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Criteri e suggerimenti per preparare e


correre nel modo migliore una maratona
di Piero Colangelo

Il quesito più ricorrente che mi viene posto dalle pagine di PN riguarda il lasso di tempo
che necessita perché si possa impostare un ciclo di preparazione ben articolato che porti
l’atleta ad esprimersi al meglio in una gara di maratona.
A questo tipo di domanda è impossibile dare una risposta che abbia una valenza generale,
ogni podista si trova con un diverso grado di preparazione, ha obiettivi diversi e diverse
sono anche le sue potenzialità .
L’unica affermazione che non teme smentita parte dal presupposto che

un maratoneta, perché possa esprimere appieno le sue potenzialità, dovrà dedicare


alla preparazione diverse settimane se non alcuni mesi.

Un tempo di preparazione inferiore potrà essere impiegato da chi partecipa spesso a gare di
questo genere o si accontenta solo di giungere al traguardo senza particolari ambizioni
cronometriche.
Ma il podista che vuole affrontare l’impegno con l’intento di raggiungere un risultato
cronometrico che rispecchi le sue reali possibilità dovrà necessariamente ricorrere ad una
preparazione piuttosto articolata che preveda la crescita qualitativa delle caratteristiche
fisiologiche che caratterizzano il podista dedito alla corsa di endurance.
E’ indubbio che al maratoneta si chiede soprattutto di curare la “resistenza” e pertanto,
nell’intero arco della preparazione, i lavori che prevedono la corsa di durata non
mancheranno in nessuna fase, ciò che varierà sarà soprattutto il “dosaggio” ed il “ricorso
programmato a vari mezzi d’allenamento” che influenzano in diverso modo in le
capacità prestative dell’atleta.
Va, infatti, ricordato che esistono lavori che hanno l’obiettivo preminente di “costruire”
l’atleta, di determinare, cioè, quei cambiamenti biomeccanici grazie ai quali viene messo
nelle condizioni di migliorare le sue prestazioni (fase della costruzione) ed altri, da
utilizzare nelle fasi di preparazione successive, che permettono all’atleta di raggiungere il
massimo livello condizionale (fase della messa in forma).
Non vi sono particolari diversità tra la preparazione per la maratona e quella per il
mezzofondo prolungato, i primi cicli di preparazione sono pressoché coincidenti, ciò che
caratterizza il lavoro del maratoneta nel periodo invernale è soltanto il ricorso ad un
maggior chilometraggio durante le sedute che prevedono lavori estensivi.
Su come impostare la fase di costruzione e di miglioramento della potenza e capacità
aerobica si è già parlato nel capito dedicato alla gestione dell’allenamento, in questo scritto
l’attenzione sarà focalizzata prevalentemente sulla fase che prevede “la messa in forma
del maratoneta”.

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IMPOSTAZIONE CORRETTA DELLA PREPARAZIONE


Un maratoneta che vorrà presentarsi al meglio all’appuntamento dovrà in particolare modo
allenare le seguenti caratteristiche fisiologiche:

• la forza generale
• la forza specifica
• la potenza aerobica
• la capacità aerobica
• la potenza lipidica.

L’allenamento dovrà portare al raggiungimento dei seguenti obiettivi:

• Adattare le strutture articolare e muscolare a sostenere il carico conseguenze


all’impatto del peso corporeo sul terreno.
• Correre a lungo senza andare incontro a cali di ritmo.
• Migliorare l’impiego degli acidi grassi come forma energetica.
• Adattare mente e fisico a sostenere uno sforzo di così lunga durata.

