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OPERE
A C RA DI
F U T I OLI I
\ L ~1E T Z
BARI
GIU . LATERZA & FIGLI
TlP TRAF I -EOITORI-LIBRAl
PROPR1 ETA L TTER lA
XI
OLIMPIADE
Dramma rappresentato, con musica del CALDARA, la prima volta nel giar-
dino dell'imperia) Favorita, alla pre enza degli augusti regnanti, il dl
28 agosto 1733, per fe teggiare il giorno di nascita dell'imperatrice
Elisabetta, d 'ordine dell' imperator Carlo sesto.
RGO 1E T
egli punto addestrato agli atletici esercizi, di cui dovea farsi pruova
ne' d etti giuochi, immaginò come supplire con l' artifizio al difetto
dell' esperienza. Gli sovvenne che l'amico era stato piu volte vin-
citore in somiglianti contese; e , nulla sapendo d egli antichi amori
di Megacle con Aristea, risolse di valersi di lui, facendolo com-
battere sotto il finto nome di Licida. Venne dunque anche Megade
in Elide alle violenti istanze dell ' amico ; ma fu cosi tardo il suo
arrivo, che gia l'impaziente Licida ne disperava. Da questo punto
prende il suo principio la rappresentazione del presente dramma-
tico componimento. Il termine, o sia la principale azione di esso,
è il ritrovamento di quel Filinto, per le minacce degli oracoli
fatto esporre bambino dal proprio padre Clistene; ed a questo
termine insensibilm ente conducono le amorose sma nie di Ari tea,
l'eroica amicizia di Megacle, l'incostanza ed i furori di Licida e
la ge nerosa pieta della fedelissima Argene (ERODOTO, PAUSANIA ,
NATALE CoNTI, ecc.).
INTERLOCUTORI
SCE A I
LICID ed A II TA.
SCE A li
SCE III
LICIO ed AM I TA .
SCENA IV
SCENA V
SCENA VT
RISTEA ed ARGENE .
CE VII
RGENE oJa.
SCENA VIII
MEGACLE. Licida!
L I C IDA. Amico!
MEGACLE. Eccomi a te.
L IC lDA. Compisti. ..
M EGACLE. Tutto , o signo r. Gia col tuo nome al tempio
per te mi presentai: per te fra poco
vado al cimento. Or, fi n che il noto segno
della pugna si dia, spiegar mi puoi
la cagion della trama.
LICIDA. Oh! se tu vinci,
non ha di me piu fortunato amante
t utto il regno d 'Amor.
MEGAGLE. Perché?
LI CIDA . Promessa
in premi o al incitare
20 Xl - OLIMPI DE
CE A IX
, 1E GACLE olo.
SCENA X
MEGACLE.
ARISTEA.
l
(ricono cendosi reciprocamente)
MEG CLE. i.
ARI TEA. Perché mai
dunque sei cosi mesto?
ifEG. CLE. Perché ... (Bar bari dèi! che inferno è questo? )
ARISTEA. Intendo : alcun i fece
dubitar eli mia fé. Se ciò t'affanna ,
ingiusto sei. Da che pa rtisti, o caro,
n o n son rea d'un pensier . empre m'in esi
la tua voce nell'al ma: o empre avuto
il tuo nome fra ' labbri,
il tuo vo lto nel cor. Mai 'altri accesa
non fui, non sono e non arò . orrei ...
MEGACLE . Basta: lo so.
ARISTEA. orrei morir piuttosto
che mancarti di fede un sol momento.
M EGACLE. (Oh tormento maggior d 'og ni torme nto! )
ARI TEA. Ma g uardami ma parl a,
m a di' ...
MEGACLE. Che posso dir ? .
ALCA DRO . (uscendo fre toloso) Signor , t affretta,
e a comba tter veni ti . Il segno è dato,
che a l gran cim ento i concorrenti in ita . ( parte)
MEG CLE. Assistetemi, o numi. Addio , mia vita!
A RISTE . E mi lasci cosi? Va': ti perdono,
pur c he torni mio s poso.
MEGACLE . Ah! si gran sorte
non è per me. (in atto di partire)
ARISTEA. Senti. Tu m ami ancora?
MEGACLE. Quanto l'anima m1a.
A RISTEA . Fedel mi credi?
M EG. CLE. Si, come bella .
ARISTEA. A conquistar mi vai?
MEGA LE. Lo b ramo almeno.
ARI TE . Il tuo valor primiero
hai pur?
MEGACLE. Lo credo .
6 XI - OLIMPIADE
ARISTEA. E vincerai ?
MEGACLE. Lo s e ro.
ARISTE . Dunque, allor non son 10,
caro, la sposa tua?
MEGACLE . Mia vita ... Addio !
e ' giorni tuoi C lici
ricòrdati i me.
ARISTEA. Perché cosi mi dici,
anima mia, perché?
MEGACL E . Taci , bell' idol mio.
ARISTEA. Parla, mio dolce amor,
MEGACLE. Ah! che, parl ando,
oh Dio!
ARI TE . Ah! ch e , tacendo,
A DUE . tu mi trafiggi il cor.
ARISTEA. (Veggio languir chi adoro,
né intendo il suo languir. )
MEG LE. (Di gelosia mi moro,
e non lo posso dir.)
A DUE. Chi mai provò di questo
affanno piu fune to,
piu barbaro dolor!
ATI EC
SCE A I
Rl TEA ed RGE E.
SCE A II
SCE III
CENA I
SCENA V
AMI TA solo.
CE A VI
E II
SCENA VIII
SCE IX
l EGACLE ed ARI TE
SCE lA X
LICIDA e detti.
LICIDA. Intese
tutto Aristea?
MEGACLE. Tutto. T'affretta, o prence:
soccorri la tua sposa. (in atto di partire)
LrcmA. Aimè. che miro.
Che fu? (a Megacle)
MEGACLE. Doglia improvvi a
le oppresse i sensi. (partendo come opra)
LICIDA. E tu mi lasci?
11EGACLE. Io vado ...
(tornando indietro)
Deh! pensa ad Aristea. (partendo) (Che dira mai
quando in sé tornerei? (si ferma) Tutte ho presenti,
tutte le smanie sue.) Licida, ah. se nti.
ATTO SEC01 DO
Se cerca, se dice :
-L'amico do 'è?
- L'amico infelice, -
rispondi,- mori. -
Ab . no, si gran duolo
non darle per me :
rispondi, ma solo:
- Pian gendo parti. -
Che abisso di pene
lasciare il suo bene,
/asciarlo per sempre,
lasciarlo cosi . (parte)
CE A Xl
LIClDA ed ARISTE\.
E TA XII
LICIDA po i A R E rr E .
SCE A XIII
SCE A XIV
CEN X
LICJDA . olo.
SCE A I
MEGACLE. C he attender?
ARISTEA. C he ascoltar?
MEGACLE. on s1 ritrova
piu conforto per me .
ARlSTEA. Per me nel mondo
non v'è piu che perar.
MEGACLE. Serbarmi in vita ...
ARISTEA. Impedirmi la morte .. .
EGACLE . . .. indarno tu pretendi.
A RISTEA . . .. invan presumi.
AMINTA . Ferma ! ( ol ndo trattener Megacle, che gli fugge)
ARGENE . Senti, infelice .
( olendo t rattenere Aristea, come sopra)
ARISTEA. (incontrandosi in Megacle) Oh stelle!
fEGACLE. (incontrando Aristea) Oh numi !
ARISTEA. Megacle !
MEGACLE. Principessa!
ARISTE . Ing rato ! E tanto
m 'cdii dunque e mi fuggi,
che, per esserti unita ,
s' io m ' affretto a morir, tu torni m vita?
MEGACLE. Vedi a qual seo-no è giunta ,
adorata Aristea, la mia sventura.
