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PIETRO META T A IO

OPERE
A C RA DI

F U T I OLI I

\ L ~1E T Z

BARI
GIU . LATERZA & FIGLI
TlP TRAF I -EOITORI-LIBRAl
PROPR1 ETA L TTER lA
XI

OLIMPIADE
Dramma rappresentato, con musica del CALDARA, la prima volta nel giar-
dino dell'imperia) Favorita, alla pre enza degli augusti regnanti, il dl
28 agosto 1733, per fe teggiare il giorno di nascita dell'imperatrice
Elisabetta, d 'ordine dell' imperator Carlo sesto.
RGO 1E T

acquer a Cii tene, re di icione, due figliuoli gem lli, Filinto


ed Ari t a; ma, a ve rtito dall'oracolo di Delfo del pericolo ch' i
correr bbe d'e er ucciso dal proprio figlio per consiglio d l me-
desimo oracolo fece e porre il primo e con ervò la econda. Cre-
sciuta questa in eta ed in bellezza, fu amata da Megacle, nobile
e valoroso giovane ateniese, piu volte incitare ne' ·uochi olim-
pici. Questi, n on potendo ott nerla dal padre, a cui era odioso il
nome a teniese, va di perato in Creta . Quivi, as alito e quasi op-
pre so da masnadieri, è conservato in vita da Licida, cr duto
fi g li d l re dell'isola· onde contrae ten ra e indissolubile am ista
col uo liberatore. Avea L icida lungamente amata Argene nobìl
dama cretense, e promessale occultamente fede di sposo. l\Ia, co-
perto il suo amore il re. risoluto di non permettere qu ste nozze
ineguali, perseguit di tal sorte la sventurata Argene, che si vide
costretta ad abbandonar la patria e fu ·girsene sconosciuta nelle
campagne d'Elide, dove, sotto nome di Licori ed in abito di pa to-
rella, isse nasco. ta a' ri entimenti d ' suoi congiunti ed alle vio-
lenze del suo sovrano. Rimase Licida inc nsolabile per la fuo·a
d ella sua Aro-ene; e dopo qualche tempo, per di trarsi dalla me·
stizia, ri ol e di portarsi in Elide e trovarsi presente alla solen-
nita de g iuochi olimpici, ch'i vi, col concor o di tutta la Grecia,
dopo o ni quarto anno si rip tevano. Ando d, lasciando Megacle
in Creta, trovò he il r Cii tene el tto a pre ied re a' giuoch i
suddetti, e perciò c nd otto i da icione in Elide, proponeva la
propria figlia Aristea in premio al vincitore. La vid Licida, l'am-
mir , e, obbliate l s enture de' suoi primi amo ri, ar ntem nte
se n' in aghi; ma, di perando di poter conqui tarla, per non sser
4 XI - OLIMPIADE

egli punto addestrato agli atletici esercizi, di cui dovea farsi pruova
ne' d etti giuochi, immaginò come supplire con l' artifizio al difetto
dell' esperienza. Gli sovvenne che l'amico era stato piu volte vin-
citore in somiglianti contese; e , nulla sapendo d egli antichi amori
di Megacle con Aristea, risolse di valersi di lui, facendolo com-
battere sotto il finto nome di Licida. Venne dunque anche Megade
in Elide alle violenti istanze dell ' amico ; ma fu cosi tardo il suo
arrivo, che gia l'impaziente Licida ne disperava. Da questo punto
prende il suo principio la rappresentazione del presente dramma-
tico componimento. Il termine, o sia la principale azione di esso,
è il ritrovamento di quel Filinto, per le minacce degli oracoli
fatto esporre bambino dal proprio padre Clistene; ed a questo
termine insensibilm ente conducono le amorose sma nie di Ari tea,
l'eroica amicizia di Megacle, l'incostanza ed i furori di Licida e
la ge nerosa pieta della fedelissima Argene (ERODOTO, PAUSANIA ,
NATALE CoNTI, ecc.).
INTERLOCUTORI

CLISTENE, re di Sicione, padre d' Aristea .


ARISTEA, sua figlia, amante di Megacle.
ARGENE, dama ret n e i abit di pa tor lla, otto n me di
Licori, amante di Licida.
LICIDA, creduto figlio del re di Creta, amante d' Aristea ed amico di
Megacle.
MEGACLE, amante d' Arìstea ed amico di Licida.
AMI TA 1 aio di Licida.
ALCANDRO, confidente di Clistene.

La cena si finge nell e campagne d'Elide, vicino alla citta d'Olimpia,


alle sponde del fiume Alfeo.

T O P I O

SCE A I

Fondo selvoso di cupa ed an usta valle, adombrata dall'alto da grandi


al b ri , che giungono ad intr cciar i rami dall'un all'altro colle, fra' quali
è hiu a.

LICID ed A II TA.

LICIDA. H ri oluto , Aminta,


piu con iglio non vuo '.
AMINTA. Licida, ascolta.
Deh! modera una olta
questo tuo iolento
spirito intollerante.
LICIDA. E in chi poss' io,
fuor che in me , piu sperar? Megacle istesso,
Megacle m'abbandona
nel bisogno maggiore. Or va' riposa
u la fé 'un amico .
AMJNTA. Ancor non déi
condannarlo però . Breve cammino
non è quel che divide
Elid , in cui noi siamo,
da reta, ov'ei restò . L'ali a11 e piant
non ha Megacle alfi n. Forse il tuo s rvo
Xl - OLIMPIADE

subito noi rinvenne. Il mar frapposto


forse ritarda il suo venir. T'accheta:
in tempo giungeni. Prescritta è l'ora
agli olimpici giuochi
oltre il meriggio, ed or non è l'aurora .
LICIDA. Sai pur che ognun, che aspiri
all'olimpica palma, or sul mattino
dee presentarsi al tempio; il grado, il nome,
la patria palesar ; di Giove all'ara
giurar di non valersi
di frode nel cimento.
AMINTA. Il so.
LICID . T'è noto
ch'escluso è dalla pugna
chi quest'atto solenne
~iunge tardi a compir. Vedi la schi ra
le' concorrenti atleti? Odi il festivo
:umulto pastoral? Dunque che deggio
attender piu, che piu sperar?
AMI TA. Ma qual
sarebbe il tuo disegno?
LICIDA. All'ara innanzi
presentarmi con gli altri.
AMJNTA. E poi?
LICIDA. Con gli altri
a suo te m p o pugnar.
AMINTA. Tu!
LICIDA. Si. N o n ere d i
in me val or che basti?
AMINTA. Eh! qui non giova,
prence, il saper come si tratti il brando .
Altra specie di guerra, altr'armi ed altri
studi son questi. Ignoti nomi a noi,
cesto, disco, palestra a' tuoi rivali
per lung'uso son tutti
familiari esercizi. Al primo incontro,
ATTO PRIMO 9

del giovanile ardire


ti potresti pentir.
LICIDA. Se fosse a tempo
Megade giunto , a tai contese esperto ,
pugnato a ria per me: m a, s'ei non viene,
che far degg ' io? on si contrasta, Arninta,
oggi in Olimp ia del selvaggio ulivo
la solita corona. Al incitore
sanl prernio Aristea , figlia reale
dell'invitto Clistene, onor pl'imiero
deUe greche sembianze, unica e bella
fiamma di questo c:or , benché novella.
A U NTA. Ed Argene?
LrcmA. Ed fugene
piu riveder non spero. Amor non vive,
quando Ihuor la speranza.
1\MINTA. E pur giurasti
tante volte ...
LICIDA. T'intendo. ln queste fole,
finché 1'<)ra trascotra,
trattener mi vorresti. Addio.
AMINTA. Ma senti.
LICIDA. No, no.
AMINTA. Vedi che giunge .. .
Lr IDA. Chi?
AMI TA. Megacle.
LI CIDA. Dov ' è?
AMINTA. Fra quelle piante
parmi. .. No ... non è desso.
LICID A . Ah! mi deridi,
e lo metito, Aminta. Io fui si cieco
che in Megade sperai. (~·a}elldo partire)
IO XI - OLIMPIADE

SCE A li

MEGACLE. Megacle è teco.


LtCIDA. Giu ti dèi!
MEGACLE. Pr nce.
LIC1DA. Amico,
vieni, vieni al mio seno. Ecco risorta
la mia speme cadente.
MEGACLE. E sani vero
che il ciel m'offra una volta
la via d'esserti a-rato?
LI IDA. E pace e vita
tu puoi da.rmi, e vuoi.
M.EGA LE. Come?
L ICIDA. Pugnando
nell'olimpico a ·one
p r me, col nom IJlÌO.
MEGACLE. Ma tu non sei
noto m Elide ancor?
LtCIDA. o.
MEGACLE. Quale ogo-etto
ba questa tramar
LI IDA. Il mio riposo . Oh Dio!
J).o n perdia.mo i morn nti. Appunto è l'ora
che de' rivali atleti
si raccolgono i nomi. Ah . ol al tempio.
Di' che Licida sei. La tua enuta
inutile sani, se piu soggiorni.
Vanne: tutto sap1a1 , quando ritorn1
MEGA LE. Superbo di me stesso
andrò ortando in fronte
quel caro nome impresso,
come mi ta nel cor.
ATTO P,RDI II

Dir · la Grecia poi


che flìr comuni a n i
l opre, i ensier, gl i affetti,
e alfine i nomi ancor. (parte)

SCE III

LICIO ed AM I TA .

LlCIDA . . Oh generoso amico !


oh Meg cle fedel!
Ml TA. C si di lui
non parlavi poc'anzi.
LI IDA. Eccomi alfine
possessor d' Aristea . anne: djspooi
tutto, mio caro Aminta. lo con la sposa,
pri ma che il sol ramonti,
vol:,lio quindi partir .
AMINTA. Piu lento, o prence,
n el fing erti felice . Ancor vi resta
molto di che temer. Potria l' inganno
esser scoperto : al paragon potrebbe
1 gacle soggiacer. So ch'altre volt
fu vincitor, ma un im pensato evento
o che talor confonde il ile e 'l orte;
né empre ha la irtu l' istessa sorte .
L ICIDA. Oh ! sei pure importuno
con questo tuo no ioso
perpetuo dubitar. icino al porto
· uoi eh' io tema il naufragio? A ' dubbi tuoi
chi pre ta fede intera
non sa mai quando è l ' alba o quando è sera .
Quel de trier che all'albergo è vicino,
piu veloce s'affr tt nel corso:
12 Xl - OLIMPIADE

non l'arresta l'angustia del morso,


non la voce che legge gli da.
Tal quest'alma, che piena è di speme,
nulla teme, consiglio non sente;
e si forma una gioia presente
del pensiero che lieta sani. (partono)

SCENA IV

Vasta caropagl'ta a\le fa\de d'un monte, parsa di capanne pastorali.


Ponte rustico sul fiume Alfeo, composto di tronchi d ' alberi rozzamente
commessi. Veduta della citta d'Olirnpia in lontano, interrotta da poche
piante che adornano la pianura, ma non 1' ingombrano.

ARGENE, in abito di pastorella sotto nome di Licori, tessendo


ghirlande. CoRo di NJNFE e PASTORJ, tutti occupati in lavori pa-
storali: poi ARISTEA con séguito.

CORO. O h care se lve ! oh cara


felice li berta!
ARGENE. Qui, se un piacer si gode,
parte non v'ha la frode ,
ma lo conùisce a gara
amo re e fedelt3.
CORO. Oh. care se\ ·e\ oh cara
felice li berta!
ARGENE . Qui poco ognun possiede,
e ricco ognun si crede;
né, piu bramando, impara
che cosa è poverta!
C RO. Oh care selve! oh cara
fe\ice liberta \
ARGENE. enza custodi o mura,
la pace è qui sicura,
che l'altrui o g lia a ara
onde allettar non ba. ·
ATTO PRI ~O 13

CoRo. Oh care sei e! o h cara


felice liberta !
ARGENE . Qui g l ' innocenti amori
di ninfe ... ( 'alza da sedere)
Ecco Aristea .
A RISTEA. Siegui, o Licori.
ARGE NE. Gia il rozzo mio soggiorno
torni a re nd er felice, o principessa?
ARISTEA. Ah ! fuggir da me stessa
potes i ancor, come dag li altri. Amica,
tu non sai qual fun esto
giorno per me sia questo.
ARGENE. È questo un giorno
glorioso per te . Di tua bellezza
qual può l' eta futura
pro a aver piu sicura? A conquistarti
nell'olimpico agone
tutto il fior dell a Grecia ogo-i s 'espone.
AR lSTEA. Ma chi bramo non v'è. Deh! si proponga
m en funesta materia
ai nostro ragionar. (siede Aristea) Siedi, Licori:
gl ' interrotti lavori
riprend i, e parla . Incom inci asti un giorno
a narrarmi i tuoi casi. Il tempo è questo
di proseguirli. Il mio dolor seduci :
raddolcisci, se puoi,
i miei tormenti, in rammentando i tuoi.
ARGENE . Se avran tanta virtu , senza mercede
non va la mia costanza. (siede) A te gia dissi
che Argene è il nome mio, che in Creta io nacqui
d ' illustre sang ue , e che gli affetti miei
fur piu nobili ancor de' miei natali.
ARISTEA. So fin qui.
ARGENE. De' miei mali
ecco il pri ncipio . Del cretense soglio
Licida il regi o erede
14 XI - OLIMPIADE

fu la mia fiamma, ed io la ua. Celammo


prudenti un tempo il nostro amor; ma oi
l'amor s ' accrebbe, e, come in tutti avviene,
la prudenza scemò. Comp rese alcun o
il fa ellar de' nostri SCYUardi: ad altri
i sensi ne spi egò . Di oce in voce
tanto in bre e s i stese
il maligno ru m or, che ' l re J' intese.
Se ne sdegnò, sgrido nne il fig-lio; a lui
ietò di piu vedermi , e col divieto
glien'accrebbe il desio; ché aggiunge il vento
fiamme alle fiamme , e piu superbo un fiume
fanno gli argini oppo ti. Ebro 'amor e
frem e Licid , e pensa
di rapirmi fugo-ir. utto il disegno
spiega in un foglio: a me l'i m ia. Trad isce
la fede il messo, e al re lo reca. È hiuso
in custo ito albergo
il mio povero amante. A me s'impone
che a straniero co nsorte
orga la e ·tr . Io lo ricuso. Orrnuno
contro me s i dichiara . Il re minaccia:
mi condannan g li amici: il padre mio
uol che al no Ò accons nta. Al ro ripar
che la fu ga o la morte
al mio caso n on trovo . Il men funesto
credo iJ piu aCYgio, e l 'e cguisco. Ignota
in Elide per enni . In queste sei e
mi proposi abitar. ui fra a tori
pa tor Ila mi finsi, e or son Licori:
ma s rbo al caro bene
fido in s n di Li cori il cor d' Aro-en
ARI TEA . In er mi fa i pi ta. Ma la tua fu a
non appro o però. Donzella e sola,
cerca r contrade ignote ,
abban onar ...
ATTO PRl IO IS

ARGENE . Dunque dovea la mano


a 1egacle donar?
ARISTEA. egacle! {Oh nome!)
Di qual Megacle parli?
ARGE E. Era lo sposo
questi che il re mi destinò. DO\·ea
dunque obbliar ...
ARISTEA. e ai la atria?
ARGE E. Atene.
ARISTE . Come in Creta per enne?
ARGE E. Amor el trasse ,
com' ei tesso dicea, ramin go, afflitto .
el g]ungen i fu còlto
da stuol d i masnadieri; e, oppresso ormai,
la ita vi perdea. Licida a sorte
i si avvenne, e il salvò. Quindi fra loro
fidi amici fClr empre. Amico al figlio,
fu noto al padre; e dal reale impero
destinato mi fu, perché straniero .
ARISTE . a ti ricordi ancor
le sue sembianze?
ARGENE. Io l'ho presente. Avea
bionde le chiome, oscuro il ciglio; i labbri
ermigli si, ma tumidetti, e forse
oltre il dover; gli sguardi
lenti c pietosi: un arrossir frequente,
un soave parlar ... 1a ... , principe sa,
tu cambi di color! Che av enne?
ARJ TEA. Oh Dio!
quel M gacle, che ingi, è l' idol mio .
AR GE E. Che dici!
ARISTE . Il ve ro. A lui,
lunga stagion gia mio segreto amante ,
per hé nato in Atene
negommi il padre mio, né volle mai
conoscerlo, ederlo,
r6 XI - OLIMPIADE

ascoltarlo una olta. Ei disperato


da me parti ; piu nol rividi; e m questo
punto da te so de' suoi casi il resto.
ARGENE. Inver sembrano i nostri
favolosi accidenti.
ARISTEA. Ah! s'ei sapesse
eh 'oggi per me qui si combatte.
ARGENE. In Creta
a lui oli un tuo servo; e tu procura
la pugna differir.
ARISTEA. Come?
ARGENE. Clistene
è pur tuo padre; ei qui presiede eletto
arbitro delle cose: ei può, se vuole ...
ARISTEA . Ma non vorra.
ARGENE. Che nuoce,
principessa, il tentarlo?
ARISTEA. E ben ! Clistene
vadasi a ritrovar. ( 'alzano)
ARGENE. Férmati! ei viene.

SCENA V

CLISTENE con ségu ito, e dette.

CLISTENE. Figlia, tutto è compito. I nomi accolti,


le vittime svenate; al gran cimento
l'ora è prescritta; e piu la pugna ormai,
senza offesa de' numi ,
della pubblica fé, dell'onor mio,
differir non si può.
AR tSTEA. (Speranze, addio!)
CLlSTENE . Ragion d'esser superba
io ti darei, se ti dicessi tutti
ATTO PRIMO l7

quei che a pugnar per te engono a gara.


V'è Olino di Megara,
'è Clearco di Sparta, Ati di Tebe,
EriJo di Corinto , e fin di Creta
Licida enne .
ARGENE. Chi?
CLISTENE. Licida, il figlio
del re creten e.
ARISTEA. Ei pur mi brama?
CLISTENE. Ei Iene
con gli altri a pro a.
ARGENE. (Ah! si scordò d'Argene.)
CLISTENE. Sieguirni, figlia .
ARISTEA. Ah! questa p ugna, o padre,
si differisca.
CLISTENE . Un impossibil chiedi:
dissi perché. Ma la cagio n n on tro vo
di tal richiesta.
ARISTEA. A divenir soggette
sempre v'è tempo. È d ' Im eneo per noi
pesante il giogo, e gia senz'esso abbiamo
che soffrire abbastanza
nella nostra se rvii sorte infelice .
C LISTENE . Dice ognuna cosi, ma il ver non dice .
Del destin non vi !agnate,
se i rese a noi soggette:
siete ser e, ma regnate
nella vostra servitu .
Forti noi , voi belle siete ,
e vincete in ogn' im presa,
qu ando vengono a contesa
la bellezza e la irt u. (parte)

Ml!:TASTASIO, Opere- 111. 2


I Xl - OLIMPIADE

SCENA VT

RISTEA ed ARGENE .

ARGENE. U isti, o principessa?


ARISTEA. Amica, addio:
convien ch'io siegua il padre. Ah! tu, che puoi,
del mio Megacle amato,
se pietosa pur sei com e sei bella,
cerca, recami, oh Dio! qualche novella.
Tu di sa per procura
dove il mio ben s'aggira;
se piu di me si cura,
se parla piu di me.
Chiedi se mai sospira,
quando il mio nome ascolta;
se il profferi talvolta
nel ragionar fra sé. (part )

CE VII

RGENE oJa.

Dunque, Licida ingrato


gia di me si scordò! Po era Argene,
a che mai ti serbar le telle irate!
Impa rate, imparate,
inesperte donzelle. Ecco lo stile
de ' I usingh ieri amanti. Ognun vi chiama
suo ben, su vita e suo tesoro: og nuno
giura che, a voi pen ando,
·aneg ia il di , veg lia le notti. H an l ' arte
di la g rimar , d ' im pall id ir. T a l lta
ATTO PRI l

par che sugli occhi vostri


voglian morir fra gli amorosi affanni :
guar ate\·i da lor son tutti inganni.
Piu non si trovano
fra mille amanti
sol due bell'anime
che sia n costanti
e tutti parlano
di fede lt· .
E il reo costume
tanto s avanza,
ch e la costanza
di chi ben ama
ormai si chiama
semplicita. (parte)

SCENA VIII

LICIDA e 1EGACLE da divers parti.

MEGACLE. Licida!
L I C IDA. Amico!
MEGACLE. Eccomi a te.
L IC lDA. Compisti. ..
M EGACLE. Tutto , o signo r. Gia col tuo nome al tempio
per te mi presentai: per te fra poco
vado al cimento. Or, fi n che il noto segno
della pugna si dia, spiegar mi puoi
la cagion della trama.
LICIDA. Oh! se tu vinci,
non ha di me piu fortunato amante
t utto il regno d 'Amor.
MEGAGLE. Perché?
LI CIDA . Promessa
in premi o al incitare
20 Xl - OLIMPI DE

è una real belta. La vidi appena ,


che n'arsi e la bramai. Ma, poco esperto
negli atletici studi ...
MEGACLE. Intendo. Io deggio
conquistarla per te.
LICIDA. Si. Chiedi poi
la mia vita, il mio sangue, il regno mio:
tutto, o Megacle amato, io t'offro, e tutt~
scarso premio sara.
MEGACLE. Di tanti, o prence,
stimoli non fa d'uopo
al grato ser o, al fido amico. Io sono
memore assai de ' doni tuoi: rammento
la vita che mi desti. Avrai la sposa:
spera! o pur. ella alestra eléa
non entro pellegrin. Be e altre olte
i miei sudori, ed il silv stre ulivo
non è per la mia fronte
un in olito fregio. Io piu icuro
mai di vincer non fui. e io d'onore ,
stimoli d'amista mi fan piu forte.
Anelo, anzi mi sembra
d'esse r gia nell'agon. li emuli al fianco
mi sento gia; gia li precorro; e, asperso
dell'olimpica pol e il crine, il volto,
del olgo pettator gli applausi ascolto.
LICJDA. Oh dolce amico! (abbrac iandolo) Oh cara
sospirata Aristea!
MEGACLE. Che!
LrcmA. Chiamo a nome
il mio tesoro.
MEGACLE. E d Aristea s1 hiama?
LICIDA . Appunto.
MEGACLE. Altro ne sai ?
LI CIDA . Presso a Corinto
nacque in riva all' Asopo, al re Clistene
unica prole.
ATT PRIMO 2I

EGACLE. (Aimè . Questa è il mio bene. )


E per lei si combatte?
LICIDA. Per lei.
EGACLE. Questa degg' io
conquistarti pugnando?
LICIDA. Que ta.
MEGACLE. E è tua s peranza e tuo conforto
sola Aristea ?
LrcmA. Sola Aristea.
MEGACLE. (Son morto! )
LICIDA. Non ti stupir. Quando edrai quel olto ,
for e mi scuserai. D ' esserne amanti
non avrebbon ro ore i numi istessi.
MEGACLE. (Ah . cosi no l sapessi.)
LrcmA. Oh! se tu vinci,
chi piu lieto di me? Megacle istesso
quanto mai ne godni! Di': non a ra1
piacer del piacer mio?
MEGACLE. Grande.
LICIDA. Il momento
che ad Aristea m'annodi,
Megacle, di' , non ti parni felice?
MEGACLE. Felicissimo . (Oh dèi! )
LICIDA. Tu non vorra1
pronubo accompagnarmi
al talamo nuzial?
MEGACLE. (Che pena !)
LICIDA. Parla.
MEGACLE. t, come vuot . (Qual nuova specie è questa
di martirio e d' in ferno !)
LI IDA. O h, quanto il giorno
lungo è per me! Che 1' aspettare uccida ,
nel caso in cui mi vedo,
tu non credi o non saL
MEGACLE. Lo so , lo credo.
L !CIDA. enti, amico. Io mi fingo
22 XI- OLIMPIADE

gia l'a enir : gia col desio possiedo


la dolce sposa.
MEGACLE. (Ah! questo è troppo . )
LICIDA. E parmJ. ..
ME ACL E . Ma taci: as ai dicesti. Amico io sono;
il mio do er comprendo;
ma poi... (con impeto)
LIClDA . Perché ti sdegni? In che t'o ffe ndo?
MEGACLE. (Imprudente, che feci!) {si ricompone) Il mio)rasporto
è desio di servirti. Io stanco arrivo
da cammin lungo; ho da pugnar: mi resta
picciol tempo al ripos , e tu mel togli .
Ll ID . E chi mai ti ritenne
di spiegarti finora?
MEGACLE. Il mio rispetto.
Lr 'IDA . uoi dunque riposar?
MEGACL E . L
LICJ Brami a ltrove
meco enir?
MEGACLE . No.
LICIDA. Rimaner ti piace
qui fra quest'ombre?
M EGACLE. i.
LICIDA. Restar degg' io?
M EGACLE. No. (con im az ie nza, e si getta a sedere)
LI CI A . trana voglia!) E ben, riposa : addio.
Mentre dormi, Amor fomenti
il piacer de' sonni tuoi
con l'idea del mio piacer.
Abbia il rio passi piu lenti,
e ospenda i moti suoi
ogni zeffiro leggier. (parte)
ATTO P RB'IO 2

CE A IX

, 1E GACLE olo.

he intesi, eterni dèi ! Quale improv iso


fulmine mi colpi! L'anima mia
dunque fia d' a ltri ! E ho da condurla io stesso
in braccio al mio ri va!! 1a quel rivale
è il caro a mico . Ah! quali nomi unisce
per mio strazio là sorte. Eh. che non sono
ri ide a ques o segno
le le g i d'ami ta. Per oni il prence:
ancor io sono amante. Il domandarmi
eh' io gli ced Aristea non è diverso
dal chiedermi la ita. E questa vita
di Licida non è? Non fu suo dono?
on respiro per lui ? Megacle ingrato !
e dubitar potre ti? h! se ti ede
con q uesta in volto in fame macchia e rea,
ha ragion d ' abborrirti a nch Aristea.
r o ! tal non mi vedra. Voi soli ascolto,

obblighi d 'ami sta, pegni di fede,


gratitudine, 01 ore. ltro non terno
che 'l volto del mio ben. Qu sto s 'eviti
formidabile incontro. In facc ia a lei,
misero ! che far i? Palpito e sudo
solo in pensarlo, parmi
istupidir, gelarmi,
c nfondermi , tremar ... 1 o , non potrei ...
24 XI - OLIMPJ DE

SCENA X

ARISTEA e detto· poi ALCANDRO.

ARI TEA. Stranier ! ( enza vederlo in vi o)


MEG \CLE . Chi mi sorprende? (rivoltandosi)
ARI TEA . (Oh stelle!)

MEGACLE.
ARISTEA.
l
(ricono cendosi reciprocamente)

Megacle! mia speranza!


.. ')
(Oh det.

Ah ! sei pur tu? Pur ti riv guo? Oh Dio !


di gioia io moro; ed il mio petto appena
può alternare i respiri. Oh caro! Oh tanto
e sospir to e pianto
e richiam ato invano ! disti alfine
la povera Ari tea. T rnasti, e come
opportuno torna ti ! Oh Amor ieto o .
oh felici martir· !
oh ben sparsi finor pianti e so piri .
MEG eu:. (Che fiero caso · il mio!)
ARISTEA. Megacle amato,
e tu nulla rispondi?
e taci anco r? Che mai vuol dir quel tanto
cambiarti di color? quel non mirarmi
che timido e confu o? e quelle a forza
lagrime trattenute? Ah! piu non on
forse la fiamma tua? Fors ...
MEGACLE. Che dici!
empre. .. appi ... Son io ...
Parlar non so. (Che fiero caso è il mio!)
ARISTEA . Ifa tu mi fai gelar. Dimmi: non sai
che per me qui si pugna?
MEGACLE. Il SO.
ARISTEA. on ieni
ad porti per me?
ATTO PRI >1 2-

MEG CLE. i.
ARI TEA. Perché mai
dunque sei cosi mesto?
ifEG. CLE. Perché ... (Bar bari dèi! che inferno è questo? )
ARISTEA. Intendo : alcun i fece
dubitar eli mia fé. Se ciò t'affanna ,
ingiusto sei. Da che pa rtisti, o caro,
n o n son rea d'un pensier . empre m'in esi
la tua voce nell'al ma: o empre avuto
il tuo nome fra ' labbri,
il tuo vo lto nel cor. Mai 'altri accesa
non fui, non sono e non arò . orrei ...
MEGACLE . Basta: lo so.
ARISTEA. orrei morir piuttosto
che mancarti di fede un sol momento.
M EGACLE. (Oh tormento maggior d 'og ni torme nto! )
ARI TEA. Ma g uardami ma parl a,
m a di' ...
MEGACLE. Che posso dir ? .
ALCA DRO . (uscendo fre toloso) Signor , t affretta,
e a comba tter veni ti . Il segno è dato,
che a l gran cim ento i concorrenti in ita . ( parte)
MEG CLE. Assistetemi, o numi. Addio , mia vita!
A RISTE . E mi lasci cosi? Va': ti perdono,
pur c he torni mio s poso.
MEGACLE . Ah! si gran sorte
non è per me. (in atto di partire)
ARISTEA. Senti. Tu m ami ancora?
MEGACLE. Quanto l'anima m1a.
A RISTEA . Fedel mi credi?
M EG. CLE. Si, come bella .
ARISTEA. A conquistar mi vai?
MEGA LE. Lo b ramo almeno.
ARI TE . Il tuo valor primiero
hai pur?
MEGACLE. Lo credo .
6 XI - OLIMPIADE

ARISTEA. E vincerai ?
MEGACLE. Lo s e ro.
ARISTE . Dunque, allor non son 10,
caro, la sposa tua?
MEGACLE . Mia vita ... Addio !
e ' giorni tuoi C lici
ricòrdati i me.
ARISTEA. Perché cosi mi dici,
anima mia, perché?
MEGACL E . Taci , bell' idol mio.
ARISTEA. Parla, mio dolce amor,
MEGACLE. Ah! che, parl ando,
oh Dio!
ARI TE . Ah! ch e , tacendo,
A DUE . tu mi trafiggi il cor.
ARISTEA. (Veggio languir chi adoro,
né intendo il suo languir. )
MEG LE. (Di gelosia mi moro,
e non lo posso dir.)
A DUE. Chi mai provò di questo
affanno piu fune to,
piu barbaro dolor!
ATI EC

SCE A I

Rl TEA ed RGE E.

ARGENE. Ed ancor della pugna


l'e ito non si sa?
R I TE A. o, bella Argene .
È pur dura la legge , onde n'è tolto
d 'esserne pettatrici!
ARGEN E . h! che sarebbe
fo rse pena maggior veder ch i s'ama
in cimento i g rande, e non potergli
porger soccor o, esser presente ...
A RISTEA. Io sono
presente, ancor lontana; anzi mi fingo
forse quel che non è. e tu vedessi
come sta questo cor! Qui dentro, amica ,
qui dentro si combatte, e, piti che al tro e ,
qui la pugna è cr udele . Ho innanzi agli oc h i
Megacle , la palestra ,
i giudici, i rivali. Io mi fig uro
questi piu fo rti e q uei men giusti. Io provo
doppiamente nell 'alma
ciò che or so ffre il mio ben, gl i urti , le scosse ,
gl insulti, le minacce . Ah! che p resente
solo il ver temerei ; ma il mio pensiero
fa eh ' io tema, lontana , il falso e il ero .
28 XI - OLIMPIADE

ARGENE. Né ancor si vede alcun . (guardando per la scen )


ARISTEA. (turbata) Né alcuno ... Oh Dio!
ARGENE . Che avvenne?
ARISTEA. Oh, come io tremo!
ome palpito adesso!
ARGENE. E la cagione?
ARISTEA. È dec1so il mio fato :
edi Alcandro che arriva.
ARGE E. (verso la scena) Alcandro, ah! corri,
consolane; che rechi?

SCE A II

ALCA DRO e dette.

ALCANDR . Fortunate novelle. Il r e m'invia


nunzio felice, o principessa. Ed io . ..
ARISTEA. La pugna terminò?
ALCANDRO. Si: ascolta. Intorno,
gia im pazienti ...
ARGENE. (ad Alcandro) Il vincitor si hiede.
ALCA DRO . Tutto dirò. Gia impazienti intorno
le turbe spettatrici ..•
RT TEA . (con impazienza) Eh! ch'io non cerco
questo da te.
L .• DRO . Ma in ordine distinto ...
ARI TEA . Chi vinse dimmi sol. (con isdeO'no)
AJJCA DRO. Licida ha vinto.
ARI TEA. Licida!
ALCA DRO. Appunto.
ARGENE. Il p rincipe di Creta?
ALCA DRO. i, che giunse poc'anzi a queste arene .
ARISTEA. ( venturata Aristea ! )
ARGENE. (Povera rgene !)
ATTO SECO• DO

ALCANDRO. O h te fe lice ! Oh quale


sposo ti die l sorte. (ad Aristea)
ARI TEA. lcand ro , parti.
ALcANDRO . T'attende il re .
ARISTEA. P rti : errò.
ALC~'IDRO . T' attende
nel g ra n tempio adu nata .. .
A RISTEA. é parti ancor? (con isdeano)
ALcA DRO. (Che ricompensa ing rata. ) (parte)

SCE III

A RI STEA ed RGE NE.

A RGENE. Ah ! dimmi, o principessa,


v'è sotto il ciel chi possa dirsi, oh Dio!
piu misera di me ?
ARISTEA. Si, vi son io.
AR GENE. Ah ! non ti faccia Amore
provar mai le mie p ne . Ah! tu non ai
qual perdlt è la mi a! quanto m1 costa
quel cor che tu m ' in voli !
ARlSTEA. E tu non senti,
non comprendi abba tanza i miei tormenti.
Grandi, è ver, so n le tue pene:
perdi. è ver, l'amato bene;
ma sei tua ma piangi intanto,
ma domandi alm en pieta.
Io dal fato, io sono oppressa :
perdo altrui, perdo me stessa,
n é conservo almen del pianto
l'infelice li berta. (parte)
30 XL - O LIMPIA DE

CENA I

ARGE &: poi MINTA .

A RGENE. E tro ar non poss io


né p ieta né soccorso?
AMINTA. (a parte nell ' uscire) (Eterni dèi!
parmi Argene colei. )
ARGENE. Vendetta almeno,
vendetta si procuri. (v uol partire)
AMINTA . Argene, e come
tu in Elide! tu sola!
tu in si ruvide spoglie!
ARGENE . I neri in gann i
a secondar del prence
dunqu e ancor tu enisti? A saggio mvero
regolator commise il re di Creta
di Licida l cur . eco i bei frutti
di tue dottrine . H ai gran rao-ione , Aminta ,
d ' andarne altier. Ch i vuol sapere appieno
se fu attento il cultor, guardi il t rreno.
A TA .
11... (Tutto gia a. ) o n da' consigli miei. ..
ARGE 'E . Basta .. . Ch i sa? nel ci lo
v'è giustizia per tutti, e si ritrova
tal olta an che nel mondo. Io chi derolla
agli uomi ni, agli dèi. S'ei non ha fede,
ri teg ni io non avrò. uo' che Clistene ,
vuo' che la Grecia, il mondo
sappia eh ' è un traditore, acciò per tu to
questa in~ mia lo s iegua; acciò che ognuno
l 'abborrisca , l' eviti,
e con orrore, a chi noi a , l 'additi.
MI 'TA. on son questi pensieri
degni d'Argene. n consigliere infido,
ATT O SECOND I

anche giusto , è lo sdeg no . Io, nel tuo caso ,


piu do ci mezzi a oprerei . Procura
eh e i ti ri egga; a lui fa vella ; a lui
le promesse rammenta. È sempre meglio
il racquistarlo amante
che opprimerlo nemico.
ARGENE . E credi, Aminta ,
eh' e i tornerebbe a me?
A lfi.NTA . Lo spero . Alfine
fos ti l'idolo suo. Per te la nguiva .
d el irava per te. Non ti sovvien e
che cento volte e cento ...
ARGENE . Tutto , per pen a mia, tutto rammento .
Che non mi disse un di !
quai numi non giurò!
E come, oh Dio ! si può,
come si può cosi
man car di fede?
Tutto per lui pe rdei;
oggi lui perdo ancor.
Poveri affetti miei!
Questa mi rendi, Amor,
questa mercede ? (parte)

SCENA V

AMI TA solo.

Insana gioventu! Qualora esposta


ti veggo tanto agl'impeti d'amore,
di mia vecch iezza io mi consolo e rido.
D olce è il mirar dal li do
chi sta per nau fragar. Non che ne alletti
il danno altrui, ma sol perché l'aspetto
d'un ma l che non si soffre è do lce oggetto.
32 XI - OLIMPIADE

Ma che ! l'eta canuta


non ha le sue tempe te? Ah! che purtroppo
ha le sue proprie, e dal timor dell'altre
sciolta non è . on le follie diverse ,
m a folle è ognuno; e a suo piacer ne agg1ra
l' odio o l'amor, la cupidigia o l'ira.
Siam navi all'onde algenti
lasciate in abbandono :
impetuosi venti
i nostri affetti sono:
ogni diletto è coglio :
t utta la ita è mar.
Ben, qual nocchiero, m noi
vegl ia rag ion; ma poi
pur dali' ondoso orgoglio
si lascia trasportar. lparte)

CE A VI

CLISTENE, preceduto da LtCIDA, ALCA DRO,


MEGACLE coronato d'u li o, c o Ro n ' TLETI, guardie e popolo .

TUTTO IL CORO. Del forte Licida


nome maggiore
d' Alfeo s ul margine
mai non so nò.
PARTE DEL CORO. Suda r pi u nobile
del suo sudore
l' arena olimpica
mai non bagnò .
ALTRA PARTE. L 'arti ha di Pallade,
l' ali ha d 'Amore :
d'Apollo e d 'Ercole
l'ardir mostrò .
ATIO SECO 'DO i3

TUTTO IL CORO . o, tanto merito


tanto alore
l'ombra de' secoli
coprir non può.
CusTENE. Giovane aloroso,
che in mezzo a tanta gloria umil ti stai,
quell onorata fronte
lascia ch'io baci e che ti stringa al seno.
Felice il re di Creta,
che un tal figlio sorti! e a essi anch'io
serbato il mio Filinto,
chi sa, sarebbe tal . (ad Alcandro) Rammenti, Alcandro ,
con qual do lor te! consegnai? Ma pure ...
ALc DRO. Tempo or non è i rammentar sventure. (a Clistene)
CLISTENE. (È ver. ) (a Megacle) Premio Aristea
ani del tuo alor. 'altro donarti
Clistene può, chiedilo pu r , ché mai
quanto dar ti vorrei non chiederai.
MEGACLE. (Coraggio, o mia irtu !) Signor, son figlio,
e di tenero padre. Ogni cont nto,
che con lui non di ido,
è insipido pe r me. Di mie enture
pria d ogni altro io vorrei
giungergli apportator: chieder l' assenso
per queste nozze , e, lui presente , in Creta
legarmi ad Aristea.
Cus ENE . Giusta è la brama.
MEG CLE . Partirò, se il concedi,
enz'altro indugio. In ece m1a rimang
questi, della mia sposa (p r ntando Licida)
servo, compagno e condottier.
CLI TENE. (Che volto
è que to mai! el rimirarlo, il sangue
mi s i riscuote in ogni vena.) E questi
chi è? come s'appella?
MEGACLE. Egisto ha nome,

::vlETASTASIO , OpeYe- Il!.


34 XI - OL.Ii\'fPI DE

Creta è sua patria. E g.li deri a ancora


dalla stirpe real: ma piu che 'l sangue,
l'amicizia ne strinue· e son fra nOI
si concordi i voleri,
comuni a egno e l all egrezza e 'l duolo
che Licida ed E gisto è un nome solo.
LICIDA. (Inge nosa amicizia.)
CLI TE E. E ben, la cur
di co ndurti la po a
Egi t avra. Ma Licida non debb
par Ir senza ederla.
MEGACLE. Ah! no, sarebbe
pena rnag ior. Mi entirei morire
nell'atto di la ciarla. ncor da funge
tanta pena io n provo ...
CLISTE E . Ecco che giunge.
MEGACLE. (Oh me infel ice!)

E II

l':.l TEA e detti.

ARISTEA . (non edendo degacle) (All'odiose nozze


come vittima io vengo all'ar a a anti !)
Lrcm . (Sara mio quel el volto in pochi istanti. )
Cu TENE . Avvi inati, o fiul ia: ecco il t uo sposo .
(tenen Me a cle per m no)
MEGACLE . (Ah ! non è er. )
A RI TEA. Lo sposo mio !
( tupi ce eden d o Iega cle )
CLI TENE . i: vedi
e giammai piu bel nodo in ciel si strinse.
ARI STEA . (Ma, se Licida inse,
come il mio bene? ... Il ge nitor m ' ingan na .)
• LICtDA. (Crede e acle spo o e e n'affanna. )
TTO ECO. 'D

ARI TEA. E questi o adre, è il ·in ci or ? (additan d }.le acle )


CLI TE E. 1el chiedi ?
1 on lo ravvi i al ·olto
di polve asperso? ali onorate stille,
che gli rigan la fronte? a quelle fo lie ,
che son di ch i rionfa
l'ornamento primiero?
ARl TEA. a che dicesti, Alcandro?
ALcA DRO. Io dissi il vero.
CLISTENE. on piu dubbiezza . Ecco il con orte a cui
il ciel 'accoppia: e nol potea piu degno
ottener dagli dèi l amor paterno.
Rl TEA. (Che gioia !)
MEGACLE. (Che martir ! )
L rciDA. (Che giorno eterno ! )
LISTENE. E voi tacete? Onde il silenzio? (a f eaacle ed Ari tea)
MEGACLE. (Oh Dio !
come comincerò?)
ARISTE A . Parl ar vorrei,
ma .. .
CLISTENE. Intendo . Intempestiva
è la presenza m ia . Severo cig-lio,
rigida maesta, paterno impe ro
incomodi compagni
sono agl i am anti. Io mi sovvengo ancora
quanto increbbero a me. Restate . Io lodo
quel modesto rossor che vi trattiene.
MEGACLE . (Sempre lo stato mio peggior di iene. )
CLISTE ~E. So ch ' è fan ciullo Amore,
né conversar gli piace
con la caduta eta.
Di scherzi ei si com piace ;
si stanca del rigore :
e stan di rado in pace
rispetto e liberta. (parte)
3 Xl-OLl ~ Pf E

SCENA VIII

A RISTEA M EG CLE LICIDA .

MEGACLE. (Fra l'amico e l' amante


che farò, sventurato !)
LICIDA. Ali' id o l mio
è tempo eh' io mi scopra. (piano a Megac1e)
MEGACLE. Aspetta. (Oh Dio!)
ARJSTEA. Sposo, alla tua consorte
non celar che t'affligge.
MEGACLE. ( h pena! oh morte !)
LI IDA. L'amor, mio caro amico, (a re acle come sopra)
non soffre indugio.
ARI TEA. Il tuo silenzio , o caro,
mi cruccia, mi dispera.
MEGACLE. (Ardir, mio core!
fini amo di morir. ) Per pochi istanti
allontanati, o prence. (a parte a L icida)
LlCIDA. E qual ragione? ...
MEGACLE. V a'. fidati di me. Tutto conviene
ch'io spieghi ad Ari te . (a parte a Licida)
LICIDA. Ma non poss' io
esser presente?
MEGACLE. o: piu che non credi
delicato è l'impegno. (come sopra)
LI IDA. E ben, tu 'l uoi ,
io lo farò. Poco mi scosto: un cenno
basteni perch' io torni. Ah! pensa, amico,
di che parli e per chi. e nulla mai
fe ci per te, se mi sei grato e m'ami ,
mostralo adesso. Alla tua fida aita
la mia pace io commetto e la mia ita. (parte)
ATT SEC r DO 37

SCE IX

l EGACLE ed ARI TE

EGACLE. (O h ricordi cr udeli !)


RISTE . !fin siam soli :
potrò senza ritegni
il mio co ntento esao-erar; chiamarti
mia speme , mio diletto,
luce degli occhi miei .. .
MEGACLE . o, pnnc1pessa ,
questi soavi nomi
non son per me: serbali pure ad altro
piu fortunato amante .
A RISTEA. E il tempo è questo
di parlarmi cosi? Giunto è quel giorno ...
Ma semplice ch ' io son: tu scherzi, o caro,
ed io stolta m'affanno.
MEGACLE. Ah! non t ' affanni
senza ragio n .
A RISTE . piègati d unque .
MEGACLE. Ascolta :
ma coraggio ! Aristea. L'alma prepara
a dar di tua virtu la prova estrema.
ARISTEA. Parla . Aimè ! che uoi dirm i? Il cormi trema.
MEGA CLE. Odi. In me non dicesti
mille volte d'amar, piu che 'l sembiante,
il grato cor, l'alma incera, e quella ,
che m 'ardea nel pensier, fiamma d' o nore?
A RI TEA . Lo dissi , è ver. Tal mi sembrasti , e tale
ti conosco, t'adoro.
MEGACLE. E , se di verso
foss e Megacle un di da quel che dici ;
se infedele agli amici,
.Xl - OLIMPIADE

se spergiuro agli dèi, e, fatto ingrato


al suo benefattor, morte rendesse
per la vita che n'ebbe , avre ti an ora
amor per lui? lo soffriresti amante?
l'accetteresti sposo?
ARI TEA. E come vuoi
eh' io fig urar mi possa
Megacle mio si sce llerato?
MEGACLE. Or sappi
che per legge fatale,
se tuo sposo i ien, Megacle è tal
ARI TEA. Come !
MEGACLE. Tutto l'arcano,
ecco, ti svelo . Il principe di Creta
langue per te d'amor. Pieta mi chiede
e la vita mi diede. Ah. principes a,
se negarla poss' io, dillo tu stessa.
ARISTEA. E pua-nasti. ..
MEGACLE. Per lui.
ARI TE . Perder m1 vuoi. ..
MEGACLE. Si, per serbarmi sempre
degno di te.
ARI TEA . Dunque io dovrò ...
MEGACLE. Tu déi
coronar l 'opra mia. i, generosa,
adorata Aristea, seconda i moti
d'un grato cor. Sia , qual io fui finora,
Licida in avvenire. malo. È degno
di si g ran sorte il caro amico. Anch'io
vivo di lui nel seno ;
e, s' ei t' acquista, io non ti perdo appieno.
ARISTEA. Ah, qual passaggio è questo! Io dalle stelle
precipito aa-li abissi. Eh! no: si cerchi
miglior compenso . Ah! senza te la vita
per me ita non è.
MEGACLE. Bella Ari tea,
ATT Eco_·oo ~9

non congiurar tu ancora


contro la mi u . • 1i c ta as ai
il prepararmi a si gran passo. Un sol
di quei eneri sensi
quant'op ra di ruo- e.
A RI ' TEA . E di lasciarmi ...
• f E ACLE. H risoluto.
:\ ~ I TEA. Hai n oluto? e q an do?
.\IEG CLE. Que to (mori r mi sento !)
questo è l'ultimo ad io.
:\.RC TE\. L 'u ltimo ! 1ngrato! ...
accorretemi, o numi. Il piè vaci ll a ;
freddo sudor mi ba na il olto ; parmi
ch'una gelida man m ' opprima il core!
(s'ap poggia ad un tronco)
:vlEGACLE . ento che il mio valore
mancando va. Piu che a partir dimoro ,
meno ne o n capace.
Ardir! ado, Aristea: d manti in pace .
.-\R I TEA. Come! gia m 'abba ndoni?
ME ACL • È forza , o cara,
e arar i una olta.
ARI TE . E parti? ...
\II EGA CLE . E parto
per non torna r pi u mai. (i n atto di partire)
.-\ R I T EA. Senti. Ah! no ... Do ve vai?
\IIEG CLE . A pirar , mio tesor ,
lungi dag li occhi tu i .
( 1egacl parte ri oluto, poi si ferma )
ARI TEA. occo rso ! .. . Io ... moro !
(s ie ne opra un a o)
MEGACLE . Mj ero me ! che veggo! (rivol en dosi indietro)
Ah! l'oppresse il dol or. (tornando) Cara mia speme,
bella Aristea, non av ilirti; ascolta :
Megacle è qui. on parti rò. Sarai ...
Che parlo? Ella non m'ode. Avete, o stelle
XI - OLIMPIADE

piu sventure per me? No, questa sola


mi restava a provar. Chi mi consiglia?
che risolvo? che fo? Partir? arebbe
crud lta, tirannia. Restar? che giova?
forse ad esserle sposo? E 'l re ingannato,
e l'amico tradito, e la mia fede,
e l'onor mio lo soffrirebbe? Almeno
partiam piu tardi. Ah! che sarem di nuovo
~ quest'erri o passo. Ora è pietade
l'esser crudele. Addio mia vita: addio,
(le prende la mano e la bacia)
mia perduta peranza. Il ciel ti renda
piu felice di me. eh! conservate
questa bell'apra ostra, eterni dèi;
e i di, ch'io perderò, donate a lei.
Licida l ... Dov'è mai? Licida ! ( erso la scen )

SCE lA X

LICIDA e detti.

LICIDA. Intese
tutto Aristea?
MEGACLE. Tutto. T'affretta, o prence:
soccorri la tua sposa. (in atto di partire)
LrcmA. Aimè. che miro.
Che fu? (a Megacle)
MEGACLE. Doglia improvvi a
le oppresse i sensi. (partendo come opra)
LICIDA. E tu mi lasci?
11EGACLE. Io vado ...
(tornando indietro)
Deh! pensa ad Aristea. (partendo) (Che dira mai
quando in sé tornerei? (si ferma) Tutte ho presenti,
tutte le smanie sue.) Licida, ah. se nti.
ATTO SEC01 DO

Se cerca, se dice :
-L'amico do 'è?
- L'amico infelice, -
rispondi,- mori. -
Ab . no, si gran duolo
non darle per me :
rispondi, ma solo:
- Pian gendo parti. -
Che abisso di pene
lasciare il suo bene,
/asciarlo per sempre,
lasciarlo cosi . (parte)

CE A Xl

LIClDA ed ARISTE\.

LlCIDA. Che laberinto è questo! lo non l ' intendo .


Semiviva Aristea .. , Megacle afflitto . ..
ARISTEA. Oh io !
LICIDA. Ma già quell'alma
torna agli usati uffizi. pr.i i bei lumi ,
principessa, b n mio.
ARISTEA. (senza vederlo ) Sposo infedele!
LICIDA. Ah . non dirmi cosi. Di mia costanza ,
ecco, impegno la destra . (la prende per mano)
ARlSTEA. lmeno ... Oh stelle!
(s' avvede 110n ess r Megacle, e riti ra la mano
Megacle ov' è?
LIClDA. Parti.
ARISTEA. Parti l'ingrato?
ebbe cor di !asciarmi in questo stato ?
LrcmA. Il tuo sposo restò .
ARISTEA. (s'alza con impeto) Dunque è perdut
l'umanita, la fede,
-P XI - OLBI P!ADE

l 'amore , la pieta ? e questi iniqui


inc nerir non anno ,
numi, i fulmini ostri i n ciel che fanno?
LI C IDA . on fu or d i me . Di': che t ' offese, o c ra?
Parl a : brami vendetta ? E c o il tuo s oso :
ecco Licida .. .
.. RI ' T E A. Ob dèi !
Tu quel Licid sei ... Fuggi, t ' invola,
nasconditi da me . Per tua ca ione,
perfido ! mi ritro o a questo passo.
LlCIDA . E qual colpa ho commessa? Io son di a so !
. RI T EA . Tu me da me di idi:
barbaro. tu m 'uccidi :
tutto il do l or eh' io sento,
tutto mi ien da te.
:N o, non sperar mai pace :
odio quel cor fallace:
oggetto di s avento
empre sa rai per me. (parte)

E TA XII

LICIDA po i A R E rr E .

L ICIDA . A m «barbaro i>! Oh numi.


perfido» a me ! oglio seguirla, e voglio
sapere almen che strano enigma è questo.
• RGE E. Férmati, traditor!
L I IDA . (riconosce rgene) Soo-no o son desto?
A RG E ·E. on sogni, no: san io
l'abbandonata Argene . Anima ingrata !
ricono ci quel volto
he fu gran tempo i l tuo piacer, se pure ,
in orte si fune ta,
delle antiche embianze orma vi resta.
TT EC ~DO 43

LrcmA. (Do nde \iene, in qual punto


rn1 orp ren e co tei! e piu mi fermo ,
Ari tea non raggiungo. ) Io non intend
bella ninfa, i tuoi detti. n 'altra volta
potrai meglio spie arti. (vuoi partjre)
. RGE ... E . (trattenendolo) In deg no ! ascol ta .
LICIDA . ( 1isero me l)
.-\.R E ~ E. Tu non m ' intendi? Iuten
ben io la tua perfidia. I nuovi amori ,
le fro i tue tutte ri e ppi ; e tutto
apra da me C ii tene
per tua vergogna. (vuo i partire)
L ICIDA. (tratten e ndo la) Ah! no . enti mi, Argene.
o n sdegnarti : per d n a,
se tardi ti ravviso. lo mi ram mento
g li antichi affetti ; e , e tacer saprai,
for e ... chi s ?
" RGE E. può soffrir di questa
inO'iuria piu crude l ! Chi sa » mi dici?
In ero io o n la rea. Picciole rove
di tua bonta non o no
le vie, che m 'offri a meritar perdono .
LICID A. Ascolta . Io volli dir .. . (vuoi pre nde rl a p r mano)
ARGENE . (lo rigetta) La ci ami , ingrato.
non ti vogli o ascoltar .
L ICIDA . ( on disperato! )
A RGE r E. o, la speranza
piu non m'alletta:
voglio vendetta,
non chiedo amor.
Pur che non goda
quel co r spergiuro,
null a mi curo
de l mio dolor. (parte)
44 Xl - OLIMPIADE

SCE A XIII

LICTDA poi HNTA.

