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CON LA PNL
(I LIVELLI DI PENSIERO)
CAMBIA LE TUE CONVINZIONI
CON LA PNL
(I LIVELLI DI PENSIERO)
ROBERT DILTS
Changing Belief Systems with NLP
Original English Language Edition
Copyright 1990, by
Meta Publications INC.
P.O. Box 1910
Capitola, CA. 95010 U.S.A.
Sottotitolo
Come intervenire sulle forme di pensiero
che ostacolano il raggiungimento degli obiettivi
Pubblicata da:
Alessio Roberti Editore Srl
Via Lombardia, 298 - Urgnano (BG) Italy
ISBN
9788865520864
Traduzione dall’inglese
Alessio Roberti
Immagine di copertina
drx © Fotolia
Appendici
I Schemi di Meta Programmi
II Predicati linguistici e movimenti oculari
III Livelli neurologici
IV Submodalità (Sottomodalità)
Glossario di PNL
Alessio Roberti
Autore, formatore, editore
Master Trainer di PNL Direttore Mondiale Business Coaching (Society of NLP)
www.alessioroberti.it
Alessio Roberti
È l’italiano con maggiore esperienza nella ricerca e formazione in PNL a livello mondiale: ha formato oltre 40.000 professionisti
in Programmazione Neuro-Linguistica in Italia, USA, Inghilterra e Giappone. La “Society of NLP” gli ha conferito il titolo di
“Licensed Master Trainer of NLP”, il massimo livello di specializzazione in PNL e il prestigioso titolo di Direttore Mondiale del
Business Coaching. Si è inoltre specializzato presso le scuole di Business delle università di Harvard e Oxford. Fra le numerose
aziende che si avvalgono della consulenza e della formazione della società da lui guidata ci sono alcune tra le più importanti
organizzazioni, nazionali e internazionali. È Coach di importanti imprenditori italiani.
È l’unico italiano co-trainer del genio creativo della PNL, Richard Bandler, e co-autore con Bandler e Owen Fitzpatrick del
bestseller Corso di PNL: Scelgo la libertà e con Antonella Rizzuto del libro Il Meglio di Te con il Coaching. È autore con
Irene Pivetti del libro Dal Celodurismo a Yes We Can. Le parole della politica e l’intelligenza linguistica.
È inoltre editore di oltre 70 testi sull’utilizzo degli strumenti della PNL, del Coaching e dell’Intelligenza Linguistica. Fondatore e
condirettore della NLP ITALY Coaching School, supervisiona tutte le attività formative erogate.
PREFAZIONE DELL’AUTORE
ALL’EDIZIONE ITALIANA
Robert Dilts
Santa Cruz, California
RINGRAZIAMENTI
Poi ci sono gli apporti del background concettuale e operativo, gli apporti di chi ha cooperato
e quelli di chi ha ulteriormente adattato e perfezionato il materiale. Se io sono stato il punto di
riferimento per lo sviluppo delle tecniche descritte in questo libro, ci sono molte persone da
ringraziare per il loro contributo.
Ad esempio, la tecnica di reimprinting ha avuto una sua storia sia a livello concettuale sia a
livello operativo. Concettualmente, il reimprinting è tratto dal concetto di “imprinting” di
Konrad Lorenz, che è stato esteso a “re-imprinting” da Timothy Leary. Esso è sostenuto a
livello concettuale anche dalle idee di Sigmund Freud, espresse negli Studi sull’isteria, e dal
lavoro sui sistemi familiari di Virginia Satir. Da un punto di vista operativo, tuttavia, il
reimprinting è tratto sostanzialmente dal “cambiamento di storia personale”, tecnica di PNL
sviluppata da Richard Bandler e John Grinder.
La tecnica “dal fallimento al feedback” è essenzialmente un’estensione del lavoro sui segnali
d’accesso e sulle strategie cognitive iniziato dai miei colleghi e da me nelle prime fasi della
PNL, descritta in Neuro-Linguistic Programming, Vol. 1. Gli innovativi aspetti relazionali del
processo, a ogni modo, sono stati ispirati dal lavoro di Max Wertheimer e dei suoi colleghi
nell’area della psicologia della Gestalt.
Il processo di “integrazione di convinzioni” è tratto a livello operativo da una combinazione
di tecniche della PNL di “Visual Squash” e di “ristrutturazione”; a livello concettuale, è stato
fortemente influenzato dal lavoro di Fritz Perls e Virginia Satir.
A un livello concettuale fondamentale, la nozione di “livelli logici” nel cambiamento di
convinzioni è tratta dall’applicazione dei livelli logici allo studio dei sistemi e della
schizofrenia di Gregory Bateson. E molta dell’ispirazione riguardo ai metodi di applicazione
di queste idee è derivata dal lavoro innovativo di Milton Erickson.
La rappresentazione fisica della timeline deriva da una serie di innovazioni scaturite da
“Syntax”, un ciclo di seminari che ho tenuto con John Grinder; la stessa origine è da
ricercarsi anche per l’identificazione e il cambiamento fisico della posizione percettiva nella
tecnica del “Meta Mirror”.
Una serie di contributi, sia concettuali sia operativi, sono arrivati dal mio collega Todd
Epstein, che ha svolto la funzione di beta test site primario, per molte delle mie idee.
Per ciò che riguarda la produzione di questo libro, i miei ringraziamenti vanno a Louis
Bellier, che ha trascritto e organizzato gli appunti iniziali, che sono serviti come base per il
volume, e ad Alain Moenart e Anne Pierard, che hanno sponsorizzato il seminario da cui è
stato tratto il manoscritto.
INTRODUZIONE
Le nostre convinzioni sono una forza potentissima che agisce sul nostro comportamento. È
opinione comune che se qualcuno crede veramente di essere in grado di fare qualcosa,
certamente la realizzerà, mentre se crede che una cosa sia impossibile, nessuno sforzo potrà
convincerlo che tale cosa possa essere realizzata. Convinzioni come: “Ormai è troppo tardi”;
“Ormai non c’è più niente che io possa fare”; “Sono una vittima…”; “È il mio turno”, possono
spesso limitare una persona rispetto alla possibilità di trarre pieno beneficio dalle risorse e
dalle competenze naturali e inconsce di cui dispone. Le convinzioni su noi stessi e su ciò che è
possibile nel mondo che ci circonda hanno un forte impatto sulla nostra efficacia quotidiana.
Tutti noi abbiamo convinzioni che rappresentano delle risorse, ma anche convinzioni che ci
limitano.
La maggior parte delle persone riconosce, ad esempio, che il proprio sistema di convinzioni
può influenzare direttamente o indirettamente il proprio stato di salute. Spesso è semplice
identificare le convinzioni negative che conducono a problemi legati alla salute, come le
dipendenze, la fatica costante, l’abbassamento delle difese naturali dell’organismo e lo stress.
Come si può procedere per cambiare le convinzioni negative in convinzioni che
contribuiscano a mantenere la salute?
Quasi tutti i professionisti del settore della salute riconoscono che l’atteggiamento dei loro
pazienti è il principale fattore che concorre al successo della guarigione. Eppure, esistono
pochi metodi espliciti e affidabili che aiutino le persone a superare la loro reazione apatica o
di paura e che favoriscano un “atteggiamento positivo” congruente.
Nel corso della storia della ricerca medica, i placebo si sono dimostrati potenti quanto molte
medicine, ma sinora la causa esatta del loro potere è rimasta un mistero. Molti ricercatori
ipotizzano che la causa di molte malattie possa essere un “effetto placebo alla rovescia”. È
possibile intercettare direttamente quella fonte di potere e canalizzarla in modo da assicurare
guarigioni efficaci?
Anche le convinzioni che gli altri hanno su di noi possono influenzarci, come ha dimostrato
uno studio illuminante in cui un gruppo di bambini, che ai test erano risultati di media
intelligenza, sono stati divisi in modo casuale in due gruppi di uguale entità. Uno dei gruppi è
stato affidato a un insegnante, cui era stato detto che i bambini erano “dotati”. L’altro gruppo è
stato affidato a un insegnante cui era stato detto che i bambini erano “lenti
nell’apprendimento”. Un anno dopo i due gruppi sono stati sottoposti nuovamente ai test
d’intelligenza. Non è certo sorprendente che la maggioranza del gruppo che era stato
arbitrariamente classificato come “dotato” abbia ottenuto risultati migliori che in precedenza,
mentre la maggioranza dei bambini del gruppo classificato “lento nell’apprendimento” abbia
ottenuto risultati inferiori. Le convinzioni degli insegnanti sui propri studenti hanno influenzato
la loro capacità di imparare.
Le nostre convinzioni possono adattare, influenzare o persino determinare il livello della
nostra intelligenza, della nostra salute, delle nostre relazioni interpersonali, della nostra
creatività, persino della nostra felicità e del nostro successo personale. Dunque, se è vero che
le convinzioni sono forze così potenti nella nostra vita, come possiamo fare per avere il
controllo su di esse, evitando che siano loro a controllarci? Molte delle nostre convinzioni
sono state impiantate in noi quando eravamo bambini da genitori, insegnanti, dalla società e
dai mass-media, prima ancora che fossimo consapevoli del loro impatto o capaci di
sceglierle. È possibile ricostruire, disimparare o cambiare vecchie convinzioni che
potrebbero essere per noi limitanti e fissarne di nuove in grado di sviluppare il nostro
potenziale, al di là di ciò che immaginiamo di solito? Se sì, come si fa?
La Programmazione Neuro-Linguistica (PNL) fornisce un modello stimolante e potente della
mente e un insieme di strumenti comportamentali che ci permettono di svelare alcuni dei
meccanismi nascosti delle convinzioni e dei sistemi di convinzioni. Attraverso i processi della
PNL le convinzioni e gli elementi neurolinguistici e fisici che influenzano le convinzioni
possono essere esplorati e influenzati in modo pragmatico ed esauriente.
Questo libro è il risultato delle mie esplorazioni, realizzate con l’ausilio degli strumenti della
PNL, all’interno dei processi nascosti che influenzano le convinzioni. Il testo è tratto
prevalentemente dagli appunti di un seminario sui cambiamenti di convinzione; in questo modo
spero di aver preservato alcune delle emozioni e delle intuizioni interattive provenienti
dall’esperienza pratica di lavoro con persone reali e con le loro convinzioni.
1
Natura delle convinzioni
1. Per presentare i personal computer allo staff e all’azienda, la Xerox si è servita di un uomo
vestito allo stesso modo di quello che aveva inventato la prima macchina per fotocopie. Ha
un che di morboso richiamare dal mondo dei defunti un uomo morto da almeno quindici
anni. Gli hanno fatto presentare il computer come la migliore, la più innovativa versione
della macchina Xerox: “Questa è una riproduzione migliore di quella che avevo tentato di
fare.”
2. Il personaggio che hanno usato per la pubblicità del computer era un monaco! Di sicuro,
quando pensate alla nuove tecnologie, un monaco non è precisamente la prima cosa che vi
viene in mente. Cosa fa un monaco? Si siede e copia manoscritti. La Xerox era così presa
dai suoi Meta Programmi che non aveva notato che tutto ciò non si adattava all’ambiente in
cui cercava di inserirsi.
Quindi, il predecessore del Macintosh ha avuto i suoi inizi come una semplice idea del settore
“ricerche e sviluppo” della Xerox. All’inizio non era una minaccia per nessuno. Era solo una
cosuccia che stavano facendo quelli del centro ricerche. Chi lavorava lì poteva andarci in blue
jeans e capelli lunghi perché, specialmente nel settore ricerche e sviluppo, a quei tempi, nel
campo della tecnologia, se uno non aveva i capelli lunghi e la barba, nessuno avrebbe avuto
fiducia nelle sue potenzialità. Se qualcuno si presentava con una cravatta e il viso rasato di
fresco tutti si sarebbero chiesti se sarebbe stato davvero capace di lavorare con i computer.
Non appena si prese a investire di più nelle nuove tecnologie e a operare “via da” cose
negative del futuro, la Xerox iniziò a sviluppare la convinzione di avere proprio bisogno di
questo settore per sopravvivere. E cercò di farlo diventare parte della propria identità.
Quando questo accadde, iniziò un cambiamento nel centro ricerche, dove si diceva: “Se questo
deve diventare un settore importante della Xerox, sarà necessario che chi ci lavora si adatti al
resto dell’identità dell’azienda: via la barba, tagliate i capelli, mettete la cravatta.”
Se si pensa ai Meta Programmi dei ricercatori, loro ragionano per differenze rispetto al
presente. Spesso disdegnano lo stato delle cose nel presente, per ragionare in termini di
somiglianze con il futuro. Inoltre, vogliono avere la loro identità, non solo essere una piccola
parte di una identità immensa. Vogliono esserne la parte principale.
Perciò, quando Steve Jobs è arrivato e ha detto che aveva intenzione di fare di queste nuove
tecnologie il cuore dell’identità della Apple e che voleva usarle per cambiare il mondo, quale
scelta credete abbiano fatto i ricercatori? Erano già in contrasto con l’identità della Xerox e
stavano per diventarne solo una piccola parte, mentre avrebbero potuto essere il simbolo
aziendale di Apple e Macintosh: si sono lanciati nell’impresa.
Il fatto è che anche negli affari si hanno livelli diversi e tipi diversi di reazioni e risposte nelle
fasi di transizione da un livello a un altro.
Noi abbiamo raccomandato effettivamente alla Xerox di fare quello che pare, alla fine, abbia
fatto. Abbiamo detto loro di non gettarsi a capofitto nel settore dei personal computer, ma di
ricalcare e guidare la propria identità, cioè di iniziare a realizzare miglioramenti
computerizzati sulle apparecchiature della Xerox.
Se temete che in futuro non si userà più la carta, sviluppate apparecchiature che leggano i
documenti e digitino le parole nei computer, invece di spendere soldi per costruire personal
computer. Sviluppate tecnologie che si adattino meglio a quello che già fate. E questo è
proprio quello che credo abbiano fatto.
Hanno trasformato il personaggio della campagna pubblicitaria in Leonardo da Vinci,
un’immagine decisamente diversa da quella di un monaco, che esprime meglio la creatività. I
Meta Programmi si devono cambiare insieme ai prodotti.
Perdita di peso
Un operatore di PNL che conosco aveva deciso di fare delle ricerche sui programmi di perdita
di peso. Negli Stati Uniti i programmi dietetici sono un affare da un miliardo di dollari l’anno.
Ciò che di interessante si può notare è che molti programmi dietetici sono radicalmente
diversi l’uno dall’altro.
Alcuni sono addirittura l’opposto l’uno dell’altro. Alcuni dicono: “Potete mangiare tutto
quello che volete, purché facciate esercizio fisico.” Altri: “Non importa che genere di
esercizio facciate, perché la perdita di peso dipende principalmente dall’alimentazione.”
Alcuni lavorano solo sul particolare tipo di cibo che si mangia. Altri ancora si servono di
integratori alimentari.
Ma la cosa stupefacente è che tutti funzionano per qualcuno. In altre parole, tutti hanno effetto
su qualcuno. Quindi, piuttosto che modellare i programmi dietetici, l’operatore è andato a
intervistare le persone per le quali avevano funzionato programmi diversi, chiedendo: “Cos’è
successo e come ha funzionato?”.
Ha scoperto che c’erano un paio di caratteristiche comuni a queste persone, indipendentemente
da quale programma dietetico avessero utilizzato.
La prima era che la dieta che avevano scelto era accompagnata da qualche altro cambiamento
fondamentale nella loro vita (nel lavoro, nella vita di relazione, nell’ambiente, se si erano
trasferiti al trove).
La seconda caratteristica che tutti riferivano era una reazione del tipo: “Questa volta, ero
davvero pronto a cambiare.” Erano pronti a perdere peso e credo che la qualità di questo
“essere pronti” sia importantissima, specialmente per quanto riguarda le convinzioni. Quando
qualcuno è pronto a cambiare, basta che entri nel vostro ufficio, voi gli soffiate addosso e
cambierà. Praticamente, potete fare una cosa qualsiasi: questo qualcuno sta solo aspettando il
permesso.
C’è una barzelletta che dice: “Quanti psicanalisti ci vogliono per cambiare una lampadina?”.
Solo uno, ma ci vuole un sacco di tempo, è molto costoso e la lampadina deve essere pronta a
cambiare.
Quindi, la domanda è: come fare in modo che qualcuno sia pronto a cambiare?
Se qualcuno crede di poter cambiare, cambierà.
Figura 3. Diminuzione delle aspettative dovuta alla mancata corrispondenza con la performance.
La cosa importante da capire riguardo alle convinzioni è che esse non hanno l’obiettivo di
avere una corrispondenza con la realtà. Hanno lo scopo di offrire una motivazione e una
prospettiva tali da far sì che il comportamento effettivo possa iniziare a svilupparsi e a
innalzarsi fino a corrispondere ad esse.
Naturalmente, con l’appropriata strategia mentale, è possibile mi gliorare la curva della
performance, perché non è necessario lasciarla al livello di “tentativi ed errori”. Se uno
studente è convinto di poter scrivere o leggere, ma non gli è stata data una strategia per
sviluppare questa capacità, dovrà inventarsene una, e la curva crescerà più lentamente. Più
lentamente la curva cresce nell’andare verso la convinzione, più ci sarà pressione sul
mantenimento della convinzione.
Se riuscite a insegnare la strategia del COME FARE, allora la curva del comportamento salirà
più velocemente e il rischio di perdere la convinzione non sarà così elevato.
Figura 4. Accelerazione della curva della performance dovuta all’insegnamento di una nuova strategia.
Potete quindi vedere come le capacità e le strategie diventino importanti nel loro ruolo di
mediazione tra convinzioni ed effettivi comportamenti, perché più velocemente posso
accelerare il comportamento per farlo corrispondere alla convinzione, più possibilità ho che
l’aspettativa sia soddisfatta e che il ciclo di feedback continui.
1. Una convinzione può essere una generalizzazione relativa alle RELAZIONI CAUSALI.
Ad esempio:
• Quale pensi sia la causa del cancro?
• Credi che sostanze chimiche presenti nell’ambiente causino il cancro?
• Il cancro è provocato da qualcosa che fai?
• Qualcosa che pensi?
• Qualcosa di cui sei convinto?
• O il cancro dipende da chi sei? Dal tuo patrimonio genetico?
Le convinzioni faranno la differenza rispetto al modo con cui si cercherà di guarire il cancro.
Se si crede che sia causato da Dio come punizione, ci sarà una certa differenza nel modo in cui
si cercherà di affrontarlo.
Convinzioni in un’azienda
La stessa cosa è vera in un’azienda. Ho visto cose che potrebbero essere classificate come
cancro in un’azienda, o semplicemente come problemi seri. La domanda è: quale credi che sia
la causa del problema?
• È l’impiegato? Il dirigente? La mancanza di formazione?
• È la struttura dell’organizzazione? La cultura dell’organiz zazione?
• Qual è il problema? L’ambiente aziendale? L’ambiente dove si svolgono le trattative?
Ciò che si ritiene sia il problema determinerà l’ambito in cui si cercherà la soluzione. E, con
la convinzione, si troverà spesso la cosa che si sta cercando. Se pensate che sia lì, la troverete
lì.
2. Una convinzione può anche essere una generalizzazione relativa alle RELAZIONI DI
SIGNIFICATO.
Ad esempio, se avete il cancro, indipendentemente da quale ne sia la causa, cosa vuol dire?
• Significa che sono una persona debole?
• Significa semplicemente che sono come mia madre che è morta di cancro?
• Significa che odio me stesso e che, se ce l’ho, sono una persona cattiva?
• Significa che mi sono sottoposto a uno stress eccessivo?
• Significa che ho un’opportunità per imparare davvero qualcosa?
Cosa significa?
Credo di poter influenzare la mia salute con le mie convinzioni e con la mia mente fino a un
certo punto, oltre il quale non riesco ad andare.
Dove sta il limite? Quanto in là riesco a spingermi?
La mia azienda può crescere fino a un certo punto, ma non oltre. Questi tre tipi di
generalizzazioni determinano il tipo di reazione che si avrà in una particolare situazione.
• SENTIRSI SENZA SPERANZA: se una persona è disperata, sente o crede che sia impossibile
qualsiasi tipo di risultato (o soluzione). Non c’è speranza.
• SENTIRSI IMPOTENTI: “Alcuni riescono a guarire dal cancro, ma perché sono persone
speciali.” “Io non sono abbastanza bravo, non ne ho la capacità. È possibile, ma io non ne
sono capace.” “Alcuni hanno successo negli affari, ma a me manca quello che serve.”
• NON SENTIRSI DEGNI: “Forse è possibile, forse ho quello che serve, ma me lo merito?
Me lo sono guadagnato? Forse non merito la salute. Ha a che vedere con ciò che merito.” Le
persone non cercano di ottenere qualcosa che non pensano di meritare. Ma si batteranno
strenuamente per ottenere ciò che ritengono di meritare.
LINDA: Linda.
R.: C’è qualcosa che desideri e che ti trattieni dal fare a causa del passato?
R.: Mentre sei seduta qui ora, come sai che hai fallito? Come te ne ricordi? Pensa
semplicemente a cosa succede quando inizi ad avere sensazioni sgradevoli al riguardo.
L.: È successo proprio adesso quando me ne hai parlato. Provo una sensazione qui
(stringendo lo stomaco) e nella mia testa si è creata una gran confusione.
R.: Quando dici che hai provato una sensazione e che tutto è diventato confuso, si tratta di
un’affermazione molto importante. Ti chiedo di ripensare intensamente a come ti senti
(Linda guarda dritto e in basso davanti a sé). Per il momento va bene così.
(Al pubblico) Ho una domanda per voi. Di che segnale d’accesso si trattava? Era cinestesico?
E in che posizione era esattamente? Era in basso verso destra? Era in basso verso sinistra?
Era in basso al centro. Di che segnale si tratta?
R.: (ancora a Linda) Lascia che ti faccia alcune domande. Quando entri in questo stato vedi
delle immagini?
Scommetto che, se iniziate a esplorare lo stato, scoprirete che ogni sistema rappresentazionale
vi è implicato.
Ma, come dice lei, quando entra nello stato, non c’è uno specifico sistema rappresentazionale.
È soprattutto cinestesico. Trovo che questo sia molto interessante. È ciò che viene chiamato in
PNL una sinestesia.
Una strategia è una sequenza di sistemi rappresentazionali, ma in una sinestesia i sistemi sono
tutti raggruppati insieme. E si nutrono l’uno dell’altro.
Figura 6. Sinestesia: “molecola” di esperienze sensoriali.
R.: Linda, qual è il tuo obiettivo? Non voglio che tu me lo dica. Voglio solo che ci pensi. Ne
hai un’immagine? Parole? Sensazioni?
R.: Consentitemi una metafora. Nella chimica organica, vari elementi si combinano per
costituire una molecola; non serve molta riflessione per capire che parte di ciò che sta
accadendo a Linda è cinestesico, auditivo e visivo ricordato; tutti e tre combinati insieme,
in basso davanti a lei, concorrono a creare una molecola per il fallimento. E abbiamo una
singola immagine costruita di un qualche obiettivo desiderato che galleggia al di sopra
della molecola.
(Al pubblico) Vi chiedo: se lei cerca di mettere in atto il comportamento desiderato, quale dei
due vincerà? La molecola è un tutto interconnesso ed è molto più potente. Guardate la sua
postura quando le chiedo di pensare al suo obiettivo. Lei dice: “Ho UNA rappresentazione.”
Ma, in realtà, l’esperienza del fallimento è una sinestesia di molte rappresentazioni, da cui lei
è potentemente attratta. Noi useremo in questo caso i segnali d’accesso, perché penso che
ciascuna di queste rappresentazioni sia adeguata e importante, ma presa separatamente, non
nel modo in cui è combinata con le altre. In altre parole: “Perché Dio ha creato i segnali
d’accesso?”. Dio li ha creati in modo da permetterci di sistemare le cose, cosicché si possano
distinguere le proprie sensazioni dalle proprie immagini e così via. Ma l’esperienza del
fallimento di Linda non è auditiva o visiva o cinestesica e i suoi occhi non si trovano in
nessuna delle posizioni standard dei segnali oculari d’accesso. Sono in basso davanti a lei.