Io non posso morir; trovo impedite
tutte le vie per cu i si passa a Dite.
ARISTEA. Ma qual pietosa mano ...
CE A li
AL C DRO e d tti
RISTEA. Re piro !
ARGE -E. Oh folle!
A H -TA. Oh sconsigliato!
RISTE . Ed ora
il genitor che fa?
ALCANDRO. i lacci av olto
ha il colpe ole inna Zl .
AMr TA. (Ah! si procuri
di salvar l' infe ice .) (parte)
MEGACLE. E Li ci da che dice?
ALCAND RO. Alle richieste
nu)la risponde. È reo di morte, e pare
che noi sap ia o noi curi. Ognor pian gendo,
il suo Megacle chiam a: a tutti il chi ùe,
lo vuoi da tutti ; e fra' suoi labbri, come
altro non sappia dir, sempre ha quel nome .
MEGACLE. Piti resister non posso . Al caro amico
per pieta chi mi guida?
ARISTEA. Incauto! E quale
sarebbe il tuo disegno? Il ge nitore
sa che tu l' ingannasti;
sa che Megacle sei. Perdi te stesso ,
prese ntandoti al re: non sal i altrui.
fEGACLE. Col mio principe insieme
almen mi perde rò . (vuol partire)
ARISTEA . Senti . E non stimi
consio-lio assai mig lior che il padre offeso
vada a placare io stessa?
M EGACLE. Ah ! che di tanto
lunsingarmi non so.
ARISTEA . Si, questo ancora
per te si faccia .
MEGACLE . Oh generosa, oh grande,
oh pietosa Aristea! Faccia no i numi
quell' alma bella in que ta bella pogli a
1ungam ente alberg ar. Ben lo di s ' io,
2 Xl - OLI 1PIADE
SCE A III
MEGACLE ed RGE 8: .
CE I
CE . A
11 'l'A solo .
CE A VI
SCE A 11
SCE A V1II
ARGE E de ti.
Cu TENE. C h perciò?
di Licida con orte?
RGE E. Ei me ne diede
m pegno la sua destra e la s ua fede.
CLISTENE. Licori io, che t a colto,
son piu folle di te . D'un regio er de
una il pastorella
dunque .. .
AR GENE. Né il son io,
né son Licori. Argen ho n ome: in Creta
chiara è del sangue mio la gloria antica;
e, se o-iuromm i fé, Licida il dica .
CLISTE E. Licida , paria.
LICIDA. (È l'e ser menzognero
questa volta pieta .) No, non è ero.
RGENE. Come! e negar lo puoi? Volgiti, ingrato!
riconosci i tuoi doni,
se me non vuoi. L 'aureo monile è qu esto,
che, nel punto funesto
di giurarmi tua sposa,
ebbi da te . Ti ri o enga almeno
che di tua man me ne adornasti il seno .
LICIDA. (Pur troppo è r.)
ARGENE. Guardalo, o re .
CLISTENE. (alle guardie, che ogliono allontanarla a forza) Dinanzi
mi si tolga coste i.
ARGENE. Popoli, amici,
sacri ministri eterni dèi, e pure
n'è alcu n presente al sacrifizio ingiusto,
protesto inn anzi a voi: giuro ch'io sono
sposa a Licida, e voglio
morir per lu i; né .. . Principessa, ab! vieni,
socco rrimi : non vuole
udirmi il padre tuo.
Xl - OLI \Pl D
SCENA IX
AR IST E e detti.
CLISTENE. Do e sta?
LICID . . Meco
enne,
meco in Elide è giunto.
CLISTENE . Ques o mina cerchi.
ARGENE. Eccolo appunto .
CE LTIM
A .H T e detti.
M&TASTA 10 , Oj>~e- m. 5
66 Xl - OLIMPIADR
LICENZA
DEMOFOONTE
rappresentato, con musica del CALDAR , la prima volta in Vienna nel-
l' interno gran teatro della cesarea corte, alla presenza de' regnanti, il
d i 4 novembre 1733, per festeggiare il nome d ell' imperator Carlo esto,
d 'o rdine dell'imperatrice Elisabetta.
~T
A M
DEMOFOO TE , re di Tracia.
DIRCEA, egreta moglie di Timante.
CREUSA, principessa di Frigia, destinata sposa di Timante.
TIMA TE, creduto principt: ereditario e figlio di Demofoonte.
CHERI 'TO, figlio di Demofoonte, amante di Creu a.
l\1A-rusro, creduto padre di Dircea.
ADRASTO, capitano delle guardie reali.
OLI TO, fanciullo, figlio di Timante.
SC E A I
IR E. e lATli 10.
CE A Il
S E A III
TI u 'TE. fo?
D E:MOFOONTE. Si. C n te rrei,
ma un funes o do er mi chiama al tem pi o .
TIMANTE. Ferma! enti , signor.
D:E:MOFOONTE. Parla: h e brami?
TI1ANTE . Confessarti ... (Che fo ?) Chiederti ... ( h Dio,
che ano-ustia è questa! ) Il sacrifizio, o padre ...
La legge ... La con orte ...
(O h legge ! oh sposa! oh sacri fi zio ! oh orte!)
DE:MOFOONTE. Prence , ormai non ci resta
piu luog o a pentimento . È tretto il nodo :
io l'ho promesso. Il conser ar la fede
obbligo 11ecessario è di chi regna;
e la necessita gran cose insegna.
Per fei (ra l'armi - dorme i! g uerriero ;
per lei fra l'onde - canta il nocchiero;
per lei la morte- terror non ha.
Fin le piu ti1nide ,_ bel e fugaci
valor dimostrano, -si fann o audaci ,
quand 'è il combatter - necessita. (parte )
SCE A IV
TIMANTE solo.
ma trasportar mi sento
fra le tempeste ancor;
e da uno scoglio in fido
mentre salvar mi oglio,
urto in un altro scoglio
del primo as ai peggior. (parte)
CENA V
bu er ei, restando,
della tua tolleranza . (come opra)
RE U A . E chi finora
t ' impo e eli partir?
HERlNTO. Comprendo assai
anche quel che non dici.
RE A. Ah, prence ! ah, quanto
mal mi conosci! Io da quel punto ... (Oh numi! )
HERI TO. Termina i detti tuoi.
REUS Da quel punto ... ( h, che fo !) Parti , se uoi.
CHERI TO. Barbara! partirò; ma fors . .. Oh stelle !
ecco il german.
CEr A
CENA VII
SCE A VIII
CH ER I. 1"0 solo.
SCE A IX
CE A X
IRCR , po i TI f A. TE.
CE A XI
MATUSio torna frettoloso e detti.
DIRCEA. Aimè!
,< \TUSlO. (snuda la spada) Difenderò col ferro
la paterna ragion.
(fa lo stesso) Col ferro anch 'io
la mia difenderò.
DrRCEA. (si fra ppone) Prence che fai?
Férmati, o genitor!
MATUSIO. Empio! im pedirmi
che al crudel sacrifizio una innocente
vergine io tolga?
DIRCEA. (Oh dèi l)
TI fANTE . Ma dunque ...
DIRCEA. (piano a Timant , fin gendo trattenerl o) {Ah l taci.
Nulla sa: m'ingannai.)
MATUSI . Volerla oppressa!
IRCEA. (Io quasi per timor tradii me tessa.)
TIMANTE . Sio-nor, perdona: ecco l error. Ti idi
er o lei, che piangea, correr sdegnato;
te mpo a pensar non ebbi; opra pietosa
il salvarla credei dal tuo furore.
MATUSIO . Dunque la nostra fuga
non impedir. La ittima, se resta,
oggi sani Dircea.
DIRCEA . Stelle!
TI 1A TE . Dall'urna
fors e il suo nome usci?
MATUSlO . No; ma l 'ingiusto
tuo padre vuoi quell innocente uccisa
senza il voto del caso.