LICIDA. In angustia piu fiera


io non mi vidi mai. Tutto in rmna,
se parla Awene. È forza
raggiungerla, pla arla . .. E chi trattiene
la principessa intanto? Il solo amico
potria ... Ma dove andò? i cerchi. Almeno
e consiglio e conforto
Megacle mi dani. (vuol partire)
AMINTA. Megacle è morto !
LICIDA. he dici, Aminta ?
MINTA. Io dico
purtroppo il ver.
L ICIDA. Come. Perché? Qual empio
si bei giorni troncò? Trovisi: io voglio
ch' empio di vendetta altrui ne resti.
AMI TA. Principe, nol cercar: tu l'uccidesti.
LICIDA. Io! Deliri.
A 11 TA. Volesse
il ciel eh' io delirassi. Od imi. In traccia
mentre or di te enia, fra quelle piante
un gemito improv viso
sento. Mi fermo, al suon mi o!CYO, e miro
uom che sul nud a ciaro
prono o-ia s'abbandona . Accorro. Al petto
fo d'una man sostegno ·
con l'altra il ferro s io. Ma , quando al olto
Megacle ravvisai ,
pensa com ' i re tò, com'io restai.
Dopo un br ve stupore : - h ! qual follia
bramar ti fa la morte? -
ATTO ECO:\DO 45

io olea dirgli. Ei mi prevenne. - Aminta ,


ho i suto abba tanza -
sospirando mi disse
dal profon o del cor. - Senz' Aristea
non so i er, né oglio. Ah. son due lustri
che non vivo che in lei. Licida, oh Dio !
m'uccide e non lo a. Ma non m'offende :
suo dono è que ta vita· ei la riprende. -
L!CJDA. Oh amico! E poi?
AMINTA. Fugge da me, ciò detto,
come partico stral. Veùi quel sasso,
signor, cola, che il sottoposto Alfeo
signoreggia ed a ombra? E gli v'asce nde
in men che non balena. In mezzo al fiume
si scaglia: io grido invan. L'onda percossa
balzò, s'aperse: in frettolosi giri
si riuni, l 'ascose. Il colpo, i gridi
replicaron le sponde· e piu nol vidi.
LICIDA. Ah, qual orrida scena ,
or si scopre al mio sguardo! (rimane stupido)
AMINTA. Almen la spoglia
che albergò si bell'alma,
vadasi a ricercar. Da' mesti am1c1
questi a lui son do uti ultimi uffici. (parte)

SCE A XIV

LICIDA e poi ALCANDRO .

LICIDA. Dove son! Che m'avvenne ! Ah! dunque il cielo


tutte sopra il mio capo
rovesciò l'ire sue. Megacle, oh Dio!
Megacle, dove sei? Che fo nel mondo
senza di te? Rendetemi l'ami co,
ingiustissimi dèi ! Voi mel to Iieste:
6 Xl- OLIMPIADE

lo rivoglio da voi. Se Io negate,


barbari , a' voti mi i, do unque ei sia
a vi a forza il rapirò. on temo
tutti i fulmin i ostri : ho cor che basta
a ricalcar su l'orme
d 'Ercole e di Tes o le vie di m o ·t .
ALCA DRO. O la! (Licida non l' de)
LICIDA. Del guado e tremo .. .
ALCA~ D RO. Ola !
LICIDA. Chi se1
tu , che audace interrompi
le manie mie?
A LCA DRO. Regio ministro io sono.
LICIDA. Che uol il re?
ALCANDRO. Che in vergogno o esiglio
quindi !un i tu vada. Il sol cadente
se in Elide ti lascia ,
ei reo di morte.
LICIDA. A me tal cenno?
ALCA DRO. Impara
a mentir nome, a iolar la fede,
a deludere i re .
LICIDA. Come! ed ardisci,
temerario ...
ALcA DRo . on piu. Principe, è questo
mio dover; l'ho adempito: adempi il r sto. (parte)

CEN X

LICJDA . olo.

Con questo ferr o indeO'nO . (snuda la . pada)


il sen ti passerò .. . Folle! che dico?
che fo? con chi mi sdegno? Il reo son 10:
io son lo scellerato . In q u ste vene
.\T ECO DO

con piu ragion I' immergerò. i, mon,


Li ci da n turato . . .. Ah . perché tremi,
timida man? Chi ti ritiene? Ah. que ta
è ben mi eria estrema. Odio la vita,
m'atterrisce l morte; e sento intanto
stracciarmi a brano a brano
in mille parti il cor. Rab ia , vendet a,
tenerezza, amicizia,
pentimento, pieta ergogna, amore
mi trafio-gono a uara. Ah! chi mai \'ide
anima lacerata
a tanti affetti e si co ntrari ! Io stesso
non so come si possa
minacciando tremar , arder gelando
piangere in mezzo all'ire,
bramar la morte e non saper morire.
Gemo in un punto e fremo ;
fosco mi sembra il giorno:
ho cento larve intorno;
ho mille furie in sen.
Con la anguigna face
m'arde Megera il petto;
m'empie ogni vena Aletto
del fredd o suo elen. (parte )
ATI ERZO

SCE A I

Bipartita, che si forma dalle rovine di un antico ippodromo, gia


o erte in gran parte d 'edera, d i spine e d 'altre piante s l a age.

IEGACLE, trattenuto da AMIN T A per un a parte e dop ARr-


A , trattenuta da ARGE E per l'altra: ma quelli non veo-gono
queste.

MEGACLE. Lasciarni l lnvan t opponi.


A HNTA. Ah ! to rna amico ,
una volta in te stesso. In tuo s occorso
pronta sempre I mano
del pescator, ch'or ti sal ò dall 'onde,
credimi, n on avrai. i stanca il cielo
d 'assister hi l'insulta.
MEGACL . Empio soccorso l
inumana pieta l n egar la morte
a chi vive morendo . Aminta , oh Dio.
!asciami!
A UNTA . on fia ver.
ARISTEA . Lasciami! rgene .
ARGENE. Non lo sperar.
MEGACLE. enz' A ·istea non posso ,
non deggio viver piu.
ARI TEA . Morir vogl' io
dove Megacle è morto.
AMINTA. (a Megacle) Attendi .
ARGENE. (ad Aristea) Ascolta.
TTO TERZO 9

MEGACLE. C he attender?
ARISTEA. C he ascoltar?
MEGACLE. on s1 ritrova
piu conforto per me .
ARlSTEA. Per me nel mondo
non v'è piu che perar.
MEGACLE. Serbarmi in vita ...
ARISTEA. Impedirmi la morte .. .
EGACLE . . .. indarno tu pretendi.
A RISTEA . . .. invan presumi.
AMINTA . Ferma ! ( ol ndo trattener Megacle, che gli fugge)
ARGENE . Senti, infelice .
( olendo t rattenere Aristea, come sopra)
ARISTEA. (incontrandosi in Megacle) Oh stelle!
fEGACLE. (incontrando Aristea) Oh numi !
ARISTEA. Megacle !
MEGACLE. Principessa!
ARISTE . Ing rato ! E tanto
m 'cdii dunque e mi fuggi,
che, per esserti unita ,
s' io m ' affretto a morir, tu torni m vita?
MEGACLE. Vedi a qual seo-no è giunta ,
adorata Aristea, la mia sventura.
Io non posso morir; trovo impedite
tutte le vie per cu i si passa a Dite.
ARISTEA. Ma qual pietosa mano ...

CE A li

AL C DRO e d tti

A LCA D R O. Oh sacrilego! oh insano!


oh scellerato ardir!
ARISTEA. Vi sono ancora
nuovi disastri , Alcandro?

M ETASTASIO , Opae · lll. 4


so XI - OLlMPIA E

LCA DR In questo istante


rinasce il padre tuo.
ARISTEA. Come!
ALCA DRO . Che orr re,
che ruina, che lutto,
se 'l ciel non difendea, n'avrebbe involti l
ARTSTEA. Perché?
ALCA DR O . Gia sai che, per costume antico,
questo festi o di con un solenne
sacrifizio si chiude. Or, mentre al tempio
venfa fra' suoi custodi
la sacra pom a a celebrar Clist ne,
perché non so, né da qual part uscito,
Li ci da impetuoso
ci attraversa il cammin. Non id i mai
piti terribile aspetto. rmato il braccio,
nuda la fronte avea, lacero il manto
scomposto il crin. a lle pupille accese
uscfa torbido il guardo· e per le gote ,
d'inaridite lagrime s gnat ,
traspirava il furore. Urta, ro es ia
i sorpresi custodi ; al re s a venta.
- Mori! -grida frem endo; e gli alza m fronte
il sacrilego ferro.
ARI TE . Oh Dio!
ALCA DRO. n can g ia
il re sito o color. e ·ero il guar o
gl i ferma in f ccia, e in g ra e suon g li dice:
- Teme rario! che fai? - Vedi se il ie lo
veglia in cura de' r e ! Gela a que ' detti
il giovane fero ce. Il braccio in alto
sospende a mezzo il colpo ; il reg io aspetto
attonito rimira ; impallidì ce;
incomi ncia a tre mar; g li cade il [i r r ;
e dal cig lio , ch e ta nto
minaccioso area , prorompe il ianto.
ATTO TERZ

RISTEA. Re piro !
ARGE -E. Oh folle!
A H -TA. Oh sconsigliato!
RISTE . Ed ora
il genitor che fa?
ALCANDRO. i lacci av olto
ha il colpe ole inna Zl .
AMr TA. (Ah! si procuri
di salvar l' infe ice .) (parte)
MEGACLE. E Li ci da che dice?
ALCAND RO. Alle richieste
nu)la risponde. È reo di morte, e pare
che noi sap ia o noi curi. Ognor pian gendo,
il suo Megacle chiam a: a tutti il chi ùe,
lo vuoi da tutti ; e fra' suoi labbri, come
altro non sappia dir, sempre ha quel nome .
MEGACLE. Piti resister non posso . Al caro amico
per pieta chi mi guida?
ARISTEA. Incauto! E quale
sarebbe il tuo disegno? Il ge nitore
sa che tu l' ingannasti;
sa che Megacle sei. Perdi te stesso ,
prese ntandoti al re: non sal i altrui.
fEGACLE. Col mio principe insieme
almen mi perde rò . (vuol partire)
ARISTEA . Senti . E non stimi
consio-lio assai mig lior che il padre offeso
vada a placare io stessa?
M EGACLE. Ah ! che di tanto
lunsingarmi non so.
ARISTEA . Si, questo ancora
per te si faccia .
MEGACLE . Oh generosa, oh grande,
oh pietosa Aristea! Faccia no i numi
quell' alma bella in que ta bella pogli a
1ungam ente alberg ar. Ben lo di s ' io,
2 Xl - OLI 1PIADE

quando pria ti mirai, che tu non eri


cosa mortal! Va', mi conforto .
ARISTEA. Ah! basta,
non fa d'uopo di tanto.
Un sol de' cruardi tuoi
mi costringe a voler ciò che tu vuoi.
Caro s n tua co i,
che, per virtu d'amor,
i moti del tuo cor
risento anch' io .
Mi dolgo al tuo dolor,
gioisco al tuo gioir,
ed ogni tuo desir
diventa il mio. (part

SCE A III

MEGACLE ed RGE 8: .

MEGACLE, Deh! econdate, o numi,


la pieta d ' ristea. Chi sa se il padre
però si plachera. Troppa ragione
ha di punirlo, è v r; ma della figlia
lo vincera l'amore. E se nol vince?
Oh Dio! potessi almeno
veder come l'ascolta. Argene, io voglio
seguitarla da !ungi.
ARGENE. Ah! tanta cura
non prender di costui. Vedi che 'l cielo
è stanco di soffrirlo. Al suo destino
]ascialo in abbandono.
MEGACLE. Lasciar l'amico! Ah ! cosi vii non sono .
Lo s guitai felice,
quand'era il ciel sereno;
TTO TERZO 53

alle tempe te in eno


voglio eguirlo ancor.
Come deH oro il fuoco
scopre le ma s e imp ure,
scoprono le s venture
de' falsi am ici il cor. ( arte)

CE I

ARGE E, poi u TA.

ARGE E . E pure a mio ispetto


sento pietade anch 'io . Tento sdegna rmi,
ne ho ragion , lo vorrei; ma in mezzo all'ira,
mentre il labbro minaccia, iJ cor sospira.
Sarai d bole, Argene,
dunque a tal egno? Ah! no . Spergiuro! ingrato!
non sani ver. etesto
la mia pieta . Mai piu mirar non oglio
quel volto ingannator. L'odio: mi piace
di vederlo punir. Trafitto a morte
se mi cadesse accan to,
non vers rei per lui stilla di pianto.
AMINTA. Misero! dove fug()'o? Oh di funesto
oh Licida infelice !
ARGEN E. È forse estinto
q ucl traditor ?
AMINTA. No, ma il sara fra poco.
RGE E. Non lo credere, min ta . Hann o i malvao-i
molti compagni, onde o-iammai non sono
poveri di soccorso.
A n T A. r ti lusino-hi:
non v'è piu eh sperar. Contro di lui
o-ridan le leggi, il popolo congiura,
5 Xl- OL il\IPJ ADE

fre mono i sacerdoti. n angue chiede


l'offesa maest:L De' sagrifizi,
che una colpa interrompe, è il delinquente
vi ttima necessaria . Ha gia deciso
il pubblico consen o. Egli svenato
fia su l' ara di Giove. Esser i dev
l'offeso re presente, e al acerdote
porgere il s ero acciaro .
ARGENE. E non potrebbe
rivocarsi il d creto?
A 11 TA. E come? Il re
gia in bianche po li e è a volto ; il cnn di fiori
io coronar gli vidi ; e 'l idi, oh Dio!
incam minarsi al tempio. Ah ! fors'è giunto:
ah! forse adesso, Argene ,
la bipenne f tal gli apre le ene .
ARGE NE . Ah, no, povero prence! (pian e)
AMINTA . Ch giova il pianto?
ARGENE. Ed Ari tea non o-i unse?
A n TA. Giunse, ma null a ottenne. Il re non vuol e
o non può compiacerla .
AR ENE. E Megacle?
AMI TA . Il meschino
ne' custo i s'avvenne,
c e ne anda ano in traccia. Or l' a coltai
chieder fra le catene
di morir per l 'amico; e, se non foss
ancor ei delinquente,
ottenuto l' a ria . Ma un reo per l'altro
morir non può.
AR ENE. L'ha procurato almeno.
h forte! oh genero o ! Ed io J'ascolto
enza arrossir? Dunque ha piu sal di nodi
.
l'amista che l'amore ? Ah, quali io sen to
d'un 'emula vi1'tu stimoli al fianco!
i l rendiamoci illustri . Infin che dura,
TTO E Z

p rli il mondo 1 n 1. Faccia il mio ca o


mera irTlìa e pieta · ne itrovi
nell ' univer o tutto
hi ripet il mi nome a cig io a ciutto.
Fiamma ig nota n ll'alma mi scende ,
ento il nu me, m'in pira, m'accende,
di me tes a mi rende maggior.
Ferri, bende, bipenni , ri torte ,
pallid ' mbre, compagne di morte
ia uardo, rna senz terror. (p rt )

CE . A

11 'l'A solo .

uggi , 'l vati, Am inta ~ In queste sponde


tutto è o.rror, tutto è morte. E do e, oh Dio!
enza Li ida io a o? lo l'educai
con si lungo sudore; a reO'ie fasce
io l' innalzai da sconosciut una:
ed or potrei senz'esso
partir cosi? o . i ritorni al tempi o:
si vada iac ntro aH' ira.
dell ' oltraggiato re . Li i inveiva
me ancor n ' fall i sui :
mora di doler, ma ac anto a lui.
o n q ual per mare ignoto
na ufrago pa seggiero,
gia co n la morte a nuoto
ridotto a contrastar.
ra un ostegno ed ora
p rde una stella ; alfine
perde l peme ancor·
1
e 5 ab an dona al mar. (parte)
6 XI - OLIMPIADE

CE A VI

petto esteriore del ran tempio di iove olimpico, dal quale si


scende per lun a e magnifica scala divisa in ari piani. Piazza innanzi
al medesimo con ara ardente nel mezzo . Bosco, all'intorno, de' sacri ulivi
silve tri, donde formavan i le corone per gli atleti vincitori.

che scende dal tempio preceduto da numeroso


CLISTENE
popolo, da' suoi eu todi, da LicJDA in bianca v ste, coronato di
1
fiori, d LCANDRO e dal CORO de' CERDOTI, d quali alcun i
portan opra bacili d'or gli trum nti el sa rifizio.

C OR . tuoi stra li , - terror de' mortali .


ah'· sospendi, gran padre de' numi.
ah! deponi, gran nume de' re.
PARTE DEL CORO . Fumi il tempio- d l ano-ue d'un empio,
che oltraggiò con in ano furore,
ommo Giove , m 'immago i t .
C R . I tuoi trali , - terror de' mortali,
ah ! sospendi, gran a re de' numi,
ah! de poni gran urne de' re .
PARTE DEL CORO. L'onde hete- del pallido Lete
l'empio varchi ; ma il nostro ti more ,
ma il suo fallo portando con sé.
COR . I tuoi strali, - terror de' mortali,
ah! sospendi , g ran pa re de' numi,
ah! deponi gran nume de' re.
CLISTE E. Gio ane ~en urato , ecco v ici no
de' tuoi miseri di l'ultimo istante .
Tanta pietade (e mi puni ca Giove
se a ombro il ver), tanta pieta mi fai.
che non oso mìrartì . 11 ciel olesse
che potess'io di simular l'errore:
ma non lo posso , o figlio. Io son custode
della ragion del trono. l braccio mio
ille a altri la di de ;
TTO TERZ 5

e rend rla degCT' io


illesa o endica a a chi succede.
bbligo di chi regna
necessario è cosi, come penoso,
il do er con mi ura e ser pietoso .
Pur, se nulla ti resta
a desiar, fuor che la vita e poni
libero il tuo desire. Esserne io giuro
fedele esecutor. Quanto ti piace,
fig lio, prescrivi, e chiud i i lumi in pace.
LICIDA. Padre, ché en dì padre
non di o-iudice e re , que' detti sono,
non merito perdono,
non lo spero, no l eh ie do e noi orrei.
Affiisse i giorni miei
di tal mo o la sorte ,
eh' io la vita pavento e non la morte.
L'unico de' miei oti
è il riveder l' amico
pria di spirar. ia eh 'ei nmase in vi ta ,
l'ultima CTrazia im loro
d'ab racciarlo una volta, e lieto io moro.
CLISTENE. T appagherò . usto i ~ (alle guardie)
Megacle a me.
ALCANDRO. ignor, tu pian i ! E quale
ecces iva pieta l'alma t' in CTomb ra?
CLISTENE. Alcandr , lo confesso ,
stupisco di me tesso . Il volto , il ciglio ,
la voce di costui nel cor mi desta
un palpito improvviso ,
che lo risente in ogni fibra il sangue.
Fra tutti i miei pensieri
la cagion ne ricerco , e non la trovo .
Che sani, giusti dèi ! q uesto eh ' io provo ?
on so donde iene
quel t nero affetto ,
s' Xl - OLIMPIADE

quel mo o - che ignoto


mi nasce neJ petto,
quel gel che le en
scorrendo mi a.
Nel seno a de tarmi
i fieri contra ti
non parmi be basti
la s la pieta.

SCE A 11

ME A LE fra le guardie, e detti.

LI l A. Ah! vieni, illustre esempio


di verace amista: M gacle amato ,
caro Megac1e, vieni.
ME ACLE. Ah . qual ti trovo,
povero prence.
LICIDA. Il rivederti in vita
mi fa dolce la morte.
MEGACLE. E che 1111 giova
una ita, che invano
oglio offrir per la tua? Ma molto innanziJ
Licida, non andrai: noi passeremo
ombre amiche indivise il guaùo estremo.
L ICIDA. O delle gioie mi , de' miei martiri,
finché piacque al destin, dolce compagno,
s pararci convien. Poiché siam giunti
agli ultimi m menti
quell a destra fedel porgimi e senti.
ia preghiera o comando
i i: io bramo cosi. Pietoso amico,
chiudimi tu di propria mano i lumi:
ricòrdati di me. Ritorna in Creta
al padre mio ... Po ero padre! a questo
ATTO TERZ 59

pre para o non ei colpo crudele


De h ! tu l' i ori amara
ra dolcisci narrando. Il ecchio a itto
r ggi, a ·sisti, consola:
lo racco ando a te . e piange, il pianto
tu gli a ciu a ~ ul ciglio;
e in te, se un figli uol, re ndigli un figlio.
MEGACLE. Taci : mi fai morir.
CLISTEl\E. on osso, Alcandro,
resi ter piu. Gu rd& que' olti; osser a
que replicati ampie 1,
q ue' te neri so piri e que' confu i
fra le lagrime alterne ultimi b· ci.
Po e a umanit · !
ALCANDRO. Sig nor, tra corre
l 'ora permessa al acrifizio .
CLISTENE . È vero.
Ohi! sacri rninis ri
la vittima prendete. E voi, custodi,
dali' amico infelice
divi ele colui. (sono divisi d a' sacerdoti e da' eu todi)
MEGACLE. arbari ! Ah 01
avete dal mio sen svelto il cor mio!
LlClDA. Ah, dolce am ico!
MEGACLE. Ah, caro prence!
LICIDA e lEGACLE. (au rdaudosi da lontano) Addio!
CORO. I tuoi strali, - terror de' mortali
ah! sospendi, gran padre de ' numi,
ah. eponi, gran nume de' re .
Nel tempo che si canta il coro, Licida va ad inginocchiar i a piè
dell'ara, app resso al sacerdote. Il re prend la sacra scure, che gli vien
presentata opra un bacile da un de' ministri del tempi o; e, nel porgerla al
acerdote, canta i eguenti ver i, accompagnati da grave infonia.

Cu TENE. O degli uomini p dre e degli dèi,


onnipotente Giove,
al cui cenno i move
6o XI - OL[MPlAOE

il mar, la terra, il ciel; di cui np1eno


è l'universo , e dalla ma n di cui
pende d ogni cagione e d'ogni evento
la connessa catena;
questa, che a te si svena,
sacra vittima accogli. Essa i funesti,
che ti splendono in man, folgori arresti.
(nel por ere la scure al sacerdote, viene interrotto da Ar ene)

SCE A V1II

ARGE E de ti.

ARGENE . F'rma6 ! o re. Fermate!


sacri ministri.
CLISTE E . Oh insano a rdir! on sai,
ninfa qu l opra tu rbi?
ARGENE. Anzi piu grata
vengo a renderla a Giove. na io vi reco
vittima volontaria ed inn ocente,
che ha valor, che ha desio
di morir per quel reo.
CLISTE E. Qual è?
ARGENE. Son io.
MEGACLE. ( h beUa fede!)
LICIDA. ( h miO r . or ! Ì
C LISTE NE. Dovresti
saper che al debil sesso
pel piu forte morir non è permesso.
ARGENE. Ma il morir non si vieta
per lo po o a una sposa. In questa guisa
so che al tessalo dmeto
erbò la vita Iceste; e so che poi
l 'esempio suo divenne le ge a noi.
TTO TERZO 6J

Cu TENE. C h perciò?
di Licida con orte?
RGE E. Ei me ne diede
m pegno la sua destra e la s ua fede.
CLISTENE. Licori io, che t a colto,
son piu folle di te . D'un regio er de
una il pastorella
dunque .. .
AR GENE. Né il son io,
né son Licori. Argen ho n ome: in Creta
chiara è del sangue mio la gloria antica;
e, se o-iuromm i fé, Licida il dica .
CLISTE E. Licida , paria.
LICIDA. (È l'e ser menzognero
questa volta pieta .) No, non è ero.
RGENE. Come! e negar lo puoi? Volgiti, ingrato!
riconosci i tuoi doni,
se me non vuoi. L 'aureo monile è qu esto,
che, nel punto funesto
di giurarmi tua sposa,
ebbi da te . Ti ri o enga almeno
che di tua man me ne adornasti il seno .
LICIDA. (Pur troppo è r.)
ARGENE. Guardalo, o re .
CLISTENE. (alle guardie, che ogliono allontanarla a forza) Dinanzi
mi si tolga coste i.
ARGENE. Popoli, amici,
sacri ministri eterni dèi, e pure
n'è alcu n presente al sacrifizio ingiusto,
protesto inn anzi a voi: giuro ch'io sono
sposa a Licida, e voglio
morir per lu i; né .. . Principessa, ab! vieni,
socco rrimi : non vuole
udirmi il padre tuo.
Xl - OLI \Pl D

SCENA IX

AR IST E e detti.

RISTEA. Credimi, pa re,


è degna di pieta.
CLISTENE . Dunque volete
ch'io mi riduca a delirar con oi?
Parla;· ma siano brevi i detti tuoi. (ad Argene)
RGE~E. Parlino queste gemme: (po rae il monile a Clistenc)
io tacerò. an di tai fregi adorne
in Elide le ninfe?
CLTSTENE . (lo g uarda e si turb } Aimè! che miro!
Alcandro, riconos i
questo monil?
ALCANDRO . Se il riconosco? È quello
che al collo avea, quando l'esposi all'onde
il tuo figlio bam m.
CLISTENE. Licida! (oh Dio!
tremo da capo a piè) Licida! sorg i !
Guarda: è ver che costei
l'ebbe in dono da te?
LI CID . Però non ebbe
morir per me. Fu la promessa occulta,
non ebbe effetto e col solenne rito
l'imeneo non si strinse.
Cu TE ~ E. [o chiedo solo
se il ono è tuo.
LICIDA. Si.
CLISTE E. Da qual man ti venne?
Licm_ . A me donollo Aminta.
CLISTE E. E questo Am'nta
chi è ?
LICID . Quello a cui diede
il geni or degli anni miei la cura.
. TTO T ERZ() 6

CLISTENE. Do e sta?
LICID . . Meco
enne,
meco in Elide è giunto.
CLISTENE . Ques o mina cerchi.
ARGENE. Eccolo appunto .

CE LTIM

A .H T e detti.

AM I TA. Ah. Licida. . . (vuole abbracciarlo)


CLI TE L· E. T'accheta!
Rispond i, e non mentir . Questo monile
donde a esti?
AMI TA. Signor , da mano ignota
gia scorse il quinto lustro
eh' io l'ebbi in don.
CLISTE TE. Dov'eri a Ilor?
A U NTA. La dove
m mar , pre so a Corinto,
sbocca il torbido Asopo.
LC NDRO . (!!Ua rdando attentamente minta) (Ah! eh' io rinveno-o
delle note sembia nze
qualche traccia in quel volto . Io non m'inganno :
certo egli è des o.) Ah! d'un a ntico rrore,
(inginocchiando 1)
mio re son r o. D eh! mel per ona: io tutto
fede lmente di rò .
CL ISTE. E. Sorgi! fa ella!
LCA DRO . Al mar, come imponesti,
non esposi il bambin: pieta mi inse.
Costui , straniero, ignoto,
mi venne innanz i, e gliel donai, sperando
che in rimote contrade
tratto l'avrebbe .
4 Xl - LIM.PJ ADE

CLISTENE. quel fanciullo , Aminta,


dov' è ? che ne facesti ?
AMINTA. Io ... (Quale arcano
ho da scoprir !)
CLISTENE. Tu impallidisci! Parla,
empio! di': che ne fu? Tacendo , aggiungi
ali 'antico delitto error novello.
AMINTA. L'hai presente, o sio-nor: Licida è quello.
CLISTENE. Come! non è di Creta
Licida il prence?
AMI TA. Il vero prence m fasce
fini la ita . Io, ritornato appunto
con lui bam bino in Creta, al re dolente
l'offersi in dono: ei, dell ' estinto in ce,
al trono l ' ducò per mio consiglio.
CLISTE E. Oh numi ! ecco Filinto! ecco il mio figlio!
( abbra:ciandolo)
ARISTEA. Stelle !
L ICIDA. Io tuo figlio?
CLISTE E. S.i. Tu m1 n ascesti
gemello ad Aristea . Delfo m'impose
d'esporti al mar bambin , un parricida
minacciandomi in te.
LICIDA. Comprendo adesso
l' orror che mi o-elò quando la mano
sollevai per ferirti .
CLISTENE. Adesso intendo
l'eccessi va pi eta che nel mirarti
mi sentivo nel cor.
AMI NT A. elice padre !
ALCANDRO. Oggi molti in un punto
puoi render lieti.
CLISTE E. E lo desio. D' Argene
ilinto il figlio mio ,
Megacle d ' Aristea vorrei consorte ;
ma ilinto, il mio figlio, è reo di morte.
ATT T RZ

MEGACLE. on è piu reo, quando è tuo figlio.


CLISTENE. È forse
la Iiberta de' falli
permessa al sangue mio. Qui iene o m altro
valore a dimostrar: l unico esempio
esser degg' io di debolezza? h! questa
di me non oda il mondo. Ohi! ministri,
risvea liate su l'ara il acro fuoco:
va', figlio , e mori. Anch'io morrò fra poco.
AMI TA. Che giustizia inumana!
A LCANDRO. Che b rbara virtti!
MEGACLE. Signor, t'arresta.
Tu non puoi condannarlo. In Sicione
sei re, non in Olim ia. È scorso il giorno
a cui tu presiedesti . Il reo dipende
dal pubblico giudizio.
CusTENE . E ben! s'ascolti
dunque il ubblico oto. A pro d l reo
non pr ego , non comando e non consiglio.

CoRo di sacerdoti e popolo.

Viva il figlio delinquente,


perché in lui non sia punito
l'innocen te genitor.
Né fu nesti il di presente,
né disturbi il sacro rito
un' idea di tanto orror.

M&TASTA 10 , Oj>~e- m. 5
66 Xl - OLIMPIADR

LICENZA

Ah! no, l' augusto sguardo


non rivolgere altrove, eccelsa Elisa.
Ubbidirò. Tu ascolterai, se m'odi
(dura legge a compir.). voti e non lodi.
Veggano ancor ben cento volte e cento
i numerosi tuoi sudditi regni
tornar sempre piu chiaro
questo giorno per te; per te, che se1
la lor felicita, che nel tuo seno
le piu belle virtu come in !or trono,
l'un a all'altra congiun te ... im· ! per ono.
Voti in mente io formai: ma dal mio labbr
escon , per qual magia dir non sapr 1,
trasformati in tua lode i voti m1e1.
Errai; ma il mondo intero
ho complice nel fallo; e, non sdegnarti,
mi par bello l'error. L' anime grandi
a vantaggio di tutti il ciel produ ce .
asconderne la luce
perché, se agli altr i il buon cammino insegna?
Le lodi di chi regna
sono scuola a hi serve . li grande esempio
innamora, corregge,
persuade, ammaestra. Appresso al fonte
tutti non sono. È ben ragion che alcuno
disseti anche i lontani. Ah! non è reo
chi, c lebrando i pregi
de ll'anime reali,
ubbidisce agli dèi, giova a' morlali .
ATTO TERZO

ubc cosi profonda


non può formarsi mai ,
che le tu e glorie ascenda,
che ne trattenga il ol.
aria difficil meno
torre alle stelle i rai.
a' fulmini il baleno,
la chiara luce al sol.
XII

DEMOFOONTE
rappresentato, con musica del CALDAR , la prima volta in Vienna nel-
l' interno gran teatro della cesarea corte, alla presenza de' regnanti, il
d i 4 novembre 1733, per festeggiare il nome d ell' imperator Carlo esto,
d 'o rdine dell'imperatrice Elisabetta.
~T
A M

Regna ndo D emo fo nte nel la Ch e r. o ne o di Tracia. consultò


l' orac l d'Apollo , pe r in end ere qu a nd d vesse aver fin il crudel
rito, gia dall'oracolo i tesso prescritto di acrificare ogni anno
una vero-i ne innanzi a l di lui imulacro · e n 'ebb in rispo ta :
Con oi del ciel i placheni lo degno ,
quand o noto a e t esso
fia l'in n cente u urpator d ' un regno.

on poté il r compr nderne l'o cur sen o , ed, a_ pe ttando cb


il t€: mpo l ren es e piu chiaro, i d ispose a co mpire intanto l'an-
nuo sagrifizi , fac e nd o e trarre a orte dali urna il nome della
sventurata vergine che doveva er la vittima. Matu io, uno de'
randi d el regno , pre te e che Dircea, di cui crede vasi padre non
corresse la orte delle altre pr ducend per ragione l'e empio
del re medesimo, che, per non e porre le proprie fi o-lie, le teneva
lontane di Tracia. Irrita to Demofoonte dalla temerita di Matu io,
ordina barbaramente che, senz' attendere il to d Ila fortuna,
sia tratta al sagrifizio l'innocente Dircea.
Era que ta ia moglie di Timante, cr duto fi lio ed erede di
Demofoonte; ma oc ulta ano con gran cura i con orti il loro p -
ricoloso imeneo, per un'antica legge dì quel regno, che condan-
nava a mo rire qualunqu e suddita divenisse po a d l r al uc-
cessore. Demofoonte, a cui erano affa tto ignote le eo-rete nozze
di Timante con Dircea, avea destinato a lui per isposa la prin-
cipessa Creusa, impegnand sol nnemente la propria fede col re
di Frigi a, padre di lei. Ed in esecuzion e di sue promesse inviò
il giovane Cherinto, altro suo fio-liuoJ a prendere e condurre in
Tracia la posa , richia mando intant dal campo Timante, eh , di
72 Xl l - DEMOFOO TE

nulla informato, volò sollecitamente alla reggia. Giuntovi, e com-


preso il peric loso stato di sé e della sua ircea, volle scusar i
e difenderla; ma le scuse appunto, le preghiere, le smanie e le
violenze, alle quali trascorse , scopersero al agace re il loro na-
scosto imeneo. imante, come colpevole d'aver disubbidito il c -
mando paterno nel ricu ar le nozze di Creusa e d'essersi opposto
con l'armi a' decreti reali; Dircea, com rea d'aver contravvenuto
alla legge del re ·no nello po ar i a Timante, son condannati a
morire. ul punt d' 'Segui rsi 1' inumana sentenza, risenti il feroce
Demofoonte i moti della pa erna pieta, che, secondata dalle pre-
ghiere di molti gli velsero dalle labbra il perdono. Fu av ertit
Timante di cosi felic ambiamento· ma, in mezzo a' trasporti d Ila
ua impr vvi a allegrezza, · orpre. o da hi gli copr con indu-
bitate pro e che ire a figlia di Dem foont . Ed eco eh l'in-
felice, sollevato appena dalla oppression d Il e passate avver ita,
precipi piu miseramente che mai in un abis o di c nfu ione e
d 'orrore, considerandosi marito della propria germa1 a. Pareva
ormai inevitabile la sua di perazione, quand , p r inaspettata ia,
meglio in format della vera sua oudizi ne, ritrova non ss r egli
il ucc ss re della cor na, né il figlio d i Demofoonte, ma bensi
di 1atusio. Tutto cambia d'a p tto. Libero Tim ante dal concepito
orror , abbraccia la ua con ort · tr vand emofoonte in Che-
rint il vero suo rede adempi t! promes e, d tinandolo
sposo alla principe a Creu a; e, coperto in Timant quell'in-
no ente usurpatore di cui l'orac lo oscuramente a rla a, r ta
disciolto anche il r gn dall'obbli fune to dell'annuo crude!
agrifìzi ( HvGI ., e PMla1'Ch., lib. n).
l TERL CU ORI

DEMOFOO TE , re di Tracia.
DIRCEA, egreta moglie di Timante.
CREUSA, principessa di Frigia, destinata sposa di Timante.
TIMA TE, creduto principt: ereditario e figlio di Demofoonte.
CHERI 'TO, figlio di Demofoonte, amante di Creu a.
l\1A-rusro, creduto padre di Dircea.
ADRASTO, capitano delle guardie reali.
OLI TO, fanciullo, figlio di Timante.

Il luogo della scena é la reggia di Demofoonte


nel! her oneso di Tracia.
ATT PRIM

SC E A I

rti pen ili, corri p ndenti a vari appartamenti delta reggia di e-


mofoonte .

IR E. e lATli 10.

lRC EA. Credimi o padre: il tuo soverchio affetto


un mal dubbioso ancora
rende sicuro. A domandar che solo
il mio nom e non vegga
l'urna fatale , altra ragion non hai
che il regio esempio.
MATUSI O . E ti par poco? Io forse,
perché suddito nacqui,
son men padre del re? D'Apollo il cenno
d'una vergine illustre
vuoi che su l ' are sue si sparga il sangue
ogni anno in questo di · ma non esclude
le vergini reali. E i, che si mostra
delle leggi di ine
si rigido custode, agli altri insegni
con l'ese mpi costanza. A sé richiami
le all ontanate ad arte
sue regi figlie. I nomi loro esponga
anch'egli al caso. All'agitar dell' urna,
provi e li ancor d'un in felice padre
Xl r - DE 10FOONTE

come palpita il cor; come si trema,


quando al temuto vaso
la mano accosta il sacerdote, e quando
in sembianza funesta
l 'estratto nome a pronunciar s'appresta;
e arrossisca una volta
ch'abbia a toccar sempre la parte a lu.i
di spettator nelle miserie altrui.
DIR EA. Ma sai pur eh e a' sovrani
è suddita la legge.
MATUSIO . Le umane si, non le divine.
DIRCEA. E queste
a !or s'aspetta interpretar .
MATUSIO. on quando
parla n chiaro gl i d i.
DIRCEA. Mai chiaro a segno ...
fAT US IO. on piu, ircea; on risoluto.
DIRCEA. Ah! meglio
pensaci, o genitor. L'ira n ' grand i
sollecita s'accende,
tarda s'estingue. È temeraria impresa
l'irritare uno s · egno
che ha congiunto il poter. Gia il re pur tro ppo
bieco ti gu rda. Ah! che sara e aggiunge
ire no elle ali' dio an ti o?
MATUSIO. In ano
l'odio di lui tu mi rammenti e l'ira:
la ragion mi ifende , il ciel m'inspira.
piu tremar non voglio
fra tanti affanni e tanti ·
o ancor chi preme il sO<YliO
ha da tremar con me .
• mbo siam padri amanti,
ed il pa erno affetto
parla gualmente in petto
del suddito e del re. (parte)
AT PR I 10 77

CE A Il

[ IRCE e poi Tni TE.

D IRC EA . e il mio principe almeno


quindi !ungi non fosse .. . Oh ciel, che miro !
e1 iene a me.
Tr tANTE. Dolce consorte .. .
Dr RCEA. Ah! taci:
potrebbe udirti alcun. ammenta, o caro,
che qui non resta in vi ta
su ddita sposa a regio fig lio unita .
TIMANTE. No n temer , mia speran za. Alcun non ode.
Io ti difendo .
DIRCE A . E uale amico nume
ti rende a me ?
TIMA NTE. Del genitore un cenno
mi richiama dal ca m p o,
né la ca gion ne o. Ma tu, mia vita,
m ' ami ancor? ti ritro o
qual ti lasciai? pensasti a me?
DIRCEA . Ma come
chieder lo puoi? Puoi dubitarne?
TI M ANT E . Oh Dio!
non dubito, ben mio; lo so che m'ami,
ma da quel dolce labbro
trop po, soffrilo in pace,
sentirlo replicar, troppo mi piace.
Ed il picciolo Olinto, il caro pegno
de' nostri casti amori,
ch e fa ? cresce in bellezza?
a qual di noi somiglia ?
DIRCEA. Egli incomincia
gia col tenero piede
XII • DEMOFOONT.K

orme incerte a segnar. T utta ha nel volto


quella dolce fierezza ,
che tanto in te mi piacque. Allor che ride,
par 1' immagine tua. Lui ri mirando,
te rimirar mi semb ra . Oh, qua nte volte,
credu la troppo al dolce error del ciglio,
mi strinsi al petto il genitor nel figlio!
Tll\1 A TE. Ah! dov' è ? posa amata,
guidami a lui; fa' ch'io lo egga.
DIRCEA. A ffrena,
signor , per ora il violento affe tto.
In custodita parte
egli vive celato; e andarne a lui
non è sempre s'curo. Oh, quanta pena
costa il nostro segreto !
TI 1ANTE. Ormai son stanco
di finger piu, di tremar sempre: io voglio
cercare oggi una via
d'usci r di tante angustie.
DIRCEA. Oggi sovrasta
altra angustia maggiore. Il giorno è questo
del!' nnuo sagrifizio. Il nome mio
sani esposto alla sorte: il re lo uole;
si oppone il adre; e della lor contesa
temo piu che del resto.
Tr fANTE. È noto forse
al padre tuo che sei mia sposa?
0IRCE . Il cielo
no l oglia mai. Piu non iv rei .
TIM NTE . M'ascolta .
Proporrò che di n uo o
si consulti l'oracolo. Acquistiamo
te m p o a pensar.
OI RCE . Ques o è gia fatto .
TDIA TE . E come
rispose ?
ATTO PRIM 9

DIRCEA. Oscuro e breve.


« Con \'Oi del ciel si plachera lo sdegno,
quando noto a se stesso
fia l'innocente usu rpator d'un regno».
TI 1A TE. Che tenebre son queste!
DIRCEA. E se dall 'urna
esce il mio nome, io che farò? La morte
mio spa en o non è: Dircea saprebbe
per la patria morir. Ma Febo chiede
d'una vergine il sangue . Io, moO'I ie e madre,
come accostarmi all'ara? O parli o taccia,
colpevole mi rendo:
il ciel , se taccio, il re, se parlo, offendo.
T1 IA TE. posa, ne' gran perigli
gran coraggio bisogna . Al re conviene
scoprir l'arcano .
DIRCEA. E la funesta legge
eh a morir mi condanna?
TIMA NTE . Un re la scrisse :
può rivocarla un re . Benché se ero,
Dernofoonte è padre, d io on figlio.
Qual forza han questi nomi,
io lo so, tu lo sai. o n torno alfine
senza merito a lui. La Scizia oppressa,
il soggiogato Fasi
son mie conquis e; e qualche cosa il padre
può fare anche per me. Se ciò non basta,
saprò dinanzi a lui
piangere supplicar, picgarmi al suolo,
a bbracciargli le piante,
domandargli pieta .
DI RCEA . Dubito . .. Oh Dio !
TIMA TE. on dubitar, Dircea: lascia la cura
a me del tuo destin. a '! P r tua pace
ti stia nell'alma impresso
che a te penso, cor mio, piu che a me tesso.
o XII -D 10FOO . TE

IRCEA . In te spero, o sp so amato ;


fido a te la sorte mia,
e per te, qualunque sia,
sem pre cara a me sarei.
Pur che a me nel morir mio
il piacer non sia n gato
di va ntar che tua son io,
il morir mi piacerei. (parte)

S E A III

TIMA TE e E l\IOFOONTE con é uito; indi ADRASTO.

TIMANTE. ei pur cieca, o fortuna l All mia sposa


generosa concedi
belta, virtu quasi divina, e poi
la fai nascer vassalla. Error si grande
corrego-erò ben io. Meco sul trono
la Tracia un di l 'adorerei. Ma viene
il real genitor. iu non 'asconda
il mio segreto a lui.
DE 10FOONTE. Principe, figlio.
TlMANTE. Padre, signor. ( inginoccb1 e gl i bacia la mano)
DE 10FOONTE. Sorgi.
TI.MANTE. I reali imperi
eccomi ad eseguir .
DEMOFOONTE. So che non piace
al tuo genio guerriero
la pacifica reggi a; e il cenno mio,
che ti svelle dall'armi,
forse t'incresce. I tuoi trionfi, o prence,
e perché mie conquiste e erché tuoi,
sempre cari mi son; ma tu di loro
mi sei piu caro. I tuoi sudori ormai
di riposo han bisogno. È del riposo
ATTO P l O I

figlio il alor. Sempre ibrato, alfi ne


inabile a feri r l'arco si ren e.
ll meritar son le tue parti, e sono
iJ premiarti le mie . Se il prence il figlio
degna mente le sue compi finora,
il padre, il re le sue compisca ancora.
TIMA TE. (Opportuno è il momen o: ardir! Conosco
t an o il bel cor del mio
tenero genitor, che ...
DEMOFOONTE . o, non puoi
cono cerlo abba tanza . lo enso, o figlio,
a te iu che non credi;
io ti leggo nell'a lma, e quel che taci
intendo ancor. Con la tua spo a al fianco
vorresti ormai che ti edesse il regno.
Di : non è er?
TIMANTE. (Certo ei scoperse il nodo
che mi stringe a Dircea.)
DEMOFOONTE. Parlar non osi;
e a compiacer i appunto
il tuo mi persuade
rispettoso silenzio . Io, lo confesso,
dubitai su la scelta; anzi m1 spiacque.
L' acconsentire al nodo
mi pareva ilta . Gli odii del padre
abborria nella figlia . Alfin prevalse
il desio di vederti
felice, o prence .
TIMANTE. (Il dubitarne è ano. )
DDIOFOO T E. A paragon di questo,
è lieve ogni riguardo .
TlM I TE. Amato padre,
n uova vita or mi dai. Volo alla sposa,
per condurla al tuo piè.
DE 10FOO TE . Ferma! Cherinto,
il tuo minor germano
la condurnL

METASTASIO, Op~re- lll. 6


82 XII - EhlOFOONTE

TIMA TE. Che inaspettata è questa


felicita!
D EMOFOONTE. V'è per mio cenno al porto
chi ne attende l'arrivo . ..
TI !ANTE. Al porto !
DEMOFOONTE. . .. e , quando
vegga apparir la sospirata nave ,
av ertiti sarem.
TIMANTE. Qual nave?
DEMOFOONTE. Quella
che la real Creusa
conduce alle tue nozze.
TI 1ANTE. h dèi.)
DE 10FOO TE. Ti sembra
strano, lo so. Gli red itari sdegni
de' suoi, degli avi nostri, un simil nodo
non facev n sperar; ma in dote alfine
ella ti porta un regno. Unica prole
è del cadente re.
TIMANTE. Signor.. . Credei . . .
(Oh rror funesto!)
D E 10FOONTE. Una consorte altrove,
che suddita non sia, per te non tro o .
TIMA TE. O uddita o sovrana,
che importa, o padre?
DEMOFOO TE. Ah! no: troppo degli avi
ne arrossirebbon l'ombre . È lor la legge
che condanna a morir sposa vassalla
unita al r al germe; e, fin eh' io vi a
saronne il piu severo
rigido esecutor.
TI IANTE. Ma questa legge ...
AD RASTO . Sig nor, giungono in porto
le fri ie na i.
DE 10FOONTE. d incontrar la s po . a
vola, o Timante. ( drasto i ritira)
TT O PRI 1 3

TI u 'TE. fo?
D E:MOFOONTE. Si. C n te rrei,
ma un funes o do er mi chiama al tem pi o .
TIMANTE. Ferma! enti , signor.
D:E:MOFOONTE. Parla: h e brami?
TI1ANTE . Confessarti ... (Che fo ?) Chiederti ... ( h Dio,
che ano-ustia è questa! ) Il sacrifizio, o padre ...
La legge ... La con orte ...
(O h legge ! oh sposa! oh sacri fi zio ! oh orte!)
DE:MOFOONTE. Prence , ormai non ci resta
piu luog o a pentimento . È tretto il nodo :
io l'ho promesso. Il conser ar la fede
obbligo 11ecessario è di chi regna;
e la necessita gran cose insegna.
Per fei (ra l'armi - dorme i! g uerriero ;
per lei fra l'onde - canta il nocchiero;
per lei la morte- terror non ha.
Fin le piu ti1nide ,_ bel e fugaci
valor dimostrano, -si fann o audaci ,
quand 'è il combatter - necessita. (parte )

SCE A IV

TIMANTE solo.

Ma che vi fece , o stelle,


la povera Dircea, che tante unite
sventure contro lei? Voi, che inspiraste
i casti affetti alle nostr 'alrne; oi,
che al pudico imeneo foste presenti,
difendetelo, o numi: io mi confondo.
M ' oppresse il colpo a segno,
che il cor mancommi e si smarri l'ingegno.
pera i vicino il lido,
credei calmato il vento ;
XII - DE~OFOO TE

ma trasportar mi sento
fra le tempeste ancor;
e da uno scoglio in fido
mentre salvar mi oglio,
urto in un altro scoglio
del primo as ai peggior. (parte)

CENA V

Porto di mare festivamente adornato per l'arrivo della principessa di


Frigia. ista di molte na i, dalla piu mao-nifica delle quali, al suono di
vari strumenti barbari, preceduti da numeroso corteggio, sbarcano a terra

CRE A e CHERl TO.

CREUSA. Ma che t' affanna, o prence?


perché mesto cosi? Pensi, sospiri,
taci mi guardi, e, se a parlar t'astrin<Yo
con rimpro veri amici,
molto a dir ti prepari, e nulla dici.
Dove andò quel ser no
allegro tuo s mbiante? o e i fesli 1
detti ingegnosi? In Tracia tu non sei
qual eri in Frigia. l talamo le spose
in si lug ubre aspetto
s'accom agnan fra voi? Per le mie nozze
qual augurio · mai questo?
CHERINTO . Se nulla di funesto
presagisce il mio duo l, tutto si sfogh i,
o bella principessa,
tu tto sopra di me. Poco i miei mali
accresceran le stelle. Io de' vi enti
g ia sono il piu infelic .
REUSA. E questo a rcan o
non può velarsi a me? aglion si poco
il mio soccorso, i mi ei consigÌi?
ATTO PRl 10 5

CHERll TO. E vuoi


ch'io arli? Ubbidirò . Dal primo istante ...
Quel giorno ... Oh Dio! _ o, non ho cor! Perdona;
meglio è tacer: meriterei , parlando
forse lo sdegno tuo.
CREU A. Lo merta assai
gia la tua diffidenza. È er che alfine
io son donna, e arebbe
mal sicuro il segreto. Andia mo , andiamo.
Taci pur: n'hai ragion.
CHERI TO. Férmati! Oh numi!
Parlerò: non sderrnarti. Io non ho pace;
tu me la togli; il tuo bel ol to adoro;
so che l ' adoro in vano ,
e mi sento morir . Questo è l'arcano.
CREUSA . Come? che ard ir !
CHERINTO. ol dissi
che sdegnar ti fa rei?
C REUSA . perai, Cherinto,
piu rispetto da t .
C HERINTO. Col pa d 'amore.
C REUSA . Taci, taci : non piu . (vole ndo partire)
CHERI To. Ma, giacché a forza
tu volesti , o reusa ,
il delitto ascoltar, senti la scusa .
CREUSA . Che di r potrai?
C HERINTO . Che di pieta son degno ,
s'ardo per te· che, se l'am arti è colpa ,
Demofoonte è il reo . Doveva il padre,
per condurti a Timante ,
altri ceglier ch e me . S e l ésca avvampa,
stupir non dee ch i l 'avvicina al fuoc .
Tu bella sei; cieco io non son . Ti vidi,
t'ammirai, mi piacesti . te vicino
ogni di mi trovai. Comodo e scusa
il nome di congiunto
6 Xl! - DEMOF O TE

m1 die' per vao-heggiarti; e me quel nome,


non che o-li a ltri, ingannò . L'amor, che sempre
sospirar mi facea d 'esserti accanto,
mi pareva dovere; e mille olte
a te spiegar credei
gli affetti del german, spiegando m1e1.
CREU A. (Ah! me n'av idi .) Un tale ardir mi giunge
nuovo cosi che i tupidi co.
CH E Rl ~ TO. E pure,
tal or mi lusingai che l'alme nostre
'intendesser fra loro
senza parlar. Certi sospiri intesi,
un non so che di lan uido o servai
spesso negl i occhi tuoi, che mi pare
molto piu che amicizia.
REUSA. Orsu! Cherinto,
della mia tol leranza
cominci a abu ar. Mai piu d 'amor
guarda di n n parlarm i.
CHERINTO. Io non comprendo .. .
CREUSA. i spiegherò . e in avvenir piu saggio
non sei di quel che fosti infino ad ora,
non compa rirmi innanzi. Intendi ancora ?
HERINT . T'intendo, ingrata !
uoi ch' io m'uccida :
arai contenta,
m'ucciderò.
Ma ti rammenta
che a un'alma fida
l'a v erti amata
troppo costò. (vuoi partir )
C E SA. ov ? Fe rma!
CHERI T o, no! troppo t'offen de
la mia pre enza. (in atto di p rtir ;
CREUSA. Odi Cherinto.
C HERI TO. Eh! troppo
ATTO PRJ 1"0 7

bu er ei, restando,
della tua tolleranza . (come opra)
RE U A . E chi finora
t ' impo e eli partir?
HERlNTO. Comprendo assai
anche quel che non dici.
RE A. Ah, prence ! ah, quanto
mal mi conosci! Io da quel punto ... (Oh numi! )
HERI TO. Termina i detti tuoi.
REUS Da quel punto ... ( h, che fo !) Parti , se uoi.
CHERI TO. Barbara! partirò; ma fors . .. Oh stelle !
ecco il german.