Lei dice che è “confusione”. Ovviamente, a un livello conscio, tale confusione sarà più
cinestesica e auditiva, con una notevole mancanza di chiarezza, dato che la posizione degli
occhi è verso il basso. (A Linda) Ora riordineremo queste rappresentazioni verso i rispettivi
segnali d’accesso. Vorrei che tu ritornassi nello stato di prima e considerassi le sensazioni,
mettendo gli occhi in basso a destra e poi considerassi i suoni e li mettessi in basso a sinistra.
Comincia mo con questo, e ricorda che va bene che tu percepisca quella sensazione.
Vorrei che tu prendessi effettivamente quella sensazione e spostassi gli occhi in basso a destra,
solamente con le sensazioni. Proprio così.
Quindi, ritorna nel mezzo e prendi i suoni o le parole che senti. Puoi sentirle? Le puoi sentire
qui. Muovi gli occhi in basso qui, verso sinistra.
Poi, torna nel mezzo e prendi qualsiasi immagine vi si trovi, ma trasportala qui a sinistra, dove
puoi visualizzarla. Sistemala nella memoria visiva. Ora torna nella posizione del fallimento e
qualunque cosa salti fuori, trasportala nella zona che le compete. Sposta le sensazioni in basso
a destra, le parole a sinistra, le immagini in alto. Bene. Ora occupiamoci delle sensazioni che
hai spostato in basso a destra.
Quando percepisci queste sensazioni, e soltanto loro, senza immagini, o parole, o suoni, solo
tu e le tue sensazioni, cosa succede? Come ti senti?
R.: Renditi conto di quando una sensazione è solo una sensazione, quando cioè non è una
convinzione, ma una semplice sensazione. È fallimento? Come chiameresti questa
sensazione? Che sensazione è?
R.: Bene. È soltanto fastidiosa. Ho una domanda: come fai a sapere che questa sensazione è
fastidiosa?
R.: Un commento: se hai una brutta sensazione, come fai a sapere che è “brutta”?
(Al pubblico) Quello che alcuni chiamano paura, altri lo chiamano eccitazione. Stavo
svolgendo questo processo con una persona che provava una sensazione che lei chiamava
sempre sconforto. Poi ha iniziato a sperimentarla e a esaminarla. È saltato fuori che quella
sensazione, in realtà, aveva a che fare con il fatto di trovarsi sulla soglia di una scoperta. Non
era esattamente sconforto; era più precisamente il fatto di sentirsi pronta a fare un grande
salto. La reazione a questa situazione si basava sulle modalità con cui la persona la
paragonava alle altre rappresentazioni all’interno della molecola.
L.: Quando mi hai chiesto se ci fosse una relazione con la paura… anche quando provo una
forte paura ho la stessa impressione.
R.: Allora vorrei che tu tornassi a quella sensazione e solo a essa, e che scoprissi per prima
cosa quello che la sensazione ti sta comunicando. Se è solo una sensazione, riesci a
muoverla un po’? Se prendessi quella stessa sensazione e la spostassi o la espandessi un
po’, sarebbe la stessa cosa? Cosa succede?
R.: (Al pubblico) Ecco un’altra cosa interessante. Se considero la sensazione come
sensazione, allora posso iniziare a farla lavorare per me. Non è più la confusione di
prima. È una sensazione, che posso usare a mio beneficio. (A Linda) Cosa vorresti che
facesse questa sensazione?
R.: Cosa hai bisogno di fare per ottenerlo? Cosa succederebbe alla sensazione se si
trasformasse in eccitazione? Diventerebbe più leggera? Si muoverebbe di più?
R.: Come potresti ottenere questo risultato? La muoveresti di più? Riesci a spostarla
leggermente per farla diventare più dinamica?
(Al pubblico) Quello che abbiamo fatto è prendere una sensazione di per sé, ricalcarla e
guidarla.
Non è una “brutta” sensazione, è semplicemente una sensazione. Cosa cerca di comunicare? In
che modo potrebbe funzionare meglio per te? (A Linda) Proviamo a occuparci delle parole. Ci
sono parole specifiche? Sono tante o sono poche?
R.: Allora ascolta semplicemente la voce. Nessuna sensazione, nessuna immagine; così riesci
a sentire che critica, ma è solo una voce. Qual è l’intenzione di questa voce?
L.: Solo come voce? Be’, se è solo una voce, non c’è nessuna cattiva intenzione.
R.: E allora perché sta dicendo quello che dice? Abitudine? È qualcosa che hai imparato dai
tuoi genitori?
R.: Quale potrebbe essere l’intenzione di questa voce, allora? Per quale motivo si è
sviluppata?
E se è soltanto un’abitudine, è qualcosa che ti sei detta prima e che non appartiene al
tuo dialogo interno. Appartiene ai ricordi.
(Al pubblico) Ecco un’altra cosa: la voce dei vostri genitori non appartiene al vostro dialogo
interno; appartiene alla memoria. Per cui, prendiamo la vecchia abitudine e mettiamola nella
posizione oculare della memoria auditiva, a cui sembra appartenere, cioè in mezzo a sinistra.
(A Linda) Riesci a farlo? Riesci a muoverla in alto, qui, e ad ascoltarla con gli occhi in quella
posizione, a sinistra? Ora che hai sistemato l’abitudine in quel punto cosa c’è, lì in basso, nel
tuo dialogo interno?
R.: Cosa ti diresti ora, qui in basso, nel tuo dialogo interno? Che tipo di voce useresti?
R.: Adesso abbiamo una scelta. Per il momento lascio la cosa com’è. Ancora una volta,
ricalchiamo, riconosciamo e guidiamo la voce.
R.: La mia prossima domanda è: riesci a trovare una relazione tra tutto questo?
L.: In un certo senso sì, perché qui (indicando in alto a sinistra) ho tirato fuori tutte le
sensazioni e ho portato gli aspetti interessanti dei successi lì (indicando in alto a destra);
ma adesso l’obiettivo non è più lo stesso.
R.: Bisogna notare che il feedback ha persino aggiornato l’obiettivo. Questo obiettivo è
altrettanto valido per te?
R.: Quello che stai dicendo è che, piuttosto che avere quella specie di sogno, quella speranza,
che semplicemente galleggiava da qualche parte qui in alto, quando prendi i frammenti che
hai imparato dai ricordi, l’obiettivo si trasforma in qualcosa di diverso rispetto a quello
verso cui ti orientavi, quando percepivi quei cosiddetti “fallimenti”.
L.: L’obiettivo è sostanzialmente lo stesso, ma ho preso dalle immagini solamente gli aspetti
positivi della mia vita e cancellato quelli negativi.
R.: C’è un’altra buona strategia per farlo: questi ricordi rendono letteralmente più luminosi
quegli aspetti che sono carichi di risorse, così quando guardi indietro alle tue esperienze,
questi ultimi sono in risalto, mentre gli altri, in un certo modo, sono sfocati. Il contenuto è
lo stesso; non stai cercando di ignorare o nascondere niente. Si tratta, piuttosto, di ciò a cui
decidi di prestare attenzione in relazione al tuo obiettivo. Entrambi i contenuti sono
altrettanto reali.
R.: (A Linda) Puoi pensare a qualcos’altro che sai per certo che farai in futuro ma che non hai
ancora fatto? Ci potranno essere ogni sorta di problemi, ma tu sei certa che sarai capace di
farlo.
(Al pubblico) Adesso guardate i segnali d’accesso. È molto co mune, ma non lo troviamo nei
segnali d’accesso che si insegnano di solito. Non è visivo ricordato in alto a sinistra, o visivo
costruito in alto a destra, o auditivo proprio in mezzo. È dritto davanti, in alto di circa 15 o
20 gradi.
L.: Naturalmente.
R.: Questo è un altro segnale d’accesso sinestesico. Adesso possiamo prendere immagini,
suoni e sensazioni prima associati al fallimento, e organizzarli come nella struttura
sinestesica di questa risorsa già esistente. Prima ci occuperemo dell’aspetto visivo.
Vogliamo far corrispondere le immagini alla struttura del modo in cui sai di essere capace
di fare qualcosa. Prendi l’immagine del tuo obiettivo e sistemala dritta davanti a te, un
pochino in alto. E assicurati che sia alla stessa distanza, che abbia la stessa luminosità, le
stesse dimensioni, la stessa qualità di movimento, la stessa gradazione di colore, la stessa
profondità e la stessa vivacità dell’immagine dell’esperienza di risorsa. Dove vanno i
ricordi nell’esperienza positiva di riferimento? Ti stanno dietro, o stanno semplicemente in
alto a sinistra?
R.: Risistema i ricordi che erano prima associati al fallimento in modo che vadano dietro, così
che possano sostenere il tuo scopo futuro. E cosa mi dici dei suoni e delle voci? Nel
l’esperienza di riferimento in cui sai che sarai capace, cosa senti? Dove? Come?
L.: Riesco a sentirla dentro, ma la voce non è la stessa. La voce è in accordo con l’azione.
R.: Puoi prendere le voci che abbiamo messo in basso a sinistra e portarle dentro? Riescono a
fare da sostegno al tuo cammino verso l’obiettivo? Hai detto che non eri neppure certa di
aver bisogno di una voce. Ma se le riporti dentro, ti sostengono nel tuo operato? E cosa
succede alla vecchia voce? Dove sta, che tipo di qualità avrebbe?
R.: E per quanto riguarda i suoni del risultato dell’esempio positivo di riferimento? Ci sono
suoni che gli sono associati? Arrivano da davanti, da dentro, da dietro?
L.: Ci sono altre voci e una in particolare. Il suono è chiaro. Tutto è calmo. Le voci interne
sostengono le azioni.
R.: Ultimo passo: le sensazioni. Ti ricordi quelle sensazioni di fastidio? Portale all’interno
della nuova sinestesia e scopri che cosa fanno. Si trasformano? Diventano più leggere?
Sono adeguate al tuo obiettivo? Perché tu hai bisogno di quelle sensazioni.
L.: Ti avevo parlato di una certa paura, di una sensazione di paura. C’è ancora da qualche
parte, ma adesso è di sostegno.
R.: Ecco una cosa interessante riguardo alla paura: può essere motivazione mascherata. Le
persone spesso definiscono la paura come “avere le farfalle nello stomaco”; e il punto non
è ammazzare le farfalle, ma piuttosto insegnare loro a volare in formazione. Possono dirvi
quando una cosa è importante ed essere presenti come motivazione.
La mia ultima domanda: Credi di poter raggiungere il tuo obiettivo ora?
L.: Probabilmente.
R.: Probabilmente? Probabilmente non è abbastanza. Facciamo qualche ritocco più sottile.
Qual è la differenza tra l’obiettivo che sei certa di poter realizzare e quello che pensi di
poter probabilmente realizzare?
L.: Beh, di questo non sono certa, di quello sì. (Linda abbassa gli occhi alla posizione
iniziale della convinzione di partenza.)
R.: Non guardare lì in basso. Porta l’obiettivo qui su. È lì il suo posto, adesso. Non è più in
basso. Guarda quassù e mettici l’obiettivo, completamente.
L.: Cerco di metterlo lì in alto, ma non sono sicura che sia proprio lì.
R.: Ah! Come faresti a sapere che è davvero lì? Quando ti chiedo se puoi raggiungere
quell’obiettivo ora, in cosa è diverso dall’esperienza della risorsa di riferimento?
R.: E questo non è collegato a niente? A quale esperienza positiva avresti bisogno di
collegarlo?
(Al pubblico) Tra l’altro, lei ci sta dicendo qualcosa di molto importante su come costruisce
le sue convinzioni. Dopo che abbiamo reso la rappresentazione chiara e abbiamo ottenuto che
tutti i sensi siano di sostegno all’obiettivo, dobbiamo collegare il tutto ad altre esperienze
positive. (A Linda) Riesci a farlo?
L.: Sì.
L.: Sì. Posso collegarlo a qualcosa di positivo che ho fatto prima, un progetto, e metterli
insieme.
R.: Questo è un aspetto importante del modo in cui le persone costruiscono una convinzione:
lei sta creando qualcosa di più di una molecola. (A Linda) E adesso sei sicura di poter
raggiungere l’obiettivo?
R.: Ti credo. Ora, visto che è ora di pranzo, vorrei lasciarti il tutto come nutrimento per la
mente e, mentre digerisci tutto quello che abbiamo fatto, potresti scoprire che ci sono
anche altre cose a cui potresti collegare quell’obiettivo. Puoi lasciare che il tuo
subconscio ti sorprenda e ti delizi con tutte le connessioni che potresti essere in grado di
fare una volta iniziato il processo.
Grazie.
Esercizio
La prima cosa da ricordare è che una convinzione coinvolgerà molto probabilmente una
combinazione o sinestesia di sensi. Combinerà diversi sistemi rappresentazionali. Il nostro
obiettivo è
(1) scoprire qual è la molecola sensoriale, (2) separare e distinguerne le componenti, (3)
riorganizzarle in una nuova relazione.
Prima parte
Prima fase: le fasi specifiche del processo implicano come pri ma cosa l’identificazione
dell’atteggiamento o della convinzione problematici. Questi emergono di solito in quei
momenti di “crisi”, in cui le aspettative e l’effettivo operato sono particolarmente divergenti.
Ad esempio, prendete in considerazione una cosa che vorreste fare, ma che vi trattenete
dall’intraprendere a causa di fallimenti o preoccupazioni del passato. Cercate lo stato in cui
entrate, la convinzione che vi è legata e scoprite la postura del corpo e la posizione degli
occhi associata a quella convinzione. Potrebbe essere qualcosa che vorreste provare, ma avete
semplicemente la sensazione che non riuscirete a realizzarla, oppure qualcosa che vorreste
fare, ma siete spaventati dal fatto che potreste fallire o che potrebbe succedere qualcosa.
Una volta identificata la posizione degli occhi, lo spazio, cioè, in cui questa convinzione ha
luogo, lo spazio in cui la convinzione limitante emerge, allora, probabilmente, scoprirete che
questa posizione implicherà il coinvolgimento di tutti i sensi, e vedrete, udrete e percepirete
tutte queste sensazioni contemporaneamente. E, come per Linda, tutte saranno probabilmente
confuse insieme.
Seconda fase: il nostro secondo passo è quello di separare gli elementi della sinestesia,
tramite lo spostamento di ciascuna rappresentazione sensoriale nella posizione oculare
appropriata secondo la PNL. Quindi i ricordi visivi vanno in alto a sinistra, il dialogo interno
va in basso a sinistra e le sensazioni in basso a destra. Ci potrebbero essere immagini
costruite che potete portare in alto a destra per sistemarle nella posizione a cui appartengono.
Poi bisogna occuparsi di ciascuna rappresentazione singolarmente. Qual è lo scopo di questa
sensazione? Come so che è negativa? Forse non lo è. Bisogna quindi riconoscere ogni singola
rappresentazione, ricalcarla e guidarla un po’. Una volta che la sensazione è diventata soltanto
una sensazione, posso trasformarla in qualcosa di leggermente diverso. Lo stesso succederà
con il dialogo interno. Qual è la sua intenzione? Come potrei modificarlo un po’ per renderlo
più adeguato all’intenzione?
C’è un aspetto importante da affrontare. Se qualcuno ha difficoltà nel separare le
rappresentazioni (se, ad esempio, la persona non riesce a separare le immagini dalle
sensazioni), allora potete usare le sottomodalità.
Potreste far sì che il soggetto collochi le immagini in una cornice, che le allontani, per poi
spostarle in alto a sinistra.
Se vi dice che la voce e le sensazioni non si separano, prendete la voce e trasformatela in un
sussurro, e poi spostatela. Potreste aver bisogno di un po’ di creatività in questa fase. Dipende
da voi. Si tratta di qualcosa che non potete prevedere. Dipenderà dalla vostra capacità di
usare i feedback.
Ricordate anche di stare vicini alla persona, quando lavorate con lei. E se avete individuato
quella molecola, quella convinzione in un punto determinato, rendetela reale e concreta.
Allungatevi, prendete i frammenti e separateli. Prendete le immagini e guidate realmente la
persona nel ricollocarle, spingendole fisicamente verso l’alto.
La vostra attività e il vostro coinvolgimento fisico aiuteranno a rendere più facile la
separazione.
Terza fase: dopo aver individuato ciò che ogni rappresentazione comunica, prendete i ricordi
visivi e osservate: c’è qualcosa di nuovo che si può imparare da questi ricordi?
Ricordate: questo significa osservare i ricordi in relazione ad altri ricordi legati al
successo, e in relazione al risultato, all’obiettivo. Vi faccio un esempio.
Ho qui un’esperienza del passato; se la guardo considerandola separatamente, significa una
cosa soltanto, ma se guardo cosa mi dice in relazione al mio scopo, imparo da essa qualcosa
di diverso. L’informazione non è nell’immagine in sé. È nel modo in cui l’immagine è in
relazione al mio obiettivo. L’idea in questo caso è di iniziare a vedere queste esperienze non
come fallimenti, ma come feedback.
Posso considerare quegli aspetti che rappresentavano dei successi e focalizzarmi su di essi
per farmi aiutare a procedere.
Seconda parte
Nella seconda parte, vogliamo prendere tutte le componenti e rimetterle insieme. È qui che
entra in gioco l’esperienza positiva di riferimento. Bisogna prendere tutte le parti che ho
riordinato e rimetterle insieme per formare una struttura identica a quella di un obiettivo che
confido di potere raggiungere.
Questo implica due fasi.
Ora chiedo: qual è un altro obiettivo che sai già di essere capace di raggiungere in futuro?
La ragione per cui bisogna scegliere un obiettivo del futuro è che esso non è stato ancora
raggiunto, ma ci sono cose che siete certi di realizzare in futuro, cose riguardo al cui
raggiungimento avete fiducia e convinzioni. Vogliamo estendere questa stessa sensazione
all’obiettivo desiderato: dimagrire.
DOMANDA: Deve necessariamente essere qualcosa che abbiamo già fatto una volta?
ROBERT: No, non necessariamente. È bene soltanto che sia qualcosa che sapete che sarete
capaci di fare. È una convinzione che riguarda una capacità.
Eccovi un esempio: so che farò una vacanza. L’ho programmata. Sarà fra due settimane, ci
potranno essere problemi sul lavoro, o ritardi aerei, ma io farò quella vacanza. In un modo o
nell’altro ce la farò.
Oppure ciò che ho programmato potrebbe essere un seminario. Potranno verificarsi molti
problemi, ma troverò il modo di aggirarli e riuscirò ad allestirlo. O potrebbe trattarsi
dell’acquisto di una casa. So che ci saranno mille intralci, ma sono certo che si tratta di
qualcosa che alla fine realizzerò.
Il fatto è che non si tratta tanto di una convinzione riguardo al fatto che l’obiettivo si
realizzerà, quanto di una convinzione sulla capacità di far sì che l’obiettivo sia raggiunto.
Noi non conosciamo mai la realtà che ci attende. E non è questo lo scopo. Il nostro scopo è
organizzare la rappresentazione dell’obiettivo desiderato nello stesso modo con cui è
rappresentato un obiettivo che sappiamo di poter raggiungere. Siamo alla ricerca di una cosa
che non è ancora successa, ma riguardo alla quale sappiamo di avere la capacità di
impegnarci con sicurezza per ottenerla.
Avete una relativa certezza di essere in grado di gestire tutti i problemi che potrebbero
emergere. Credete in voi stessi e nel fatto di poter riuscire: una positiva aspettativa di
autoefficacia. È questo il tipo di riferimento che vi occorre. Può quindi essere il fatto che io
sono sicuro che organizzerò una festa o che concluderò un articolo su cui sto lavorando. So
che si tratta di qualcosa che alla fine concluderò e che qualunque cosa si frapporrà fra me e il
mio obiettivo sarà semplicemente un feedback.
Ad esempio, ho fiducia nel fatto di poter comprare una casa. Ora, quello che voglio fare è
prendere tutte le componenti relative al perdere peso e adattarle nello stesso modo in cui sono
strutturate le rappresentazioni con cui penso all’acquisto di una casa.
Da una parte, c’è il modo con cui penso a perdere peso; dall’altra, c’è il modo con cui penso a
comprare una casa.
Seconda fase: voglio far corrispondere tutte le sottomodalità del perdere peso alle
sottomodalità dell’acquisto di una casa.
Questo significa che, se quando penso di comprare una nuova casa l’immagine è di fronte a me
e quando penso di perdere peso l’immagine è in alto a destra, allora sposterò l’immagine del
perdere peso da in alto a destra fino a davanti a me.
Notate che non stiamo sostituendo un contenuto (perdere peso) con un altro (comprare una
nuova casa).
Il contenuto non è importante. L’importante è: rappresentare entrambi con la stessa struttura,
in modo da avere eguale fiducia in entrambi i casi.
Ora scorrerò la lista delle possibili differenze di sottomodalità. La posizione del suono di
quando penso a comprare una casa è dentro o fuori di me? Sposterò nello stesso posto le voci
e i suoni di quando penso a perdere peso.
Sto quindi utilizzando una strategia di convinzione. Costruite la mappa mentale dell’obiettivo
in modo che abbia la stessa ricchezza e solidità della mappa di qualcos’altro, che siete certi di
poter raggiungere. Ecco di cosa si tratta.
D.: L’esperienza di riferimento e l’obiettivo della persona devono essere dello stesso
livello? Ad esempio, sono quasi certo che berrò una tazza di caffè domani, ma non
necessariamente ciò ha la stessa importanza del mio obiettivo.
R.: Bella domanda. Penso che più c’è somiglianza tra i tipi di sensazioni e i tipi di significato
e meglio è.
Penso che più l’impegno della persona entra in gioco, più risulterà convincente.
Un commento sull’esercizio
Questo è un processo che riguarda il feedback. Le persone possono sempre tirare fuori con
creatività cose che voi non vi aspettate. Vi invito a considerarle come opportunità e sfide utili,
come feedback, invece di dire: “Ho sbagliato e qualcosa è andato storto.” Ricordate che ci
sono altri tipi di convinzioni oltre a quelle relative alle capacità. Potreste anche scoprirle
proprio durante l’esercizio. Non si tratta di una panacea. Non è una cura definitiva. Potrebbe
non risolvere completamente il problema. È solo un inizio. È come imparare a fare il mago.
Una cosa è far sparire una carta da gioco, ma ci vuole un po’ di più a far sparire un elefante.
Qui stiamo iniziando con le carte e, per la fine del corso, farete incantesimi con gli elefanti,
forse anche con gli ippopotami!
R.: Quando la persona pensa all’esperienza positiva di riferimento e la vedo entrare in uno
stato di certezza, la ancoro. E poi, quando sto mettendo l’obiettivo nella sua nuova
posizione, per aiutare la molecola ad aggregarsi, quest’àncora diventa il collante che la
lega.
Cercate di capire che mediante questo processo in realtà state facendo due cose: state
utilizzando le strategie che la persona usa per costruire le proprie risorse e state
riorganizzando la molecola. Mi aspetto che l’esercizio sia in qualche modo una sfida per
alcuni di voi. Ma sono davvero sicuro che sarete in grado di completarlo in un modo che
vi permetterà di imparare qualcosa di nuovo e di iniziare a unire questi processi in modo
da usare contemporaneamente diverse abilità.
D.: C’era solo un’àncora? Da qui, abbiamo avuto la sensazione che ce ne fossero molte.
R.: Uso sempre le ancore. Quando Linda ha pensato per la prima volta all’esperienza negativa,
l’ho ancorata per aiutarmi a riaccedere a tale stato.
Potreste far crollare queste ancore alla fine, se voleste. Io uso le ancore in modo così
inconscio che, se sono vicino a qualcuno che è di buon umore durante la pausa, mi ci
ancoro.
Ma vorrei che sviluppaste un’idea flessibile di queste cose. Usate qualsiasi cosa vi sia
d’aiuto.
In alcuni punti di questo esercizio potreste usare delle sottomodalità. Provate a pensarci in
questo modo: questa tecnica, o qualsiasi altra, è uno scheletro.