TIMANTE . E perché tanto
degno con lei?
MATUS lO . Per punir me , che volli
impedir che alla sorte
fosse e posta Dircea; perché produssi
l'esempio suo; pe rché l'amor paterno
mi fe cordar d ' e ser va allo .
ATTO PRI 10 93
SCE A XII
DIRCEA. unque . . .
ADRASTO. T 'affretta:
sono ane o Dircea, le tue qu erele .
DIRCEA. Vengo. (iucamminand i)
TIMANTE e M TUSIO . Ah! barbaro! (in atto d ' assalire)
ADR STO. Ola! (in atto eli feri re)
TIMANTE e M Tusro. (arrestandosi) Ferma, crudele!
DIRCEA . Padre, perdo na ... Oh pene!
Prence, rammenta ... Oh Dio!
(Gia che morir degg' io,
potessi almen parlar! )
Misera l in che peccai?
come son giunta mai
de' numi a questo segno
lo sdegno a meritar? (parte)
CENA XIII
SCE A I
ab inetti.
E 10FOONTE e CREUSA.
CENA II
v iolen ti premure
che voglion dir? L ami tu forse?
TIMA."TE. fn ano
farei tudio a celarlo.
DE l F O ONTE. Ah . que ta è dunque
delle freddezze tue erso Creusa
la nascosta sorgente. E che pretendi
da questo amor? che per tua s posa forse
una vas al la io ti conceda? o pensi
che un imeneo nascosto .. . Ah! se po e si
immaginarmi sol ...
TIMA TE. Qual dubbio ma1
ti cade in mente ! A tut i i numi il giuro ,
n on sposerò Dircea ; noi bramo: io chiedo
che iva solo. E , e p ur vuoi che mora ,
morra, non lusingarti , il fig lio ancora .
DEMOF OONTE. ( Per vincerlo, si ceda.) E ben , tu' l vuoi :
vivra la tua diletta ;
la dono a te .
TI 1A TE. Mio caro padre . ..
(vuoi bacia rgli la mano
DEMOFOO TE. Aspetta .
Merita la paterna
condescendenza una mercé.
T tM ANTE. La vita
il sangue mio .. •
DEMOFOONTE . No , caro figlio: io bramo
m eno da te . Nella rea] Creu a
rispetta la mia scelta. A que!'te nozze
non ti mostrar si avverso.
TIMA TE. Oh Di o .
D E \10FO NTE . Lo veo-go ,
ti costan pena: or questa pena accre ca
merito all'ubbidienza. Ebb' io pietade
della tua debolezza: abbi tu cura
dell'ono r mio . Che si diria, Timante,
102 XII - DE.\10.FOONTE
CE A III
0EMOFOO TE oJo .
CE IV
Portici .
MAT U 10 e TIMANTK .
CE A V
CENA l
IRCEA, poi RE A.
CE II
CENA VIII
CREUSA ola.
e immaginar potessi ,
herinto, idolo mio quanto mi co ta
questo finto rigor che si t'affann ,
ah. forse allor non ti parrei tiranna .
È ver che di Timante
a ncor sposa non son : facile è il cambio ·
può ipender da me. a, de tinata
al regio erede ho da ser ir rassalla
o ve ve nni a regna r? No , non consent
eh i d bole io ia
il fasto , la irtù , la loria mi a.
ATT O bE C O NDO 109
CE A I -
Atri o de l te m pio d' pollo. Magnifica, ma breve scala, per cui si ascende
l te mpio me desimo, la parte intern a de l q uale t tutta scoperta agli spet-
tatori se non quanto ne interrompono la i tale colonne che sostengono
la gran tribuna. e a nsi l'are ca ute, il fuoc estinto, i sacri vasi ro-
ve ciati, i fi o ri, l bende, le scuri e gli altri stromenti del sagrifizio sparsi
per le scale e su l piano ; i acerdoti in fuga, i custodi reali insegu iti da ali
amici di Timante, e per tutto confusion e tumulto.
SCE A X
E :IOFOO TE, dal destro lato, con ispada alla mano;
guardie per tutte le parti, e d etti.
DE 10FOONTE . Indegno.
non fuggirmi! t'arresta!
TI. fANTE. h! adre, ah! dove
vieni ncor tu.
TT ECO D nr
CE A Xl
IRCE li:.
DIRCEA. poso !
TIMANTE. Con o rte!
DIRCEA. E tu per me ti perdi?
TIMAN E. E tu mori per me?
DrRCEA. Chi avni piu cura
del nostro Olinto?
TIMANTE. h, qual momento !
DIRCEA. Ah! quale ..
Ma che! Vogliamo o prenc ,
cosi vilmente indebolirei? Eh! ia
di noi degno il dolor . n colpo solo
questo nodo crudel di ida e franga.
Sepa ria mci da forti, e non si pianga.
TIMANTE. i, genero a! approvo
l' intrepi o pensier. Piu non parga
un sospiro fra noi.
DI RCEA. Di po ta io ono.
TIMA TE. Risoluto on 10 .
.DIR CEA . Coraggio!
TIM TE. d dio, Dircea !
ATTO . ECO. ·oo II~
CENA I
TIMA TE e RA TO.
CE II
Tr 1 TE e p CHER I T •
E III
MATUSIO . Assai
ti scusa il luogo in cm ti trovo.
TI1:ANTE. E come
potesti ma1 qui penetrar?
MATUSIO. Cherinto
m agevolò l ' ingre so.
TI 1ANTE. Ei t'avni dette
le mie felicita.
M.A T USIO. o : frettoloso
non so dove correa.
TIMANTE. Gran cose, amico,
gran cose ti dirò.
M ATU IO. Forse piu grandi
da me ne ascolterai.
TI M ANTE. Sappi che in terra
il piu lieto or son io.
MATUSIO. Sappi che or ora
scopersi un gran segreto.
TIMANTE. E q uale ?
MATUSIO. Ascolta
se la novella è strana.
Dircea non è mia figlia: è tua germana.
TlMANTE . Mia germana Dircea! (turbato)
Eh! tu scherzi con me.
MATUSIO. Non scherzo, o prence.
La cuna, il sangue, il genitor, 1a madre
hai comuni con lei.
TIMA~ TE. Taci ! Che dici?
(Ah, nol permetta il ciel!)
MATUSIO . Fede sicura
questo · fogljo ne fa.
TIMANTE. (con impazienza) Che fo glio è quello?
Porgilo a me.
MATUSIO. Sentimi pria. Morendo,
chi uso mel die' la mia consorte; e volle
giuramento da m e che , tolto il caso
I 2 Xli - DEMOFOO TE
Tu trem i, o prence!
uesto è piu che stupor. Perch é ti c pri
di pall or si fun e to?
(Onnipotenti dèi, che colpo è questo! )
• arrami ade o al me no
le tue felicita.
T n~1 A. TE . atu io, ah! parti .
. 1AT l . Ma che t 'affiig e? n germana acquisti,
ed è questa per te cagion di duolo?
TI 1ANTE . La ciami per pieta! lasciami olo. (si etta a seder )
.\IIATU l . Quanto le menti uman e
son mai a rie fra l or! Lo stesso e nto
a chi reca dil etto , a chi tormento.
Ah ! che né mal erace,
né \ er ben i d · :
prendono qualita
da ' no tri affetti.
Secondo in guerra o in pace
tro ano il nostr o cor ,
cambiano di color
tu tti <Yii OO'getti. (parte)
CE A
T1MA TE olo.
ENA V
E A I
SCE A VII
DIRCEA e CRE A.
SCE A VIII
CREUSA sola.
SCE A IX
Luogo magnifico nella reo-gia, festivamente adornato
per le nozze dj C REUSA.
TIMANTE e CHERINTO.