CEr A

TIM TE frett Ioso, e detti.

TIMANTE. Dim m i, Cherinto : è questa


la frigia prin cipessa?
CHER INTO . Appunto.
TrMA TE . Io deggio
seco parlar. Per un momento solo
da noi ti scosta.
CHER INTO . bbidirò. (Che pena !
CREUSA. Spo o, sig nor.
TIMANTE. D onna rea!, noi siamo
m gran periglio en tra m bi. Il tuo d ecoro,
la ita mia tu sola
puoi difender, e vuoi.
CREU A. Che a vven o ?
TIMANTE. l nostri
genitori fra noi strinsero un nodo ,
c h e forse a te dispiace,
eh ' io no n richiesi. I pregi tuoi reali
arian degn i d ' un nume,
8 XII - DEMOFOONTE

non che di me ; ma il mio destin non vuole


ch'io possa esserti sposo. n vi si oppone
invincibil riparo. Il padre mio
noi a, né posso dirlo. A te conviene
prevenire un rifiuto. In vece mia,
va , rifiutami tu. Di' eh' io ti spiaccio;
aga-rava, io tel perdono,
i demeriti miei; sprezzami, e salva
per questa via, che il mio dover t'addita,
l'onor tuo, la mia pace e la mia vita.
CREUSA. Come!
TIMANTE. Teco io non posso
trattenermi di piu. Prence, alla reggia
sia tua c ura il condurla. ( Cherinto, partendo)
CREUSA . Ah! dimmi almeno ••.
TIMANTE. Dissi tutto il cor mio ,
né piu irti saprei : pensa ci . Addio! (parte)

CENA VII

CR USA e CHRRI T() .

CR EUSA. Numi! a Creusa, alla reale erede


dello sceltro di Frigia un tale oltraggio!
Cherinto, hai co r ?
CHERI T . L'a rei,
se tu non mel toglievi.
CRE U Ah! l onor mio
vendica tu, se m'ami. Il cor, la mano,
il tal a m , Io scettro,
quanto possiedo, è tuo: limite alcuno
non pongo al pre mio .
CHERINTO. E c he vorresti?
CREUSA . ll sangue
dell 'audace Tim ante .
ATTO PRIMO 9

CBERINTO. Del m1o german?


CREU SA. Che. impaUidi ci? Ah, vile!
Va'! tro erò chi voglia
meritar 1'amor mio .
CHERINTO. Ma, principessa .. .
CREU SA. on piu ! Lo o iete d ' accordo entrambi ,
scellerati, a tradirrnL
CIIERINTO. lo ! Come ! E credi
cosi , dunque , il mio amor oco sincero?
CREUSA. Del tuo amor mi ergogno, o falso o vero .
on c uro l'affetto
d un imi o aman te ,
che serba nel petto
si poco al or,
che trema, e eve
far uso del br n do,
cb' è audace, sol quando
si parla d'amor. ( parte)

SCE A VIII
CH ER I. 1"0 solo.

Oh dèi! perché tanto furor? che mai


le avni detto jJ g erman? Voler ch'io stesso
nelle fraterne vene ... Ah! che, in pensarlo,
gelo d'orror. Ma con qual fasto il disse l
con qual fierezza! E pur, quel fasto e quella
sua fierezza m'alletta: in essa io trovo
un non so che di grande,
che , in mezzo al suo furore,
stupir mi fa, mi fa Jangujr d'amore .
Il suo leggiadro viso
non perde mai belta :
bello nella pieta,
bello è nell'ira.
XII - D E MOFOONTE

Quand'apre i labbri al nso ,


parmi la dea del mar;
e PaHade mi par,
quando s'adira. (parte )

SCE A IX

1ATUSIO e ce furio o con IR CEA per mano.

DIRCEA . Dove, dove, o signor?


MATU IO. el p i u deserto
sen della Libia, alle foreste ircane,
fra le scitiche rupi, o in qualche ignota,
se alcuna il mar ne serra,
separata dal mondo ultima terra.
DIRCEA. (Aimè !)
MATUSIO. udate, o padri,
nella cura de 1 figli. Ecco il risp tto 1
che il dritto di natura,
che prometter si può la ostra ura.
DrRCEA. (Ah ! scopri l'imeneo. o n morta!) O h Dio !
Signor , pieta!
MAT U IO. o n v' è p ieta né fede :
tutto è perduto!
DrRCEA. Ecco al tuo piè ...
MATUSIO. Che fai?
DIRCEA. Io voglio pianger tanto ...
MATUSIO. Il tuo caso domanda altro che pianto.
DIRCE • Sappi. ..
MATU IO. Attendimi. n legno
volo a c rcar , che ne trasporti altrove. (parte)
ATTO .P RIMO 9I

CE A X

IRCR , po i TI f A. TE.

IRCEA. Do e, misera. ab . dove


vuol condurmi a morir? Figlio innocente ,
adorato con orte oh dèi. che pena
pa rtir senza eder 1 .
TIMA TE. Alfin ti trovo
Dircea m1a ita.
JRCE . Ah ! caro sposo, addio ,
e addio per emp re. Al tuo paterno amore
raccomando il mio figlio :
abbraccialo per me , bacialo, e tutta
narragli, quando ta
capace di pieta, la orte mia.
T!MA TE . posa, che dici? Ah . nelle vene il sangue
gelar mi fai.
DIRCEA. Certo scoperse il padre
il nostro arcano. Ebbro è di sdegno, e vuole
quindi !ungi condurmi. Io lo (;Onosco :
per me non v'è piu speme .
TIMANTE. Eh . rassicura
lo smarrito tuo cor, sposa diletta ;
al mio fianco tu sei.

CE A XI
MATUSio torna frettoloso e detti.

MATUS10. Dircea, t'affretta !


1M ANTE. Dircea non partira.
MATUSIO. Chj l'impedì ce?
TlMANTE. Io.
MATUSIO . Come !
XJl • DE iOFOO TE

DIRCEA. Aimè!
,< \TUSlO. (snuda la spada) Difenderò col ferro
la paterna ragion.
(fa lo stesso) Col ferro anch 'io
la mia difenderò.
DrRCEA. (si fra ppone) Prence che fai?
Férmati, o genitor!
MATUSIO. Empio! im pedirmi
che al crudel sacrifizio una innocente
vergine io tolga?
DIRCEA. (Oh dèi l)
TI fANTE . Ma dunque ...
DIRCEA. (piano a Timant , fin gendo trattenerl o) {Ah l taci.
Nulla sa: m'ingannai.)
MATUSI . Volerla oppressa!
IRCEA. (Io quasi per timor tradii me tessa.)
TIMANTE . Sio-nor, perdona: ecco l error. Ti idi
er o lei, che piangea, correr sdegnato;
te mpo a pensar non ebbi; opra pietosa
il salvarla credei dal tuo furore.
MATUSIO . Dunque la nostra fuga
non impedir. La ittima, se resta,
oggi sani Dircea.
DIRCEA . Stelle!
TI 1A TE . Dall'urna
fors e il suo nome usci?
MATUSlO . No; ma l 'ingiusto
tuo padre vuoi quell innocente uccisa
senza il voto del caso.
TIMANTE . E perché tanto
degno con lei?
MATUS lO . Per punir me , che volli
impedir che alla sorte
fosse e posta Dircea; perché produssi
l'esempio suo; pe rché l'amor paterno
mi fe cordar d ' e ser va allo .
ATTO PRI 10 93

D I RCEA . (Oh Dio!


ogm cosa congiura a danno mio .)
TIMANTE. Matusio, non temer: barbaro tanto
il re non è . Negl'impeti improvvisi
tutti abba alia il furor; ma la ra 0 'one
oi n emenda i trascorsi.

SCE A XII

ADRASTO con guardie, e detti.

A DRASTO. O la! ministri,


custoclite Dircea. (le guardie la circondano)
MATUSIO. o l dissi, o prence?
TIM TE. Come ?
D IRCEA . Misera me!
TIMA TE. Per qual cagione
è Dircea prigioniera?
ADRASTO. Il re l'impone.
(a Dircea) Vieni!
DIRCEA. Ah! dO\ e?
ADRASTO. Fra poco,
sventurata! il saprai.
DIRCEA. Principe, padre,
soccorretemi voi ;
movete i a pieta.
TIMANTE . No, non fia vero .. .
(in atto d'assalire)
MATUSlO. Non soffrirò .. .
AD RASTO . Se v'appressate, in seno
questo ferro le immergo. (impugnando uno stile)
TIMANTE. ) Empio!
(si ferm ano)
MATUSIO. ~ Inumano!
ADRAST . Il comando so rano
mi giustifica assai.
94 XII - DRMOFOONTE

DIRCEA. unque . . .
ADRASTO. T 'affretta:
sono ane o Dircea, le tue qu erele .
DIRCEA. Vengo. (iucamminand i)
TIMANTE e M TUSIO . Ah! barbaro! (in atto d ' assalire)
ADR STO. Ola! (in atto eli feri re)
TIMANTE e M Tusro. (arrestandosi) Ferma, crudele!
DIRCEA . Padre, perdo na ... Oh pene!
Prence, rammenta ... Oh Dio!
(Gia che morir degg' io,
potessi almen parlar! )
Misera l in che peccai?
come son giunta mai
de' numi a questo segno
lo sdegno a meritar? (parte)

CENA XIII

TtM TE e MAT s10.

TIM NTE. Consigliatemi, o dèi !


[ATUSIO. Né s'apre il suolo.
né un fulmine punisce
tanta empieta, tanta ingiustizia . E poi
mi si dirci che Giove
abbia cura di noi !
TI fANTE. Facciamo, amico,
miglior uso del tempo. Appresso a lei
tu vanne, e vedi ov' è condotta. Il padre
10 olo intanto a raddolcir.
M TUSJO. on spero .. .
TIMANTE. Oh Dio! Va ' : troverassi
altra via di salvarJ a , ove non ceda
del geni tor lo sdegno .
TTO PRIMO 95

MATUSIO. Oh di padre miglior figlio ben degno !


(l'abbraccia e part )
TIMANTE. Se ard ire e speranza
dal ciel non mi viene,
mi manca costanza
per tanto do! or.
La dolce compagna
vedersi rapire,
udir che si lagna,
condotta a morire,
son smanie, son pene
che opprimono un cor. (parte)
ATTO SECO DO

SCE A I
ab inetti.

E 10FOONTE e CREUSA.

DEMOFOONTE. Chiedi, pure, o Creusa. In questo giorno


tu tto (; rò p er te; ma non parlarmi
a faver di Di rcea. oglio che il padre
morir la veO'ga . Il tem erario offese
troppo il real decoro . In f ccia mia
sediziose voci
sparger nel volgo! a' miei decreti opporsi!
paraO'onarsi a me! Regnar non oglio,
se tal vergog na ho da soffrir nel soglio.
CREUSA. Io non vengo er altri
a pregarti, signor. Conosco assai
quel che potrei sperar. Le mie preghiere
son per me stessa.
DEl\10FOONTE. E che vorresti?
CREUSA. In Frigia
subito ritornar. Manca il tuo cenno
perché po san dal porto
le na i uscir. Questo io domando; e credo
che n egarlo non puoi, se pur qui , do e
venni a parte del trono ,
non è strano il timer , schia a io non sono.
DEMOFOONTE. Che dici, o principessa! Ah, quai sos etti!
AlT

cl e puno-ente parfar f Partir da noi f


lo sposo ? e le nozze?
Eh ! per Ti.mante
Creusa ' poco . Una belta mortale
non lo speri ottener . Per lui.. . Ma questa
l mia cu ra non ' . Par ir ogl ' io :
posso , o sig nor ?
DEMOFOON'tE. Tu sei
l 'arbitra di te ste sa . In Tracia a forza
ritenerti io non uo Ma non sperai
tale ingiuria d a te .
REUSA . on o di noi
chi ha ragion di la<Ynarsi: ~ il prenc~ . . . Alfine
bramo partir.
DEMOFOON'tE. Ma io vedesti?
CREUSA . Il idi.
EMOFOON'tE . Ti parlò?
CREUSA. Cosi rneco
parlato 11on avesse_!
DEMOFOON'tE. E che ti disse?
CR EUSA . Signor, basta cosi.
DEMO OON'tE. C re usa, intendo.
Ruvido troppo, alle parole , agli atti,
ti parve il prence. Ei freddam e nte fotse
t ' accolse, ti parlò . cuso il tuo sdegno :
a te, eh sei di Frigia
a' molli a v vezza e teneri costumi ,
a pra rassembra e dura
l 'aria d ' un trace . E, se Timante è cale,
meraviglia non è: nacque fra l' arm i,
fra l' armi s'educò. Teneri affetti
per lui son nomi ignoti . A te si serba
la gl oria d'erudirlo
ne' misteri d ' Amor. Poco, o Creusa,
ti costeni. Che non inse na un volto
si piea di grazc e due i va ci lumi,

.._ A rASI , Opere - 111. 7


XII - DEMOFOONTE

che parlan come i tuoi? 'apprende in breve,


sotto la disciplina
di si dotti maestri, ogni dottrina.
CREUSA. Al rossor d'un rifiut una mia par i
non s'espone però.
D EMOFOO TE. Rifiuto! E come
lo potresti temer ?
CREUSA. Chi sa?
D EMOFOONTE. La mano,
pur che tu non la sdegni, in questo giorno
il figlio a te dara: la mia ne impegno
fede real e . E, se l 'au ace ardisse
d i repug nar, a mill furie invaso,
saprei. .. M no! troppo è lontano il caso.
CREUSA. (Si, si! Timan e all'imeneo s'astringa,
per poter rifiutarl o .) E bene, accetto,
signor, la tua promessa. r fia tua cura
che poi . ..
D E 10FOONTE. Basta cosi. Vivi sicura.
C RE USA. Tu sai chi son; tu sa i
qu el che al mio onor conviene:
pensaci; e, s'altro avviene,
non ti lagnar di me.
Tu re, tu padre sei,
ed obbliar non déi
come comanda un padre,
come punisce un re . (parte)

CENA II

DEMOFOO TE e poi TJMA TE.

DE WFOO TE . Che alterezza ha co tei! Quasi . . . Ma tutto


al grado, al sesso e all'eta si doni.
Pur con icn che Timante
ATTO SECO . "DO 99

troppo ma l' abbia accolta. È forza eh io


lo av ·erta, lo riprenda, acciò, pi u sa gio,
le ripugnanze sue vinca in appre so .
T imante a me.. . (a \le guardie)
r la vien Timante iste so.
Tr 1ANTE. Mio re, mio genito r , grazia, perdono,
pie a.
DE IOFOONTE . Per ch i?
Tr fA TE. Per l'infelice figlia
dell'affiit o Matusio .
DE !OFOONTE. H o gia deciso
del suo destin. on s1 n oca un cenn o
he usci da regio labbro. È d'un errore
conseguenza il pentirsi; e il re n on erra.
T IMANTE. Se si adora no in terra, è perché sono
lacabili gl i dèi. D'ogni alt ro è il Fato
nume il piu grande; e, sol perché non muta
un dec reto giammai, non tro i esempio
di chi vogli innalzargl i un'ara, un tempio.
DEMOFOONTE. Tu non sai che del trono
è custode il timor.
TI MANTE . Poco sicuro.
D E IOFOONTE . Di lui fi gl io è il rispetto.
TIMANTE. E porta seco
tutti i dubbi d el padre .
DEMOFOONTE. A poco a poco
diventa amo r.
T lMANTE. Ma simulato .
D EMOFOO TE. Il te mpo
t ' insegnera quel ch'or non sai . Per ora
d'altro abbiamo a parl ar. Dimmi: a Creusa
che mai facesti? In questo di tu sposa
sser deve, e l 'irriti?
TIMANTE. Ho tal per lei
repugnanza n el cor, che non mi sento
valor di superarla.
100 XJJ - DEMOFOONTE

DEMOFO ONTE. E pur conviene ...


T I MANTE. ...e parleremo. Or per Dircea, signor ,
sono al tuo piè. Quell'innocente vita
dona a' prieghi d'un figlio.
DE 10FOO TE. E pur di lei
torni . a parlar. e l'amor mio t è caro
questa impresa abbandon a .
TIMANTE. Ah ! padre amato,
non ti posso ubbidir. Deh! se giammai
il tuo paterno affetto
on giunto a meritar; se, dor no il seno
d'onorate ferite, alle tue braccia
rito m i vincitor; se i miei trionfi,
del tuo sublime esempio
non tardi frutti, han mai saputo alcuna
esprimerti dal ciglio
lagri ma di piacer ; libe ra , ass l i
la po er Dircea. Miser ! Io olo
parlo per lei; l'abbandonò ciascu no ;
non ha speme che in me. arebbe, oh Dio !
roppa inu manita, senza delitto,
nel fior degli an ni suoi , su l'are atroci
ederla agonizzar ; ederle a ri i
sgorgar tiepido il sangue
dal molle sen; del moribondo labbro
udir gli ultimi accenti ; i moti stremi
degli occhi suoi .. . Ma t u mi guardi, o padre !
tu impallidisci! h! lo conosco : è questo
un moto di pieta. ( 'i ngi n occhia)
Deh ! non p ntirti :
econdalo, o signor. o, fin ch é il ce nno
onde viva Dircea, padre, non dai,
io dal tuo piè non partirò giammai.
D E MO •OO TE. Principe (oh sommi dèi !) , sorgi. E c he e g to ,
creder di te? Quel nomjnar con tanta
tenerezza Dircea , queste ecc s i e
ATTO ECO 'DO ro r

v iolen ti premure
che voglion dir? L ami tu forse?
TIMA."TE. fn ano
farei tudio a celarlo.
DE l F O ONTE. Ah . que ta è dunque
delle freddezze tue erso Creusa
la nascosta sorgente. E che pretendi
da questo amor? che per tua s posa forse
una vas al la io ti conceda? o pensi
che un imeneo nascosto .. . Ah! se po e si
immaginarmi sol ...
TIMA TE. Qual dubbio ma1
ti cade in mente ! A tut i i numi il giuro ,
n on sposerò Dircea ; noi bramo: io chiedo
che iva solo. E , e p ur vuoi che mora ,
morra, non lusingarti , il fig lio ancora .
DEMOF OONTE. ( Per vincerlo, si ceda.) E ben , tu' l vuoi :
vivra la tua diletta ;
la dono a te .
TI 1A TE. Mio caro padre . ..
(vuoi bacia rgli la mano
DEMOFOO TE. Aspetta .
Merita la paterna
condescendenza una mercé.
T tM ANTE. La vita
il sangue mio .. •
DEMOFOONTE . No , caro figlio: io bramo
m eno da te . Nella rea] Creu a
rispetta la mia scelta. A que!'te nozze
non ti mostrar si avverso.
TIMA TE. Oh Di o .
D E \10FO NTE . Lo veo-go ,
ti costan pena: or questa pena accre ca
merito all'ubbidienza. Ebb' io pietade
della tua debolezza: abbi tu cura
dell'ono r mio . Che si diria, Timante,
102 XII - DE.\10.FOONTE

del padre tuo, se per tua colpa a tretto


le prorness tradir. .. Ma t nto ingrato
so che non sei. ieni alla sposa. Al tempio
conduciamo! adess ; adesso in faccia
ag l'in ocati dèi
adempi, o figlio, i tuoi doveri e i miei.
T I 1ANTE. Signor .. . non posso.
DE 10FOO~ TE. I fin ad ora, o pr nce,
da padre ti parlai : non obbligarmi
a parlar ti da re.
TIMAr TE. el r , del padre
venerabili i enm
eO'ualment mi son; ma, tu lo sai ,
Amor forza non soffre.
DEMOFOO TE . Amor governa
le nozze de' privati . Hanno i tuoi pari
nume maggior che li congiunge; e questo
sempre è il pubblico ben.
TIMANTE. Se il b ne altrui
tal pr zzo ha da ostar. ..
E 10FOO TE . Prence, son stanco
di garrir teco . Altra ragi n non rendo.
Io cosi voglio.
TIM TE. Ed io non posso.
DE rWFOONTE . udace t
Non sai ...
TUtA TE. Lo so: e rrai punir mi.
DE 10FOONTE. E voglio
che in Dircea s'incominci il tuo castigo.
Tn TE. Ah, no.
DE tOFOO TE. Parti .
T IMA TE. Ma senti.
DE 10FOO TE . Intesi assai.
Dirce vogli che mora.
TIMANTE. E morendo Dircea .. .
EMOFOONTE . Né parti ancora?
ATT ECO. DO 103

T 1 -i ANTE. artirò; ma poi (tu r ato)


1,
non ti lao-na r ...
DE WF ONTE. C he? temerario ! (oh dèi .)
mJ acci.
TI~1ANTE. Io non di tinguo
e priego o se minaccio. A poco a poco
la ragio n m'abbandona . A un passo estremo
n on costringerm i, o padre. lo mi p rote to :
farei. .. chi a ...
DEMOFOONTE . Di': che ~re ti, ingrato?
TIMANTE. Tutto quel che farebbe un dispera o.
Prudente mi chiedi?
mi brami innocente?
lo se nti, lo vedi ,
dipende da te .
Di lei, per cui peno,
se penso al peri lio ,
tal smania h nel seno,
tal ben a h sul cig lio,
che l 'alma di fren
capace non ' . (parte)

CE A III

0EMOFOO TE oJo .

Dunque m'insulta ognun? L ' ardita nuora ,


i1 suddito s uperbo, il fi gl io a udace ,
tutti scuotono il freno? Ah! non è tempo
di soffrir piu . Custod i, ola! Dircea
si tragga al agrifizi
senz'altr o indugio . Ella · cagion de ' fa lli
del padre suo del figli mio . N· , qua ndo
fosse innocente anco ra ,
viver dovr ebbe. È nec ssario aJ regn o
IO XII - DE M'OFOO TE

l' imeneo con Creusa; e m i Timantc


noi compini, finché Dirce non muore .
Quando al pubblico gio a,
è cons iglio prudente
la perdita d'u n solo, anche inn ocente
e tronca un ramo , un fio re
l' agricoltor cosi
vuoi che la pianta un di
cresca piti bella .
Tutta sarebbe errore
lasciar! a inaridir,
per troppo custodir
parte di q uella. ( p rte)

CE IV
Portici .

MAT U 10 e TIMANTK .

MATUSlO. E l'unica speranza . ..


TIMANTE. i, caro amico è nella fuga. Invece
di placarsi a' miei prieghi ,
il re piu s'i rri tò . Fuggir con i ne,
e fu gg ir a momenti . Un agii l g n o
sollecito pro v edi ; in quello aduna
quanto potrai di prezioso caro;
e do e fra g li cogli
alla destra del porto il mar s'interna,
m'attendi a coso : io con D ircea fra poco
a te verrò.
ATUSIO . a de ' eu todi suoi . ..
I UNTE . D el uderò la cura. I n ota via
v ' è chi m'apre ali 'alberCYO, ov'ella è chiusa.
Va' , ché il t mpo è infedele a hi ne a b usa .
TTO SEC • O .-
'

MAT SI . È soccorso d' incog nita mano


quella bra ma che l'alma ' accende:
qua che num e pie oso i fa .
Dal l'esempio d 'un padre inumano
non s'apprende si bel la pieta . rpart l

CE A V

Tt ;tA TE e poi IRCE , in bianca ve te e cor nat di fiori,


tra le ~ua rd ie ed i mi ni tri d l tem pio.

TIM ANTE. Gran p sso è la mia fuga. E lla mi rende


e povero e pri ato. Il regno e tutte
le paterne ricchezze
io perderò . Ma la consorte e il figlio
va Jion di piu. Proprio alor non hanno
gli altri beni in e stes i, e li fa grandi
la nostra o pinion. Ma i olc i affetti
e di padre e di spo o 1anno i !or fonti
nell'ordine del tutto. Essi non sono
originati in noi
dalla for za d \l'uso o da ll e prime
idee, di cui bambini altri ci pasce:
gia ne ha i semi nell' alma ognun che nasce.
Fug gasi pur!... la chi s' appres a? È forse
i l re : veggo i custodi. Ah ! no : i sono
ancor sacri ministri , e in i nche spogli
fra !or .. . misero me! la sposa. h io !
fermatevi! Dircea, che a enne?
DIRCEA. Alfine
ecc l'ora fatale, ecco l'estrem
i tante eh' io ti veggo . Ah, prence . ah questo
è pur l'amaro passo~
TIMA TE. E come! il padre ...
IRCE . Mi vuoi morta a momenti.
ro6 Xli - DEMO FOO TE

TIMA.c TE. (volendo snudar la spada) Infin eh io ivo .. .


DrRCEA. Signor, che fa i ? Sol, contro tanti in ano
di fendi me: perdi te stesso.
TrMA TE. È vero.
Miglior prenderò . ( olendo partire)
DIRCE • Dove?
TIMA TE . A raccòrre
qu anti amici potrò . a' pure. Al tempio
sarò prim a di te. (corne sopra)
DIRCEA. No. Peus . . . h Dio!
TrMANTE . on è p i ti che pensar. La mia pietade
gia diventa furor. T remi qualunque
opporm1s1 orra: se fosse il padre,
non ri s armio delitti. Il ferro, il fuoc o
vuo' che abbatta , consumi
la reggia, il tempio , i sacerdoti, nu mi . (parte)

CENA l

IRCEA, poi RE A.

DiR CEA. Férmati! h! non m ' ascolt . Eterni dèi,


custoditelo oi. S 'e i pur si perde
chi avra cura del ficrlio? In questo stato
mi man ava il torm ento
di tremar per lo sposo. A essi almeno
a chi chieder soccor o ... Ah, principessa!
ah, Creusa, pieta! Non puoi n garla;
la chie e al tu o bel core
nell ultime miserie una che muo re.
Ch i sei ? che brami?
IRCEA. Il caso mi o gia noto
pur troppo ti sara. Dircea son io;
vado a morir; non ho delitto. Imploro
pieta , ma non per me . Sal a, proteg i
ATTO ECO DO J -

il po ero Timante. Egli si perde


per esio di salvarmi. In te ritro 1 ,
se i pdeghi di chi muor vani non sono,
disperato , assistenza. e, reo, erdono.
CREU A. E tu, a morir icina,
come puoi pensar tanto al suo riposo?
IRCEA. h Dio. piu non cercar. Sani tuo sposo.
e tutti i mal i miei
io ti p tessi dir,
di ider ti farei
per tenerezza il cor.
In questo amaro pa;:,so
i giusto è il mio martir,
che se tu fos i un sasso,
ne piangeresti ancor.
(p rte fra le guardie ed i mini tri, che la guidano al te mpi o)

CE II

CREUSA poi CHERI TO.

CREO A. Che incanto è la belta ! e tale effetto


fa costei nel mio c or, degno di scusa
è T imante, che l'ama. Appena i l pianto
io potei trattener. Questi infelici
s 'aman d vero . E la cagion son io
di si fiera tragedia? Ah ! no : trovi
qualche via d'evitarla . Appunto ho d' uopo
di te, Cherinto.
CHER I T o. Il mio germano e ang ue
d omandar mi vorrai .
C RE OSA . No: quella brama
con l'ira nacq ue e s'ammorzò con l' ira.
Or desio di salvarlo . Al sacrifizio
ghi D ircea s incammina ;
IO' Ir - DEM FO TE

T iman è disperato: i suoi furori


tu corri a regolar; grazi per le i
ad implorare io vado.
CHERINTO. Oh degn cura
d un'anima real e~ E chi potrebbe
n on amarti, o Cre u a ? Ah! s non fossi
si tiranna con m . . .
CREUSA. Ma donde il sai
eh' io son tiranna? È questo cor diverso
da quel che tu credesti.
nch' io ... Ma va' . Troppo sap r vorresti .
CHERINTO. No non chiedo amate tell ,
se nemiche ancor mi siete:
non è poco, o luci belle,
eh' io ne po sa dubitar .
Chi non ebbe ore mai liete,
eh i agli affanni ha l' alma avv zza,
crede acqu isto una ubbiezza ,
eh ' è principio allo sperar. (parte)

CENA VIII

CREUSA ola.

e immaginar potessi ,
herinto, idolo mio quanto mi co ta
questo finto rigor che si t'affann ,
ah. forse allor non ti parrei tiranna .
È ver che di Timante
a ncor sposa non son : facile è il cambio ·
può ipender da me. a, de tinata
al regio erede ho da ser ir rassalla
o ve ve nni a regna r? No , non consent
eh i d bole io ia
il fasto , la irtù , la loria mi a.
ATT O bE C O NDO 109

F elice eta dell'oro ,


bella ·nnocenza antic
qua ndo a l piacer nemica
non era la irtu !
Dal fast o e dal d eco ro
noi c i tro via mo oppressi,
ci formiarn noi tessi
la nostra er itu . (parte)

CE A I -

Atri o de l te m pio d' pollo. Magnifica, ma breve scala, per cui si ascende
l te mpio me desimo, la parte intern a de l q uale t tutta scoperta agli spet-
tatori se non quanto ne interrompono la i tale colonne che sostengono
la gran tribuna. e a nsi l'are ca ute, il fuoc estinto, i sacri vasi ro-
ve ciati, i fi o ri, l bende, le scuri e gli altri stromenti del sagrifizio sparsi
per le scale e su l piano ; i acerdoti in fuga, i custodi reali insegu iti da ali
amici di Timante, e per tutto confusion e tumulto.

TtMANTE, che, incalzando disperatamente per la scala alcun


guardie, si perde fra le scene. DtRC A, che, dalla cima della scala
med sima spa entata lo richiama . Siegue breve mischia, col van-
taO'gio degli amici di Timante; e, dileguati i combattenti, Dircea,
che rivede Timante, corre a trattenerlo, cendendo dal t mpio.

DlRCEA . Santi numi del cielo,


difendetelo voi ! Timante, ascolta;
Timante! ah! per pieta ...
TlMA TE. (tornando a nnato co n i pa a Il man J
ieni, mia ita ,
vieni: sei salva!
DIRCEA . Ah, che facesti !
TJMANTE. I o feci
quel che do ea.
DIRCEA. Misera me ! Consorte ,
oh Dio ! tu sei ferito. Oh Dio! tu s i
tutto asperso di angue .
I IO Xll - DE\10FOONTE

TIM NTE. Eh! no, Dircea,


non ti smarrir. Dalle mie vene uscito
questo sangue non è: dal seno altrui
lo trasse il mio furor.
DIRCE . Ma guarda . ..
TIM NTE. Ah! sposa,
non piu dubbi: fuggiamo . (la prende per mano)
D[RCE o E Olinto? e il figlio?
dove resta? senz'e so
voglia m partir?
Tr 1ANTE. Ritornerò per lui,
quando in salvo sarai . (pa rte nd o alla sinistra)
DIRCE . Férmati! Io eggo
tornar per questa parte
i custodi reali.
T ThiANTE. È ver; fuggiamo (verso la destra)
dunque per l 'altra ia. Ma quindi ancora
stuol d'armati s'avanza.
DIRCEA. irnè!
TIMANTE. (guardando intorno) Gli amici
tutti m'abbandonar o

DIRCEA. 1sen noi!


or che farern?
TIMANTE. Col ferro
una via t'aprirò . i guimi!
(lascia Dircea e, colla spada alla mano, s'incammina alla sinistra)

SCE A X
E :IOFOO TE, dal destro lato, con ispada alla mano;
guardie per tutte le parti, e d etti.

DE 10FOONTE . Indegno.
non fuggirmi! t'arresta!
TI. fANTE. h! adre, ah! dove
vieni ncor tu.
TT ECO D nr

DE lOFOO- TE. Perfido fi g lio.


T r fA 'TE. (vede e re cere il numero delle guardie, e pone innanzi
alla sposa) Alcuno
non s'appre si a Dircea !
DI RCEA. Principe, ah ! cedi:
pensa a te.
DE 10FOO.NTE. o , custodi,
non si s ri nga il ri belle: al suo furor
si lasci il fren. ediamo
fin dove giunger<i . 'ia! su . compisci
l'opera illust re. In ques o petto im mergi
quel ferro, o traditor! Tremar non debbe
nel trafiggere un pa re
chi fin dentro a' Jor tempii insulta i numi.
T I fA TE. Oh Dio!
DE!\IOFOONTE. Chi ti trattien? Forse il vedermi
la destra rmata? Ecco l' accia ro a terra.
Brami di piu? enza diresa io t'offro
il tuo magg-ior nemico . r l'odio ascoso
puoi soddisfar: punisci mi d 'averti
pro otto al mon do . A meritar fra gli e mpi
il primo o n or poco ti manca : ormai
il piu fac esti. ltro a compir non re ta
che, del paterno sangue
fumante ancor, la scellerata mano
porg ere alla tua bella.
T IM NTE. Ah. basta; ah! padre,
taci, non piu! Con quei crudeli accenti
l' anima mi trafigb i. Il fi g lio reo,
il colpevole acciaro (s'i ngi no cchia)
ecco al tuo piè. Quest'in~ l ice vita
riprenditi, se uoi; ma non parlarmi
m a i piu cosi. So eh' io trascorsi, e sento
che ardir non ho per domandar mercede;
ma un tal castigo ogni d elitto eccede.
DIRCEA. (In che stato è per me!)
1:2 .X li· Db.. 00 T E

DEM FO TE. ' io non a ess1


della p rfidia ua pro e grandi,
mi sedurrebbe. Eh. non s ' ascolti .) A ' lacci
quella destra ribelle
porgi , o f, llon .
( 'alza va gli tesso a r. r i inca tenare)
TrMANTE. Custodi,
dove son le catene ?
Ecco la man : no n le ricusa il fiblio,
del giusto pad re al venerato Impero.
DIR EA. (Pur troppo il mio timor predisse il vero !)
DEMOF ONTE. AIJ 'oltraggiato n ume
la vittima i renda, e, me pr ent ,
si sveni o sacerdoti .
TJMA NTE . Ah ! eh ' io non posso
dirend rti, ben mio!
DIRCEA. Q uante olle in un i morir degg' io !
TrM NTE. Mio re, mio genitor ...
DEMOF ONTE. Lasciam i in pace.
TI t NTE Pieta !
D EMOFOONTE. La chi di in an .
TIMANTE. Ma eh ' io m 1 vegga
s errar 1rcea ugl i occhi ,
non sani er . i differisca almeno
il suo morir. acri ministri, udite:
sentimi , o padre. Esser n on può Dircea
la ittima ric hiesta. Il sacrifizio
acrilego sana.
DEMOF NTE . er qual ragione?
TJ fA TE. Di': che domanda il nu me?
DE WFOONTE. ' una ergine il · 1 g ue.
TIMANTE. E ben, Dircea
non può condursi a m orte :
ella è moglie ella è madre, è mia con orte.
DEMO 00 TE . ome!
D IRCEA . (lo tremo p r lui! )
ATT SECO~: O I I

EMOFOONTE . UIDl O enti,


che a col o mai . L' incominciato rito
sospendete, o min is ri. Ostia no el a
ceglier con ien. Perfido figlio ! e queste
on le belle speranze
ch'io nutriva di te? Cosi rispetti
le umane leggi e le divine? In questa
guisa tu ei della ecchiezza m1a
il felice sostegno ? Ah! . . .
IR CEA. on sdegn arti,
ignor, con lui: so n io la rea ; so n queste
infelici sem bianze. Io fui , che troppo
mi studiai di piacergli ; io lo edussi
con lusing he ad amarmi; io lo sforzai
al vietato imeneo con le frequenti
lagrime insi iose.
TlMANTE. Ah ! non è ero :
non crederle, signor. Di ersa affatto
è l' istoria dolente. È colpa mia
la sua condescendenza . Ogni opra, ogni arte
bo posta in uso. Ella da sé lonta no
mi scacciò mille olte; e mille volte
feci ritorno a lei. Pregai, promisi,
costrinsi, minacciai. Ri otto alfine
mi vide al ca o estremo: in faccia a lei
questa man di perata il ferro strinse,
volli ferirmi ; e la pieta la vinse.
DIRCEA. E pur ...
EMOFOONTE . Tacete! (Un non so che m1 serpe
di tenero nel cor, che, in mezzo all'ira,
vorrebbe indebolirmi. Ab ! troppo grandi
sono i lor falli; e debitor son io
d'un grand'esempio al mondo
di virtu, di giusti zia. ) Ola! costoro
in carcere distinto
si serbino al castigo.

M ASTASI O, Opere· 111.


I 14 Xll - DEMOFO N TE

TrMA TE. Almen congiunti . . .


DIR CE . ongiunti almen nell e \ enture estreme .. .
DE WFoo ~ TE. arete, anime ree, sarete in ieme.
Perfidi ! gia che in vita
v'accompao-nò la orte,
perfidi! no , la morte
non vi com pagnera.
nito fu l'errore;
sani la pena unita:
il giusto mio rio-ore
non · i di tin uen:i. (parte)

CE A Xl

IRCE li:.

DIRCEA. poso !
TIMANTE. Con o rte!
DIRCEA. E tu per me ti perdi?
TIMAN E. E tu mori per me?
DrRCEA. Chi avni piu cura
del nostro Olinto?
TIMANTE. h, qual momento !
DIRCEA. Ah! quale ..
Ma che! Vogliamo o prenc ,
cosi vilmente indebolirei? Eh! ia
di noi degno il dolor . n colpo solo
questo nodo crudel di ida e franga.
Sepa ria mci da forti, e non si pianga.
TIMANTE. i, genero a! approvo
l' intrepi o pensier. Piu non parga
un sospiro fra noi.
DI RCEA. Di po ta io ono.
TIMA TE. Risoluto on 10 .
.DIR CEA . Coraggio!
TIM TE. d dio, Dircea !
ATTO . ECO. ·oo II~

IR E\. Principe addio !


(si dividono co intrepidezza; ma !!iunti alla cena tornano
a riguard r i)
TLlA. -TE. Sposa .
I RCEA. Timant
A UE. Oh dèi .
DIRCE . Perché non parti?
TLt . ·TE . Perché torni a mirarmi?
I RCE Io volli solo
veder com e r esisti a' tuoi martiri.
TrH.AN E. Ma tu piano-i frattanto !
D IRCEA . E tu so piri !
Tr 1A T Oh Dio! quanto è diverso
l immaginar dall'e g uire.
l CE . . Oh quanto
piu forte m1 credei! S 'asconda almeno
questa mia debolezza agli occhi tuoi .
TIM TE . Ah . férmati, ben mio. Senti l
DIRCEA. Che v uoi ?
TIMA TE . La destra ti chiedo,
mio dolce sostegno ,
per ultimo pegno
d amore e di fé.
1RCE.. Ah ! questo fu il segno
del nostro contento ;
ma sento che adesso
l ' istesso - non è.
TIMA ' TE . Mia vita, ben mio!
D1RCEA. Addio, sposo amato.
A DUE . Che barbaro addio !
che fato crudel !
Che att ndono i rei
dagli astri funesti,
se i premii son questi
d'un 'alma fedel?
(partono, condotti separatamente dalle guardie in c. rceri distinte)
ATTO T RZO

CENA I

Cortile interno del carce re in cui è custodito TIMANTE.

TIMA TE e RA TO.

TI 1ANTE. Taci! E speri ch 'io voglia,


quando muore Dircea, serbarmi m vita,
stringend un'altra sposa? E con qual fronte
si vii consiglio osi pro or?
ADRASTO. L' istessa
tua Dircea lo propone. Ella ti pa rla
cosi per bocca mia. ice che è questo
l'ultimo don che ti omanda .
TlM NTE. Appunto
perch'ella il vuoi, non deggio farlo.
ADRASTO. E pure ...
TIMANTE. Basta co i !
ADRASTO. Pensa, sio-nor ...
TtMANTE . on voglio,
Adrasto, altri consigli.
ADRASTO. Io per sal arti
pietoso m affatico ...
TeMA ' TE. Chi di iver mi parla è mio nemico.
ADRASTO. o n odi consiglio?
soccorso non vuoi?
è giusto se poi
non tro i pietà.
ATT O TERZO II7

Chi ede il perig lio.


né cere al a rsi
ragion di la narsi,
del fato non h a. (parte)

CE II

Tr 1 TE e p CHER I T •

TI:MA T . Perché bramar la ita? e quale in lei


piacer si tro a? gni fortu na è pena;
è miseria O<Yni eta . Tremiam, fanciulli,
d un guardo al minacciar; sia m giuoco, adulti
di Fortuna e d'Amor- g miam , canuti ,
sotto il peso degli anni. Or ne tormenta
la brama d'ottenere; or ne trafi gge
di perdere il timor. Eterna uerra
hanno i rei con s stes i; i iusti l'hanno
con l'in idia e la frode. Ombre, deliri,
s ogni, follie son nostre cure; e quando
il verg ogno erro re
a scoprir s'incomincia, all or si muore.
Ah . si mora una volta ...
CHERINTO. Amato prence,
vieni al mio sen . (l'abbraccia)
TIMANTE. Cosi sereno in volto
mi dai gli estr mi amplessi? E queste sono
le lag rime fraterne
do ute al mio morir?
CH ERL T . Che amplessi estremi?
che lagrime ? che morte? Il piti felice
tu sei d'ogni mortai. Placato il padre
è gia con te ; tutto obbliò. Ti rende
la tenerezza sua , la sposa, il figlio ,
la liberta, la ita.
JI X li - DE fOFOO. TE

TI ~ANTE. A poc a oco,


Cherinto , per pieta! Troppe on queste,
troppe gioie in un punto. Io 'erre1 meno
i a di piacer se ti credessi a p i no.
CHERINT on d ubita r, Tim ante.
I A TE. E com il padre
cambiò pensi r? Quando parti d l tempi ,
me con ire a voi 'a e tint
CHERlNTO. Il disse ,
e l e eguia; che inu tilm nt g nun o
s'affannò per placarlo. Io cominciavo ,
principe, a i perar , quando compar e
Creu a in tuo occor o.
TJM TE. Jn mio occors
re usa, h oltra i ai ?
HERl T Cr usa . Ah ! tutti
1 uell'anima bella
tu n n conosci i pregi. E che non disse,
che non fe' per sa lv rti? I m erti tuoi
come in randi! C me cemò l' rrore
del fallo tu ! er uante strade e quante
il cor gli ricercò . Parlar per voi
fece l'utile, il giusto,
la gloria la pieta. e tessa offesa
gli propo e in e empio,
e lo fece arro sir. uand' io m 'a vidi
che il genitor gia cillava, allora
olo (il ciel m in pirò), cerco ire a:
on Olinto la tro o. Entrambi a pr s
frettolos mi traggo; e al regio ciglio
presento in quello stato e madre e figlio.
Que to tenero as alto
term inò la vittoria . O ia eh l ira
per soverchio avvampar fosse gi · st nca ,
o che allor tutte in lui
le ue ragi ni e ere i tasse il sangue ,
ATTO TERZO r1

il re cedè, i raddolci , dal suolo


la nuora oll vò si strin al petto
l'innocente bambin, gli de ni suoi
calmò, inteneri, pian e con noi .
l 1AJ. TE. Oh mio dol ce germano!
oh caro padre mio ! Cherinto, andiamo,
andiamo a lui !
H RI TO . o: il fortunato a i o
reca tt ei vuoi. Si egneni, e ede
eh' io lo p r e eoni.
TL 1A TE. E tanto amore, e tanta
tenerezza ha per me , che fi no ad ora
la meritai si poco? Oh, come chiari
la s a bonta r nde i miei falli! Adesso
li veggo, n ' h rossor. P o te i almeno
di lui col r di Frigia
disimpegnar la fé. Cherinto, ah. salva
l'onor suo, tu che puoi. La man di sposo
offri a Creusa in \ ece mia. Difendi
da una pena infinita
gli ultimi di della paterna vita.
CHE RI rTo. Che mi proponi, o prence! Ah. p r Creusa,
sappilo alfio , non ho rip so; io l'amo
quanto amar i pu ò mai. Ma ...
TIMANTE. he?
CHER tNTO. Non spero
ch'ella m'accetti. Al ucces or reale
sai che fu de tinata: io non on tale.
TIM TE. Altro in iampo non 'è ?
CHERINTO . Gran abbastanza
que to mi par.
TIMA TE. Va' ; la paterna fede
di impegna, o german : tu sei l'erede.
CHERINTO. lo?
TIMA TE. Si. Gia lo sare
s'io non vivea per te. Ti rendo, o prence ,
!20 XII - DEMOFOO T E

parte sol del tuo dono,


quando ti ced ogni ragio ne al trono .
CHERI TO. E il genitore ...
T1M NTE. E il genitore almeno
non vedremo arrossir. Povero padre !
posso far men per lui? Ch e cosa è un regno
a paragon di tanti
beni ch' egli mi rende?
CHER INTO . h ! pe'rde assai
chi lascia una corona.
TIMANTE . Sempre è piu quel che resta a chi la dona .
CHERINTO. el tu dono io eggo assai
che del don maggior tu ei :
n es un trono in vidierei
co me invidio il tuo gran cor.
Mille moti in un momento
tu mi fai s egliar nel petto,
di vergogna, di ris petto,
di contento e di stupor . ( parte)

E III

TIMANTE e poi M TU 1 c n un foglio m mano.

TIMANTE. Oh figlio . oh sposa! oh c re


parti dell'alm a mi l dunque fra poco
v'abbraccerò icuro? È dunque vero
che fino all'ore treme ,
senza piu pal pitar, ivremo insieme?
Numi, che gioia · que ta. prova 10 sento
che ha piu forza un piacer d 'ogni tormento.
MATU 10 . Prence l sio-nor .
Tn.ul TE . ei tu, Matusi ? Ah! scusa
se invano al mar tu m'attendesi.
ATTO TERZO 121

MATUSIO . Assai
ti scusa il luogo in cm ti trovo.
TI1:ANTE. E come
potesti ma1 qui penetrar?
MATUSIO. Cherinto
m agevolò l ' ingre so.
TI 1ANTE. Ei t'avni dette
le mie felicita.
M.A T USIO. o : frettoloso
non so dove correa.
TIMANTE. Gran cose, amico,
gran cose ti dirò.
M ATU IO. Forse piu grandi
da me ne ascolterai.
TI M ANTE. Sappi che in terra
il piu lieto or son io.
MATUSIO. Sappi che or ora
scopersi un gran segreto.
TIMANTE. E q uale ?
MATUSIO. Ascolta
se la novella è strana.
Dircea non è mia figlia: è tua germana.
TlMANTE . Mia germana Dircea! (turbato)
Eh! tu scherzi con me.
MATUSIO. Non scherzo, o prence.
La cuna, il sangue, il genitor, 1a madre
hai comuni con lei.
TIMA~ TE. Taci ! Che dici?
(Ah, nol permetta il ciel!)
MATUSIO . Fede sicura
questo · fogljo ne fa.
TIMANTE. (con impazienza) Che fo glio è quello?
Porgilo a me.
MATUSIO. Sentimi pria. Morendo,
chi uso mel die' la mia consorte; e volle
giuramento da m e che , tolto il caso
I 2 Xli - DEMOFOO TE

che a Dircea sovrasta se al un periglio,


ap rt non Jlavrei.
T!MA TE . Quand'ella adunque
o rri dal re u de tinata a morte,
erché non lo fa cesti?
" 1ATUSIO. ran tant anni
orsi di gia, eh l 'obblia'.
T l MANTE. M ome
or ti sovvi n?
• 'lA TU IO . Quando a fuggir m accin 1,
fra le co e piu care
il ritro ai, che trassi meco al mare.
TIMA TE . Lascia alfin ch'io lo vegga. (con impazie nza}
• lATUSIO. s etta.
TIM A TE. Oh stelle !
MK.r r . Ramm nti gia che alla real tua madre
fu amica i fede! la mia cons rte,
che in vita l'adorò, seguìlla in morte?
TIMANTE. Lo so.
MATUSIO. Que to r vvisi
reale impronto?
TIMA TE. L
1AT IO. eh' è il foglio
di propria man della r gina impresso?
TI . TE. i, non straziarmi più. (co n impazienza )
:.vfAT IO. ( li p rge il foglio) Leggilo adesso .
TIMA TE. (Mi trema il cor .) (le ge) « on di Ma tu io è figlia
ma del tronco reale
germ è Dircea. Dem foonte è il padre;
nacque da me. Come cambiò fortuna,
altro foglio dira. Quello i c rchi
nel domestico tempio, a pi' d 1 nume,
la dove altri non osa
acco tarsi che il re. Prova sicura
eccone intanto: una gina il giura.
Argia ~.
T O TERZO 12

Tu trem i, o prence!
uesto è piu che stupor. Perch é ti c pri
di pall or si fun e to?
(Onnipotenti dèi, che colpo è questo! )
• arrami ade o al me no
le tue felicita.
T n~1 A. TE . atu io, ah! parti .
. 1AT l . Ma che t 'affiig e? n germana acquisti,
ed è questa per te cagion di duolo?
TI 1ANTE . La ciami per pieta! lasciami olo. (si etta a seder )
.\IIATU l . Quanto le menti uman e
son mai a rie fra l or! Lo stesso e nto
a chi reca dil etto , a chi tormento.
Ah ! che né mal erace,
né \ er ben i d · :
prendono qualita
da ' no tri affetti.
Secondo in guerra o in pace
tro ano il nostr o cor ,
cambiano di color
tu tti <Yii OO'getti. (parte)

CE A
T1MA TE olo.

}.1i ero me. Qual gelido torrente


mi ruina ul cor. Q ual nero a petto
p rendè la sorte mia ! Tante sve tur
comprendo a] fin. Per eguitava il cielo
un ietato imeneo. Le chi ome in fronte
mi sento sollevar. Suocero e padre
m'è dunque il re? figlio e nipote Olinto?
ircea mogli e ger mana? Ah, qual funesta
confu ion d'opposti nomi è questa!
Xll - DEMOFOONTR

Fuggi, fuugi, Ti m ante! agli occhi altrui


non esporti mai piu. Ciascuno a dito
ti mostrenL Del genitor cadente
tu sarai Ja vergogna ; e quanto , oh Dio,
si parleni di te! Tracia infelice,
ecco l'Edipo tuo. D'Aruo e di Tebe
le urie in me tu rinnovar vedrai.
Ah, non t'ave si mai
conosciuta , Dircea! 1oti del sangue
eran quei eh' io crede v
violenze d'amor. Che infau to giorno
fu quel che pria ti vi i ! l nostri affetti
che orribili m morie
saran per noi ! Che mostruoso oggetto
a me st sso io diven go! Odio la luce;
oo-ni aura mi spavent ; al piè tremante
parmi che m anchi il uol; trider mi sento
cento folgori intorno; e leggo, oh Dio!
scolpito in ogni sasso il fallo mio.

ENA V

C REUSA , E f OF ONT , ADR T O COn L[ T per man ,


e DIRCE , l' un d opo l altro, da pa r ti o pposte, e de tt .

REUS . Tim nte !


TI ~A TE. Ah ! princi p a ; ah ! perché mai
morir non mi lasci asti?
E MO F OO TE . rnat fi glio !
TIMA JTE. Ah . no, con que to nome
non chiamarmi mai piu .
CRE SA. or e no n sa1. ..
TrMANTE. Troppo , troppo ho sa uto !
DEM F OONTE . n caro amples O
ATTO TERZO 12

pe no del mio perd n .. . Come. t in oli


dalle paterne braccia?
I.MA TE. Ardir non ho di rimirarti in faccia .
CREU SA . Ma perché?
DE fOFOO_ TE. fa che a venne?
ADRA TO. Ecco il tuo figlio:
con òlati, signor.
TIM TE . Dagli occhi, Adrasto,
toglimi quel bambin.
DIRCEA. Sposo adorato !
TIMA TE. Parti, partì, Oircea \
DJRCE A . Da te mi scacci
in di cosi giocondo?
TIMANTE. Dove, misero me! do e m'ascondo?
IRCE A. Ferma!
E~10Foo TE. Senti !
CREUSA. T 'arresta!
Tl !lA.NTE. Ah ! oi credete
consolarmi , crudeli, e m 'uccidete.
D EMOFOONTE . Ma da chi fuggi?
TIMA TE. Io fuggo
dagli uomini, dai numi,
da voi tutti e da me.
DI RCEA . Ma dove andrai?
TIM NTE . Ove non splenda il sole,
ove non sian viventi, ove sepolta
la memoria di me sempre rimanga.
DEMOF ONTE . E ii padre?
ADR ASTO. E il figlio?
DIR EA. E la tu a sposa ?
TIMA TTE. Oh Dio!
non parlate cosi. Padre , consorte,
figlio, german son dolci nomi agli altri ;
ma per me sono orron.
CREUSA. E la cagione?
TIMANTE. Non curate saperla :
scordatevi di me.
126 XII -DE 10FOO TE

IRCEA. Deh! per que1 primi


fortunati momenti in cui ti piacqui . . .
TIMANTE. Taci, Dircea.
DIRCEA. Per que ' oavi nodi ...
Tll\IA TE. Ma taci, per pieta! Tu mi trafiggi
l 'anima, e non lo sai.
DIRCEA. Gia che i poco
curi la sposa, almen ti muova il figlio.
Guardalo: è quell' istes o
che altre olte ti mosse;
guardalo: è sangue tuo.
TIMANTE. Cosi nol fosse l
D IRCEA. Ma in che peccò? erché lo degni? a lui
per hé ni eghi uno sguar o? O s rva, osserva
le pargolette palme
come solleva a te: quanto uol dirti
con quel ri o innocente!
Tr tANTE . Ah ! se sapessi ,
infelice bambin, quel che saprai
per tua er o na un giorno,
lieto cosi non mi erresti intorno.
Misero pargoletto,
il tuo destin non sai.
Ah! non gli dite mai
qual era il genitor.
Come in un punto, oh Dio,
tutto cambiò d'aspetto !
vo1 foste il m1o diletto ,
voi iete il mio terror. (parte)
T T O TERZO I .,-l
~

E A I

DE [QF o ' TE, DI CE ) CRE OR A T •

DEMOFOO TE. ieguilo , drasto. ( drasto parte, dopo aver con e-


nato linto ad un ervo, che lo conduce fuori d i scena

Ah l chi di voi mi spiega


se il m io Timante è di. erato o stolto?
Ma voi smarrite in volto:
mi guardate e tacete . Almen sapessi
qual ruina o r st ,
qual riparo apprestar. umi del cielo,
datemi voi consi \io;
fate almen ch'io conosca il mio periglio.
Odo il uono de' queruli accenti,
e o-go il fumo che ìntorbida il giorno,
strider sento le fiamme d'intorno,
né comprendo l'incendio dov'è.
La mia téma fa il dubbio maggiore,
nel mio dubbio s'accresce il timore,
tal eh' io per o pel troppo spa ento
qualche scampo che v'era per me. (parte)

SCE A VII

DIRCEA e CRE A.