Ciò che lo riveste di carne e di vita siete voi. Ci sono cose che siete capaci di fare
semplicemente perché siete voi e grazie al contatto visivo che avete con quella persona;
questi fattori valgono più di qualunque fase di una tecnica. È la vostra identità che farà
funzionare il tutto. Non abbiate mai paura di liberare le vostre intuizioni per far funzionare
qualcosa. Questo è ciò che vi invito a fare.
D.: Non capisco perché sia necessario il legame tra i ricordi e l’obiettivo.
R.: Perché se i ricordi non hanno niente a che vedere con il risultato, non c’è continuità, non
c’è sostegno. La persona può dire: “Oh! Qui c’è il mio risultato, ma non c’entra nulla con
tutto quello che ho fatto nella mia vita.”
Finiranno per entrare in conflitto.
Vogliamo essere in grado di vedere il reciproco accordo tra gli elementi. Se avete un
risultato che non c’entra nulla con ciò che siete, in seguito dovrete occuparvi di questa
divergenza.
D.: Questo cosa significa in termini di sottomodalità?
R.: Percepirete effettivamente il legame in qualche modo, anche se dovesse trattarsi solo di
vedere un colore o una linea che unisce le due esperienze o persino se avrete solamente la
sensazione che le due si combinino. L’aspetto importante è che si formi una Gestalt, che il
mio risultato si adegui alle mie esperienze. Se riuscite a ottenere questa sensazione, è
sufficiente.
È meglio iniziare a fare pratica in gruppi di tre. Scoprite cosa succede in voi mentre
sperimentate il processo. Scambiatevi i ruoli quando ogni persona conclude.
4. Osservare le immagini dei ricordi associati alla convinzione e costruire una prospettiva più
realistica della situazione globale, combinando ricordi positivi a ricordi associati al
problema, in modo che siano sistemati sulla timeline nella sequenza temporale adeguata.
a. Osservare in che modo i precedenti ricordi negativi possano ora fornire un feedback
positivo, che guidi direttamente all’obiettivo desiderato.
b. È persino possibile voler modificare o aggiungere qualcosa all’obiettivo desiderato
sulla base di ciò che si è imparato dall’osservazione dei ricordi.
c. Assicurarsi di poter visualizzare il percorso che collega i ricordi con l’obiettivo
desiderato.
5. Identificare un’esperienza positiva di riferimento, che serva da risorsa; ad esempio,
qualcosa che siete sicuri di poter realizzare nel futuro.
a. Stabilire un’àncora per tale esperienza.
D.: La mia cliente era molto auditiva, e se io avessi ascoltato me stesso (che sono piuttosto
visivo), l’avrei fatta lavorare sull’aspetto visivo. Ma il visualizzare (e qualsiasi
visualizzazione), era per lei molto difficile. Ci siamo sforzati di trovare una strada
auditiva, ma c’è voluto troppo tempo. Ho esitato tra il desiderio di seguire lei e quello
di seguire te.
R.: Cosa pensate che vi avrei consigliato di fare io? Se me l’aveste Sinestesia di risorsa
chiesto, cosa vi avrei risposto? Avrei detto: “Segui lei.” La PNL è stata creata per
aiutare i clienti, non perché i clienti si adeguino alla PNL. Voglio congratularmi con te per
averlo riconosciuto. Aver notato quello che mi hai riferito a proposito della tua cliente è di
grande importanza.
D.: Quando dici “missione”, è possibile essere consapevoli di averla anche se non si crede
in Dio, ad esempio?
Non lo so. Dipende da cosa intendi con la parola “Dio”. È una questione interessante e vorrei
affrontarla.
Cambio od opero all’interno del mio ambiente tramite il mio comportamento. Per cambiare il
mio comportamento, devo trovarmi a un livello che gli sia superiore: quello delle capacità.
Non posso veramente capire o cambiare il mio comportamento fino a che non sono più in alto
rispetto a esso.
Questo livello delle capacità è come il burattinaio che fa muovere una marionetta.
Per cambiare una capacità dovrò essere a un livello superiore: il livello delle convinzioni.
E per cambiare una convinzione, per uscire dal mio sistema di convinzioni in modo da poterle
davvero guardare e cambiare, dovrò cominciare a operare proprio dall’identità.
Per cui il punto è: se devo cominciare a mettere in discussione, a cambiare la mia identità, la
mia missione, e devo trovarmi a un livello superiore, di che livello si tratterà?
Non si tratta più della mia identità, non si tratta più di me. Non riguarda il mio ego, è qualcosa
di più ampio della mia missione, riguarda il fatto di essere un membro di un sistema molto più
ampio. E io penso che questo sia un livello spirituale.
Ecco perché dico che tutto dipende da cosa intendi per “Dio”. Penso che nel momento in cui si
cerca di determinare la propria missione, o non si è più sicuri di chi si sia veramente, sia
necessario affrontare la questione a questo livello “spirituale”. Non ritengo che debba
necessariamente corrispondere a un qualunque credo religioso, ma opera a un livello molto
profondo. È una domanda a cui si deve rispondere da soli per risolvere la questione della
propria missione.
Non credo che esista un altro modo, per una persona che ha una malattia terminale e che deve
essere capace di operare i cambiamenti che le sono necessari, se non quello di saltare a quel
livello, per trovare il significato della propria vita, la volontà di vivere. Credo che sia una
coincidenza interessante che la parola usata per descrivere la guarigione da una malattia
potenzialmente mortale sia “re-missione”.
E oltre a questo, al di fuori del campo delle malattie, penso che gli individui che noi
definiamo “i geni” della storia siano quelli che, per qualunque tipo di ragioni, nel loro lavoro
si sono innalzati a un livello spirituale.
Il loro lavoro non riguarda loro stessi. Mozart diceva che il suo lavoro non veniva da lui. E,
indipendentemente da ciò che pensate di questa affermazione, Mozart affermava che la sua
musica non dipendeva dal suo ego o della sua identità. La sua armonia era un’espressione di
qualcosa di esterno alla sua particolare identità o al suo sistema di convinzioni. Diceva:
“Sono costantemente alla ricerca di due note che si amino.”
Se l’identità implica una missione, credo che la spiritualità implichi qualcosa di simile alla
“tras-missione” (in entrambi i sensi della parola, quello cioè di ciò che viene trasmesso e
ricevuto e quello relativo a ciò che attraversa molte missioni).
La stessa cosa vale per Albert Einstein, che ha detto riguardo al suo lavoro nel campo della
fisica “Non mi interessa lo spettro della luce, o quanto pesi una molecola, o quale sia una
particolare struttura atomica. Io voglio conoscere i pensieri di Dio. Tutto il resto sono
dettagli.”
Figura 11. Domande e obiettivi a diversi livelli logici di sistema.
Non credo si trattasse di un’affermazione egoistica. Era una frase che riguardava la sua
missione. Non ha detto: “Voglio diventare famoso cambiando la fisica” o “Dimostrerò a questi
allocchi che quello che penso io è giusto.” Ha detto: “Dio si rende visibile nell’armonia di
tutto ciò che esiste.” E la fisica era la sua ricerca di Dio.
Dio era negli schemi e nella relazione tra le cose che succedevano nell’universo.
Quindi penso che sia molto importante quando mi dici: “Come è possibile rispondere alle
domande sulla missione senza affrontare in qualche modo la questione di Dio?”.
Sono d’accordo con te, non è cosa da riderci sopra.
Credo che la totalità dei livelli sia importante. Alcuni sono capaci di influenzare il mondo con
i loro comportamenti. Altri influenzano il mondo attraverso il loro impatto sulle convinzioni
degli altri. Alcuni sono capaci di influenzare il mondo semplicemente attraverso la loro
identità, grazie a ciò che sono in qualità di figure rappresentative. Chi veramente emerge è chi
influenza non solo l’ambiente, i nostri comportamenti quotidiani, le nostre capacità,
conoscenze, pensieri, convinzioni o identità, ma anche i nostri livelli spirituali. Maggiore è il
numero dei livelli che si influenzano, maggiore è l’impatto.
Quando lavoriamo per far cambiare una persona, un’organizzazione o una famiglia, a volte il
problema è il comportamento, a volte sono le convinzioni e a volte il problema attraversa
molti di questi livelli.
Ho visto molte persone arrivare alla PNL con l’atteggiamento di chi vuole solo fare “magia”.
L’atteggiamento è questo: “Se ci metti più di venti minuti, sicuramente hai sbagliato.”
Ma vi posso dire che quando lavoravo con mia madre per assisterla nella guarigione dal
cancro, non ho usato trucchetti e non voglio usare trucchi neppure quando lavoro con chiunque
altro.
La domanda è: “Come integro tutti questi livelli nel lavoro che sto facendo?”.
In effetti, credo che durante questo esercizio alcuni di voi abbiano notato che, pur avendo
cominciato da una convinzione sulle capacità, sono finiti a un livello più profondo.
Quando spezzate la molecola che circonda la sensazione di fallimento, quando eliminate tutti
quegli strati, scoprite che non si tratta solo di una convinzione sulle capacità. Scoprite
improvvisamente che forse si inoltra in una convinzione su voi stessi.
Non è tanto il fatto che non credo di essere capace di farlo; forse credo che questo non sia
il mio posto.
Forse sono convinto a un livello profondo di essere fuori posto.
E questa diventa una scoperta importantissima.
Se è successo in questo esercizio, se siete passati attraverso la prima convinzione solo per
scoprire qualcosa che è apparso più profondo, questo non è un fallimento, bensì un successo.
Non credo che questa tecnica sia necessariamente progettata per trattare problemi di identità.
Questo, però, induce a porci la seguente domanda: “Come ci occupiamo dei problemi di
identità?”.
E questa è una delle questioni che voglio iniziare ad affrontare con altre abilità e altre
tecniche.
Una delle cose che ho fatto per anni è stato usare gli strumenti a mia disposizione (PNL e altri)
per studiare le strategie delle persone efficaci. Una delle persone che ho studiato recentemente
è stato Gesù.
A volte la limitazione che una persona sperimenta proviene non da una sola ma da un sistema
di convinzioni. In altre parole, non bisogna lavorare con una singola convinzione, ma con
convinzioni multiple, che si nutrono le une delle altre.
In questo caso, bisogna capire che è necessario fare un passo indietro e osservare l’intero
sistema di convinzioni. La limitazione può anche provenire da una convinzione più profonda,
che si trova a un livello più determinante di quello di una convinzione sulle proprie capacità.
Se un individuo parte con la convinzione che voi gli farete del male, e voi state lì seduti a
cercare di separare le parti della sinestesia, questa convinzione riguardo alla vostra identità,
che si trova a un livello più alto, avrà più effetto di qualunque altra cosa stiate facendo.
Quindi, dovete fare un passo indietro e chiedervi: “Dove sta la convinzione realmente
limitante?”. “È quella su cui sto lavorando ora o è quella contro cui continuo a sbattere la testa
ogni volta che cerco di fare qualcosa?”
Come diceva Albert Einstein: “Tutto dovrebbe essere semplificato il più possibile, ma non
più di tanto.”
In altre parole, se qualcosa richiede precisione e tempo, evidentemente è proprio ciò di cui ha
bisogno. È quello il tipo di impegno e di investimento appropriato. Cercare di trovare un
modo “rapido e indolore ” per cambiare qualcosa che è sofisticato e importante non è
necessariamente la strategia più appropriata. Mettere un cerotto su una parte infetta creerà
ancora più problemi.
Questo è quello che stiamo cercando di dire: usate un cerotto, se è quello che ci vuole. Ma se
si tratta di un’infezione, allora si deve lavorare sul sistema immunitario.
Questa considerazione in PNL è importante. Attenzione, non sto dicendo: “Tutto deve
richiedere tempo ed essere complicato”, ma che alcune cose è bene farle in modo esauriente
e impeccabile, utilizzando tutto il tempo necessario.
Quindi, come si scopre una convinzione determinante? Da cosa si riconosce una
convinzione rilevante? Come si trova la convinzione da cui iniziare?
Non si può sempre andare da una persona e chiederle: “Qual è la convinzione-chiave che ti
crea problemi?”.
Come possiamo sapere che proprio una certa convinzione è quella determinante?
Si dice che il cambiamento di convinzioni sia come la ricetta per lo stufato di tigre. Primo
passo: catturare la tigre (ed è questa la parte difficile!). Il resto è semplice, come per ogni
altro stufato.
Forse l’altra questione da affrontare, a questo punto, è:
Come si nascondono le convinzioni?
La parte più difficile, nel tentativo di identificare una convinzione, è che quelle di cui si è
meno consapevoli sono, di solito, quelle che hanno una maggiore influenza.
Questo è il primo aspetto da affrontare quando si lavora con le convinzioni. Ci sono poi
quattro problemi molto comuni nell’identificazione delle convinzioni. Prima li esaminerò tutti,
poi ci occuperemo di alcune soluzioni.
1. Lo schermo di fumo
È più o meno quello che fa James Bond quando i cattivi si avvicinano. Premete un pulsante e il
fumo esce dal retro della macchina, consentendovi di scappare.
E molto spesso, specialmente se la convinzione è associata a qualcosa di molto profondo o
doloroso, le persone creano uno schermo di fumo.
Pensate che tutto stia procedendo magnificamente. State facendo progressi. State arrivando al
cuore del problema e, improvvisamente, il cliente diventa assente o tutto inizia a farsi vago e
confuso. Vi state avvicinando proprio alla sua convinzione e la sua parte protettiva preme il
pulsante. E tutto d’un tratto vi trovate persi e confusi.
Quando vi capita, dovete capire che non è una cosa negativa. Significa solo che siete vicini.
Quello che faccio fare io alle persone è spesso di invitarle a lasciar perdere quello che
stanno facendo e indurle a concentrarsi sul fumo, sotto qualunque forma si presenti.
• Potrebbe trattarsi semplicemente di una sensazione che emerge dal nulla, quale: “Non riesco
a procedere.” Questo potrebbe essere uno schermo di fumo.
• Lo schermo di fumo si potrebbe individuare nei momenti in cui una persona cambia
improvvisamente argomento e inizia a fare discorsi irrilevanti.
• A volte le persone, oltre a diventare assenti e vaghe, tendono a chiudere tutto dentro di sé.
Questo potrebbe essere uno schermo di fumo. È bene che capiate che proprio quella, per
voi, è la porta di accesso alla convinzione.
Ed Reese (un altro trainer di PNL) e io stavamo lavorando con una persona che stava
cercando di raggiungere alcuni semplici risultati a livello di comportamento. Tuttavia, ogni
volta che cercavamo di stabilire una definizione del risultato chiara e basata sui sensi, l’uomo
aveva percezioni vaghe e offuscate. Era quasi come il fumo. Tutto si annebbiava e non vedeva
nulla. Ci siamo perciò distolti dal risultato e abbiamo suggerito: “Guardi semplicemente il
fumo, per un momento, e si concentri su quel fumo. Mentre si concentra, lasci che si diradi e
osservi quello che c’è dietro.”
Improvvisamente l’uomo ha iniziato quasi ad avere le convulsioni ed è regredito a uno stato
molto forte, a un ricordo potentissimo. Quando aveva nove anni, stava giocando a baseball con
degli amici e si preparava a colpire la palla più forte che poteva. Era così concentrato sulla
palla e sul suo obiettivo, che non si accorse che il fratellino di tre anni di uno degli amici
stava correndo dietro di lui. Cercò di colpire la palla con tutta la forza che aveva, mettendoci
tutto se stesso, la mancò e, nello slancio, colpì il bambino in testa ammazzandolo.
Ora, pensate a come questo episodio fosse in relazione con la sua incapacità di ottenere
risultati: “Quando stabilisco un obiettivo e decido di perseguirlo davvero, potrei mancarlo e
uccidere qualcuno.” E questo, per lui, era molto più importante della definizione del suo
obiettivo. Quell’esperienza aveva costruito in lui una convinzione fortemente limitante all’età
di nove anni, quando non aveva le risorse necessarie per attribuire un senso all’avvenimento.
E quella non era necessariamente la sola convinzione che si potesse costruire a partire
dall’episodio. Il fatto era terribile, ma la convinzione non doveva necessariamente essere:
“Non proverò mai più a fare niente.”
Guardando oltre lo schermo di fumo, spesso si trovano cose di grande importanza.
Ritorneremo tra poco ai modi con cui affrontare questo particolare tipo di situazioni.
Passiamo, invece, al secondo aspetto della ricerca delle convinzioni.
2. La falsa pista
Una falsa pista consiste in un falso indizio. Nei gialli si parla di falsa pista quando il fuggitivo
lascia di proposito un indizio, per condurre il detective in una direzione sbagliata.
Alcuni terapeuti hanno l’abitudine di indurre tutti i loro clienti a parlare loro delle proprie
madri e della propria infanzia, ma spesso il nocciolo della questione non è lì. Quindi il cliente
impara a dire: “È andato di là”, mentre in realtà è lui che sta andando da quella parte. È come
lo schermo di fumo, perché è la protezione di una parte che non vuole essere scoperta.
Se ci pensate, molte persone cercano di trovare quegli aspetti di sé che non gradiscono, per
poterli eliminare. Si tratta di un altro modo di proteggersi dal dolore, cercando di nascondersi.
Nel mondo degli affari alcuni hanno quello che chiamano un “obiettivo segreto” e continuano a
cercare di nasconderlo, perché hanno in realtà qualcos’altro in mente. Potrebbero essere
arrabbiati con voi, ma stanno lì seduti a congratularsi, cercando di indurvi a fare quello che
vogliono loro. È essenziale riconoscere la congruenza, in questi casi.
A essere sinceri, gli individui che tracciano una falsa pista non stanno necessariamente
mentendo. A volte possono anche non sapere che lo stanno facendo. Potrebbe darsi che a un
certo livello si sentono soddisfatti e a un altro livello no. O che a un certo livello l’indizio è
giusto e a un altro non è neppure vicino alla verità. Attualmente la questione della falsa pista è
uno dei problemi più grandi nel coordinamento delle professioni psicologiche e mediche.
Ricordo di aver letto di recente due studi pubblicati nello stesso mese. Uno affermava di aver
provato in modo definitivo che l’atteggiamento del paziente influenza il suo stato di salute. E
l’altro affermava di aver provato, in modo definitivo, che l’atteggiamento del paziente non ha
alcun effetto sul suo stato fisico.
Ho quindi analizzato più approfonditamente i due studi. Quello che aveva provato che
l’atteggiamento influenza la salute aveva valutato l’atteggiamento dei pazienti sulla base della
partecipazione a gruppi di sostegno e su qualunque tipo di cambiamento comportamentale
avessero operato.
L’altro aveva fondato l’identificazione dell’atteggiamento dei pazienti sulla scorta di un
questionario di auto-valutazione.
Ora, capirete che le persone seriamente malate sono probabilmente le meno capaci di valutare
i propri atteggiamenti. È un po’ come per gli ubriachi fradici: sono i meno indicati a valutare
la propria prestazione di guida. Se date loro un test di auto-valutazione e chiedete: “Riuscite a
guidare?”, vi diranno: “Perfettamente.”
Vi diranno che non hanno mai avuto miglior coordinazione in tutta la loro vita.
La stessa cosa accade con le persone gravemente malate. Se chiedete loro se pensano di poter
migliorare, vi diranno: “Sì”, perché lo vogliono così tanto, che non necessariamente sono del
tutto oneste con loro stesse.
La falsa pista spesso emerge dalla mancanza di congruenza.
La soluzione risiede nell’osservare tutti gli indizi, i toni di voce, la postura del corpo, i
minimi segnali d’accesso.
Naturalmente, se si tratta di un buon paziente, troverà un modo per andare d’accordo col
dottore.
“Non lo so.”
“Ma avrebbero potuto esserci?”
“Sì.”
“No, no.”
“C’erano dei ristoranti per la strada?”
“Servivano pesce?”
Sapete, anche chi fa PNL potrebbe fare la stessa cosa. Siete sicuri di non esservi già fatti
un’idea a un livello inconscio? È possibile tirare fuori qualunque cosa dai clienti,
specialmente se sono persone con spirito di cooperazione. Vi confermeranno ogni teoria.
Penso che la soluzione, anche in questo caso, risieda nella postura del corpo. Non potete
fidarvi di quello che vi dice la gente o di quello che pensate voi, per cui questo è il momento
di calibrare i segnali d’accesso minimi, attraverso l’allestimento di una dimostrazione a
livello comportamentale, senza perdersi a parlarne, ma piuttosto infilando direttamente il
vicolo cieco, senza aver paura nel trovarlo. Il vicolo cieco non è il fallimento, è il successo.
4. La massa critica
L’espressione “massa critica” viene dalla fisica: per creare una reazione a catena negli atomi
e negli elettroni, è necessario raggiungere una certa soglia di energia, ottenuta la quale può
avere inizio la reazione a catena. È come il filo di paglia che spezza la schiena del cammello.
A volte vedo persone afferrare il filo di paglia fatale, quello che ha provocato il cedimento
del cammello, e dire: “Ci deve essere qualcosa di magico in questo filo. Posso provarlo, ha
appena spezzato la schiena del mio cammello.” Naturalmente, il fatto che tutti gli altri fili di
paglia fossero stati ammucchiati prima non viene tenuto in considerazione.
A volte, quando lavoro con qualcuno, ricompongo diverse parti, trasformo le paure usando le
sottomodalità, affronto le convinzioni limitanti, e così via. Alla fine, ancoro una risorsa e uso
le ancore. Allora la persona dice: “Caspita, adesso mi sento benissimo!”.
A quel punto qualcuno del pubblico alza la mano e chiede perché non ho semplicemente
ancorato la risorsa all’inizio e saltato tutto il resto. Ha funzionato così bene!
Naturalmente, la ragione per cui ha funzionato così bene è che tutto il resto aveva preparato il
terreno.
La stessa cosa sarà vera a proposito delle convinzioni. Ho bisogno di scoprire le convinzioni
e forse di lavorare con più di una convinzione.
Capite quindi che le persone non sono necessariamente limitate da una singola convinzione.
State lavorando con un sistema.
Sono queste le cose che dovete tenere a mente.
Una convinzione non è UNA immagine o UNA serie di parole o UNA sensazione, ma una
relazione tra tutti questi elementi. E siamo a un livello di pensiero diverso.
Risolvere una convinzione non significa necessariamente eliminarne il contenuto, ma
risistemarne le relazioni.
Gli individui possono attraversare le stesse esperienze e avere reazioni molto diverse.
Le convinzioni determinanti
Dimostrazione con Carla
Vediamo come scoprire una convinzione. Il modo migliore per farlo è una dimostrazione.
Facciamolo con Carla.
Carla ha detto che c’era qualcosa su cui stava lavorando. Questo potrebbe rappresentare la
base per una dimostrazione istruttiva e interessante. Per prima cosa, dobbiamo ricordare i
quattro problemi relativi alla ricerca della convinzione: lo schermo di fumo, la falsa pista o
falso indizio, il pesce nei sogni e infine l’idea di massa critica o gruppo di convinzioni che
costituiscono un sistema.
Il nostro obiettivo è trovare il vicolo cieco.
CARLA: Ho un dolore alla testa come se un revolver stesse sparando dentro. Si muove da qui
a lì. Non riesco a eliminarlo.
C.: Sì. Il fatto è che a me piace fare queste cose, solo che, se mi sento costretta, non so come
realizzarle.
R.: Quello che dici comincia a condurci verso un tema abbastanza comune. È una specie di
paradosso: voglio farlo, ma allo stesso tempo devo farlo, e in quel momento sorgono i
problemi.
A proposito, voglio fare una distinzione a proposito dell’estrazione dei dati. Quando
lavoriamo con un problema qualunque, dobbiamo separare i sintomi dalla causa.
Il mal di testa è un sintomo.
Il punto è: qual è la causa del mal di testa?
Molti dispongono di tecniche per affrontare i sintomi, che però non sono in grado di arrivare
alle cause.
In altre parole, potete avere delle tecniche di controllo del dolore o prendere degli
antidolorifici, ma se non affrontate le cause del dolore, esso ritornerà.
Per una persona che vuole perdere peso, il peso è solo il sintomo. Non la causa.
Lo stessa cosa è vera nel mondo degli affari. Alcuni problemi sono solo dei sintomi, e
“rattoppandoli” non determinerete nessun cambiamento globale a livello di sistema, come
invece è necessario fare.
