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novembre 2010

L’IRAP, le sentenze della Corte di Cassazione, le circolari dell’A.E. e


l’attività dei Promotori Finanziari, di Francesco Guariniello

SOMMARIO: 1. Premessa; 2. natura e presupposto; 3. le sentenze della Corte di


Cassazione; 4. la posizione dell’Agenzia delle Entrate; 5. considerazioni finali

L’agognata decisione dell’Agenzia delle Entrate di rivedere il proprio


convincimento sui presupposti dell’ imposta IRAP è avvenuta con la Circ. 28/E
del maggio 2010, un revirement sull’obbligatorietà dell’imposta, dovuta
principalmente ad una serie di sentenze della Corte di Cassazione SS.UU. n.
12108,12109, 12110,12111 del 26/05/2009 alle quali l‘Agenzia delle Entrate si è
adeguata.

1. Premessa
L’attività del Promotore Finanziario da un punto di vista tributario, va inquadrata
come attività imprenditoriale, ai sensi del combinato disposto della disciplina
dell’imprenditore commerciale (art. 2195 c.c. n. 5 – la Corte di Cass. sent. n.
8485 del 28/05/2003, fornisce una pregevole interpretazione dell’impresa
ausiliaria) e dell’art. 55 del TUIR; i redditi prodotti pertanto sono considerati
redditi d’impresa.

2. Natura e presupposto dell’IRAP


L’IRAP è imposta che colpisce quella capacità contributiva autonoma, reale
separata dalla capacità contributiva personale propria dei singoli individui, in
qualità di proprietari, di percettori di redditi o di consumatori; un’imposta
(relazione Commissione Prof. Gallo) che “assoggetta a tassazione una capacità
contributiva impersonale, basata sulla capacità produttiva che deriva dalla
combinazione di uomini, macchine, materiali”.
Essa ha come presupposto, laddove non si tratti di attività esercitata dalle società e
dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato (ipotesi in cui
l’imposta si applica in ogni caso),“l’esercizio abituale di una attività
autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero
alla prestazione di servizi” (art.2 del d.lgs 446/97)
La tassazione IRAP non colpisce dunque il reddito, ma la struttura di cui si avvale
il professionista, cioè quel complesso dato dalla combinazione di mezzi e di
uomini, capace di creare, come sottolinea la Corte Costituzionale, “valore
aggiunto” e cioè l’incremento di capacità produttiva rispetto alla semplice attività
personale.

3. Le sentenze della Corte di Cassazione


La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, chiamata a dirimere un contrasto
giurisprudenziale circa l’assoggettabilità di talune figure professionali (agenti di
commercio e promotori finanziari) all’imposta regionale sulle attività produttive,
attraverso la lente interpretativa della Corte Costituzionale (Corte Cost. sentenza
n.156 del 21/05/2001), con una serie di sentenze (n. 12108, 12109, 12110, 12111
del 2009), riconosce come le stesse si pongano su di una linea sottile di confine tra
attività che costituisce “esercizio d’impresa” ai sensi dell’art 2195 c.c. e lavoro
autonomo.
La pregevole attività ermeneutica dei giudici di legittimità si focalizza sui criteri
che permettono il discernimento tra attività imprenditoriale e lavoro autonomo,
traccia il profilo giuridico delle “attività ausiliarie” attraverso il quadro
giurisprudenziale anche costituzionale e riconosce che la persona fisica può
svolgere le attività ausiliare (nella quale rientra l’attività del promotore quando
non svolta come dipendente) sia come imprenditore che lavoro autonomo .
Orbene è evidente per la Corte di Cassazione che in tale contesto, non aiuta la
nozione civilistica di imprenditore e lavoro autonomo, in quanto il primo è
categoria soggettiva, il secondo, qualifica contrattuale, ben potendo coesistere
nella medesima persona; appare diverso invece il quadro normativo che emerge
dalla disciplina tributaria.
Il legislatore formula la normativa ai fini IRPEF ponendo in rilievo aspetti
qualitativi: “includendo nel reddito di impresa l’esercizio di tutte quelle attività
che abbiano natura oggettivamente commerciale, senza tener conto del profilo
quantitativo, cioè proprio della dimensione organizzativa dell’attività, nella quale
deve essere valutato il "peso" del lavoro personale del soggetto, che quell’attività
svolge, sull’impiego del capitale e sull’utilizzazione del lavoro altrui: tanto non
sorprende, se si prende in considerazione la circostanza che il citato art. 51
(TUIR) (art.55 TUIR post modifica 2003) considera le attività indicate dall’art.
2195 c.c. produttive di reddito di impresa “anche se non organizzate in forma
d’impresa”. Ma a quel che è stabilito per le imposte sul reddito non può essere
riconosciuta una efficacia condizionante ai fini dell’interpretazione di imposte,
come è l’IRAP, che rispondono ad altri criteri e ad una diversa ratio impositiva”.
I giudici di legittimità giungono quindi ad affermare che vi è un”area grigia,
“una linea mobile di confine, rappresentata dallo svolgimento delle attività
ausiliarie di cui all’art. 2195 c.c., le quali, pur essendo ai fini delle imposte sul

