che
hanno funzioni differenti e si svolgono con modalità diverse.
La collocazione sistematica dei diversi rimedi nel Titolo I della Parte III del codice rivela la sua ratio:
garantire in via prioritaria un controllo contenutistico su questo tipo di atti. Questo controllo, ribadendo
quanto è ormai da anni consolidato, tende a offrire una tutela non solo formale, ma soprattutto sostanziale al
singolo consumatore ma, ancor prima, ad espungere dai modelli che circolano più diffusamente le clausole
vessatorie. Viene, così, confermata una scelta che, già con riferimento all’azione inibitoria9, ha inteso
evidenziare, sia pure con le dovute differenze che riguardano il contratto in fieri rispetto al contratto concluso
dal singolo consumatore, il profilo aggregante assegnato ai criteri di accertamento della vessatorietà.
Questo aspetto rileva in maniera determinante anche per quanto riguarda la tutela amministrativa:
l’Autorità, al pari del giudice ordinario, ha un potere di accertamento il cui esercizio – a seguito di una
procedura che, come ci dice il punto 5, verrà specificata da un successivo regolamento – può portare alla
dichiarazione di vessatorietà. Sostanzialmente la valutazione di vessatorietà, pur essendo preventiva e
astratta, deve condursi sulla base delle disposizioni contenute nel Titolo I, in quanto compatibili; si
ripropongono quindi le perplessità già avanzate in dottrina con riferimento alla valutazione di «abusività»
delle clausole di cui all’art. 37. La dichiarazione, e qui si rivela uno dei caratteri identificativi di questo
rimedio, ha effetto, come specifica il comma 1, «ai soli fini di cui ai commi successivi»; pertanto, al di là del
profilo sanzionatorio, risponde ad una precisa e sentita «esigenza», che è quella di «di informare
compiutamente i consumatori a cura e spese dell’operatore».
L’informazione si conferma una colonna portante del sistema e su di essa si caricano nuove e
ulteriori funzioni: al di là dell’onere posto in capo al professionista di rendere conoscibile il contenuto
dell’offerta, la rilevanza che assume il profilo informativo in una disciplina di mercato ci consente di ribadire
quanto da tempo avevamo osservato: un’efficace comunicazione è utile non solo e non tanto a rendere edotto
il singolo consumatore, quanto, piuttosto, a porre i consumatori come categoria, in grado di apprendere il
funzionamento del mercato e di controllare le varie fasi della relazione che si instaura tra il soggetto
consumatore e chi offre il prodotto o il servizio10. Si determina, in tal modo, una sorta di circolarità tra la
disciplina sulle clausole e la disciplina relativa alle pratiche commerciali scorrette. Così come la pratica

8
Giova riportare il testo della norma:
«1. Alla legge 10 ottobre 1990, n. 287, dopo l’articolo 21,è aggiunto il seguente: «21-bis - Poteri dell’Autorità
Garante della concorrenza e del mercato sugli atti amministrativi che determinano distorsioni della concorrenza.
1. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato è legittimata ad agire in giudizio contro gli atti
amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a
tutela della concorrenza e del mercato.
2. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, se ritiene che una pubblica amministrazione abbia
emanato un atto in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato, emette, entro sessanta giorni, un
parere motivato, nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate. Se la pubblica amministrazione non si
conforma nei sessanta giorni successivi alla comunicazione del parere, l’Autorità può presentare, tramite l’Avvocatura
dello Stato, il ricorso, entro i successivi trenta giorni.
3. Ai giudizi instaurati ai sensi del comma 1 si applica la disciplina di cui al Libro IV, Titolo V, del decreto
legislativo 2 luglio 2010, n. 104».
9
La specifica ipotesi relativa alle condizioni generali anticipa la previsione del rimedio inibitorio, che trova una
disciplina più ampia e compiuta negli artt. 137, 139 e 140 del codice del consumo.
10
Si rinvia a L. ROSSI CARLEO, Il diritto all’informazione: dalla conoscibilità al documento informativo, in Riv.
dir. priv., 2004, p. 349 ss.
commerciale, secondo quanto ha stabilito la Corte di giustizia11, rappresenta un elemento sul quale il giudice
può fondare la sua valutazione del carattere abusivo di una clausola, allo stesso modo l’accertamento della
vessatorietà della clausola può rappresentare un elemento sul quale fondare la scorrettezza di una pratica che
ne realizzi la circolazione. Gli accertamenti sono indipendenti, anche se l’uno può fungere da presupposto
dell’altro.