METASTASI O , OjH''YI!- nr . 9
130 Xli- DE. TE
CE I
SCENA ULTIMA
CRE e detti.
LICE ZA
L CLE E Z DI TIT
Dramma rapp r entato, con musica del CA LDARA, la prima volta in ienna,
nell'interno ran teatro della cort ce area, alla presenza degli augu-
stissimi sovrani, il di 4 novembre 1734, per festeggiare il nome d el-
l' imp rator arlo sest , d'ordin dell'imperatrice Eli abetta.
ARG E TO
La cena è in Roma.
T PRLl
E A I
V ITELLIA . Io !
S TO . i.
ITELLIA . Gelosa io ono ,
e non soffro un disprezzo?
ESTO . E pure .. .
ITELLIA. E pure
non bai cor d'acquistarmi .
SESTO . Io son .. .
VITELLIA. Tu sei
ciolto d ' ogni promessa. A me non manca
piu degno esecutor dell'odio m1o.
E TO . entimi !
ITELLIA. Intesi assai.
SESTO. Férmati !
VITELLIA . ddio.
ESTO . Ah, itellia! ah , mio nume!
non partir. Dove vai?
Perdonami, ti credo: io m'ingannai.
Tutto , tutto farò. Prescrivi, imponi,
regola i moti miei :
tu la mia sorte, il mio destin tu sei.
ITELLI . Prima che il sol tramonti ,
voglio Tito sven ato, e oglio ...
E. A II
ANNIO e d tti .
ANNI . Amico,
Cesare a sé ti chiama .
ITELLIA. h ! non perdete
questi bre i momenti. A Berenice
Tito gli usurpa.
A IO. Ingiustamente oltraggi.
ATTO PRLI r 3
SCE A III
E TO ed N IO.
e dubbio è il contento ,
di enta in amore
sicuro ormento
l in certo piacer . (parte)
SCE A I
ESTO solo.
CE A V
Innan zi, atrio del tempio di Giove tatore, luogo gia celebre per le
adunanze del senato; ind tetro, parte del fòro romano, magnificamente
ad ornato d'archi, obelischi e trofei; da' lati, ed uta in lon tano d e l monte
Palatino e d'un gran tratt della via Sacra; in farcia, aspetto esteriore del
Campidoglio, e mag nifica strada per cui vi si ascende .
Sulla fine del coro suddetto giunge TITO nell'atrio, e nel tempo me-
desimo AN. ro e Se TO da d iverse parti.
SCENA VI
A IO e poi ER ILIA .
CE A VII
ER lLlA ola.
EN VIII
Ritiro delizio o nel oggìorno imperiale sul colle Palatino.
SCE A IX
ERV I L t de tti.
il so ito sentiero
fare bbe a mio dìspe to ii rmo pensiero.
So che o pormi è delitto
d'un Ce are al voler; ma tutto almeno
sia noto al mio sovrano:
poi se mi uol su sposa, ecco la mano.
TITO. Grazie, o numi del ciel! Pure una o lta
senza larve ul Vl~O
mirai la enta. Pur si ri ro a
ch i s'avventuri a dispiacer col vero .
Servilia, oh qua\ conten o
oggi provar mi fai . quan a mi porgi
ragion di meraviglia. nnio pospone
alla grandezza tua la propria pace!
Tu ricusi un impero
per essergl i fedele! E d io dovrei
turbar fiamme si beJJe ? Ah 1 non produce
sentimenti si rei di T'to il core.
Figlia , ché padre invece
di consorte m ' av rai, go mbra dall 'alma
ogni timore . Anni o è tuo spo o . Io voglio
stringer nodo si degno. Il ciel cospiri
meco a farlo felice; e n 'abbia poi
cittadini la patria eguali a oL
SERVILIA . O Tito! o Augusto! o vera
delizia de' mortali! io non saprei
come il grato mio cor ...
TITO. Se grata appien0
es er m1 vuoi, ervilia, ag li a ltri inspira
il tuo candor. Di pubblicar procura
che gra to a me si rende,
piu del falso che piace, il er che offende.
Ah! se fosse intorno al trono
ogni cor cosi sincero,
non tormento un vasto impero,
ma saria felicita.
XIII - LA CLE!\•lE Z DI TITO
CE A X
SERVILI e ITELLIA .
SCENA XI
JTELLJ , poi ESTO.
SCE X II
SCE A .. III
IT LLIA.
CE A I
Portici .
S'impedisca .. . Ma come,
or che tutto è disposto? .. . Andiamo , andiamo
Le n tulo a trattener. Sieguane poi
quel che il fato orni. telle, che miro !
Arde gia il Campidoglio! Airnè! l'impresa
Lentulo incominciò. Forse gia tardi
sono i rimor i miei.
Difendet mi Tito , eterni dèi! ( uol partire)
SCE A II
A NIO e dett
CE A III
SCENA l
• E RVILIA e p BL ! O.
SCENA V
SERVJLIA ola.
Dall'adorato oggetto
vedersi abbandonar; sa p r che a tanti
ri schi corre ad esporsi; in sen per lui
entirsi il co tremante , e nel periglio
ATTO SECO DO
C .A I
VneLI.rA e po i E T
A ritrarlo io m'affretto ;
ma con l'acciaro il sangue
n'esce, il manto m'asperge, e Tito, oh io !
manca , acilia e ade .
VITELLIA. Ah ! eh' io m1 sento
monr con lui.
E TO . Pi eta, furor mi sprona
l'uccisore a punir; ma il cerco invano;
g ia da me dileguassi. Ah! principessa,
che fia di me? come avrò mai piu pac ?
Quanto ahj quanto mi costa
il de io di pi acerti !
VITELLIA. Anima rea,
piac rmi ! rror mi fai. D ove si tro va
mostro peggior di te? quando s'intese
colpo piu ce llerato? Hai tolto al mondo
quanto a ea di più caro; hru tolto a Roma
quanto avea di più g ran E chi ti fece
arbitro e uoi giorni?
Di' : qual col pa , inumano!
punisti in JuL L'a erti amato? È vero:
q ue t è l' error eli Tito ;
ma punir noi do ea chi l'ha punito .
E T . Onnipotenti dèi! son io? Mi parla
co i Vitellia? E tu n on fo ti . ..
ITELLIA. h! taci ,
ba rbaro , del tuo fallo
non volermi accus r. Do e apprendesti
a secondar le furie
d'un 'amante sdegnata?
Qual anima insen ata
un de lirio d ' amor nef mio trasporto
com preso non avrebbe? Ah! tu n ascesti
per mia entur . Odio non 'è che offenda
al p r dell' a mor tuo. el mondo intero
sarei la piu felice,
TTO , ECo .· n r6
CE A VII
p l
ESTO. on pos o
dirti di piu.
~IO. sto è infedele!
SESTo. Amico,
m'ha perduto un istante . Addio. M ' in olo
al a patria per sempre .
Ricòrdaù di t e. ito difendi
da nuo e insi ie. Io o ramingo, itto
a pianger fra le sel ve il mio delitto .
A IO. Férmati. Oh dèi! Pensia m... enti. Finora
la cong iura è nascosta ; ognuno incolpa
di quest'incendio il caso: or la tua fuga
in icar la potrebbe.
ESTO. E ben, che vuoi?
ANNIO. Che tu non parta ne or, che taccia il fallo,
che torni a Tito , e che con mille emendi
prove di fed elta l'errar passato.
SESTO. Colui, qualun ue sia, che cadde estinto,
bast a scoprir .. .
ANNIO. La dov'ei cadde, io volo.
Saprò chi fu · se il er i sa; se parla
alcun di te. Pria che s'induca Augusto
a temer di tua fé, potrò avvertirti:
fuggir potrai. Dubbio è 'l tuo mal, se resti;
certo, se parti .