Nel nostro caso, il sintomo è il mal di testa e dobbiamo scoprirne la causa. Poi dobbiamo
scoprire se è una questione di convinzioni.
E se lo è, qual è la convinzione? È solo una?
Quindi, abbiamo questa sensazione, come se qualcuno sparasse nella sua testa con una pistola.
A dire il vero ha detto “come se avessi una pistola in testa” e lei stessa ha mimato il gesto con
la mano destra.
R.: (A Carla) Cos’è? C’è qualche parte di te che ti impedisce di andare avanti?
Ciò che risulta interessante è che la reazione appare eccessiva rispetto alla semplice
sensazione che nasce dal dover fare qualcosa.
Siamo di fronte ad una reazione che appare in qualche modo sproporzionata, rispetto alla
questione che sembra porsi. Procediamo su questa strada: si tratta di qualcosa che hai da un
certo tempo, l’hai avuto in momenti diversi della tua vita.
Abbiamo, talora, questa interessante convinzione, che se non dirigo il dolore o la pistola
verso di me, la dirigerò verso qualcun altro. Questa si qualifica sicuramente come una
convinzione.
Ma abbiamo la sensazione che questa non sia l’intera convinzione.
Ci deve essere qualcos’altro.
Una delle cose che ha detto Freud è che “le convinzioni ripetono la storia della propria
origine.” E penso che una delle migliori strategie da usare in questa fase possa essere la
ricerca delle origini di questa convinzione.
La domanda è: come facciamo a trovare l’origine?
Come ho detto, la prima cosa da fare è trovare il vicolo cieco. Quindi, quello che devo fare è
ripercorrere all’indietro “la cosa”, ma devo scoprire innanzitutto di quale “cosa” devo
cominciare a seguire le tracce.
Devo ripercorrere le tracce del dolore o dei devo o della convinzione che se non infliggo
questo a me lo infliggerò ad altri? Quello che devo fare ancora prima di arrivare a questa fase
è prendermi un momento per cercare il vicolo cieco.
R.: (A Carla) Quando hai questa sensazione, o dolore, probabilmente hai molte risorse. Sai di
non essere obbligata a fare cose che non vuoi. Logicamente, sai di non essere obbligata.
C.: Non è questione di logica. Se potessi venirne a capo con la logica lo farei, perché mi
piacciono molto le cose che faccio.
C.: È come se avessi un uncino nella testa e qualcuno volesse tirarlo ogni volta che voglio
fare quello che mi piace. È come se fossi trattenuta.
R.: Ascoltate: “Ogni volta che voglio fare qualcosa che mi piace sono trattenuta”. È un
problema comune a molte persone. Il fatto stesso di volerlo fare fa scattare il meccanismo
che mi trattiene.
Hai provato a lasciarlo andare? Cosa hai provato a fare?
C.: Quando voglio avvicinarmi a quello che mi piace fare, chiudo gli occhi e mi faccio
piccola piccola, in modo da non farmi vedere mentre me ne vado. Ma “la cosa” è così
furba che mibecca sempre e mi riporta indietro.
R.: Notate che parla della “cosa”. Se pensiamo in termini di identità, quello che sta dicendo è:
“C’è quell’altra identità in me.” Ed è di genere neutro.
C.: Oppure devo stare immobile, in modo da far finta che non sto facendo quello che mi
piace. Succede specialmente perché lavoro in teatro e creo spettacoli per bambini.
Posso solo procedere ascoltando il mio intuito e limitarmi a metterlo in atto. Ma non
posso decidere o pensare di farlo. Non posso avere accesso a tutto ciò, posso solo
subirlo. Non posso fare un passo indietro per pensare e mettere insieme le cose.
C.: Cantare.
R.: Cosa ti piacerebbe cantare?
Posso fare tutte queste cose. So di essere fatta per farle, ma non riesco a realizzarle.
R.: (Al gruppo) Quello che sto cercando di fare è andare sempre oltre, fino a incontrare il
vicolo cieco. (A Carla) Bene! Fai il prossimo passo!
Dici che quando vuoi fare qualcosa che ti piace, non riesci perché senti l’uncino. Bene,
voglio vedere questo uncino.
Non voglio seguire una falsa pista.
Quindi, identifichiamo qualcosa che sarebbe veramente bello per te, che vuoi veramente
realizzare e inizieremo a farlo.
C.: Sono in grado di fare le cose per impulso, mentre non riesco a pensarci e ripensarci con
calma, in questo sono totalmente incapace.
R.: Essere.
C.: Quello che vorrei essere? Una specie di mago, capace di trasformare le cose in me,
ascoltare ritmi e suoni. Lasciarli entrare da fuori, giocare con loro dentro di me e
restituirli all’esterno in modo diverso, condividerli con gli altri, e insegnarli agli altri.
R.: Vedo che riesci a pensare a queste cose e che non sembrano infastidirti.
C.: Cosa?
R.: Il problema!
C.: Manca qualcosa. Forse non mi assumo la responsabilità di quello che vorrei essere.
Allora, giusto per fare il punto su dove siamo: stiamo cercando di scoprire dove hanno luogo i
sintomi e come diventano un vicolo cieco. La prima cosa che abbiamo scoperto è che si tratta
di un terreno un po’ scivoloso, perché non riguarda semplicemente il livello di
comportamento. Il problema non è: “Vorrei avere un certo comportamento e non riesco ad
averlo.” È una specie di: “Se voglio prepararmi a farlo, non riesco.” Ci sono molte persone
con una grande competenza a livello di comportamento. Fanno ogni genere di cose veramente
bene, eppure sono convinte che non sia così. Naturalmente, nessuno le prende sul serio, perché
si chiedono quale sia il vero problema di queste persone. Sanno fare tutto. Sono competenti,
ma il punto non è quello. La questione è: come si sentono dentro? Quello che sento dire da
Carla è: “Riesco a farlo se non me ne assumo la responsabilità, ma se ne assumo la
responsabilità non riesco a farlo.”
C.: Quando devo assumermi la responsabilità, non riesco a farlo. Non so come fare, non
riesco a eliminare il “devo”. Non riesco a trasformarlo a mio beneficio, perché mi viene
tolto dopo, durante e prima. Sento un risucchio, ma solo da questo lato.
Sta usando alcuni dei gesti e dei toni di voce che usava prima. Sembra che abbiamo scoperto
uno schema. Ecco cosa voglio fare adesso.
R.: Carla, desidero che tu immagini che di fronte a te, qui sul pavimento, ci sia una linea.
Questa linea è la tua timeline.
A sinistra c’è il passato, a destra il futuro, cioè il dove vorresti poter andare e a sinistra
quello che è successo. Qui sei nel presente e hai questa “cosa”, che ti succhia via una parte
della tua identità.
Ti chiederò, fra un istante, di fare un passo per entrare in questa timeline, con lo sguardo
rivolto al futuro, e vorrei che ponessi tutta la tua consapevolezza su questo risucchio, su
questa pistola. Poi voglio che tu cammini all’indietro lungo la linea, indietro nel tempo.
E che tu ne sia cosciente o no, nota quali avvenimenti della tua vita sono associati a questa
sensazione.
Vorrei che camminassi a ritroso nella tua vita finché non trovi un evento, o una serie di
eventi, che hanno segnato l’inizio di questo “risucchio”.
E quando entri nella linea, desidero che tu sia pienamente partecipe delle esperienze della
tua vita.
(Al pubblico) In altre parole, ci sono due modi fondamentali di percepire il tempo, attraverso
il tempo e nel tempo. Attraverso il tempo è quando guardate la vostra vita in modo dissociato.
Posso osservare i fatti del passato o del futuro dall’esterno, oppure fare un passo per
entrare nel tempo e riviverlo, rivivere un’esperienza particolare.
R.: (A Carla) Ti chiederò di entrare nella linea e, mentre vai indietro, di rivivere gli eventi
della tua vita mentre cammini, fino a che non trovi la prima esperienza associata a questo
risucchio della tua identità.
R.: Puoi chiudere gli occhi. Questo è il presente, proprio ora, mentre te ne stai lì dove sei; il
futuro è davanti a te e il tuo passato è dietro. Dovrai indietreggiare lentamente verso il tuo
passato. Ogni passo indietro ti porterà attraverso gli avvenimenti della tua vita legati
insieme da questo filo, da questa pistola, da questo risucchio. Quando trovi un qualunque
fatto importante che sia in rapporto con questo, puoi fermarti e percepirlo… entrarci
dentro.
(Al pubblico) Ora, chiedo a voi tutti di osservare ogni cambiamento della postura.
(A Carla) Continua a muoverti all’indietro nel tempo; a ogni passo ti avvicini sempre di più a
quel determinato avvenimento in quel determinato periodo.
C.: Non posso saperlo. Non ho il diritto di sapere.
R.: Notate che questo è persino diverso. A proposito, se avete notato dove erano i segnali di
accesso, ogni volta che pensa al problema, i suoi occhi sono in basso a sinistra (dialogo
interno).
C.: In ogni caso non potrò mai sapere, perché non mi è consentito. Se lo so, sto tradendo, e
non so cosa stia facendo di sbagliato. Faccio finta di non sapere niente.
R.: Ti chiederò di continuare ad andare indietro, ma senza dover sapere, tornerai a “quella
cosa”.
R.: Voglio che osservi la sensazione, che sappia che la sensazione va bene e che noti cos’altro
sta succedendo. Poi voglio che faccia un passo indietro, prima dell’inizio di tutto.
R.: Ora sei arrivata in un momento precedente a quello in cui è accaduto tutto.
R.: Va bene. Allora fai un passo indietro in modo che non ti possa raggiungere, o meglio
guardalo andare verso il futuro, da quella parte, in modo che vada davanti a te, verso il
futuro. Tu ti trovi prima che l’evento abbia luogo, lo osservi e quello se ne va verso il
futuro.
C.: È come se dovessi andare a prima della mia nascita, come se fossi nata per subirlo.
C.: Allora sarei libera. (Risata di sollievo tra il pubblico) (Carla ride) Devo uscire da mia
madre.
R.: Ora, da lì, puoi vedere i fatti che sono successi, ma tu ne sei fuori. Sei in un luogo che sta
prima del momento in cui i fatti sono avvenuti.
C.: Quando sono uscita, il mio mal di testa se n’è andato, e ora che lo devo vedere lontano
da me, come per eliminarlo, dice: “No, no.” Se ne va e mi sento libera. Ma ora che devo
affrontarlo ancora, torna subito indietro.
R.: OK. Prima di tutto fermati un momento e liberati dalla “cosa”. Fai un passo indietro e non
guardare i fatti.
C.: Ma torna. Non so come starne lontana. È la stessa cosa che succede quando voglio
sgattaiolare fuori per concentrarmi sulle mie creazioni senza che nessuno lo sappia. Se
ne divento cosciente, ritorna.
R.: Per prima cosa, voglio che tu vada in un luogo in cui puoi liberartene per un istante;
potresti, ad esempio, fare un altro passo indietro.
C.: Siccome l’hai detto, lo sanno tutti. Quindi mi viene dietro. Mi trova anche al buio.
R.: Voglio che ti sposti in un punto in cui non ti possa prendere, in cui non possa arrivare.
Pensaci da dove sei ora, guardando verso il futuro sulla tua timeline: il fatto non è ancora
successo. E non deve neppure succedere.
C.: Non posso farlo perché mi trascina lì. Vorrei farlo, ma non so come.
R.: Di che convinzione avresti bisogno per riuscire a farlo, per liberartene?
C.: Vorrei avere il diritto di essere ciò che sono, e tutto andrebbe bene.
R.: (Al pubblico) È sicuramente una convinzione sull’identità, sul proprio valore (uno dei tre
tipi di problemi che riguardano le convinzioni è appunto il fatto che si creda di non essere
degni, di non meritare nulla).
R.: “Ho il diritto di essere ciò che sono.” Voglio scoprire se qui, prima che accadesse, avevi
il diritto di essere chi sei.
C.: L’avevo, ma ho la sensazione che “questa cosa” sia sempre molto più intelligente e che
mi starà sempre dietro. O che io dovrò scappare per sempre correndo molto
velocemente, con lei sempre dietro.
R.: Puoi letteralmente “girarti” sulla tua timeline e disfarti di questa cosa che ti sta dietro?
(Robert gira Carla in modo che rivolga il volto alle esperienze prenatali sulla timeline.)
R.: Quello che ti sta di fronte ora è di molto precedente alla tua nascita; “questa cosa” è dietro
di te. Guardando indietro in questo modo al fatto, puoi vedere: “Sì, ho il diritto di essere
ciò che sono”?
C.: Non appena c’è la luce sono presa in mezzo, come in un panino, e non appena ho
accesso a qualcosa, lei la uccide. Sento che voglio fare quello che mi stai chiedendo;
voglio uscire da tutto questo, ma sono intrappolata da tutte le parti. Questa cosa è
molto più intelligente di te!
R.: Vedremo! Mi piacciono le sfide. Credo che infine abbiamo trovato il vicolo cieco! Ora,
per favore, esci dalla linea per un momento. Questa cosa ancora non sa cosa posso fare!
Non ho neppure cominciato a farle qualcosa.
Abbiamo trovato il vicolo cieco qui.
Questo è un classico esempio di convinzione e potete capire come funziona.
Volevo che arrivassi al vicolo cieco. Quello che hai sperimentato e descritto è un vicolo
cieco.
R.: Non ha niente a che vedere con i comportamenti. Voglio dire, tutte queste sensazioni e
pensieri non hanno niente a che vedere con la realtà così come la conosciamo.
R.: Ma cos’è?
Per me, quello che sta succedendo qui è un buon esempio di convinzione legata all’identità.
Non deve necessariamente essere in relazione con il mondo concreto o la realtà esterna,
deve essere in relazione con il mondo interno della propria identità.
Attraverso il tempo
R.: Ora, da qui fuori, fuori dalla linea, voglio che guardi tutto quello che abbiamo fatto. C’era
la paura. C’era quella cosa che hai dovuto scavalcare, e sei arrivata qui. Per un momento
hai fatto un passo indietro e sei stata libera.
Poi hai pensato “alla cosa” e quella è sopraggiunta. Sei andata verso un passato più
lontano ed è andata meglio, ma poi ti ha schiacciata ancora, come in un panino. Voglio che
osservi tutto da fuori. OK?
Da dove viene questa cosa? Viene da lì dietro o viene da qualche parte, qui, ed è capace
di andare da qualunque parte?
C.: Penso che venga più o meno da qui (l’esperienza negativa), e poi mi si incolla dietro.
Ma si nasconde, e rimanendomi appiccicata ovunque vada con la mente e con il corpo,
mi segue. Ho la sensazione che sia come una sanguisuga. Se la stacco, o diventa forte il
doppio e ne sarò ricoperta fino all’esaurimento fisico, oppure la strappo, la schiaccio,
la uccido. Scappo via velocissima e quando arrivo dove voglio andare, la trovo lì che mi
aspetta.
R.: Cominciate a sentire ora il genere di cose che succedono con le convinzioni, il modo in cui
funzionano con lei, il suo vicolo cieco.
Prima di procedere, notate che ora stiamo ottenendo una rappresentazione dissociata.
Quando Carla era sulla linea, ne era preda. Ora, da fuori, si trova in una relazione diversa.
Lì dentro, la volevo associata a essa. Qui fuori ne siamo dissociati, possiamo guardarla.
Il che ci dà due prospettive, due posizioni.
Lei ci ha anche detto qualcosa di molto importante quando era associata alla timeline: è più
intelligente di te.
Questo è molto significativo per due motivi:
Sta dicendo che ci deve essere fiducia nella relazione con me, per poter fare qualunque cosa
riguardo all’evento negativo.
In altre parole, ha un problema che la disturba da una vita intera. Si suppone che io l’aiuti.
Spesso, in simili situazioni, le persone, giustamente, dicono: “Pensi di potermi aiutare in
questa cosa? Sto per mettere TE dentro alla situazione. Sto per metterti addosso la mia
convinzione e vedere come la gestisci. Pensi di poterlo fare meglio di me? Guarda che lo
faccio davvero.” È una cosa legittima. E intendevo proprio quello che ho detto, quando ho
affermato che non avevo neanche cominciato!
2) La “cosa” è una convinzione a un livello particolare.
R.: (A Carla) Non si tratta di una parte estranea a te, è una parte di te. Ecco perché non
riuscirai mai ad allontanarla; ecco cosa ti sta dicendo.
La questione è: cosa intendi fare al riguardo?
R.: (Al pubblico) Notate che quando diceva di non essere capace di eliminare “tutto questo”,
usava la sua mano sinistra. Ora sta usando la destra.
Penso che possiate iniziare a notare l’asimmetria.
R.: Prendiamoci un momento per analizzare; vorrei che tu lo facessi da qui fuori. Cosa è
successo qui, in questo posto della tua timeline da cui è venuta fuori “la cosa”? (Al
pubblico) Credo che abbiate notato che quando lei si è avvicinata a quel luogo tremava, e
non credo che facesse finta. Riesci a vedere un’immagine dissociata di quello che è
successo lì?
C.: No, perché l’ho attraversato con gli occhi chiusi, non riesco a vederlo e non voglio
vederlo. Ma adesso vorrei vedere.
R.: (Al pubblico) Credo che cominciate a cogliere quello che dicevo delle due identità.
Sentite un lieve conflitto in queste frasi?
(A Carla) Credo che ci sia una parte di te che vede e una che non vede.
Di quali risorse avresti bisogno per riuscire a vedere quel fatto da qui fuori?
C.: Avrei bisogno di vederlo da lontano, e vorrei non essere io quella che lo vede. Avrei
bisogno di riuscire ad agire come se non fossi io a vedere me stessa.
R.: Lo sentite? Questo, probabilmente, è proprio quello di cui lei è convinta, per poter esistere
senza sapere cosa è successo. Quanti anni avevi allora?
(Al pubblico) Ovviamente, è successo qualcosa di traumatico a questa bambina tra i quattro e
i sette anni. Tra i quattro e i sette anni l’identità è molto più flessibile.
Come fa un bambino ad affrontare un evento traumatico?
Due strategie sono molto comuni:
2. Faccio in modo che non sia io a ricordare e a vedere quello che è successo.
Entrambe creano situazioni di grande interesse. “Non lo risolverò mai, perché in realtà non lo
vedo. Non sono io a vederlo veramente. O, se lo vedo, non sta davvero succedendo a me.”
Penso che ora possiate capire come le questioni relative all’identità possano influenzarvi.
(Da qui in poi, Robert enfatizzerà la dissociazione e lavorerà con le sottomodalità, così come
si farebbe con una fobia, per potersi avvicinare all’incidente.)
R.: Bene.
R.: Questa è un’affermazione davvero potente. Sento che forse mi sono solo inventata tutto.
Naturalmente, questa è un’altra strategia di protezione: “O non è successo a me o l’ho
inventato.” È una “falsa pista”, no? Cosa vedi?
C.: Un uomo.
R.: Nessun altro? Tua madre? I genitori? Solo tu e questa persona?
C.: Ci siamo io e questa persona, altre persone per casa, sempre dietro alle porte o ai muri.
R.: Quando finisce? Voglio che tu ripercorra il tutto fino a quando si conclude.
R.: Le altre persone che sono nella casa, quelle che cercano di scoprire: quando tentano di
farlo? Solo alla fine di tutti questi anni o ogni volta?
C.: Verso la fine; ci sono anche altri bambini, e loro lo sanno da prima.
R.: A chi?
C.: A me stessa.
R.: Quindi hai scoperto che c’è una parte di te a cui piace e una parte che pensa che non sia
giusto?
C.: Non ho detto che non fosse giusto. È lo sguardo degli altri, degli adulti, che lo dice.
R.: Lo sguardo dei grandi?
R.: (Al pubblico): Avete sentito cosa dice? È nel loro sguardo, non nelle loro parole.
C.: Perché lo sanno, ma non possono crederci e non osano parlarne. Mi sento abbandonata
per questo.
R.: Stiamo per iniziare a sbrogliare questa cosa, e ora vogliamo inserire alcune risorse.
Questa è una situazione in cui non c’è una sola convinzione, non una sola cosa, ma
forse tre o quattro. “Con gli altri bambini è divertente. Mento a me stessa, non
ammettendo che mi piace.”
Cosa sto dicendo dall’altra parte? Sto dicendo che non mi piace? È questa la bugia?
R.: Ma non dicendo niente sto mentendo? Non dicendo niente sto entrando nel circolo delle
menzogne?
C.: Sì.
(Al pubblico) Notate, qui, le chiavi d’accesso auditive. Gli elementi verbali sembrano essere
associati a lei stessa o agli altri bambini. Gli adulti subentrano come sguardi. Ma non parlano,
e questo la fa sentire abbandonata da loro.
Gli adulti sanno, ma non possono crederci.
R.: Naturalmente, c’è un’altra persona, c’è l’uomo che è implicato nella vicenda. Com’è
questa persona?
R.: Quindi è qualcuno che ti piace. Qual è la sua convinzione? Il suo sguardo è come quello
degli altri? Mente a se stesso come tu menti a te stessa? Pensa che sia divertente come gli
altri bambini?
R.: Si comporta come se stesse giocando, ma non dice nulla neanche agli altri adulti?
(Al pubblico) Allora, riassumiamo gli elementi in nostro possesso. Prima abbiamo preso una
molecola di rappresentazioni sensoriali e l’abbiamo divisa nei diversi sensi che interagivano.
Qui abbiamo un’altra molecola, ma questa non è dello stesso tipo o dimensione di quella con
cui abbiamo lavorato prima.
Si tratta di una molecola di identità e convinzioni in relazione tra loro.
C’era una relazione tra ogni genere di individui lì dietro. È come una molecola di identità.
Credo che, in un modo o in un altro, Carla si sia identificata con ogni parte del sistema:
Credo che la ragione per cui la segue dappertutto sia che la risposta, in questo caso, non
risiede nel fare qualcosa di specifico. La risposta qui non è una singola cosa, che possiamo
ricondurre a una singola persona.
Quello che rende il tutto così pressante è che il sistema si nutre di se stesso; il
comportamento di ciascuno sostiene gli altri nel mantenere un sistema non funzionale.
Sono bugie, su bugie, su bugie. Tutti mentono a loro stessi. L’uomo sta mentendo, la bambina
sta mentendo, gli adulti stanno mentendo; non perché lo stanno facendo di proposito, ma
perché non possono farne a meno.
La mia domanda è: quali sono le risorse necessarie per cambiare il sistema?
Quali sono le risorse necessarie per una bambina di quattro-sette anni, che s’imbatte in una
situazione che richiede una grande saggezza, per capire quello che significa per lei?
R.: (A Carla) Credo che forse tu ora possa avere la saggezza che consente di risolvere tutto.
Forse non solo la saggezza, ma anche il coraggio e altre risorse.
R.: (Al pubblico) Da qui fuori, Carla ha adesso una nuova convinzione. “Da qui fuori” non
significa che se torniamo sulla timeline lei manterrà lo stesso nuovo atteggiamento, ed è
questo che dobbiamo integrare: le identità associate e dissociate.
C.: Quando lavoro con i bambini cerco di tenere a mente le gioie e i piaceri di quella
bambina. Ovviamente non si tratta del piacere provato in quella specifica situazione. Si
tratta di un altro tipo di piacere. Quello cerco costantemente di evitarlo. La bambina
che ero allora non è libera.
R.: È perché si è trattato di una parte di te che ora è assolutamente necessario riconoscere. È
una parte di te che non si è mai arresa. Una parte di te che ti segue ovunque. Dice: “Non ti
permetterò di dimenticare, non puoi dimenticare. È qualcosa di importante nella vita.”
Questo è stato reale. Non mi interessa neppure che il contenuto sia vero o no. Ciò che è reale
sono le relazioni e le bugie tra le persone. Ciò che è reale è quello che può fare a qualcuno.
C’è quella parte di te che lo sa.
La teoria dell’imprint
C’è una tecnica standard di PNL, chiamata cambiamento di storia personale, che vi permette
di riportare una risorsa nel passato di una persona. Generalmente questa tecnica permette di
utilizzare una capacità che il soggetto non aveva da bambino, ma che ha sviluppato da adulto.