Da questa angolazione, la nuova norma, per quanto riguarda le clausole, impone all’Autorità una
verifica che si svolge attraverso canoni ermeneutici che hanno come riferimento essenziale la configurazione
dell’offerta. La verifica va condotta, quindi, tenendo conto che il criterio cardine, intorno al quale si
innestano gli altri criteri strumentali alla valutazione, ruota intorno al senso che assume il significativo
squilibrio normativo. E a questo riguardo, come è noto, gioca un ruolo importante la lista grigia di clausole,
che non solo semplifica l’accertamento in una pluralità di ipotesi attraverso la presunzione di vessatorietà,
ma aiuta anche ad individuare caratteri che possano riempire di contenuto concreto la valutazione
eventualmente condotta sulla base del comma 1 dell’art.33 cod. cons.
L’intervento dell’Autorità, ricorrendo al complesso tessuto normativo introdotto dagli artt. 33 e ss.
cod. cons., concorre a contrastare l’abuso della libertà contrattuale.
Questo rilievo, seppure ovvio, può essere ripetuto in quanto appare utile a dare atto della novità della
norma.
Invero, un intervento volto ad attribuire all’AGCM una specifica competenza avente ad oggetto la
tutela amministrativa contro le clausole vessatorie potrebbe apparire superfluo, in considerazione del fatto
che la circolazione di un modello di contratto con clausole vessatorie poteva già essere sanzionata ricorrendo
alla disciplina delle pratiche commerciali scorrette12. Difatti, la stretta connessione tra clausole vessatorie e
pratiche commerciali scorrette, che consente di individuare nell’«utilizzo» l’ineludibile legame tra le
discipline, aveva già indotto a prospettare la possibilità di un intervento dell’AGCM ex art. 27 cod. cons.,
volto a sanzionare l’attività nella quale vengono utilizzati contratti che contengono clausole vessatorie.
La nuova norma tuttavia ha ragione di essere proprio in quanto appare evidente che è diversa la sfera
di intervento e, di conseguenza, diversi sono i criteri che presiedono alla valutazione. Da una parte, si guarda
all’atto e, in particolare, agli obblighi che discendono dal contratto e che sono posti a carico del
consumatore-aderente; dall’altra, viene in considerazione l’attività, e in particolare, il comportamento che il
professionista assume nei confronti dell’utilizzatore di beni o servizi.
Si conferma, in questo modo, anche il ruolo dell’Antitrust, che si pone a guardiana del mercato sia con
riferimento al profilo statico, sia con riferimento al profilo dinamico, difatti, una volta accertata la
vessatorietà della clausola, in caso di persistente utilizzo del modello, l’Autorità può sanzionarne la
circolazione che si presenterebbe come pratica commerciale scorretta.
Questo ruolo consente anche di individuare i caratteri che connotano l’attività amministrativa
differenziandola da quella giurisdizionale.
L’attività amministrativa, in considerazione del carattere oggettivo che la caratterizza, attribuisce
all’Autorità il potere di intervenire anche d’ufficio a tutela della correttezza del mercato. Pertanto, si
conferma a tale riguardo la scelta già operata dal nostro legislatore in tema di avvio del procedimento contro
le pratiche commerciali scorrette e si conferma altresì, di conseguenza, la volontà di rendere più efficace
l’enforcement pubblico attraverso l’iniziativa officiosa. L’attività giurisdizionale, diversamente, seppure
persegue interessi definiti di natura generalista, lo fa nell’ambito di un modello di natura soggettiva,
intervenendo pur sempre nell’ottica di tutela di interessi individuali o collettivi e ciò spiega, di conseguenza,
la legittimazione in capo ad enti portatori degli interessi della categoria.
I rimedi si pongono, quindi, in un’ottica di complementarietà e non sono tra loro concorrenti, ciò vale
anche per la tutela amministrativa e l’inibitoria, accomunate dal carattere preventivo del rimedio.