ESTO. Io non ho mente, amico,
per distinguer consigl i. A te m i fido.
Vuoi ch'io vada? anderò ... 1a T ito , oh n umi!
mi leggera sul volto . (s'incammina e si ferma)
ANNI O. Ogni tardanza ,
Sesto , ti perde .
SESTO. Eccomi, io vo ... (come sopra) Ma questo
manto asperso di sa ng-ue?
AN 10. Chi quel sangue ver ò?
SESTO. Quel!' infelice
che per Tito io piangea.
XIII - LA CL ME ZA D I TITO
CE A II I
alieria terrena adoro ta di tatue, co rri pondente a' gia rdi
TITO e ERVILJA.
CE A IX
ESTO. ( ~1orir
mi sento:
non pos o piu. Parmi tradirlo ancora
col mio ta cer. .i di inganni appieno. )
CE X
E TO JTELLI , TITO e ER\ ILI . .
CE A XI
IO. (Pot s i
e to avv rtir. M'intendeni. ) (a Tito) ignare
gia l'incendio cedé; ma non è vero
che il caso autor ne sia. V'è chi congiura
contro la vita tua: prendine cura.
TrT . Annio, il so .. . Ma che miro ! (a parte a ervilia)
er ilia, il seg no, che 1 tmgue i rei ,
Annio non ha sul manto?
ER ILIA. Eterni dèi !
TIT Non v'è che d ubitar. Forma, colore,
tutto , tutto è concorde.
ERVILIA . (ad Annio) Ah, traditore!
A IO. lo traditor!
E TO. (Che a v enne! )
TIT • E parg r vuoi
tu ncora il sangue mio?
Annio, fig li o, e pcrch '? h t 'ho fatt'io?
AN IO . Io spargere il tuo sangue ! Ah ! pria m'uccida
un fulmin del ciel.
T ITO . T'ascendi invano:
gia quel nastro vermiglio,
divisa de' ribelli, a me sco erse
che a parte sei l tradimento orrendo.
Questo ! Come! . ..
( h 1 che feci ! Or tutto intendo. )
ulla, signor, m'è noto
di tal divi a. In testimonio io chiamo
tutti i numi c lesti.
TITO. a ch i d unque l'avesti?
AN~ IO. L'eb · . . . ( e dico il ver , l'amico accuso.)
ATTO 'ECO ·oo I7S
TITO. E ben?
AN. IO. L'ebbi ... non so ...
TITO. L'empio è confuso.
E TO. ( h amiClZl !)
ITELLIA. ( h timor! )
TITO. ove si trova
principe, o e to amato,
di me piu s enturato? Ogni altro acquista
amici almen co' benefici suo1:
io co, miei ben fì i
altro non fo che procurar nemici.
IO. (Come scolparm i ?}
ESTO. (Ah! non rimanaa oppressa
1' innocenza per me. Viteliia, ormai
tutto è forza eh ' io dica. )
(piano a Vitellia, iuc mminando i a Tito )
VITELLIA. (p iano a Sesto ) • (Ah, no l che fai?
De h ! pensa al mi perigli o .)
SESTO. (Che angustia è que ta !)
AN LO. (Eterni dèi, consiglio!)
TITO. Servilia, e un tale amante
al si gran prezzo?
ERVILIA . Io dell'affetto antico
ho rimorso, ho ros or.
SESTO. (Povero amico!)
TITO. Ma dimmi , anima ingrata: il sol pensiero (ad Annjo)
di ta nta infedelta non è ba tato
a fa rti inorridir?
SESTO. ( on i l'ingrato.)
TITo. Come ti nacque in eno
furor cotanto ingiu to?
SE TO. (Piu re ister non posso.) Eccomi, Augusto.
a' piedi tuoi. (s' iuuiuocchia)
lTELLIA. (Mi era me!)
E TO. La colpa,
ond ' nnio è reo ...
176 XTIJ - LA CLEME 'ZA DI TITO
SCE A XII
SCE XIII
SCE A XIV
ESTO e V tT ELLr •
SCENA XV
PUBLI O . S sto!
SESTO. Che chiedi?
PUBLIO. La tua spada.
SEST • E perché?
PUBLIO. Per tua sventura,
Lentul o non mori. Gia il resto intendi.
Vieni.
VITELLIA. (Oh colpo fatale!) (Sesto da la spada)
S ESTO. Alfi n, tiranna ...
P UBLIO. Sesto, partir con iene. È gia raccolto
per udirti il senato, e non poss' io
differir di condurti.
SESTO. In grata, addio!
Se ma i senti spirani su l volto
lieve fiato che lento s'a<Ygiri,
di': - So n questi g li e tremi sospiri
del mio ndo, che muore per me.
t Bo Xlii - L LEME Z D I TiTO
SCE A XVI
CE A I
Camera chjusa con porte, edia tavolino, con sopra da scri vere.
ITO p BLIO .
SCE A II
IT e poi 10 .
SCE A III
CE IV
SCE A V
PuBL IO Trr
SCE A VI
CE A VII
Tno olo.
SCENA VIII
TITO e P UBLIO .
PUBLIO. Cesare.
TITO. Andiamo
al popolo che a ttende.
P UBLIO . E Sesto?
TITo. E Sesto
venga all 'arena ancor.
P UBLIO. Dunque il suo fato ...
TITO . Si, Publio, è gia deciso.
PUBLIO. (Oh sventurato!)
Xlll - LA CL E ~1E Z DI TITO
CE IX
CE
JT LLI , p01 ANN1 0 e ERVJLIA da di verse parti.
CE XI
ITELLl ola .
E A ~ Il
L uogo magnifico, che introùuce a va o anfiteatro di cu i per diversi
arch i scop resi la parte interna. i vedranno gia nelt'arena i complic i della
co na iura , condan nati alle fiere .
Ma agìon dì merav1glia
non è gia, felic Augusto,
che gli dèi chi lor somiglia
eu to i scano cosi.
TITO. Pria che p rincipio a ' lieti
spettacoli i dia, eu todi innanzi
conducetemi il reo. (Piu di perdono
speme eì non ha: quanto aspettato meno ,
piu caro esser gli dee. )
ANNIO. Pieta, ignore .
S E RVILIA. Si n or , pieta !
TITO. e chiederla enite
per Sesto , è tardi. È il suo destin ded
A IO. E si tranquillo in vi o
lo c n danni a morir?
ERV ILIA. Di Tito il core
come il dolce perdé costume antico?
TIT . Ei s'appressa: tacete !
Oh esto .
IO. h arru o !
CE A ULTIM
TJ o. Ah . or 1:
che fai ? che brami?
ITELLJA. Io ti conduco innanzi
l' utor dell'empia trama.
TI o. '·? chi ma1
preparò tante insidie al vi ver mio?
ITELLIA. o l crederai.
TITO. Perché?
VITELLI A. Perché son io.
T IT . Tu ancora !
E T e S ER lLTA. h telle!
A IO e PUBLlO . h numi!
Tn . E quanti mai ,
q uanti SI te a tr irmi?
JTELLTA. I la piu rea
oo di iascuno · io med itai la trama;
il I iu fedele amico
io ti sedussi ; io del suo c1eco amore
a tuo dan no abu ai.
TIT . a del tuo sdeg no
chi fu cag ion?
ITELLIA. La tua bonta . re dei
eh u st fo am r . a d tra il trono
d te spera a in dono; e poi n egletta
restai du olte , e procurai vendetta.