Tuttavia, in questo caso, la situazione non è tale da poter essere risolta cambiando le abilità
della persona, perché la questione non è tanto quale risorsa sia necessaria a livello di
individuo, quanto quale risorsa serva al sistema. Abbiamo bisogno di guarire il sistema, non
gli individui.
Diversi anni fa ho tenuto un seminario con Timothy Leary (il seminario non aveva niente a che
vedere con le droghe). Leary si è interessato alla PNL perché pensava che, per produrre certi
cambiamenti, essa avesse più potenziale dell’LSD. Forse aveva ragione! Una delle ragioni per
cui si era interessato all’LSD, per cominciare, era che sentiva di poter portare il cervello in
uno stato in cui poteva essere riprogrammato e quindi riprogrammare ciò che lui chiamava
l’imprint.
Un imprint non è solo un evento traumatico della propria storia personale. Un imprint è una
convinzione o un’esperienza formatrice di identità. Non deve necessariamente essere
traumatica. È una riflessione sulla propria identità. Il processo del reimprinting nasce da
questo lavoro con Leary.
La parola “imprint” deriva dagli ultimi lavori di Konrad Lorenz, che studiò gli anatroccoli
sin dalla cova. Egli scoprì che quando gli anatroccoli uscivano dall’uovo, per circa un giorno
o due, cercavano di individuare una “figura materna”. Essi ricercavano solo una particolare
sottomodalità per definire quale fosse la loro mamma. Tutto quello che la mamma doveva fare
era muoversi. Se qualcosa si muoveva, gli anatroccoli la seguivano.
Ad esempio, seguivano Lorenz quando camminava lì intorno. Dopo un giorno o due gli
anatroccoli completavano l’imprint della figura materna. Concluso il periodo di imprint, se
riportavate la vera mamma agli anatroccoli, essi la ignoravano e, ad esempio, finivano per
seguire il vecchio signore austriaco. Quindi, lui camminava in giro con gli anatroccoli che lo
seguivano. Quando si alzava la mattina, gli anatroccoli non erano fuori, nel nido, ma li trovava
tutti in veranda accovacciati attorno ai suoi stivaloni.
A un anatroccolo fecero persino l’imprint con un pallone. Facevano rotolare il pallone lì
intorno e l’anatroccolo lo seguiva.
Quando l’anatroccolo che aveva subito l’imprint con un pallone è diventato adulto, non
corteggiava i suoi simili e non si accoppiava con loro. Rivolgeva invece tutto il processo di
corteggiamento e accoppiamento verso qualunque cosa avesse una forma tondeggiante.
Questo dimostra che quando un anatroccolo sviluppa un imprint per la figura materna, lo
trasferisce anche all’imprint dell’accoppiamento.
Io credo, così come Leary, che questo succeda, entro certi limiti, anche agli esseri umani.
Se una bambina ha subito violenze fisiche dal padre, quando cresce, l’imprint creerà uno
schema molto interessante. Malgrado ciò che vuole fare, o quello che sa attraverso la logica,
si troverà spesso coinvolta in relazioni violente, perché l’imprint è come un archetipo di come
dovrebbe essere una relazione con gli uomini.
Se una bambina ha subito violenze da sua madre, quando cresce potrà finire per essere
violenta con i propri figli e odiarsi per questo, ma senza sapere perché. Il che vuol dire che le
prime esperienze non influenzano solo i sentimenti, ma creano anche modelli di ruolo molto
profondi per le relazioni.
Ci sono alcune fasi di passaggio nella vita in cui si è obbligati ad assumere quel determinato
ruolo. Che vi piaccia o no, si potrebbe trattare dell’unico ruolo di cui disponete. Vi mettete in
seconda posizione rispetto al modello di ruolo. Vi mettete, in un certo senso, in quei panni.
Il potere di questo profondo processo di modellamento di ruoli mi ha colpito moltissimo
quando ho lavorato con una donna che aveva un cancro alla gola. Si trovava in un profondo
vicolo cieco nel suo processo di guarigione, e alla fine si è lasciata sfuggire: “Mi sento come
se mi avessero portato via la gola. Il mio corpo non mi appartiene”.
Ho fatto in modo, quindi, che rivolgesse la propria attenzione a quella sensazione e andasse a
ritroso nel tempo. Improvvisamente è regredita a un ricordo d’infanzia. Ecco come l’ha
descritto: “Sono una bambina piccola e mia mamma mi sta tenendo ferma e mi sta scuotendo.”
Ma, mentre lo diceva, tutte le sue manifestazioni fisiologiche erano quelle della mamma
aggressiva, non quelle della bambina indifesa. La sua voce era piena di violenza e di odio. Ho
pensato: “Non sta regredendo allo stato di bambina piccola.” Con quel comportamento stava
regredendo allo stato della madre che scuoteva la propria bambina.
Non riuscirete a risolvere quest’esperienza solo introducendo una risorsa nella bambina. Tutta
la sua neurologia è organizzata attorno alla madre, lei è la madre. Un tipico cambiamento di
storia personale non risolverebbe la questione. Lei ha assunto in se stessa il ruolo della
madre. Che vi piaccia o no, tendiamo ad assimilare i ruoli appresi dalle persone per noi
significative.
Gli psicoanalisti parlano di identificazione con l’aggressore.
Per poter costruire un modello del mondo, si costruiscono anche modelli di persone
significative. Quando si costruisce un modello di ruolo è possibile associarsi a esso.
Specialmente se ha avuto un’influenza sulla propria identità.
Può allora diventare un’organizzazione molto potente nella propria esistenza. Vedete, quando
siete bambini, vi identificate con un ruolo nell’ambito del sistema familiare. Cosa succede
quando diventate adulti?
Chi siete?
Come mi ha detto una donna che aveva subito violenze fisiche da sua madre: “Quando ero
piccola e ricordavo quegli episodi, mi identificavo sempre con la bambina; ero spaventata.
Ora, siccome sono adulta, quando li ricordo, è fisicamente più facile identificarmi con la
madre. Non posso più essere la bambina. Quindi provo la rabbia e la furia, ma anche la paura.
Sono un’adulta adesso, e sono la mamma e anche la bambina.”
R.: (A Carla) Quello che sto dicendo è che “il nemico” non è rappresentato dalle persone
bloccate in un sistema non funzionale. Non riuscirai a risolvere le violenze subite
facendo violenza a chi le ha fatte subire a te. Così ti limiti a fare ciò che hanno fatto
loro. Il “nemico” è il sistema, è la relazione. E non puoi uccidere una relazione o
spararle con una pistola.
Non è il modo per risolvere il problema. Non è indispensabile credere: “Devo sparare a
me stessa o a qualcun altro.”
Il punto non è utilizzare il “ricolpevolizzare”, per continuare a dare la colpa a
qualcos’altro. È piuttosto: “Cosa sarà davvero in grado di risolvere la relazione non
funzionale?”.
Questa relazione contiene paura, rabbia, piacere, divertimento e segreti. Contiene
incredulità e rifiuto. C’è un intero sistema di cose qui dentro, e il problema con Carla è
che l’imprint non se ne va. È una parte di te. E, in questo preciso momento, questo imprint
non è una parte cosciente della tua missione. Questa parte di te non ti lascerà andare avanti
nella vita o ignorare e reprimere quel periodo della tua esistenza, che ti ha insegnato così
tanto sugli esseri umani e su te stessa.
C.: Ci ho pensato. Ho cercato di fare esercizi per sbarazzarmene. Ma poi c’è una parte di
me che dice che non sono onesta, perché ho la sensazione di non volermene sbarazzare.
R.: Quello che sta dicendo è che una parte di lei vuole tentare di sbarazzarsene. Ma, Carla,
grazie a Dio, c’è una parte di te che non vuole essere disonesta. Questa parte di te è
importante. La prossima domanda è: se non risolviamo il tutto uccidendo qualcuno o
mandandolo in galera o facendo qualcosa del genere, cosa fate con una persona come
quest’uomo? Credo che questo sia il cuore del messaggio e della convinzione della PNL.
Non ho davvero nessun diritto di dire a Carla che dovrebbe avere una risorsa a
disposizione che risolva la situazione. Se io fornissi una risorsa, essa dovrebbe essere
tanto potente e pressante almeno quanto ciò che sta succedendo nel sistema. La gente teme
che la PNL serva a manipolare le persone. Ma se voi non avete qualcosa che sia almeno
altrettanto potente di una pistola, allora non avete il diritto di proporre
un’alternativa.
Dobbiamo avere gli strumenti, le tecniche, le convinzioni che possono spazzare via il
sistema non funzionale. Non intendo dire necessariamente eliminarlo, ma trovare
soluzioni che lo rendano sano. (A Carla) Sai da molto tempo che questo non ti giova, e il
tuo cervello non ti permetterà di andare avanti in un modo dannoso. Non ti consentirà di
continuare ancora con i segreti e gli inganni che ci sono stati lì.
C.: Le cose qui si confondono, perché il piacere che ho provato in quella situazione è lo
stesso che provo quando creo gli spettacoli. Quindi non posso provare quel piacere e il
piacere creativo.
R.: Vedete ancora una volta il doppio legame. Qui c’è l’imprint del criterio del “piacere”.
Se provo piacere, allora sto in qualche modo ricreando la relazione negativa. Non voglio
che sia dannoso il fatto di provare piacere creando. È il piacere che lo rende dannoso?
Secondo me non è quello che rende il sistema dannoso. Non è questa la convinzione che ho
al riguardo. Quello che voglio dire è che il nemico non è il piacere, il nemico non sei tu.
Cos’è allora? Ci sono molte persone in questo sistema, con ciascuna delle quali credo che
Carla si identifichi. Finché si identifica con loro, continuiamo a servirci di questo sistema.
Ciò che dicevo era, in parte, che le persone si identificano con i loro genitori. So che
quando le persone hanno problemi con i genitori, di solito questi si intensificano dopo la
loro morte. È ovvio che ciò non ha niente a che vedere con i genitori reali. In effetti, la
ragione per cui le difficoltà si intensificano dopo la morte dei genitori, è che è necessario
interiorizzare completamente quella parte del sistema.
Perciò dobbiamo risolvere il problema di Carla in tutte le parti del sistema che lei ha
interiorizzato. Secondo me non è nessuna di queste in particolare che ha causato il
problema; è il fatto che qualcosa mancava nel sistema, nella relazione. C’era qualcosa che
mancava nell’uomo. Qualcosa che mancava nella bambina. Lei ha fatto del suo meglio
basandosi su ciò che aveva. Qualcosa che mancava ai bambini e agli amici. La bambina
era abbandonata.
C.: Mi sta venendo proprio ora in mente, quando dici che qualcosa mancava alla bambina e
agli altri bambini: io voglio proteggerli; dico che non è vero e…
R.: Prima di procedere oltre, se dici: “Non è vero”, questo li protegge? Li stai proteggendo?
O ti stai comportando come quegli adulti che lasciano che succeda?
Quindi, come farai per proteggerla davvero?
R.: Definiamo la cosa subito. Lei dice: “Voglio proteggere la bambina”, ma facendo cosa?
Assecondando le bugie, dicendo: “Non è vero.” Questo la proteggerà?
R.: Quindi, adesso arriviamo ai genitori. (Al pubblico) Di cosa hanno bisogno questi
genitori per essere davvero capaci di proteggere la bambina?
Vedete, lei sembra ripetere quello che hanno fatto i genitori: incredulità. “Non è vero.” Il
che non farà che mantenere viva la cicatrice.
Di cosa hanno bisogno questi genitori, che non avevano? (A Carla) Pensi che sia quello il
modo in cui i genitori debbano agire? È quello ciò che faresti tu a un bambino con lo
stesso problema? Cosa faresti? Di quali risorse potresti disporre?
C.: Per prima cosa, sarei attenta. Mia madre lo sapeva. Mia madre sapeva che quell’uomo
era così. Ma non l’ha sorvegliato e non mi ha tenuto alla larga da lui, non mi ha
avvertito.
Ha solo sperato che non succedesse, poi si è vergognata che sia potuto accadere.
R.: Quali risorse avremmo bisogno di dare a tua madre, che lei non aveva, in modo che lei
potesse fare di più, molto prima, in quella particolare situazione?
Hai detto che quello che avresti fatto tu sarebbe stato essere molto più attenta.
Nota che questa è la descrizione del risultato di una capacità. Sto per scalare tutti questi
livelli, perché credo che tu abbia bisogno di tutti.
Per essere attenta, di cosa hai bisogno di essere capace? Cosa sai tu che tua madre non
sapeva, per non comportarti come ha fatto lei nei confronti di una bambina?
C.: Non ho paura di questa realtà che sta di fronte e dentro di me.
R.: Lei ha di fatto saltato un livello (cfr. sopra: livello delle capacità), fino ad arrivare a
quello delle convinzioni: “Non ho paura di ammettere tutto questo”, ma io credo che
questa soluzione richieda qualcosa al livello dell’identità. Di cosa avrebbe avuto bisogno
tua madre, dentro di sé, per essere capace di dire questo?
R.: Di quale risorsa avrebbe avuto bisogno per affrontarla, di cosa avrebbe avuto bisogno
dentro di sé? Ci sono stati momenti, anche se non questo, in cui hai affrontato la realtà di
una situazione?
C.: Sì.
R.: Voglio che tu pensi a cosa c’era dentro di te, che ti ha permesso di farlo. Voglio che tu lo
percepisca.
R.: Quello che voglio che tu faccia è trovare sulla timeline, mentre ne sei fuori, il luogo in cui
hai davvero avuto fiducia nella tua forza. Poi fai un passo dentro l’avvenimento e accedi
in maniera reale a quella forza dentro di te. (Carla fa un passo sulla sua timeline.) Voglio
che tu sia davvero in contatto con la fiducia nella tua forza.
E voglio che tu lo faccia da qui: crea un’energia, un colore, partendo da quella sensazione,
da quella fiducia, da quella forza, che viene dalla tua interiorità.
Poi voglio che proietti tutto questo su tua madre, nel tuo ricordo. Quindi, da qui, tu le stai
dando quella luce, quella forza, quella fiducia.
E voglio che guardi che cosa avrebbe fatto in quella situazione, se avesse avuto la risorsa
che hai tu.
C.: Prima di tutto è improvvisamente molto arrabbiata, perché l’ha scoperto. Non riesco a
farlo. Le mie gambe sono deboli.
R.: Voglio che guardi cosa fa. Guarda semplicemente. Lasciaglielo fare per un momento. Cosa
fa?
C.: Parlerà con calma con l’uomo, per dirgli che sa quello che lui sta facendo.
C.: Lei gli vuole bene, ma dice che farà ogni cosa in suo potere, e sa di poter…
(lungo silenzio)
C.: … proteggere sua figlia e che lui doveva saperlo (Carla piange sommessamente).
C.: È sereno, perché anche lui è molto giovane, non c’è nessuno che sospetta di lui, perché
cose simili non esistono in quella famiglia, perché anche lui è così. Capisce solo di
essere in errore. Non pensa a mia madre come a una minaccia. È qualcosa che gli dà
pace, che lo induce a cercarsi la sua strada.
R.: Vedi quanto tutto ciò sia più potente di qualunque pistola?
C.: Sì.
C.: Se succede proprio all’inizio, gioca con i cugini attorno a lei, ma in realtà voleva fare
esperienza… non lo so più.
R.: Prima di passare alla bambina, voglio scoprire se sua madre aveva questa forza. Come ha
reagito e interagito con la bambina che vuole fare esperienza?
C.: Le spiega che ci sono molti piaceri nella vita, che ci sono piaceri per piccoli e piaceri
per grandi. Non sono sicura che la bambina avrebbe potuto capire, ma la madre glielo
avrebbe fatto capire; perché la bambina è una donna.
R.: Voglio che guardi la bambina che guarda sua madre e ascolta la forza nella voce della
madre. Come reagisce? Capisce?
C.: È caldo… è morbido… è pulito, molte risate, ma delicate. Per prima cosa, molta pace e
la bambina va a giocare. A volte ha ancora paura dell’uomo, perché lei vuole che
succeda di nuovo.
C.: L’ho già dimenticato. L’uomo è cambiato. Non sono così convinta che sia cambiato
quando mi guardo attorno.
(Robert àncora.)
(Robert àncora una seconda volta. La sua voce è cambiata. Ora parla alla madre.)
R.: Tutto bene. Prendi la sensazione e la luce e la voce, poi fai un passo ed entra nella linea.
Fai cadere la maschera e puoi parlare a quell’uomo che ami. Puoi fargli sapere che farai
qualunque cosa sia in tuo potere per proteggere tua figlia e che lui deve saperlo, anche se
hai ammesso i tuoi sentimenti per lui.
Puoi farlo in un modo che gli dia pace, perché lui ammira la tua forza e impara da te. E tu
puoi sentire la tua forza, che cresce quando gli parli, perché vedi che gli piace. Anche lui
ha bisogno di sentire quella forza.
Ora puoi rivolgerti a tua figlia e puoi parlarle.
E lei può trovare pace nella tua forza. Poi risali la linea fino al presente, perché la
bambina ha bisogno di sapere che tu, la madre, non lo farai solo quella volta. L’uomo
potrebbe aver bisogno di qualcosa di più di una conversazione del genere per cambiare
davvero. E tua figlia ha bisogno di più di una conversazione come quella che c’è stata, per
sapere di non essere stata abbandonata. Si dice che la comunicazione sia un apprendimento
a breve termine e che l’apprendimento sia una comunicazione a lungo termine. Penso che
in questo ci sia una grande verità. Vorrei che tu, come mamma, camminassi sulla linea,
con quella forza, per tutto il percorso fino al presente.
Prenditi il tempo che ti serve. Rimani al fianco di tua figlia, mentre cresce, condividendo e
comunicando quella forza. Prenditi il tempo necessario per camminare fino al presente.
C.: Mi stanno tornando in mente molti ricordi. La bambina, crescendo, ha fatto tutte le cose
stupide che poteva e con tutta la forza che aveva.
R.: Ma se la madre fosse stata lì con la sua fiducia e la sua forza e la sua abilità di
comunicare, le cose si sarebbero potute sviluppare in modo molto diverso. È quello che
puoi fare adesso.
Non devi farlo né piano né velocemente. Procedi a qualunque ritmo o velocità sia
appropriata, mentre cammini fino al presente attraverso questi ricordi, mentre li riordini.
Ora puoi mostrarle la tua forza così che possa imparare dalla tua forza. La luce di quella
forza e di quella fiducia può davvero portare calore.
C.: Sì.
(Carla è arrivata al presente, sulla sua timeline, con il corpo eretto, gli occhi dritti davanti a
lei, respirando profondamente e regolarmente, un gran sorriso sulle labbra.)
Il lavoro di reimprinting
Questo lavoro ha mostrato molte più cose della tecnica di reimprinting. Ha mostrato alcuni dei
più comuni tipi di vicolo cieco e di convinzioni e il modo in cui affrontarli. Ad esempio,
abbiamo visto alcuni buoni esempi di schermi di fumo, da dove venivano e come si
manifestavano.
3. Ricerca transderivazionale
Quindi, prendete il vicolo cieco o l’espressione del sintomo. Entrate nella timeline in modo
associato e concedetevi di ritornare indietro, lasciando gli incidenti associati al vicolo
cieco nei luoghi a cui appartengono sulla timeline, fino ad arrivare al primo evento.
Non è necessario che sia un processo cosciente. Non è neppure necessario che siate in grado
di visualizzare la situazione per farlo. Spesso, procedendo sulla linea, scoprirete di sapere
che qualcosa è successo in un determinato punto. Non siete sicuri di cosa sia, ma sapete che
era importante.
Questo va bene. Potete semplicemente contrassegnare il luogo e procedere. Non deve sempre
essere cosciente; ecco il bello della timeline. Molto spesso sapete qualcosa in modo concreto,
fisico, anche se non la sapete in modo conscio.
Quindi, procedete a ritroso fino al primo episodio. Forse si tratta solo di una sensazione che
sia il primo. Come lo sapete non è importante. Non stiamo parlando di realtà oggettiva, ma
di qualcosa di molto più importante: di realtà soggettiva, quella che determina veramente il
vostro modo d’agire.
Erano tutte convinzioni che per noi era molto importante conoscere, non tanto per il contenuto,
quanto per il tipo di convinzioni che l’episodio aveva creato. A questo punto, non cerchiamo
di sistemare niente: vogliamo solo cercare le convinzioni.
7. Risorse necessarie
Ora la questione è trovare quali siano le risorse, e a che livello i diversi individui ne
avessero bisogno e non le possedessero. Questi livelli sono importanti perché a volte si
chiede: “Cosa ti serve?” e la risposta è: “Avrei bisogno di essere altrove.”
Questa è una risorsa ambientale, ed è sicuramente valida. Ma non è certo tutto ciò di cui avete
bisogno. Potreste aver bisogno di risorse comportamentali, per realizzare quel cambiamento
nell’ambiente. “Quali risorse comportamentali ti servirebbero per fare qualcosa che ti
consenta di essere altrove? Di cosa avresti avuto bisogno per ottenere un ambiente diverso?”
Naturalmente, per operare a livello del comportamento, dovete avere una conoscenza
interiore. Forse vi serve una prospettiva più ampia. Vi servono capacità che forse non
avevate o non avevano i vostri genitori o chiunque altro fosse coinvolto.
A volte le persone dicono che avevano semplicemente bisogno di scappare o di uccidere
l’altro. Questo è naturalmente solo un comportamento, che non sempre corrisponde alla
scelta più appropriata o ecologica per l’intero sistema.
Quando siete al livello dei comportamenti, è importante che ci siano varie scelte. È bene
avere un certo numero di possibilità che offrano scelte più appropriate. Quindi, la capacità di
creare altre scelte è più generale dei comportamenti specifici.
Potrei dire: “C’era bisogno che mia madre dicesse qualcosa a quella persona.” Dire qualcosa
è un comportamento. Ma qual è la capacità necessaria per sapere cosa dire? Potrei aver
bisogno di capacità comunicative. Potrei aver bisogno di qualche buona idea di PNL. “Mia
madre sarebbe grande se conoscesse delle strategie di PNL.” Per essere capaci di affrontare
la situazione e dire quello che è necessario, potrei avere bisogno di una risorsa al livello delle
convinzioni, o forse persino al livello dell’identità.
In un certo senso, penso che nel caso di Carla la forza sia emersa da questo: avere fiducia,
credere in me stessa, sentire la mia identità, stabilire dei limiti. Avere un’identità, trattare gli
altri come identità, credo sia stata una delle cose più interessanti di quello che è accaduto nel
sistema di Carla.
Quando la madre ha detto all’uomo: “Ti apprezzo, ti amo, ma farò qualunque cosa sia in mio
potere per proteggere mia figlia e tu devi saperlo”, per me questo è vero amore. Non è
dipendenza o codipendenza, questa è un’attestazione di riconoscimento e stima. Quando le
persone riescono a mettersi in relazione in questo modo, quando una persona può esprimere
un’identità pura, senza giudizio, senza odio, allora si crea tra loro un momento di intensità,
pieno di rispetto e riconoscimento, non di giudizio, giusto o sbagliato che sia. Ecco ciò che
ha dato pace all’uomo, ciò che gli ha anche fatto cambiare comportamento.
Ripeto, in questa fase cerchiamo quali risorse siano necessarie. E potreste aver bisogno di
risorse a ogni livello. Non credo che in ogni situazione avrete bisogno di risalire tutti i livelli.
Credo che possiate comprendere che nell’imprint di Carla c’era ovviamente una situazione
rilevante, più grande di quello che si trova comunemente nelle altre esistenze. Ma al di là dei
contenuti, le sue erano questioni che tutti devono affrontare, a un certo punto, nella propria
vita: smettere di nascondersi da se stessi o dalla realtà o dalle proprie debolezze.
Se qualcuno dice: “Avevo solo bisogno di sapere questa o quella cosa”, oppure “Mia madre
aveva bisogno di questa o di quella conoscenza”, siamo, naturalmente, al livello delle
capacità. A volte queste nuove capacità sono tutto ciò che serve. A volte, alcuni potrebbero
avere le risorse a livello di convinzioni e di identità, ma non essere in possesso
dell’informazione. A volte le persone hanno l’informazione, ma la negano perché non hanno la
convinzione dentro di sé.