CR EU \. E tu, ircea , che fai? Di te si tratta;


si tratta del tuo sposo. Appresso a lui
corri, cerca saper ... Ma tu non m'odi?
tu le attonite luci
non sollevi dal uol? Dal tuo letargo
svégliati alfin. Sempre il peggior consiglio
I 28 Il - DEMOFOONTE

è il non prenderne alcun. Se altro non sai,


sfoga il duol che nascon i;
p1angt , !agnati almen, parla, rispondi!
DIR EA. Che mai risponderti,
che dir potrei?
Vorrei difendermi ,
fug ir vorrei;
né so qual fulmine
mi fa tremar.
Divenni stupida
nel colpo atroce;
non ho piu lagrime,
non ho piu voce;
non posso piangere,
non so parlar. (parte)

SCE A VIII

CREUSA sola.

Qual terra è questa! Io perché venni a parte


del l mi erie altrui? Quante in un giorno,
quante il caso ne aduna! Ire cru eli
tra figlio e genitor, vittime umane,
contaminati tempii,
infelici imenei. Mancava solo
che tremar si do es e
senza saper perché. Ma troppo, o sorte,
è violento il tuo furor: conviene
che passi o scerni. In cosi rea fortuna
parte è di speme il non a eme alcuna.
Non dura una sventura,
quando a tal segno a anza:
pnnc1p10 è di speranza
l'eccesso del ti m or.
ATTO TERZO

Tutto si muta in breve;


e il nostro tato è tale,
che, se mu ar si deve,
sempre sani miglior. (parte)

SCE A IX
Luogo magnifico nella reo-gia, festivamente adornato
per le nozze dj C REUSA.

TIMANTE e CHERINTO.

TIMANTE. Dove, crude]! dove mi guidj? Ah l queste


liete pompe festive
son pene a un disperato.
CHERINTO. Io non conosco
piu il mio german. Che debolezza è questa
troppo indegna di te? Senza saperlo,
errasti alfin. Sei sventurato , è vero,
ma non sei reo. Qualunque male è lieve,
dove colpa non è.
fiMANTE . Dall'apre il mondo
regola i suoi giudizi· e la ragione,
quando l'opra condanna , indarno assolve.
Son reo pur troppo; e , se finor nol fui,
lo divengo vivendo . Io non mi posso
dimenticar Dircea. Sento che l'amo;
so che non deggio. In cosi brevi istanti
come franger quel nodo,
che un vero amor, che un imeneo, che un figlio
strinser cosi? che le sventure istesse
resero piu tenace? e tanta fede?
e si dolci memorie?
e si lungo costume? Oh Dio! Cherinto,
lasciami per p i eta! Lascia cb' io mora,
6ncbé sono innocente.

METASTASI O , OjH''YI!- nr . 9
130 Xli- DE. TE

DRASTO p _f T 10, ind i D JR CEA co n LI T O e detti.

ADRA TO . Il re per tutto


ti ricerca, o T irn ante . Or con Matusio
dal domestico tempio uscir lo vidi .
mbo on lieti in volto
né hiedon che di te .
TIMA TE. Fugga i : i temo
troppo l' incontro del paterno ci<Yiio.
MATUSI . Figlio mio ! caro figlio ! (abbracciandolo)
TIMANTE. A me tal nome!
come? perché?
MATUSI . Perché mio figlio sei,
perché on padre tuo.
TIMA TE. Tu sog ni ... Oh telle.
torna ircea !
DIRCEA. o, non fuggirmi, sposo ;
tua germana io non so n.
TIMANTE. o i m' ingannate
per rimetter in calma il mio pensiero.

CE I

E 10FOONTE con séguito e etti.

DEM FOONTE. on t' ingannan , Timante : vero, è vero.


TIMANTE . Se mi tradiste adesso
sarebbe crudelta.
DEM OFOO TE. Ti rassicura;
no, mio figlio non sei. Tu con Dircea
fosti cambiato in fasce. Ella è mia prole ,
tu di Matu io . lla di lui con orte
ATT E ZO 13 1

mm ti chiese in dono. tile al regn


il cambio ali or cr dé; ma , quando poi
nacque Cherinto , al proprio figlio il trono
d'a er tolto s vide, e a me l'arcan o
non ardi p alesar , ché trop o amante
Q'Ìa di te mi conobbe. All'ore e treme
ridott alfin tutto in due fogJi il ca o
scritto la ciò . L'un die' all'amica, e quello
atusio ti mostrò: l'a!tro nascose
ed · que to che vedi.
TrMANTE. E perch · tutto
nel primo non pieo-ò?
E riOFOO TE. olo a ir ea
la ciò in quello una rova
del regio suo na al. Ba tò per questo
giu rar ch'era sua figfia. Il ran s greto
ella Yera tua sorte era un arcano
da non fi ar che a me perch' io potessi,
a seconda de casi,
pale arlo o tacetlo . tale og etto
celò q uest'altro foglio in parte solo
cee ibile a me.
TIMANTE . Si strani eve nti
mi fanno dubitar.
DEMOFOO TE . Troppo son certe
le pro e, segni. Eccoti il foglio, m cui
dì quanto ti n rrai la serie è accolta.
TIMANTE . on del udermi , o sorte, un 'altra volta .
(p rende il foglio e le e fra sé)
132 XII - DEM OFOO TE

SCENA ULTIMA

CRE e detti.

CREUSA. Signor, verad sono


le felici novelle, onde la r eggia
tutta si riempi?
DEMOFOO lTE. Si , principessa,
ecco lo sposo tuo. L'ere de , il figlio
io ti promt 1; ed in Cherinto io t'offro
ed il figlio e l'erede.
HERINTO. Il cambio forse
spiace a Creusa.
REUSA . A quel, che il ciel destina,
im a n farei riparo .
CHERINTO . Ancora non uoi dir ch'io ti s on caro?
C REUS . L •opra stessa i1 dinL
TIMANTE. Dunqu son io
quell'innocente usurpator, di cui
l oracolo pari · ?
EMOF ONTE. i. edi come
ogni nube s pa ri. Libero è il regno
dall 'annuo sacrificio. Al vero erede
la corona r itorna . Io le promesse
m antengo al re di Fri~ia,
senza usar crudelta. Cherinto acquista
la sua Creusa; ella un scettro . Abbracci
sicuro tu la tua Dircea. on resta
una cagion di duolo;
e scioglie tanti nodi un foglio solo .
TrMANTE. Oh caro fogl io\ oh me felice! h numi!
da qual orrido peso
mi sento alleggerir ! Figlio, consorte,
tornate a que to sen: posso abbracciarvi
senza tremar.
ATTO TERZO 133

DIRCEA. Che fortunato istante !


CREUSA . Che teneri trasporti .
TUtA TE . (s' inginocchia) A' piedi tuoi
eccomi un altra volta,
mio giustis imo re. Scusa gli eccessi
d'un disperato amor. Sarò , lo giuro,
sarò miO'lior assallo
che figlio non ti fui.
DE.MoFOONTE . Sorgi. Tu sei
mio figlio ancor. Chiamami padre: 10 voglio
esserlo fin che vi o. Era finora
obbligo il nostro amor; ma quindi innanzi
elezion sarei: nodo piti forte ,
fabbricato da noi, non daJla sorte.
COR . Par maggiore og ni diletto,
se in un'anima si spande,
quand ' oppressa è dal timor.
Qual piacer sani perfetto,
se convien, per esser grande,
che cominci dal do lor?
134 XIJ -D t 10FOONTE

LICE ZA

Che le sventure, i falli ,


le crudelta, le viol nze altrui
servano in di si grande
di pettacol festi o a~li o chi tui
non è strano, o signor. Gli opposti ogg tti
rende piu chiari il paragon. Distin ue
meo-lio ciascun di noi
nel mal, che g li altri oppres e, il ben eh' ei g ode :
il ben, che noi go iam, tutto è ua lode .
A morte una innocente
mandi il Trae inumano; ognun ripen a
alla 2'iustizia tu . Frema e s'irriti
de' miseri al pregar; r mmenta ognuno
la tua pieta. Barbar sia col fi g lio·
eia cun qual ei c n c
tenero p e a noi. Qualunque cc sso
rappre entin l cene, in te ne copre
la c ntraria irtù. L 'ombra in tal guisa
ingegnoso pennello al chiar alterna :
o i artefice industre ,
qualor lucid gemma in oro accoglie,
fosco color le sottopone; e quella,
pre so al contrario suo , s le 1de piu bella.
spira a raci! an t
chi l'ombre, ond maggior
i renda il tuo spl ndor
trovar desia .
Luc l'a ntica eta
chiara cosi non ha,
che alla tua luce accanto
ombra non ia.
III

L CLE E Z DI TIT
Dramma rapp r entato, con musica del CA LDARA, la prima volta in ienna,
nell'interno ran teatro della cort ce area, alla presenza degli augu-
stissimi sovrani, il di 4 novembre 1734, per festeggiare il nome d el-
l' imp rator arlo sest , d'ordin dell'imperatrice Eli abetta.
ARG E TO

Non ba conosciut l' antichita né migliore né piu amato prin-


cipe di Tito Vespasiano. Le sue virtu lo resero a tutti si caro,
che fu chiamato<da delizia del genere umano». E pure due giovani
patrizi, uno de' quali era suo favorito, cospirarono contro di lu i.
Scoperta però la ongiura, furono dal senato condannati a morire.
Ma il clementissimo Cesare, con t nto d'averli paternamente am-
moniti, concesse loro ed a' loro complici un generoso perdono
(S ETO 10 1 RELI rr:r RE, l NE , ZONARA, ecc. ).
I T RL T RI

Tr · P SI o, imi erator di R ma.


ITELLIA , figlia dell' imp rat r \ ite llio.
E R VI L IA, or Ila di e to amant d'Anni
SE TO, amico di Tito, amante di iteHia.
10, amico di e to, amante di rvilia.
P BLlO, prefetto del pretori .

La cena è in Roma.
T PRLl

E A I

Lo ge a vista el Teve re nee;li appart< menti di IT E LLIA.

ITEf. LT,\ E.TO.

VlTELLI A. Ma che! empre l' i te s ,


esto, a ir mi rrai? o he s dotto
fu Lentulo da Le; che i uoi seguaci
son pronti ghi; che il Campidogli acce o
d ni mot a un tumulto , e ani il egno
onde possiate uniti
Tito a alir ; che i cono-iurati a ranno
vermi gl io nastro al destro braccio appeso ,
per onoscer i insieme . Io tutto questo
gia m ille volte udii : la mia vendetta
mai non veggo però. S aspetta forse
ch e Tito a Berenice in facc ia mia
offra , d' amore insano
l' usurpato mio soglio e la sua mano ?
Parla ! di' ! che s attende?
E STO. Oh Dio.
VrrELLIA. ospiri?
Intenderti vorrei . Pronto all' impr a
sempre partì da me; sempre ritorni
confuso, irres luto. n de in te nasce
140 XUJ -LA C LEME NZA DI TITO

questa vicenda eterna


d'ardire e di vilta?
SESTO. Vitellia, ascolta :
ecco io t apro il mio cor. Quando mi trovo
presente a te, non so pensar, non posso
voler che a oglia tua ; rapir mi sento
tutto nel tuo furor ; fremo a' tuoi torti;
Tito mi sembra reo di mille morti .
Quando a lui son presente,
Tito, non ti sdecrnar , parmi innocente.
VrTE LLIA. Dunque ...
ESTO. Pria di sgridarmi,
ch ' io ti spieghi il mio stato almen concedi.
Tu vendetta mi chiedi;
Tito vuol fedelta . Tu di tua mano
con l'offerta mi sproni; ei mi raffrena
co' benefizi suoi . Per te l'amore,
per lui parla il dover . e a te ritorno,
sempre ti trovo in volto
qualche nuo a belta; se torno a lui,
sempre erli scopro in seno
qualche nuo a irtu. Vorrei s rvirti ;
tradirlo non vorrei. Viver non posso,
se ti perdo , mia vita ; e, se t'acquisto,
vengo in odio a me tesso .
Questo è lo stat mio: sgridami adesso .
VITELLIA. No, non m riti, ingrato!
l ' onor dell'ire mie.
SESTO. Pensaci, o cara,
ensaci meglio. Ah! non togliamo, in Tito,
la sua delizia al mondo, il padre a Roma,
l'amico a ne.. i. Fra le memorie antiche
trova l' erual, se puoi. Fing iti in mente
eroe piu g eneroso o piu clemente.
Parlagli di premiar: poveri a lui
sembran gli erari sui.
ATT PRl~ I4 I

Parlagli di punir: scuse al delitto


cerca in o«nun . Chi all ' in esp rta ei dona,
chi alla canuta eta. Ri parmia in uno
l onor del sangue ill ustre· il basso tato
compatisce neJl a tro. Inutil chiama,
perduto il giorno ei dice,
in cui fatto non ha qualcun felice.
VITELLIA . Ma regna .
SESTO. Ei regna , è e r · ma uol da noi
sol tanta ser itu quanto impedisca
di perir la licenza. Ei regna, è vero;
ma di si a sto i m pero ,
tol to l'alloro e l ostro,
suo tutto il peso , tutto il frutto è nostro.
VITELLIA. Dunque a antarmi in faccia
venis i il mio nemico; e piu non pensi
che questo roe demente un s oglio usurpa
dal s uo tol to al mio adre ?
che m'ingannò, ch e mi ridusse (e questo
è il suo fallo mag«ior) quasi ad amar lo?
E p i, erfido. e poi di nu ovo a l T ebro
richiamar Berenice! na ri aie
a esse scelta almeno
degna di me fra le belta di Ro ma :
ma una barba ra, o Se to,
un 'esule anteporm i ! una regma.
SESTO. ai p ur che Berenice
volontaria tornò.
VITELLIA. Narra a' fanciu1li
cod este fole. Io so gl i antichi amori ;
so le lagrime sparse allor che quindi
l' altra volta parti; so come ade so
l' accolse e l'onorò. Chi non Io vede?
il perfido l adora.
SESTO. Ah l principessa,
tu sei gelosa.
I4 XIII - L A CLEME "ZA DI TITO

V ITELLIA . Io !
S TO . i.
ITELLIA . Gelosa io ono ,
e non soffro un disprezzo?
ESTO . E pure .. .
ITELLIA. E pure
non bai cor d'acquistarmi .
SESTO . Io son .. .
VITELLIA. Tu sei
ciolto d ' ogni promessa. A me non manca
piu degno esecutor dell'odio m1o.
E TO . entimi !
ITELLIA. Intesi assai.
SESTO. Férmati !
VITELLIA . ddio.
ESTO . Ah, itellia! ah , mio nume!
non partir. Dove vai?
Perdonami, ti credo: io m'ingannai.
Tutto , tutto farò. Prescrivi, imponi,
regola i moti miei :
tu la mia sorte, il mio destin tu sei.
ITELLI . Prima che il sol tramonti ,
voglio Tito sven ato, e oglio ...

E. A II

ANNIO e d tti .

ANNI . Amico,
Cesare a sé ti chiama .
ITELLIA. h ! non perdete
questi bre i momenti. A Berenice
Tito gli usurpa.
A IO. Ingiustamente oltraggi.
ATTO PRLI r 3

itellia, il nostro eroe : Tito ha l'im pero


e del mondo e di é . ia per suo cenno
erenice parti.
EST • Come !
ITELLIA. Che dici !
Al N I . oi stupite a ragion. Roma n piange
mer iglia e i piacere. Io tesso
qua i nol credo ; ed io
fui p resente , o Vitellia , al grande addio.
ITELLIA. ( h s eranze !)
E TO. Oh irtu !
VITELLIA. Quella sup rba
oh , come olentieri udita a r
e cla mar contro Tito !
A IO. , Anzi Q'Ìammai
piu tenera non u. arti; ma vide
che adorata parti a e che al uo caro
men che a lei non co tava il col po amaro.
VITELLIA. g nun può lusin arsi.
A ro . Eh. si conobbe
che bisognava a Tit
tutto l'eroe per u perar l' m n te.
Vinse, ma combatté. on era oppresso,
ma tranquil lo non era· ed in quel olto ,
d ica i per sua gloria,
si vedea la batta lia e la vittoda.
VITELLIA. (E pur forse con me , quanto credei,
Tito ingrato non è.) (a parte a eslo) Sesto , sospendi
d'eseguire i miei cenni. Il colpo a ncora
non è maturo.
ESTO. (con isdegno) E tu non vuoi eh' io egga ...
eh' io mi lagni, o crudele ...
ITELLIA . (con i de no) Or che edesti ?
di che ti pu oi la ·nar ?
ESTO . (con mmissioue Di n ulla . ( h Dio!
chi provò mai tormento eguale al mio?)
144 XIII - LA CLE 1ENZA DI TITO

VITELLIA. Deh! se p iacer mi vuoi,


lascia i sospetti tuoi;
non mi stancar con questo
molesto- dubitar.
Chi ciecamente crede,
impeg na a serbar fede;
chi sempre inganni aspetta,
alletta- ad in o-annar. (parte)

SCE A III

E TO ed N IO.

ANNI O. Amico, ecco il momento


di rendermi felice . All 'amor mw
Servilia promette ti. Altro non manca
che d'Augusto l' assenso . Ora da lui
impetrar lo potresti.
SESTO. Ogni tua brama,
Annio, m'è legge. Impaziente anch'io
son che alla n tra antica
e tenera amkizia aggiunga il sano-ue
un vincolo novello.
ANNro. Io non ho pace
senza la tua o-ermana.
E TO. E chi potrebbe
rapirtene l'acquisto? Ella t'adora;
io sino al giorno stremo
sarò tuo; Tito è giusto.
ANNI O . Il so, ma temo .
Io sento che in petto
mi palpita il core,
né so qua l so petto
mi faccia temer .
ATTO PRJ iO 45

e dubbio è il contento ,
di enta in amore
sicuro ormento
l in certo piacer . (parte)

SCE A I

ESTO solo.

Numi assis tenza! A poco a poco io perdo


l 'arbitrio d i me stesso . Altro no n odo
che il mio funesto amor. Vitellia ha in fronte
un astro che governa il mio destino.
La superba Jo sa , ne abu a; ed io
né pure oso lagnarmi. Oh sovrumano
poter della belta ! oi , che dal cielo
tal dono a este ah! non prendete esempio
dalla tirann mia . Regnate , è giusto;
ma non cosi se ro,
ma non sia cosi duro il vostro impero.
Opprimete i contu maci ;
son gli sdegni allor permessi:
ma in fierir contro gli oppre si!
questo è un barbaro piace r.
Non v'è trace in mezzo a' traci
si crude!, che non risparmi
quel meschin che getta l 'armi,
che si rende prigionier. (parte)

METAST SI , Oj>ere · Hl. lO


XIII - L CL8ME: ZA DI TITO

CE A V

Innan zi, atrio del tempio di Giove tatore, luogo gia celebre per le
adunanze del senato; ind tetro, parte del fòro romano, magnificamente
ad ornato d'archi, obelischi e trofei; da' lati, ed uta in lon tano d e l monte
Palatino e d'un gran tratt della via Sacra; in farcia, aspetto esteriore del
Campidoglio, e mag nifica strada per cui vi si ascende .

Nell 'atrio sudd etto saranno P us uo, i senatori romani e i


legati delle provin ce oggeue, d esti nati a preset tare al senato
gli annui imposti ributi . M ntre TtTO, preceduto da' littori , se-
guito d a' pretoriani, accompagna to da ESTO e da A IO, e cir-
condato da numer so popol , cende dal Campidoglio, cantasi
il seguente

CORO. Serbate. dèi custodi


d e lla ro mana sorte,
in Tito, il giusto, il forte,
l'onor di nostra eta.
Voi g l' i m morta i allori
su la cesarea chioma,
voi custodite a Roma
la sua felicita .
Fu vo tro un si gran dono ;
si a lungo il dono vostro;
l'in iùi al mondo nostro
il mondo che v erra .

Sulla fine del coro suddetto giunge TITO nell'atrio, e nel tempo me-
desimo AN. ro e Se TO da d iverse parti.

PUBLIO. Te « della patria il padr » (a Tito)


oggi appella il senato ; e mai p iti giusto
non fu n e ' suoi decreti, o invitto Augusto .
ANNI O. Né padre sol, ma sei
suo nume tutelar. Piu che mortale
giacché alt ru i ti dimostri , a' oti al trui
comincia a d avvezzarti. Eccelso tempio
, TIO PR I fO 147

ti destina il senato; e fa si uole


che fra '- ni onori
anche iJ nume di Tito il Tebro adori.
P trnLIO. Q uei eso ri che · ·edi,
delle s r e province a nui tribu i,
a ll'op r consacriam . Tito non sdeon i
ues i el nostro amor ubblici segni.
Tno . Romani, unico oggetto
è dei vot i di Tito il vos ro amore ·
ma il vostro amor non pass1
tanto i confini suoi,
che debbano arrossirne e T ito e 01.
Pi u t nero, 1u ca ro
nome che q uel di p re •
per me n on ·'è ; ma meritar o io aglio,
attenerlo non curo. I so mmi d' i,
quanto imita r mi p iace ,
abbo rri sco emu lar. Li perde a mici
ch i li an ta compagni, e non si tro a
follia l piu fatale
ch e p o tersi scordar d' esser ortale.
Quegli of7i r ti tesori
non ricuso pe rò: ca mb' arne sol o
l' uso retendo . Udi te. O ltre l' usato
terribile il Vesevo a rdenti fi umi
dal e f uci eruttò; scos ·e le ru pi;
riem p ie ' di ruine
i ca m p i intorno e le citta vicine.
Le deso la te genti
fugge ndo an; ma la mi eria opprime
que i c he al fuoco avanzar. Serva quell'oro
di tan ti affi ilti a riparar lo scempio.
Questo, o romani, è fabbricarmi il tempio.
ANNI O. Oh ero eroe!
PUBLIO. Quanto d i te minori
tutti i premi son mai, tutte le lodi!
XIII - LA CLEMENZ DI TITO

ORO. erbate, o d'i custodi


della romana o rte ,
in Tito, il giusto, il forte,
l'onor di no tra eta.
TIT • Basta, ba ta, o quiriti.
Sesto a me s'avvicini; Annio non parta;
ogni altro si allontani .
.ritirano tutti fuori dell'atri e vi rimangono Tito, esto ed Annio.

A IO. (Adesso, o esto,


parla per me.)
SESTO. Come, signor, potesti
la tua bella regina ...
TITO. Ah, Sesto, amico,
che terribil m o mento. Io non credei. ..
Basta, ho vinto: parti. Grazie agli dèi l
Giusto è ch'io pensi adesso
a compir la vittoria. Il piu si fece:
facciasi il meno.
E TO . E che piu resta?
TITO. A Roma
toglier ogni sospetto
di ederla mia posa.
EST Assai lo toglie
la sua partenza.
TIT . Un'altra volta ancora
partissi e ritornò. Del terzo incontro
dubitar si potrebbe; e, finché uoto
il mio talamo sia d'altra con orte,
chi sa o-li affetti miei
sempre dira eh' io lo conservo a lei.
Il nome di r gina
troppo R ma abborri sce. Una sua fi<Yiia
vuoi eder sul mio soglio;
e appagarla con ien. Giacché l'amore
scelse invano i miei lacci, io uo' che almeno
TTO PRIMO 149

l 'amicizia or gli celo-a . A tuo s'unisca,


S esto , il ce areo sangue. Oggi mia sposa
sani la tua germa na.
ESTO. Ser vi l i a?
TITO. unto.
IO. (Oh me infelic .)
ESTO. (Oh dèi!
Anni perduto. )
TIT . Udisti.
Ch dici ? on rispon ·?
ESTO. E chi potrebbe
ri ponderti o signor? M' op rime a egno
la tu b nta, che non ho cor. .. Vorrei ...
A IO. (Se to · in pena per me.)
T IT pièo-ati . lo tutto
farò per tuo antaggio.
SESTO. (Ah! si <;er a l'amico .)
A NNlO. {An n io coraggio!)
S ESTO. Tito !. .. (ri oluto)
ANNIO . (risoluto) . ugusto, 10 conosco
di esto il cor. F in dalla cuna insieme
tenero amor ne tringe. Ei, di se stesso
modesto e timator teme che sembri
prop rzionato il dono; e non s' avvede
eh 'ogni distanza eguaglia
d ' un C sare il fave r. Ma tu consiglio
da lui p ren der non déi . Come potresti
sposa ele o-e r piu degna
dell' i m ero e di te ? Virtu, bellezza ,
tutto è in ervilia . Io le conobbi in volto
eh 'era n ata a reg nar. De' miei presagi
l 'adempimento è questo.
SESTO. (Annio parl a cosi l Sogno o son desto ?)
TITO . E ben ! recane a lei,
Annio, tu la novella; e tu mi siegui,
amato esto, e que te
XI11 - LA CLEM E ZA Dl TITO

tue dubbiezze depo ni. Avrai tal parte


tu anco r n l · oglio , e tanto
t' innalz rò, che resteni ben poco
dello spazi o infinito,
che frappo er gli dèi fra esto e Tit
SESTO. Questo è troppo , o signor. Modera almeno,
se ino--rati non ci uoi ,
moder , Augus o , i benefizi tuoi.
TITo. Ma che .! se mi negate
che ben fico io sia, che mi lasc iate?
Del piu sublime soglio
l'uni co frutt è que to:
tutto è torm nt il resto
e tutto · servi tu.
Che avrei, se ancor perdessi
le sole ore f !ici
che ho nel giova r gli oppressi,
nel sollevar gl i amici,
nel di pensar tesori
al mer o e alla irtu? (parte)

SCENA VI

A IO e poi ER ILIA .

ANNI O. Non ci pentiam. D'un generoso amante


era questo il dove r. Se a l i, che adoro,
per non esserne privo
tolto l'impero avessi, amat avrei
il mio piacer, non lei. Mio cor, deponi
le tenerezze antiche. È tua sovrana
chi fu l'idolo tuo . Cambiar conviene
in ri spetto l'a ore. Eccola. Oh dèi!
mai non par e si bella agli occhi miei.
ATTO PRL10

SERVlLIA. Mio ben ...


10. Taci , er ilia. ra è delitto
i1 chiamarmi cosi.
SER lLlA.. Perché?
A NIO . Ti scelse
Ce are (che martir!} per sua consorte.
A te (morir mi sento.). a te m' impose
di recarne l'a viso (oh pena!), ed io ...
io fui ... (p rlar non posso) ... Augusta, addio!
SERVILIA. Come! Férmati l Io posa
di Ces re~ E perché?
A NIO. Perché non trova
bella, virtu che sia
piu degna d 'u n impero, anima ... Oh stelle l
che dirò? Lasci , ugusta,
deh ! !asciami partir.
ERVrLIA. osi confu a.
abbandonar m i uoi? Spiègati dimmi:
co m fu? per qu l via? ...
ANNIO . Mi pe rdo s 'io non parto, anima mia.
Ah ! pe rdona al primo affetto
questo accento sconsi o- ia o :
colpa fu d l labbro u ato
a chiamarli ognor cosi.
Mi fidai de\ mi o ri p tto,
che vegliava in auardìa al core;
ma il ri etto dali 'amore
fu sedotto e mi tradi . (parte)
XIH - LA CLRMENZA DI TITO

CE A VII

ER lLlA ola.

Io consorte d ' ugusto. In un istante


io cambiar di catene t lo tanto amore
dovrei porre in obbli.o! o, si g ran prezzo
non val per me l'impero .
Aunio, non lo temer; non sani vero.
Amo te solo;
te solo amai:
t u fosti il primo;
tu pur sarai
l'ul timo oggetto
che ador rò .
Quando sincero
nasce in un core,
ne ottien l impero,
mai piu non muore,
quel primo aiTetto
che si provò. (parte)

EN VIII
Ritiro delizio o nel oggìorno imperiale sul colle Palatino.

ITO e UBLIO con un foglio.

TITo. Che mi rechi in quel foglio?


PUBLl l nomi ei chiude
de' rei che osar, con te merari accenti,
de ' Cesari gia spen i
la memoria oltraggiar.
TTO PRl tO 153

TITO. Barbara inchiesta,


che agli estin i non gio a, e amministra
mil e stra e alla frode
d'insidiar gl'innocenti! Io da quest'ora
ne abolisco il costume; e, perché sia
in av enir la frode altrui delu a,
nelle pene de ' rei cada chi accu a.
PUBLIO. Giu tizia è pur ...
T1TO. e la giustizia u asse
di tu to il uo rigor, sarebbe presto
un deserto la terra. ve si trova
chi una colpa non abbia, o grande o lieve?
oi tessi s m1mam. Credimi: è raro
un giudice innocente
dell 'errar che punisce.
PuBLIO . Hanno i castighi...
TITO. Hanno se son frequenti,
minore autorita . i fan le pene
familiari a malv gì. Il reo s'av ede
d'aver molti compagni; ed è periglio
il pubblicar quanto sian pochi i buo ni.
PUBLIO. Ma 'è , signor, chi lacerare rdisce
anche il u nome.
TITO. E che perciò? Se il mosse
leggerezza, noi curo;
se follia, lo compiango;
se ragio n, li son grato; e se m lui sono
impeti di m lizia, io gli perdono.
PUBLIO. Almen ...
154 Xlii - LA CLEM E ZA DI T1T

SCE A IX

ERV I L t de tti.

S E R 1LIA. Tito al piè .. .


TITO. ervilia. Augusta l
ERVILIA. Ah! signor, si gran nome
non darmi an cora: odi mi prima. Io deggio
alesarti un arcan .
TITO. Publio, ti scosta,
ma non parti r. (Publio si ritira)
ERVILIA . Che del c sar o alloro
me, fra tante piu degne ,
generoso monarca, inviti a parte,
è dono tal, che de teria tumulto
nel piu slupid or . I ne comprendo
tu tto il valor. Voglio esser grat , e credo
dov rio esser cosi. Tu mi scegliesti ,
né forse mi conosci. Io, che tacendo,
crederei d' ingannarti,
t utta l 'anima mia vengo a svelarti.
TITO. Parla.
ERVILIA . on ha l terra
chi pìu dì me le tue vìrtudi adori :
per te nutrisco in petto
ensì di mera iglia e di rispetto.
Ma il cor ... eh! non sdcgnarti .
TITO . Eh! parla.
SER ILIA. Il core,
sio-nor , non è piu mio : gia da gran tempo
Annio me lo rapi. L ' amai che ancora
non com prendea d 'amarlo, e n on amai
altri fin or che lui . Genio e costume
uni l'anime no tre. Io non mi sento
valor per obbliarlo . Anche dal trono
TTO PRI:MO 155

il so ito sentiero
fare bbe a mio dìspe to ii rmo pensiero.
So che o pormi è delitto
d'un Ce are al voler; ma tutto almeno
sia noto al mio sovrano:
poi se mi uol su sposa, ecco la mano.
TITO. Grazie, o numi del ciel! Pure una o lta
senza larve ul Vl~O
mirai la enta. Pur si ri ro a
ch i s'avventuri a dispiacer col vero .
Servilia, oh qua\ conten o
oggi provar mi fai . quan a mi porgi
ragion di meraviglia. nnio pospone
alla grandezza tua la propria pace!
Tu ricusi un impero
per essergl i fedele! E d io dovrei
turbar fiamme si beJJe ? Ah 1 non produce
sentimenti si rei di T'to il core.
Figlia , ché padre invece
di consorte m ' av rai, go mbra dall 'alma
ogni timore . Anni o è tuo spo o . Io voglio
stringer nodo si degno. Il ciel cospiri
meco a farlo felice; e n 'abbia poi
cittadini la patria eguali a oL
SERVILIA . O Tito! o Augusto! o vera
delizia de' mortali! io non saprei
come il grato mio cor ...
TITO. Se grata appien0
es er m1 vuoi, ervilia, ag li a ltri inspira
il tuo candor. Di pubblicar procura
che gra to a me si rende,
piu del falso che piace, il er che offende.
Ah! se fosse intorno al trono
ogni cor cosi sincero,
non tormento un vasto impero,
ma saria felicita.
XIII - LA CLE!\•lE Z DI TITO

Non dovrebbero i regnanti


tollerar i grave affanno,
per distinguer dall'inganno
l'insidiata verita. (parte)

CE A X
SERVILI e ITELLIA .

ERVILIA. Felice me!


VrTELLIA. Posso alla m1a sovrana
offrir el mio rispetto i primi omaggi?
Posso adorar qu l · olto ,
per cui, d'amor ferito,
ha perduto il riposo il cor di Tito?
ERVILIA. (Che amaro favellar! P r mia endetta
si la ci nell'inganno.) Addio. tin atto di partire)
VITELLI . ervilia
sdegna gia di mirarmi!
Oh dèi! partir cosi! cosi lasci armi !
ERVILIA. on ti Jagnar s'io parto,
o l agnati d'Amore,
eh accorda a quei del core
i moti del mio piè .
Alfin non è portento
che a te mi tolga ancora
1'eccesso d'un contento,
eh mi rapisce a me. (pnrl )

SCENA XI
JTELLJ , poi ESTO.

VITELLIA. Questo offrir degg' io


ergogno o disprezzo? Ah, con qual fasto
gia mi guarda costei ! Barbaro Tito!
ATT PRLIO 15

ti a rea un que poco


Be renice a ntepormi? Io d un ue sono
l ul im a de 'i 'en i? rrni altra è degna
dì te, fuor cbe heJJia? Ah, trema, ingratoJ
trema d a ermi offesa . Oggi il tuo sangue .. .
SESTO. Mia ita .
VITELLIA. E b en, eh rechi? Il Campidogl io
è acce o? è incenerito ?
Lentulo do e sta ? Ti Lo è punito?
SESTO. Nulla in tra resi ancor.
VITELLIA. u Ja! E si fran co
mi torni innanzi? con qual merto ardisci
di chiamarmi tua ita?
ESTO. È tu comando
il sospendere il co lp .
VlTELLIA. non udi ti
i miei no ·elli oltraggi ? n altro cenno
aspetti ancor? Ma eh' jo t j reda amante,
dimmi, come pretendi,
se c i poco i mtet pe sier i intendi?
SESTO. Se una ragio n po t sse
almeu giustificarmi . ..
VITELLIA. n a ragio ne !
Mille n e avrai, qualu nq ue sia l affetto,
da cui prenda il tu o cor rego la e moto.
È la gloria il tuo oto? Io ti propo ngo
la patria a libe rar. Frangi i suoi ceppi;
la t ua memoria onora;
abbia il suo Bruto il secol no tro ancora.
Ti s e nti d'un'illust re
arnbizion capace? Eccoti ape rta
una strad a all' impero. l miei congiunti,
gli amici miei, le mie ragioni al soglio
tutte impegno per te. Può la mia mano
renderti fortunato? Eccola ! corri,
mi \ endica , e son tua. Ritorna asperso
I 58 XIII - LA CLEMENZA DI TITO

di qu el perfido sangue; e tu sarai


la delizia, l'amore,
la tenerezza mia. on basta? Ascolta,
e dubita , se puoi. Sappi che am i
Tito finor; che del mio cor l 'acquisto
ei t' impedi; che se rimane in vita,
si può pen tir; eh' io ritornar potrei,
non mi fido di me, forse ad amarlo.
Or va': se non ti n1uove
d sio di gloria, ambizione, amore;
se tolleri un riYale,
che usu rpò, che contrasta,
che in olar ti potra gli arre ti miei'
dc~li uomini il piu vii dirò che sei.
SESTO. Quante vie d 'assalirmi!
Basta, basta, non iu! Gia m ' in pirasti,
Vitelli , il tuo fu rore. Ard er v drai
fr poco i1 C ampid oglio; e u t acciaro
nel sen d i Tito ... (Ah, somm1 d<:i, qual gelo
mi ricerca le vene!)
VITELLIA. Ed or che p nsi?
ESTO. Ah, itellia!
V lTELLIA. Il prc idi:
tu pentito gia sei .. .
SESTO. ~on son p entito;
ma ...
VITELLIA. Non tancarmi itl. Conosco, ingrato ,
che amor non hai per me. Folle cb' io fui l
Gi a ti credea, gia mi piace i, e quasi
comincia o ad amarti. Agli occhi miei
in alati per sempre,
e scòrdati di me.
SEST . F'rmatil io cedo;
io gia \·o lo a servirti.
VITELLIA. Eh! non ti credo.
M'ingannerai di nuovo. In mezzo all'apra
ricorderai ...
TT .P R B'lO 159

SESTO . o : m 1 punisca Amore,


se penso ad ing-annar ti.
V lTEL LIA . D unque, corri ! Che fai ? erché non parti?
SESTO. Parto; ma tu, ben m jo,
meco ritorna in pace.
Sar · qua l iu ti piace;
quel che orrni far· .
Guardami , e tu lo obblio,
e a endicarti io \'ol o .
Di quello sguardo solo
io mi ri corù rò. (parte)

SCE X II

V rTE L LI , poi P uB LIO .

VITELLIA . ed rai, Tito, edrai ch e a lfin si ile


questo voi o non è . Basta a sedurti
gli am ici a lmen, se ad invag hirti è poco.
Ti pentirai ...
P unuo . Tu qui , Vite lffa ? Ah! corri :
a Tito all e tue s tan ze .
VITELLIA. C esare! E a che m i cerca ?
Punuo. Ancor nol sai?
Sua conso rte ti elesse.
V ITELLI Io non sopporto,
Pu bi io d 'esser derisa.
PUBLIO. D eriderti ( e a ndò Cesar istesso
a c h iede rn e il tuo assenso.
V ITELLIA. E Servilia ?
PUBLIO. Servi li a)
non so perché, rimane esclusa.
V lTELLlA. Ed io .. .
PUBLIO. Tu sei la nostra Au gusta. Ah! principessa,
andiam: Cesare attende.
J60 Xlll - LA CLE~ l ENZ A DI 'flTO

VITELLIA. A etta. {Oh dèi !)


Sesto? ... (Misera mc !) esto? . .. (verso l scena) È partito.
Publio, corri . .. raggiungi. ..
digli ... No. a' piutto to .. . (Ah! mi lasciai
trasportar dallo sdegno .) E ancor n on vai?
PUBLTO. cve?
VtTELLIA. A Sesto.
P UBLIO . E dirò?
Vrr.ELLIA. Che a me ritorni;
che non tardi un mom ento.
PU~LIO. V do . (Oh . come confonde un gran contento!) ~parte)

SCE A .. III

IT LLIA.

Che angustia · questa ! Ah! caro T ito , io fui


t co ingiu ta, il con fesso . Ah ! se frattanto
S sto il enn o e eguisse , il caso mio
sar bbe il piu crudcl... o, non si faccia
si funesto presagio. E se mai Tito
si torn asse a pentir? ... Perché pen irsi?
perché l'h o d temer? Quanti pensieri
mi si affollano in mente ! ffli tta e lieta,
goùo, torno a temer, gelo, m'accendo;
m ste a in q uesto stato io non inte ndo.
Quando sani quel di,
eh' io n on ti senta in sen
sempre tremar cosi,
po ero core ?
telle, che crudelta !
un sol piacer non 'è,
che, quando mi o si ra.
non sia dolore. (part
ATTO ECO o

CE A I
Portici .

SEST O solo, col di tintivo de ' congiurati sul manto.

Oh dèi, che smania è questa!


che tumulto ho nel cor! Pa lpito, agghiacci o :
m'inca mmino, m 'arresto: og ni aura, ogni ombra
mi fa tremare. Io non credea che fosse
si difficile impresa esser malvagio .
Ma compirla con ien. Gia per mio cenno
Lentulo corre al Cam pidoglio. Io deggio
T ito assalir. el preci pizio orr ndo
è scorso il piè. Necessita divenne
o rmai la mia ruina. Almen si ada
c on valore a perir. Valore? E co me
p uò averne un t raditor? Sesto infelice ,
tu traditor! Che orribil n ome! E pure
t 'affretti a meri tarlo. E ch i tradisci?
il piu grande, il piu giusto, il piu clem ente
principe della terra , a cui tu devi
quanto puoi, qu anto sei. Bell a mercede
gli rendi invero! Ei t ' in nalzò per farti
il ca rnefice s uo. M ' in ghi otta il s uolo
p rima ch' io ta l di en ga. A h! non ho core,
Vitell ia , a secondar g-li sdegni tui :
morrei , p ri ma del colpo , in faccia a lui.

l&RTA S TA 10, Opere· 111. JJ


XIII- LA C LE MENZA DJ TITO

S'impedisca .. . Ma come,
or che tutto è disposto? .. . Andiamo , andiamo
Le n tulo a trattener. Sieguane poi
quel che il fato orni. telle, che miro !
Arde gia il Campidoglio! Airnè! l'impresa
Lentulo incominciò. Forse gia tardi
sono i rimor i miei.
Difendet mi Tito , eterni dèi! ( uol partire)

SCE A II

A NIO e dett

A IO. Sesto, dove t 'affretti ?


SESTO. Io corro , amico . . .
Oh dèi ! non m'arrestar. (vuoi partire)
A IO. a do e vai?
EST . Vado ... Pe r mio rossor gia lo saprai. (parte)

CE A III

ANNIO, poi ER JLIA , indi PuBLI con uar ie.

A IO. « Gia lo saprai per mio rossor >> ! Che arcano


si nasconde in que' detti! A quale oggetto
celarlo a me? Quel p lli o sembiante,
q u l ragionar con fu o,
stelle! che mai v uoi d ir ? Qual h e periglio
so rasta a Sesto. Abbandonar n oi deve
un amico fede!. ieguasi. (vuol partire)
SER ILIA. Alfine,
Annio, pur ti ri ·eggo.
A ro. Ah ! mio te oro,
quanto decrgio al tu o amor! Torno a momenti :
perdonarni, se parto.
ATTO SECONDO

SERVILIA. E perché mai


c pre o m i lasci?
PUBLIO. Annio, che fai?
Roma urta è in tumulto, il Campidoglio
va to incendio di o ra; e tu frattanto
puoi star senza ro sore
tranquilla 1ente a ragionar d'amore?
SERVlLIA. Turni !
A o. (O r di est o i detti
piu mi fanno tremar. Cerchi i .. . ) (in atto di partire)
SER ILI A. E puoi
abbandonarmi in tal periglio?
AN IO. (Oh Dio!
fra l' amico e la posa
divider mi vorrei .) Prendi ne cura,
Publi , per me . i tutti i giorni miei
l 'unico ben ti raccomando in l i. (parte frettoloso)

SCENA l

• E RVILIA e p BL ! O.

SERVILIA . Publio, che ina p ettato


accidente fun esto !
PUBLIO. Ah, voglia il ci elo
che un'apra si del caso, e che non abbia
forse piu reo disegno
chi destò quelle fiamme.
SERVILIA. Ah. tu mi fai
tutto il sang ue gelar.
PUBLIO . Torna, o ervilia,
a' tuoi soggiorni e non tem r . Ti lascio
quei custodi in di~ sa, e corro intanto
di itellia a cercar. Tito m'impon
d'a er cura d entrambe .
XIII - LA CLEM ZA DI TITO

SERVJLIA. E ancor di noi


Tito si rammentò?
PUBLIO. Tutto rammenta;
provvede a tutto; a riparare i danni,
a prevenir le insidie , a ricomporre
o-li ordini gia sco n olti... h, se il vedessi
della confusa plebe
gl'impeti regolar! Gli audaci affrena;
i timidi as icura · in cen o modi
a promesse ado prar, minacce e lodi.
Tutto ritro i in lui: ci edi insieme
il difensor di Roma,
il terror delle squadre,
l'amico il prence, il cittadino, il padre.
ERVILIA. Ma, sorpreso cosi, come ha saputo ...
PUBLIO. Eh! Servilia , t' in o-a nni:
Tito non si sorprende. n impensato
colpo non v'è, che noi ritro i armato.
Sia lontano oc:rni cimento,
l'onda sia tranquilla e pura,
buon guerrier non s'assicura,
non i fi a il buon nocchier.
Anche in pace , in calma ancora,
Parmi adatta, i remi appresta,
di battaglia o di tempesta
qualche assalto a sostener. (parte)

SCENA V

SERVJLIA ola.

Dall'adorato oggetto
vedersi abbandonar; sa p r che a tanti
ri schi corre ad esporsi; in sen per lui
entirsi il co tremante , e nel periglio
ATTO SECO DO

non poterlo seg ui r: questo è un aff nno


d 'ogni aff n no maggior; que o è s ffrire
la e na del morir enza morire .
Almen , se non po s' io
eguir l 'amato bene,
affetti del cor mio,
e uitelo per me .
Gi · sempre a lui icino
raccol ti Amo r i tiene,
e insolito cammino
que to per voi non è . (parte)

C .A I

VneLI.rA e po i E T

VlTELLIA. Cm per pieta m'addita


S e t o dov'è? Mise a me ! Per tutto
ne chiedo in vano, in an lo cerco. Almeno
Tit trova r potessi .
E TO. (:::.enz t.::der V1tellia ) O ·e m 'a condo!
dove fuggo, in felice!
VITELLI A. Ah , Sesto! ah , senti!
SESTO . Crude!, sarai contenta . Ecco adempito
l tuo fiero comando.
VITELLIA. Ai m è ! che dici?
SESTO. Gia Ti t . . . oh io! gia dal trafit o seno
ersa l'anima grande.
VITELLI A. Ah, che facesti!
ESTO. No, noi fec' io, ché, dell'errar pentito,
a salvarlo correa ; ma giunsi appunto
che un traditor del co giurato stuolo
da tergo lo fe ria. - Ferma! - gridai;
m il colpo era ibrato. Il ferro indegno
lascia colui nella ferita e fugge .
r 66 Xlll - L C LE:\1E Z DI TITO

A ritrarlo io m'affretto ;
ma con l'acciaro il sangue
n'esce, il manto m'asperge, e Tito, oh io !
manca , acilia e ade .
VITELLIA. Ah ! eh' io m1 sento
monr con lui.
E TO . Pi eta, furor mi sprona
l'uccisore a punir; ma il cerco invano;
g ia da me dileguassi. Ah! principessa,
che fia di me? come avrò mai piu pac ?
Quanto ahj quanto mi costa
il de io di pi acerti !
VITELLIA. Anima rea,
piac rmi ! rror mi fai. D ove si tro va
mostro peggior di te? quando s'intese
colpo piu ce llerato? Hai tolto al mondo
quanto a ea di più caro; hru tolto a Roma
quanto avea di più g ran E chi ti fece
arbitro e uoi giorni?
Di' : qual col pa , inumano!
punisti in JuL L'a erti amato? È vero:
q ue t è l' error eli Tito ;
ma punir noi do ea chi l'ha punito .
E T . Onnipotenti dèi! son io? Mi parla
co i Vitellia? E tu n on fo ti . ..
ITELLIA. h! taci ,
ba rbaro , del tuo fallo
non volermi accus r. Do e apprendesti
a secondar le furie
d'un 'amante sdegnata?
Qual anima insen ata
un de lirio d ' amor nef mio trasporto
com preso non avrebbe? Ah! tu n ascesti
per mia entur . Odio non 'è che offenda
al p r dell' a mor tuo. el mondo intero
sarei la piu felice,
TTO , ECo .· n r6

empio! ~ e tu non en . ggì di Tito


la de tra strin erei ; lcg · alla ter ra
darei dal Campid o-lio· ancor vantarmi
innocente potrei . Per tua ca ione
son rea perdo l'impero,
non spero piu conforto;
Tito ah, cellerato! Tito è morto.
C me pot sti , oh io !
perfi o traditor! . ..
Ah, eh la rea son io !
ento gelarmi il cor,
mancar mi sento .
Pria di tradir la fé
perché, crud l ! ere bé ...
Ah . che el fa11o mio
tardi mi pento . (• ane)

CE A VII

p l

E TO. Grazie , o numi crudeli! Or non mt r sta


piu che temer. Della miseria umana
questo è l ' ultimo segno . Ho gia perduto
quanto perder pote o. Ho gia tradito
l'amicizia , l'a mor , itellia e Tito.
Uccidetemi Imeno ,
smanie che m 'agitate,
furie eh lacerate
questo perfi o c r. e leme siete
a compir Ja vendetta,
io ste so , io la farò. (in atto di snudar la pada)
ANNI O. 5 sto , t'a tfr tta !
Tito brama ...
SESTO. Lo so , brama il mio sangue:
tutto si versera. in atto di snuda r la spada)
t68 XIII- LA CLE !E ZA Dl TITO

ANNIO. Ferma! che dici?


Tito chiede vederti. Al fianco suo
stupisce che non sei, che l 'abbandoni
b perig\io i g rande.
SESTO. Io l. .. Come?. . . E Tito
nel colpo non spirò?
ANNIO. Qual olpo? Ei torna
illeso dal tumu lto.
SESTO. Eh ! tu m'inganni :
io stesso lo mirai cader trafitto
da sceHerato acciaro.
A:W~IO. Dove?
.ESTO. el varco ngusto, ove si ascende
quinci presso al T rpeo.
ANNIO. tra vedesti :
tra il fumo e fra il tumulto ,
altri Tito ti par e.
S-ss-ro. 1\)tri'? E chi mai
delle cesaree vesti
ardirebbe adornarsi? Il sacro alloro ,
l'augusto ammanto ...
ANNIO. Ogni argomento è vano ;
viv Tito e è illes . In questo istante
io da lui mi di ido.
Oh db p1etosi \
ob caro prence! oh dolce amico! h ! lascia
che a questo sen ... Ma non m'inganni?
AN'NIO. Io merto
si poca fé! Dunque tu stesso a lui
corri e l vedrai.
SESTO. Ch'io mi pr senti a Tito
dO?O aver\o traèito?
AN co. Tu lo tracli ti ?
ESTO. Io del tumulto, io sono
il primo autor.
AN N IO. Come! Perché?
A' O EC NDO

ESTO. on pos o
dirti di piu.
~IO. sto è infedele!
SESTo. Amico,
m'ha perduto un istante . Addio. M ' in olo
al a patria per sempre .
Ricòrdaù di t e. ito difendi
da nuo e insi ie. Io o ramingo, itto
a pianger fra le sel ve il mio delitto .
A IO. Férmati. Oh dèi! Pensia m... enti. Finora
la cong iura è nascosta ; ognuno incolpa
di quest'incendio il caso: or la tua fuga
in icar la potrebbe.
ESTO. E ben, che vuoi?
ANNIO. Che tu non parta ne or, che taccia il fallo,
che torni a Tito , e che con mille emendi
prove di fed elta l'errar passato.
SESTO. Colui, qualun ue sia, che cadde estinto,
bast a scoprir .. .
ANNIO. La dov'ei cadde, io volo.
Saprò chi fu · se il er i sa; se parla
alcun di te. Pria che s'induca Augusto
a temer di tua fé, potrò avvertirti:
fuggir potrai. Dubbio è 'l tuo mal, se resti;
certo, se parti .
ESTO. Io non ho mente, amico,
per distinguer consigl i. A te m i fido.
Vuoi ch'io vada? anderò ... 1a T ito , oh n umi!
mi leggera sul volto . (s'incammina e si ferma)
ANNI O. Ogni tardanza ,
Sesto , ti perde .
SESTO. Eccomi, io vo ... (come sopra) Ma questo
manto asperso di sa ng-ue?
AN 10. Chi quel sangue ver ò?
SESTO. Quel!' infelice
che per Tito io piangea.
XIII - LA CL ME ZA D I TITO

ANNIO. Cauto l'avvolgi ,


na condilo e t'affretta.
ESTO. Il caEo, oh io!
potria .. .
NNIO. Dammi quel manto : eccoti il mio.
(c mbia il manto)
Corri : non piu dubbiezze.
Fra poco io ti ra g iungo . (parte)
ESTO. Io son f oppresso,
cosi confuso io sono,
che non so se vaneggio o se ragiono.
Fra stupido e pensoso ,
dubbio co i s'aggira
da un torbid o riposo
chi si destò talo r;
ch e esto an or d lira
fra l o-nate form e,
che non sa ben se dorme,
non sa e eglia ancor. (parte)

CE A II I
alieria terrena adoro ta di tatue, co rri pondente a' gia rdi

TITO e ERVILJA.