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reddito considerate produttive di reddito d’impresa, possono essere (e spesso
sono) svolte dal soggetto senza “organizzazione di capitali o lavoro altrui”.
I giudici di legittimità riconoscono infatti che qualora queste attività si
considerassero produttive di redditi d’impresa tout court, - e quindi anche ai fini
IRAP, ebbene, ci troveremmo di fronte ad una sovraimposta, il reddito prodotto
dal lavoro personale verrebbe tassato prima con l’imposta personale e quindi lo
stesso reddito viene sottoposto ad un nuova imposta.
Si sottolinea quindi come base dell’imposta regionale sulle attività produttive, non
sia la oggettiva natura dell’attività svolta, ma il modo - autonoma organizzazione -
in cui la stessa è svolta; “una razionale giustificazione di una imposizione sul
valore aggiunto prodotto, un quid che eccede il lavoro personale del soggetto
agente ed implica appunto l’organizzazione di capitali o lavoro altrui”: se ciò non
fosse, e il lavoro personale bastasse, l’imposta considerata, non solo non sarebbe
vincolata all’esistenza di una “autonoma organizzazione”, ma si trasformerebbe
inevitabilmente in una sostanziale "imposta sul reddito".
Rileva infine la Corte di Cass. come la legge non esiga l’esistenza di una
particolare struttura per lo svolgimento dell’attività dell’agente di commercio e
del promotore finanziario, ribadendo il principio che la soggezione ad IRAP della
loro attività è possibile solo nell’ipotesi nelle quali sussista il requisito
dell’autonoma organizzazione che costituisce accertamento di fatto spettante al
giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità se congruamente
motivato. Il promotore finanziario è escluso dall’applicazione dell’imposta
soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata.
Si aggiunge per completezza che la Corte di Cass. indica precisi requisiti per
l’individuazione dell’autonoma organizzazione il cui accertamento spetta al
giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità.
Essa ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile
dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad
altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo
l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività
in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro
altrui. Costituisce onere del contribuente che chieda il rimborso dell’imposta
asseritamente non dovuta dare la prova dell’assenza delle predette condizioni.
A tal proposito la presenza di prestazione altrui, di cui il PF si avvale ed in
maniera non occasionale, ben rappresenta un tipico esempio di organizzazione del
lavoro tale da divenire presupposto dell’imposta in parola .

4. La posizione dell’Agenzia delle Entrate Circ. n.48/E del 2008; Circ. n. 28/E del
2010
L’agenzia delle Entrate con la circolare del 2008 n. 48/E stabilì in sostanza
l’impossibilità di dichiarare in modo generalizzato l’assoggettabilità dei liberi
professionisti ed in genere del lavoro autonomo all’imposta regionale sulle attività
produttive, dovendo essere sempre valutata l’esistenza effettiva di autonoma
organizzazione; si affermava inoltre come il requisito dell’autonoma
organizzazione fosse ontologicamente presente in attività imprenditoriali e