Lo sviluppo della forza generale ha come obiettivo principale quello di preservare l’atleta
dagli infortuni che potrebbero insorgere nel corso di una preparazione così lunga ed
impegnativa. Vanno in particolar modo allenati addominali, dorsali, glutei e tutti i muscoli
degli arti inferiori.
I lavori per migliorare la forza specifica vanno eseguiti per lo più su percorsi che
presentano dei saliscendi, sarà così possibile abituare i muscoli che intervengono nel gesto
tecnico della corsa ad incrementare la loro forza – resistenza.
Il maratoneta, durante la sua prestazione, compie in genere dai venticinquemila, ai
trentamila passi, è facile intuire come diventi necessario avere muscoli in grado di
esprimere una buona azione di forza per tutta la gara in modo che l’atleta possa conservare
sempre un’efficace ed economica azione di corsa.
Come allenare la potenza aerobica e la capacità aerobica si è già parlato diffusamente nei
capitoli precedenti, ritengo comunque sia il caso di rammentare che

la potenza aerobica è la possibilità che ha l’organismo di produrre la maggior


quantità di energia utilizzando esclusivamente il meccanismo aerobico in una data
unità di tempo, mentre per capacità aerobica s’intende la caratteristica dell’atleta di
endurance di poter correre per un lasso di tempo piuttosto lungo ad un’andatura non
molto lontana dalla soglia anaerobica.

I lavori che più di altri permettono di migliorare la potenza aerobica sono le ripetute brevi
e medie, il corto veloce, le gare su strada su distanze dai 5 ai 15 chilometri, mentre la
capacità aerobica viene maggiormente sollecitata attraverso i lavori medi, progressivi,
intervallati che prevedono tratti corsi al ritmo maratona ed altri a ritmi vicino alla soglia
anaerobica e le ripetute medie e lunghe che comportano un recupero a ritmo maratona.

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Nella maratona, più che nelle altre gare di mezzofondo prolungato, un’attenzione
particolare merita l’allenamento che permette di sviluppare la

Potenza lipidica

Nel corso di una maratona, l’energia che deriva dal glicogeno muscolare e da quello
epatico può coprire circa i due terzi della totalità della spesa energetica necessaria per
completare la maratona. E’ questa la ragione per cui i muscoli devono obbligatoriamente
consumare una certa quantità di acidi grassi.
E’ stato osservato che in due atleti aventi lo stesso VO2Max, la diversità di prestazione
nella maratona era per lo più determinata dalla capacità più o meno elevata di consumare
durante l’impegno agonistico una ‘alta percentuale di acidi grassi.
Si è in particolare riscontrato che l’atleta che presentava uno scarso consumo di grassi si
trovava nella necessità di affrontare la gara ad un ritmo meno elevato rispetto all’atleta
dotato di una elevata potenza lipidica.
Nel caso quest’ultimo avesse tentato di tenere il passo dell’altro maratoneta sarebbe stato
costretto a consumare un quantitativo eccessivamente elevato di glicogeno che lo avrebbe
portato inesorabilmente a dover affrontare una crisi ipoglicidica.

La capacità dell’atleta di consumare durante le gare di endurance una percentuale


piuttosto elevata di lipidi viene comunemente denominata potenza lipidica.

La potenza lipidica si può migliorare soprattutto attraverso l’allenamento, è stato osservato


che il massimo consumo di grassi per minuto si determina ad un ritmo che è del 10 –12%
più lento rispetto alla velocità di soglia e corrisponde all’incirca al ritmo del fondo medio e
del ritmo maratona per un amatore di medio ed alto livello.

Un atleta amatore di medio livello, capace di correre ad una velocità di soglia del 15
km/h, lavorerà proficuamente sull’incremento della potenza lipidica correndo 16–25
chilometri al ritmo di 4’,20 –4’,25 al chilometro.

Di seguito viene riportata una tabella dove, in base alla soglia anaerobica od anche al ritmo
che si riesce a tenere in una gara di 15 km, vengono indicati i ritmi a cui effettuare i lavori
che influenzano la potenza lipidica:

Soglia anerobica andatura


17 km/h 4’
16 km/h 4’15”
15 km/h 4’,30”
14 km/h 4’,50”
13 km/h 5’,15”

Tutto ciò è in antitesi con alcune vecchie teorie in voga negli anni 60 e 70 secondo le quali
un miglioramento della capacità organismo di consumare gli acidi grassi durante la corsa di

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resistenza venivano allenate attraverso il ricorso massiccio a lavori che prevedevano il


fondo lungo lento.
Risulta che anche atleti di grande valore svolgevano lunghe sedute d’allenamento (anche di
cinquanta, sessanta chilometri), ad andature di 40 –50 secondi più lente rispetto al loro
ritmo maratona.