Difatti la tutela amministrativa, a differenza di quella giurisdizionale, non inibisce l’uso della clausola,
né incide sulla sua validità: essa ha esclusivamente un effetto “dissuasivo” nei confronti di chi l’ha

11
Corte europea di giustizia, Sez. I, 15 marzo 2012, C-453/10, Jana Pereničová,Vladislav Perenič contro SOS
financ, spol. s r.o.
12
In tal senso, v. M. MELI, Trasparenza e vessatorità delle clausole nei contratti per adesione, in AA.VV.,I
“principi” del diritto comunitario dei contratti.Acquis communitaire e diritto privato europeo, a cura di G. De
Cristofaro, Torino 2009, n particolare p.482 ss..; S. ORLANDO, L’utilizzo di clausole abusive come pratica commerciale
scorretta, in Obbl. e contr., 2009, p. 345 ss.; L. ROSSI CARLEO, Il comportamento ostativo del professionista tra
“ostacoli non contrattuali” e ostacoli contrattuali, in AA.VV., Studi celebrativi del ventennale dell’Autorità garante
della concorrenza e del mercato, a cura di P. Barucci e C. Bedogni Rabitti, Milano, 2010, in particolare p. 1216 ss..
predisposta e un effetto “divulgativo” e “informativo” nei riguardi dei potenziali consumatori e, come
abbiamo visto, del mercato; tuttavia, l’effetto “preventivo” acquista una specifica peculiarità posto che ha
una sua rilevanza concreta anche con riferimento alla fase che precede l’ utilizzo, sia pure eventuale, che
segue a una possibile raccomandazione da parte dei professionisti interessati. Difatti, è data facoltà di
interpello preventivo alle «imprese interessate»13 che intendono utilizzare un contratto predisposto al fine di
verificarne la non «vessatorietà delle clausole» in esso inserite. La verifica tende ad accentuare, ancora una
volta, ancor più e ancor prima dell’intervento preventivo, l’attività promozionale che vuole un mercato
contrassegnato da comportamenti corretti e, di conseguenza, tende a scongiurare, oltre che l’azione
amministrativa, come espressamente prevede la norma, anche, e sia pure indirettamente, l’azione inibitoria.
A questo riguardo, il comma 3 dell’art. 37 bis offre una importante precisazione: «resta in ogni caso
ferma la responsabilità dei professionisti nei confronti dei consumatori». La precisazione potrebbe apparire
superflua ove si limitasse a indurci a ritenere che il sindacato preventivo, di carattere generale e astratto, non
esonera il professionista dalla possibilità di una verifica, in concreto, dell’applicazione del modello.
Qualunque valutazione preventiva non può evitare la possibilità di un accertamento successivo alla
stipulazione del contratto. A tale riguardo può verificarsi l’eventualità di ricorrere ad uno specifico rimedio
qualora si ravvisi una responsabilità che discende dalla valutazione concreta, sia essa individuale ovvero di
carattere collettivo.
La precisazione rende espresso un principio che risponde alla logica, oltre che alle norme: la
responsabilità presuppone necessariamente una tutela di carattere successivo essendo incompatibile con la
tutela di carattere preventivo, la quale, anche per questa ragione, non può avere un valore assorbente.
Diversamente, il puntuale richiamo alla responsabilità dei professionisti si pone a scongiurare i timori che
possono discendere dall’eventuale uso improprio di una sorta di certificazione di qualità. I timori non sono
nuovi e sono stati già diffusamente avanzati per quanto riguarda la CSR: difatti, al pari di quanto talvolta si
lamenta a proposito della responsabilità sociale, le perplessità sono legate al possibile utilizzo della verifica a
fini di marketing o, peggio, alla eventualità che le imprese possano intravedere nella verifica una sorta di
“patente di impunità”: di certo, anche un modello formalmente corretto può essere in concreto utilizzato
secondo modalità scorrette o può porsi in collegamento con altri contratti che vengono ad incidere sul
contesto generale e, pertanto, al di là della incidenza di questi comportamenti sulla struttura del contratto,
deve essere presa in considerazione la responsabilità del professionista. La norma apre, quindi, ad un utilizzo
del rimedio in chiave funzionale e da atto della loro complementarietà.