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suggeriva a mo’ di strategia difensiva processuale che in subordine fosse
comunque dedotta l’autonoma organizzazione di figure professionali quali
l’agente di commercio ed il promotore finanziario.
Le ripetute sentenze della Corte di Cassazione a SS.UU e pertanto nella massima
espressione della funzione nomofilattica, impongono all’Amministrazione
Finanziaria un classico revirement, che si concretizza con la Circolare n.28 del
maggio 2010 con la quale pur confermando che “ai fini della verifica
dell'autonoma organizzazione rileva comunque la disponibilità di beni
strumentali eccedenti il minimo indispensabile per lo svolgimento dell'attività,
anche qualora non vengano acquisiti direttamente, ma siano forniti da terzi, a
qualunque titolo”, di fatto prende contezza e conseguentemente si impegna ad
adottare comportamenti conformi al decisum dei Giudici di legittimità:
concretamente in presenza di “lavori autonomi” (il virgolettato è dell’Agenzia
delle Entrate che lascia ipotizzare che si intenda la categoria reddituale in senso
estensivo - secondo i dettami della Corte di Cassazione - anche alle attività
ausiliarie che ai fini IRPEF sono considerate produttive di reddito d’impresa), è
necessario considerare se si è in presenza di organizzazione di capitale e/o lavoro.
Per quanto concerne il contenzioso in essere avente ad oggetto l’imposta de quo,
l’Agenzia delle Entrate dichiara di volerlo abbandonare, qualora evidentemente il
ricorso del contribuente sia fondato alla luce dei principi richiamati dalla
giurisprudenza di legittimità e qualora evidentemente non siano sostenute altre
questioni .
Orbene fondamentalmente l’attività del Promotore finanziario non viene esclusa
tout court dal versamento dell’imposta IRAP; è onere evidentemente del
promotore finanziario, magari aiutato dal proprio commercialista o avvocato,
valutare se l’organizzazione della propria attività possa configurare una tipica
autonoma organizzazione, rilevando in ciò i beni materiali, servizi e personale di
cui dispone avvalendosene tanto direttamente, quanto indirettamente. A tal
proposito l’Agenzia delle Entrate riprendendo un’ordinanza della Corte di
Cassazione (n. 12078/2009) sottolinea che l’autonoma organizzazione si
configura indifferentemente dal mezzo giuridico con cui essa è attuata :
dipendenti o società di servizi ( nel caso in esame attraverso il contratto di
outsourcing).

5. Considerazioni finali
Il dettato interpretativo della Circolare 28/E dell’Agenzia delle Entrate, non
solleva dall’obbligatorietà del presupposto di imposta l’attività esercitata dal
promotore finanziario.
Non può pertanto nascere aprioristicamente un invito a non versare l’IRAP in
quanto, tale omissione potrebbe avere come effetto un possibile avviso di
accertamento con la quale l’Agenzia richiede la liquidazione dell’imposta con
interessi e sanzione (dal 120% al 240% dell’IRAP).
Va precisato comunque che un eventuale emissione del provvedimento di avviso
di accertamento per aver omesso la presentazione della dichiarazione, può essere
impugnato per insussistenza del presupposto o eventualmente per difetto di

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motivazione dell’avviso qualora lo stesso ne sia sprovvisto ed in tema di onus
probandi è compito dell’Amministrazione finanziaria fornire la prova del
presupposto impositivo .
Ulteriore ipotesi di comportamento è quello del contribuente che presenta la
dichiarazione ma non versa l’imposta: in tal caso si rischia di ricevere una notifica
di cartella di pagamento con la quale è richiesta l’imposta non versata, gli interessi
e la sanzione (30% del non versato).
In tal caso è facoltà del promotore finanziario chiedere la sospensione della
cartella esattoriale e successivamente impugnare la cartella.
Una terza possibilità è evidentemente quella di presentare la dichiarazione IRAP,
versare l’imposta e chiederne il rimborso dimostrando l’assenza di autonoma
organizzazione. L’eventuale rifiuto (o silenzio rifiuto) di rimborso è fonte di
contenzioso, nel quale il P.F. dovrà fornire la dimostrazione della carenza del
presupposto IRAP.
Nel solco di numerosi provvedimenti legislativi e regolamentari che sanciscono il
principio della reciproca affidabilità tra contribuente ed Amministrazione
finanziaria, è possibile tuttavia per il promotore finanziario in fase di eventuale
svolgimento di attività istruttorie da parte dell’Amministrazione, ed in
contradditorio con la stessa come nell’applicazione di istituti deflattivi del
contenzioso, evidenziare la struttura della propria attività; l’Agenzia delle Entrate
anche sollecitata dal contribuente può rinunciare all’imposizione e annullare l’atto
attraverso il ricorso al procedimento di autotutela anche qualora sia pendente un
giudizio, posto che tra le fattispecie previste dall’art. 2 del D.M.37/97 vi è proprio
l’errore sul presupposto dell’imposta.
A proposito poi dell’eventualità di ricorso ad un contenzioso, va sottolineato che
il secondo comma dell’art 92 del c.p.c., novellato dall’art. 45 della L. 18/06/2009
n. 69 (che ai sensi dell’art 1 del d.lg 31/12/1992 n.546 si applica anche al
processo tributario), dispone che la compensazione delle spese processuali è
lecito solo se concorrono gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate
nella motivazione.
Niente paura dunque di veder accolta la propria domanda ma dover comunque
subire un esborso di denaro. Il processo tributario con la riforma dell’art. 92 c.p.c.
garantisce un efficace e totale ristoro per il contribuente, posto che con
l’accoglimento del ricorso, l’opzione perequativa, impegna il giudice tributario a
motivare specificatamente le ragioni dell’eventuale compensazione,
circoscrivendo di fatto la sua discrezionalità entro il limite dell’endiadi “gravi ed
eccezionali ragioni”.