Test di laboratorio hanno accertato che le andature del lunghissimo incrementano in


misura di gran lunga inferiore la potenza lipidica rispetto a quanto sia in grado di
realizzare una seduta di fondo medio o di ritmo maratona.

FASE DELLA PREPARAZIONE SPECIFICA


Chi affronta la preparazione specifica per una maratona dove essere in possesso di un grado
d’allenamento già soddisfacente.
L’atleta dovrà quantomeno trovarsi su valori intorno al 75 –85 % della propria velocità di
soglia anaerobica in modo da poter svolgere con particolare profitto i lavori previsti dal
programma specifico di preparazione.

Durante questa fase il corridore dovrà continuare ancora il lavoro di costruzione ma,
nello stesso tempo, si preoccuperà di trovare la forma migliore.

In particolare, i lavori veloci, pur essendo per quanto riguarda la lunghezza simili a quelli
che si effettuano nella preparazione dei 10.000, richiederanno una diversa impostazione
sul lato dell’intensità.
In pratica essi andranno corsi ad un ritmo inferiore del 5 ed anche 10% ma con un
recupero che non sarà mai rappresentato dalla corsa in souplesse, bensì da un ritmo che si
avvicina alla corse lenta, mentre per gli atleti di livello medio ed elevato dovrà
corrispondere al ritmo maratona e, infine, per i più preparati, anche al fondo medio.
Nelle ultime 3 –4 settimane che concludono la preparazione sarà possibile incrementare la
lunghezza delle ripetute, portando però il ritmo solo ad una decina di secondi più veloce
rispetto a quello del fondo medio, mantenendo il tempo del recupero vicino a quello del
ritmo maratona.
Durante la fase specifica di preparazione per la maratona si abbandoneranno i percorsi
impegnativi in modo da correre nel modo più uniforme possibile, verrà curata anche la
tecnica di corsa cercando di realizzare un’azione quanto più decontratta ed economica
possibile.

Seguendo lo stesso schema utilizzato per gli altri tipi di gara, sarà preso in considerazione
il ciclo di “traning della messa in forma” di un atleta capace di chiudere la maratona in
3h, 15 circa.

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PERIODO RESISTENZA AEROBICA 8 -10 Fondo medio 13 –16 4’,20”


DELLA MESSA POTENZA AEROBICA SETTIMANE
IN FORMA POTENZA LIPIDICA Corsa progressiva 14- 17 da 4’,40” a 4,15”

Ritmo maratona 15 – 25 4’,35”

Corsa lenta costr. 13-15 4’,50”

Corsa continua con 16 ritmo corsa cont. 4’,35”


variazioni di ritmo 3 variaz. di 3 km ritmo 4’,10”

Corto veloce km 5 – 7 4’, 05”

6x 1.000 m ritmo 4’
recupero 1 km ritmo 4’,35”

3x 2.000 m ritmo 4’
recupero 2 km ritmo 4’,35”

2x 3.000 m ritmo 4’,05”


recupero 2 km ritmo 4’,35”

2 x 4.000 m. ritmo 4’,10”


recupero 2 km ritmo 4’,35”

Corsa intervallata km 12 5 variazioni di rimo di 300 m.


al ritmo di una gara di 10 km.
corsa continua ritmo 4’,40”

Fondo lungo km 24 –34 meta’ ritmo 4’,50”


metà ritmo 4’ 35

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SCELTA DEL RITMO GARA


I riscontri cronometrici rivenienti dal ciclo di preparazione ed i test pre - gara che hanno
accompagnato la parte finale della preparazione dovrebbero dare utili indicazioni all’atleta
su quello che dovrà essere il ritmo a cui affrontare la maratona.
Il maratoneta che ha già portato a termine diverse maratone sa bene che questo tipo di
impegno non ammette errori di valutazione.
Chi ha commesso l’errore di partire ad un ritmo troppo veloce ha potuto sperimentare come
le sue scorte di glicogeno si siano esaurite prima del tempo ed inevitabilmente ha dovuto
sopportare la crisi che sopraggiunge nella parte finale della gara e che finisce per
determinare un forte calo prestativo.
Il range in cui è possibile gestire il proprio ritmo è molto ristretto, studiando le prestazioni
cronometriche di maratoneti di ogni livello si è potuto rilevare che

quanto più elevato è il ritmo al quale l’atleta è in grado di correre, tanto minore è il
range in cui l’atleta può spaziare.