La rilevanza necessariamente circoscritta della valutazione preventiva si ricava altresì dalla
complementarietà dei rimedi, espressamente sancita, in generale, dal comma 4 dell’art. 37 bis. Si conferma,
in tal modo, che le tutele possono, e forse devono, utilmente convivere, anche in ragione del lungo e
complesso iter che caratterizza il procedimento dell’atto di consumo; in tal modo, difatti, è possibile incidere
sulle diverse fasi con modalità diverse e con effetti diversi. Così, ad esempio, una responsabilità del
professionista potrebbe rilevarsi anche in presenza di offerte, singolarmente “depurate” da clausole
vessatorie, ma fra loro collegate attraverso prassi di mercato scorrette, quali quelle di recente espressamente
sancite dal codice del consumo a seguito dell’introduzione del comma 3 bis, che è andato ad aggiungersi
all’art. 2114.
Il comma 4 della norma in esame, facendo «salva la giurisdizione del giudice ordinario sulla validità
delle clausole vessatorie e sul risarcimento del danno», attesta, inoltre, l’autonomia del procedimento
giurisdizionale. In altri termini: anche se i presupposti sono i medesimi, si lascia al giudice ordinario
semplicemente la facoltà di avvalersi degli accertamenti operati dall’Autorità garante, secondo uno schema
già collaudato sia per quanto riguarda le pratiche scorrette, sia, principalmente per quanto riguarda i contratti
a valle.
Sempre secondo uno schema ormai consolidato, la norma puntualizza che gli atti dell’Autorità
possono essere impugnati dinanzi alla giurisdizione amministrativa da parte dei soggetti che ritengono di
averne subito un pregiudizio e che sono legittimati ad agire «contro» di essi.

13
Qualche perplessità può sorgere in ragione della limitazione della facoltà di interpello alle imprese.
Sembrerebbe restare fuori il contratto d’opera professionale, che al momento non è frequentemente oggetto di una
offerta standardizzata e generalizzata ma che, in prospettiva, potrebbe esserlo. Basti pensare alle offerte che possono
accompagnare l’invito a formalizzare l’atto di adesione al giudizio nella class action.
14
«3 bis. E’ considerata scorretta la pratica commerciale di una banca, di un istituto di credito o di un
intermediario finanziario che, ai fini della stipula di un contratto di mutuo, obbliga il cliente alla sottoscrizione di una
polizza assicurativa erogata dalla medesima banca, istituto o intermediario».
Per quanto riguarda le competenze rimane, infine, una perplessità sulla corretta applicazione dell’art.
144 bis cod. cons.: ad una prima lettura si potrebbe ritenere che la competenza ai fini dell’enforcement per
quanto riguarda la tutela giurisdizionale resta in capo al Ministero dello Sviluppo Economico; diversamente
Autorità competente, per quanto concerne la tutela amministrativa, diviene l’AGCM.

5. Le questioni aperte.

Il comma 5 dell’art. 37 bis rinvia ad un futuro regolamento dell’Autorità per quanto riguarda: i) la
procedura istruttoria; ii) le modalità di consultazione con i soggetti interessati; iii) la procedura di interpello.
Nella parte finale la norma specifica, inoltre, che l’Autorità «può sentire le autorità di regolazione o
vigilanza dei settori in cui i professionisti interessati operano, nonché le camere di commercio interessate o
le loro unioni» e sembra così dare atto dell’attribuzione all’AGCM di una competenza orizzontale per quanto
riguarda la correttezza del mercato con riferimento alla vessatorietà di clausole contenute nelle offerte
predisposte.
In tal modo sembra voler evitare la possibile duplicazione di competenze e il conseguente conflitto tra
le varie Autorità indipendenti sulla verifica o meglio sull’accertamento della vessatorietà di clausole
contenute in offerte che si riferiscono anche a settori quali l’energia, i trasporti, il settore bancario e
finanziario, quello delle telecomunicazioni15.
Invero, nei diversi sub-settori operano di certo norme solitamente definite «speciali», relative agli
obblighi informativi e di correttezza, ma l’accertamento sul contratto “squilibrato” ha una sua specifica
identità. Ciò comporta, come abbiamo avuto modo di vedere, una complementarietà delle tutele la cui
collocazione sistematica evidenzia che non si tratta di tutele parcellizzate, ma di tutele che riacquistano una
loro unitarietà in virtù di una omogeneità che trae origine, fra l’altro, dall’esigenza di determinare una
maggiore consapevolezza del rilievo attribuito alla effettiva parità dei diritti.