La seconda considerazione è di ordine sistematico e riguarda la figura del


Promotore Finanziario.

Non sia considerata una semplice boutade la domanda se il P.F. oggi rientri nel
più ampio genus dell’imprenditore tout court ai sensi dell’art 2082 c.c. prima
ancora di disquisire di impresa commerciale ausiliaria (ex art. 2195 c.c. co.1 n.5).
L’esperienza di migliaia di professionisti la cui attività è inserita organicamente in
strutture aziendali, non solo dal punto di vista funzionale, lascia in realtà alcuni

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dubbi circa la natura giuridica dell’attività: l’organizzazione di mezzi, capitale e
l’assunzione di rischio segni essenziali (non unici) e prodromici per identificare
un’ attività come imprenditoriale (Corte di Cass. 20/12/2002, 18135), risultano
minimi se non assenti del tutto.
Evidentemente il retaggio culturale prima ancora che giuridico, duro a morire, del
promotore finanziario qualificato come venditore door to door (rectius offerta
fuori sede) durante gli anni ottanta e novanta, con “organizzazione autonoma ” al
fine di promuovere strumenti finanziari e servizi d investimento del preponente
(art. 30 del T.U. F.), costituisce un imprescindibile punto di partenza per la
qualificazione giuridica dell’attività posta in essere.
Orbene, qualificare l’attività del promotore finanziario alla stregua di quella di un
imprenditore (sia pure nella species prevista dall’art 2195 co.1 n.5) ne amplia
evidentemente i confini giuridici-economici rispetto alla fattispecie della locatio
operarum e sin’anche della locatio operis (rispettivamente lavoratore subordinato
ed autonomo), posto che l’attività imprenditoriale è la massima espressione della
libertà di organizzazione di un’attività economica, una etero-organizzazione dei
fattori produttivi esterni al lavoro personale, come il lavoro altrui e/o proprio ed il
capitale altrui e/o proprio, non ricorrendo il fenomeno dei impresa, neppure
piccola (art 2083 c.c.), laddove vi sia solo auto-organizzazione stricto sensu .
D’altra parte, la continua evoluzione della figura professionale in parola,
introdotta nel nostro ordinamento con l’art. 5 della L. 1/91 (Disciplina dell'attività
di intermediazione mobiliare e disposizioni sull'organizzazione dei mercati
mobiliari ) alla quale sono poi succeduti il D.Lgs 415/96 ( Recepimento della
direttiva 93/22/Cee del 10 maggio 1993 e della direttiva 93/6/Cee del 15 marzo
1993) e il D.Lgs 58/1998 (T.U.F. delle disposizioni in materia di intermediazione
finanziaria ai sensi degli artt. 8 e 21 legge 52/1996), ha traslato il focus
dell’attività, dalla libera iniziativa economica ad una professione disciplinata con
ben più stringenti vincoli normativi pubblicistici (uno per tutti il superamento di
un esame e l’iscrizione ad un albo); così come la preclusione per i promotori
finanziari di unirsi in società, sia di capitali che di persone, trova la sua
giustificazione nella necessità di mantenere un rapporto personale e fiduciario
con il cliente (A. Chieppa Maggi in Testo Unico della Finanza, Commentario
diretto da Campobasso, 2002 e V. Roppo in Commentario al Testo Unico delle
disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, a cura di Alpa,
Capriglione, 1998).
Inoltre accanto all’attività di promozione e collocamento, attività tipicamente
commerciale nel tempo ha assunto sempre più valore l’attività consulenziale.
Ai sensi della previgente disciplina (ante MIFID), si trattava di un’attività
tipicamente strumentale posto che era fatto divieto al promotore l'esercizio
dell'attività di consulenza di cui all'articolo 1, comma 6, lett. f), del Testo Unico,
salvo il caso che l'attività sia svolta per conto del soggetto abilitato per il quale
opera o di altro soggetto appartenente al medesimo gruppo (art 94 lett. a Reg.to
Intermediari 11522/98).
L’introduzione della direttiva europea n. 2004/39/CE (MIFID) nel nostro
ordinamento ha poi riproposto nuovamente l’attività di consulenza come servizio
di investimento sino ad allora servizio accessorio e perciò non sottoposto ad