TITO . Ma che giorno è mai questo ! Al punto istesso
he assolvo un reo, ne scopro un altro! E quando
tro erò , g iusti numi .
un'anima fede!? Congiuran gli astri,
cred ' io , per obbligarm i, a mio di spetto,
diventar crud l. o ! non a rann o
questo trionfo. A soste ner la gara
O' ia s'impeg nò la mia virtu . ediamo
se piu co tante sia
l' altrui perfidia o la clemenza mia.
la . Se to si sciolga: abbian dì nuo o
19 Xlii - LA C LEME ZA DJ T ITO
LICE ZA
CHILLE I l
Dramma immaginato e disteso dall 'autore n l prescri tto ter mine di iorni
diciotto , e rappresentato, con musica del ALDARA, in ienna, la prima
volta, nell'interno ran teatro della cesarea corte, alla presenza degli
augu tissimi so rani , il di 13 feb raio 1736, per festeggiare le felicis-
sime nozze delle ltezze reali di Maria T e resa, arciduchessa d'Austria,
poi imperatrice regina, e di Stefano Fran esco, duca di Lorena , gran-
duca di T o cana e poi imperatore de' romani.
ARG ME T
Lt 1 E E, re di ci ro .
ACHILLE , in abito femminile otto nome di Pi rra, amante di I ei-
damia.
DE1DA M IA , fi liu ola di Lic mede, amant d'Achille.
ULI SE , ambasciador de' gr ci.
TEAGE E , principe di Calcid , de t inato po o a Dt:idamia.
NE Reo eu tode d ' chili
RC DE co nfidente d li e.
CORO DI BACC NTJ .
CORO DI CANTORI.
LA L RlA .
• MORE.
IL TEMPO.
C R de' loro eguaci .
CE A I
SCE A 11
NEARCO e detti.
CE A III
ACHILLE. h numi !
N~ARCO. È ver o
che è tuo quel cor; ma, se il rivale accorto
può lusingarla inosservata e sola,
chi sa, pensaci, chille, ei te l'in ola .
ACHILLE. Involarmi il mio tesoro!
h! dov'è quest'alma ardita?
ba a togli rm i la vita
ch i uol togliermi il mio ben.
M'avvilisce in qu te spoglie
iJ poter di due pu i !le;
ma lo so eh' io sono Achille,
e mi sento chille in sen. (parte)
SCE A IV
NE c . Ch e diffic' e impresa,
Tetiùe, m'impone ti! gni momento
temo scoperto Achille. ver eh amore
lo tiene a fren: ma, se una tromba ascol a,
se nmtr un gu rrier, 'agit , a vampa,
sdegna · I abito imbelle. r cbe far bbe
se sapesse che Troia
senza l i non cadni? che lui domanda
tutta la Grecia armata? Ah! tolga il cielo
che lcuno in questo li o
non eng-a a ricercarlo.. . h dèi! m'inganno
Ulisse! qual cagione
qui lo conduc ? Ah! non cas ei iene.
Che f:lrò? 1i conosce,
e nella reg(Tia appunto
del (Tenitor d'Achille. È er che ormai
lungo tempo è trascorso . Tn ogni caso
TTO PRiM 21
CENA
LIS E d AR C ADE.
C A
UL .· E olo.
E A II
pp rtamenti di D EIO A t .
LrCOMEDE e DEWAMTA .
CE A VIII
EIDA . U 1 in di ACHILL
CENA IX
ULISSE detti.
Uu SE e poi RCADE .
ARCADE. Pirra.
ULISSE . Pirra!
ARCADE. E per lei Nearco ha loco
fra' reali ministri.
UussE . E questo · poco ?
ARCADE. Ma ciò eh giova?
ULISSE. Ah. mi o ede.l, facciamo
gran v]ag-KÌO a momenti. eli e dirai ...
CE A XI
E RC e detti .
SC ~ A rn
B.CADE solo.
C XIII
CE A
HILL , DEI MI e T E AGENE.
ACHILLE. Io !
T EAGE E. Tu ?
ACHILLE. i: né giammai,
sappilo, io parlo inva no. (parte l ntamente)
TEAGENE. ( elle n infe ciro il genio è strano .
E pur que ll a fierezza
ha un non o che che piace.) Od i . Ma dimmi
almen er hé.
A CHILLE. Dis i abbas~anza. (partendo lenta mente)
TEAGE E. E c redi
che di te sola io tema?
credi ba r tu sola?
t
ACHILL E . (con ari. feroce) Io ba to, e trema!
T EAGENE. (Q uell'ardir m'innamora. )
D EIDAhHA. (Ah! man tor , non s i cont nto a ncora?)
CE A XV
TEAGE E olo .
SCE 1 A I
Logge terrene don1at e di tatue rapp re ent n t i varie impres d'Ercole.
U L1 E ed RCADE.
SCENA II
CE A III
LJ CO.IEDE e detti.
CE A IV
LJCOMEDE, CHILLE OÌ EARCO.
sc . NA v
ACHILL E e EARCO.
SCENA VI
NEARCO olo.
Oh incredibil e, oh strano
miracolo d'amor! Si muova ali' ira,
è terribile Achille; arte non gìova,
Xl CHILLE IN SCIRO
SCE A VII
n paggio gli pre enla la cetra: altri p ngono un edile da un de' lati,
a vi ta della mensa.
CE A VIII
SCE A IX
EARCO e detti.
SCENA X
SCE A XI
CENA XII
TEAGENE solo.
CE l
C A 11
A CA DE frettoloso e detti.
CE A III
D e d tti.
D EIDA. UJ . Com
ACHILLE. Ali' o n or mio
è fun e to il restar; Deidamia, addio.
Achille parte risoluto ed ascende il pont della nave, dove poi s'ar-
re ta. Uli se d Are. de il van eg uendo: eidamia rimane alcun tempo
immobile.
AR CADE. ( enti lo prone .)
ULISSE. (E pur non son icuro.)
DEIDAMIA. Ah, perfido! ah, sper iuro!
barbaro! tra itor! Pnrti? E son questi
gli ultimi tuoi congedi? O s'intese
ti rannia piu rude! ! Va', ellerato!
a' pur , fuggi da me: l'ira de' numi
non fuggirai. e v'è giustizia in cielo,
se v'è piet.a, congiureranno a gar a
tutti, tutti a unirti. Ombra eguace,
pre e nte o unque sei
vedrò le mie endette. Io gja le go o
immagi nan do: i fulmini ti veggo
gia balenar d'intorno ... A ! no, ferm ate,
vindìci dèi. Di tanto rror se al cuno
forza è che paghi il fio,
ri parmìate quel cor ; ferite il mio.
' o-Ii ha un' alma si fiera,
ei non è piu ual era, io on qual fui :
per lui v i a; orrlio mori r per lui.
( ie ne sopra un sasso)
ATTO TERZO 253
IV
D EIDAMI . Aimè!
A CHILLE. Lode agli dèi,
co mincia a respirar. No, m1a speranza,
Achille non parti.
DEIDAMIA. ei tu? m 'inganno?
Che vuoi?
ACHILLE. Pace, cor mio.
DEIDAMIA. Pote ti , ingrato ,
negar mi un giorno solo! Ed or . . .
AcHILLE. Non fui
254 XIV - ACHILLE 1.. SCIRO
CE A V
SCEN I
NEARCO solo.
se NA n
Reggia .
SCE A ULTIMA
Mentre canta i il coro che precede, scendeni dall 'alto denso globo di
nuvol , che prima in ombreni, dii tando i, gran parte della reggia, e sco-
pr1ni poi ag\i pettatori il lumino o tempio della Glor·la, tutto adornato
de' simulacri d i coloro ch'ella rese immortali. Si vedranno in aria in-
nanzi al tempio mede imo la GLORI , MORE ed il TE tPO, ed in sito
men sollevato numerose schiere di !or seguaci.
L'azione si rap pre enta in una campagna su' confini della 1edia.
ATTO PRIMO
CENA I
{ D E eduta e ARPALICE.
SCENA Il
ARPAGO e dette.
ARPAG Principessa
è o-iunto il figlio tuo .
MANDA E. ( 'alza) Dov ' è?