Quindi, ciò che conta quando state per trovare la risorsa necessaria è che chiediate: “A quale
livello ti serve la risorsa?”. Così potrete trovare le risorse necessarie in ogni posizione
percettiva. L’abilità di assumere molteplici posizioni percettive è importante anche in aree
diverse dalla terapia. Se siete un leader nel campo degli affari e non avete idea di cosa
provino, pensino o credano i vostri dipendenti, non sarete un buon manager, perché non avrete
idea di cosa voglia dire essere nei loro panni.
I veri adulti sanno cosa vuol dire essere genitori ed essere bambini. Non vedono la realtà solo
da una parte.
In un certo senso, è quello di cui stiamo parlando qui: ci sono parti di me che sono sia
l’adulto sia il bambino.
Quando risalgo qui in terza posizione (la metaposizione fuori dal sistema e dalla timeline),
vado in una posizione in cui la mia identità non ricopre il ruolo di nessuno degli individui
coinvolti, e posso rendermi conto della relazione.
Dopo aver identificato le risorse necessarie e a che livello si riferiscono, dobbiamo accedere
alle risorse della persona, del soggetto. Non importa se la madre non le ha mai avute. Non
importa se la bambina non le aveva a quell’epoca. Quello che conta è che la risorsa esista e
che il soggetto vi abbia accesso nel presente e possa percepirla. Anche se è stato solo per un
breve momento dell’esistenza, potete afferrarla e, se la mettete nell’esperienza di imprint,
inizierà a ingrandirsi; comincerà a crescere come un seme di senape.
Il punto non è ingannare il soggetto sulla realtà di ciò che è successo. Potrà sempre ricordare
quello che è successo realmente. Ma piuttosto che conservare quel ricordo sotto forma di
cicatrice, tale che ogni volta che ci si ritorna col pensiero rinascono nella mente confusione e
impotenza, portate la soluzione all’interno del ricordo. Così potete ricordare non solo quello
che è successo, ma anche la soluzione. E la soluzione è reale.
Ciò che è importante ricordare a proposito della storia personale è che voi non siete il
contenuto delle esperienze che vi sono successe. Voi siete le risorse. È questa la realtà della
vita e non: “Io devo essere così come è stato il mio passato.”
La realtà è che io sono le convinzioni e le capacità e i comportamenti, che ho imparato dalla
mia storia personale.
Quindi, invece di ripetere i miei errori, sto imparando da loro. Il ricordo di Carla può
suscitare in lei forza e pace, così come confusione e rifiuto.
8. Trasferimento di risorse
Quindi, una volta ancorata la risorsa necessaria al luogo della timeline, in cui il soggetto può
concretamente fare esperienza della risorsa in tutta la sua complessità, dobbiamo portarla
all’esperienza di imprint e osservare che venga spostata dal luogo della risorsa lungo la
timeline. Un metodo che uso spesso per compiere questo trasferimento di risorse è quello di
far immaginare al soggetto la risorsa sotto forma di un colore particolare o di un particolare
tipo di luce. Poi chiedo di immaginare di inviare la luce indietro, attraverso il tempo, alla
persona del sistema che la richiede.
Una delle ragioni per farlo a distanza è che, se dovesse esserci qualche problema, possiamo
sempre aggiungere qualche altra risorsa prima che il soggetto si riassoci all’esperienza di
imprint. Testiamo la risorsa quando la persona è ancora dissociata dall’imprint e non associata
all’episodio sulla timeline.
Osserviamo come cambiano le relazioni all’interno del sistema. Per prima cosa dobbiamo
vederlo dal di fuori. Fatto questo, sapremo che le nuove risorse sono sia efficaci sia
ecologiche.
1. Identificare i sintomi specifici (che possono essere sensazioni, parole o immagini) associati
al vicolo cieco. La maggior parte delle persone vuole eliminare i sintomi perché sono
fastidiosi. Ma è importante ricordare che eliminarli non risolve la limitazione.
Fate concentrare il soggetto sui sintomi, fatelo entrare nella timeline (con il volto verso il
futuro) e fatelo camminare lentamente all’indietro, finché non raggiunge la prima esperienza
della sensazione e/o dei sintomi associati al vicolo cieco.
Mantenendo il soggetto in uno stato associato/di regressione, fategli verbalizzare le
generalizzazioni o le convinzioni che si erano formate con l’esperienza.
2. Fate fare al soggetto un passo indietro fino a un periodo precedente l’esperienza di imprint.
Poi fatelo uscire dalla timeline e fatelo ritornare al presente. Fategli guardare indietro
all’esperienza di imprint da una “metaposizione”.
Chiedete al soggetto di notare l’effetto che le esperienze del passato hanno avuto sulla sua
vita. Fategli anche verbalizzare ogni altra generalizzazione formatasi come risultato
dell’esperienza di imprint (le convinzioni spesso si formano “dopo i fatti”).
3. Trovate l’intenzione positiva o il vantaggio secondario dei sintomi o delle reazioni createsi
con l’esperienza. Identificate anche ogni altra persona significativa coinvolta nell’imprint. I
sintomi potrebbero effettivamente venire dal modellamento del ruolo di altre persone
significative. Scoprite anche l’intenzione positiva del loro comportamento.
Questo risultato si può ottenere facendo associare il soggetto a posizioni di altre persone
significative e facendogli guardare l’esperienza dal loro punto di vista.
Figura 15. Diagramma della tecnica del reimprinting.
a. Identificate le risorse o le scelte di cui la persona aveva bisogno nel passato e che non
aveva, ma che il soggetto ha a di sposizione adesso. Ricordate che avete bisogno di non
limitarvi alle capacità che il soggetto o le altre persone significative avevano all’epoca.
Purché il soggetto (non le altre persone significative) abbia queste risorse disponibili
ora, voi potete usarle per aiutarlo a cambiare l’esperienza. Fate in modo che il soggetto
si rechi nel luogo in cui ha percepito con più forza la risorsa sulla sua timeline e
ancoratelo (assicuratevi che la risorsa sia appropriata a un livello logico).
b. “Trasmettete” la risorsa alle altre persone significative. Questo si può fare immaginando
la risorsa come un fascio di luce, che può essere proiettato indietro, attraverso la
timeline, dentro l’altra persona. Notate come questa risorsa cambi la dinamica
dell’intero sistema. Se necessario, sistemate o aggiungete qualcosa alla risorsa.
c. Mantenendo l’àncora della risorsa, fate uscire il soggetto dalla timeline, fatelo
camminare fino all’esperienza di imprint, fatelo entrare nella posizione della persona
che aveva bisogno della risorsa e fategli rivivere l’esperienza di imprint dal punto di
vista della persona, incorporando la risorsa necessaria.
Ripetete questa procedura per ogni persona significativa coinvolta nell’esperienza di imprint.
5. Chiedete al soggetto di identificare la risorsa o la convinzione più importante di cui, dal suo
punto di vista, avrebbe avuto bisogno. Ancorate questa risorsa e portatela sulla timeline nel
luogo in cui ha avuto luogo l’imprint. Fate in modo che il soggetto porti questa risorsa fino
al suo sé più giovane e poi fatelo camminare per tutto il percorso fino al presente,
sperimentando i cambiamenti operati dal reimprinting.
Provate questo processo su voi stessi. È spesso importante rivalutare e aggiornare le relazioni
importanti del passato.
Ad esempio, quando lavoravo con mia madre sul suo cancro, a un certo punto è saltata fuori
una questione interessante. Sua sorella maggiore e sua madre erano entrambe morte di tumore
al seno. Alcune persone hanno la strana sensazione che per essere leali, per mantenere la
propria fedeltà, la propria affiliazione alla famiglia, devono seguire gli schemi familiari. Una
specie di: “Chi sono io per essere migliore di quelle persone che sono i miei modelli, le mie
guide?”.
Inoltre, se andassero oltre gli schemi della loro famiglia, non avrebbero modelli di ruolo;
sarebbero soli.
A volte penso che le persone preferirebbero morire, piuttosto che affrontare l’ignoto.
Ovviamente, questa non è una situazione che si può risolvere usando le sottomodalità per
eliminarla. Quindi ho chiesto a mia madre di spostarsi in una metaposizione, e le ho detto:
“Invece di guardare soltanto al passato per vedere tua sorella e tua madre, per conoscere la
tua identità e come dovresti essere, guarda per un istante al futuro e a tua figlia, che osserva te
per comprendere come dovrebbe essere lei.” Questo l’ha aiutata a porre la questione in una
prospettiva più ampia; per lei è stata un’esperienza molto forte, alla quale ritorna spesso per
prendere delle decisioni. Trovo che lo stesso tipo di questioni relative all’imprinting si
verifichi per le persone nel campo degli affari. Immaginate qualcuno che, proveniente da una
famiglia di operai, raggiunga un certo successo nella sua carriera lavorativa e,
improvvisamente, stia per essere promosso a un incarico di impiegato. Potrebbe entrare in
crisi, perché sta rompendo il suo schema familiare, la sua identità culturale.
Il successo può determinare situazioni di crisi tanto quanto l’insuccesso.
Quando l’operaio ha iniziato a lavorare, magari guardava alle persone di successo dicendo:
“Non ne sanno niente, sono solo un branco di deficienti.”
Immaginatevi la sua sorpresa quando, improvvisamente, scopre di essere una di quelle
persone!
Questo tipo di fattori relazionali entrano nelle nostre vite in moltissimi modi diversi. Penso
che sia importante capirne il potere, e la necessità, a volte, di aggiornare questi modelli di
ruolo, in modo che siano di sostegno; perché un giorno vi troverete in uno di questi ruoli.
Esercizio
Ora disegnate la vostra timeline. Forse, durante la dimostrazione, vi siete già fatti un’idea di
dove siano alcune delle vostre questioni importanti. E di sicuro la vostra mente inconscia lo
ha fatto. Considerate una qualunque situazione di conflitto, vicolo cieco o sintomo esistente
nel presente. Andate sulla timeline, trovate l’imprint, l’identità iniziale e le convinzioni che
avete costruito da quel punto. Poi andate a prima dell’imprint, uscite dalla linea e guardate le
relazioni chiave dell’imprint. Trovate l’intenzione positiva e le risorse necessarie per ogni
persona significativa nel sistema. Anche se la situazione potrebbe sembrare complessa,
penso che, se riuscite a trovare almeno una persona significativa, a darle una risorsa e ad
aggiornare il sistema, questo sarà per voi un esercizio molto potente. A volte avete bisogno di
fare una cosa e di lasciare che si integri per un certo tempo. In ogni caso, questo farà iniziare
qualcos’altro. Potrebbe essere tutto ciò che serve. Ci sono domande?
DOMANDA: Quando dici di tornare nel passato, lasciando parlare l’inconscio, c’è ancora un
momento in cui identifichi precisamente qualcosa; si tratta di un’immagine?
ROBERT: Non è assolutamente necessario che io abbia delle immagini, quando uso questa
tecnica. Ricordate che con Carla non abbiamo iniziato con un’immagine, prima di uscire
dalla timeline. A volte non avrete immagini quando siete associati all’esperienza di
imprint, ma inizierete ad averne quando ne uscite. Non è neppure necessario che siano
corrette. Potreste non sapere se quello che vedete è davvero quello che è successo o se il
ricordo è così lontano che appare tutto distorto. Quello che conta per me, in ogni caso, è la
distorsione, non la realtà.
R.: Spesso sì. Una persona potrebbe dire: “Non vedo un’immagine chiara, ma ho una
determinata sensazione, o so che questo è quello che è successo…”.
Non c’è bisogno che sia un’immagine chiara, purché riusciate a capire quali relazioni
fossero implicate.
Dopo l’esercizio
R.: Domande, commenti, esperienze da condividere?
D.: A un certo punto, mentre la persona era in metaposizione, ho avuto l’impressione che la
risorsa fosse inefficace, mentre il soggetto diceva che andava abbastanza bene. Quindi,
per sicurezza, ho fatto ritornare la persona sulla timeline; mentre affrontava la sua
esperienza, lei ha detto: “È inefficace.” Ho dovuto farla uscire per poter procedere.
R.: Questo è molto bello. Vuol dire usare la tua esperienza come feedback, invece che come
fallimento. Il bello è che hai la possibilità di uscire immediatamente per aggiungere una
risorsa. A volte si ha bisogno di combinare due o tre risorse. È qui che entra in gioco il
pesce nei sogni. Il soggetto potrebbe avere un proprio pesce nei sogni. Da una posizione
dissociata dice: “Oh, ho scoperto la soluzione”, ma quando si riassocia all’imprint, scopre
che tutto ciò non è sufficiente. Ecco perché si dice: “Controlliamo, giusto per assicurarci
che non si tratti solo di un pesce nel sogno.”
Sottolineo ancora che se non riuscite immediatamente non vuol dire niente, perché avete un
contesto in cui andare, per ottenere maggiori risorse. Questa è una scoperta, un’intuizione,
un feedback e una risorsa sia per il programmatore sia per il soggetto. Questo è un
successo.
R.: Sì.
dice: “Non ho il diritto di esistere.” In una convinzione di questo tipo quali sono le
relazioni con l’identità?
R.: Questo tipo di convinzione riguarda, ovviamente, l’identità. In effetti, questi sono i tipi di
convinzione di base che formano l’identità.
Se comincio con la convinzione che questo non è il mio posto, inizierò anche a trovarne
delle prove. Se prendo una sculacciata dai miei genitori, dirò che ne è una prova. Se mi
dicono qualcosa di carino, “mi stanno solo mentendo, mi stanno prendendo in giro.”
Quindi, iniziare con questo tipo di convinzione stabilisce una struttura che determina il
modo di interpretare ogni cosa in seguito.
Se inizio con la convinzione che “il mio posto è questo”, allora, quando mi dicono
qualcosa di bello, questo rinforza la convinzione. Se mi puniscono, “mi chiedo perché lo
fanno. Ci deve essere qualcosa che devo imparare da questo fatto.” Non la prendo come
un’affermazione sulla mia identità, ma sul mio comportamento.
D.: Puoi darci un’idea generale delle età di questi stadi di imprint?
R.: In generale, penso che i bambini molto piccoli si trovino nello stadio della
sopravvivenza. Ma dopo un tempo veramente breve, essi iniziano a creare i legami.
Come prima cosa, ci si lega con la madre, poi si comincia a legarsi con i membri del
sistema più ampio, ad esempio il padre, i fratelli, e così via. Spesso si inizia a stabilire gli
imprint a livello intellettuale alla scuola elementare. “Sono intelligente rispetto agli altri
bambini?”, e cose del genere.
E poi si arriva alla prima adolescenza. Gli adolescenti si preoccupano molto della loro
immagine sociale. Pongono molta attenzione alla percezione sociale. Spesso gli imprint
estetici avvengono alla scuola superiore. E poi arrivano i metalivelli. Queste
affermazioni sono necessariamente generiche; a seconda del sistema culturale, familiare e
ambientale, le persone potrebbero essere obbligate a delle esperienze di imprint in età più
o meno precoce.
Figura 16. Imprint e stadi di sviluppo dell’intelligenza.
D.: Quando si ritorna a una simile esperienza, a una convinzione quale: “Non ho il diritto
di esistere”, dici di prendere la risorsa dalla persona in metaposizione e di trasferirla
in ognuno dei personaggi della situazione; quando poi la persona se la sente di
ritornare al presente, le fai rivivere gli avvenimenti uno dopo l’altro. Mi chiedo se tutto
questo cambi il sistema di convinzioni legato alla prima convinzione.
R.: Il tipo di convinzione di cui stai parlando è ciò che definiamo una CONVINZIONE
DETERMINANTE. Una convinzione determinante è una convinzione di base molto
generica, che influenza tutto ciò che viene dopo. “Se il mio posto non è qui, a chi interessa
quanto io sia intelligente?”; “Se il mio posto non è qui, perché dovrei ambire a un ruolo
sociale?” Questo influenzerà tutto ciò che segue.
D.: Ho fatto l’esercizio come soggetto e sono rimasto colpito dal fatto che, quando mi sono
trovato davanti tutto il mio passato, non ero in grado di sperimentarlo pienamente. Per
trovare la gioia e il piacere che avevo provato ho dovuto dare le spalle al futuro.
R.: Sei riuscito a cambiare l’imprint in modo da poterti sentire pieno di risorse quando
guardavi verso il futuro da quella posizione?
R.: Notate come la prospettiva cambi l’intera esperienza di qualcosa. Posso riaccedere alle
stesse sensazioni se rivivo gli eventi che le hanno create. Ma se guardo gli stessi eventi
dalla metaposizione fuori dalla timeline, li percepisco in modo diverso ed essi stessi
hanno un impatto diverso.
Quindi, quello che ho in questa struttura è una Gestalt, uno spazio contestuale per la mia vita,
che mi dà un luogo nel quale andare a trovare le risorse di cui ho bisogno. L’interazione di
tutte queste dimensioni aiuta a creare il cambiamento.
Il luogo in cui sto fisicamente in questo spazio contestuale, cambierà effettivamente il Meta
Programma con cui opero in quel momento.
D.: Credo che quello che hai appena detto risponda a una domanda che mi ero posto.
Queste esperienze traumatiche cristallizzano degli schemi di Meta Programma?
R.: Sì, uno schema di Meta Programma abituale si forma perché forse, in un primissimo tempo,
non conoscevo le altre posizioni verso cui andare. Forse si forma perché quella è stata la
prima volta in cui ho avuto la percezione di quel Meta Programma. Si cristallizza, come
dici tu. Diventa come un granello di sabbia in un’ostrica: il resto della perla inizia a
formarsi attorno all’imprint, finché non si ritorna all’interno degli strati che circondano il
granello di sabbia. Allora possiamo spostare quel granello di un po’ e farlo diventare una
perla persino più bella e più raffinata.
Con questo processo lavoriamo per risolvere questioni di convinzioni che si riferiscono al
passato, per ripulire la storia personale e per affrontare meglio le relazioni con gli altri. Una
volta che abbiamo fatto pace con gli altri e con il nostro passato, allora è tempo di fare pace
con noi stessi e affrontare il futuro. E questo è il prossimo argomento che affronteremo.
Per concludere il nostro lavoro di reimprinting, riassumiamo tutti i punti importanti.
Pulci immaginarie
Vi farò un esempio. Molti anni fa David Gordon e io stavamo lavorando con una donna che
aveva un’ossessione. Credeva di essere invasa dalle pulci. Lei le chiamava vere pulci
immaginarie, immaginarie perché nessun altro accettava che fossero reali. Ma erano reali,
perché quando le saltavano addosso lei le sentiva. Non poteva ignorarle. Le davano la
tremenda sensazione di esserne tutta ricoperta. Faceva di tutto per proteggersi, così aveva
settantadue diversi tipi di guanti: per guidare, per vestirsi, e così via. Comprava sempre vestiti
con le maniche lunghe. Si sfregava a un punto tale da avere la pelle perennemente arrossata. Si
trovava in una situazione piuttosto difficile.
Il fatto che le pulci fossero immaginarie dava loro delle facoltà interessanti. Ad esempio, tutti
avevano le pulci (specialmente i suoi genitori). Lei voleva molto bene ai suoi genitori,
naturalmente, ma poiché avevano più pulci di tutti non poteva stare molto tempo con loro. E,
dato che erano immaginarie, esse potevano anche passare attraverso il telefono, perciò,
quando i suoi genitori chiamavano, le pulci fluivano attraverso il ricevitore. Questa era la sua
convinzione.
Naturalmente, in molti avevano cercato di convincerla che era tutta una pazzia. David e io
abbiamo fatto molte cose per entrare in rapport con lei, per scoprire le sue sottomodalità e le
sue strategie, ma ciò che ha oltrepassato la soglia di questa convinzione è stato il fatto di
ricalcare il suo sistema di convinzioni. Ho detto: “D’accordo, ci sono le pulci. Ma mi sembra
che tu abbia sempre agito via da loro per tutta la vita. Hai sempre cercato di eliminare le
pulci, di mandarle via. Forse questo è un modo inefficace di affrontarle. Qualcuno ha mai
provato a curare la tua vera allergia immaginaria alle vere pulci immaginarie?
A me sembra che ci siano esattamente tutti i sintomi di un’allergia. Alcune persone sono
allergiche ai pollini che si sprigionano nell’aria; non riescono a vederlo, ma il polline entra
loro nel naso e le fa stare male. Non è detto che debbano sempre nascondersi dal polline o
cercare di eliminarlo. Ci sono medicine che curano il sistema immunitario per ridurre i
sintomi dell’allergia.”
Dopo di che ho tirato fuori una bottiglia di PLACEBO e le ho spiegato: “Queste sono vere
pillole immaginarie. Sono immaginarie perché non contengono nessuna vera medicina, ma
sono vere perché cureranno la tua allergia e cambieranno le tue sensazioni.”
Siccome avevamo appreso tutto sulle sottomodalità delle sue strategie di convinzione, ho
iniziato a descriverle come avrebbero funzionato, come si sarebbe sentita e come sarebbe
stato diverso, servendomi delle sue sottomodalità critiche. Naturalmente non poteva trovare
punti deboli in questa logica. Ma la cosa più interessante è stata che, quando è ritornata la
settimana successiva, era veramente spaventata: le vere pillole immaginarie avevano
funzionato.
Si è seduta e ha detto: “Come farò a sapere quali vestiti comprare? Come saprò come
interagire con i miei genitori? Come farò a sapere da chi farmi toccare? Come farò a sapere
cosa fare o dove andare nel mondo intorno a me?”. È importante capire che se non l’avessimo
aiutata a costruire le strategie per riempire quel buco, sarebbe dovuta probabilmente ritornare
alla sua ossessione, per ragioni ecologiche. “Sono qui, alle prese con l’ignoto.”
La donna ci stava dicendo che la convinzione aveva sostituito molte delle sue capacità di
decisione. Si trattava di un feedback importante, non certo di un problema. Quindi, finalmente,
si è mostrata pronta ad ascoltare in cosa consistesse una strategia per prendere delle decisioni.
Siamo andati a ritroso e l’abbiamo aiutata a costruire tutte quelle capacità.
Abbiamo esaminato quali tipi di criteri dovesse usare per rispondere ai “come farò a sapere?”
che aveva sollevato e i modi per scoprire le prove di tali criteri.
Abbiamo anche scelto alcune risorse, relative alle decisioni che lei aveva sviluppato nel
tempo, e le abbiamo trasferite alla bambina che aveva inizialmente deciso di costruire le pulci
immaginarie, dal momento che la donna era stata vittima di questa ossessione per più di
quindici anni.
Il punto è che le convinzioni, le capacità e tutti i livelli, uniti insieme, formano l’intero sistema
di un individuo.
L’amore
Ci sono una risorsa e un argomento con cui mi piacerebbe lasciarvi, concludendo questa
analisi delle nostre relazioni con gli altri: l’amore. Sicuramente le nostre vite sono modellate
dall’amore e da coloro che amiamo. Oggi, forse, abbiamo compreso più a fondo cosa
significhi “Amare gli altri come se stessi.”
Credo che ci siano diversi tipi di amore. Iniziamo spesso con un amore che si fonda sul
comportamento. Probabilmente si tratta di un amore costruito attorno alla sessualità o alla
cura reciproca: qualcuno mi aiuta a sopravvivere, io lo aiuto a sopravvivere.
Poi si comincia ad amare qualcuno per quello che pensa, per quello che è, per quello che sa.
Invece di essere attratti da qualcuno per il suo corpo o per il tipo di macchina che ha o per i
soldi che guadagna, iniziamo a volergli bene per la sua mente.
Quando si cominciano a condividere con l’altro convinzioni e valori si giunge a un livello
più profondo di amore. Quello successivo è il livello in cui si comincia a condividere
l’identità.
Vi succede di instaurare un’amicizia o una relazione non per ciò in cui la persona crede o per
quello che ha, ma per quello che è. Viene persino il momento in cui passiamo a un tipo di
amore che sta al di sopra di tutto: l’amore di tipo spirituale. Penso che una relazione sia
importante, sia quando nasce e si sviluppa, sia quando finisce.
In un certo senso, se instaurate una relazione a livello spirituale, essa non avrà mai fine.