Neanche una prima parte di gara molto prudente su rivela una strategia efficace per
realizzare un tempo adeguato alle aspettative dell’atleta, in linea di massima si può
affermare che

la migliore condotta di gara è quella che prevede un ritmo di gara piuttosto uniforme
e che rispecchi le reali possibilità dell’atleta.

Ma come determinare maniera corretta l’andatura da tenere duramente la maratona ?.


I maratoneti più esperti non fanno riferimento ai riscontri di un solo test, ma giungono alla
determinazione del ritmo da tenere durante una maratona prendendo in considerazione una
serie di riscontri .
Per l’amatore alla prima esperienza può essere di grande aiuto il test Conconi ed il test del
lattato.
Il test del lattato è sicuramente più attendibile ma meno semplice da eseguire perché
richiede necessariamente il ricorso ad un laboratorio specializzato.
Il test del lattato consiste nel percorrere quattro tratti di due chilometri.
Un chilometraggio inferiore è sconsigliato perché, specie nelle prime prove, non
permetterebbe che s’instauri un certo equilibrio tra il lattato presente nel sangue e quello
che viene prodotto dai muscoli.
Perché il test sia attendibile è necessario che la velocità tenuta nelle varie prove sia la più
uniforme possibile e che per ogni tratto ci sia un incremento del ritmo di 10 secondi.
Ne consegue che il primo tratto andrà corso ad un ritmo più lento rispetto a quello che si
presume di dover tenere nella maratona, il secondo dovrà corrispondere più o meno al
ritmo maratona presunto mentre il terzo ed il quarto l’ultimo andranno corsi ad un ritmo
più veloce rispetto al ritmo maratona presunto.
Un piccolo prelievo di sangue al termine di ogni prova servirà per determinare in
laboratorio la percentuale di lattato nel sangue.
Riportando i risultati del test sugli assi cartesiani, sulle ascisse la velocità di corsa e sulle
ordinate la concentrazione di lattato, sarà possibile individuare esattamente a che velocità

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si determina una concentrazione di lattato acido di 2 millimoli di lattato acido e di 4


millimoli.
Mentre un maratoneta di livello assoluto è in grado di correre la maratona con
concentrazioni di lattato acido intorno ai 4 millimoli per litro di sangue, in pratica vicino al
suo livello di soglia anaerobica,

un atleta amatore ben allenato è in grado di correre senza problemi la maratona ad


un ritmo che nel test corrisponde ad una concentrazione di lattato acido tra i 2 e i 2,5
millilomi per litro di sangue.

Più empirico ma senza ombra di dubbio più immediato è il metodo che permette la
determinazione del ritmo maratona partendo dal risultato realizzato in una gara di mezza
maratona, corsa tre settimane prima della maratona.
Condizione perché il test sia attendibile è che l’atleta sia ben preparato a correre non solo
la mezza ma anche l’intera distanza dei quarantadue chilometri e che l’impegno nel test sia
massimale.
Per gli atleti che correranno la mezza maratona sotto l’1h,25’, possono determinare il ritmo
aggiungendo al tempo realizzato 10’–12’ e moltiplicando la sommatoria ancora per due,
mentre per gli atleti con risultato cronometrico tra 1h,26’–1h,35’, sarà necessario
aggiungere 13’ –15’, mentre per i maratoneti che hanno chiuso la mezza in un tempo
superiore sarà prudente incrementare il risultato cronometrico di 16’ – 20’.
Oltre al grado di preparazione esistono differenze fra un maratoneta e l’altro, vi sono atleti
che hanno una maggiore tenuta e quindi sono in grado di limitare in senso positivo la
differenza di andatura fra la mezza e la distanza doppia, altri invece soffrono proprio le
lunghe distanze ed in questo caso sarà necessario incrementare il numero dei minuti
aggiuntivi.
Comunque, prendendo a campione un numero consistente di podisti amatori di diversi
livelli, è stato rilevato come lo scarto del ritmo al chilometro tenuto in una gara di
maratona tra un atleta ed un altro con caratteriste abbastanza differenti ma in grado di
correre una mezza nello stesso tempo, difficilmente è superiore ai cinque, sei secondi.
Ne deriva in generale che

la diversa propensione tra i due atleti non si amplifica in modo particolarmente


evidente in una gara di maratona rispetto ad una mezza.