TITO. Contro m e si cono-iura ! Onde il sapesti?


• ERVILJA. Un de' com plici venne
tutto a scoprirmi , acciò da te gl' implori
perdono al fallo.
TIT . E Lentulo è infedele?
ERVILIA. Lentulo è della trama
lo cellerato autor. Sperò di Roma
involarti l' impero; uni eguaci ;
dispose i segni ; il Campidog lio accese
ATT ECO. DO 171

per d ta e un tumulto· e gia correa,


cinto del manto augu to,
a sorpren er, l'in dea-no! ed a sedurre
il popolo confuso.
Ma , gi u tizia del ciel ! le istesse \"esti,
ch'ei cin e per tradirti,
fùr tua dife a e sua ruina . n empio,
fr a i sedotti da lui, corse, ingannato
dalle auguste di isc ,
e, per uccider te, Lentulo uccise .
Trro. Dun que mori nel colpo?
ERVILIA . Almen , e vive,
egli noi a.
TITo. Come l' inde!!lla tela
tanto poté re tarm i occulta?
ERV!LIA. E pure
ra ' tuoi custodi istessi
d e' complici vi san . esare , questo
lo scellerato segno onde fra loro
si conoscon i r i. Porta ciascuno
pari a que to , signor, nastro ermiglio,
che su l'omero destro il manto annoda :
ossen·alo e ti guarda .
TITo. Or di ' , ervilia :
c he ti sembra un impero? Al bene altrui
chi può saurific rsi
piu di uello e h' i feci? E pur non giunsi
a farn.1i amar; pu r ' è chi m odia e tenta
questo sudato alloro
sveller mi dalla chioma,
e r itrova s guaci , e dove? in orna .
Tito , l'odio d i Roma! E terni dè i l
Io , che pesi per lei
tutti i miei di, che per la ua crra ndezza
sudar, sangue er ai,
e or sul ilo, or su l' Istro arsi e g !ai !
172 XIII - LA CLEMENZ DI TITO

lo, che ad altro, se veglio,


fuor che alla gloria sua pensar non oso;
ch e, in mezzo al mio riposo,
non sogno che il suo ben; che, a me crudele,
per compiacere a lei,
sveno O" li affetti miei, m'opprimo in seno
l'unica del mio cor fiamma adorata.
Oh atria! oh sconoscenza! oh Roma ingrata !

CE A IX

ESTO, TIT e SER ILIA.

ESTO. (Ecco il mio pr nce. h, com


mi palpita, al mirarlo, il cor smarrito!)
TITO. S sto , mio caro ·esto, io son tradito!
SESTO. (Oh rimembranza !)
TITO. Il crederesti, rnico?
Tito è l odio di Roma. h! tu che ai
tutti i pensi ri miei, che senza velo
hai veduto il mio cor, che fo ·ti sempre
l oggetto del mio amor, dimmi se questa
aspettarmi io d ovea crude! mercede!
SESTO. (L'anima mi trafigge e non e l crede.)
TITo . Dimmi: con qual mio fallo
tant odio ho mai contro di me commosso?
SESTO. tgnor . ..
T!TO. Parla.
SESTO. Ah. si<Ynor, parlar non posso.
TITO. Tu piangi, amico Sesto : il mio destino
ti fa pie a. ien ì al mio eno. Oh, quanto
mi iace, rni con ola
questo tener eg o
della tua fede lta!
ATT SECONDO 173

ESTO. ( ~1orir
mi sento:
non pos o piu. Parmi tradirlo ancora
col mio ta cer. .i di inganni appieno. )

CE X
E TO JTELLI , TITO e ER\ ILI . .

VITELLIA . (Ah! esto è qui. o n m1 scoprisse almeno.)


SESTO . Si, si vogl io al suo iè ... (v uol andare a Tito)
VITELLIA . (s'inoltra e l' interrompe) Cesare in itto,
preser gli dèi cura di te.
F.STO. (Manca a
Vitellia ancor .)
\ ITELLIA. Pensando
al passato tuo rischio, a ncor pavento.
(Per pieta, non parlar! ) (pia no a Sesto)
ESTO. (Q uesto è to rmento! )
TITO. II perder, principes a,
e la ita e l'impero
affiirrge rmi non può . Gia m1e1 non sono
che p er usarne a benefizio altrui.
So che tutto è di tutti, e che né pure
di nascer meritò chi d'esser nato
crede solo pe r sé. Ma, quando a Roma
giovi ch'io versi il sangue,
pe rché insidiarmi? Ho ricusato mai
di versar! o per lei? o n sa l'ingrata
che son romano anch' io, che Tito io sono?
Perché rapir qu l che offerisco in dono?
SERVILIA. Oh vero eroe!
174 Xlll- LA CLE 1ENZA Dr TlT

CE A XI

ESTO VITELLJA , TITO, ER\' TLIA ed A 'N IO


col manto di E TO.

IO. (Pot s i
e to avv rtir. M'intendeni. ) (a Tito) ignare
gia l'incendio cedé; ma non è vero
che il caso autor ne sia. V'è chi congiura
contro la vita tua: prendine cura.
TrT . Annio, il so .. . Ma che miro ! (a parte a ervilia)
er ilia, il seg no, che 1 tmgue i rei ,
Annio non ha sul manto?
ER ILIA. Eterni dèi !
TIT Non v'è che d ubitar. Forma, colore,
tutto , tutto è concorde.
ERVILIA . (ad Annio) Ah, traditore!
A IO. lo traditor!
E TO. (Che a v enne! )
TIT • E parg r vuoi
tu ncora il sangue mio?
Annio, fig li o, e pcrch '? h t 'ho fatt'io?
AN IO . Io spargere il tuo sangue ! Ah ! pria m'uccida
un fulmin del ciel.
T ITO . T'ascendi invano:
gia quel nastro vermiglio,
divisa de' ribelli, a me sco erse
che a parte sei l tradimento orrendo.
Questo ! Come! . ..
( h 1 che feci ! Or tutto intendo. )
ulla, signor, m'è noto
di tal divi a. In testimonio io chiamo
tutti i numi c lesti.
TITO. a ch i d unque l'avesti?
AN~ IO. L'eb · . . . ( e dico il ver , l'amico accuso.)
ATTO 'ECO ·oo I7S

TITO. E ben?
AN. IO. L'ebbi ... non so ...
TITO. L'empio è confuso.
E TO. ( h amiClZl !)
ITELLIA. ( h timor! )
TITO. ove si trova
principe, o e to amato,
di me piu s enturato? Ogni altro acquista
amici almen co' benefici suo1:
io co, miei ben fì i
altro non fo che procurar nemici.
IO. (Come scolparm i ?}
ESTO. (Ah! non rimanaa oppressa
1' innocenza per me. Viteliia, ormai
tutto è forza eh ' io dica. )
(piano a Vitellia, iuc mminando i a Tito )
VITELLIA. (p iano a Sesto ) • (Ah, no l che fai?
De h ! pensa al mi perigli o .)
SESTO. (Che angustia è que ta !)
AN LO. (Eterni dèi, consiglio!)
TITO. Servilia, e un tale amante
al si gran prezzo?
ERVILIA . Io dell'affetto antico
ho rimorso, ho ros or.
SESTO. (Povero amico!)
TITO. Ma dimmi , anima ingrata: il sol pensiero (ad Annjo)
di ta nta infedelta non è ba tato
a fa rti inorridir?
SESTO. ( on i l'ingrato.)
TITo. Come ti nacque in eno
furor cotanto ingiu to?
SE TO. (Piu re ister non posso.) Eccomi, Augusto.
a' piedi tuoi. (s' iuuiuocchia)
lTELLIA. (Mi era me!)
E TO. La colpa,
ond ' nnio è reo ...
176 XTIJ - LA CLEME 'ZA DI TITO

VITELLI A. i, la sua colpa è o-rande:


ma la bonta di Tito
sani ma(Ygior. Per lu i, signor , perdono
Sesto domanda e lo domando an eh' io .
(Morta mi vuoi?) (piano a esto)
ESTO . (s'alza) (Che atroce caso è il mio!)
TITO. Annio si scusi almeno.
ANNIO . Dir ò .. . (Che posso di r ?)
TITO. esto , io mi se n to
gelar per lui. La mia presenza istessa
piu confonder lo fa. ustodi 1 a oi
Annio conse(Yno. Esamini il senato
il disegno , l'errore
di questo . .. Ancor non voo-lio
chiamarti traditor. Rifletti, ingrato!
da q ue1 tuo cor perver o
del tuo principe il cor quanto · diverso.
Tu, infedel , non h ai difese;
è pal ese - il tradime nto:
io pavento - d 'oltraggiarti
nel chi a marti - traditor.
Tu crude l tradir mi uoi
1

d 'amista col finto velo;


io mi celo - agli occhi tuoi
per pi eta del tuo rossor. {parte)

SCE A XII

VITELLIA, SER VIL IA , ESTO ed ANNJO.

AN NIO. E pur dolce mia sposa ...


1 (a Servilia)
S E RVILIA. A m e t'in o]a:
tua sposa io piu non son. (i n atto di partire)
ANNIO. Férmati e senti.
ATTO DO 177

ERV1LIA. on odo gli accenti


d'un labbr per iuro;
gli a ffett i non curo
d 'un perfido cor.
Ricu o , de te to
il nodo fune to.
le nozze, Jo poso ,
l' amante e l'amor. arte)

SCE XIII

SE TO, ITELLIA ed A NIO.

A.NNIO. (E esto non fa ella? )


SESTO. (Io moro. )
VITELLIA. (Io tremo.)
ANNIO. Ma, Sesto, al punto estremo
ridotto io sono, e non ascolto ancora
chi ' impieghi per me. Tu non ignori
quel che mi dice o nun, quel ch'io non dico .
Questo è troppo offrir. Pensaci, amico.
Ch'io parto reo, lo vedi;
ch'io son fede! , lo sai:
di te non mi scordai ;
non ti scordar di me.
Soffro le mie catene;
ma que ta macchia in fronte,
ma l 'odio del mio bene
soffribile non è. (parte fra le guardie)

M ETA STASJ O, Opere- Ili.


Xrir- L CLEME ZA DI TITO

SCE A XIV

ESTO e V tT ELLr •

SESTO. Posso alfine, o crudele ...


VlTELLIA. Oh Dio! l'ore in qu erele
non perdiamo cosi. Fuggi e conserva
la tua vita e la mia.
SESTO. Ch'io fu <T<Ta
b
e lasci
un amico innocente ...
VITELLIA . Io dell'amico
la cura prenderò.
SEsro. No, fin ch' io egga
Annio in periglio ...
VITELLIA. A tutti i numi il giuro,
io lo difenderò.
S ESTO. Ma che ti gio a
la fuga mia?
VITELLIA. Con la tua fuga è salva
la tua vita , il mio onor. Tu sei perduto,
se alcun ti scopre, e, se scoperto sei,
pubblico è il mio segreto.
SE TO. In questo seno
sepolto restera. Nessuno il seppe:
tacendolo morrò.
VITELLIA. Mi fiderei,
se minor tenerezza
per Tito in te vedessi. Il suo rigore
non temo gia; la sua clemenza io temo:
questa ti incerebbe. Ah! per que' primi
momenti in cui ti piacqui, ah! per le care
dolci speranze tue , lugcri, a sicura
il mio ti mid cor. T anto facesti:
l 'opra compisci. Il piu gran dono è questo
ATTO SECO.ffiO 179

che fa r mi puoi. Tu non mi rendi meno


che la pace e l' onor. esto, che dici?
Ri oJ 1.
SESTO. Oh Dio!
lTELLIA. Si, gia ti le<Ygo in voi o
la p ieta che hai di me; conosco i moti
del tenero uo cor. Di': m'ingannai?
sperai troppo da te? 'fa parla. o esto.
S ESTO . Partirò, fuggirò. (Che incanto è questo!)
VlTELLIA. Respiro!
SESTO. Almen tal o ta,
quando l ungi sarò . ..

SCENA XV

UBLIO con guardie e detti.

PUBLI O . S sto!
SESTO. Che chiedi?
PUBLIO. La tua spada.
SEST • E perché?
PUBLIO. Per tua sventura,
Lentul o non mori. Gia il resto intendi.
Vieni.
VITELLIA. (Oh colpo fatale!) (Sesto da la spada)
S ESTO. Alfi n, tiranna ...
P UBLIO. Sesto, partir con iene. È gia raccolto
per udirti il senato, e non poss' io
differir di condurti.
SESTO. In grata, addio!
Se ma i senti spirani su l volto
lieve fiato che lento s'a<Ygiri,
di': - So n questi g li e tremi sospiri
del mio ndo, che muore per me.
t Bo Xlii - L LEME Z D I TiTO

Al mio spirto, dal seno disciolto


la m emoria di tanti martiri
sani dolce con questa mercé.
parte con Publio e guardie)

SCE A XVI

ITE L LJA oJa.

Misera ! che fa rò? Quell ' infelice


oh Dio! muore per me. T ito fra poco
sapra il mio fal l , e lo sapran con lui
tutti, per mio rossor . Non ho cora gio
né a parlar, né a tacere ,
né a fuggir, né a restar. Non spero aiuto,
non ritro o onsiglio. Altro non veggo
che imminenti ruine; altro non sento
che moti di rimorso e di spa vento.
Tremo fra' dubbi miei;
pavento i rai del giorno;
l'aure, che ascolto intorno,
mi fanno pal itar.
asconderm.i orrei,
vorrei scoprir l' errore:
né di celarmi ho core,
né core ho di parlar. (parte)
A RZO

CE A I

Camera chjusa con porte, edia tavolino, con sopra da scri vere.

ITO p BLIO .

PO:sL o. ia de' pubblici gi u chi


signor, l'o ra trascorr . Il di olenne
sai che non soffre il trascurar li . È tutto
cola, d'intorno a)}a festh a arena,
il popolo racco to e non si attende
che la presenza tu a . Ciascun so pira ,
dopo il not rio-lio ,
di ri e erti sal o . Alla tua Roma
n on differì si b l contento.
TIT . Andremo,
Pu bJio, fra poco. lo non avrej r i poso,
se di esto il destino
pria n on sapessi. A ra il senato ormai
ue discolpe udite; a ra coperto ,
vedrai eh egli è innocente; e non dovrebbe
tardar molto l'a iso.
P BLIO. Ah ! tr ppo chiaro
LentuJo fa ·eJJò.
TITo. L ntulo for
cerca al fallo un com agno ,
per a erlo al perdono. Ei non ignora
quanto esto m'è aro. Arte comune
18:1 Xlii - LA C LEM E ZA DI TiTO

quest è de' rei . Pur dal senato ancora


non torna alcun! Che mai sara? Va', chiedi
che si fa, ch e s'attende. Io tutto oglio
saper pria di partir.
PUBLIO. Vado: ma temo
di non tornar nunzio felice.
TITo. E puoi
creder Sesto infedele? Io dal mio core
il suo misuro; e un impossibil parmi
ch'errli m 'abbia trad ito .
P UBLIO. Ma, signor, non han tutti il cor di Tito.
Ta rdi s'av ede
d'un tradimento
chi mai di fede
mancar non sa.
Un cor verace,
pieno d' nore,
non è portento,
se orrni altr core
ere e inca ace
d' infedella. (parte)

SCE A II

IT e poi 10 .

T ITO. No, cosi scellerato


il mio Sesto nou credo. Io l'ho veduto
non sol fido e amico,
ma ten .:!ro per me. Tanto cambiarsi
un 'alma non potrebbe . Annio, che rechi?
L 'innocenza di Sesto,
come la tua di ' , si svelò? Che dice?
Consolami.
ANNI o. A h! signor, pieta per lui
io vengo ad implorar.
A TT TERZ 18~

Trro . Pieta! Ma dunque


sicuramente è reo?
ANNI Quel manto, ond' io
par i in fedele, egli mi d ie'. Da fui
sai che seppe i il camb·o. A Sesto in faccia,
esse r da lui sedotto
Lc n u o afferma, e l 'accusato tace.
C be sperar si può mai?
Trro. Speriamo, amico
speriamo ancora. gl' in felici è spesso
colpa Ia sorte; e quel , che vero appare,
sempre ero n on è. Tu ne hai le pro e:
con la di isa in fame
mi ieni innan zi; ognun t'accusa: io chiedo
degl'ind izi ragio n; tu no n ri spondi,
pal piti, ti confondi . .. A tutti vera
non parea la tua colpa? E pur non era.
Chi sa ? Di Ses o a danno
può il caso uni r le circostanze istesse
o somiglianti a qu Ile.
ANNIO. Il ciel volesse !
Ma se poi fosse reo?
Tno. Ma, se poi fosse reo, dopo si grandi
pro e del! 'amor mio i se poi di tanta
enorme in g ratitudine è capace,
saprò scordarmi appieno
anch'io . .. 1a non sani : lo spero almen o .

SCE A III

PvBI... JO con ogJjo, e detti.

PUBLIO. Cesare, no l diss' io? Sesto è l'a utore


della trama crude!.
TITO. Pubi io , ed è vero ?
I8 XIII- LA CLE 1:E ZA DI TITO

PuBuo. Pur troppo ei di ua bocca


tutto affermò. Coi complici jJ senato
alle fiere il condanna . Ecco il decreto
terribile ma giusto; (da il f< glio a Tito)
né vi man a, o sig nor, che il nome augusto.
TITO. Onnipotenti dèi ! (si <retta a sedere)
AN ro. Ah! pietoso monarca... (ingin cchiando j)
TITO. Annio, per ora
!asciami in pace. ( nnio si leva)
PUBLI O. Alla gran pompa unite
ai che le genti ormai. . .
TITO. L o . Partite.
(Publio si ritira)
IO. Pieta, signor, di lui!
o che il rigor · giust
ma norma i fall i altrui
non so n del tuo rìgor .
Se a' priecrhi miei non vuoi,
se all' error suo non puoi,
donalo al cor d' Aug u to,
donalo a te sign r. (parte)

CE IV

TITO olo a d ere.

Che orror ! che tradimento.


che nera infedetta! Finger i am1 o,
essermi sempre al fianco , ogni momento
esiger dal mio core
qualch e pro a d amore; e tarmi intanto
preparando la morte. Ed io sospendo
an cor la pena? e la sentenza ancora
non egno?. . . Ah ! si lo cellerato mora .
(prende la penna p r 'arr ta)
ATTO T ERZ l s

ora!. . . Ma senza udirlo


m ndo esto a morir ?... i, gi' l 'intese
abbastanza i l senato. E s egli avesse
qualche arcano a s elarmi? la. (depone lapenna ;
intanto e ce una o-uardia). ascolti,
e poi ada al upplizio.) me sì guidi
e to (pa rte la g ard 1a ). È pur di chi regna
infelice il de tino! ( 'alza) A noi i niega
ci ò che a' piu ba si è dato. In mezzo al bosco
queJ vill ane! mendico, a cui irconda
ru vida la na il rozzo fian co, a cui
è malfido ripa ro
dali in giurie del ciel tuo-urio informe.
placido i sonni dorme,
passa tranqu ill i di, molto non bra ma,
sa chi 1 odia e chi l'a ma, unit o olo
torn sicuro alla foresta , al monte
e ede il core a ciaschedun in fronte.
oi , fra tante grandezze,
sem pre incerti i ia m; cbé in faccia 001
la spera nza o il timore
su la fronte d ·ognun trasform il core.
Chi da Il' infido amico... O la! ... chi mai
qu e to tem er dovea?

SCE A V

PuBL IO Trr

TITO. a, Pub io, ancora


Sesto non viene.
PUBLIO. Ad eseo-uire il cenno
gia volare i custodi.
TITO . Io non comprendo
un si lungo ta r ar.
186 Xlll - L CLEMENZ. DI TITO

PUBLIO. Pochi momenti


sono scorsi , o signor.
TITO. Vanne tu ste so;
affrettalo.
PUBLIO. Ubbidisco . (nel 1 artire) I tuoi littori
eCYo-onsi comparir: esto dovrebbe
non molto ess r lontano. Eccolo.
TITO. Ingrato l
All'udir che s appressa,
gia mi parla a suo pro l' affetto antico.
Ma no; trovi il suo prence e non l 'amico.
( iede e si om one in atto di maesta)

SCE A VI

ITO, PUBLIO , • ESTOe CUStodi. EST , entrato


appena, si ferma.

SESTO. ( umi! è quello, ch'io miro , (auardando Tito)


di Tito il olto? h! la dolcezza usata
iu non ritrovo in lui. Come di nne
terribile per me ! )
TITO . ( telle l ed è questo
il sembiante di esto? Il suo elitto
come lo tr formò! Porta sul volto
la ergogna, il r imorso e lo spa ento.)
UBLIO . (Mille affetti diversi ecco a cimento.)
TITO. A vvidnati. ( est o con ma s a)
ESTO . (Oh voce
che mi piomba sul cor !)
T IT . (a esto con maesta) N o n odi?
SESTO. (s'avanza due passi e i ferma) (Oh Dio l
mi trema il piè; sento bagnarmi il olto
da gel ido sudore;
l'angoscia del morir non ma~gio re .)
TT TERZO

TITO. (Palpita l infedel.)


PUBLIO. (Dubbio mi sembra,
se il pensar che ha fallito
ili dolg a Sesto, o e il punirlo a Tito . )
TITO. (E ur n i fa i ta. ) Pub iio, custodi,
)asciatemi con lui. (parte Pu io e le guardie
ESTO. ( o, di uel \ olto
non ho costanza ·os ner l' imp ro )
TITo. (rima to solo co n esto, d pone l'aria m estosa)
Ah! e to , è dunque ero?
Dunqu e uoi l mi morte? E in che t'offese
il tuo prence, il tuo padr ,
il tuo benefattor? e Tito ug usto
hai otuto obbliar, di Tito amico
come non ti so enne? Il premio è questo
della te era cura
eh 'ebbe sempre di te? Di chi fidarmi
in a v enir potrò, se giunse, oh è i.
anche Se to a tradirmi? lo pot sti?
e il or te lo so !Terse?
SESTO . (prorompe in un dirottis imo pianto e s gli getta a' piedi)
h, Tito! ah, mio
clementissimo prence!
non piu, non piu. tu v der potessi
questo misero cor, spergiuro, ing rato,
pur ti farei pieta . Tutte ho sugli occhi
tutte le colpe mi e; tutti rammento
i benefizi tuoi: sofTrir non posso
né l'i dea di me tesso,
né la presenza tua. Quel sacro olto,
la voce tua, l tua cle:nenza istes a
di ventò mio supplizio. AfTretta almeno,
aiTretta il mio morir. Toglimi presto
que t ìta in fede!; lascia eh' io ersi,
se pi etoso esse r vuoi,
que to perfido sangue a piedi tuoi.
I 8 XIII - L CLEME ZA DI TITO

TITO. Sorgi , infelice ! ( esto si leva) (Il contenersi è pena


a quel tenero pianto.) Or vedi a quale
lagrimevole stato
un delitto riduce, una sfrenata
avidita d'impero! E che sperasti
di trovar mai nel trono? il sommo forse
d 'ogni contento? Ah ! sconsigliato osserva
qu i frutti io ne raccolgo;
e bramalo, se puoi.
SESTO. o, questa brama
non fu che mi sedus e .
T no. Dunque che fu?
SE TO. La debolezza mia,
la mia fatalita.
TITO. Piu chiaro almeno
spiègati.
SESTO. Oh Dio! non posso.
TITO. Odimi, o esto:
iam soli ; il tuo sovrano
non resente. Apri i1 tuo core a Tito,
confidati all'amico; io ti prometto
che Augu to noi sapra . Del tuo delitto
di ' la prima cagion. Cer biamo in ieme
una ia di scu arti. Io n sarei
forse di te piu lieto.
ESTO. Ah! la mia colpa
non ha difesa.
T no. I n contraccambio al m no
d'amicizia lo chiedo. Io non celai
alla tua fede i piu gelosi arcani;
merito ben che Sesto
mi fidi un suo segreto.
E TO. (Ecco una nuo a
specie di pena! o dispiacere a Tito,
o itellia accu ar. )
TITO. Dubiti ancora? (c mincia a turbar i)
ATTO TERZO

. fa, esto, mi feri~ci


nel piti i o de cor. edi che troppo
tu l amicizia oltraggi
con questo diffidar. PensacL Appaga
il m io <YÌUsto de io. (con impazienza)
SESTO. (M qual a tro plendeva al nascer mio!)
(con impeto di dispe razione)
TITo. E taci? e non rispondi? Ah r gia che puoi
tanto abusar di mia pieta ...
SESTO. ignore ....
sappi dunque ... (Che fo ?)
TtTO. iegui.
SESTO. (Ma quando
finirò di penar?)
Tno. Parla una oJta:
che mi vole i dir?
ESTO. Ch'io so n l'oggetto
deJJ 'ira d gJj dèi; che la mia sorte
non ho più forza a tollerar; eh ' io stesso
trarutor mi confesso, empio mi hiamo;
eh' io merito la morte e eh' io la bramo .
TITo . (tipiglia l'aria di maesU\.}
Sconoscente. e l 'avrai! Custodi! il reo
toglietemi dinanzi. (alle guardie, che aranno uscite)
SESTO. Il bacio estremo
su quella in vitta man . ..
TITo. (nol concede) Parti.
SESTO . Fia questo
l 'ultimo don . Per questo sofo istante
ricòrdati, ignor, l'amor primiero.
T no . Parti; non è piu tempo. (senza guardarlo)
S.ESTO. È vero, è vero !
V o disperato a morte;
né perdo gia costanza
a vista del morir.
XIII - LA CLE !ENZA DI TITO

Funesta la mia sorte


la sola rimembra nza
ch'io ti pote i tradir. (parte con le g uardie)

CE A VII

Tno olo.

E dove mai s'intese


piu contumace infedelta! Poteva
il piu tenero padre un fìo-lio reo
tratta r con piu dolcezza? Anche innocente
d'ogn i altro errar, sa ria di vita ind egno
per questo sol. Deggio alla mia negletta
disprezzata clemenza una vendetta.
(va con i den-n verso il tavolino, e s'arresta)
Vend etta! Ah! Tito e tu sarai capace
d· un '> i ba so desio, che rende eguale
I'ofleso all'offensor? Merita in ero
gran lo e una end tta, o e non costi
piu che il valeria. Il tòrre altrui la ita
è fac ol ta comune
al piu il della terra: il d rla è solo
de' numi e de' re<rnanti. Eh! viva .. . Invano
arlan dunque le lego-i? io !or custode
le esegui sco cosi? di esto amico
non sa Tito scord rsi? Han pur saputo
obbliar d 'esse r p~ dri e Manlio e Bruto.
Siegu ansi i o-randi e empi. (siede) Q <rni altro affetto
d'ami cizia e pieta taccia per ora.
e to è reo: Sesto mo ra!... ( ottoscrive)
Eccoci alfine
su le vie del rig ore: (s'alza) eccoci a persi
di cittadino sangue. e s'incomincia
dal sangue d ' un amico. Or che diranno
TTO TERZ

i posteri di noi? D iran che m Tito


si stancò la cle menza
come in Silla e in Augusto
la cru el ta. Forse diran che troppo
r igido io fui; ch'era n difese al reo
i natali e l'eta· che un primo errore
punir non si do ea; che un ramo infermo
subito non recide
saggio cu ltor, se a risaoarlo in vano
m olto pria non sudò; che Tito alfine
era l' oiTeso, e che le pro prie offese,
sen za ing iuria del giusto,
ben poteva obblia r ... Ma dunque io faccio
si gran fo rza al mio cor? é almen sicuro
sarò ch'altri m'appro i? Ah! non si lasci
il solito cammin. V h a l 'a mico, (lace ra il foglio)
benché in fedele; e, se accusarmi il mondo
uol pur di q u l che errore,
m'accusi di pieta, non di rigore. {getta il foglio lacerato)
Pub lio!

SCENA VIII

TITO e P UBLIO .

PUBLIO. Cesare.
TITO. Andiamo
al popolo che a ttende.
P UBLIO . E Sesto?
TITo. E Sesto
venga all 'arena ancor.
P UBLIO. Dunque il suo fato ...
TITO . Si, Publio, è gia deciso.
PUBLIO. (Oh sventurato!)
Xlll - LA CL E ~1E Z DI TITO

TITO. Se all'impero, amici dèi,


necessario è un cor severo,
o togliete a me l'impero ,
o a me date un altro cor.
Se la fé de' regni miei
con l 'amor non assicuro,
d ' un a fede io non mi cu ro
che sia frutto d l timor . (parte)

CE IX

VrTELL lA usc ndo dalla p rta opposta, ri hiama PUBLIO,


che segui a Trro .

VITELLIA. Publio, ascolta.


PUBLIO. (in atto di partire)Perdona;
deggio a Ce are appresso
andar ...
VITELLIA. Dove?
PUBLIO. (come opra) All 'arena.
VITELLI A. E esto?
P UBLIO. Anch'esso.
V lTELLIA . Dunque morra?
P UBLIO . (come sopra) Pur troppo .
VITELLIA. (Aimè!) Con Tito
Sesto ha parlato?
Pusuo. E lungame nte.
VITELLIA. E sai
quel eh' e i dicesse?
PUBLIO . No. olo con lui
restar Cesare volle: escluso io fui. (parte)
ATT T ERZO 19,3

CE
JT LLI , p01 ANN1 0 e ERVJLIA da di verse parti.

I ELLI . on gio a lusi ngarsi ;


esto gia mi scoperse: a Publio istesso
si cono ce sul olto . Ej non fu mai
con me i 'tenuto ; ei fugge; ei teme
di restar meco . Ah ! secondato avessi
gl ' impulsi del mio cor. Per te mpo a Tito
dovea svelarmi e confessar l' errore .
empre in bocca d 'un reo, che la detesta ,
scema d'orror la colpa. Or questo ancora
tardi s ria. Seppe il delitto Augusto
e non da me . Q ue ta ra 'one i tessa
fa piu grave .. .
SERVlLIA. Ah, Vitellia .
ANNIO . Ah, principessa!
SERVlLIA. Il misero germano ...
ANNIO. Il caro am ico .. .
SERVILIA .... è condotto a morir.
AN ro. . . . fra poco , m faccia
di Roma spettatrice ,
delle fiere sar p to infelice.
VITELLIA. Ma che posso pe r lui?
ERVILIA. Tutto. A' tuoi prieghi
Tito lo donerà .
A NIO. o n può neo-arlo
alla novella Aug usta.
lTELLIA . Annio, non sono
Aug usta ancor.
A 10. Pria che tramonti il sole
Tito sani tuo spo o. O r , me presente,
per le pompe festive il cenno ei diede .
tTELLIA. (Dunque esto ha taciuto ! Oh amore! oh fede! )
Annio, Servilia, andiam. (Ma do ve corro

MET AST A S IO , Opere· III . 13


194 XIII - LA CLEMENZA DI TITO

cosi, senza pensar?) Partite , amici :


vi seguirò.
A NNIO . la, se d ' un tardo a iuto
Sesto fidar si dee, Sesto è perduto. (parte)
VITELLIA. Precedimi tu ancor . (a ervilia) Un breve istante
sola restar desio.
ERVLLIA. Deh! non !asciarlo
nel piti bel fior degli ann i
perir cosi. ai che finor d i Roma
fu la speme e l ' amore. Al fiero eccesso
chi sa chi l' ha sedotto. In e sarebbe
obbligo la p ieta. uell' infelice
t'amò piti di e stesso; avea fra' labbri
sempre il tuo nome; impallidia qualora
si parlava di te. Tu pi ngi!
VITELLIA . Ah! pa rti.
SERVILIA . Ma tu perché restar? itellia, ah! parrni ...
VITELLIA . Oh dèi! parti, ve rrò: non tormentarmi!
SERVlLIA. Se altro che lagrime
per lui non tenti,
tu to il tuo piangere
non giover · .
A questa inutile
pieta che senti,
oh , quanto è simile
la cru elta! (parte)

CE XI
ITELLl ola .

Ecco il pun to, o Vitellia,


d'esam inar la tua costanza. Avrai
valor che basti a rimirare esangue
il tuo esto fedel? esto, che t'ama
piti della vita sua? che per tua colpa
divenne reo? che t' ubbidi crudele?
TTO T R ZO 195

che 'n2iu ta t 'adorò? che in faccia a morte


i gran fede ti serba? E tu fra tanto
non ignota a te stessa , andrai tra nq uill a
al al amo d Augusto ? Ah ! mi edrei
semp e e to d'intor no; e l aure e i sassi
temerei che loquaci
mi se p ri sero a Tito. A' pied i suoi
vadasi il tutto a palesar . scemi
il delitto di e to
se scu ar non si p uò . peranze, addio ,
d ' m ero e d'imenei! nutrir i adesso
stu pìdita saria . la , pur che sempre
q ue ta smania c ru de! non mi tormenti ,
S I <rettin pur l'altre speranze a' venti.
Gett il n occhìer talo ra
pur que tesori all'onde,
che da remo e ponde
per tanto m ar portò ;
e, giunto al li d amico,
gli d· i ringrazia ancora ,
che ritornò m endico ,
m a salvo ri to rnò . (parte)

E A ~ Il
L uogo magnifico, che introùuce a va o anfiteatro di cu i per diversi
arch i scop resi la parte interna. i vedranno gia nelt'arena i complic i della
co na iura , condan nati alle fiere .

l tempo che i canta il C O R , ce T JT , preceduto da' lit-


tori, circondato da' s natori e patrizi romani, e se ufto da' pre-
to ria ni ; indi A 10 ER !LIA da diver e parti.

C OR O. C he del ciel, che degli dèi


t u il pe nsi r, l'amor tu s i,
g rand'eroe , n l giro ang usto
si mostrò di questo di.
196 XIII - LA C LEME r ZA l TlT

Ma agìon dì merav1glia
non è gia, felic Augusto,
che gli dèi chi lor somiglia
eu to i scano cosi.
TITO. Pria che p rincipio a ' lieti
spettacoli i dia, eu todi innanzi
conducetemi il reo. (Piu di perdono
speme eì non ha: quanto aspettato meno ,
piu caro esser gli dee. )
ANNIO. Pieta, ignore .
S E RVILIA. Si n or , pieta !
TITO. e chiederla enite
per Sesto , è tardi. È il suo destin ded
A IO. E si tranquillo in vi o
lo c n danni a morir?
ERV ILIA. Di Tito il core
come il dolce perdé costume antico?
TIT . Ei s'appressa: tacete !
Oh esto .
IO. h arru o !

CE A ULTIM

P 'BLl e E -ro fra' 1\.ttori, oi 1 ELUA, d tti.

TITO. esto, de' tuoi delitti


tu ai 1a erie , e ai
qual pena ti si dee. Roma scon olta,
l offesa mae ta, l leggi offese
l'am icizi a tradita, il mondo, il cielo
voglion la morte tua. De' tradim enti
sai pur eh ' io son l unico oggetto. Or s enti.
' ITELLIA. Eccoti, eccelso Augu to , (s'in inocchja)
eccoti al p iè \a pi · confusa ...
ATT TERZO 197

TJ o. Ah . or 1:
che fai ? che brami?
ITELLJA. Io ti conduco innanzi
l' utor dell'empia trama.
TI o. '·? chi ma1
preparò tante insidie al vi ver mio?
ITELLIA. o l crederai.
TITO. Perché?
VITELLI A. Perché son io.
T IT . Tu ancora !
E T e S ER lLTA. h telle!
A IO e PUBLlO . h numi!
Tn . E quanti mai ,
q uanti SI te a tr irmi?
JTELLTA. I la piu rea
oo di iascuno · io med itai la trama;
il I iu fedele amico
io ti sedussi ; io del suo c1eco amore
a tuo dan no abu ai.
TIT . a del tuo sdeg no
chi fu cag ion?
ITELLIA. La tua bonta . re dei
eh u st fo am r . a d tra il trono
d te spera a in dono; e poi n egletta
restai du olte , e procurai vendetta.
TITO . Ma che giorno è mai questo ! Al punto istesso
he assolvo un reo, ne scopro un altro! E quando
tro erò , g iusti numi .
un'anima fede!? Congiuran gli astri,
cred ' io , per obbligarm i, a mio di spetto,
diventar crud l. o ! non a rann o
questo trionfo. A soste ner la gara
O' ia s'impeg nò la mia virtu . ediamo
se piu co tante sia
l' altrui perfidia o la clemenza mia.
la . Se to si sciolga: abbian dì nuo o
19 Xlii - LA C LEME ZA DJ T ITO

Lentulo e i uoi seguaci


e vita liberta. ia noto a Roma
ch'io son l'istesso, e ch'io
tutto so, tutti a solvo e tutto obblio .
A NIO e PuBLIO. Oh ge ne roso!
ERVJLI A. E chi mai giunse a tanto?
ESTO . Io son d i sasso !
VITELLIA. Io non tratt ng o il pianto!
TITO. Vitellia, a te promi i
la destra mia; ma ...
ITELLT Lo conosco, Augusto :
non è per me . Dopo un tal fallo. il nodo
mostruoso saria.
TITO. Ti bramo in parte
contenta almeno. na riva! sul trono
non vedrai, tel prometto. !tra io non voglio
sposa che Roma: i fi rrli miei saranno
i popoli sorrgetti ;
serbo indivi i a lor tutti gli affetti.
Tu d' Annio e di ervilia
agl' imenei felici unisci i tuoi,
principessa, se vuoi. Concedi pure
la destra a e t : il sospirato acqui to
gia g li costa abbastanza.
VITELLIA . lnfin ch'io viva,
fia sempre il t o vol er legge al mi core.
E TO. h, Cesare! ah, signore! e poi non soffri
che t' adori la terra e che destini
ternpii il Tebro a l tuo num e? E come, e quando
spera r potrò che la memoria amara
de' falli miei .. .
TITO. esto, non più: torniamo
di nuovo miei, e d ' trascorsi tuoi
non si parli piu mai. al cor di Tito
gia cancellati sono :
me gli scor o , t'abbraccio e ti perdono.
ATTO TERZO 199

CoRo. Che del ciel, che degli dèi


tu il pensier, l amor tu sei,
grand'eroe, nel g iro ano-usto
si mostrò di questo di.
Ma caQÌon di mera io-Jia
non è ghi, felice Augusto,
che gli dèi chi lor omiglia
custodiscano cosi.
200 XTit - LA CLEMENZA DI TlT

LICE ZA

on crederlo , signor· te non pretesi


ritrarre in Tito . Il rispettoso ingegno
sa le sue forze appieno ,
né a questo segno io gli rallento il fr e no.
Veggo ben che ciascuno
ti riconobbe in lui. So che tu stesso
quegli affetti clementi ,
che in sen Tito entiva, in s n ti senti .
Ma , Ce are, mia colpa
la conoscenza altrui?
è colpa mia eh tu somigli a lui?
Ah ! vieta, invitto Augusto ,
se le immagini tue mirar non vuoi ,
vieta alle muse il rammentar gli eroi.
Sempre l' istesso aspetto
ba la virtu verace ;
benché in diverso petto ,
di versa mai non ' .
E ogni virtu pìu bella
se in te , ignor , s'aduna ,
come ritrarne alcuna ,
che non somigli a te?
Xl\

CHILLE I l
Dramma immaginato e disteso dall 'autore n l prescri tto ter mine di iorni
diciotto , e rappresentato, con musica del ALDARA, in ienna, la prima
volta, nell'interno ran teatro della cesarea corte, alla presenza degli
augu tissimi so rani , il di 13 feb raio 1736, per festeggiare le felicis-
sime nozze delle ltezze reali di Maria T e resa, arciduchessa d'Austria,
poi imperatrice regina, e di Stefano Fran esco, duca di Lorena , gran-
duca di T o cana e poi imperatore de' romani.
ARG ME T

È per antica fama a sat not che, b ramo i di vendicar con la


distruzione di Troia la comune ingiuria offerta nel rapimento
d'Elena, unirono gia le forze loro tutti i principi della Grecia.
Intanto che la formidabile armata s i racco liea, cominciò a spar-
gersi fra le adunate schiere una predizione: «che mai non a r b-
bero espugnata la nemica citta, se non conducevano a questa im-
presa il giovanetto chille, figliuolo di Teti e di PeJeo »; e prese a
poco a poco tanto vigore que ta credenza nell'animo de upersti-
ziosi guerrieri, che, ad onta de' loro duci, risolutamente negavano
di partir senza Achille . eppelo Tetide; e, temendo della ita del
figlio, se fos e trasportato fra l'armi, stabili di nasconder/o alle ri-
c rche d e' greci. Corse perciò in Tessagl ia, Jove sotto la cura del-
l'antico Chirone educava i Achiile; e trattolo seco, 1 rivesti nasco-
tamente d' abiti femminili, consegnollo ad un suo confidente, im-
posegli che condur lo doves e nell'isola di Sciro, sede reale di
Licomede, e ch e ivi sotto nome di Pirra, come propria ua fi 0 lia
celatamente lo custod isse. Esegui l'accorto servo esattar1ente il
comando; andò con i gran pegno in Sciro · cambi , per esser piu
sconosciuto, il proprio vero nome in qu el di earco; e si d estra-
mente s' introdus e in q nella corte, be tlen er in b re e onorato
luogo, egli fra' ministri reali, e la mentita Pirra fra le ancelle della
principe sa Deidamia, figliu la di Li mede. ol favore delle finte
spogli e potendo chille ammirar si dappresso gl' innume rabili pregi
della bella Deidami a, se ne invaghi, n n ep1 e nascond e rsi a lei:
tro v· corris po ndenza e si ace sero entrambi d'uno scambi evole
ardentis imo amore. Se n e av ide per tempo il vigilante Nearco,
d, invece d'opporsi a loro na centi affetti usò tutte le arti per
fomentarli, promettendo i nell'innamorata p rin cipessa un soccor o
20 4 X! - ACHILLE l SCIR

a raffrenar le impazienze d'Achille; il qual n n a pendo repri-


mere gl'impeti feroci d ell indole sua bellicosa, degnava, come
ceppi in offribili, i molli femminili ornamenti, e, al balenar d' un a
pada al ri onar di una tromba o al olo udirne parlare, gia tutto
fu r di se tesso, minacciava d1 paie arsi ; l avrebbe a nch fatto ,
e l'attenta Deidamia timoro a di perderlo , no n ave e proc urat
di temperarlo. r mentre questa cura c ta a a lei tanta pena
eppe i nell ' armata de' greci do e e in qual e abito Achille i na-
condeva, dubitos ene almeno. i conclu perci fra que ti
d ' inviare a Licomede un accorto a mbasciadore, il qual , co l pr -
te to di chi dere a nome lor e na i e gu rri eri per l'a edi
troian , proccura e accertarsi e c la fo se hille, eco per
qualunque mezzo il conduce e. Fu de tinato Uli se, ome il piu
de tr d'ogni al tro, ad eseguir i gelo a com mi io n . ndov i
gli , d a pprod ulle marine di cir in un giorno a ppunto, in
cui cola celebravan i le solenni fe te di Bacco. La orte gli offer e
al primo arri o indizi bastanti onde incamminare le ue ricercb :
e ne preval e. · spettò che in Pirra i na co nd e A hill ; in -
entò prove per a ssicurarsen ; fece na cer l'occa iou di parlar
eco , ad onta della gel o a custodia di Nearco e eidamia; t po-
nendo allora in u ·o tutta la ua artifizio a loquenza, lo per ua e
partir i. e fu a ertita la principe a e cor e ad im dirl ;
nde ritro o i ~ chille in crudeli ime angu ti fra eidam ia ed
li e. Adop rava uno i piu acuti timo li di gl ria per trarl eco;
impiegava l'al tra l piu fficaci tener zze d'am r per tratten rlo :
d e gli, as alit in un tempo medesim da due co i viole nte pa -
ioni, ndeg iava irresoluto nel tormentoso co ntrasto. la il saggio
re lo mp e. Egli , di tutto fr a que ti tumulti, informa t o c n -
sente il richi to eroe alle i tanz d li e; concede la rea! prin-
cipessa alle dimand d chllle, e pre cri nd a lui n qual
prude nte icenda debbano econdar i fra loro le tenere cur e le
gu rri r fati ·he, m tt d'accordo neU an· m o o combattut o e la
loria l'am re.
Incontra i qu e to fa tt pre eh in tutti li antichi e mode rn i
p ti; ma, e e ndo essi tanto di cordi fra loro n elle eire tanze
noi, enz attenerci piu alP uno ch e all'altro, abbiam tolto d a eia-
eh dun ci che me<Tlio alla con d otta della no tra favola è con-
enuto .
I RL T RI

Lt 1 E E, re di ci ro .
ACHILLE , in abito femminile otto nome di Pi rra, amante di I ei-
damia.
DE1DA M IA , fi liu ola di Lic mede, amant d'Achille.
ULI SE , ambasciador de' gr ci.
TEAGE E , principe di Calcid , de t inato po o a Dt:idamia.
NE Reo eu tode d ' chili
RC DE co nfidente d li e.
CORO DI BACC NTJ .
CORO DI CANTORI.

< ella macchia .

LA L RlA .
• MORE.
IL TEMPO.
C R de' loro eguaci .

Il luogo dell'azione è la reggi a di Licomede n Il ' i ol di ciro.


TI RI

CE A I

spet o esteriore di maanifico tempio dedicato a Bacco, donde si scende


per due spaziose scale. É il tempio circondato da portici, che, prolun-
gandosi da entrambi i lati, formano una gran piazza. Fra le distanze delle
c::olonn e de' portici sc uopresi da un lato il bosco sacro alla dei ta, dall'alt ro
la marina di ciro . La piazza è ripiena di baccanti, che, celebrando le
feste del loro nume al suono d i vari stromenti ca ntano ii !Se uente coao.

Preceduti e segui ti da num~r o corteggio di nobili donzelle,


scender si edono dal tempio ed avanzarsi a poco a poco D ErDAM: l
~d AcH r LLE in abito t'i mminile.

CORO. Ah! di tue lodi al suono,


padre Lieo, discend2;
ah ! le nostr ' alme accendi
del sacro tuo furor .
PART E DEL COR 0 font e de' di letti,
o dolce obbl io de' mali,
per te d' sser mortali
noi ci scordiam ta lor.
T u TTO IL coRo . A h! le nostr'al me accendi
del sacro tuo furor.
PARTE DEL coRo. Per te se in fredde vene
pig ro ri stagna e lang ue,
bolle di nuovo il sangue
d ' insolito calor.
TuTTo IL CO RO . Ah ! le nostr 'alme accendi
del sacro tuo furor.
2 0) Xl ~ ACHILL E I SCIRO

PARTE DEL CORO.


Chi te raccoglie in seno,
esser non può fallace:
fai diventar erace
un labbro mentitor.
TuTTO IL CO RO. Ah! le nostr ' alme accendi
del sacro tuo furor.
PARTE DEL C RO. Tu dai coraggio al vile,
rasciughi al mesto i pianti,
discacci dagli amanti
l' incomodo rossor.
T UTTO IL CORO. 0 fonte de ' diletti ,
o dolce obblio de' mali
accendi i no tri petti
del sacro tuo furor.
Ad un improvvis suon di trom be, he ode i in lontano verso la ma-
rina , tace il coro, 'interrompe il ballo 'arre tan tutti in attitudine di
timore, ri guardando er il ma re.
IDA HA. disti? (ad chille )
ACHILL E . dii.
!DAMI Chi temerario ardi ce
turbar col suon profano
dell'or ·e ener te il rito arcano?
ACHILLE. on m ' inga nnai: lo strepi to onoro
parte dal mar. Ma non saprei.. . on veggo
che uol dir, chi lo mo e .. . Ah . princip ssa ,
eccone la cagion. ue na i osser a ,
ven ono a questo ido.
EID MIA. Aimè!
A HILLE. h e temi?
S n lungi anc r .
ompari cono in lontananza due 11a ente i di nuo o il uono del\
trom be s uddette. T ut ti part no fug endo, toltone Achille e Deidamia.
D EID 11<\. Fuggia m !
A CHILLE. Perché?
DEIDA UA. on ai
che d'i nfa mi pirati
ATTO PRIMO

tutto è infes a o il mar? Cosi rapite


flir le fil:>lie inf< lici
al r e d'Argo e di Tiro. Ignori forse
la r ecente di SparLa
perd ita ingiuriosa? e che ne freme
in an la Grecia, e che domanda in ano
l infid spos al preda or troiano?
Chi a che ancora in quelle
insidiose na i ... Oh dèi! vien' meco.
AC HILLE. Di che temi, mia vi a? Achille è teco.
D EIDAMIA . Taci.
AcHILL E. E se tec è Achille .. .
D ElDAMlA. (guarnando i intorno) Ah! taci : alcuno
potrebbe ud irti; e, se scoperto sei,
son perduta, ti per o. E che direb be
il genitor deluso? Una donzella
sai he ti cr de, e i ompiace e ride
del nostro amor; m~ che ra se m i
(scio in p nsarlo io moro),
se mai scopre che 1n ir a Achille adoro?
AcHILLE. Perdona, è ero.

SCE A 11

NEARCO e detti.

NEARCO. (Ecco erli aman ti.) E deggi~


sempre cosi tremar e r oi? el di i
p u r mille vol te: è tr ppo chiara ormai
questa vostra imprudente
cura di separar i
sempre dalle compao-ne: ognun la \·ede,
ne parla ognuno . Andate a l re. on tutte
l 'altre g ia nel l rego-ia.
ACHILLE. (inteuto ad altro, non l'ascolta) Il suon guerriero

META TASIO, Opere· m .


210 XIV - ACHILLE IN SCIR

che da que' legni u ci , d'armati e d'armi


mostra che vengan gravi.
ElDA n . (piano a arco) ( h, come in volto
g ia tutto avvampa! Usar conviene ogni arte
per trar} o altro e.)
EARCO. E non partite?
AcHILLE. Or ora
princi pess , v rrò . ue legni in orto
bramo veder.
EIDAM1A. (turbata) Come ! ch' io parta 1as i
te in peri o-lio si rande? Ah. tu Io vedo,
n e aresti apace, e dal tuo core
misuri il m io. o gia , crud le ...
AcHILLE. Andiamo!
non ti de(Ynar. o n un tuo sguardo irato
mi fai morir .
DElDAMI o , non è v ro ingrato.
, ino-rato! amor non senti ;
o , se pur enti amor,
perd r non uoi del r
per me la pace.
mi, se tel rammenti ·
e puoi senza penar
amare e disamar ,
quando ti piace.
eidamia parte. A hille s'incammina appr sso a Deidamìa; ma, giunto
alla scena, i volge e s'arresta di nuovo a mirar le navi, gia avvici nate a
tal segno, che ulla ponda di una d'es e po sa distinguersi un guercietn.

CE A III

EARCO e di nuo O ACHILLE .

EARCO. i pacifiche uli'.. e (guarda n o il porto)


han le prore adornate! Amiche na i
qu este dunque sa ran .
TTO PR.l f O

A HILLE. 'earco , osser a


torna ndo i ndie ro )
come spende fra l' rmi
quel guerri r maestoso.
ARCO . Ah! a': non ·ce
t , eh u a donz la
compari ci lle spo?"lie , in que to loco
scompao-nata r tar .
A CHfLLE. (con isde noJ fa n n ti crede
ognuno il p dre mio? Qual mera\iglì a
che p re o l enitor resti u a fi lia ?
EARCO . i sdegnen:i eidami
A HILL.E. È ver .
(ri me o, parte, e poi si ~ rma)
EARCO. (Che pena
è il n a condere AchWe?}
A CHILLE. (considerando il uerrier che · ulla n e) h! se ancor io
quell' Imo luminoso
in fro nte a v ssi e quella pada al fianco ...
(torn a risoluto)
Nearco, io san gia stanco
di piu vedermi in questa a nna imb~U ;
ormai ...
EA RCO , Che di<::i? Oh stelle! E not1 ra m menti
quanto giova al tu amor?
A HI LL . 1. .. Ma .. ,

E ARCO. Deh ! parti .


AcHILLE . Lasciami un sol momento
a vao-heggiar quell 'armi.
NEARCO. (Aimè n i, resta
pur quanto vuoi; m a Deidamia intanto
ara ol tuo rival.
A H lLLE. (in a tto ~ r ce) C he t
EA RCO. Gi_unto or ora
è di Calcide il prence ; e Li comede
vuol ch e la ma n d i sposo
ogo-i porga aUa figlia .
2]2 Xl - ACHILLE IN SCIRO

ACHILLE. h numi !
N~ARCO. È ver o
che è tuo quel cor; ma, se il rivale accorto
può lusingarla inosservata e sola,
chi sa, pensaci, chille, ei te l'in ola .
ACHILLE. Involarmi il mio tesoro!
h! dov'è quest'alma ardita?
ba a togli rm i la vita
ch i uol togliermi il mio ben.
M'avvilisce in qu te spoglie
iJ poter di due pu i !le;
ma lo so eh' io sono Achille,
e mi sento chille in sen. (parte)

SCE A IV

l EARCO poi LISSE ed ARC DE dalle navi.