Chiunque abbia sperimentato la morte di qualcuno che amava, è giunto al punto in cui non ha
più potuto riscontrare direttamente l’identità, i comportamenti, le convinzioni di quella
persona. Si avverte la necessità di stabilire un’unione a livello spirituale.
Ho visto persone che, dopo la morte di un proprio caro o alla fine di una relazione, assumono
i comportamenti dell’altro. E questa è una parte molto importante e molto utile per qualunque
rituale le persone desiderino compiere alla fine di una relazione.
Quando la persona è presente, adempie il suo ruolo nel sistema. Ma quando non c’è più,
dovete iniziare a fornire voi stessi anche le capacità dell’altro. A volte certe convinzioni e
valori si rafforzano. A volte, come molti di voi potrebbero scoprire durante il processo di
reimprinting, si assumono aspetti e identità di altre persone significative.
Penso che sia un processo importante per superare il cosiddetto lutto: acquisire la capacità di
integrare tutti i livelli della relazione.
Alcuni anni fa mio padre ha avuto un ictus. Non ce lo aspettavamo: aveva solo cinquantasette
anni. Ha avuto un attacco grave e si pensava che non sarebbe sopravvissuto per più di qualche
ora. Quindi la mia famiglia si è precipitata in ospedale per stare con lui. Abbiamo iniziato a
fare tutto quello che potevamo per aiutarlo a guarire e per tenerlo in vita. Dopo l’esperienza
che avevo avuto con mia madre e in altre situazioni legate alla salute, volevo provare ogni
cosa in mio potere.
Quel giorno e per altri giorni è rimasto in vita. Eppure, quando si ha un ictus, la situazione, nel
tempo, tende a peggiorare perché, mentre il cervello si dilata, le ossa craniche non si
espandono di conseguenza e iniziano a comprimere il cervello verso la base della calotta
cranica. Il che stravolge tutte le funzioni vitali: temperatura corporea, respirazione, pressione
sanguigna e ritmo cardiaco. È un paradosso interessante, perché, nel cercare di guarirsi, il
corpo si fa del male da solo. Il cervello, che organizza tutte le funzioni, è proprio la
componente danneggiata.
Mio padre andava peggiorando, i dottori dicevano che era in coma e che non poteva più
sentirci. Naturalmente noi eravamo pieni di speranza e cercavamo di fare tutto quello che
potevamo. Eravamo anche convinti che potesse ancora sentirci. Tuttavia, il suo corpo
diventava sempre più debole. Aveva perso un quarto del suo peso. L’ictus l’aveva reso cieco.
Non poteva muovere la parte destra del corpo e non riusciva a controllare la sinistra.
Naturalmente, era molto difficile per me vedere mio padre, che era sempre stato forte e
padrone di sé, spegnersi poco a poco.
Il quinto e il sesto giorno le cose andavano davvero male. Era come correre tutti insieme più
forte che potevamo e cadere con la faccia nel fango, e poi fare ogni sforzo per rialzarci, dando
tutto quello che avevamo, solamente per cadere ancora e ancora e ancora.
Mia madre, mia sorella ed io eravamo in camera con mio padre, chiedendogli di darci un
qualunque segno del fatto che era ancora con noi. Tutti noi volevamo mantenerlo in vita.
Improvvisamente, quest’uomo che non riusciva più a urinare da solo, cieco, che poco a poco
si stava spegnendo, appena in grado di controllare le sue funzioni vitali, ha alzato la mano
sinistra e mi ha afferrato per la testa, ha portato il mio orecchio vicino alla sua bocca e ha
emesso un suono che io ho pensato fosse un “ciao”, invece era un “addio”. Poi, muovendo la
mano a tentoni, ha trovato la mano di mia sorella e l’ha messa sulla sua, ha trovato quella di
mia madre e l’ha messa su quella di mia sorella, poi ha trovato la mia mano e l’ha messa su
quella di mia madre, infine ha messo la sua su tutte le altre. È stato il suo ultimo atto cosciente.
Non ho mai visto niente di così bello.
Quella notte mia madre ha fatto un sogno in cui ha visto mio padre. Aveva di nuovo sedici
anni, come quando si erano innamorati. Nel sogno, vedeva che lui se ne stava andando e
naturalmente lei non voleva che se ne andasse. Voleva che restasse oppure voleva andare con
lui. Dapprima era arrabbiata, poi si è rattristata.
Ma ha detto che lui sembrava così felice del posto dove stava andando (di nuovo giovane
sedicenne), che non è riuscita a farlo restare.
Poi lui si è girato verso di lei e le ha detto che là dove stava andando lei non avrebbe potuto
seguirlo; non era il suo momento. Sembrava che dovesse passare molto tempo prima che lei
potesse rivederlo, ma in una visione di tempo più ampia non sarebbe stato neppure un istante.
E quando sarebbero stati di nuovo insieme, allora, sarebbe stato per sempre.
Questo, per me, è un imprint positivo. Quando penso all’ultimo atto della mia vita, penso che
se anche il mio corpo fosse totalmente distrutto e in preda al dolore, praticamente inutile (mio
padre aveva di certo tutte le ragioni di essere completamente annientato), se riuscirò ad avere
la presenza di spirito per completare, per concludere tutte le questioni in quel modo, se saprò
usare tutto quello che ho imparato con la PNL, per riuscire a fare qualcosa di simile alla fine
della mia esistenza fisica, allora questo renderà la vita e ciò che ho appreso degni di essere
vissuti. È questo che vorrei ottenere dalla PNL.
Quando arriva il momento, quando tutta la realtà sta cambiando e non c’è niente che possiate
fare, quando quello che mai avreste immaginato si sta realizzando, allora “la sola cosa che
potete fare è essere impeccabili con voi stessi”, come diceva il Don Juan di Carlos Castaneda.
Meditazione sull’amore
Il legame d’amore non si spezza mai. Si sposta semplicemente su vari livelli.
Vorrei che chiudeste gli occhi per un momento e pensaste a una persona che amate, ma che non
avete la possibilità di vedere sempre. Non deve essere necessariamente qualcuno che sta
morendo o che è già morto. Può essere qualcuno che non vedete da lungo tempo. Vorrei che
faceste caso al modo in cui pensate a quella persona. Dove vedete quella persona nella vostra
mente? Cosa sentite nella vostra mente? È un’immagine chiara? È distante? È brillante?
Poi pensate a un amico o a un oggetto; magari a qualcosa del passato. Anche se questa persona
o questa cosa non è più con voi, ne avvertite ugualmente la presenza. Potrebbe essere un
giocattolo; quando ci ripensate, lo custodite nel cuore senza tristezza. Potrebbe trattarsi di un
amico che sentite sempre vicino, in qualunque posto siate. Vorrei che osservaste il modo in cui
visualizzate o sentite nella vostra mente questo oggetto o questa persona, in maniera tale da
averlo sempre con voi.
Prendete il ricordo della persona che amate, ma con la quale non potete stare, e cambiate le
qualità del ricordo in modo che corrispondano al ricordo della persona o dell’oggetto che
invece sentite sempre con voi. Magari avvicinate l’immagine. Magari, invece di vederla dietro
di voi o alla vostra sinistra, il posto di quell’immagine è nel vostro cuore. È probabile che una
certa qualità di colore o di luminosità la faccia sembrare più vicina o più presente. Oppure
una particolare qualità di voce o tono o ritmo o profondità. Mentre continuate a lasciare che il
ricordo di quella persona trovi una collocazione nella vostra mente, nei vostri valori e nelle
vostre convinzioni, nella vostra identità, ripensate per un istante a una sensazione di amore, di
puro amore, di un amore che non ha confini, che non ha quantità, quell’amore che non prende e
non dà, ma semplicemente è.
Osservate da dove viene quell’amore. Viene dal profondo di voi stessi? Viene dal vostro
cuore? O è tutt’intorno a voi?
Iniziate a visualizzare quell’amore come pura luce spendente. Lasciatela brillare e splendere
dentro e attorno a voi. Poi prendete quella luce e trasformatela in un filo d’argento splendente.
E annodate questo filo al vostro cuore e al cuore della persona che amate, sapendo che questo
filo di luce può avvicinare il vostro cuore al suo, ovunque sia e a qualunque distanza nello
spazio nel tempo. È un filo che potete far arrivare a moltissime persone, un filo che non si
rompe mai, un filo che non esaurisce mai la propria luce. Quindi, mentre vedete voi stessi qui
seduti, potete vedere il vostro cuore vicino a tutti quelli a cui l’avete annodato.
Sentite: adesso il filo stabilisce un contatto. Poi la luce inizia a diffondersi ovunque e a
brillare, tanto da riempire tutto lo spazio attorno a voi. Sappiate che questa luce, con il suo
fulgore, può riempire l’universo.
Percepite la vostra stessa presenza in questa stanza. E, cosa importantissima, assicuratevi di
provare amore per voi stessi. Per un momento, date ascolto al cuore che batte dentro di voi.
Sappiate anche che siete una persona completa, un essere completo. Sappiate che potete essere
un’identità, potete essere un individuo. Siate consapevoli della vostra individualità, della
vostra unicità. Stanotte potreste scoprire che anche altri hanno annodato un filo al vostro
cuore.
Solo per un istante, SIATE in questa stanza, fate in modo che la vostra consapevolezza non
prenda in considerazione nient’altro; siate e basta. Concedetevi di percepire il più pienamente
possibile questo essere, i suoni, il vostro corpo, l’aria e la luce attorno a voi, l’aria che
riempie i polmoni, che porta ossigeno e vita al vostro corpo. E prendete consapevolezza delle
altre persone attorno a voi, altri esseri, individui, persone speciali. Mentre aprite gli occhi e
sentite la luce che riempie la stanza, portate quell’essere qui, completamente.
4
Integrazione di convinzioni contrastanti
Convinzioni contrastanti
Vogliamo lavorare sul modo di portare armonia tra due identità o sistemi di convinzioni
contrastanti. Abbiamo conflitti in un sistema di convinzioni quando due o più convinzioni
conducono a comportamenti contrastanti. Questo tipo di situazione crea spesso un “doppio
legame” (in cui siete fregati sia che facciate una cosa, sia che non la facciate).
I conflitti più gravi hanno luogo quando le convinzioni contrastanti coinvolgono problemi di
identità, con un giudizio negativo nei confronti di se stessi. Questo tipo di conflitto sarà quasi
sempre all’origine di problemi che implicano sfiducia, odio o paura di se stessi. Nella
maggior parte di questi conflitti tra convinzioni, notiamo l’opposizione tra logica ed
emozione, razionalità e intuizione, bambino e adulto, passato e futuro, cambiamento e
stabilità. È il famoso dualismo YIN e YANG del taoismo.
ROBERT: Chris, tu avevi posto delle domande riguardo ad alcuni conflitti dentro di te. Vorresti
venire qui, per favore? (Chris si avvicina e si siede su una sedia.)
Chris, la prima cosa che voglio sapere di te è: qual è il risultato che vuoi raggiungere?
Che obiettivo hai?
R.: Quindi vuoi aiutare gli altri ad avere successo. Qui possiamo notare che questo significa
ragionare in base agli altri. Voglio prima di tutto che tu costruisca il terreno per questa
nuova identità, per questa nuova convinzione.
Il che significa che dobbiamo creare un’ottima rappresentazione del risultato. Se qualcuno è
malato, ad esempio, e vuole stare bene, dobbiamo costruire una ricca ed esauriente
rappresentazione della salute.
(Al pubblico) Ad esempio, se qualcuno vuole perdere peso, camminerà sulla timeline andando
verso il momento del futuro in cui dirà: “È in questo punto in cui avrò raggiunto il peso e la
forma del corpo che voglio per me.” Quindi, andrà a guardare nel futuro, e costruirà una
risorsa, fino a quando avrà pienamente raggiunto ciò che il suo obiettivo implica, in modo
associato all’esperienza.
(A Chris) Procedi, alla velocità più indicata per te. (Robert indica la direzione del futuro di
Chris.)
Questo è il nuovo TE STESSO che tu vuoi sviluppare. Voglio che cammini dentro questo
nuovo te stesso, che è in grado di avere tutte queste risorse.
(Al pubblico) Dobbiamo, naturalmente, notare la postura del corpo, i gesti e le asimmetrie.
(Chris cammina lentamente lungo la linea, si raddrizza e si ferma. La postura del suo corpo
è cambiata.)
(A Chris) Mentre da questa posizione fai esperienza del tuo io, vorrei che visualizzassi come
sarebbe essere così; ascolta la voce che useresti e da dove parleresti, percepisci davvero la
tua postura corporea, i tuoi movimenti, in modo da sapere pienamente come sarebbe essere in
quel futuro.
(Robert poggia la mano sinistra sulla spalla destra di Chris, per ancorare quella postura.)
(Robert riporta Chris nel presente e lo fa stare fuori dalla timeline, in modo che possa trovarsi
in posizione B, dissociata, seduto sulla sua sedia.)
(Al pubblico) Iniziamo col dire che questa è la convinzione, l’identità che la persona vuole
avere. “Voglio poter aiutare le persone ad avere successo.”
(A Chris) La prossima domanda è davvero semplice: cosa ti trattiene? Questo è il tuo futuro,
questo è il passo successivo verso la tua missione.
(Al pubblico) Pensateci in questo modo; la gente dirà: “Oh, questo risultato è magnifico, è
bellissimo!”.
Poi tornate al presente e dite: “Eccolo lì. È davvero magnifico, afferralo, dai!”. Allora
ottenete: “Ma, veramente…”.
Ecco la parte che vogliamo scoprire adesso: qual è il conflitto?
(A Chris) Quando guardi al futuro, senti una voce, una sensazione? Qualcosa dentro di te ne
avverte il disaccordo, l’opposizione?
(Robert parla ad alta voce per Chris, che gli mormora alcune parole.) Dice che è una cosa
tipo: se hai successo, stravolgi la tua missione.
(Chris fa un passo sulla timeline e, col volto verso il futuro, procede a ritroso nel passato e si
ferma là dove si era creata la convinzione limitante. Cammina lentamente lungo la timeline in
profondo silenzio. Tiene le mani giunte sul petto come se stesse pregando.)
(Robert, al pubblico, con una voce inizialmente molto bassa) Tra l’altro, mentre sta facendo
quello che fa, notate dove sono i livelli dei conflitti. È molto probabile che in futuro qualcuno
desideri capacità del tipo: voglio essere in grado di aiutare altri a farlo. Ma ciò con cui è in
contrasto è una convinzione relativa alla missione. Ovviamente, se la motivazione che
consente alla capacità di svilupparsi è in conflitto con la missione, essa sarà sicuramente
messa da parte.
Se riesco ad adeguare la capacità alla missione, allora essa diventerà parte della mia identità,
sarà naturale e non presenterà grosse difficoltà.
La stessa cosa avviene nelle persone che cercano di guarire da una malattia.
Voglio stare meglio, ma questo non si adatta alla mia identità.
Voglio stare bene, ma non posso, perché questo è un desiderio egoistico.
Questa è una convinzione interessante: se ho successo a livello di questa capacità, fallirò
nella mia missione. Questo è un conflitto classico.
R.: OK, un momento; quindi niente di specifico? (Robert mette la sua mano destra sulla spalla
sinistra di Chris, per ancorare la sensazione del passato, e gli indica la direzione verso il
futuro.)
Quindi, da questo punto dici: quell’obiettivo futuro è in contrasto con la mia missione, la
stravolge.
C.: Una voce mi dice: “Faresti meglio ad occuparti di te stesso, non degli altri.”
R.: Questa parte dice: “Dovresti occuparti di te stesso e non degli altri. Essere più orientato al
tuo bene e non a quello degli altri.”
(Al pubblico) Notate la differenza di postura del corpo in questa posizione. È piuttosto
diversa dalla postura del corpo associata al futuro.
(Da ogni posizione, A, B, C, Chris parlerà delle convinzioni e dei valori di ogni identità in A
e in C e di ciò che ciascuna di esse pensa dell’altra. La posizione B, dissociata, aiuterà
soprattutto a spiegare i comportamenti di A e C. Robert condurrà il processo verso
l’espressione delle intenzioni positive. Risalirà al livello dei valori, finché non ci sarà più
nessun conflitto tra le parti.)
Dalla posizione A
(A Chris) Vorrei che tu venissi qui, nel tuo futuro, che fossi il tuo io futuro e che pensassi
all’altro alle tue spalle, nel tuo passato, che ostacola il tuo futuro.
(Al pubblico) Notate ancora una volta la differenza nella postura del corpo.
(A Chris) Cosa pensi di quella parte di te che hai alle spalle? Ti piace? Com’è? È stupida? È
pericolosa? Cosa ne pensi?
R.: Perché sta facendo uno sbaglio? Perché pensi questo di lei?
R.: Quindi, quando guardi la parte di te che è alle tue spalle, questa parte di te dice: “È
spaventato.” Da qui ricevo l’impressione che questa parte dica più o meno: “In effetti è
quasi insignificante. Non è importante.” È importante?
C.: No.
(Al pubblico) Adesso vorrei provare una cosa diversa. Quando Chris è nel futuro con il volto
rivolto al futuro, giudica la parte di sé che sta dietro come insignificante e in errore. Ma cosa
succederebbe se stesse nel futuro con il viso rivolto al passato?
(A Chris) Voglio che guardi quella parte del tuo io passato da questa prospettiva. Da questo
punto del futuro, dove ti trovi, girati e guarda verso il passato. Cosa pensa il tuo io futuro
dell’altro laggiù nel passato, adesso?
R.: Quindi, da qui, nel futuro, guardando indietro, questa parte dice: “Sono in grado di aiutare
l’altro io nel passato.”
Dalla posizione C
(A Chris) Usciamo dalla timeline per un momento. Ora, ritorniamo al Chris del passato e da
qui guardiamo il Chris del futuro.
(Chris ritorna dalla timeline alla sua sedia, poi va in posizione C, nel passato.)
R.: Cosa pensi del Chris futuro? Ti piace? Ti spaventa? Perché ne hai paura? Non lo sai?
Cosa ne pensi? Di cosa hai paura? Cosa succederebbe se tu non fossi spaventato?
C.: Collaborerei.
(Al pubblico) Ancora una volta, si può notare la differenza tra le due posture, specialmente nei
segnali oculari d’accesso, nella rappresentazione delle due identità: quella del passato è
cinestesica, quella del futuro è visiva.
A ogni modo, questa è una cosa diversa dall’aver paura di un ragno o di un serpente. Quando
sei vicino al ragno ti senti agitato. Ma se hai paura di te stesso, non puoi mai trovare scampo;
per quanto siano spesse le pareti che ti costruisci intorno o alta la montagna che scali, non
puoi sfuggire a ciò che ti fa paura.
(Lungo silenzio)
Dalla posizione B
(Chris ritorna in posizione B, dissociata, e si siede sulla sedia.)
R.: Ora, l’io futuro si guarda indietro e dice: “Posso aiutare l’altro, ha solo commesso un
errore.”
Il Chris del passato ha paura di quello del futuro. Non sa esattamente perché. Quando diciamo:
“Cosa succederebbe se collaborassi?”, ciò che emerge è un profondo senso di tristezza.
Perché dovrebbe esistere la tristezza, quando pensi a collaborare? Cosa riguarda di solito la
tristezza? Una perdita?
Questa parte dice: “Se lo farò, perderò qualcosa, in qualche modo.”
(Al pubblico) Questa parte teme di non sopravvivere. Quest’altra nel futuro vuole andare
avanti e aiutare le persone. Molto spesso troverete parti di una persona in disaccordo con il
loro stesso comportamento: “Non mi piace quello che fa quella parte; mi fa paura”, oppure
“Ciò di cui è capace mi spaventa.”
La prima cosa necessaria in ogni negoziazione, sia che si tratti di due persone in
un’azienda, sia di due parti di voi stessi, è scoprire i valori in base ai quali operano. Sono
gli scopi e le intenzioni a dirigere le varie attività.
Noterete che spesso le persone non si troveranno in disaccordo con le intenzioni o con i valori
degli altri, dopo averli conosciuti. In effetti, potreste scoprire che, in realtà, condividono dei
valori. Dovete dimenticarvi di giudicare l’altro per come si comporta o per ciò che sa, o non
sa, e dovete passare al livello dei criteri e dei valori.
R.: Vuoi che sopravviva. Quindi il tuo proposito non è di minacciare la sua sopravvivenza.
Qual è il tuo proposito? Qual è la tua intenzione? Qual è il valore che scegli? Qual è la
tua missione?
(Al pubblico) Il criterio è avere successo. Qual è lo scopo di avere successo? Mi faccio
questa domanda, perché voglio passare a un criterio ancora più profondo.
Notate che qui, in posizione A, abbiamo azione, capacità e attività; e là, in posizione B,
abbiamo sopravvivenza, identità.
Che si tratti di affari, di lavorare con le persone o di una famiglia, si incontra spesso questo
conflitto tra una parte che vuole essere creativa, fare cose nuove, assumersi dei rischi, e una
che ha paura di perdere la stabilità e l’identità.
R.: E scommetto che sarebbe difficile sentirti utile se non soprav vivessi.
C.: Sì.
R.: Ora torniamo al Chris del passato (Chris cammina fino alla posizione C).
Dalla posizione C
R.: Riesci a sentire cosa dice il Chris del futuro? Dice: “Non voglio mettere a repentaglio la
tua sopravvivenza. Il mio scopo è di sentirmi utile, di avere successo, ma anche di
sopravvivere.”
Gli credi? O non ti fidi?
(Al pubblico) Questa parte dice letteralmente: “Non vedo come.” Non mi sorprende,
d’altronde, considerando la posizione degli occhi di Chris. Questa sua parte del passato è
particolarmente cinestesica.
R.: Ecco cosa faremo, Chris: vorrei che guardassi i due Chris dalla posizione dissociata, qui
nel presente, e vedessi da qui quali risorse ha ciascuno di loro.
Quali risorse ha il Chris del futuro, che l’altro non ha?
R.: Ora, c’è un’altra domanda importante: cos’ha il Chris del passato, che quello del futuro
non ha e di cui ha bisogno ?
Questo è importante. Questo Chris è stato sempre considerato un pauroso. Ma ha del fegato.
Voglio dire che questo Chris ha la volontà di sostenere le cose in cui crede, giuste o sbagliate,
indipendentemente da ciò che dicono gli altri.
Pensate al tipo di sforzo e di impegno che richiedono perdere peso, smettere di fumare o
iniziare una nuova attività. Più che lungimiranza e know-how, sono necessari energia e fegato.
Trasferimento di risorse da C ad A
Torna all’io del passato; voglio che tu acceda pienamente a quelle emozioni, a quella
profondità, a quel “fegato” e a quella energia. (Robert tocca l’àncora associata all’identità del
passato.)
Vorrei che camminassi lentamente verso il tuo io futuro, portando con te quelle sensazioni.
Farai in modo da portare, alla fine, quelle sensazioni nella postura del corpo del tuo io futuro.
Porterai queste risorse dal passato… su su fino al futuro. Assicurati di entrare pienamente nel
te stesso futuro. (La postura del corpo di Chris cambia mentre si muove lungo la timeline e
finisce per assumere la postura del corpo dello stato futuro, anche se la postura del corpo
dello stato futuro è cambiata, essendo stati incorporati aspetti della postura del corpo del
Chris più giovane.)
Trasferimento da A a C
Ora, vorrei che prendessi la lungimiranza e il know-how del Chris futuro e li portassi indietro
fino al tuo io più giovane, mantenendo il know-how e la capacità di aiutare gli altri ad avere
successo; ma portandoli indietro per aiutare il tuo io più giovane ad avere successo. (Robert
tocca l’àncora associata allo stato del futuro.)
Consegna queste abilità al giovane Chris ed entra completamente in questo “io del
passato”. (Chris cammina dalla posizione del futuro alla posizione del passato con molta
emozione. La sua postura del corpo diventa come quella dell’io più giovane, ma con aspetti
della postura del corpo dello stato futuro.)
Qui dietro, nel tuo passato, puoi ora “vedere come” le risorse si siano fuse insieme.
Quindi, i due modi di pensare saranno completamente integrati. (Al pubblico) Come potete
notare, sta già cominciando a cambiare postura in modo evidente.