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IL “MURO” DEL 30° CHILOMETRO


Non esiste atleta che pratichi la corsa di resistenza che non abbia sperimentato la “crisi”.
Secondo alcuni autori la “crisi del fondista” può definirsi come

una serie di fastidi che colpiscono l’atleta tanto da fargli scadere in misura evidente
l’andatura , costringendolo in molti casi ad abbandonare.

La letteratura distingue diversi tipi di crisi, quelle a cui va maggiormente incontro il


maratoneta possono sintetizzarsi in

• Crisi muscolare
• Crisi da accumulo di acido lattico
• La crisi da crampi
• la crisi da disidratazione
• crisi psicologica.

La crisi muscolare
La crisi muscolare non risparmia il maratoneta che giunge all’appuntamento senza
un’adeguata preparazione; durante la prestazione, l’atleta avverte una certa pesantezza e
dolore a livello di muscoli, tendini ed articolazioni degli arti inferiori, al dolore si
accompagna inesorabilmente anche una riduzione dell’efficienza muscolare.
Il maratoneta doveva incrementare il carico dei suoi allenamenti, inserendo nel suo
programma di preparazione non solo una maggiore quantità di lavoro estensivo, ma si
rendeva necessario anche un maggior ricorso a ritmi vicini a quelli da tenere durante la
maratona per un chilometraggio piuttosto consistente.

la crisi da accumulo di acido lattico


Di solito, il maratoneta che non ha gestito con attenzione il ritmo finisce per incontrare “la
crisi da accumulo di acido lattico” tra il ventesimo ed il trentacinquesimo chilometro.
La crisi muscolare è determinata da un esaurimento prematuro delle sostanze energetiche
rappresentate dal glicogeno e da una presenza nei muscoli di una concentrazione di lattato
acido piuttosto elevato che ne inibisce in parte la loro funzionalità.
L’organismo dell’atleta si trova così a gestire la sua gara ricorrendo ad un substrato
energetico rappresentato per lo più da acidi grassi, sostanza meno pregiata del glicogeno
che non permette, a parità di sforzo, di conservare un’andatura efficiente ed in spinta.
La parte iniziale della gara diventa così il momento fondamentale su cui costruire la propria
performance, è sempre conveniente partire con prudenza, correndo ad un’andatura più lenta
di alcuni secondi nei primi cinque, dieci chilometri, si risparmieranno così preziose energie
a cui l’atleta potrà attingere nella parte finale della gara.

La crisi da crampi
Molti maratoneti, durante la loro prestazione vengono colpiti da improvvise fitte, che a
volte sono talmente insistenti da impedire all’atleta di continuare la propria prestazione.

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Si possono ridurre i rischi di crampi durante la gara bevendo ai vari rifornimenti non solo
acqua ma anche alcune soluzioni specifiche che contengono potassio, magnesio, meglio se
in forma di aspartati.
A determinare l’insorgere dei crampi può contribuire in modo determinante il mancato
ricorso ad una inadeguata fase di scarico nei giorni che precedono la prestazione.
L’insorgere dei crampi durante la maratona può essere arginato alternando al corsa con la
marcia ed eseguendo alcuni leggeri esercizi di stretching sui muscoli interessati.

La crisi da disidratazione
Nel caso in cui il maratoneta incappa in una giornata piuttosto calda con elevato tasso di
umidità, può incorrere a crisi da calore determinate da un eccessivo innalzamento della
temperatura corporea o da crisi di idratazione.
Egli potrà difendersi ricorrendo ad una serie di accorgimenti:

• dovrà bere molto ad ogni rifornimento.