Il punto 5 fa in primo luogo riferimento alla procedura istruttoria; a questo riguardo sembrerebbe
logico che il regolamento al quale si fa rinvio – con l’ovvio rispetto dei diritti fondamentali e, quindi, «in
modo da garantire il contraddittorio e l’accesso agli atti, nel rispetto dei legittimi motivi di riservatezza» --
potrà tener conto dell’art. 27 e della procedura contro le pratiche scorrette. Questa procedura, sia pure con le
dovute differenze, può, comunque, costituire un sicuro punto di riferimento in considerazione della natura
oggettiva che caratterizza i due procedimenti, differenziandoli dal procedimento giurisdizionale.
Più significative novità sono sottese alle modalità di consultazione che sembrano rappresentare un
aspetto imprescindibile in particolare per la procedura di interpello, che rappresenta, di certo, la novità più
rilevante.
Da questa angolazione la tutela amministrativa, letta in un’ottica di sussidiarietà, si pone, in maniera
assai più palese rispetto ad altre ipotesi, come strumento di vigilanza sul corretto uso dell’autonomia, la
quale non può spingersi a predisporre un modello di composizione degli interessi che non risponde a
ragionevolezza, imponendo ad una delle parti sacrifici i quali, secondo i criteri di accertamento indicati,
risultano sproporzionati. Il legislatore amplia i margini di autonomia dei privati, limita il ricorso alle norme
inderogabili, sfuma la rigidità dei tipi, tuttavia, al fine di evitare che la libertà possa essere “abusata”, non
circoscrive la tutela al rimedio giurisdizionale, ma introduce sistemi di vigilanza che si spingono anche alla
verifica della corretta incidenza sul mercato di offerte che ancora non sono state emesse. La procedura di
interpello non attribuisce di certo all’Autorità una funzione per così dire dirigistica, ma tende ad incentivare
il passaggio dalla predisposizione all’autoregolamentazione.
Invero, questo passaggio ha la sua genesi nella legge 29 dicembre 1993, n. 580, di riforma del sistema
camerale, che all’art. 2 attribuisce alle Camere alcuni compiti in funzione di regolazione del mercato,
essenzialmente al fine di eliminare o, ancor prima, di evitare potenziali situazioni di conflitto tra i principali
attori del mercato stesso. Non dobbiamo imputare al caso il fatto che il punto 5 menziona per due volte «le
camere di commercio interessate o le loro unioni»: ad esse si fa riferimento sia come soggetti da consultare
nell’ambito dei procedimenti, sia come soggetti da ascoltare nell’esercizio delle competenze.
L’attività delle Camere si svolge, per quanto riguarda la comune predisposizione di quelli che vengono
impropriamente definiti «contratti tipo», in una fase che precede quella del controllo preventivo. Le Camere
svolgono un ruolo di promozione e di impulso che si attua non tanto attraverso un’opera di controllo, ma
15
La competenza, per così dire, concorrente può trovare, peraltro, un riscontro di diritto positivo esclusivamente
con riferimento alle pratiche commerciali, nell’art. 19, punto 3, cod. cons.
piuttosto attraverso un’opera di mediazione volta a far sì che le parti possano realizzare in maniera corretta
ed efficace il potere di autoregolazione degli interessi. Attraverso questo sistema viene anche valorizzato il
contributo dei diretti interessati alla tutela, cioè il contributo dei consumatori. In concreto non solo le singole
imprese, ma le loro associazioni di categoria danno vita ad una prassi che è stata definita di «contrattazione
collettiva» con le associazioni dei consumatori: esercitando il potere di autoregolamentazione danno vita ad
un modello concordato con l’ambizione di creare uno strumento di neutralizzazione e governo dei rischi.
Appare evidente, proprio in ragione dell’incidenza dell’attività delle Camere su di un momento
diverso e in una funzione diversa rispetto a quella dell’Autorità, la necessità di cooperazione tra i vari
soggetti interessati, anche al fine di realizzare quella trasparenza che è il presupposto ineliminabile per una
verifica sulla reale correttezza del mercato.

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