NE c . Ch e diffic' e impresa,
Tetiùe, m'impone ti! gni momento
temo scoperto Achille. ver eh amore
lo tiene a fren: ma, se una tromba ascol a,
se nmtr un gu rrier, 'agit , a vampa,
sdegna · I abito imbelle. r cbe far bbe
se sapesse che Troia
senza l i non cadni? che lui domanda
tutta la Grecia armata? Ah! tolga il cielo
che lcuno in questo li o
non eng-a a ricercarlo.. . h dèi! m'inganno
Ulisse! qual cagione
qui lo conduc ? Ah! non cas ei iene.
Che f:lrò? 1i conosce,
e nella reg(Tia appunto
del (Tenitor d'Achille. È er che ormai
lungo tempo è trascorso . Tn ogni caso
TTO PRiM 21

negherò d'e er quello. la! straniero ,


non osar d' inoltrarti
senza d irmi chi sei. Quest~ ' la legg e:
il mio re la presc ri se.
ULI SE. i ubbidisca alla !e(Tge: io o no lisse.
EA.R co. lisse! l detti au aci
scusa, eroe generoso . Al re men volo
con i lieta novella. (vuol parti re)
Uus E. (esaminandolo al entam nte) Odi . E tu sei
ser ro di Licomede?
EARCO. Appunto.
LI SE. Il nome?
EARC . arco.
ULIS E. ve a ces i ?
EARC . acqui in Corinto .
LISSE. E da' paterni lidi
perché mai qu1 n i ti?
NE RCO . lo venni ... Oh Dio !
signor, troppo m'arresti; e il re frattanto
non a chi giun in porto.
ULI SE. Va' dunque.
NEAR (Ah l eh io fingea ' è quasi accorto. ) parte)

CENA
LIS E d AR C ADE.

ULlSSE . Arcade, il ci l ond


la nostra impresa.
ARC DE. Onde la peme?
ULI SE. disti?
ri rnirasti colui? Sappi che il vidi
di Peleo in corte, ha gia molt'anni. Ei finse
patria e nome con noi; ma gia confuso
era alle mie richieste . Ah! menzognera
Xl - .A HILLE l SCIRO

forse non è la fa ma : in gon na avvolto


qui si nasconde Achille . Arcade, vola
su l 'orme di colui. Cerca, dimanda
hi sia, come qui venne ove dimora,
se alcun è sec . g ni leggier indizio
può ervirne di scort
AR ADE . Io ado .
ULI SE. scolta.
Ch d' chille si c r 'hi,
pensa a non dar sospetto anc r lontan
A RCADE. A un uo seguace un ta l ricord ano. ( arte

C A

UL .· E olo.

ia con prospero vento


comincio a na ig r. Per altri forse
quest' inc ntro felice,
quel confuso parlar , quel dubbio olto
poco saria · ma per UJis e è molto.
Fra l 'om bre un lampo solo
basta a] nocchìer sagace,
ch e ia ritrova il polo,
gia riconosce il mar.
Al pellegrin ben sp sso
basta un vestigi im re so ,
perché la via fallace
non l'abbia ad ingannar. (parte)
ATTO PRlM 215

E A II

pp rtamenti di D EIO A t .

LrCOMEDE e DEWAMTA .

Llco EDE. Ma se ancor no1 edesti ond lo ai


che pia erti non uò ?
DEIDAMJA . ia molto intesi
parlar di Teagene.
LJC MEDE. E uoi di lui
su la fé giudicar deg.li occhi altrui?
Semplke! a'; m 'attendi
nel giardino real; cola fra poco
col tuo spo o verrò.
DEID 1IA.. ia sposo!
LICOMEDE. Ej venne
su la mla f': utto è dis post . (partendo
DEIDAMIA. Almeno .. .
padre .. . Ah! s n 1.
....... ICO .. .!ED E . M'attende
il g reco ambasciador . Piu non apporti:
siegui il con iglio mio.
DEIDAMIA. Dunque un comando
non è questo, o signor.
LICOMEDE. Sem re a una figlia
com nda il genito r , quando consiglia .
Alme incaute, che, torbide ancora,
non prov· te l'umane vicende,.
ben lo ve go, vi spiace, v' i} nde
il consigli d'un labbro ii deL
Confon ete con l'util il danno;
chi vi re ge credete tira nno ;
chi vi giova chiamate crude!. (parte)
2·16 XlV - ACHILLE IN SClRO

CE A VIII

EIDA . U 1 in di ACHILL

DEIDAMIA.. Il ' i o t mio mancar di de t Ah! prima


che altro sposo ...
ACHILLE. (con ironi s e!!nosa) f: perme o
a Deidamia l' inO're so? To non vorrei
importuno arrì ar. Come! tu o la?
dov' Io sposo? A tri butarti ff tti
qui per i ritrovar! .
DEID HA. E gia sapesti.. .
c ILLE. Tutto, ma n a te: prova ublime
della bella tua fede. me, crudele!
celar si n r arcano? a me, he t'amo
più di me ste o? a m , che, ìn que te spoglie
avvi lito per te... Barbara! ...
DEIDAMI A. h Dio!
Non m'afHiO'ger, be mio: di queste none
nulla seppi finor . Poc'anzi il padre
venne a roporle. Istupidii, m'intesi
tutto il saugu gelar.
CH1LLE. Pur che farai?
DEIDAMIA. Tutt , fuor eh la darti. E pdeghi e pianti
a svol er Licomede
pong nsi in uso. Ei ce era , se uo e
alvar la fio-lia · e, quan o ancor non ceda,
nulla speri ottener. Fu chille il rimo
che amai finora , e oglio
che sia l'ultimo AchiHe . h. an edrai
morir, cor mio, pria che tradirti maL
ACHILLE. Oh dolcissimi accenti. e quaJ mercede
posso renderti, o c ra?
DEIDAMIA . Eccol : io chiedo.
ATTO PRI 1 21 7

se possibile pur che abbi piu cura


di non scoprirti.
A CH ILLE. ques a gonna e poco?
D ElDAMI ~he val e la smentì ce
og m tuo scruardo, ocrn i tuo moto? I passi
tro o libe ri so n; roppo sicuro
quel tuo girar di ciglio . Og ni cagio ne
basta a farti sde::.nar; né femm ·n ili
son poi gli sdegn i t oi . he iu . Se edi
un elmo, un'asta, o se parlar ne enti,
gia [i roce di ent i ;
e con dacrli occhi tuoi lampi e faville:
Pir a s i e rd e e comparisce Ach ille .
A CHILLE. ~ 1a il ca mbiar di natura
è impresa trop p dura .
DEIDA I ~ dura impresa
anche l'oppor i a un genitor. Poss' io
dunque con questa scu a
accettar T eac>-ene .
ACHILL E. Ah. no, mia vita:
farò quanto m'imponi .
DEIDAMIA . r lo prometti ·
ma p01 ...
ACHJLLE. No: questa volta
t 'u bbidirò . Terrò gl i sdegni a freno,
non parlerò piu d'armi; e de' tuoi cenni
se piu fed ele esecutor non sono ,
corri in braccio al ri al, ch' io ti perdono.
Si ben mio : sar· qual u01;
lo prometto a que ' bei rai
che m'accendono d'amor,
'2 I • Xl - ACHlkLE J SCIR

CENA IX

ULISSE detti.

DEIDAMIA. Taci; v'è chi t'ascolta.


:_ACHILLE. (ad Ulisse, pieno di sdegn o) E tu chi sei
che temerario ar isci
di penetrar queste e o-rete soglie?
Che vuoi? Parla ! ris ondi !
pentir ti f rò ...
DElDA irra!
ULIS E. (Che fiero
sembiante è quello!)
ID MI • (piano ad . chille) (E la pro me sa?)
ACHILLE. (ravv dend si) ( vero. )
ULI SE. on son di Licomede
queste le tanz.e?
D E ID IA. No.
ULIS E. trani ro errai :
per ona. (vuoi parti re)
DEJD MIA . Odi . E che brami
dal re?
ULI SE. La Grecia chiede
da lui n avi e uerrieri, or che s'affretta
d 'u irsi armat Ila comun vendetta .
A HILL . (Felice chi andra l)
DEfDAMIA. Tutt nel alto
(J"ia i cambiò.)
LI SE. S 'apr al valore altrui
oggi una illustre via. Corrono a quest
impresa anche i piu ili.
CHTLLE. (E chili e resta !)
D EIDA HA. (Periglioso d iscor o l) (ad li e) A Licomede ,
stranier, quella è la via.
(ad Ac hille) Sieguimi.
TT PRI i 2.I9

ACHILLE. (tornando ind iet ro) mico ,


dimmi: le greche na i
do e ad unir i an ranno?
DEIDAMJA. Pirra ... ma .. .
ACHILLE. ia i sieuuo. (Oh amor iran no!) (parton

Uu SE e poi RCADE .

LI S . O il d esio di trov rio


per tutto mel dipinge, o Pirra è Achille.
Peleo ne' suoi verdi anni
quel v t a ea: me ne rammento. E poi
quel parlar ... qu egli sguardi... er; ma Ulisse
fidarsi anc r non dee. Pos o in gannarm i:
e, quando ei sia, pria di parlar bisogn
piti cauto il temp , il loc ,
le circo tanze e amin r. Felice
è in suo cammin di rado
ch i v rea i fiumi e non ne tenta il uuado .
l'ardi , fi n che e m turo,
il gran colpo a scoppiar, ma sia sicuro.
ARCADE. Ulisse!
ULISSE. Are de! e in queste
stanze t'inoltri?
ARCADE. Entrar ti vidi, e venni
su l'orme tue.
ULI SSE. Che racco liesti intanto?
ARCADE. Poc , o ignor. Sol che Nearco è g iunto
in questa terra, or compie l'ann o; ba seco
una figlia gentil , mostra per essa
la real principessa
straordinario amor.
LISSE. Come si appella?
~20 IV - ACHILLE I SCIRO

ARCADE. Pirra.
ULISSE . Pirra!
ARCADE. E per lei Nearco ha loco
fra' reali ministri.
UussE . E questo · poco ?
ARCADE. Ma ciò eh giova?
ULISSE. Ah. mi o ede.l, facciamo
gran v]ag-KÌO a momenti. eli e dirai ...

CE A XI

E RC e detti .

NEARCO. ìcrnor, vi ni: che fai?


1 'att nde il re.
Uus E. Qua è it cammino?
NEARCO. uesto.
LISSE. Ti iegu andiarn. o poso dirti il re to.
(ad Ar ad ; indì parte con Nearco)

SC ~ A rn
B.CADE solo.

Chi può d' Ulisse al pari


tutto veder? Ciò, h e per gli altri è oscuro,
chjaro è per 1ui. o, }a natura o l'arte
l'egual mai non formò. Dov'è chi sappia,
com 'ei mostrar tu lti gli aiTetti in volto
senz 'a e rH nel c or? c hl, fra gli accenti
facili , ubbidienti
l'anime incatenar? chi ad ogni istante
cambiar o-enio, tenor, !in ua e sembiante?
Io nol conosco ancor. D' Ulisse al fianco
ATTO PRD10 22J

ogni giorno mi tro


e ogni g10rno al m~o sgua rdo Ulisse è nuovo.
an in ciel talora,
dopo l'esti a pioiTgia,
l'irid e si co ora,
quando ritorna il o!.
o n cambia in altr foggia
co omba al sol le piume,
se a camb i n o lume,
men e ri o!O'e il ol. (parte)

C XIII

elizio a nella re<Tgia di LICO;o.re: nE.

ACHILLE e DEIDAMIA , p LIC MEDE e TEAGENE.

DElDAMI A. o, chille io n n mi fid


di tue promesse. A TeaO'ene m faccia
non saprai contenerti : il tu calo re
ti scoprira . Parti, se m'ami.
l _.J mcno
qui tacito in dis a rte
lasci ch'i vegga il mio ri ale.
DEIDA UA. Oh Dio!
t'es poni a gran periglio. Eccolo .
A CH ILLE . (t u rbandosi) Ah. q~esto
unqu è l'audace? E ho a soffrir? ...
DEIDA II . ol dissi?
gia ti tras porti.
A CHILLE. Un impeto primiero
fu que to: è gia edato . Or son sicuro .
DEIDAMIA . Tu parlerai.
AcHILLE. Non parlerò, tel giu ro.
(si ritira in disparte)
"222 XIV - ACHILLE 1N SCI RO

Lrco fEDE. mata figlia, ecco il tuo sposo; ed ecco,


illustre Teagene,
la sposa tua.
AcHILLE. (Qui tollerar con iene).
TEAGE E . Chi ascolta , o prin ipessa ,
ciò che de' pregi tuoi la fama d ice,
]a ere e adulatrice; e chi ti mira,
la rit o a maligna. Io, che gia sono
tuo prigionier, t' ffro quest'alma in dono.
ACHILLE. (Che temerario !) (con iderando degnosame nte Teagene,
'a anza enza avveder ene)
DEIDAMrA. A co i al to seO'nO
non giunge il merto mio: tanto esalta rlo
non déi. .. Pirra! che vuoi? Parti. (avvedendosi che
chille è gia vicino a Tea ene)
AcHILLE. Non parlo.
(si ri tira in disparte, come opra)
EIDAMTA . (Dèi ! qual timor m'a sale?)
TEAGE . Chi è mai questa donze lla?
L1co fEDE. È il tuo rivale.
D ElDAMIA. (So n morta !)
AcHILLE. (Ab mi conosce!)
rcoMEDE. È Pirra il solo
amor di Deidamia. Altre non vide
piu tenere compag ne il mondo intero.
EIDAMTA. (Ei parlava da s herzo, e disse il vero. )
Lrc :lEDE. Deidarnia , or che ti sembra
di si degno consorte?
ElDA :IlA. I pregi, o padre ,
ne ammiro, ne comprendo·
ma . ..
LICOMEDE. Tu arrossisci! Il tuo rossore intendo.
Intendo il tuo rossor ;
-Amo- orresti dir:
ma in facci a al genitor
parlar non uoi.
ATTO PRIMO

Il farti piu soffrir


sarebbe crude ta:
restino in liberta
gti affetti tuoi. (parte)

CE A
HILL , DEI MI e T E AGENE.

A HtLLE. (Ah, se altre spoglie avessi !)


T EAGE ~E. Or che sia m soli ,
princi pessa g ntil, soffri eh' io spieghi
l' ardor di questo sen; soffri ch'io dica ...
DEIDAMIA. Non parlarmi d 'amor: ne s o n nem ica.
Del sen g li ardori
nessun mi vanti;
non soffro amori
non voglio amanti :
troppo mi è cara
la Ii bena.
Se fo se oCYnuno
co i since r ,
meno im portuno
parrebbe i l ero ;
saria piu ra ra
l'in fede ta.
(parte con Achille, il quale si ferm a nell 'entrare
TEAGENE. Giusti nu mi, e in tal gu isa
Deida mia m 'accoglie! In che son reo?
che fu? eg ua i. (vuol seguire Deidamia)
A CHILLE . (arrestandolo) F erma ! o ve t'affretti ?
TEAGENE. A D eidamia appresso:
r aggiungerla desio.
ACHILLE . lrisoluto) on è permesso !
T EAGENE. Chi può vietarlo?
22 XIV - AC HJ LL E I SCIR

ACHILLE. Io !
T EAGE E. Tu ?
ACHILLE. i: né giammai,
sappilo, io parlo inva no. (parte l ntamente)
TEAGENE. ( elle n infe ciro il genio è strano .
E pur que ll a fierezza
ha un non o che che piace.) Od i . Ma dimmi
almen er hé.
A CHILLE. Dis i abbas~anza. (partendo lenta mente)
TEAGE E. E c redi
che di te sola io tema?
credi ba r tu sola?
t
ACHILL E . (con ari. feroce) Io ba to, e trema!
T EAGENE. (Q uell'ardir m'innamora. )
D EIDAhHA. (Ah! man tor , non s i cont nto a ncora?)

( ell', tto che chille si rivolge per partire, incontra sulla


scena Deiclamia, che gli dice de.,.nata il verso suddetto
lo lascia nfuso)
ACHILLE. ( 1isero! r, trascor i. )
TEAG.El'E. . col ta: io vo(Tlio,
bella nin a , ubbidirti; c pe r mercede
bramo sol de' tuoi degni
l'origine saper. i'.. . ,1a .. . os iri!
mi guardi. Li con fon i !
Q ual cam biamento è il tuo? Parla l rispondi l
A CHILLE. isponderti vorrei;
ma (Te la il labhro e tace :
lo rese amor loquace ·
muto lo r nde amor:
amor, he a suo talento
r nde un imbell audace,
e bbatte in un momen o,
quando gli pi ce , un cor. loa.rte)
ATTO PRIMO

CE A XV

TEAGE E olo .

Son fuor di me. Quan to o n mai vezzose


l' ire in queJ vo lto ! A h! forse m 'a ma, e cb' io
siegua un 'altr non soffre . E co i presto
è am ante ed è gelosa ? Una do nzella
parlar co i! co i mostrarsi au dace!
Intenderla non o : so che mi piace.
Chi mai ide al tro e ancora
co i ama bi le fierezza,
che minaccia ed innamora,
che di letta e fa tremar?
Cin ga il brand o , ed abbia questa
l' asta in puo-no e l' elmo in te ta.
e con Pallade in bell ezza
gia potr bbe co ntr star. (parte)

METASr... sro, O)~r~ - Ili.


ATTO EC N

SCE 1 A I
Logge terrene don1at e di tatue rapp re ent n t i varie impres d'Ercole.

U L1 E ed RCADE.

ARCADE. Tutto, c me impo nesti,


sig nor, gia preparai. Son prontt 1 oni
da prese ntarsi a l re. Mischi i fra q uelli
il mil itare arnese
luci o e terso. l tu i eguaci istrussi ,
che simular dovranno
il tumulto guerrier. piegami alfine
si co nfuso com ando:
tu tto ciò ch e ti giova? e dove ? e quando?
U LISS . Fra mi lle ninfe e mille
per distin g uere Achille.
AR DE . E come ?
U L!SSE. In tomo
a quell ' elmo lucente, a quel! 'us be rg o
lo vedrai van eggi, r. Ma, quando ascolti
il suo n dcii ' a rmi , il gen eroso invito
dell e trombe sonore, a llor cdrai
quel fuo co, a forza oppresso,
scoppiar fero ce e palesar se stesso.
RCA Di troppo ti lusing hi.
Uu Io so d'A chille
l' indole bellicosa ; io so che ali 'armi
si avvezzò dalle fasce, e so che in ano
si prem e un violento
genio n ati o , che diventò costume.
Fra le s icure piume,
salvo appena dal mar, giura il nocchiero
ATT ECO ·oo 227

i mai piu n on partir: sente che l'onde


gia di nuovo son chiare;
a bandana )e piume e corre al mare.
AR e DE. H · pur ant'altri indizi.
ULI E. gni altro indizio.
solo, è dubbioso: a questa prova unito,
cer ezza di ·erra. Quel! è la pro a,
Arcade, iu icura,
dove co' tìl ti suoi aria nat tra.
AR ADE. 1a, se, come sup ani,
ama Deidamia, anche palese, a lei
too-!ierlo non potrem .
LIS E. Con l'arti occ ulle
pria s 'astrin(Ya a sco rir i; indi scop rta ,
assalirò quell'alma a forza aperta.
Le addormentate allora
fi mme d'ono r gli desterò nel seno·
arrossir lo farò.
AR CADE . i, ma non eggo
agio a par argli. custodito in guisa . . .
ULI SE . L 'occasio n s i att nda; , se non giunge,
nascer si faccia. Io tenterò .. .
__ p_c:'.DE . T'nccbcta:
vien Pi rra a noi. ar iate adesso.
Uu SE. Eh! lascia
che venga p r se t ssa. Ad altro inteso
m i fingerò . Tu destramente intanto
osscr ane ogn i moto .

SCENA II

AcHILLE in di spa rte e detti.

A CHILLE. (Ecco il guerri ero


che la Grecia i m iò. Se la mia bella
non lo vietasse, oh qual di letto a vrei
2 8 Xl - ACHILLE IN SCIR

di ragionar con lui! uoverla ad 1ra,


ch'io l'osservi, non dee . )
ULTSSE. (piano ad r ade) (Che fa?)
ARCADE. (piano ad li e) (Ti mira.)
ULlSSE. Di questo lbergo inYero
ogni arredo è rea l. Gli sculti marmi
(""uardando le statue)
sembran pieni di vita. Eccoti Alcide
che l'idra abbatte. Ah. o-Ji si vede in volto
lo spirito guerrier. L'anim a eccel a
g-li ha l' inùu tre maestro in fronte accolta.
(GuarJa se m'ode .) (piano ad rcade)
ARCADE . (piano ad Uli e) ( ttcntamente ascolta.)
LL E. Ecco quando dal suolo
solleva nt o per atterrarlo; e l 'arte
qui superò se slc a . Oh, come a cende,
quando è si al vivo espresso,
di vi rtuclc un esemrio! Io gia vorrei
ssere lcide. Oh generoso, vh grande,
oh magnanimo roe! ivni il tuo nome
mille s coli e mille .
ACHILLE. {Oh dèi, co i non dini d'Acl ill . )
ULISSE. (Ed or?) (pia no ad rcade)
ARCADE. (S'agita e parla.) (piano ad li e)
LI SE. (O·serv . adesso.)
Che miro! Ecco 1' istesso (volge ndo i ad altra parte)
terror dell'Eri manto
in go nna avvolto alla sua Iole accanto.
Ah! l artefice errò. Mai non do\· a
a questa di vil ta men oria indegna
a vili r lo scarpe! lo:
qui Alcide fa pieta; non è piu quello .
ACHILLE. (È \·ero, è vero . Oh mia vergogna estrema!)
LI . "E . (Arcade che ti par ?)
A RC\DE . ( Parmi che frema )
lJLL E. (Dunque si assalga.) (s'i ncammi na vero chille)
ATTO SECO . DO 229

AR CA E. (t attenendo Uli (Il re. Gua rda che tutto


il diseano non scopra. }
ULI E. (Ah! m ' interrom pe in sul finir dell 'apra. )

CE A III

LJ CO.IEDE e detti.

Lr o EDE . Pirra, appunto ti brano. Attendi , lisse.


edi che il sol di gia tramo a: ono ri
un o pite si gra nde
le mense mte .
ULI SE. Mi sara legge il cenn o,
invitti simo re. (i n atto di itirnr i, si ferma per ascoltar
quanto li dice Lico mede)
Lrc MEDE. Le navi e l' armi,
che a chieder mi veni ti , al nuovo giorno
rad unate vedrai; edrai di q uan to
superai la richiesta, ed a qual segno
g li amici onoro e un messagaier si degno.
LI SE. Sem pre eguale a se tesso
~ ùd gran Li comeàe
il magnanimo cor. Da me sapranno
i congiurati a danno
della Frigia infedel princi pi ach ei
quanto amico tu sei. Né li eve prova
ne fian l'a rmi e le navi,
che ti piacque appre tarmi.
(Altro quindi io trarrò che navi ed armi. )
Qua ndo il occor o apprenda
c he dal tuo r gno io guido ,
dovra sul fri a io lido
Ettore impallidir.
Piu g li fara spavento
questo soccorso solo ,
230 XIV - ACHILLE IN SCIRO

che cento insegne e cento,


che ogni guerriero stuolo,
che quante vele al vento
seppe la Grecia aprir. (parte con rcadeJ

CE A IV
LJCOMEDE, CHILLE OÌ EARCO.

LICOMEDE. Vezzoso. Pirra il cr derai? dipende


da te la pace mia.
ACHILLE. Perché?
LIC J\1EDE. e vuoi
impiegarti al mio pro, rendi felice
un grato re.
ACHILLE. Che far poss' io?
L rco. 1EDE. M'avverrg
che a eidamia spiace
unirsi a Tengene.
ACHILLE. (comincia a turbar i) E ben?
L ICOMEDE. Tu pu01
tutto sul cor di lei.
ACHILLE. Come! e vorresti
da me .. .
LICO IEDE. Si, che la sce ta
tu le insegnassi a rispettar d'un padre;
ché i merti del suo spos
le facessi osservar; che amor per lui
le inspirassi n el seno, onde l'accolga
com'è il dover d'un'amorosa mogl ie.
ACHILLE. (Questo pur de gio a voi, misere spoglie!) {con tra)
LI co. 1EDE. Che dici?
AcHILLE. E tu mi credi ( reprim endosi a forza)
opportuno istromento ... Ah! Licomede,
mal mi conosci. Io!. .. numi eterni, io! ... Cerca
mezzo miglior.
TTO SECO DO 23 1

LI - ) fEDE. Che ti go mena? È or e


Teagene uno sposo
che non meriti amor?
CHILLE . ( i perdo. Io sento
che offrir piu non po o. )
TC 1EDE . fin la firrlla,
dimmi, a qual altro mai
meglio unir si potea?
CHlL LE. (Soffersi assai. )
Signor. .. (riso luto)
E RC • Le rerrie mense,
Licom ede, son pronte .
LICOMEDE. Andiamo. Udisti,
Pirra, i miei sensi: a te mi fido. Ah! s1a
frutto del tuo Slldor la pace mia.
Fa' che si spieghi almeno
quell'alma cor:tumace:
se l 'amo r mio le piace,
se vuol rigor da me.
Di' che ho p r lei nel sen
di re, di padre il core:
che appa g hi il rrenitore,
o che 11bbirli r:1 il rp (p a rte)

sc . NA v
ACHILL E e EARCO.

A HILLE. Non parlnrmi, Nearco,


piu di ri g uardi: ho stabi ito. Adesso
non sperar di seùurmi. Andiamo.
NEARco. E dove?
ACHILLE. A depor queste vesti. E che! degg' io
passar cosi vilmente
tutti gl i anni migliori? E quanti oltracrgi
232 XlV - ACHILLE IN SCJR

ho da soffrir? Le mie minacce or veggo


eh 'altri deride; ingiurioso impiego
or m'odo imporre; or negli e empi altrui
i falli miei rimproverar mi ento .
on stanco d'arrossirmi ogni m omento .
NEARCO. Un ro or ti fio-uri . . .
AcHILLE. Ah! taci: assai
ho toi!erato i tuoi
vili simi con io-l i. Altri ne inte i
dal tessa lo maestro; e a Ilor apea
vincer nel corso i ve nti,
abbatter fiere e alica r torrenti.
Ed ora ... Ah ! che dire bbe,
se in questa go nna effeminato e molle
mi ved esse Chirone? Ove da lui
m'ascenderei? Ch rep icar , m otto
rigido mi ch i des e: - Ov' · la spada ,
o e l'altr'armi, Achi lle ? Ah! di mie cuole
tu non serbi altro segno
che la cetra avvilita ad uso indegno . -
NEARCO. Ba ta, signor: più non m'oppongo. Alfine
son persua o an ch'io.
A HILLE. Ti par, earco,
quest'ozio vergognoso
degno di me?
EARCO. o: lo conosco ; è tempo
che dal onno ti de ti,
che ti svolga da questi
impacci femminili, e corra altrove
a dar del tuo gran cor nobili prove.
È ver che Deidarnia,
priva di te, non a ra pace, e forse
ne morra di dolor ; ma, quando ancora
n'abbia a morir, non t'arrestar per lei:
vaglio no la sua vita i tuoi trofei.
AcHILLE . Morir! Dunque tu credi
ATTO S cCO DO

ch e non abbia co tanza


di vedersi la cia r?
EAR C . Costa nza! E come
po rebbe averne un donzella amante
ch e perda il solo og etto
dell a su tenerezza , il sol conforto,
l ' unica sua speranza?
AC HILLE. Oh dèi.
E R CO. on sai
che , se ti sco ti mai
da' uoi sguardi un momento, è gia smarrita,
non ha ri pos , a eia ched un ti ch iede,
ti uol da tutti? E in questo punto istesso
come credi che stia? Gia non ha pace,
g ia dubbio a e trema nte ...
ACHI LLE . Andiamo !
EA RCO . E sei
pronto a partir?
CHILLE. o: ritorniamo a lei.
Potria fra tante pene
lasci ar l'am ato bene
chi un cor di tigre a e e .
1• é baste r-b'-e ar ·- r;
ché quel pi etoso affetto,
che a me sj desta jn petto,
senton le tig ri istesse,
quando le accende amor. (parte)

SCENA VI

NEARCO olo.

Oh incredibil e, oh strano
miracolo d'amor! Si muova ali' ira,
è terribile Achille; arte non gìova,
Xl CHILLE IN SCIRO

forza non basta a raffrenarlo: andrebbe


nu do in mezzo agl'incendi, andrebbe solo
od aiTrontar mil le nemici e mille .
Pensi a Deidamia, è man ueto Achille.
Cosi leon feroce,
che degna i l cci e freme,
al cenno d'una voce
perde l'usato ardir,
ed a ta l segno obblia
la ferita natia,
ch e qu ella man che teme
va placido a lambir. (parte}

SCE A VII

Gran sala illumin ata in tempo di notte, corrispondente a diversi ap-


partamenti, pari mente illuminali. Tavola nel mezzo; credenze all'intorno;
logge nell'allo, ripiene di mu ici spettatori.

LrCOMEDE, TEAG ENE, UussE s duti a mensa; AR-


DE IDA HJ\. 1
CADE in piedi, accanto ad lisse; eH JL L E in piedi, accanto a Dei-
dami a; e per tutto cavalieri, damigelle e pabgi.

CORO . Lu ngi lungi (u<Yaite fuggite ,


cure ingrate, molesti pensied;
no, non lice - del giorno felice
che un istan e si venga a turbar.
Dolci affetti, diletti sinceri
porga Amore, ministri la Pace,
e da' moti di gioia verace
lieta ogni alma ,si senta agitar.
Lun gi ]ungi fu agi te fuggite,
cure ingrate, molesti pensieri;
no, non lice -del giorno ~ lice
che un istante si venga a turbar .
ATTO SECO . . DO

LICO~lEDE. Fumin le tazze in orno


di cretense liquor.
EID MIA. Pirra, lo Sal:
se di tua mnn non iene,
l 'amb ros ia degli dèi
vii bevan a parrebbe a' labbri miei.
ACHIL LE. bbic!isco . Ah! da quc ta
ubbidienza m1a
vedi se fi o sia di Pirra il core.
TE GENe . (Ch e strano affetto!) (guardando Deidamia ed Achille}
ACHILLE . (nell'andar a prender l t.1ua) (Oh tirannia d'amore!)
L ICO MEDE. Qua ndo da greci lidi i vos ri legni
l'ancora scioglieranno? (ad Uli se)
ULTSSE . Al mio ritorno.
TEAG EN E. Son gia tutti raccolti?
UussE. Altro non manca
che il so corso di CirO.
LlCO:\!EDE. Oh, qual mi toglie
spettacol sublime
la mi canuta et:i!
Un pagaio porge la tazza ad Achill e : egli, nel prender!, resta attonito
ad ascoltar il discorso artifizioso di Ulisse.
r"T ..... .._ ..... _
Ui..l t:.. (t, on .:-i trascuri
l 'opportuno momento.) È di te degna,
gran re , la brama. Ove mirar piu m ai
tant' armi , tanti duci,
tante squadre guerriere ,
ten de, navi, cavalli, aste e ba ndiere?
Tutta Europa 'accorre. Ornai son vuote
le selve c le citta. Da ' padri istessi,
da' vecchi padri invidiata spinta,
la gioventu proterva
corre al! 'armi fremendo. (Arcade, osserva.)
EIDA :HA . Pirra!
ACHILLE . È ver. (si riscuote, prende la tazza, s'i ncammina,
poi torna a fermarsi )
XIV- ACHILLE J CIR

ULJSSE. Chi d'onor


sente stim oli in sen, chi sa che sia
desio di gloria, or non rimane. Appena
restano, e quasi a forza,
le vergini, le spose; e alcun, che du ra
necessita trattien, col ciel s'adira,
come tutti gli dèi l 'abbiano in ira.
DEIDA 1IA. Ma Pirra.
ACHILLE. Eccomi. (va colla tazza a Deidamia)
DElD 11A. (piano ad Achille nel prendere la tazza)
(Ingrato .
questi di poco amor egni non sono?)
CHILLE. ( o n ti sdegnar, beli' id o! mio: perd ono!)
Lrc MEDE. la! rechisi a Pirra
J' usata c tra. lei, eidamia , impo ni
che alle cord e so nore
la oce uni ca e la maestra mano:
tutto fara per te.
EID MIA. Pirra , se m'ami,
seconda il genitore.
ACHILLE. Tu il vuoi? Si faccia . (O h tirannia d'amore!)

n paggio gli pre enla la cetra: altri p ngono un edile da un de' lati,
a vi ta della mensa.

T EAGE E. (Tanto amor non comprendo .)


Uu SE. (Arcade, adesso è tempo: inten di?) (piano ad Arcade)
ARCADE. (piano ad li se) (Intendo.) (parte)
AcH ILLE . (canta, accompa nando i con la lira)
Se un core annodi,
e un'alma accendi,
che non pretendi,
tiranno Amor?
Vuoi che al potere
delle tue frodi
ceda il sapere,
ceda il al o r .
ATTO ECO DO 237

C RO. S un core an nodi,


se un ' a lma accendi,
che non pretendi,
tiranno Amor ?
ACHILLE . e in bia nche piume
d e' numi il nume
canori accenti
piegò talor;
se fr a gli armenti
m uggi ne,.Jetto,
fu s lo effett o
d el tuo r igar.
CORO. e un core annod i ,
se un' alma accendi,
ch e non pretend i,
ti ranno Amor?
A HILL E. De' tuoi seg uaci
s e a far s i vie ne,
sempre in tor mento
si t ra a u n cor;
e uoi che baci
le sue catene ,
che sia con tentv
d l uo dolor.
C R . S e un core annodi,
se un'alma acce nd i,
che non pretendi ,
tiranno Amor?
Al c mparir dei doni portati d 'se ua i di Uli e interrompe il canto
d'A ch ill e.
L te ~tE DE. Questi ch i son?
UussE . o n miei seguaci; e al piede
portan di Licomede
que ti, per ce nn m io. piccioli doni,
che d · ltaca recai . Lo stile usato
d· ospite non ingrato
XIV - ACill L LE I SCIRO

giusto è che sicgua anch 'io. Se tro p po osai,


il costume m'asso] a.
LICOMEDE. Eccede s gni
si generosa cura.
ACHI LLE. h iel, che miro!)
(av\·edendosi d'un'armatura, che venne fra' doni)
Lrco 1EDE. Mai non st tinse in Tiro
po rpora piu vivace . (ammira ndo le e ti)
T EAGE E, (ammiran 2.si) Itri finora
scuiL i vnsi io non vidi
di maai tcro egual.
EID MI . (ammirand le gemme) L 'eo m rina
non ha lucid gemme a l pa r li quelle.
CH lLL F:. Ah, chi vide finora armi piu belle!
(si leva, per andar a veder piu da iciuo le armi)
DElDAI\1IA. Pirra, che fai? Ritorna
agl'interrotti carmi.
A HILLE. (Che tormenlo crudele! ) (torna a sedere)
Dr DE TRO. All ' rmi! all'armi!
S'odt- grande strepito d'armi e òi stromenti militari . Tutti le vallO
paventati'· olo Achille r sta, s den in atlo ft::roce.
Lr co~rEDE.Qual tumulto è mai questo ?
ARCADE. (esce, simulando spavento) Ah ! corri Ulisse,
corri l 'i m pe to in sa no
de' tuoi seguac i a raiT re nar.
UussE. (fi nge ndo esser sorp r o) he avvenne?
ARCAD · . Non so per qual cagion fra lo r s'accese
e i custodi rea li
fero ce pugna. Ah! qui vedrai fra poco
lampeagiar mille spade.
EIDAMIA. Aita, O numi!
d ov corro a cela rmi? (parte intimorita)
TEAGENE. F rmati, principessa . (parte, seguendola)
DI DENTRO . All'armi! all'armi!
'ode strepito d 'armi. Licomede, snud:mdo la spada, corre al tumulto .
Fug e ognuno. Ulis e si ritira in d i parte con Arcade ad osservare Achille,
che si leva, gi invaso d'estro ~uerriero.
TTO EC D 239

CE A VIII

A CHILLE, e U L. l COn RCADE In parte.

ACIIILLE . 0\·e sa n? che asco lt ai ? r.. ti e n m fronte


le chi ome alleva r ! ua neb ia i lumi
ofTu canti mi Ya? Che fiamm · · q ue ta ,
onde sento avvamparmi?
Ah ! frenar no n mi poss : all'arm i! a ll'armi!
( 'incammina furi ;:;0, e poi si ferma, avvedendosi d'av r
in mano la cetra)
LI E. (Guarda lo. (J iano ad Arcade)
CHILLE. E questa cetr
dunque è 1'ar me d· chille? Ah! no; la so rte
altre n'offr , e pju d egn e. terra, a terra,
vile stromen o !
( etta l cetra e va ~tll 'a rmi, portate co' doni di Ulisse)
Ali 'onorato incarco
dello cud pesante
torni il braccio a vv ilito: (i mbraccia lo scudo)
in que t mano
Jampecrgi il ferro. (lmpugna la spad a)
Ah! ricomincio adesso
a ra vvisa r me stesso. Ah, fossi a fro nte
a mi lle squ adre e mi lle!
L!S E . E qual sa ra, se non è questo Achille? (pa!esat1dosi)
C HILLE. umi! li se, che dici?
0LISSE . Ani ma gr nde,
prole de' numi, in itto Achi ll e, alfine
lascia che al se n ti stringa . Eh! non è tempo
di fin ger pitL Si, tu la speme se i,
tu l'o n r dell a G recia,
tu dell'A sia il terr r. Perché reprimi
gl'impeti generosi
Xl - ACHILLE l SClRO

d el magnanimo cor? Son di te deoni:


seconù li, signor. Lo so, lo vecrgo,
ra/Trenar non ti puoi. ieni: io ti guido
alle palme, a' trofei . La Grecia armata
non a pet a he te. L ' Asia nemica
n on tre ma che al tuo nome. Andiam.
ACHILLE. (ri ol uto) Si, vengo.
Guìù ami dove vuoi ... Ma... (si fer ma )
UussE. Ch e t'arresta?
ACHILL E. E Deidamia?
UussE. E eidamia un giorno
ritornar ti edni cinto d 'allori
e piu d gno d ' more.
AcHILLE. E intanto ...
ULJSSE . E intanto,
che d'incend io di guerra
tutta av \·nmpa la terra, a tutti a coso,
qui lan g uir tu onesti in il ri oso?
Diri ~ l' t:i futura :
i ardano le mura
Diomcù e e. pugn ò; d'Etto re ottenne
Je spoglie Iùomeneo ; di Prìamo il trono
mi er tutto in fa ville
cenelo, Aiace ... E c he faceva Achille?
Achille in go nna avvolto,
traea, misto e epolto
fra le a ncelle di ciro, i giorni sui,
dormcnùo al suon del le fatiche altrui. -
Ah l non sia ve r. Dbtati alfine; menda
il gra ve error: piu non soffnr ch e al uno
ti miri in queste spoglie . Ah, se vedessi
qu a le oggetto ùi riso
con que ' fregi è un guerriero! fn questo scudo
lo puoi v d r. Guardati, chili . (gli le a l scudo)
immi:
ti riconosci? (p resen tan doglì lo scudo)
ATIO SECO DO

ACHTLLE. (lacerando le vesti) Oh ver<Yognosi, oh indegni


impacci del alor come finora
tollerar i po ei? Guidami Ulisse
l'armi a vestir. Fra que ti ceppi a into
piu non farmi penar.
ULISSE. Sieguimi. (Ho into.) (s'in camminano)

SCE A IX

EARCO e detti.

EA o. P i rra, Pi rra, o ve corri?


ACHILLE. (rivolaendosi con isdegno) Anima ile l
quel vergognoso nome
piu non t'e c da' labbri: i miei rossori
non farmi rammentar. (partendo)
EARCO . enti: tu parti?
E la tua principessa?
ACHILLE . (ri olaendosi) A lei dirai ...
ULJSSE. Achille andiam l
NEARCO. Che po!;so clirlP m~i?
A cHILLE . Dille che i consoli;
dille che m 'ami; e dille
che pan i fido Achille
che fido torn erà.
Che a' suoi begli occhi soli
vuo' che il mio cor si stempre;
che l' idol mio fu sempre,
che l' idol mio sani.
(parte con lisse ed Arcad e)

METASTASlo, Opi!ri! • JII. 16


XIV - ACHILLE JN SCIRO

SCENA X

NEARCO, poi DEIDAMJA.

EARCO. Eterni dèi, qual fulmine improvviso


strugge ogni mia speranza! O ve m ' ascondv,
se parte Achille? e chi di Teti all'ira
m'in o leni? Tanti sudori, oh stelle!
tant'arte, tanta cura ...
DEID MIA. Ov' è, Nearco,
il mio tesoro?
NEARCO. Ah! principessa, Achille
non è piu tuo.
DE rD:\1\HA. Che!
NEA RCO. T'abbandona.
DEIDAMIA. I tuoi
vani sospetll 10 gin conosco. Ognora
cosi mi torni a dir.
NE RCO. Volesse il ciclo
ch'or m'ingannassi. Ab! l'ha scoperto Ulisse,
l' ha sedotto, il rapisce.
DEIDA HA. E tu, 1earco,
cosi partir lo lasci? Ah, corri ! ah, vola! ...
Mi era me! Se nti. Son morta! Ah; troppo,
troppo il colpo è inumano!
Che fai? non parti?
NEARCO. Io partirò, ma invano. (parte)

SCE A XI

DEIDAMIA, poi TEAGENE.

DEIDAl\UA . Achille m'a bandona!


mi lascia Achil le ! E sani ero? E come,
come poté l' iugrato
ATT SECO DO 243

pensarlo solo e n o n mori r ? S on queste


le promesse di fede?
le protese d'amor? Cosi. .. a, intanto
eh' io mi tru(Ygo in quere e,
I'em io scioglie Je vele . Andiam: si tenti
di t rat enerl o . Il mio dolor capace
di riguardi or non è . adasi; e, quando
né pur questo mi giovi, almen ul lido
spirar mi egga, e parta poi l' infido .
TEAGENE. Am ta principessa.
DEIDA 11A. (con im azie nza) (Oh me infelice!
che inciampo è questo!)
TEAG ENE. Io del tuo cor vorrei
intender meglio . . .
D EIDA riA. Or non è tempo . (in atto di partire)
TEAGE ·E. (seguendol<1.) Ascolta .
DEIDA. IIA. Non posso.
TEAG E TE . Un solo istante.
DEIDA HA. impaziente) Oh numi !
TEAGE E. Alfine
mia sposa al nuovo giorno ...
DEIDAMIA . Ma, per picta, non m i venir d'intorno!
1\on ;:ed i , tira n no,
ch'io moro d'afTanno;
ch e bramo che in pace
mi lasci mori r?
che ho l 'a lma si oppressa,
che tutto mi spiace,
ch e qunsi me stessa
non posso so:ITrir? (parte)
244 XIV - ACHILLE IN SCIRO

CENA XII

TEAGENE solo.

Ma chi spiegar potrebbe


stravaganze si nuove? A che mi parla
Deidamia cosi? Delira o cerca
di farmi delirar? ogno? son desto?
Dove son mai? Che Jaberi nto è questo!
Disse il ver? parlò per gioco?
Mi confondo a' detti sui,
e commc1 a poco a poco
di me ste~so a dubitar.
Pianger fanno i pi an i altrui,
sospirar gli altrui sospiri ;
ben potrian gli altrui deliri
iosegnarmi a delirar. (parte)
T TERZ

CE l

Portici della reggia corrisponden i al mare.


Na i poco lontane dalla riva.

LI . ed CHILLE in abit militare.

ULISSE . Achille, or ti conosco . Oh, quanta parte


del maestoso tuo real s mbiante
defra udavan le v - ~ti! Ecco il guerriero ,
ecco l 'e roe. Ringiovanita al sole
esce cosi la nuova er ; e sembra ,

che altèra sia delle cambiate spoO'lie .


A H I LLE. Si, tua m ercé, gran duce, io torno in vita,
r e piro alfin; mn , qual da' lacci appena
disciolto prigionier dubito an cora
de Il mia li berta: l'ombre ho ugli occhi
del racch iuso soggiorno;
mi s ento il suon delle catene intorno.
LJS E. (Ed Arcade non i n! ) guardando in orno)
A cHILLE. on queste , Ulisse,
le navi tue?
ULI SE . i ; né superbe meno
an ran del peso lor, che quella d 'Argo
del suo non andò . Compensa assai
XIV- ACHILLE IN CIRO

di tanti eroi lo stuolo


e i tesor i di Frissb Achille solo.
A cHILLE . Dunque, che piu si tarda?
ULISSE. O la! n occhieri,
appressatevi a terra. {E pur non miro
Arcade ancora.) ~guardando intorno)
A HILLE. Ah , perché mai le sponde
del n mico Scamandro
queste n on son! Come s'emendi Achille,
hi si edni. Cancelleni le indegne
macch ie del nome mio di que ta front
l'onorato sud or; gli ozi di ciro
scuseni questa pada; e forse tanto
occuperò la fama
co' novelli trofei,
che parlar non potrei de' falli miei.
ULI SE. h sensi! oh voci! oh pentimento! oh ardori
degni d'Achille ! E si vole di tanto
frau dar la terra? E si sperò di Sdro
n eli' angusto recinto
celar furto si grande? Oh troppo ingiusta,
troppo timida ma re! E non previde
che a celar tanto fuoco
ogni arte è vana, ogni ritegno è poco?
Del terreno - nel concavo seno
vasto incendio e bolle ristretto,
a dispetto - del arcer indegno
con piu sdeo-no- gran strada si fa.
Fuo-ge allora; ma, in tanto che fugge,
crolla, ab atte, sovverte, di trugge
piani, monti, foreste e citta.
AcHILLE. Ecco i legni alla sponda:
lisse, io ti precedo. (s'incammina al mare)
ATTO TERZO

C A 11

A CA DE frettoloso e detti.

ULISSE. Arcade, oh quanto


tardi a venir!
AR DE. Partiam, signor, t'affretta ;
non ci arresti m.
ULI E. Che mai t'avvenne?
ARCADE. Andiamo :
tutto saprai.
LTLI sE. Ma con un cenno almeno . ..
A RCADE . Oh numi! ebbra d'amor, cieca di sdegno,
Deidamia i siegue . Io non potei
piu trattenerla, e la prevenni. (piano ad Ulisse)
ULISSE. Ah! questo
fiero assalto s'e iti.
ACH ILLE. (tornando i m ziente dalla riva del mare) Or che si attende ?
ULI E. Eccomi.
A HILLE. turbato,
Ar ade? he re asti?
A ·c DE. · · uila.
ULlSSE. Partiam.
A CB.JLLE . (ad Arcad e) Ma che vuol dir quel tanto
volgerti indietro e rimirar? Che tem i?
Parla.
ULISSE. {Oh stelle!)
ARCADE. Signor ... Temo ... Potrebbe
il re saper la no tra
partenza inaspettata ,
ed a forza impedirla.
ACHILLE. A forza? Io sono
dunque suo prigionier; dunque pretende ...
ULISSE. No; ma è saggio consiglio
fuggir gl'inciampi. (vuol prenderlo per mano)
XIV - ACHILLE IN CIRO

ACHILLE. (scostandosi) A me fuggir l


ULISSE . Tronchiamo
le inutili dimore. Al mare, al mare ,
or che l'onde ha tranquille.
(lo prende per la mano e seco s'incammina)

CE A III

D e d tti.

EIDA HA. chille, ah! do e vai? F érmati, A hille


( chille si rivolge, ede Deidamia, e 'arre tano entram i,
g uardand si att tamente enza parlare)
L SE. (Or si eh ' io mi sgomento!) (avendo lasciato Achille)
R CA E. (E la loria e l'a more ecco a imento.)
EIDA HA. Barb ro! è d un ue er ? (con pa sion , ma senz sdegno)
Dunque lasciar mi vuoi?
ULIS (piano ad Achille) ( e a lei rispondi
e1 into .)
C HlLLE. (a Ulisse) (Ta erò. )
EIDA 1IA. Questa, o crudele ,
questa bella mercede
serba i a tanto amore ? Alma i atroce
celò uel dolce aspetto? n ate adesso ,
credule amanti! alle prom sse altrui
date pur fé ! Quel traditor poc 'anzi
mi giurava costanza: in un momento
tutto pose in o bblio;
parte, mi lascia, e senza dirmi addio .
ACHILLE . Ah!
ARC DE. ( o n resiste. )
DEIDA n E qual cagion ti rese
mio nemico in un pun to? Io c 1e ti feci?
isera me! di qual delitto è pena
que 'odio tuo?
ATTO T RZ 249

CHILLE. No , princi pessa ...


L ISSE. Achille !
CHTLLE. Due so i accenti . ( d Ulisse)
ULI s . (Aimè !)
CHI LLE. o, principessa ,
non son, qual tu mi chiami ,
traditore o nem ico. E erna fede
giurai : la serberò. Le ge 'onore
mi toglie a te; ma tornerò piu degno
de' cari affetti tuoi. 'io parto e taccio,
o io n n è né s eu no,
ma ti more e pieta: pieta del tuo
tro ppo vivo dolor ; téma del mio
alor poco sicu ro. U no p revidi;
non mi fi ai dell'altro. I so che m'ami,
cara , piu di te stessa; io sento ...
ULI E. Achillei
CHILLE . Eccomi !
A RCADE. (E pur no n viene .)
ACHILLE. Io sento m petto ...
DEIDAMI on piu : troppo, lo veggo,
trop po trascor i. Al gran e amor perdona
. 1 ,e,
' .. . ..;-...
L · p ri.1. c •er: ·e stesso
. . ......
cn111e
deve alla G reci , al mon o
ed all e glorie sue . Va'; non pretendo
d' interrompernc il corso : avrai seguaci
gli affetti, i voti miei. Ila, g ia ch' io deggio
restar senza di te , sia meno atroce ,
sia men subito il colpo. Abbi la mia
vacill a nte virtu t mpo a raccòrre
le forze sue. Chied un sol gior no; e poi
v attene in pace. Ah . non si n ieiYa a ' rei
tan to spazio a morir: temer degg' io
ch'abbia a negarsi a m e?
ARCADE . (Se un giorno ottiene,
tutto atterra. )
XI V - ACHILLE IN SCIRO

DEIDAMIA. Pensi? non parli? e fisse


tieni le luci al suol?
AcHILLE. Che dici, Ulisse?
(ad Ulisse, quasi con timore)
LISSE . Che, signor di te stesso,
puot partir, puoi restar ; che a me non lice
premer piu questo suolo;
che a enir ti ri olva, o parto solo.
ACHILLE. (Che angustia!)
ElDAMlA. E ben, rispondi.
A HILLE. Io resterei,
ma... udisti? (accennandole Ulisse)
t:JLISSE E ben, risol L
ACHILLE. Io verrei teco,
ma... vedi? (accennandogli Deidamia)
DElDA HA. Eh! gia comprendo:
gia di partir se aliesti.
Va' ingrato! Adùio! (mostrando partire)
A HTLLE. (seguendola) Ferma, Deidamia!
ULIS E. Intendo:
hai la dimora eletta.
Resta, imbelle! io ti lascio. (mo trando partire)
ACHILLE . Ulisse, aspetta !
El DAMI A. Che vuoi?
ULIS Che brami?
ACI-HL E. A compiacerti ...
(a Deidamia, poi da sé)
(Oh stelle!
è debolezza.) (a li se) seguitarti... (Oh numi!
è cru elta.) Si, ma la gloria esige . ..
o, l'amor mio non soffre ... Oh gloria! oh amore!
ARCADE. (È dubbio ancor chi incera qu l core.)
EID u . E ben, giacché ti costa
i picciola pieta pena si grande ,
piu non la chiedo. Or da te voglio un dono
che · piu e no di te. Parti; ma rima
ATTO TERZO

quel glorioso acciaro


immergi in que to en. L'opra pietosa
gio a ad entrambi. Ad av ezzarti, Achille
tu cominci a le s rag i; io fugao almeno
un più l un ero morir. Tu Ueto vai:
senz'aver chi t' arresi; io son contenta
c 1e quella destra amata
arbitra di mia sor e,
se vita mi niegò, mi dia la morte. (piange)
ARCADE. (lo cederei . )
DE.IDA HA. L'ultimo dono ...
ACHILLE. Ah! taci;
ah! non pianger , mm ita . Ulisse, ormai
l'opporsi è tirannia .
ULl S E. Lo veCYgo.
A HILLE. Alfine
non chiede che un sol giorno . Un giorno solo
ben puoi donarmi.
LIS E. h! questo no. Men vado
d'Achille a' duci a rgivi
le glorie a raccontar. Da me sapranno
qual nobile sudor le macchie indegn e
la i dei nome suo; quai scuse illustri
fa degli ozi di ciro
gia la tua spada; e di qual serie augusta
a per te di trofei la fama onusta.
A CHILLE. Ma valor non i perde ...
UussE. Eh! di al ore
piu non parlar. Spo:, lia quell'armi; a Pirra
non sarian cbe d'impaccio.
(ai detti mordaci di Uli e, chille si turba, s'accende
sdegnasi per gradi)
Olci ! rendete
la gonna al nostro eroe . Riposi ormai,
ché sotto l' elmo ha gia sudato assai.
ARCADE . (Vuol destarlo e lo punge.)
XI - ACHILLE IN CIRO

ACH ILLE . lo Pirra! Oh dèi!