• bagnare il capo e buona parte del corpo ad ogni spugnaggio per aiutare
l’organismo a mantenere non elevata la temperatura corporea.
• l’abbigliamento dovrà essere ridotto al minimo ed è bene riparare il capo con un
berretto.

Crisi psicologica
Se non si è troppo motivati, si ha poca voglia di gareggiare e addirittura di correre,
difficilmente si sarà nelle condizioni di superare la crisi che interverrà non appena la fatica
diverrà più insistente per effetto dell’elevato numero dei chilometri percorsi .
Al tempo stesso è altrettanto rischioso affrontare la gara eccessivamente motivati ,
difficilmente l’atleta saprà liberarsi dell’ansia pre - gara che molto volte lo spinge
inconsciamente a correre ad un ritmo superiore alle proprie possibilità.
Molti atleti di fronte a situazioni di difficoltà gettano la spugna, ma moltissimi altri
trovano nella motivazione di terminare in ogni caso la gara insperate energie che finiscono
per sostenerlo sino al traguardo.
Con ogni probabilità il “maratoneta caparbio” non realizzerà il suo personale ma, pur in
presenza dello scadimento del gesto atletico, riuscirà a correre sino al traguardo.

Nel caso in cui si è colti dalla “crisi” esistono alcuni semplici accorgimenti che non vanno
sottovalutati e che aiutano l’atleta a completare la sua prestazione.

1. In primo luogo sarebbe buona norma, predisporre già qualche giorno prima un
piano d’emergenza nel caso in cui dovesse malauguratamente presentarsi la crisi.
Meglio studiare in anticipo e con attenzione una strategia che farsi trovare
impreparato durante la gara, lo scoramento e la perdita di autostima potrebbero
portare il maratoneta a scegliere strategie sbagliate o addirittura alla decisione di
abbandonare. Per esempio si può stabilire “a tavolino” che, se dal venticinquesimo,
trentesimo chilometro si avvertisse una respirazione piuttosto affannosa o si
toccasse già una frequenza vicina a 170 battiti cardiaci al minuto, si potrebbe
stabilire di ridurre il ritmo di 10”, in modo da riequilibrare l’equilibrio aerobico.

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2. Di fronte al sopraggiungere della crisi, mai farsi prendere dal pessimismo, il


momento della crisi va visto come un’evenienza che rientra nel “gioco” della
maratona e va accettata senza drammi. Diventa necessario spostare la propria
attenzione su alcuni aspetti positivi, quali il fatto che il traguardo non è poi così
lontano, che ad attendere l’atleta all’arrivo ci sono i familiari che, in ogni caso, lo
accoglieranno con gioia, che il portare al termine una maratona anche in un tempo
superiore al previsto rimane in sempre un’impresa.
3. Intervenuta la crisi è necessario aumentare la “concentrazione sulla propria
corsa”, fare attenzione ad accorciare il proprio passo in modo da avere una spesa
energetica inferiore. Un grosso aiuto psicologico lo si ottiene anche dividendo il
tragitto ancora da percorrere in tanti piccoli traguardi (tecnica del Framing),
raggiunto un traguardo parziale il maratoneta ritroverà, a livello inconscio, nuova
fiducia e ottimismo per la sua prestazione.

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COME SUPERARE LE DIFFICOLTÀ DI UNA MARATONA


“DIFFICILE”

Nella maratona le condizioni atmosferiche ed il percorso impegnativo possono, più che in