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alcuna riserva per il suo esercizio (l’attività di consulenza finanziaria fu introdotta
tra le attività di intermediazione mobiliare con l’art. 1, legge 1/91, una
innovazione non di poco conto, la stessa Legge SIM tuttavia inibiva al promotore
ogni forma di attività di consulenza porta a porta” ex’art. 5, co. 3,
successivamente non riproposto nel D.lgs. 415/96, attività derubricata a sevizio
accessorio e così riproposto nel d.lgs. 58/98 –T.U.F. ).
L’erogazione del servizio ed attività di consulenza prestato da persona fisica quale
il promotore finanziario, ancorché accompagnata ad ulteriori servizi di
investimento (ricezione e trasmissione di ordini o collocamento), di fatto sposta
inevitabilmente il perimetro normativo che inquadra l’attività a ridosso della
fattispecie prevista per i liberi professionisti o comunque del lavoro autonomo.
Una figura professionale oggi tesa a coniugare la distribuzione con la consulenza
all’interno di un rapporto cliente-promotore finanziario, nel quale assurge sempre
più rilevanza la fiducia del cliente riposta nel professionista.
Così con un mercato finanziario pieno di insidie, con i maggiori e più importanti
players (le banche), spesso attori offerenti medesimi servizi e strumenti finanziari
(con luci ed ombre parimenti distribuite), l’incontro tra risparmiatore –
professionista risulta avvenire alla stregua della più classica e consueta relazione
tra libero professionista e cliente, intuitu personae, con una forte caratterizzazione
dell’elemento personale.
Ebbene dunque, la sottile linea di confine tra un lavoratore autonomo (quando non
si è in presenza dei canoni previsti per il lavoratore subordinato), professionista
che collabora con un’impresa, e un’impresa individuale diviene ancora più labile
nei riguardi dell’attività esercitata dal promotore finanziario.
Entrambi svolgono un attività economica, e laddove l’accezione “ economica”
individua un’attività imprenditoriale che mira quantomeno al pareggio tra costi di
produzione e ricavi, non si può certo dire che l’attività di un avvocato può esimere
dal tener in considerazione il giusto equilibrio tra compensi e spese; così come
l’elemento della professionalità caratterizza entrambi le fattispecie.
L’elemento organizzativo diviene dunque il discrimen : va ricordato che essa è
pur presente nel lavoro autonomo, ma il carattere rigorosamente personale delle
prestazioni riveste un ruolo preminente, l’elemento dell’organizzazione ha quasi
carattere accessorio che non incide sull’essenza dell’attività del professionista che
continua a promanare da lui e che consegue il risultato prescindendo dalla forme
organizzatorie.
L’attività posta in essere dal promotore finanziario è dunque più articolata e
sfugge ad una semplicistica catalogazione: si pensi al promotore che di fatto
“gestisce” (in senso atecnico) un portafoglio clienti rilevante e dedica all’attività
commerciale (promozione e collocamento) momenti residuali rispetto alla più
complessa attività consulenziale.
La titolarità di un’auto, a volte di un notebook ed usufruire di un ufficio (spesso
un bene collegato giuridicamente all’intermediario) sono elementi che non
consentono di configurare a cuor leggero l’attività del p.f. come imprenditoriale.
L’attività esercitata dal promotore finanziario nel tempo infatti ha subito un
costante allontanamento dai tipici canoni normativi dell’attività imprenditoriale,

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per collocarsi, per usare le parole della Corte di Cassazione in “un’area grigia tra
il territorio dell’impresa ed il territorio del lavoro autonomo.”
Si deve prendere atto che talune figure professionali, hanno necessità di un
“tagliando normativo” (forse l’introduzione della direttiva europea MIFID sarebbe
stata un’ottima occasione per creare realmente ex novo un promotore finanziario
autonomo collaboratore dell’impresa bancaria ), al fine di permettere ai
professionisti coinvolti, di poter serenamente guardare al proprio futuro con piena
consapevolezza del proprio ruolo, e non ancorarlo invece, prima ancora che a
principi giuridici, a visioni metagiuridiche impresocentriche, svilendone
l’ambizione di assurgere a categoria a tutto tondo di professionisti della finanza;
un’occasione persa per permettere di risolvere definitivamente quella spiacevole
distonia tra un’attività che oggi rivendica il diritto di erogare prestazioni
consulenziali ed un figura professionale che per alcuni è sempre alla ricerca di un
proprio “profitto” come deve legittimamente aspirare un ‘attività imprenditoriale.
Vien da pensare forse che l’opera inizialmente svolta dalla giurisprudenza di
legittimità debba continuare nel più idoneo alveo legislativo in modo più organico
e sistematico al fine di addivenire a delineare una moderna figura professionale
compatibile con un’organizzazione aziendale, ed abbandonando definitivamente
stereotipate ed obsolete concezioni di un’attività di promozione finanziaria
pionieristica .

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