Sei sulla pagina 1di 3

Il filosofo.

Brague: «L'Europa si difenda


dall'ipocrisia del laicismo»
Daniele Zappalà mercoledì 2 gennaio 2019
A colloquio col pensatore francese: «L’Europa deve porsi chiare domande e smettere di
trincerarsi dietro l’ipocrisia del laicismo militante. La felicità dei nostri giovani dipende
da questo»

Rémi Brague, 71 anni, professore emerito di Filosofia medievale e araba presso


l’Università Paris 1 Panthéon-Sorbonne
«L’Europa deve porsi chiare domande e smettere di trincerarsi dietro l’ipocrisia del
laicismo militante. La felicità dei nostri giovani dipende da questo» «Non accetto
facilmente le nozioni di 'tre religioni monoteiste' e di 'tre religioni del Libro'. Non è allo
stesso modo che le tre religioni comprendono che Dio è unico. E il loro rapporto con il
Libro è pure molto diverso. Amo invece la parola ormai tanto vituperata, perché mal
compresa, di 'dogma'». Il celebre filosofo francese Rémi Brague conduce da anni un
lavoro di elucidazione sui fondamenti del fatto religioso, come nel suo ultimo saggio
intitolato, in modo molto classico, Sur la Religion (Flammarion). Per il filosofo, la
dimensione dogmatica non potrà mai perdere la sua centralità, «perché costruisce un
oggetto della fede dai contorni ben definiti, proponendolo alla ragione e alla libertà, non
all’affettività, al sentimento che, in fondo, crede molto meno in Dio che alla propria
esperienza soggettiva ».

Perché ha scritto un’opera sulla religione in generale?

Per via di un certo fastidio davanti al modo in cui s’impiega, come qualcosa di banale,
questo termine straordinariamentte ambiguo. Molti dicono 'le religioni' mettendole tutte
nello stesso paniere, anzi spesso nella stessa pattumiera. Ho scelto un titolo piano
perché volevo riconsiderare in modo pieno questa nozione, ponendo domande semplici:
da dove proviene la parola e il suo uso? Appartiene al passato, o invece siamo di fronte
all’apparizione continua di nuovi idoli, ancor più sanguinari di tutti quelli di un tempo?
Quali relazioni intrattengono le religioni con il diritto, la politica, la violenza?

Le sue tesi sulle radici anche cristiane dell’Europa, esposte più di un quarto di
secolo fa, vengono oggi accolte più favorevolmente anche fuori dal mondo cattolico
e cristiano. È un altro piccolo segno di una riflessione che, in un modo o nell’altro,
avanza nei Paesi europei?

Quelle tesi mi permisero di uscire dal microcosmo accademico. Sono felice di aiutare a
riflettere sul significato dell’Europa, la quale è molto più antica e profonda rispetto
all’Unione europea. L’Europa attinge a fonti culturali (preferisco questa metafora a
quella di 'radici') che sono dei tesori. Sarebbe stupido smettere di appropriarsene.
Continuiamo ancora a vivere grazie a queste fonti. Nella nostra epoca segnata da
preoccupazioni ecologiche, le religioni restano il fondamento più saldo per
legittimare il nostro appello a esistere rivolto alle generazioni future? Non ne vedo
davvero altri. Quelli che parlano di 'trascendenza orizzontale' e ci servono una versione
precotta del vecchio mito del progresso non sanno ciò che dicono. L’avvenire, le
generazioni future, dipendono dalla nostra volontà. Come potrebbe trascenderci ciò che
dipende da noi? Le generazioni future esisteranno se decidiamo ora di chiamarle
all’esistenza. Ma non possiamo certamente chiedere la loro opinione. E non possiamo
essere del tutto sicuri che saranno felici. Abbiamo il diritto di farle nascere solo se la
vita è un bene, un bene forte e in sé. Come affermarlo se non crediamo che tutto ciò che
esiste è stato creato da un Dio benevolo?

In Francia e non solo, gli ambienti laicisti agitano spesso lo spettro delle guerre di
religione. Queste critiche e paure hanno un fondamento concreto nell’Europa di
oggi? La Francia è un Paese che, dopo due secoli di relativa pace civile, punteggiata da
rivolte rurali, ha assaporato il sangue durante la Rivoluzione e non ne ha perduto il
gusto. Lo si è visto con la Comune e la sua repressione, con la Resistenza seguita dalle
'epurazioni' del dopoguerra. C’è una certa ironia nel fatto che i sostenitori di una 'laicità
mi-litante', dunque guerriera, vogliano mettere in imbarazzo i credenti rievocando le
violenze passate. Del resto, queste sono imputate alla religione, dimenticando il
contesto che ha avvelenato le differenze religiose, cioè la nascita dello Stato moderno e
la sua politica secolarizzata, alla Machiavelli o alla Hobbes.

A proposito della presenza demograficamente considerevole dei credenti


musulmani nelle società europee, quali sono le domande più urgenti che i poteri
pubblici dovrebbero porsi? Innanzitutto, chiedersi se il dinamismo demografico dei
musulmani non sia un atteggiamento sano, e il nostro rifiuto della vita, invece, una sorta
di malattia. È il vuoto delle nostre società un tempo cristiane che attira dei supplenti. In
Francia, un organismo statale come l’Ined, Istituto nazionale di studi demografici, è
stato fondato nel 1945 per promuovere politiche d’incoraggiamento alla natalità. Oggi,
sostiene la necessità dell’immigrazione. Un interrogativo salutare consiste nel chiedersi
fino a che punto le persone provenienti da Paesi sottomessi all’islam vorranno accettare
le regole in vigore nei nostri Paesi, che non lo sono. Ma occorre porre queste domande
chiaramente e cessare di promuovere misure dette 'di portata sociale', come le nozze
gay, l’aborto, l’eutanasia, l’utero in affitto, che scioccano i musulmani. E che li
spingono nelle braccia di coloro che, nel mondo musulmano, sostengono che
l’Occidente è marcio e che basterà attendere che caschi da solo.

Il filosofo Jean-Luc Marion ha pubblicato di recente una 'breve apologia' del


cattolicesimo. Quest’ultimo ha bisogno oggi di apologie? E chi dovrà occuparsene?
Con la parola 'apologia', il mio vecchio amico Jean-Luc vuole riallacciarsi alla seconda
generazione dei Padri della Chiesa. Si trattava allora di rispondere alle calunnie con cui
il potere romano cercava di giustificare le persecuzioni. Adesso, almeno in Europa, le
persecuzioni non sono violente. Altrove, lo sono, anche se non si vuole molto parlarne.
Da noi, sono per il momento ancora soft. Agiscono indirettamente. Con la derisione e il
sogghigno. Col silenzio e il rifiuto di diffondere ciò che diciamo. Col rifiuto di affidare
un posto a qualcuno che sarà percepito come 'troppo cattolico', cosicché occorrerà
essere bravi il doppio degli altri per ottenerlo. Detto questo, noi non difendiamo i
cattolici, ma la fede cattolica, e non è lo stesso. Chi dovrebbe farlo? Ma chiunque lo
vorrà! Che si parli, si scriva, nel modo più intelligente e convincente possibile. Sapere
poi se saremo ascoltati è evidentemente un’altra questione.

Potrebbero piacerti anche