ogni altra gara del mezzofondo prolungato, vanificare gli sforzi dell’atleta che ambisce ad
un risultato cronometrico che lo ripaghi degli sforzi e delle fatiche patite per giungere al
top della condizione.
E’ innegabile che condizioni poco favorevoli influenzeranno non poco il risultato finale,
ma è altrettanto vero che sono possibili alcuni accorgimenti per limitare i “danni”.
• Maratona con freddo e pioggia: Prima della partenza è conveniente spalmare le
gambe con creme idrorepellenti per evitare la vasocostrizione conseguente
all’azione dell’acqua gelida sul corpo. Se l’asfalto dovesse risultare scivoloso
evitare di allungare troppo la gamba per non incorrere nel rischio di perdere
l’equilibrio. Evitare di coprirsi troppo perché dopo poco gli indumenti saranno
inzuppati d’acqua e di sudore che a contatto con l’aria fredda diventeranno gelidi.
• Maratona con caldo umido: Cercare di bere molto nei giorni precedenti la
maratona, in tal modo aumenteranno i liquidi intercellulari all’interno delle fasce
muscolari. Durante la gara bevete e rinfrescatevi ad ogni punto di ristoro anche se al
momento vi sembrerà di non averne bisogno. Quando si avvertano i primi sintomi
di sete e di accaloramento vuol dire che l’organismo è già in una situazione di
difficoltà.
• Maratona con il vento contrario: se durante la maratona soffia un vento piuttosto
forte in senso contrario alla corsa, rimanere quanto più possibile nel gruppo,
evitando di effettuare lunghi tratti in solitudine. Ritardare quanto più possibile il
momento in cui si è deciso d’incrementare eventualmente il ritmo, poiché l’elevata
resistenza all’aria rende la corsa particolarmente dispendiosa.
• Maratona che presenta lunghi tratti di discesa e di salita: Nei tratti in salita
accorciare il passo cercando d’incrementare la frequenza, mentre i tratti in discesa
andranno affrontati senza il proposito di recuperare quanto perso in salita ma con
l’obiettivo di spendere il meno possibile cercando un’azione di corsa piuttosto
decontratta.

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ALIMENTAZIONE
Nella maratone, più che nelle altre competizioni del mezzofondo prolungato, è necessario
seguire adeguate indicazioni dietetiche per fornire all’organismo tutte quelle sostanze
nutritive che servono a garantire le migliori capacità prestative della muscolatura.
E’ noto che il miglior carburante a disposizione dei muscoli sia rappresentato dal
glicogeno :

il glicogeno viene immagazzinato nei muscoli e nel fegato dopo un processo di sintesi
che parte proprio dai cibi ricchi di carboidrati.

Un maratoneta ben allenato che si alimenta seguendo una dieta iperglicidica è in


grado di conservare nei propri muscoli una quantità di glicogeno intorno ai 2,5
grammi per ogni cento grammi di muscolo, ciò gli consentirà di conservare una buona
efficienza di corsa per un periodo abbastanza prolungato.

Una concentrazione elevata di glicogeno muscolare fa si che i muscoli, oltre a


lavorare meglio, evitino di consumare grosse quantità di proteine (necrosi
muscolare), in tal modo il recupero dopo la maratona sarà più rapido.

Nasce così nell’atleta che deve affrontare una maratona la necessità di adottare una dieta
ricca di carboidrati durante tutto il periodo della preparazione, ma soprattutto nei tre giorni
che precedono l’impegno agonistico.
In particolare, per quanto riguarda le scelte alimentari da seguire nei giorni che precedono
la maratona, ritengo che per un atleta amatore non sia il caso di ricorrere alla dieta
dissociata
Essa, in pratica, consiste nell’effettuare nei primi tre giorni della settimana una dieta molto
povera di carboidrati (dunque costituita prevalentemente da proteine e grassi) ed i
successivi tre ricca di carboidrati.
In tal modo nei primi tre giorni si svuotano i muscoli del glicogeno per poi riempirli nei
giorni successivi.
Si tratta di un regime alimentare in voga negli anni settanta che viene sempre più
abbandonato dai maratoneti di qualsiasi livello. Si è infatti constatato come in un
maratoneta ben allenato la concentrazione di glicogeno nei muscoli sia già sensibilmente
più elevata di quella di un soggetto normale. I sei giorni di dieta si sono dimostrati non
necessari per raggiungere quelle concentrazioni (2, 5 per 100 gr. di muscolo) che gli
permettono di esprimersi al massimo delle possibilità.
D’altro lato, anche un maratoneta poco allenato non troverà grossi vantaggi dalla dieta
dissociata, poiché le poche decine di secondi che riuscirà a guadagnare non compenseranno
i disagi ed i problemi (anche di natura psicologica) che la dieta dissociata comporta.
Basterà, pertanto, effettuare lo “scarico dei carboidrati” il mercoledì, per poi
incrementare gradualmente la percentuale di carboidrati da assumere durante i pasti,
portandoli dai normali 50 –60 % sino a raggiungere una percentuale del 75 –80%, con
conseguente riduzione di apporto di proteine e soprattutto di grassi.
Nella scelta degli alimenti ricchi di carboidrati si dovrà evitare di eccedere nell’assunzione
di quegli alimenti costituiti principalmente costituiti da zuccheri semplici, quali miele,
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marmellate, bevande ricche di zuccheri, essi andranno consumati sempre con la solita
moderazione, mentre si privilegeranno gli alimenti ricchi di amidi come la pasta, il pane ,
le patate.
Una dieta iperglicidica –tipo nei giorni che precedono la maratona potrebbe essere la
seguente:

prima colazione pranzo cena spuntino


mercoledì 80 grammi di - 150 grammi di Finocchi e
-caffè o tè poco zuccherati, prosciutto cotto tonno carote
con due, tre biscotti secchi. -due uova alla cocché - verdura cotta a
-finocchi e carote volontà condita con
poco olio

giovedì -succo di frutta -Abbondante piatto di Zuppa di verdure Una fetta


-latte scremato con cereali o pasta con il parmigiano Con molti con di crostata
biscotti magri, in alternativa e poco burro crostini di pane e frutta a
-caffè o tè con una piccola - 50 grammi di carne ai Pane e pomodoro volontà.
fetta di crostata di frutta ferri -frutta di stagione
-Panino
-frutta di stagione

venerdì -succo di frutta o tè o caffè -Abbondante piatto di Verdure cotte con un Una fetta
-latte scremato con cereali o pasta con legumi filo d’olio di crostata
biscotti magri, in alternativa - Patate bollite condite Patate bollite e frutta a
alcune fette biscottate con un con un filo d’olio condite con un filo volontà.
“velo” di miele o marmellata -frutta di stagione d’olio
-frutta di stagione

sabato -succo di frutta o tè o caffè -Abbondante piatto di -Gnocchi conditi Una fetta
-latte scremato con cereali o pasta con il pomodoro con parmigiano o di crostata
biscotti magri, in alternativa - o verdure. pizza margherita e frutta a
-alcune fette biscottate con - 50 rammi di carne -Patate bollite volontà.
un “velo” di miele o bianca ai ferri condite con un filo
marmellata -una fetta di crostata di d’olio
mele -Barretta di
-frutta di stagione cioccolato fondente
-frutta di stagione

domenica -succo di frutta Pranzo leggero. Cena secondo


-latte scremato con cereali o L’organismo è abitudini
biscotti magri, in alternativa - piuttosto affaticato per
-molte fette biscottate con un l’impegno agonistico,
“velo” di miele o marmellata evitare cibi elaborati ed
-una fetta di crostata di frutta abbondanti
-tè o caffè

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Un’attenzione particolare merita la scelta degli alimenti che dovranno costituire cena e la
colazione che precedono l’impegno agonistico.
Il maratoneta esperto sa che una alimentazione non corretta nelle ore che precedono la
gara potrà influenzare non poco la sua prestazione.
Nel decidere cosa assumere tiene in debita considerazione alcuni importanti principi di
carattere scientifico.
In primo luogo non dimentica che:

• il cibo rimane nello stomaco dalle due alle quattro ore,


• gli alimenti che contengono grassi sono quelli più lenti a lasciare lo stomaco,
• la maggior parte delle sostanze nutritive, grazie ai succhi prodotti dal pancreas
viene assorbita attraverso la parete del piccolo intestino e finalmente giunge nel
sangue dopo un processo che può durare sino ad otto ore.

La cena e la colazione che precedono la maratona dovranno essere abbondanti ma


non tali da modificare in modo eccessivo le abitudini dell’atleta, mentre la scelta
dovrà necessariamente cadere su pietanze poco elaborate, con tempi di cottura
piuttosto brevi e che contengono pochi grassi.

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