ARPAGO. on osa
pas ar del regno oltre il confìn, in tanto
che il re non vien. uesta è la legge.
M ANDA E . Andiamo ,
andiamo a lui. (incamminandosi )
ARPAG F rm , Ianda ne : il padre
vuoi esser teco a l g rande incontro.
MA DA E. E il padre
quando verra?
ARPAG Gia inca m min ssi.
MANDA E . Alm e no
rpago, va '; ritrova iro ...
ARPAG Io d o-gio
qui rimaner finché il re enga .
MANDANE. Amica
rpalice, se m'ami,
v ' tu . (Fel ice m e!) Pre so a quel bosco
gli sara.
A RPALICE . Volo a se virti. olendo partire)
M D ·E . scelta.
Esattamente os erva
l 'aria, la voce, i moti suoi· se in volto
ha piu la madre o il genitor. Va', corri ,
e a me torna di volo .. . Odi mi : i suoi
casi domanda, i miei gli narra, c digli
eh 'egli · ... eh io sono ... Oh dèi.
i gli quel che non dico e dir \·or rei.
T O P JMO
CEN III
MA DA ' E e RPAGO .
SCENA IV
ARPAGO solo.
G a quel ba rb ro , quell'empio
fa di angue il uol vermiglio;
ed il s a nrrue del mio fi~lio
gia si sen te rinfa cci ar. (p rte)
CE \
Parte intero della capanna abitata da ~11TR1l>ATE con porta in faccia,
che u nicamente ' introd uce.
CIR e :\1ITRID TE .
vr
MITRID TE poi C MBISE in abit di pas tor .
E Vll
SCE T III
SCE 1 A IX
M ND A E d tti.
MA D E ed . STIAGE.
In qu i che lu ino-o
mi fin go i rubell i ;
e tremo di q uell i
che facci o tre ma r . (parte)
C A XI
SCE XII
Po a vendetta
è il sangue tuo , ma pur lo voglio.
ARP LlCE. Affrena
gli sdegni tuoi. ecessitato e senza
saperlo, egli t 'of} se. Imita, imita
la clemenza de' n umi.
MANDA m. I numi sono
per me tiranni: in cielo
non v'è pieta, non 'è giustizia . . .
ARPALl CE. Ah! taci:
il dolo r ti seduc . lmen gli dèi
n n irritiam.
MANDAN E . Ridotta a questo segno,
non temo il loro sde<Tno,
non bramo il loro aiuto:
il mio figlio perdei, tutto ho perduto.
Renùimi il figlio mio:
ah ! mi si spezza il cor.
Non son piu madre, oh Dio .
non ho più figlio.
Qual barbaro sani,
che, a tanto mio dolor,
non bagni per pieta
di pianto il ciglio? (parte)
SCENA XIII
ARPALIC E CIRO.
SCEN I
Va'·: se in te pi ta ha nido.
a salvarmi il figlio attendi ;
la piu tenera difendi
cara pa rte del mio cor. ( parte)
CEN 11
. liTR I T : poi
CE A III
TIAGE e poi RP GO .
rinnovazion d 'afTanni
mi pro paga nell' alma i miei tirannL
ARPAGO. A h ! sig nor.. . (aff. tt ando affanno )
ASTl AGE. {con ispa euto) Giusti dèi. c he fu ?
ARPAG • Sicuro
non è il sang ue real.
ASTIAG E . Che 1 si cospira
contro di me ?
ARP GO. o ; ma il tuo Ciro estinto
chie e ven etta .
ASTLAGE . (Altro temei.)
RPAG O. (Di tutto
il mi ero paventa. )
ASTIAGE. Udisti, amico
dunque la m1a sventura? Il sol perdei
conforto mio.
A RPAG (Falso dolor! Con 1'arte
l 'arte deluderò .)
Asrr GE. Né mi è permesso
punire alcun senza ino-iustizia : è stato
involontario il colpo.
ARP. G . Alceo dice :
ma chi sa?
ASTIAGE . on m i resta
luog a sospetti. Ho indubitate prove
dell ' innocenza sua. Punir nol deggio
d 'una colpa del caso. Alceo si ponga.
Arpa o, in li berta ; ma fa' che mai
a me non si presenti ,
né le perdite mie piti mi rammenti.
ARPAGO . Ubbidito sarai .
XV- C (lt RICO• SCIUTO
CE IV
c
CI fra uardi , e detti .
STIAG . È uello
di Mitridate il ficrlio? (ad rpa o p rte)
RP AGO . Appunto.
TIAGE . Oh dèi,
che nobil volto ! Il ortarnen to altèro
poco s'ace rda a lla natia capa nna.
Che dici? (ad r paao)
RPA o . .. er; ma l 'a pparenza inganna .
lR O. Dimmi Arpalice: è qu ello
il nostro re? (ad rpalice a parte)
. TT EC • O
RPAL lCE. i.
CIRO . (Pur mi desta in petto
sensi di tenerezza e di ri petto.) (da ·)
STIAGE. (Parlar eco è imprudenza:
partasi. ) (s'incammina poi i ferma)
ARPAGO. (Lo e al cielo!)
ASTIAGE. (ad rpago a p rt e) Arpa o, e pure
in quel sembiante un non so che ritrovo,
che n on distinguo e non mi giunge nuovo.
ARPAGO. (Aimè !)
ClRO. Pria c he mi la 'Ci, {appre ando i al re )
eccelso re . . .
RPAGO . Taci pastor: comm ssa
è a me la sorte tua: parlando, aggravi
il suo dolor .
CIRO. iu n on fa ello. (ritirandosi)
ARPAG E ancora,
signor non ai ? Qual maraviglia è q uesta?
Perché cambi color? Che mai t 'arresta?
ASTJAGE. Non so: con dolce mot
il cor mi t re ma in petto;
sento un affetto io-noto,
che intenerir mi fa .
Come si chiama, oh Dio!
questo soave affetto?
(Ah! se non fosse mio,
lo crederei pieta.) (parte)
SCENA VI
SCE A VII
R.PA o ClR
IR e poi ANDANE.
CE A lX
MA ·o Oh dèi !
AMBISE. o n edi. ..
MA ·o ·E. Ah ! tutto vedo ah! tutt accor a: è ero,
è il carnefice Alceo. ercib poc'anzi
trema a innanzi a me· gli ampi e · miei
pe rciò furrgia. Ben de' materni !Tetti
volle abu ar, ma s'av ili nell ' opra:
enti quel traditore
repugnar la natura a tanto orrore .
AMBI E . 1a tu creder si pre to ...
MA D 'E . Oh io ! consorte,
tu non udisti ome
Mitridate par ò. Pare che a es e
il cor sui labbri. Anche un tumulto interno,
che Aie o mi cagionò, gli accrebbe fede:
e poi quel che si uol, presto si cr de.
AMBI E . Oh dèi ridurci a tal mi eria, e 01
deriderci di piu!
A n Trarre una madre
fino ad offrire mple si
d 'un figlio ali omicida! Ah ! sposo il mio
n on è dolor: smania d1venne, in ana
avidita di sangue.
CAMBISE . Io stesso, io aglio
soddisfarti, o Mandane. Addio. (parte ndo )
MA DANE. Ma ove?
MBJ E. A ritrovare Alceo
a traGgge rg-li il cor: sia pur nascosto
m grembo a Gio e. (partendo)
IlA DA Odi: se lui non giung-i
in solitari parte , avra l'indegno
troppe difese. Ove s'avvalla il bosco,
fr a que' monti cola, di Trivia il font
scorre ombroso e romito:
atto all'in idie è il ito . I i l'attendi:
passera: quel sentiero
CE
fA DA E poi CIRO.
CIR i.
MANDA E. Va': mi è noo. (Ah ! traditor, sei c ' lto. )
Cl R • D eh ! non tardar.