La gonna a me! (ad Ul i e)
ULISSE. No? D 'animo irile
desti gran prova inver. Non sei capace
di vincere un affetto.
AcHJ LE. Ah! meglio impara
a cono cere Achille. Andiam! (ri luto)
DEIDA n . i lasci?
ACHILLE.
.,
l.

D EIDA. UJ . Com
ACHILLE. Ali' o n or mio
è fun e to il restar; Deidamia, addio.
Achille parte risoluto ed ascende il pont della nave, dove poi s'ar-
re ta. Uli se d Are. de il van eg uendo: eidamia rimane alcun tempo
immobile.
AR CADE. ( enti lo prone .)
ULISSE. (E pur non son icuro.)
DEIDAMIA. Ah, perfido! ah, sper iuro!
barbaro! tra itor! Pnrti? E son questi
gli ultimi tuoi congedi? O s'intese
ti rannia piu rude! ! Va', ellerato!
a' pur , fuggi da me: l'ira de' numi
non fuggirai. e v'è giustizia in cielo,
se v'è piet.a, congiureranno a gar a
tutti, tutti a unirti. Ombra eguace,
pre e nte o unque sei
vedrò le mie endette. Io gja le go o
immagi nan do: i fulmini ti veggo
gia balenar d'intorno ... A ! no, ferm ate,
vindìci dèi. Di tanto rror se al cuno
forza è che paghi il fio,
ri parmìate quel cor ; ferite il mio.
' o-Ii ha un' alma si fiera,
ei non è piu ual era, io on qual fui :
per lui v i a; orrlio mori r per lui.
( ie ne sopra un sasso)
ATTO TERZO 253

AcHILLE. Lasciamj ! (ad Ulisse)


ULlSSE. Do ve corri?
A cHILLE. A D eidamia in aiuto.
UussE. Ah! dunque . . .
A HILLE. E spen
ch'io l'abban om m questo stato?
ULIS E. È quest
di valore una prova .
ACHILLE. (sde.,.no ) Eh! tu pretenru
prove di crude] a, non di lore.
Scòstati , Uli se!
( i fa strad con impeto e corre a Deidamia}
ARCADE. (Ha trion fato Amore.)
ACH ILLE. Principessa! en mio! senti mi! Oh numi!
l ' infelic non ode . Apri le luci,
guardami; Achille è teco .
ULISSE. Arcade, il tempo
di sperar piu vittoria ora non pa rmi .
Cediamo il ca mpo: adopreremo altr'arm i.
(p rte con Arcade, noo veduto da Achille)

IV

CHILLE, DElD MI , poi EARCO.

D EIDAMI . Aimè!
A CHILLE. Lode agli dèi,
co mincia a respirar. No, m1a speranza,
Achille non parti.
DEIDAMIA. ei tu? m 'inganno?
Che vuoi?
ACHILLE. Pace, cor mio.
DEIDAMIA. Pote ti , ingrato ,
negar mi un giorno solo! Ed or . . .
AcHILLE. Non fui
254 XIV - ACHILLE 1.. SCIRO

io che m'opposi; eccoti il reo ... Ma ... come!


Non veggo Ulisse! Ah! mi lasciò ...
NEARco. Se cerchi
d'Uiisse, e i corre al r : dal re ti vuole,
or che scoperto sei.
D EIDAl\1IA. (s'alza da t de re) Questa entura
sol manca\•a fra tante . Ecco alese
al padre il nostro arcano.
NEARCO. Infino ad ora
nascos o non g i fu. Giéi Teagene
cercò de' tuoi trasporti,
ritro\ ò la cagione: al re sen corse,
ed ancora è con lui.
DElDA n Misera! oh dèi,
che fia di me! e m'abbandoni, Achille,
a chi ricorrerò?
AcHILLE. Ch'io t'ab andoni
in periCYlio si g rand l Ah! no: sar(bbe
fra le imprese d'Achille
la prima una ill<i. i sicura:
la eia pur di tua sorte a me la ura.
Tornate sereni,
egli astri d'amore:
la speme balen i
fra il vostro dolore:
se mesti CYirate,
mi fate morir .
Oh Dio! lo sapete,
oi soli al mio core,
voi date e togli te
la forza e l' ardir . (parte)
TTO TERZ 255

CE A V

DEI D :JIA e EARCO .

OElDA nA. earco, io tremo: ah! m1 consola.


EARCO. E come
consolarti poss' io, se so n pi · oppresso,
piti confuso di te?
DEID n umi c ementi,
se puri, se innocenti
fu ron g li affetti miei, o i di si a e
questo nembo crude!: oi gl'inspiraste;
pro eggetcli \ oi. Se colpa è amore ,
si, lo co nfesso, e rrai;
ma grande è la mia scusa: Achille amai.
Ch i può dir che rea son io,
gu rùi in volto ali' idol mi o,
e le scu e d el mio core
da quel vol to intendera:
da quel volto, in cui ripose,
f~ustc il ciel, benigno .. 1.n1crc
tante cifre lumino se
di valore e di belta . (parte)

SCEN I

NEARCO solo.

Di tue cure felici


or va', l earco, insuperbisci. A Teti
di' che il feroce Achille
sape ti moderar. Vanta gH s altri
lusinghieri discorsi; ostenta i molli
XIV - ACHlL..LE I 'CIRO

piacevoli consigli. Ecco perduti


gli accorgimenti e l'arti. 11 solo Ulisse
tutto a scompor bastò. Qual astro infì.do
fu mai quel che lo scòrse a questo lido!
Cedo alla sor e
gli allori estremi;
non on piu forte
per contrastar.
emico è il vento,
l'onda è infedele;
non ho iti remi,
non ho iti vele;
e a uo talento
mi porta il mar . (parte)

se NA n
Reggia .

LICOMEDE, A HIL..LE, TEAGENE, con numeroso corteggio.

AcHILLE . Né di risposta ancora


Licomede mi deo-na?
TEAGENE . È troppo orm i,
gran re, lun g il silenzio. I rieghi miei,
le richieste d'A chille
soddisfa al.fìn . Che ti sosp nde? È forse
la fé che a me don asti? Ah! non on io
tanto incognito a me, che oppormi ardisca
a si grande imeneo. So quanto il mondo
debba quindi a pettar; ggo che in cielo
si preparò: tant icencte in ieme
non tes e mai senz mist ro il a to.
Che sdegnar ti potria? L'amor? Ma quando
fu col a in cor gentile
ATTO TERZO 257

un innocente amor? L ' inganno? È Teti


la rea: gia fu punita. Ella in tal guisa
celare ad ogni ci glio
il figlio olle, e fe' palese il figlio.
Oh , come al nodo illustre
la terra esultera, che mai non vide
tanto valor, tanta bellezza e tante
virtudi unir! Qual di tai sposi il cielo
cura non prendera, se ne deriva
l'uno e l'altro egualmente! E quai nipoti
attenderne dovrai, se tutti eroi
furon gli avi d'Achille e gli avi tuoi!
ACHILLE . (Chi mai sperato avrebbe
in Teagene il mio sostegno!)
LICOMEDE. Achille,
si grande questo nome
suona nel! 'alma mia, che usurpa il loco
a tutt'altro pensier. Che dir poss' io
del! ' imeneo richi esto? Il generoso
Teagene l 'applaude, il ciel lo vuole,
tu lo domandi: io lo consento. Ammiro
si strani eventi; e, rispettoso, in loro
rlP.l C'onsi gl io im morta l gl i ordini adoro .
ACHILLE. h, Licomede! ... Ah Teagene! ... Andate
la mia sposa, il mio bene ,
custod i, ad affrettar.
(a Teagene) Principe, oh quanto,
qua nto ti deggio mai! Padre , signore,
come a i caro dono
grato potrò mostrar mi?
LICOMEDE. A Licomede
l'esser padre a tal figlio è gran mercede.
Or che mio figlio sei,
sfido il destin nemico;
sento degli anni miei
il peso alleggerir.

METASTASIO, Opl're- 111. 17


2 8 XIV - ACHILLE IN SCIRO

Cosi chi a tronco antico


florido ramo innesta,
nella natia fore ta
lo vede rifiorir.

SCE A ULTIMA

ULI SE, poi DEm HA, e detti ; indi tutti.

AcHILLE. Ah! vieni, Uli se . I miei felici eventi


sapesti forse?
ULJ SE. Assai diversa ura
qui mi conduce. Eccelso re, con iene
che, d posto ogni velo, alfin t'esponga
della Grecia il voler. appi . ..
Lrc o moE. Gia tutto
mi è n to : a parte a parte alle richieste
risponderò.
A c HJ LLE . (inc ntrand la ) Mia cara sposa, alfine
giunge ti pur. on tel diss' io? La sorte
non cambiò di embianza?
DEID MIA. (inginocch iandosi) A' piedi tuoi,
mio re, mio genitor . . .
LJCO 1EDE. Sorgi . (D idamia i alza)
È o erchio
ciò che 1r m1 vorresti. Io gia de' fati
tutto l' rdine intendo. Una gran lite
compor bisogna; a me s'aspetta: udite.
Tutto del cor d ' Achille
l'impero ad usurpar puo-nano a gara
e la gloria e l 'amor. Que to capace
sol di teneri aff tti , e quella il vuole
tutto sdegni guerrieri. Ingiu ti entrambi,
ch iedon soverchìo. E che sareb Jisse,
il nostro eroe e respirasse ognora
ATTO TERZO 259

1ra e furor? Qual di errebbe, o figlia


se languir i ede e
empre in cure d amor? Do e lo chiama
la tromba eccitatrice,
ada , ma sposo tuo. Ti torni al fianco ,
ma cinto di trofei. Co' uoi riposi
del sudor i ristori,
e col sudore i suoi riposi onori.
ACHILLE. Spo a, Ulis e, che dite?
DEJDA H Alle paterne
giu te leggi m'accheto.
Uu E. Lieta il saggio decreto
ammirera la Grecia.
AcHI LLE. Or non mi resta
che desiar.
LICOMEDE. Gl' illu tri posi unisca
il bramato da !or laccio tenac ;
e la gloria e l'amor tornino in pace .
CORO . Ecco, felici amanti,
ecco Imeneo gia scende :
gia la sua face accende,
piega il purpureo vel.
E cc a recar n viene
amabili catene,
a voi, per man d ' numi,
g ia fab bricate in ciel.
260 Xl V - AC H l LL fL IN SC IR O

Mentre canta i il coro che precede, scendeni dall 'alto denso globo di
nuvol , che prima in ombreni, dii tando i, gran parte della reggia, e sco-
pr1ni poi ag\i pettatori il lumino o tempio della Glor·la, tutto adornato
de' simulacri d i coloro ch'ella rese immortali. Si vedranno in aria in-
nanzi al tempio mede imo la GLORI , MORE ed il TE tPO, ed in sito
men sollevato numerose schiere di !or seguaci.

La GLORIA, AMORE ed il TEMPO.

LA GLORIA. E quale a me vi guida,


rivali dèi, nuova cagione? Amore,
che a sedurmi i segu~ci
sempre pen ò; 1' invido Tempo, inte o
ad oscurarmi ognor, come in un punto
cambia costume , e l'uno e l'altro amico
orma in volto non ha dell'odio antico!
IL TE tPo. o n v'è piu degno in cielo.
AMORE. A' numi ancora
qu esta lucida aurora
m essaggiera è d i pace. Oggi dell' Istro
su la spond~ real l'anime auguste
di Tere a e Francesco
stringe nodo immortale. pra è d ' more
la fiamma lor; ma di si bella fiamma
deggio i principi a te. Ba tar potea
quella ola a destarla, onde son cinte,
maestosa belta; ma trarla io volli
da fonti piu sublimi. AgH alti sposi
le scam bie oli e p
proprie glorie ed avite e le comuni
vive brame d'onor. 'anime grandi
i amminiro n icenda, e sé ciascuna
nell'altra ravvisò. Le rese amanti
tal somiglianza . Indi in entrambe more
fu cag1one d effetto; in queDa gui a
ATTO TER ZO 26 1

che il moto ond'arde e plende


face a face congiu nta, acquista e rende.
Ah. mentre il fuoco mio,
se alimen to ha da te, tanto pre ale
tuo seguace son io , non t1.1o ri ale .
IL T EMPO. Né me, de degli er oi,
tuo nemico chiamar. Co me oscurarti
dopo un tale imeneo? u ' grandi esempi
e di Carlo e d' Elisa i reo-i sposi
formar se stessi . r che g li accoppia il cielo
propagheran ne' figli
le cesaree irtu. Qual om bra opporre
a tanto lume? Ah l non lo bramo: a ltèro
so n d 'esser vinto. " ' eco li enturi
dian nome i grandi e redi. Io della loro
inesti nguibil lode
farò te oro e ne sarò custode.
LA GLORIA. Giunse dunque una volta il di feli ce,
di cui mnto nel ciel o
si ragionò? che le speranze accogl ie
di tanti re o-n i, e che precorso a r ri a
da tanti o ti? O h lieto di ! Cor riamo ,
amici dè ', della ~ stiva reg,)a
ad accrescer la pompa. Unir conviene
a pro de' chiari sposi
tutte le nostre cure .
AMORE. A l nobil fuoco,
che in lor destai, somm inistrar vogl' io
sempr n uovo alimento.
IL TEMPO. Io d e' lor anni
lungh issimo e tranquillo
il corso reggerò.
AMORE. Per me d ' eroi
il talamo reale
sarei fecondo.
IL TEMPO. Io serberò gli esempi
XIV - ACHILLE l SCIRO

degli ata vi remoti


a1 piu tardi nipoti .
LA GLORIA. Io fui di quelli,
10 di questi sarò compagna e duce:
tutti i lor nomi io estirò di luce.
TUTTI TRE . Tutti venùe, o dèi,
il nodo a ce\ebrar,
i dolci ad affrettar
bramati istanti.
CORO. Ecco, felici amanti,
ecco Imeneo gia scende:
o-ia la sua face accende,
spiega il purpureo vel.
TUTTI. Ecco a recar sen iene
le amabili catene,
a voi, per man de' numi ,
gia fabbricate in ciel .
x
IRO RIC O CH TO
Rappresentato, con musica del C LDARA, la prima volta nel giardino del-
l' imperia! Favorita, alla presenza degli augustissimi sovranj, il di 28
agosto 1736, per festeggiare il giorno di nascita dell'imperatrice Elisa-
betta, d'ordine dell ' imperator Carlo sesto.
ARG I T

Il crudeli simo • stiag , ultimo re de' medi, in occa ione del


parto della sua fi gliuola Mandane, dimandò piegazione agl' indo-
vini s pra alcun u so n , e gli fu da lo ro predetto che il nato
ni pote d ovea pri varlo del regno: ond'e li, per pre enir que to
rischio, ordi nò ad Arpa o che uccidesse il picciolo Ciro (ché tal
era il nome del nato infante ), e divi e 1\'I and an e dal con
Ca mbi e, rilegando que to in Per ia e rite nendo l'a ltra appre o
di é, affinché n o n na ce s r da loro, in ieme con altr i fi •li , nuove
cagioni a' uoi timori. Arpao-o, no n avendo coraggio di ese uir
di propria mano co i ba rb aro comand , re ò nascos ta mente il
bambino a 1itridate, pa tore de li armenti reali, perché l'esp -
n s e in un bo co. Trovò che la con o rte di Mitridate avea, in
quel o-iorno appunto, pa rtorito un fanciullo, ma s enza vita; onde
la natura! pie ta, secondata dal comodo d el cam bio persua e ad
ntrambi che . litri te espone e il proprio fi liu olo o-ia morto,
ed il picciol Ciro, otto nome d ' lceo, in ab ito d i pa tore, in luogo
di quello, edu casse. co rsi da questo tempo presso a tre lus tri,
de tos i una voce he Ciro ritrovato in una fore ta bambin ,
fosse stato dalla pi eta d' alcu no co nservato e che fra o-li citi
vrve s e . i fu impostore cosi a rdito che , approfitta ndo i di questa
favola o a ven dola fo r e a beli studio in ven ta ta assunse il nome
di Ciro. Turbato stiage a ta l n velia, fece a é enire Arpago,
dimandollo di nuovo se aves egli v ramente ucciso il pie-
d olo Cir , quando o-J i fu impo to da lui. rpago, che dagli esterni
egni avea ra g ion di perare ch e fo se pentito il re , stimò questa
un 'opportuna o cca ion e di tentar l' a nimo uo; e ri pose di non
avere a vuto oraggio d'ucciderlo, ma d'a erlo esposto in un bo-
sco: preparato a scoprir tutto il vero, quando il re s i compiaces e
della sua pietosa di ubbidienza, e sicuro frattanto che, quando
266 XV -CIRO RICONOSCIUTO

e ne degnasse, non potean cadere i suoi furori che s ul finto


Ciro, di cui con questa dimezzata co nfe si one accreditava l ' impo~
stura. d egnassi A tiag , ed in pena del traso-redito comando privò
rpa o d 'un figlio, e co n i barbare circo ·tanze, che, non essendo
neces arie al! 'azione che s i rapp re e nta trascu riamo vole nti ri di
ramme nlarle. Senti trafig er. i il cuore l'infelice Arpago n ella per-
dita del fi li o; ma pure, avido di ndetta non lasciò d i liberta
alle ma ni e paterne, se non quanta ne bi ogna a pe rch é la o-
verchia t ranquillita non iscema: e cr denza alla sua simulata ras-
segn azio ne. Fece credere a l re che nelle lagrime u ave. e parte
ma giore il pentim ent o del fallo che il d lor del castigo; e ras-
icurollo a s gno che, e non gl i rese interamente la confidenza
primiera, almeno non si guardava da lui. Inc minciarono quindi
Arpa o a meditar le sue vendette, ed Astiage le vie d 'assicu -
rarsi il trono con l'oppres ione del creduto nipote. Il primo i
applicò a sedurre, ad irritare i g randi contro del re e ad ecci-
tare il principe Cambi e fino in Per ia, d e iveva in silio; il
econdo a imular pentimento della ua crudelta u ata contro di
Ciro, tenerezza per lui, d esiderio di ri vede rl o risoluzione di ri-
cono cerio p r suo ucce sore . Ed all'un ed all'altro riusci cosi
felicemente il di e no, che non man a'a ormai che lo stabilimento
del giorno e d el luogo, ad Arpago per opprimere il tira n no con
l'acclamazione del vero Ciro ad stiage per av r nelle ue ~ rze
il troppo credulo impo tore col mezz d'un fraudolento in ito.
Era costume d 'rt:! d i M dia il celebrar gni a nn o su ' confini d l
regno (d o 'erano ap punto le apanne di Mitridate) un s lenn
sacrifizio a Diana. Il giorno ed il lu ogo di tal sa rifizio (che
aran quelli dell'azione ch e si rap pre e nta) parvero ad entrambi
opportuni all'esecuzione de' loro di egni. lvi per ari accide nti
ucciso il finto Ci ro, co perto ed acclamato il vero, si vide A tiage
a sai vicino a perdere j) regno e la vita; ma , difeso dal generoso
nipote, pieno di rimorso e d i tenerezza, d pon sulla front d i
lui il diadema reale e lo conforta sul proprio e mpio a non abu-
arne, com' egli ne avea abu ato.
(ER OD OTO Clio, lib. I ; G IUSTINO li b. r ; CrESTA, H ist. exce1jd.;
VALE R IO MASSIMO, 1, 7, ecc.).
I T RLOC T RI

AsTIAGE, re de' medi, padre di Mandane.


MANDA E, mo lie di Cambi e, madre di Ciro.
CJ RO, otto nome d' Alceo, in abito di pa tore, creduto figlio di
Mitric.late .
RPAGO, confidente d'A tiage padr d'Arpalice.
ARPALICE, confidente di Mandane.
1ITRIDATE, pastore degli armenti reali .
CAMBI E, principe persiano, con orte di 1andane e pac:re di Ciro,
in abito pa torale.

L'azione si rap pre enta in una campagna su' confini della 1edia.
ATTO PRIMO

CENA I

Campagna su' confini della Media, par a di pochi alberi, ma tutta


inuombrata di num erose tende per comodo d' TIAG& e della sua corte.
Da un lato gran padiglione aperto, dall 'a ltr steccati per le guardie reali.

{ D E eduta e ARPALICE.

MANDANE , Ma di': non è quel bosco (con impazienza)


della Media il confine?
ARPALICE. È quello .
MANDANE. I! loco
questo non è, dove all a dea triforme
ogni anno Astia ge ad immolar r itorna
le vitti me votive ?
ARPALICE. Appunto.
1ANDA E . E scelto
questo di, questo loco
non fu dal genirore al primo incontro
del ritro vato Ciro?
A RPALICE. E ben, p er questo
ch e m1 vuo1 dir?
MA DANE . Ch e vogl io dirti? E dove
que sto Ciro s'a co nde?
Che fa? perché non iene?
ARPALICE. Eh! principessa,
l'ore corro n p i u lente
270 XV - CIRO RICON CIUTO

che il materno de io. Sai che prescritta


del tuo Ciro aJI'arrivo è l'ora istessa
del acrifizio. Alla notturua dea
immolar non si vuole
pria che il sol non tramonti; e or nasce il sole.
MA DA E. È ver; ma non dovrebbe
il figlio impaziente.. . h! eh' io pavento ...
Arpalice ...
ARPALICE. E di che, se Astiage istesso,
che lo voleva estinto, oggi il suo Ciro
ch iama att nd , sospira?
MANO E. E non potrebbe
fi nger co i?
ARPALICE. inger! Che dici? E uoi
che di tanti spergiuri
si faccia reo? che ad ingannarlo il tempo
scelga d'un sacrifizio, e far pretenda
del tradimento uo complici i numi?
No: col cielo in tal guisa
non si scherza, o Mandane.
MA DA L E. E pur, se fede
prestar si dee ... Ma chi s'appr ssa? Ah! corri ...
Forse Ciro ...
ARPALICE. una ninfa.
MANDA E. È er. Che pena!
ARP LICE . (Tutto Ciro le sembra.) E ben?
MA DA E. e fede
meritan pur le immaaini notturne,
odi qual fiero sogno ...
ARPALICE. Ah! non parlanni
di sogni, o principe sa: è di te indegna
i pueril credulita. Tu déi
piu d'ognun detestarla. Un sogno, il ai,
fu cagion de' tuoi mali. Tn sogno il padre
vide nascer da te l'arbor che tutta
l'Asia copria: n ebbe timor; ne ol1e
ATTO PRI 10 2 l

interpreti que' saggi, il cu1 sapere


ta nel no tro ig norar. Questi, ogni fallo
usi a lodar ne' grandi, il su timore
chiamar prudenza, ed affermar che un fi~Yiio
n ascerebbe da te, che il trono a lui
dovea rapir. asce il tuo Ciro , e a morte,
oh barbara follia!
s u la fede d'un sogno il re l'invia.
· é gl i bastò . Perché mai piu non fos e
il tala mo fecondo
a te di prole e di timori a lui,
e ule il tuo consorte
scaccia lun!Yi da te . edi a qual segno
può acciecar questa in ana
vergogno a credenza .
fA DA . E . Eh. non è sogno
che ormai l'ottava mese
due volte germogliò, da che perdei,
na to appena, il mio Ciro . Oggi l'attendo,
e mi sp ri tranq uilla?
ARPALICE. In te credei
piu moderato almeno
questo materno a mor. Perdesti il fi glio
nel partorirlo, ed il terz'anno appe na
compievi allora oltre il secondo lustro:
in quella eta s 'imprime
leggiermente og ni a ffetto .
MA4IDANE. h! non sei madre;
pe rciò ... l\1a non è quello
Arpago, il padre tuo? i. Forse ei viene .. .
Ar pago ...
272 X - CIR RICO OSCIUTO

SCENA Il

ARPAGO e dette.

ARPAG Principessa
è o-iunto il figlio tuo .
MANDA E. ( 'alza) Dov ' è?
ARPAGO. on osa
pas ar del regno oltre il confìn, in tanto
che il re non vien. uesta è la legge.
M ANDA E . Andiamo ,
andiamo a lui. (incamminandosi )
ARPAG F rm , Ianda ne : il padre
vuoi esser teco a l g rande incontro.
MA DA E. E il padre
quando verra?
ARPAG Gia inca m min ssi.
MANDA E . Alm e no
rpago, va '; ritrova iro ...
ARPAG Io d o-gio
qui rimaner finché il re enga .
MANDANE. Amica
rpalice, se m'ami,
v ' tu . (Fel ice m e!) Pre so a quel bosco
gli sara.
A RPALICE . Volo a se virti. olendo partire)
M D ·E . scelta.
Esattamente os erva
l 'aria, la voce, i moti suoi· se in volto
ha piu la madre o il genitor. Va', corri ,
e a me torna di volo .. . Odi mi : i suoi
casi domanda, i miei gli narra, c digli
eh 'egli · ... eh io sono ... Oh dèi.
i gli quel che non dico e dir \·or rei.
T O P JMO

ARPALI E. Basta cosi ' inte ndo :


gia ti pu: i a p ieno,
e mi dire ti meno,
e mi dic i pm .
. eo-lio parlar tacendo :
dir molto in pochi detti
de io len i affetti
è s !Ha virtu. (parte)

CEN III

MA DA ' E e RPAGO .

M AND A E . Ed Astiage non iene ! rpaCYo, 10 vado


ad a ffrettarlo. A h , fosse
il mio sposo presente. Oh Di , q ua l pena
sani per lui, nel do oroso esiglio,
saper trovato il figlio,
non poteri o eder! Tutte figu ro
le smanie sue; gli sto nel cor.
ARP G . Mandane
odi : taci il s greto e ti consola.
a mbise oggi vedrai.
MANDA E . Cambise! E come?
ARPAGO . Di piu non posso di rti.
1 NDA E . h! mi lusinghi ,
Arpago.
ARPAGO . o: sulla mia fé riposa:
tel g iuro, oggi il vedrai.
MANDANE. Vedrò lo sposo ?
l'unico, il primo oggetto
del tenero a mor mio, che gia tre lustri
piansi m ano e chiamai?
ARPAGO. Si.
MANDANE . umi eterni ,

METASTASIO, Opere- Ili.


274 XV- CIRO RICO OSCIUTO

che impetuoso è questo


torrente di contenti. Oh .figlio! oh sposo !
oh me felice! Arpago, amico, io sono
fuor di me stes ; e nel contento tremo
per soverchio piac r lagrimo e remo .
Par che di o-iubilo
l'alma deliri,
par che mi manchino
quasi i re piri,
cbe fuor del 1 tto
mi balzi il cor.
Quant è più facile
che un gran diletto
giunga ad uccidere
che un gran d lor! (parte)

SCENA IV

ARPAGO solo.

Sicuro è il colpo. Ogo-i farò palese


il vero occulto Ciro; oggi il tiranno
del sacrifizio atte o
la ittima sani. Con tanta cura
lo sùegn mio di simulai che il folle
non diffida di me. Sed otti sono,
fuor che pocl'i eu todi,
tutti i suoi piu fedeli: in fin Cambise
del disegno avvertii. Potete alfine,
ire mie, scintilla r: fuo- ite ormai
da l carcere del or; offriste a· ai .
ia l'idea del giu to scempio
mi ra pisce, mi diletta;
gia, pen anelo alla endetta,
mi com inci a vendicar .
ATTO PRU. O

G a quel ba rb ro , quell'empio
fa di angue il uol vermiglio;
ed il s a nrrue del mio fi~lio
gia si sen te rinfa cci ar. (p rte)

CE \
Parte intero della capanna abitata da ~11TR1l>ATE con porta in faccia,
che u nicamente ' introd uce.

CIR e :\1ITRID TE .

IRO . Come! 10 so n Ciro ? e quanti


Ciri 1 so n? Gia ul confin del regno
sai pur che un Ci ro è gi unto. Il re non venne
per incentrarlo?
MITRIDATE . Il re s' in <Yan na. È quello
un fi nto Ciro: il er tu se1.
CIRO. L' arcano
m eglio mi spiega: io n on l'intendo.
M1TRIDATE. Ascol ta.
og nò Astiage una olta ...
CIRO . Io o lui
il sogno ed il timor; de' aggi suoi
so il barbaro con sigl io; il n ato iro
so che ad Arpa <ro diessi; e so ...
MITRIDAT E. Non darti
si gran fretta, o signor. Quindi incomincia
qu e l che appunto non ai: sentil o . Il fiero
cenno n o n ebbe core
Arpago d'eseguir . ~ra gli ostri in vol to,
t imido a me ti r eca ...
C !RO. E tu nel bosco ...
M rrRIDATE. No; lascia ch'io finisca. (Oh impaziente
giova ne eta!) La mi a consorte a"ea
un bambin senza vita
X -CIRO RiCONOSCIUTO

partorito m quel di. Proposi il cambio :


piacque. Te per mio figlio
sotto nome d'Alce o serbo, ed espongo
l' estinto in vece tua.
IRO. Dunque ...
MrrRIDATE. Non vuoi
eh' io siegua? Addio.
CIRO. Si, i, perdona.
MITRIDATE. Il cenno
credé compiuto il re. P nso v1, e , sciolto
dal suo timor, ide il suo fallo, intese
el sangue i moti, e fra i rimorsi uoi
pace piu non a ea. Qua i tre lustri
rpago tacque. Alfin timò co tante
d'Astiage il p ntimento; te gli par e
tempo di palesar. Pur , come saggio,
prima il guado tentò. Desta una voce
s'era in que' di eh Ciro
fra gli s iti ivea ; ch' a ltri in un bo co
lo racco lse bambino. spar o fosse
da ll ' impostar quel grido, o che dal <Yrido
nascesse l' impostor, vi fu l'audace
che il tuo nome usurpò.
IR . ani quel Ciro
che vien ...
~1JTRI ATE. Quello. T'accheta. Al re la fola
Arpago accreditò, dentro al suo core
ra, ionando in tal guisa: - il re ne gode,
ed io potrò sicu ro
il suo Ciro coprirgli; o il re si sdegna,
e i suoi degni cadranno
sopra dell'impostar. -
IR • Ma, gia che tanto
tenero Astiage è el nipote e uole
oggi strin <Yerlo al sen, perché si tace
il v ro a lui?
ATTO PRI~

1ITRID TE. ell'animo reale


rpa o non i fida. Il re o-Ji fece
svenare un figlio in pena
el. tra o-red ito cenn o ; e mal s accorda
tanto affett per Ciro e tanto sdeo-no
p r chi lo cons rvò. Prima fu d 'uopo
contro di l i munirti. Al fin l' ìmpre a
o g i è matura. Al tramontar del sole
arai palese al mondo; abbraccerai
la madre, il enìtor. Questi fra poco
verni: l'altra gia enne.
CIR . È ~ r e quella
che mi parve si bella or or, che quindi
frettolosa as ò?
MITRIDATE. o : fu la figlia
d' Arpao-o.
CIRo. ddio. ( uol partire)
MITR IDA TE. Dove?
IR . A cercar la madre.
(i n atto di partire)
MITRIDATE . Férmati! ascolta. Ella, Cambi e e ognuno
crede fino ra al finto Ciro, e g iO\:a
l'in o-a nno lor · che l andane .. .
CIRO. A lei
mai per q ualunque incontro
non pi egh erò chi sono ,
finché tu noi permetta. Addio . Diffidi
della promessa mia? Tutti ne chiamo
ìn testimonio i numi . {partendo)
MITRIDATE. Ah! senti. E quando
comincerai cotesti
impeti giova nili
a frenar una olta? In quel che brami
tutto t'immergi, e a quel che déi non pensi.
Sai qual giorno sia que to
per la Media e per te? a i ch'ogni impresa
27 XV - CLRO RICO O CIOTO

s ' incomincia dal ciel? Va' prima al tempio·


l'assistenza de' numi
devoto im plora; e in avvenir, piu sagaio,
regola i moti. .. Ah , come p rio ! Al l'u o
di ta nt' an ni , o signor, questa perdona
paterna liberta. o che favella
cam biar teco deo-g' io . Rigido padre,
no , non riprendo un fi o-lio:
servo fedele, il mio sig nor consiglio.
IRO . Padre mio, ca ro padre, è vero, è ero ;
conosco i troppo ard nti
impeti mi ei: gli emenderò. Cominci
l'emenda mia dall'ubbidirti. h! mai ,
mai piti non dir che il fi !io tuo non sono :
è troppo caro a que t o prezzo il trono.
Oo-nor tu fosti il mio
tenero padre amante:
essere il tuo ogl' io
tenero figlio ognor.
E in faccia al mondo intero
rispetterò, regnante,
quel en erato impero,
che rispettai pastor. (parte)

vr
MITRID TE poi C MBISE in abit di pas tor .

MITRIDATE. Chi potrebbe a que' detti


temperarsi dal pianto?
CA fBISE. (guard ando intorno ) Il ciel ti sia
fau to, o pastor.
MITRIDATE . Te pur secondi. (Oh dèi!
non è nuovo quel volto agli occhi miei.)
ATTO PRI tO 279

C .1BISE. Se g i ospitali n umi


si eneran fra voi, mo. trami, amico,
del sacrifizio il loco. Anch 'io traniero
vengo la pompa ad ammira rne.
1ITRIDATE. Io ste o
co a ti scorgerò. ( o, non m'in anno:
egli è Cambise.) ( uardandolo attentam n te)
. ~1BISE. (Ed Arpago non trovo l)
'lT lDATE. (Scoprasi a lui ... ) 1a chi ien mai?
on quelli
i reali custo i?
MITRID ATE . Anzi il re stesso.
CAM BISE. Astiage! (sorpreso)
MlTRIDATE. Si.
CAMBISE. Lascia eh' io parta.
MLTRIDATE . È troppo
gia presso. Fra que' rami
cola raccolti in fascio
célati.
AMBISE. Oh fiero incontro! (si nasconde)

E Vll

AsTIAGE, 1ITRIDATE e CAMBI E elato.

ASTIAGE. (chiudendo la porta) Alcun non os1


qui penetrar, custodi .
MITRIDATE. (A che vien l'inumano?
O gia vide Cam bise , o sa l'arcano.)
ASTIAGE. Chi è teco? (guardando sospettosament intorno)
MITRIDATE. Alcun non v'è. (Tremo. )
AsTI GE . Ricerca
con piu cura ogni parte. (va a sedere)
MITRIDATE. (Il vostro aiuto ,
santi numi, io vi chiedo. ) (fingendo ercare)
280 X V- C I RO IC O ' OSCI UT

C MBISE. (Io son perduto .)


MITR IDATE. 1am oli. (torna n do a l r )
A TI G E. Or d i' : s erbi memori a ancora
de' benefizi miei?
MITRI AT E. Tutto rammento.
Di cento don i e cento
io ti fui debitor, quando m'accolse
la tua corte rea!. Quest'ozio istesso
dell'umil vita, in cui felice io ono,
è, lo confe so, è di tua de tra un dono.
STIA E. e da te dipendesse
la mia tranquilliti e quel ch 'io vogli
fos e nel tuo poter, dimmi : potrei
sperarti grato?
M tTRIDATE. (Ah l Ciro v uoi. )
ASTI GE. Ri pondi.
MITRIDA E . E che po s'io?
AT r E. Que a corona in fro nte
ostenerm i tu puoi. t quel, ch ' io reo,
nelle tu e mani. Ad onta mia erbato
Ciro, tu il ai ...
MITRIDATE. (Misero me l)
A STI AGE. N l viso
tu cambi di color! La mia ri chiesta
prevedi f, r e e ti spa enti?
MIT RlDATE. Io ega o . ..
io-nor ... pieta! ( 'inginocchia)
A T I AGE. o, non smarrirti : il c lpo
facil piu che non credi. l falso invito
Ciro credé. ia ul confin de l regno
con pochi citi è giunto, e l'ora attende
l venir stabilita.
M [TRIDATE . (Parla del finto Ciro: io torno in v ita .)
ASTI GE . Son;ri . ( Mitridate si alza) Tu ai del bosco
ogni c onfi n : può facilme nte Ciro
esser da te con qualche insidi oppre o.
ATTO PRI 1 2 •r

MITR lDATE. (Ah . qua i per timor tradii me ste so. )


CA IBI E. (Barbaro !)
. STI GE. E ben ?
M1T RIDATE. (Per affrettar che par
tutto a lui si prometta. ) Ad ubbidirti
mio re on pronto. (risoluto}
CA tBI E. (h. celi rao. )
A TIAGE. li 'opra
solo non basterai: ce:Jier conviene
cauto i compag ni.
MITRIOATE. ltre il mio figlio Alceo,
uo po d'altri non ho .
STI E. Questo tuo fi lio
bramo \ eder .
MrTRlDATE. uo vo pa nto. Imeno
si liberi Cambise .) Alle reali
tende, signor, tel condurrò.
A TIAGE. o: aglio
qui parlar seco . me lo guida.
MI RI T Altrove
meglio ...
STIAGE. ( ostenu o) on piu: va nne, ubbi i ci.
MITRIDATE. (Oh Dio !
in qual rischio è Cambise e Ciro ed io !) (pa rte)

SCE T III

TTAGE e CAMBI E celat

ASTIAGE . E pur dagl'inquieti


miei seguaci timori
parmi di r spi rar. on so s'io degcria
alla speme del colpo o alla stanchezza
delle vecrliate notti
quel soa la nguor , che per le ene
XV -CI RO RJ O ·cl UT O

dolcem ente mi serpe. Ah! forse a questo


umil tetto lo degg io , in cui non . anno
entrar le abitatri ci
d 'ogni soglio 'rea! cure infeli ci.
S ciolto dal suo t imor
p r che non senta il cor
l' usato aff nno.
Lang uidi gli occhi miei . .. (s'addo rmenta)
CAMBISE . Che vegO'o, amici dèi ! Dorme il tiranno! (esce)
Bar baro re, con tante furie in pet to,
co me puoi riposa r ? Vindi ci numi,
quel onno è un'opra vostra. Il sangue indegno
d me volete : io v ubbidì eu. h, mori l
(suudan do la pada)
A TlAGE . Perfi ! ( o nando)
C AMBISE . (trattenendosi) Aimè! desta .
A STJAGE. (soO' nand o) Aita !
C A.b1B ISE. Ei vide
l 'acciaro balenar.
(vuoi celarsi, pot st ferma, ace rge ndosi che Ast iage soa na)
A STI AGE. (soanando) Ciro m'u ccid e .
CAMBlSE . Ciro! Parlò sognando. Eh! cada ormai ;
cada il cru ele . (in atto di ferire)

SCE 1 A IX

M ND A E d tti.

M ANDANE . h ! tra itor , che fai?


C AMBI E. Mandane. (con oce ba sa)
M JDA NE. Olà l (alle auardie verso la porta)
CA fBI E. T'accheta . (a voce bassa, come sopra)
M A DA -E. la custodi.
CAM BISE. Taci .
MANDANE. Padre! (verso . st iage)
CAMBISE. ( e uendola) Idol mio.
A P R L\1 0

MA D. E. (scu ote n olo) Dè tati, o padre.


CAMB!SE. o m t ra i i? ( M a ndane noi auarda m ai )
• STL GE. (destand i) h dèi!
do e on? ch i mi desta? e tu chi sei?
C .iBIS E . Io o n... ennt ...
MA NDANE . L ' in iq uo
con quel ferro olea . ..
A 1BISE . I. , principe a,
meglio guardami in volto .
M N DANE. h! ~celler at o... (guar andolo)
Misera me ! (lo ricono ce)
A T !A E . Perché d ivien la fi g li
cosi pallid a e smorta?
MA N DA~·m . (Cambise ! airnè ! lo spo o mio! Son morta!}
A T I GE. Ah! tradito r, ti riconosco. In que te
menzognere divi e
non sei tu ...
CA 11HSE. i, tiranno, io son Cambise.
M DANE . (Sconsigliata, ah, che ~ci!)
A TIAGE . (a Ca mb i e) Anima rea ,
tu contro il mio di vieto
m 1edia n tra re r isti? e in finte spoglie ?
e insidiat r del la mia vita? h! tale
scempio farò di te ...
CA 1BISE . Le tue minacce
atterrir non mi san no.
Uccidimi, tira nno: al tuo destinc
non fugg irai però. Gia l 'ora estrema
hai i cina e noi sai. S ppilo e trema.
MA DANE. (Tac s e almen.)
ASTIAGE. (fretto loso) Come! che dici? oh stelle !
dove? quando? in qual g uisa?
chi m ' insidia? perché? Parla !
C AMB I-E. Ch'io parli?
Non aver tal speranza :
gia, per farti gelar, dissi abbastanza.
2 4 X - CIR R ICO CI TO

A TIAGE. Custodi ohi. della citta vic.ina


nel care re p· u orr n do
strasci nate l'infido:
là parle rai.
CAMBISE . Del tuo furor m1 rido .
MANDANE. umi. che far degO'' io?
Ah! a dr .. . ah! poso . ..
CAMBISE. Addio, Man da ne, a ddio!
o n piang te am ti rai ·
noi richied il morir m io:
lo sapete, ìo ol bramai
rh edervi e poi morir.
E tu re ta ognor dubbios ,
crudo re , enza riposo
le tu fu ri e aliment ndo,
fabbrica ndo- il tuo martir. (parte fra i e u t di )

MA D E ed . STIAGE.

MAND NE. ignor... (piana ndo)


A TrA E. (pieno di timore) uelle rnin cee,
Ma nda ne, udisti? Ah l s io sapessi almeno . ..
Il sapre ti tu mai? Parla. con iuri
tu ancor co' miei nemici?
MA DA E. Io! come! e puoi
t ernere h dèi! h • io pur ti brami oppre so?
AsTtAGE. Chi a? Temo d'ogn un; temo e te o.
Fra m ill e furori
che calma non hanno,
fra mille timori
che intorno mi stanno,
accender mi ento,
m1 ento gelar.
TTO PRI!.l '2 -

In qu i che lu ino-o
mi fin go i rubell i ;
e tremo di q uell i
che facci o tre ma r . (parte)

C A XI

M A ·oA E e p i CrRo u gendo.

M A.. DA E. Oh adre ! oh sposo! h me d olente ! e co me .. .


CI RO . Bella ninfa .. . pi eta . ( uardando i indietro)
MA DA.. L a cia mi in pace ,
p a t or : la cerco anc h ' io.
CIRO . De h ! ...
M A DA E. Parti .
CI RO . Ah ! senti,
o ninfa, o dea , q ualunque sei; ché al volto
non mi sembri m ortai.
M ' DA he vuoi ?
CI R . Dife a
all'innocenza mia . F uggo dall ' ira
d e' custodi reali.
MA E. E il tuo del itto
qual è?
IR O . Mentre poc'anzi
solo al tempio n'andava .. . Ecco custodi:
difendimi.
, lA D A~ E. uno
s 'a anzi ancor. ( ual m a i tum u] to in petto
quel pastore! mi desta !)
CIRo . (Qual mai er m cara sembianza è questa! )
M A DA E . Sieg ui.
~I R Mentre poc'anzi
solo al tempio n'andava, udii la selva
di strida femminili
286 XV - CIRO RICO OSClUTO

da l piu folto sonar. Mi ol i e idi


du e, non so ben s'io dica
masnadier i o soldat i,
strani eri al certo, una leggiadra ninfa
pre a rapir. L atto illa no, il volto,
non io-noto a l m io cor, destomm i in seno
sderrno e pieta. Corro gridnn o, e il dardo
vibro co ntro i ra paci . Al colpo, al g rido ,
un ferito di lor, timidi entrambi,
la ciao la preda. Ella sen fugge, ed io
seg uitarla vo lea; quando , impo rtuno,
uom di giovane ui, d 'atroce a petto,
ci nto d i ricche spoglie,
m 'attraversa il c m mi no, e vuol ragione
del f ri to compagno. Io non l ' a colto ,
per erru ir lei, che fugge . o~ o il fier o
dal mio tacer, snuda l' accia ro e o rre
su perbo ad a salirmi: io, di armato,
non petto l 'i ncontro; a lu i m' in o lo .
Ei m'incalza, io m 'affretto . Eccoci in parte
dove manca OCYni ia. Mi vo lg o intorno;
non vegrro scampo: ho da un a parte il monte,
dall'altra il fi um e l ' inimico a fronte .
M ANDANE. E ali or?
CIRO . D all alta ripa
penso allor d i lanciarmi; e, m entre il s lto
ne mi uro con g li occhi, arm i piu pronte
m 'offre il timor. Due gravi sass i in fr etta
colgo, m a rretro, e inco ntro a lui, che viene,
sca l io il primi ero . E o-li la fron te abba sa;
gli stri eia il crio 1' inutil colpo, e passa .
Emendo 11 fallo, e io lento in guisa
spingo il secon do sasso ,
che pn:: ien l difesa; e a lui, pur come
senno a\ e se e co n igl io ,
fran ge una tempia in sul confin del ci gli o .
TT PR JM 287

DANE. Gran sor e!


CrR . l a erco sa
sco o ri ce il feroce. n caldo fiume
gl' i non a il olto; apre le braccia; al suolo
abbandona l'ac iar; rotando in giro,
dali endente ri,·a
gia di cadere accenna· a un verde ramo
p u r si rilien: ma quello
cede al peso e lo siegue. Ei, rovinando
pe r la scosct a sponda ,
balzò nel fiume e i perdé nell'on a .
M DA E. E è questo il delitt ...
C rR . Ecco la nin fa
cui di segui r mi frastornò q uel fiero.

SCE XII

AR PAL ICE e de tti.

M NDANE. Ar pal ice, ed è vero? .. .


ARPAL ICE. A h ! dunq ue ud isti ,
Ma ndane, il caso atroce?
MA o NE. O r l· a colta i.
C IRO . (Numi! all a ma re mi a fi nor parlai .)
A RPALI CE . Io n o n ho, pr in cipessa ,
fibr a n el se n ch e n on mi tremi a l solo
pe nsie r del tuo d ol ore.
M AN DA NE . E do nde ma i
cosi pr esto il sap est i~
A RPALICE . Ah ! le S enture
van s u l'aie de' venti . Ammiro anch' io
come in te mpo s i co rto
s ia gi · noto ad og nun che Ciro è morto .
M A DANE. Ci ro!
CeRo . (11 ri al forse svenai !}
,'\1- CIR l lCO • O CI T

M DA E. (ad rpalice) h e dici?


ARPALICE. Che, se per ma n d' le o
perder dovevi il figlio, era assai meglio
non averl o trovato.
M JDA E . Come l Cir è l ucciso? Ah , scellerato!
(voi endo i a Ciro)
A RPALI E. ( ol ap a: m' ingann i.)
CrRo . ( icasi... h! no , ché di tacer g iurai. )
MA l DAJ.: E. Pe rfido! E ieni, oh stelle!
a chiedermi difesa? In questa g uisa
d 'una madre infelice
si deride il dolor?
IR on seppi ...
M DA E . Ah. taci,
taci f Jlon: tutto ·ap ti; è tutto
m enzo n a il tuo racconto. O figli o , o cara
parte del san g ue mio, dunque di nuovo,
misera! t 'ho perduto? e qua ndo? e come ?
Oh perdita ! oh torm ento.
CI RO. (Re ister non si può : morir mi senlo. )
M NDA E . Arpalice, or che dici?
Era presago il mio timor? Ma tanto,
no , non temei. Perder un figlio è ena ·
ma che un il. .. ma che un e mpio . .. Ah, traditore !
con queste mani io voglio
prirti il en sv llerti il cor
CIR O. h Di l
tu ti distruggi in pianto:
vell imi il cor, ma n u t affligger tanto.
MA •. DANE . h' io no n m'affii go-a? E l 'ucci or de l figlio
cosi parla alla madre?
IRO. Eh. tu non sei . ..
on io ... Quello non fu ... (C he pena , oh dèi !)
1AND ·E . inistri , al re traete
quel carn efice reo.
(i eu todi di posti ad e. e ui re il ceuno, vegliano sopra 'i r
ATTO PRJ l

Po a vendetta
è il sangue tuo , ma pur lo voglio.
ARP LlCE. Affrena
gli sdegni tuoi. ecessitato e senza
saperlo, egli t 'of} se. Imita, imita
la clemenza de' n umi.
MANDA m. I numi sono
per me tiranni: in cielo
non v'è pieta, non 'è giustizia . . .
ARPALl CE. Ah! taci:
il dolo r ti seduc . lmen gli dèi
n n irritiam.
MANDAN E . Ridotta a questo segno,
non temo il loro sde<Tno,
non bramo il loro aiuto:
il mio figlio perdei, tutto ho perduto.
Renùimi il figlio mio:
ah ! mi si spezza il cor.
Non son piu madre, oh Dio .
non ho più figlio.
Qual barbaro sani,
che, a tanto mio dolor,
non bagni per pieta
di pianto il ciglio? (parte)

SCENA XIII

ARPALIC E CIRO.

CIRO. rpalice, consola


quella madre dolente.
ARPALtCE. Ho troppo io stessa
di conforto bisogno e di consiglio.
CIRO. E che mai si t'affligge?
ARPALICE. H tuo pedglio.

1ETASTAS10 1 0/J"l! ·Ili.


XV- CIRO RICONOSCIUTO

lRO. Ah, bastasse a destarti


alcun per me tenero affetto al core !
A RPALICE. Perché, lceo, perché m ai n ascer pa tore l
CIRO. Ma, se pastor non fos si,
nutrir potrei quc ta speranza audace?
ARPALICE. Se non fossi pastor .. . Lasciami in pace .
CIRO. Sappi che al nascer mio ...
ARP.-\L ICE. iegui.
CIRO. (Giurai tacer .)
ARPALlCE . Sappi che bramo anch'io .. .
JRO. Parla.
RPALJ CE . (Crude l do er !)
lRO. Perché t'arresti ancora?
ARP. LICE . Perché cominci e cessi?
A DUE. Ah, e pa rl ar pote si,
quanto di rei di piu!
Cm o. Finger con chi s'adora .. .
ARPALICE. Celar quel che si brama .. .
A DUE. ... è troppo, a chi ben ama ,
incomoda virtu .
T E

SCEN I

ast. pianura in ombr ta di rui ne d'antica cttta, !!la pe r lungo tem p


in el atkhite.

l A DA 'E e 11TR IDA TE .

M AN D AN E . Ah , Mi tr id ate l ah, che mi dici. Alceo


dunque è il mio Ciro ?
ITRI DATE. Oh Dio.
piti som messa fa el la . (<Yuarda ndo co n timore aH' intorno)
MA TD A ·E. Al cun non ode.
MIT RID.\ T E. Potrebbe udir. otto un crudele impero
troppo mai non si tace. Un sorrno , un'ombra
as a pe r fallo e si pu nis e . È in certa
d. og ni ami o la r·: le trade, i te m pii '
le men e i tesse , i tala mi non sono
dall ' ins idie s icuri. O unq ue vas 1,
'è ragion d i tremar: parlano i sassi.
MA DA 'E. 1a ra s icura almeno
i dubbi miei.
MtT !DAT E . Rassicura r ti vuoi ?
imandane il tuo c r. Q ual più sincero
testimonio ha una madre ?
M ANDA E . ero, è vero.
Or mi so vien : qu ando mi enne innanzi
la p rima olta Alceo, tutto m · in t si,
t utto il sangue in tumulto. Ah ! perché tanto
cela rmi il ver?
XV - C IRO R ICO" OS C I T

MlTRID TE . Cosi geloso arcano


mal si fida a' tra porti
del materno piacer. e il tuo dolore
pieta non mi facea, se del tuo sdegno
contro Alceo non tem evo i noto ancora
ti sarebbe il tuo figlio.
MANo NE. A parte a parte
tu t o mi spiega.
MlTRIDATE . Io veggo
da ]ungi il re.
MA DA E. Col fortunato avviso
corriamo a lui.
MITRIDATE. Ferma! (N l dis i ?) Ah! taci,
se uoi salvo il tuo Ciro.
M AN DA E . Et r~ dci !
perché?
MITRlD TE. Parti.
MANDA E . Ma il padre .. .
JTRIDATE . Or di piti non cercar.
MA DANE. ai che il m1o figlio
prigioniero è per me .
MlTRIDATE. e parti e taci ,
libero tel prometto.
MA DANE. E p r qual via?
MITRIDATE. (Ch e pena!) A me ne las ia
tutto il pensier : va'.
MA D NE. ome uoi . Ma po so
crederli, Mhddate ,
fidarmi a te?
MITRID T E . Se puoi fidarti? oh stelle!
se puoi crede rmi? oh dè i! Bella merced
dall a grata Ma n da ne ha la mia fede.
M DA E . Non degnarti ; a te mi fid :
credo a te; non ono ingrata;
ma son madre e sfortunata:
compatisci il mio timor.
ATT EC ' O 2 93

Va'·: se in te pi ta ha nido.
a salvarmi il figlio attendi ;
la piu tenera difendi
cara pa rte del mio cor. ( parte)

CEN 11

. liTR I T : poi

MlTRIDATE. e' pro idi numi


infinito saper, per qual di Ciro
mirabile cammin guidi la sorte!
Lo manda Astiage a morte;
la mia pieta lo serba· e a me, perch' io
non pos a esser com into ,
nasce opportuno al cambio un fi a lio estinto .
i sa che Ciro è in ita ;
il re lo cerca; e, affinch'ei ia deluso,
ecco, né si sa come,
usurpa un impo tor dj iro il nome.
Vien lusingato il fa lso erede; e il ero
nol conosce e l'uccide ; e il colpo appu nto
in al t mp uc e,
che il tiranno lo crede
esecuzion d ' un suo comando. E pure
tro vasi ancor chi, er sottrars i a' numi,
forma un nume del caso, e uol che il mondo
da una mente irnmortal retto non sia.
Cecita temeraria ! empia follia !
ASTJAGE. itridate.
MITRIDATE. Si nor, fos ti ubbidito.
Ciro non v1. e piu .
AsTIAGE. Lo so. Ti deggio,
amico, il mio riposo . E qual po. s'io
re nder degna mercede a' merti tui?
Vieni, vieni al mio seno . (Odio costui.)
294 V- CIRO RICONO Cl T

MITRID TE . Altro premio io non v uo ' ...


A TIAGE. Non trattenerti
1itridate con me: potrebbe alcuno
dubitar del segreto.
MITRIDATE. Il fio-Jio Alceo ...
AsTIAGE. So che vuoi dirmi : è prigioniero. Io penso
a salvarlo, a premiarti.
Tutto farò per voi : fidati e parti.
MITRID ATE. Vado, mio re.
ASTJAGE. (Pi u non tornasse almeno!)
MITRIDATE. (QuaJ tempesta i tiranni han sempre in n !) (parte)

CE A III

TIAGE e poi RP GO .

AsTIAGE. Che orrgetto to rmentoso agli occh i mi ei


costui di ve nne ! E i a il mio fallo : a tutti
palesa rlo potra. Servo mi resi
d l piu reo de' miei ser i. Ah! Mitridate
mora dun'1ue, ed Al ceo . L'estinto Ci ro
il pretesto sani ... o. S'io gl i espongo
a un pubblico giudizio, il mio serrreto
paleseran costoro
per imprudenza per e n detta. È meglio
as olverli per ora: un colpo a coso
indi g li o pp rima . E in q ual fun esta entrai
necessita d' esse r malvagio ! A quanti
del itti obbliga un so lo! E co me, oh Dio,
un estremo mi porta all' altro c tremo!
Son cru el, perché temo; e temo appunto,
perché son si crudel. Con o-iu nta in guisa
è al mio timor la crudeltéi, che l'una
nell'altro s i tra forma, e l'un dell' altra
è ca ion ed effetto ; onde un'eterna
ATT O S ECO r DO 295

rinnovazion d 'afTanni
mi pro paga nell' alma i miei tirannL
ARPAGO. A h ! sig nor.. . (aff. tt ando affanno )
ASTl AGE. {con ispa euto) Giusti dèi. c he fu ?
ARPAG • Sicuro
non è il sang ue real.
ASTIAG E . Che 1 si cospira
contro di me ?
ARP GO. o ; ma il tuo Ciro estinto
chie e ven etta .
ASTLAGE . (Altro temei.)
RPAG O. (Di tutto
il mi ero paventa. )
ASTIAGE. Udisti, amico
dunque la m1a sventura? Il sol perdei
conforto mio.
A RPAG (Falso dolor! Con 1'arte
l 'arte deluderò .)
Asrr GE. Né mi è permesso
punire alcun senza ino-iustizia : è stato
involontario il colpo.
ARP. G . Alceo dice :
ma chi sa?
ASTIAGE . on m i resta
luog a sospetti. Ho indubitate prove
dell ' innocenza sua. Punir nol deggio
d 'una colpa del caso. Alceo si ponga.
Arpa o, in li berta ; ma fa' che mai
a me non si presenti ,
né le perdite mie piti mi rammenti.
ARPAGO . Ubbidito sarai .
XV- C (lt RICO• SCIUTO

CE IV

ARP A LlCE e detti.

RPALICE. Gr n re, perdono !


pieta!
STIAGE. Di che ?
A.RP LICE. Del piti crud l delitto
che una suddita rea . ..
TI GE. (con timore C me ! tu anc ra ...
Parla . he fu ?
RPAGO . (Torna a tremar. }
RP LrcE. Son 10
la misera cagion che Ciro è morto :
Alceo colpa non ha. Le sue catene
sciogli pieto o , or che al tuo piè sen iene .
ST l GE. Dov'è?
RPALIC Vedilo.

c
CI fra uardi , e detti .

STIAG . È uello
di Mitridate il ficrlio? (ad rpa o p rte)
RP AGO . Appunto.
TIAGE . Oh dèi,
che nobil volto ! Il ortarnen to altèro
poco s'ace rda a lla natia capa nna.
Che dici? (ad r paao)
RPA o . .. er; ma l 'a pparenza inganna .
lR O. Dimmi Arpalice: è qu ello
il nostro re? (ad rpalice a parte)
. TT EC • O

RPAL lCE. i.
CIRO . (Pur mi desta in petto
sensi di tenerezza e di ri petto.) (da ·)
STIAGE. (Parlar eco è imprudenza:
partasi. ) (s'incammina poi i ferma)
ARPAGO. (Lo e al cielo!)
ASTIAGE. (ad rpago a p rt e) Arpa o, e pure
in quel sembiante un non so che ritrovo,
che n on distinguo e non mi giunge nuovo.
ARPAGO. (Aimè !)
ClRO. Pria c he mi la 'Ci, {appre ando i al re )
eccelso re . . .
RPAGO . Taci pastor: comm ssa
è a me la sorte tua: parlando, aggravi
il suo dolor .
CIRO. iu n on fa ello. (ritirandosi)
ARPAG E ancora,
signor non ai ? Qual maraviglia è q uesta?
Perché cambi color? Che mai t 'arresta?
ASTJAGE. Non so: con dolce mot
il cor mi t re ma in petto;
sento un affetto io-noto,
che intenerir mi fa .
Come si chiama, oh Dio!
questo soave affetto?
(Ah! se non fosse mio,
lo crederei pieta.) (parte)

SCENA VI

CIRO, RPAGO ed RPALICR

AR PAGO. (Parti: resp iro. } Arpalice, col reo


l asciami solo.
ARPALICE. Ah! ge nitor, tu m ' ami,
sai che Alceo mi difese, e reo lo chiami?
XV - CIRO RJCO . CJ T

ARPAGO . Sparse il sano-ue real.


ARPALICE. enza s ap rio ,
assalito ...
ARPA o n piu: va'.
ARP LI E. e nol alvi,
l'um ani tade offendi.
Ah! della fi::,lia il difen or difendi.
ARP G . E e il tuo di~ nsore
un traditor poi fosse?
ARPA LICE. n traditore !
Guardalo in volto e poi
se tanto core avrai,
chiama lo traditor.
Come neo-li occhi suoi
bella chi viùe mai
l imma<Yine di un cor? (parte)

SCE A VII

R.PA o ClR

ARPAGO. Quel pastor sia disciolto ; (alle guarclie)


e parta ognu n. (partono le guardie)
CIRo. (Qu nt la figlia è grata ,
è auto il genitor.)
ARP GO. Posso una olta
parlarti m liberta. Permetti ormai
che umil e a' piedi tuoi... (inginocchiandosi)
CJRO. orgi : che fai ?
ARPAGO. Il primo bacio imprimo
su la destra reale , onor do uto
pur troppo alla mia fé. Ciro, perdona
se di pianto mi edi umido il ciglio:
questo b cio, o signor, mi costa un figlio.
TTO SECO DO 299

CJR . Sorgi, vien i, o m io ca ro


lib-.ra o r , ie ni a l mio en. qu::m o
debitor ti son io, gia l it.ri a e
pienamen te m'i trusse.
A RPAGO . • ncor com pita
l'opra non è. ul tramontar e l ole
vedrai... 1 ien da lungi
MandJne a noi : cerca e itarla.
CI RO. Intendo:
temi eh ' io par i. Eh: non temer: g iurai
di n on spieg;Jrrni a lei finché permesso
n on sia da 1itrid te; e fe elmen e
il giuramento o ser erò.
ARPAGO . T 'esponi
sig nor . . .
CIRO. Va ' : n on è nuovo
il cime nto per me.
A RPAGO . e h ! n on perdia mo
di tant'a nni il sudor. ul fin dell' pra
tremar convien . L'e er icin i a l lid o
m olti fa nau fragar. cem a la c ura ,
q uando re ce la speme;
e O<Yn i r isch io è maCTgior per ch i no l teme.
Cauto <Yuerrier pugnando
g ia vincitor si de;
ma non depone il b ra nd o ,
ma no n si fiua ancor:
ché, le ne miche prede
se spensierato aduna ,
camb ia tal or fortuna
col vinto il vincitor . (parte)
CE A VIII

IR e poi ANDANE.

CrRo. O madre mia, s immaQinar potes


che il tuo figlio son io!
MAND NE. Mio caro figlio !
mio Ciro ! mio conforto.
CIRO. Io! come? (Oh stelle!
gia mi conosce.)
MANDA E. Alle materne b rac ia
torna , torna una volta ... Ah! perché schivi
gli amplessi miei?
CIRO. Temo .. . Potr ti... ( h numi .
non so eh dir. )
M DANE. Non dubitar; son io
la madre tua: non te l dice il core .?
Vieni. ..
CIR enti mi pria. ( rumi , onsi lio :
arl r deggio o t cer ?)
MA DA E. M'e ita il figlio!
CIRO. (Perché tacer? ia mi cono ce.) È t mpo . . .
oiché tant'oltre ... ( h! no. al aiuramento
sciolto ancor non son i . ee Mitridate
consentir eh' io mi pieghi. )
MANDANE. E ben t'ascolto:
che dir mi vuoi?
CIRO. arò crud l tacendo :
ma spergiuro e imprudente
favell ando sarei. )
MANDANE. m ' ode !
CIRO. (Alfine
col tacer differisco
O SECO. DO 30

sola e te n pt cer; ma for e il frutto


ell' · trui cure e e' peri<Yli immensi
arrischio col p rlar.)
MA ANE . Che fai? che pensi?
che ragioni fra te? Q ei passi incerti,
quelle nel proferir voci iot rrotte
che vo lion dir? Che la tua madre io sono,
sai finora o non sai? e gia t'è no o,
perché t' infin,)? e, se t'è ignoto ancora,
perché freddo co i? Parla !
CrRo . (Che pena!
ento il an<Yue in tu multo in ogni ena. )
MA 'DA E. rovar dopo tre lustri
una madre .. .
CIRO. (E qual madre! )
MANDANE .... e accoglierla in tal gui a?
e fuggir le sue braccia?
CrR . (Ah! Mitrid te, e come vuoi ch'jo taccia?)
MANDA E. Questi son dun ue i teneri trasporti,
le lagrime amorose, i cari ampie si
e le frapposte a' baci
affollate domande? - Ah! madre ... - Ah! figlio ...
disti i a·i m'i? arram11 tui. ..
- Quant err 1.,..•. - Quanto p1ans1.
. . ,... - Io d'ISSI. ...
[-lo fui. ..
o, questo è troppo: o il figlio mio non sei,
o per nuo a sventura
tutti gli ardi ni s uoi ca mbiò natura.
CIRO. (Si oli a r 1itridate: egli alla madre
di spiegarmi permetta.)
M NDANE. é uoi parlar?
C rRo . Si: pochi istanti aspetta :
a momenti ritorno. ( incammina frettolo o)
M NDANE. Ah ! prima. . . ah! senti;
di': sei Ciro o non sei?
C IRO. Torno a momenti.
302 XV- CJRO RICONOSCIUTO

Parlerò; non è permess


che fino r mi spiegh i a pieno.
T ornerò; sospendi alme no,
fin ché torn i, il tuo dolo r.
Se trovarmi ancor non sai
tu tto in vo to il core espresso,
tutto or or mi tro\'erai
su le labbra espresso i l cor. (part )

CE A lX

1A DANE e poi CA.lDI E.

MANDANE. Onni potenti numt,


qu esto che vorra dir? arebbe mai
la mia speme un inganno?
C A IBJSE. Amata sposa,
mio ben.
MA ·nANE. Sogno o so n desta ?
Cambise! idolo mio! tu qui! tu sciolto!
Qual man liberatrice ...
CAMntSE. A rpngo ... oh quanto
dobbiamo alla sua fede! Arp::~go è qu ello
ch e mi sakò. 1e pri ionier rnggiunse
per cammin o un suo messo; a' miei eu tod i
parlò: fui sc iolto . - In lib rtéi, - mi disse-
si ('r no r, tu sei. Va': con piu cura evita
qua lche in conlro fune to:
Arpngo, ch e m'in ia, di ratti il resto.-
MA ' DANE. Oh ve ro , oh fido amico !
CAIIIBISE. E pure il figlio
serbarci non p té. Sapesti? .. . Oh Dio,
che barbaro accidente!
M ANDANE. Il piu crudele
TTO ECOND 303

aria che mai s'udisse,


e fosse er.
CAMBI E . e osse ero? h! d un ue
ne pos m du bi r. Parla ..1andane;
consol il tuo CambLe.
M, DANE. E come posso
te con olar, se non disti ng uo io stessa
qu el che creder mi debba?
A 1Bl E . Almen qual hai
ragion di ubitar?
Si vuol che si
l'ucciso un impostor, e il nostro figlio
quel pasto che l ' ucci ·e .
C IBISE. 0 dèi pieto i,
a vera e la speme. E tu vedesti
questo pastore?
MANO. NE . Or da me parte .
C !\1BISE. È dunque? ...
MA DA "E. Quei he meco or parlava.
C MBISE. n gio anetto,
genero so all'aspetto,
di iondo crin, di brune ciglia, a cui,
for e , roprio trofeo, gli o 1eri adorna
spob li d'uc isa tig re ?
MANDA E. Appunto.
CAMBlSE. Il vidi,
e m 'arresta i finché d a te partisse;
ma sugli occhi mi sta. Pur, che ti disse?
MA ' DAKE. Nulla.
CA:'IIBLSE. Un cont nto estremo
fa spesso istupidir. Ma qual ti par e?
MAND .-\ KE. Confuso.
CAMBI E . A' boschi a v\ ezzo,
il dovea te presente. E chi l ' arcano
ti s elò?
M DAL~E . Mitridate.
XV - CllW RICONOSC1UT

AMBI. E. ( i tu rba) Aimè!


MA DA E . a lui
fu, s pur non m e ntisce,
sotto nome d' Alceo come suo fi glio ,
Ciro nutrito.
CAMBISE. E Alceo si chi a a?
MA "DA• E. lceo.
AMB1SE. Oh nera frode! o h scellerati ! oh tro po
cr du la principessa !
MANDANE. Onde, o Cambise,
queste smanie improv i c?
AMBI E. Al eo di iro
è il arnefice indegno. Il co lpo è tato
d el t o p d r n coma n o.
MA D. E. Ah. taci .
CA1\1B1SE. Io stesso
celato mi tro ai
dove As tìage l'impose : 10 l 'a coltaì.
MANDA E. Quando? a chi ?
CA 1BISE . on rammenti
che la nella capanna
di Mttri ate frastornar giungesti
le urie mie?
M NDA . Si.
CaMBISE. Cola d e ntro ascoso,
vjdi eh il re venne a p roporre il colpo
a Mitridate . Ei co l s uo figlio Alceo
Ciro uccider promi se ;
e appunto il fi g lio Alceo fu che l' uccise.
MANDA ·E. Misera me!
CAMBISE. Dubiti neo ? on vedi
che te me Mitri ate
la tua ve nde tta , , per sal vare il fig.lio,
quesla favo! in enta? Arpago, a cui
tan to incr esce di noi , parti che avrebbe
taciuto infino a d ora?
TTO CO D

MA ·o Oh dèi !
AMBISE. o n edi. ..
MA ·o ·E. Ah ! tutto vedo ah! tutt accor a: è ero,
è il carnefice Alceo. ercib poc'anzi
trema a innanzi a me· gli ampi e · miei
pe rciò furrgia. Ben de' materni !Tetti
volle abu ar, ma s'av ili nell ' opra:
enti quel traditore
repugnar la natura a tanto orrore .
AMBI E . 1a tu creder si pre to ...
MA D 'E . Oh io ! consorte,
tu non udisti ome
Mitridate par ò. Pare che a es e
il cor sui labbri. Anche un tumulto interno,
che Aie o mi cagionò, gli accrebbe fede:
e poi quel che si uol, presto si cr de.
AMBI E . Oh dèi ridurci a tal mi eria, e 01
deriderci di piu!
A n Trarre una madre
fino ad offrire mple si
d 'un figlio ali omicida! Ah ! sposo il mio
n on è dolor: smania d1venne, in ana
avidita di sangue.
CAMBISE . Io stesso, io aglio
soddisfarti, o Mandane. Addio. (parte ndo )
MA DANE. Ma ove?
MBJ E. A ritrovare Alceo
a traGgge rg-li il cor: sia pur nascosto
m grembo a Gio e. (partendo)
IlA DA Odi: se lui non giung-i
in solitari parte , avra l'indegno
troppe difese. Ove s'avvalla il bosco,
fr a que' monti cola, di Trivia il font
scorre ombroso e romito:
atto all'in idie è il ito . I i l'attendi:
passera: quel sentiero

METASTASIO , Opere· Jll,


306 XV - CIRO RICONOSCI TO

porta alla sua capanna; e in uso ogni arte


io porrò perch' ei venO'a.
CAMBISE. (sempre in atto di partir ) Inte i.
MA DANE. scotta .
Ravvisarlo aprai?
CAMBISE. i, l'ho pre ente:
parmi ederlo.
MA DANE. h. po o,
non averne pie · : pas agli il core;
rinfacciagli il delitto;
fa' che enta il morir ...
CA 1B1SE. on iu, Man ane :
il mio furor m' anza:
non inspirarmi il tuo; fremo abba tanz
Men bramosa di tragi funeste,
va correndo l 'armene fore te
fiera tigre che i figli perdé.
Ar o d' ir , i r bbia deliro;
mania fremo; non do, non miro
eh le furie, che porto con me. ( parte)

CE

fA DA E poi CIRO.

M. o E. e tornas e il fell n ... Eccolo! ... Oh com


tremo in veder! ! Una mentita calma
mi ras er ni il ci lio.
CIR . 1adr mia, cara madre ecco il tuo figlio .
MA D NE. (Che t raditor .)
CIR . Pur Mitridate alfin
consente che al tuo en ...
MA ~' D • E. Ferma! (Chi mal
i reo lo crede ria ! )
CIR . umi uel volto
ATTO RCO DO 30

come trovo c mbiato ! Intendo: è questa


una endetta . Il mio tacer t'offese:
mi punisci cosi. Perdono, o madre·
bella madre perdon.
MA 'DA E . Taci .
CI RO. Ch'io taccia ?
MANDA 'E. (Con quel nome di madre il cor mi straccia!)
CrRo. Ba ta, basta, non piu: del fallo o rmai
è maggiore il castigo.
MANDANE. Odi. ( n i tante
tollerate, ire mie. ) 1adre non vi e
piu tenera di me . Questo ritegno
è timor, non è sdegno. Alcun travidi
fra quelle piante ascoso . Il loco è pieno
tutto d'insidie. (Anima rea .) Bisogn a
in piu secreta parte
sciòrre il freno agli affetti, ed esser certi
che il re nulla traspiri. Oh q uali arcani,
oh quai_disegni apprenderai! Palese
vedrai tutto il mio cor .
CIR . engo , son pronto:
guidami dove vuoi.
MAND A ' E. (Gia corr all'· a
l'ingannator. ) Meco venir sarebbe
di sospetti cagion . Tu mi precedi:
ti seguirò fra poco.
CIRO. Ma dove andre m?
MANDANE. Scegli tu stesso il loco.
C rR o. Nella capanna mia?
M NDANE. Si ... M potrebbe
opraggiungere alcun.
C rRo . Di Pale all'antro ?
M DANE. Mai non seppi o e sia.
CrRo. Di T rivia al fonte ?
MANDA . Di Tri ia ... È fo rse quello
che bagna il vici n bosco , o v'è piu folto ?
X - C JR RIC OSCI T

CIR i.
MANDA E. Va': mi è noo. (Ah ! traditor, sei c ' lto. )
Cl R • D eh ! non tardar.
MA DANE. (con ira) Parti una vol ta.
CIRO. Oh io!
perché quel fiero guardo?
MAND.\NE. Io fingo , il sai :
temo che a lcun ne osser vi.
IR È ver ; ma come
puoi trasformarti a questo seO'no?
M .E. Oh , quanta
violenza io mi fo! e tu potessi
vederm i il cor ... ento morirm i ; av ampo
d ' in otTri bil de io; vorrei mirarti.
Vorrei di gia ... (N on so frena rmi. Ah ! parti.
CIR . Parto; non ti sdegnar.
i, madre m ia, da te
O']j affetti a moderar
quest'alma impa ra.
Gran colp al fi n non è
e ma l frenar si può
un figlio che perd ,
un fig lio che trovò
madr i car . (parte)

CE A l

MANDA E p i RPALICE.

MA _ E. Che dolcezza fall ace !


che oci insidiose! A p oco a p co
comincia a a sedurmi. Un inqu ieto
senso , partendo, ei mi lasciò nell'alma
che non è tutto degno . Affatto p ri a
non ono fin d ' um aniui. 1i m se
ATT SEC DO

q uel sembiante entil, que' molli accenti ,


quella tenera eta. Povera madre l
e madre ha pur, q uan do apra che il figlio
lacero il s en da mille co lpi .. . Oh , foHe
ch'io son ! gli altri compiango
e mi scordo di me. Mora l' indegno !
se n e affii;::.ga hi uol . Il fiO'I io mio
vendicato esser dee. on madr e anch' io .
ARPALICE. Principe sa, ah! perdona
l'impa zienze mie. D' Alceo che a ven ne?
è assoluto? è pu nito ? è giusto? è reo?
MANDANE. Deh! per pi eta, no n mi parlar d ' AJceo.
Quel nome se ascolto ,
mi palpita il core;
se penso a quel volto
mi se nto gelar.
Non so ricordarmi
di quel traditore,
né senza deO'narmi,
né senza tr mar. (part )

li

'\RPAUCE oJa .

Ah ! chi saprebbe mai


d' Alceo darm i no vell a? Io non ho ace
se il suo de. tin non so. Ma tanto affanno
tro ppo i do eri ec ede
d'un grato cor. Che? D'un pastore amante
Arpa lice sa rebbe! Eterni dèi,
da tal vil ta mi difendete. Io dunque ,
germe di ta nti eroi ... No, no; rammento
quel che debbo a me stessa. E pur quel volto
mi sta sempre sugli occhi. Ah! chi mi toglie ,
310 XV- CIRO RICONOSCIUTO

chi, la mia pace antica?


È Amore? Io noi distin uo: alcun mel dica.
So che presto ogn un s' a v e de
in qual petto annidi Amore·
so che tardi ognor lo vede
chi ricetto in sen gli da.
Son d'Amor si l' arti infide,
che ben spesso altrui deride
chi O'ia porta in mezzo al core
la ferita e non lo sa .
T ERZ

E .A I

Montuosa.

MANDA E e f iTR IDATE.

MA Lo eggo, Mitridate: un i o
DANE. empio
tu sei di fedelta. on istancarti
l' istoria a raccontarmi : a pro di Ciro
io so gia quanto oprasti,
e Cambise lo s . Pen iamo e ntrambi
le tue cure a premiar. (Perfido ! ) È ero
che del merito tuo sempre minore
la m ercede sanl; pur quel che feci
sem brerei, lo edrai ,
poco a Mandane, a Mitridate assai.
MITRIDATE. Questo tanto parlarmi
di premio e di mercé troppo m' ofTende.
Che? Mandane mi crede
mercenario cosi ? S'ingan na. Io fui
g ia premiato abbastanza,
compiendo il do er mio. Le rozze spoglie
non tr sformano un'alma. In m 1,

l 'esser pastore è scelta,


non è sventura. Io volontario elessi
questa semplice vita; e forse appuntb
per serbarmi qual ono, e qual mi credi
per mai non divenir.
3l2 XV - C IRO RICO O CIUT

M DANE. Uffil, qual segno


pu simular l'indegno!)
MITRIDATE. Un tal pensiero
tanto oltraggio mi fa ...
MANDA E . Perdona : è vero.
Il desio d'esser grata
mi tr sportò. Dove pen ar che il solo
premio dell'alme grandi
son l 'opre lo r. Chi giunse,
e tu ben vi <YÌ Un <Ye ti al grado estremo
d'un' eroica virtu, tutto ritrova,
tutto dentro i sé: pieno si sente
d'un sincero piacer, d'una sicura
tranquillita, che ra ppresenta in parte
lo stato degli dèi. Di', tu lo provi,
non è c si?
MITRIDATE . i ; né, di questa inv c
torrei di mille imperi .. .
MANDANE. mma vile !
traditor ! scellerato!
MtTRIDAT E. [o ! principessa,
io!
MA DA E . i. Crede i, o t lto ,
le tu e frodi occultar? Speravi, iniquo,
che invece del mio figlio il tuo do essi
stringermi al sen? o , pe rfido! io n n sono
ta nto in odio a li dèi. Ciro ho perduto;
ma so perché; s chi l'uccise , e voglio
e pos o ven icarmi.
MIT RIDATE. In quale inganno ,
in qual miser error ...
MA o E. T aci: m 'asc Jta,
e comincia a tremar. ppi che in quest
momento , in cui ti parlo ,
ta pirando il tuo fig lio .
MrTRlDATE . h . come ?
TTO TERZO JI

M DANE. io ,
senti mi raditore ; io fui che l'empio
a trovar chi l'uccida
ingannat mandai.
MITRTDATE. u te sa .
1A DANE . Ai t a
ved i s può perar: olinuo · il loco,
chi l 'attende è ambi e.
MITRIDATE. Ah che facesti ,
sconsiuliata Mandane. Ah! corri, ah! dimmi
qual luouo almeno ...
M NDANE. Oh ! questo no : potre ti
forse giugnere in te mpo. Il loco a ncora
saprai ma non si presto.
MlTRIDATE. Ah , prin ipessa,
pieta di t . Qu el che tu cr di lceo ,
è il tuo Ciro, è il tuo fi lio .
MA DA E. Eh! questa olta
non sperar ch'io t i creda.
MITRID TE. Il su l m inghiotta ,
un fulmine m' oppri ma ,
se mentii, se mentisco.
MA DA E . mpia fa e la,
familiare a · mal vaui.
MITRIDATE. dimi . lo voglio
qui fra' lacci resta r: tu corri intanto
la traged ia a impeùir. Se poi t'in ganno,
torna allora a punirmi ,
squarciami allo ra il sen .
MA DANE. cal ra è l'offerta,
ma n o n i gio a: in quest'angu tia, il colpo
ti basta differir. ai ch'io non po ·so
d'alcun fida rmi , e ti prometti intanto
il soccorso del re .
MITRID TE. Che far degg' io ,
santi numi del ciel? Povero prence
314 V - CIRO RICO OSCI T

infelici mie cure . lo mi protesto


di bel nuovo , o Mandane: il finto Alceo
è Ciro, · il figlio tuo: salvato! corri !
credimi per p ieta . e non mi credi ,
diventi, o principessa,
l' orror, l odio del mondo e di te stessa.
MANDA E. remi pure a tua vo lia.
non m'inganni però.
MlTRIDATE. Ma questo, oh D io !
questo canuto crine
m erta si poca fé? aglio n poco
le lagrime eh' io spargo?
MA 'DA E. In uelle appunto
conosco il padre. In tale stato anch' io ,
barbaro! son per te. Provato: impara
che sia per ere un figlio.
MITRIDATE. (Oh nostra folle,
misera umanita ! Come trionfa
delle miserie ue !) Parla, Mandane:
Ciro dov'è? orrai parlar, ma quando
tardi sara.
MANDA E. Va', traditor! ch'io dica
di piu, non aspettar.
MlTRIDATE. ogno? ~o n desto?
Dove corro? che fo? Che g iorno è questo!
Dimmi, crudel, dov'è:
ah ! non tacer cosi.
Barbaro ciel, perché
insino a questo di
serbar mi in vita?
Corrasi... E dove? Oh dèi !
chi guida i pas i miei?
chi almen, chi per mercé
la via m'addita? (parte)
ATTO TERZO 3 5

E A Il

• fA DA NE, poi RPAGO.

ANDANE. A quale eccesso a rri a


l ' arte di simular. Prestansi il no me
oggi fra lor gli affetti; onde i since ri
impeti di n atura
chi na conder non sa, gl i applica a meno
a straniera cagioo. Pieta d 'amico,
zelo di servo il suo paterno affanno
volea costui che mi paresse· e quas1
mi pose in dubbio. h ! la sventura mia
dubbia non è: qual piu sicura pro a
che d ' Arpago il ilenzio ? Un tale amico ,
che i l suo perdé per il mio figlio, a cui
noto è il mio duo1 , della cui fé non posso
dubitar senza colpa, a che m 'a rebbe
taciuto il er? o, Mitridate infido,
con le menzogne tue, della vendetta
non mi turbi il piacer. Cosi torna se
Cambise ad avvertirmi
che Alceo spirò !
RPAGO . (frettoloso) Né qui lo eggo . Ah! dove,
dove mai si nasconde?
MA DANE. Arpago amato ,
che cerchi?
ARPAGO. Alceo. e noi ritro o, io perdo
d ' ogni mia cura il frutto.
MANDANE. ltro non brami ?
on ao-itarti: io so do v ' è .
A R AGO. Respiro,
lode agli dèi! D eh! me l'addita : è tempo
cb e al popolo si mostri. Altro non manca
che presentarlo.
XV - CIRO RfCONO CIUTO

M NDANE. O generoso amico ,


vego-o il tuo zel. Con pubblica vendetta
t'affann i a soddi farmi: io ti son grata.
Ma giungi tardi: a vendìcarmi io stessa
gia pensai.
ARPAG . Contro chi?
MANDANE. Contr l'infame
uccisor del m10 Ciro .
ARPAGO. Intendi Alc o?
MA 0 .-\NE. i.
ARPAGO. Guardatì, Mandan .
di non tentar nulla a suo danno: lceo
è il fi lio tuo.
MANDA E. Che !
ARP G Tel celai, teme ndo
che materni tra porti il gra n se reto
p o te sero tradir.
MA DANE. Come. Ed è ero .. .
RPAGO. OD dubitar. Tu sai
e ingc nnarti poss' io. Ciro è in Aie o;
l 'ed ucò Mitridate · io o-Jiel recai;
l'ucciso è un impostor. S rena il ollo:
la tua doglia è finita.
MANDANE. anti numi el ciel soccor o . aita! (v uol partire)
ARPAG . Dove'? Asco ha ...
MA D.-\ E. , h. corriam... on morta! Io sento
trio germi il cor. ( i appo~>'gia ad un tronco· poi iede)
ARPAGO. Tu scolorisci in olto!
udi ! tremi ! \ acilli !
A DA E. Arpa o-o ... Ah ! ann e;
ola di Trivia al fonte· il figlio mio
sa\ a, if ndi: ei forse sp1ra adesso.
RP G . Come!
A 'DANE. h! a ', ché l uccide il padre iste so!
RPAG . Possenti numi! (parte in fretta )
ATTO ERZO

CE A lll

1A>' DAN o]a.

Oh me in felice! Oh troppo
e race Mit ri date! essi, oh Dio,
creduto a' detti tuoi! Pote si alme no
lu in garrn i un momento! E come? h! troppo
sd eo-n w era Cambise;
troppo tempo è o-ia scorso, e trop po nero
è i! tenor del mio fato. Ebbi il mio figlio,
stupid . innanzi agli occhi; udii da lui
chiama rmi madre; i iolenti intesi
m oti del sa ngue: e nol conobbi, e o!H
ostinarmi a mio danno! Ancor lo sento
parlar; lo eggo ancor. o e ro figlio!
non vote a !asciarmi: il suo d tino
parea che p re edesse. Ed io, tiranna!. ..
ed io... Che orror! che crudelta l on posso
tollerar piu me tessa ( 'alza). Il mondo, il cielo
sento che mi dete ta; odo il consorte
che a rin faccia r mi viene
il parrìcidi su ; eggo di Ciro
l'ombra squallida e mesta,
che stillante di sangue .. . Ah! dove fuggo?
dove m'ascondo? Un precipizio, un ferro,
un fulmine dov'è? Mora, perisca
quest b rba ra madr ; e non i troYi
chi le ceneri sue .. . Ma ... come .... È dunque
perduta ogni speranza? E non potrebbe
giungere Arpago in tempo? Ah! si, clementi
numi del ciel, pietosi numi, al figlio
perdonate i miei falli . È questo nome
forse la colpa sua; colpa ch'ei trasse
dalle viscere mie. o, voi non siete
XV- CTRO RICONOSCIU T O

tanto crudeli. Io la giustizia \·ostra,


dubitandone, offendo. È vivo il figlio:
corrasi ad abbracciarl o .... h , folle . Io ado
a perder questo ancora
languido di speranza ultim raggio.
Andiam: chi sa.. . 1a quello ,
che a me corre affannato,
non è Cambise? Aimè! son morta. È fatto
l'orrido colpo: ha nella destra ancora
nu o l'acciar .. . Chi mi soccorre ? h! stilla
ancor del vivo angue .. . Ah! fuggi . .. ah! parti . . .

SCE IV

CAMBISll: con ispada nuda nella de tra


stillante di sangue, e detta.

CAMBISE. Vedi del mio furor ...


MANDANE. Fuggi : quel sang ue
togli al materno ciglio.
CA ;tBTSE. Questo sang ue che vedi ...
MANDA E. (sv~ne ndo) Oh sangue! ... oh .. . figlio !. .•
CAMBISE. Sposa! Mandane! Oh me perduto! Ascolta,
principessa, idol mio. Non ode. Ha chiuse
le languide pupille, e alterna appena
qualche l nto respiro. Alm n sapessi
come agli usati uffizi
quell'alma richiamar.

SCENA

C 1BI E, 1A D ANE e CIR O.

CI RO. ( enza- eder gli a t i )Dove la m adre,


dove ma i troverò? Di Tri ia al fonte
fin or l'attesi, e mai non venne. (cercando per la cen }
TTO TERZO

CAMBISE. All'onda
cornam del 1cm rio . Ma sola intanto
qui lasciarla cosi. . . Se alcun edes i ...
h! si. Pastor... senti. (vedendo Ciro)
CIRO. (rivol endosi) Quai grida?
CA fBlSE. (Oh numi .
non è del figlio m1o
l'omicida costui? )
CIRO. (Stelle! non veggo
la madre mia cola?)
CA.MBISE. Chi sei?
CIRo . Che avvenne ?
CA 1BISE. on t 'inoltrar : dimmi il tuo nome .
Cm o. Eh! lascia .. .
CAMBISE. Di ': n on ti chiami Alceo?
CIRO. (Questo importuno
a gran pena sopporto.)
Si, Alceo mi chiamo.
CAMBI E. (i n atto di ferire) Ah, traditor l se1 morto .
CIRO. Come! N o n appressarti 1 o eh' io t'immergo
questo dardo nel cor. {in atto di difesa)
CAMBISE. Dal furor mio
né tutto il ciel potni alvarti .
MA DAr E . (cominci a ri ntir i} Oh Dio!
CAMBISE. Ah l sposa, apri le luci, april e, e ved i
per man del tuo Cambise
la bramata vendetta.
Cm o. Od imi, oh dèi l
e Cambi e tu sei?
C MBISE. Si, scellerato !
son io : sappilo mori. (in atto di fe rire)
CJRO. (getta il dardo) Ah. padre amato,
ferma; gia so no inerme; il colpo affrena:
riconoscimi prima, e poi mi s ena.
MA DANE . Perché ritorno in vita?
CA 1BISE. (Il so m 1 inganna ·
e pur m 'intenerisce. )
2 X - CIRO R CO OSCIUTO

MANDANE. Eterni dèi .


non è que(Yli il mio Ciro? e son mai?
fra l'o m br fra ' i e n t'?
AMBISE . (Io dunque, oh folle!
credo a qu detti in fidi?)
No, cadi ! ... (in atto di ferire)
MA DA E. Ah, spo o ! ah, che il tuo figlio uccidi! (s'alza)
CA fBISE. ccido il figlio! (re ta immobile)
MA DANE. (abbracciandolo) Oh aro figlio! oh cara
parte dell'alma mia!
A miSE. telle ! o delir ,
o d lira 1andane. E questi · Ciro?
M DA E. i. Chi m ai lo di~ e
dal paterno furor? qual sa n(Yue mai
il tuo ferro macchiò? Di Trivia al fonte
tu l ' attende 1 pur.
CAl\IBISE. No, non vi giunsi;
ché, partendo da te, per via m'a venn i
ne' reali custodi. Essi di nuovo
mi olean prigionier: di loro alcuni
io trafi si e fuggii. Perciò con qu sto
ferro tinto di sangue ...
MA DANE. Intendo il r sto.

CE I

A TIA.GE m di part c n séguito, e detti.

A TIAGE. (Qu i Cambise, e disciolto!)


C MBISE. Ma Ciro non mori? (a 1 ndane)
M . ,' DA · E. N
A TIAGE. (Cie l, che ascolto!)
M.\ ' DA E. N'ebber cura gli d ' i.
A tBl. E . piègati , o posa.
M DA E. di.
TTO T ZO 32 1

ASTIAGE. ( entiam .)
MiùTD Qu l finto
Ciro che cadde estinto . ..
CIRO. Il re s 'appressa.
CAMBIS Ecco un nuovo periglio .
MA DANE . Ecco le nostre
contentezze impedite .
AsTJAGE. Seguite pur , seguite ; io non di sturbo
le gioie altrui : ma che ne venga a parte
parm i ragion. Via. chi di oi mi dice
dell' isteria felice
l' ordin qual sia? Chi liberò costui?
(accennando Cambise)
1
chi Ciro conservò ? do e s ascende?
CIRO. (Aimè !)
ASTIAGE . essun risponde? Anche la figlia
m' invidia un tal contento! Ohi ! s'annodi
ad un tronco Cambise ...
MA ND ANE . Ah ! no.
A TJAGE. Lode ag li dèi
a parlar cominciasti.

SCE A VII

ARPAGO in disparte e detti.

ARPAGO. {Ecco il tiranno :


per trarlo al tempio il cerco appunto. J
ASTIAGE. (a Mandane) Or dimmi:
qual è Ciro, e dov'è? Nulla tacermi,
o sotto agli occhi tuoi , segno a piu strati 1
cadni Cambise ...
ARPAGO. (Ei sa che Ciro è in vita
dunque, ma non eh 1 è Alceo.)
MAN DANE. Barbare stelle!

METASTAS10 1 Opere - III. 21


322 XV- CIRO RICO O CIUTO

CAMBISE. Empio destino !


CIRO. (E tacito in disparte
sto del padre al periglio . )
ARPAGO. (Arpago, all'arte!)
ASTIAGE. é parli ancor? Dunque il tuo sposo estinto
brami veder? T'appagherò. Cu todi ....
MANDANE. Ferma! ...
CIRO. Senti! ...
M DANE . Io gia parlo.
CrRo. Il falso Ciro ...
MAr DANE. Il mio Ciro smarrito .. .
ARPAGO. Astiage, ah! sei tradito. Ah! corri: opprimi
il tumulto ribelle,
eh si destò. La tua pr senza è il solo
necessario riparo.
ASTIAGE. Aimè! che av enne?
ARPAGO. Confu arnente il so. S'affretta a gara
verso i l te m pio ciascun. Cola si dice
che Ciro sia. Tutti a vederlo, tutti
anno a giurargli fede; e il volgo insano
grida a voce sonora :
iro è ii re, Ciro viva; Astiage mora! -
ASTI AGE. Ah! traditori, ecco il segreto: entrambi
con questo accia r. ..
(in alto di snudar la spada, minacciando ambise e MandaneJ
ARPAGO. Mio re, che fai? Se Ciro
è ver che viva, in tuo poter conserva
la madre e il genitor: con questi pegm,
lo faremo tremar.
ASTIAGE. (dopo aver pensato) i; custodite
dunque la coppia rea sol perché sia
la mia difesa o la endetta mia.
Perfidi! non godete
se altrove il passo affretto:
a tra passarvi il petto,
perfidi~ tornerò.
TIO fERZ 3 3

Cadrò, e vuole il fato,


cadrò, trafi tto il seno ;
ma in endica to almeno,
ma olo non c drò. (parte )

CE A III

CIRO !A. DA E , CA lBISE, RPA o e guardi .

ARPAGO. Parti: l'empio · n l laccio. E i corre al tempio,


e la trarlo io olea. Guerrieri amici,
finger piu non bisogna; andi am! Qui resti
Ciro intanto e Mandane. E tu, Cambise,
sollecito mi sieguì. (vuoi partire)
CA miSE. di. E in Alceo
com'esser può che Ciro ...
ARPAGO. (Con impazienza) Oh Dio! ti basti
aper che è il figlio tuo. Tutto il successo
ti spiegherò ; ma n on è tempo adesso. (pa rte)

CE A IX

CJRO, MA DANE e CAMBISE.

CA 1BlSE. Addio ! (a Mandane e a Ciro)


CIRO. Padre!
MA DANE. onsorte !
CI RO. E ci abbandoni
cosi con un addio?
CA ~BlSE. Nulla vi dico,
perché troppo direi; né questo è il loco .
So ben tacer, ma non saprei dir poco.
- C JK R IC C J TO

Dammi, o posa, un solo amplesso;


dammi , o figlio, un bacio solo.
Ah ! non piu : da voi m' involo ·
ah ! !asciatemi partir.
Sento gia che son men forte ;
sento gia fra' dolci affetti
e di padre e di consorte
tutta l'alma intenerir_ (parte )

C A X

MANDA E e C IR

M A DA E. Ciro, attendimi : io temo


qualche nuova sventura ; il mio consorte
voglio seguir. T e d ' Arpago l' avviso
ritrovi in que to loco.
CIRO. Or che paventi?
MA DANE. F iglio mio, noi o dir: tremo , per uso
avvezzata a tremar. empre vicino
qualche insulto mi par del mio destino.
Benché l'auge l 'asco n da
dal serpe in idiator,
trema fra l'ombre ancor
del nido amico ;
ché il muover d'ogni fronda,
d'ogni aura il susurrar
il sibilo g li par
del suo nemico. ( parte)
ATTO TERZO 2

SCE A XI

CrRo e poi RPALICE.

CIRO. h ! tramonti una olta


questo torbido giorno , e sia piti chiaro
l'altro almen che verni.
RPALICE. 1io caro Alceo,
tu sal o! Oh me felice ! h! ieni a parte
de' pubblici contenti. Il nostro Ciro
vive ; si ritrovò . Q uel , che uccidesti,
era un ile impostar.
Cm . i? donde il sai ?
ARPALICE. Certo il fatto e ser dee: queste campa2ne
non risuonan che iro. h, se vedessi
in quai teneri eccessi
d'insolito piacer prorompe ogni alma!
bi batte palma a palma,
chi sparge fior, chi se ne adorna , i numi
chi ringrazi a piangendo. Altri il compagno
or re a Il et dali' o p a; Itri l' mie
va dal sonno a de tar. Riman l'aratro
qui nel solco imperfetto ; ivi l'armento
re ta senza pastor. Le madr.i ascolti,
di <Yioia in ane a' pargoletti ignari
narrar di Ciro i ca i. I tardi vecchi
vedi, ad onta degli anni,
se stessi invigorir . ino i fanciulli,
i fanciulli innocenti,
non san perché, ma, sul comune esempio,
van festivi esclamando: - Al tempio ! al tempio !
CIRO. E tu Ciro vedesti?
ARPALICE. Ancor noi vidi.
Corriam ...
-CIRO RICO ·o Cl TO

CIRO. Ferma! Il vedrai


pria d'ognun, tel prometto.
ARPALICE. E Ciro .. .
CIRO. Ah, ingrata!
tu non pensi che a Cir0 : il tuo pastore
gia del tutto obbliasti. E pur sperat. ..
ARPALICE Non tormentarmi , Alceo. e tu sape si
come sta questo c or ...
CIR . iegui.
ARPALICE. é uoi
la ciarmi in pace?
IRO. Ah! tu non m'ami.
ARPALICE. Almeno
veggo che non dovrei: ma . ..
CIRo. he?
ARPALICE. Ma parmi
debil ritegno il naturale or oglio .
Parlar di te non voglio, e fra le labbra
ho sempre il nome tuo· vuo' dal pensiero
cancellar uel sembiante, e in ogni og etto
col pensier lo dipingo. gghiaccio in seno,
se in periglio ti miro; av ampo in volto,
se nominar ti sento. Ove non e t,
tutto m'annoia e mi rincresce; e tutto
uel, che un tempo bramavo, or piu non bramo.
Dimmi : tu che ne credi? amo o non amo?
CIRO. Si, mio ben ; si, mia speme ...

CE.A II

MITRIDATE con guardie, detti .

MITRIDATE. Al tempio! al tempio !


mio pnnc1pe, mio re. Questi guerrieri
rpago invia per tua custodia. h ! vieni
a con olar le impazienze altrui.
ATTO TE ZO

ARPALICE. (Con chi parla costui? )


IRO . Dunque è pales
di gia la sorte mia?
J 1ITRIDATE. • essuno ignora,
signor, che tu sei Ciro. Arpago il di e:
indubitate prove
a ' popoli ne die'; parger le tece
per cento bocche in mille luoghi; e tutti
oglion giurarti fé.
AR ALlCE. cherza o da senno
Mitridate parlò?
JR O. Ciro son io.
o n bramasti veder lo? ecco l o.
ARPA L ICE. Oh Di
Cmo. aspiri ! lo non ti piaccio
pastor, né re?
ARPALICE. é tanto umil , né tanto
sublime io ti olea: eh 'ard af mio foto
e troppo è per Alceo er C iro è poc~o.
CIR O . Mal mi conosci . Arpa lic finora
me amò, non la mia sorte; ed io non amo
la ua orte, ma lei. La vita e il trono
Arpago diemmi; e, se ad offrirti entrambi
il genio mi consiglia,
quel, che il padre mi die ·, rendo alla figlia.
Oh, che dolce esser grato , ove s'accordi
il d ebito e l' amore,
la ragione, il desio , la mente e il core!
ARPALICE. Dunque ...
MITRID TE:. Ah! Ciro, t'affr tta.
CIRO. Andiam. Mia vita,
mia sposa, addio.
ARPALI E. Deh ! non ti cambi il regno.
CIRO . Ecco la destra mia: prendila in peg no .
No , non vedrete mai
cambiar gli affetti miei,
XV- CIRO RICONOSCI TO

bei lumi , onde im parai


a sospirar d'amor .
Quel cor, che vi donai,
piu chieder non potrei ;
né chieder lo vorrei,
se lo potessi ancor . (parte)

CE A XIII

RP LICE sola .

Io son fuor di me stessa. un vil pastore


cieca d'amor , mi scuopr amante; e sposa
mi ritrovo d 'un re! Gl'i tessi affetti
insuperbir mi fanno, onde poc'anzi
arrossirmi do vea ! Certo quest'alma
era pre ao-a, e tra e ea nel volto
del finto Alceo ... Cb tra veder? che gio a
cercar pret st' ali' impru enza? Ad altri
favelliamo co i; ma iu sinceri
ragioniamo fra noi. Diciarn più tosto
che d'amor non s' intend
chi prudenza ed amor unir pretende.
Chi a r 'trovare a pira
prude nza in co re amante ,
domandi a chi delira
quel senno che perdé.
Chi riscaldar si ente
a' rai d un bel sembiante,
o piu non è prudente,
o a mante ancor non è . (parte)
ATTO TERZO

SCE A LTIMA
spetto esteriore di m gn ifico t mpio dedicato a iana fabbricato
sull'eminenza d ' un co le .

A TI GE co n la pada alia mano, poi CAMBI E indi ARPAGO ,


ciascuno con séguito ; alfi ne tutti , 1'un dopo 1 altro .

ORO. Le tue selve in abbandono


lascia, o Ciro, e vieni al trono ;
vieni al trono, o nostro amor.
AS flAGE. Ah , rubelli ! ah, spergiuri ! ov' è la fede
dovuta aJ vostro re? essun m'a colta?
m'abbandona ciascun? o, non saranno
tutti altrove i rei. (vuol partire)
Al\fBISE . (arre tandolo) Ferma tiranno !
A TI GE. Ah, traditor ! (in atto di difesa)
CAMBISE. (al uo sèguit ) Voi eu todite il passo ;
e tu ragion mi rendi... (ad A tiage)
AsTIAGE. Arpag o ah ! vieni ; il tuo ignor difendi .
ARPAGO. Circondatelo , amici. (d aU' ltro lato con eguaci )
Alfin pur sei ,
empio . ne' lacci miei.
ASTIAGE. u ancora ~
RP GO. lo solo,
barbaro ! io sol t uccido: a questo passo,
sappilo, io ti riduco.
A TI AGE. E tanta fede?
e tanto zelo?
ARPAGO. A chi svenasti un fi o-lio
non do evi fidarti. I torti obblia
1'offensor, non l'offeso.
AsTIAGE. Ah, indegno!
ARPAGO. È questa
la pena tua.
CAMBISE. La mta vendetta è questa .
30 X - CIRO RIC NOSCIUTO

ARPAGO. Cadi ! (in atto di ferire)


CAMBI SE. Mori crudel! (come sopra)
CIR . Ferma! (trattenendo Arpago)
MA DANE . (tratteneud ambi e) T'arresta .
ARPALICE. (Che avvenne?)
MITRID E. (Che ani? )
M ANDA. E. Rifletti, o sposo ...
CI RO . rpago, pensa ...
CAMBISE . (a !andane) È un barbaro.
M DA E . È mio padre.
RP GO . E un iranno. (a Ciro)
C!RO. È il tuo re.
CA {Bl E. Punir1o io voglio.
ARP. GO . endicarmi desio.
MA .. DA E. 1 011 fia ver.
CI RO . o n sperarlo.
ASTIAGE. Ove son io!
ARPAG Popoli, ardir ! L e empio mio seguite;
si opprima l' oppressor.
CIRO . Popoli, udite!
Qual impeto ribelle ,
qual furor vi trasporta? O ve 'in te e
che divenga il vassallo
giudice del suo re? Giudizio indegno,
in cui molto del reo
il giudice è peg!riore. diate in lui
un parricidio, e l' imitate. E i forse
tentollo sol; voi l'e eguite. Un dritto,
che avea sul sangue mio ,
forse stia e abusò; voi, quel che han solo
gli dèi sopra i regnanti ,
pretendete usurpar. M'offrite un trono,
calpestandone prima
la maest<L Que to è l'amor ? son questi
gli auspizi del mio regno? Ah l ritornate,
ritornate innocenti. A terra , a terra
ATTO TERZO 3 I

l armi sedizio e. Io vi p ometto


placato il o tro re. Foste se ott i,
lo so; vi piace; a mille segni e pressi
gia intendo il \ ostro cor; gia in ogni destra
ego-o l 'aste tremar; le?"go il incero
pentimento del fallo in o ni fronte.
Per onalo , si nor. (ad Astiaae) Per bocca mia,
piangendo ognun tel chiede: ognun ti giura
eterna fé. e a cancellar l'orrore
d ' attentato i rio
\ ' è biso(7no di sangue , eccoti il mio.
(inginocchiandosi)
• STl GE. h prodigio !
MANDANE. Oh stupore !
ARPAGO. Oh 'irtu che disarma il mio furore.
( rpago ctta la spada, e tutti i congiurati le armi}
A TlAGE . Figlio, mio caro figlio,
sorgi, vieni al mio sen . Cosi punisci,
generoso . i tu i torti e l'odio mio?
Ed io , mi ero. ed io
d'un 'anima si grande
tentai fraudar la terra? Ah. vegga il mondo
il mio rimorso almeno. Eccovi in Ciro,
medi, il re ostro. A lui
cedo il serto real : rendigli, o figlio
lo splendor eh' io gli tolsi. I miei deliri
non imitar. Quel, che fec' io, t'insegna
quel che far non dovrai. De' nu mi amici
al favor corri pondi ,
e il mio rossor nelle tu glorie ascondi.
CORO. Le tue sei e in abbandono
lascia, o Ciro e vieni al tr no;
vieni al trono, o nostro amor.
Cambia in soglio il rozzo o ile,
in rea} la verga umile;
darai legge - ad altro gre ge;
anche re, sarai pastor .
2 XV - CIRO RICONOSCI UTO

LICE ZA

Della Mente immortal provvida cura


è il natal degli eroi . Prendono il nome
i secoli da questi. Ognun di loro
un tratto ne rischiara; e veggon poi
al favor di quel lume,
i posteri remoti
gli altri eventi confusi e ca ignoti.
Tal, fra gli astri, i piu chiari
segna l' occhio sagace; e poi, fi ato
alla corta sicura,
gli ampi spazi del ciel scorre e mi ura .
Superb eta passate,
i vostri or non vantate
natali illustri: ha piu ragion la nostra
d' insuperbir , se i pre i uoi ravvisa:
l'astro , che lei rischiara, è quel d'Elisa.
Astro felice, ah ! splendi
sempre benigno a noi :
rendan gl'i nflussi tuoi
lieta la terra e il mar.
Mai di si bella stella
nube non copra i rai ;
ma1 non s'ecclis i, e mai
non giun ga a tram ntar .
I ICE

XI. Olimpiade. pag. I

XII. Demofoonte » 6g
XIII. La clemenza di Tito )) 135
IV . Achille in ciro )) 20 1

x Ciro riconosciuto » 26J

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