MA DANE. (con ira) Parti una vol ta.
CIRO. Oh io!
perché quel fiero guardo?
MAND.\NE. Io fingo , il sai :
temo che a lcun ne osser vi.
IR È ver ; ma come
puoi trasformarti a questo seO'no?
M .E. Oh , quanta
violenza io mi fo! e tu potessi
vederm i il cor ... ento morirm i ; av ampo
d ' in otTri bil de io; vorrei mirarti.
Vorrei di gia ... (N on so frena rmi. Ah ! parti.
CIR . Parto; non ti sdegnar.
i, madre m ia, da te
O']j affetti a moderar
quest'alma impa ra.
Gran colp al fi n non è
e ma l frenar si può
un figlio che perd ,
un fig lio che trovò
madr i car . (parte)
CE A l
MANDA E p i RPALICE.
li
'\RPAUCE oJa .
E .A I
Montuosa.
MA Lo eggo, Mitridate: un i o
DANE. empio
tu sei di fedelta. on istancarti
l' istoria a raccontarmi : a pro di Ciro
io so gia quanto oprasti,
e Cambise lo s . Pen iamo e ntrambi
le tue cure a premiar. (Perfido ! ) È ero
che del merito tuo sempre minore
la m ercede sanl; pur quel che feci
sem brerei, lo edrai ,
poco a Mandane, a Mitridate assai.
MITRIDATE. Questo tanto parlarmi
di premio e di mercé troppo m' ofTende.
Che? Mandane mi crede
mercenario cosi ? S'ingan na. Io fui
g ia premiato abbastanza,
compiendo il do er mio. Le rozze spoglie
non tr sformano un'alma. In m 1,
M DANE. io ,
senti mi raditore ; io fui che l'empio
a trovar chi l'uccida
ingannat mandai.
MITRTDATE. u te sa .
1A DANE . Ai t a
ved i s può perar: olinuo · il loco,
chi l 'attende è ambi e.
MITRIDATE. Ah che facesti ,
sconsiuliata Mandane. Ah! corri, ah! dimmi
qual luouo almeno ...
M NDANE. Oh ! questo no : potre ti
forse giugnere in te mpo. Il loco a ncora
saprai ma non si presto.
MlTRIDATE. Ah , prin ipessa,
pieta di t . Qu el che tu cr di lceo ,
è il tuo Ciro, è il tuo fi lio .
MA DA E. Eh! questa olta
non sperar ch'io t i creda.
MITRID TE. Il su l m inghiotta ,
un fulmine m' oppri ma ,
se mentii, se mentisco.
MA DA E . mpia fa e la,
familiare a · mal vaui.
MITRIDATE. dimi . lo voglio
qui fra' lacci resta r: tu corri intanto
la traged ia a impeùir. Se poi t'in ganno,
torna allora a punirmi ,
squarciami allo ra il sen .
MA DANE. cal ra è l'offerta,
ma n o n i gio a: in quest'angu tia, il colpo
ti basta differir. ai ch'io non po ·so
d'alcun fida rmi , e ti prometti intanto
il soccorso del re .
MITRID TE. Che far degg' io ,
santi numi del ciel? Povero prence
314 V - CIRO RICO OSCI T
E A Il
CE A lll
Oh me in felice! Oh troppo
e race Mit ri date! essi, oh Dio,
creduto a' detti tuoi! Pote si alme no
lu in garrn i un momento! E come? h! troppo
sd eo-n w era Cambise;
troppo tempo è o-ia scorso, e trop po nero
è i! tenor del mio fato. Ebbi il mio figlio,
stupid . innanzi agli occhi; udii da lui
chiama rmi madre; i iolenti intesi
m oti del sa ngue: e nol conobbi, e o!H
ostinarmi a mio danno! Ancor lo sento
parlar; lo eggo ancor. o e ro figlio!
non vote a !asciarmi: il suo d tino
parea che p re edesse. Ed io, tiranna!. ..
ed io... Che orror! che crudelta l on posso
tollerar piu me tessa ( 'alza). Il mondo, il cielo
sento che mi dete ta; odo il consorte
che a rin faccia r mi viene
il parrìcidi su ; eggo di Ciro
l'ombra squallida e mesta,
che stillante di sangue .. . Ah! dove fuggo?
dove m'ascondo? Un precipizio, un ferro,
un fulmine dov'è? Mora, perisca
quest b rba ra madr ; e non i troYi
chi le ceneri sue .. . Ma ... come .... È dunque
perduta ogni speranza? E non potrebbe
giungere Arpago in tempo? Ah! si, clementi
numi del ciel, pietosi numi, al figlio
perdonate i miei falli . È questo nome
forse la colpa sua; colpa ch'ei trasse
dalle viscere mie. o, voi non siete
XV- CTRO RICONOSCIU T O
SCE IV
SCENA
CAMBISE. All'onda
cornam del 1cm rio . Ma sola intanto
qui lasciarla cosi. . . Se alcun edes i ...
h! si. Pastor... senti. (vedendo Ciro)
CIRO. (rivol endosi) Quai grida?
CA fBlSE. (Oh numi .
non è del figlio m1o
l'omicida costui? )
CIRO. (Stelle! non veggo
la madre mia cola?)
CA.MBISE. Chi sei?
CIRo . Che avvenne ?
CA 1BISE. on t 'inoltrar : dimmi il tuo nome .
Cm o. Eh! lascia .. .
CAMBISE. Di ': n on ti chiami Alceo?
CIRO. (Questo importuno
a gran pena sopporto.)
Si, Alceo mi chiamo.
CAMBI E. (i n atto di ferire) Ah, traditor l se1 morto .
CIRO. Come! N o n appressarti 1 o eh' io t'immergo
questo dardo nel cor. {in atto di difesa)
CAMBISE. Dal furor mio
né tutto il ciel potni alvarti .
MA DAr E . (cominci a ri ntir i} Oh Dio!
CAMBISE. Ah l sposa, apri le luci, april e, e ved i
per man del tuo Cambise
la bramata vendetta.
Cm o. Od imi, oh dèi l
e Cambi e tu sei?
C MBISE. Si, scellerato !
son io : sappilo mori. (in atto di fe rire)
CJRO. (getta il dardo) Ah. padre amato,
ferma; gia so no inerme; il colpo affrena:
riconoscimi prima, e poi mi s ena.
MA DANE . Perché ritorno in vita?
CA 1BISE. (Il so m 1 inganna ·
e pur m 'intenerisce. )
2 X - CIRO R CO OSCIUTO
CE I
ASTIAGE. ( entiam .)
MiùTD Qu l finto
Ciro che cadde estinto . ..
CIRO. Il re s 'appressa.
CAMBIS Ecco un nuovo periglio .
MA DANE . Ecco le nostre
contentezze impedite .
AsTJAGE. Seguite pur , seguite ; io non di sturbo
le gioie altrui : ma che ne venga a parte
parm i ragion. Via. chi di oi mi dice
dell' isteria felice
l' ordin qual sia? Chi liberò costui?
(accennando Cambise)
1
chi Ciro conservò ? do e s ascende?
CIRO. (Aimè !)
ASTIAGE . essun risponde? Anche la figlia
m' invidia un tal contento! Ohi ! s'annodi
ad un tronco Cambise ...
MA ND ANE . Ah ! no.
A TJAGE. Lode ag li dèi
a parlar cominciasti.
SCE A VII
CE A III
CE A IX
C A X
MANDA E e C IR
SCE A XI
CE.A II
CE A XIII
RP LICE sola .
SCE A LTIMA
spetto esteriore di m gn ifico t mpio dedicato a iana fabbricato
sull'eminenza d ' un co le .
LICE ZA
XII. Demofoonte » 6g
XIII. La clemenza di Tito )) 135
IV . Achille in ciro )) 20 1