Vorrei che prendessi questa posizione, e con quella profondità, quel “fegato”, energia,
lungimiranza e conoscenza, facessi un passo dentro il tuo io integrato del presente. Poi,
cammina verso il futuro. Hai il passato, il presente e il futuro. (Con gli occhi chiusi, Chris
cammina verso il suo stato futuro, inciampa leggermente, ma riacquista l’equilibrio, e poi
cammina con sicurezza fino al suo stato futuro.)
Così va bene; a volte inciampi in qualcosa lungo la strada ma… il futuro è tuo!
Commenti
Penso che lo stesso tipo di conflitto dinamico possa avere luogo in una famiglia, o in un
contesto aziendale. Più il padre dice al figlio: “Su, sei capace, non essere stupido e non aver
paura, non essere un debole, hai fatto un errore, sbagli ad aver paura”, più il figlio deve
dimostrare che non sbaglia ad avere paura, e così via.
Figura 25. Ricalco nel futuro della molecola della nuova identità.
In altre parole, meno il figlio viene capito, più si deve aggrappare alla sua convinzione per
affermare la propria identità. Natural mente, più il figlio insiste, più il padre esercita
pressione. Il padre crea un contesto in cui il figlio, per riuscire nel suo compito, deve avere la
peggio all’interno della relazione. Quindi, ciascuno obbliga l’altro a una separazione ulteriore
senza rendersene conto.
Però, se riescono a saltare al livello dei valori condivisi, potrebbero riuscire a trovare quali
siano i valori dell’uno rispetto all’altro, dentro la relazione. Avrebbero una nuova
consapevolezza, grazie alla quale trovare una soluzione.
Nel caso di Chris, una parte di lui pensava che l’altra facesse un errore, e che fosse più o
meno debole e spaventata. Ma la cosa che quella parte era in grado di capire era che il suo io
più giovane non aveva fatto un errore al livello dell’identità. E, in effetti, la forza che ha usato
per conservare la sua identità per tanti anni, è esattamente il tipo di forza di cui il suo io futuro
ha bisogno, per essere capace di realizzare quello che vuole. Sta qui su seduto e pensa di aver
pianificato tutto, ma non si rende conto di quanto “fegato” ci voglia per farlo.
Dalla metaposizione, abbiamo la nuova prospettiva dalla quale entrambe le parti possono
rendersi conto di condividere davvero gli stessi valori. Non sono “io” diversi, non sono
identità diverse. Da qui fuori, riescono a vedere di essere davvero unite, davvero allo stesso
livello di identità. Sono “io”; tutto questo è “io”.
Dalla metaposizione possiamo vedere che l’io più giovane ha delle risorse che l’altro
effettivamente potrebbe usare e da cui potrebbe imparare; e l’io più adulto ha delle risorse che
il più giovane potrebbe usare e da cui potrebbe imparare. La soluzione non viene dal fatto che
il più adulto dica: “Non essere stupido, stai facendo un errore, non mi ostacolare”, ma
piuttosto: “Hai qualcosa di cui ho bisogno, non potrei mai lasciarti indietro.”
A volte i membri di un sistema che desiderano il successo pensano: “Ah, se provo tristezza, o
paura, allora fallisco.” Non si rendono conto che questi sentimenti sono ciò che dà profondità
al loro successo. Molti dicono: “Successo, successo, successo…”, ignorando l’altro lato della
vita: la sua profondità. Sentirsi tristi, persino sentirsi deboli, conferisce profondità. La
profondità della paura dà profondità al successo. Se so esattamente cosa sto affrontando,
posso provare paura, tristezza e procedere comunque.
Spesso mi accorgo che alcune persone che fanno PNL cercano di ignorare la tristezza o la
paura, come se dicessero: “Guarda semplicemente altrove, concentrati sul tuo obiettivo e
dimenticati della paura, lanciati!”.
Ma la vera profondità sta nel provare tutto, nell’abbracciare tutto ciò che è la vita. E se non
riuscite a sentire la debolezza dentro di voi, se non riuscite a comprendere il sentimento di
paura degli altri, il loro senso di tristezza, come potete aiutare gli altri ad avere successo?
Come ha detto Don Juan a Carlos Castaneda: “Essere un guerriero significa essere capace di
affrontare sia il terrore, sia il miracolo di essere umani.”
Se affrontate solo un aspetto, non c’è profondità.
1. Faccio un passo sulla mia timeline. Considero la convinzione o l’identità che voglio
sviluppare nel futuro e, creando una rappresentazione associata di come sarà,
approfondisco il terreno perché questa identità possa crescere. È una sorta di potente forma
di ricalco nel futuro.
2. Poi faccio un passo per uscire dallo stato futuro e trovo la convinzione o l’identità limitante,
chiedendo: “Cosa mi blocca? È un risultato magnifico, splendido, quindi cosa mi blocca?”.
Forse è una sensazione, sono parole, o qualche altra forma di vicolo cieco.
5. Entro in ciascuna posizione, guardando l’altra parte per individuare le convinzioni e farle
emergere. Cosa pensa questa parte dell’altra? Di cosa è convinta questa parte riguardo
all’altra? Poi ritorno in terza posizione. Ora comprendo che quelle convinzioni potrebbero
non essere precise.
6. Cerco di scoprire l’intenzione che sta dietro a ogni parte, continuando a cercare valori
sempre più profondi, fino a che trovo un punto in cui si incontrano entrambe, in cui nessuna
delle due è in conflitto con l’altra. L’una dice: “Non ho intenzione di minacciarti, ma di
cambiare, di crescere, di avere successo.” L’altra risponde: “Non ho intenzione di frenarti,
ma di sopravvivere.” A livello delle intenzioni, non c’è vero e proprio conflitto.
7. Dalla terza posizione, esamino valori, criteri, intenzioni. E dalla terza posizione chiedo:
“Quali sono le risorse che ciascuna parte ha, che sono necessarie all’altra?”. Quindi, dopo
averle esplorate, entrando diverse volte in ciascuna delle due, riesco a percepire il valore
di entrambe. A volte le persone pensano che qualche elemento di sé possa rappresentare
una parte negativa: “Mi punisce sempre, oppure mi frena.”
Ma bisogna cominciare a comprendere che questo aspetto apparentemente negativo spesso
ha una buona intenzione. Il suo comportamento potrebbe non essere il modo migliore per
soddisfare l’intenzione, ma l’intenzione è necessaria.
Il lato negativo può anche avere molto potere. A volte c’è un paradosso interessante in cui
mi imbatto quando le persone dicono: “Questa parte è debole.”
Spesso in quella debolezza c’è molta forza, che può impedire loro di fare qualsiasi cosa.
Quella debolezza è potere. E se quel potere fosse schierato con voi invece di essere contro
di voi, allora niente potrebbe fermarvi.
8. Ora voglio condurre la risorsa da una parte all’altra. Di solito inizio dal lato che si oppone.
Trasferisco la convinzione e la prospettiva che entrambe stiano lavorando insieme, che
condividano un’identità e un’intenzione, dalla terza posizione alla parte dell’identità che si
oppone a tutto ciò. Poi prendo le risorse di quest’ultima parte e le trasferisco fisicamente
fino a portarle alla postura dell’altra posizione. È un’esperienza molto interessante. Poi
prendo le risorse e le capacità di questa parte e faccio la stessa cosa: le porto indietro
all’altra parte.
9. Ora che ogni parte condivide quello che ha l’altra, dalla terza posizione le unisco per
creare una nuova immagine, una nuova identità, che poi riporto sulla timeline nel presente e
non mi limito a guardarla dall’esterno, ma cerco di associarmi ad essa. Infine ritorno nel
futuro.
Ancore
Potete usare le ancore per favorire il processo di integrazione. Ancorate lo stato futuro A e
ancorate lo stato passato C. Nel caso di Chris ho creato le ancore su spalle diverse, quindi ho
riattivato e mantenuto l’àncora appropriata per aiutarlo a portare le risorse da una posizione
all’altra.
Commenti
Muovere le risorse avanti e indietro nel tempo è spesso un’esperienza interessante.
Di solito scopro che la paura più grande che le due parti hanno l’una dell’altra è che una delle
due dice: “Il problema con l’altra è che lei non è me, non ha quello che ho io.”
E l’altra dice: “La ragione per cui ho paura di lei è che non pensa come me.”
In altre parole, una dice: “Ho paura di cooperare con l’altra perché in lei non vedo niente di
me. Finirò per perdere me stessa e i miei bisogni perché l’altra non li condivide. Quindi devo
lottare a vantaggio della mia parte della relazione.” È in parte ciò che diceva Chris: “Se
riconosco l’altro lato, potrei perdermi in tutta quella profondità di tristezza e paura.” Ma se
questo lato avesse le risorse e le capacità dell’altro, i problemi non esisterebbero! È come
quando i genitori hanno paura che i loro figli escano da soli, finché non vedono nei loro
bambini una parte di loro stessi. Ma invece di istruire i loro figli e di fornire loro delle
capacità, li criticano e li puniscono perché non le hanno, rendendo naturalmente la frattura più
profonda.
Quindi penso che, equilibrandone le risorse, si inizi a creare fiducia tra le parti.
In un certo senso questa è l’essenza della fiducia: “Sapere che tu mi consideri e che pensi
come me, per cui posso aver fiducia che non te ne dimenticherai.” Posso amare il mio
prossimo come me stesso solo dopo che ho condiviso me stesso con il mio prossimo e mi sono
messo nei suoi panni.
2. Fate stabilire al soggetto una “metaposizione” fuori dalla timeline e dissociata da entrambe
le convinzioni o identità.
3. Fatelo entrare in ciascuna posizione e chiedete a ogni parte di descrivere cosa pensa
guardando l’altra.
In questa fase le diverse parti (identità), probabilmente, non si piaceranno e non avranno
fiducia le une nelle altre.
4. Trovate l’intenzione positiva e il proposito di ogni parte. Assicuratevi che ogni parte
riconosca e accetti l’intento positivo dell’altra.
Dalla “metaposizione”, trovate la missione comune che entrambe condividono.
5. Fate in modo che ogni parte guardi l’altra ancora una volta e questa volta ne descriva le
risorse, che le sarebbero utili per mettere in pratica il proprio intento positivo e la
missione comune.
a. Ottenete un adeguato accordo tra le parti al fine di unire le risorse e poter più
pienamente mettere in atto il proprio scopo e la missione comune. Di solito la ragione
della sfiducia e dell’antipatia sviluppate in passato nei confronti dell’altra parte,
consiste precisamente nel fatto che questa non possedeva quelle risorse e appariva
perciò estranea e fuori controllo.
b. In questa fase fate attenzione anche ad altre convinzioni limitanti che non sono emerse in
precedenza e che avranno bisogno di essere aggiornate o affinate. Ad esempio: “Non è
possibile che io abbia una responsabilità e che mi diverta allo stesso tempo.”
6. Chiedete al vostro partner di entrare all’interno di ogni parte (iniziando con quella più
lontana nel passato); concentratevi sulle risorse speciali di quella parte e poi fate in modo
che cammini lentamente sulla timeline, portando con sé quelle determinate risorse, quindi
fatelo entrare nella posizione dell’altra parte, in modo che ognuna abbia in sé le risorse
dell’altra (calibrate, per ottenere un’integrazione/simmetria delle due psicologie che
accompagnano le identità separate).
7. Fate andare il vostro partner in “metaposizione” e fategli visualizzare le due parti, che si
uniscono insieme fino a diventare un’identità unica nel presente. Fategli fare un passo
dentro questa identità integrata e fatelo camminare verso il futuro.
(N.B.: A volte un conflitto potrebbe coinvolgere più di due questioni relative all’identità. In
simili casi potete espandere questa tecnica fino a includere tutte e tre le parti, oppure fare
l’integrazione di due parti alla volta.)
Quando una parte dice: “Tutto è possibile”, di solito troverete subito un’altra parte che dice:
“Niente è possibile.” E più quest’ultima insiste nell’affermare: “Niente è possibile”, più
l’altra se ne allontana dicendo: “Tutto è possibile.”
Lo ripeto, lo scopo del processo di integrazione è lo stesso per entrambe le parti. Devo
scoprire quali siano le loro intenzioni. Se riesco ad inserire la visione della parte sognatrice
nella parte critica, e lo spirito critico nella parte sognatrice, allora posso creare qualcosa di
realistico. Dico: “Bene, questo sogno è necessario, purché sia integrato, in modo da renderlo
reale e completo.” Una casa divisa al suo interno non starà in piedi.
Se resto intrappolato io stesso, cercando di stabilire se tutto ciò è possibile oppure no, non
faccio altro che promuovere il conflitto. Cinquanta o sessanta anni fa la gente credeva che
fosse impossibile andare sulla luna. Ci vuole molto realismo e impegno per realizzare un
sogno così grande.
D.: In un lavoro sulla polarità che stavamo facendo in Gestalt, abbiamo sperimentato
l’emozione dell’opposizione tra due parti. Per applicare questa tecnica, dobbiamo
evitare queste emozioni spostandoci in una metaposizione?
Ovviamente no. Non abbiamo certamente evitato queste emozioni nel caso di Chris. L’idea di
fondo è che non sia il conflitto a creare la metaposizione; ciò che crea la vera metaposizione è
la comprensione dell’intenzione positiva delle parti coinvolte nel conflitto stesso.
Le emozioni sono governate dall’intenzione, dall’identità e dai valori di una persona. La
differenza tra ciò che facciamo noi e ciò che faceva Fritz Perls consiste nel fatto di lavorare
specificamente con la metaposizione. Noi costruiamo una metaposizione. Non vogliamo le
due sedie soltanto perché dobbiamo uscire dall’intera questione. Invece di cercare
semplicemente di risolvere le emozioni, vogliamo attraversare tutti i livelli e usare tutti i
sensi.
La soluzione ci viene dalla creazione di un contesto esterno al conflitto.
L’emozione è importante, perché mi fa capire che la persona è davvero associata a questa
determinata posizione. Se dico a una persona: “Portati nello stato problematico” e la persona
fa quello che dico, ma non c’è nessun cambiamento significativo nella sua postura, questo non
ci porterà da nessuna parte. Io voglio vedere CHE SIANO EFFETTIVAMENTE IN QUELLO
STATO, il che implica un coinvolgimento di postura, emozioni e tutto il resto.
Le emozioni dipendono dalla relazione, vi parlano della relazione. Le stesse due parti che,
quando sono opposte tra loro, creano il senso di colpa, generano invece pace quando si
sostengono. Non che il senso di colpa e la pace siano cose diverse. L’emozione è un’energia
che le relazioni dirigono verso le diverse parti di noi stessi.
Se considero la rabbia che è rivolta verso me stesso e la indirizzo verso una visione del
futuro, allora essa diventerà un impegno. La rabbia non è qualcosa che potete chiudere in una
scatola e dire: “Oh, questa è rabbia… oh, questa è un’emozione.” È il modo in cui questi
sentimenti interni vengono veicolati che conta. Quando riorganizzo il loro modo di lavorare
insieme, essi finiscono per diventare qualcosa di diverso.
La paura si trasforma in potere. Si tratta della stessa energia; cambia solo il modo in cui è
orientata. È importante che le persone ritornino alle emozioni, ma lo è altrettanto sapere in che
modo metterle insieme, in modo che invece di sottrarre energia l’una all’altra, esse si
sostengano a vicenda. Ripeto, è la relazione che determina la qualità del sentimento. Fritz
Perls era brillante, ma aveva bisogno di qualche altra struttura, per sapere davvero come
portare a termine le questioni. Dice Richard Bandler: “Tutte le questioni hanno un termine. Il
punto è vedere se si sono risolte come volevate voi o no.”
Potete risolverle male o bene. Cosa deve succedere perché si risolvano bene? Questo è il
punto in cui io credo che sia necessario considerare le relazioni ed introdurre le risorse.
Non so se Perls abbia mai chiesto alle persone di trasferire le risorse da una parte di sé a
un’altra. Questo non risulta in modo esplicito nel suo lavoro. Credo, invece, che questo sia un
aspetto importante della soluzione, perché in questo modo ogni parte può condividere le
esperienze dell’altra. Le emozioni sono importanti, ma il resto lo è altrettanto.
D.: Ho l’impressione che la parte del passato stia cercando di proteggere la persona.
Molto spesso le decisioni relative all’identità vengono prese da bambini. Hanno bisogno di
essere aggiornate a mano a mano che si cresce e si matura.
Nella nostra vita spesso succede che ci troviamo ad attraversare delle fasi di transizione, che
pur essendo positive, creano delle crisi di identità. Diventare genitori determina una
transizione, che rappresenta un cambiamento di identità. Lo stesso accade con i cambiamenti
di lavoro. Molte volte in queste transizioni l’identità deve essere rivalutata o reintegrata.
Molto spesso, specialmente se c’è una transizione rapida, il tempo non è sufficiente perché la
nuova e la vecchia identità si riuniscano. In molte culture tradizionali, questo è lo scopo di ciò
che viene chiamato “rito di passaggio”. Questi riti vengono celebrati all’interno della cultura,
con lo scopo di integrare l’identità tra una fase e l’altra.
Le culture moderne hanno per lo più dimenticato questa fase importante. A volte, cerchiamo
persino di creare una nuova identità basandoci sul tentativo di liberarci di quella vecchia.
“Non voglio più essere così, quindi sarò tutto l’opposto di quello che ero prima.” Di
conseguenza, per un certo tempo, lo sviluppo della nuova identità è basato davvero
sull’andare “via da” o essere l’opposto della vecchia identità.
La strategia può essere utile, ma a un certo punto la vecchia identità deve essere reintegrata.
Probabilmente scoprirete soprattutto che le parti del passato sono correlate maggiormente
all’identità, mentre quelle più recenti potrebbero essere delle nuove convinzioni o delle
nuove capacità, che si sono sviluppate durante l’evoluzione. Perciò l’identità iniziale,
spesso, sembra essere in una posizione di protezione.
Il valore di quello che abbiamo fatto in questo esercizio è proprio qui. Mentre mi incammino
verso il futuro, ho bisogno di sapere che il mio comportamento non si adatterà immediatamente
alla nuova convinzione. È quello il punto critico, in cui ho davvero bisogno di forza e di
sostegno dal passato. Perché se cerco semplicemente di essere una nuova persona, e una parte
del mio io passato non crede che ciò “sia possibile”, nel momento in cui arrivo al punto in cui
la convinzione e il comportamento non convergono, allora mi sentirò trattenuto da questo mio
io passato. Ma se le due parti sono schierate insieme, esse offrono il supporto e l’energia per
costituire la massa critica necessaria, perché tutto si fonda insieme.
Quindi, quando faccio il ricalco nel futuro, devo assicurarmi che la persona sappia che non è
necessariamente detto che sia tutto rose e fiori.
Penso che il semplice fatto di mostrare alle persone la relazione tra la convinzione e
l’effettiva realizzazione pratica, a volte, le aiuti ad anticipare il ciclo naturale del
cambiamento, in modo che percepiscano come feedback, e non come fallimento, gli eventi che
stanno attorno a questa fase.
Un’altra strategia è di proseguire nel futuro oltre il particolare risultato che la persona vuole
ottenere. In questo modo vi ritrovate ancora più avanti e riuscite a guardarvi alle spalle,
vedendo quali problemi avete incontrato e come li avete affrontati. Se guardo a essi da una
prospettiva ancora più lontana nel futuro, potrei persino vedere dei modi per superare quella
determinata fase critica.
5
Sistemi di convinzioni
e relazioni
Probabilmente il modo più efficace per superare i momenti di crisi è avere a disposizione un
sistema di supporto. Non vogliamo sviluppare soltanto i comportamenti e le capacità che
sostengono la convinzione, ma anche un sistema di supporto nell’ambiente. Vorrei invitare
ciascuno di voi a fare questo esercizio: mentre pensate alle nuove convinzioni e alle nuove
identità che stabilite per voi stessi, concentratevi per un momento sul luogo e sulle
persone a cui rivolgervi, per sviluppare un sostegno per quella convinzione.
Forse c’è un posto speciale in cui andate per stare con voi stessi e riaffermare chi siete. Se
ancora non avete un luogo simile, inventatene uno; immaginate dove potreste collocarlo.
Createlo.
Pensate anche alle persone che più sosterranno i vostri cambiamenti; assicuratevi che i vostri
cambiamenti possano contare su un feedback e su un sostegno affidabili. I cambiamenti non
devono necessariamente pesare tutti sulle vostre spalle. Ci sono molte persone che vi
aiuteranno a cambiare e vi sosterranno.
Dobbiamo anche considerare che ci saranno persone che non sosterranno i vostri cambiamenti,
forse perché se ne sentono minacciate. Dobbiamo trovare dei sistemi per affrontarle. Non
credo che le persone che non danno il loro sostegno siano cattive. Credo che abbiano
intenzioni positive; ma il punto è come incanalare quelle intenzioni in un comportamento di
sostegno.
Voglio dare un’ultima dimostrazione, sul modo di trasformare delle relazioni che non sono di
sostegno.
Vorrei che pensaste a qualcuno, con cui voi già sapete che avrete dei problemi di
comunicazione, in relazione al vostro auspicato cambiamento di convinzioni. Pensate a una
persona con cui vi aspettate di avere problemi ad andare d’accordo. C’è qualcuno di voi che
conosce una persona del genere?
Perché non vieni tu, Barbara?
(Barbara si avvicina.)
Il metaspecchio
Prima fase - Assegnare un nome al comportamento
dell’altro
ROBERT: Immagina che questa persona sia qui, davanti a te.
Dai un nome al comportamento che rende veramente difficili le cose quando sei con lei. Cosa
fa? Come lo chiameresti? Come si comporta? È insensibile? È rigida?
BARBARA: Indifferente.
R.: Quindi, c’è indifferenza in questa persona e inflessibilità in te. Vorrei che tu considerassi
questo: se tu smettessi di essere inflessibile, lei potrebbe ancora essere indifferente?
Sarebbe possibile per lei essere indifferente, se tu fossi qualunque cosa ma non
inflessibile?
Il punto è questo: in ogni sistema umano, le nostre azioni determinano il modo in cui gli altri
agiscono e allo stesso modo le azioni degli altri determinano il nostro agire.
Questa persona è indifferente al tuo comportamento o alla tua identità?
B.: Sì.
(Al pubblico) Voglio che notiate come, probabilmente, le persone con cui passate i momenti
più difficili sono quelle a cui permettete di influenzare la vostra identità.
Una volta ho lavorato al modellamento della strategia di una persona, il cui lavoro consisteva
fondamentalmente nel gestire, per la sua azienda, le critiche dei clienti. Quando le persone si
lamentavano, lui partiva sempre dal livello da cui loro si lamentavano, le ricalcava e le
guidava via via fino a un livello più basso di comportamento specifico.
A volte le persone criticano la vostra identità, dicendo cose come: “È colpa tua.” Se prendete
la critica a livello di identità e pensate: “C’è qualcosa di sbagliato in me!”, essa avrà su di voi
un impatto emotivo molto forte. E vi brucerete nel giro di poco.
Ma questa persona diceva di solito qualcosa tipo: “Mi dispiace che lei sia turbato. Mi può
precisare cosa è successo esattamente?”. Dirigeva la critica da se stesso al problema. In
effetti, egli stava davanti alla persona che si lamentava come un esperto di arti marziali. Usava
la sua postura del corpo e la sua gestualità per orientare le parole e le immagini verso un
luogo specifico, che non fosse il proprio corpo. In questo modo ci si concentrava sul
“problema” e non su di lui.
Infine, spostava il tutto in alto verso la destra del cliente, verso la posizione della memoria,
trasformandolo in feedback invece che in fallimento. Non prendeva la cosa a livello di
identità. Sapeva che la sua identità era a posto, indipendentemente da quale fosse la reazione.
Non aveva bisogno di negare o opporsi a una critica; la dirigeva là dove sarebbe stata più
utile.
B.: Sì.
R.: E la tua rigidità sui valori non l’ha resa meno indifferente verso di te?
B.: No, perché sono stata risucchiata nel suo sistema. E ora sono bloccata. Non riesco a
uscirne.
R.: Sì. Vogliamo indagare sulla domanda: “Come mi metto in relazione con me stessa in
rapporto all’altra persona?”
B.: Il mio io interno pensa che niente di ciò che il mio io esterno fa, possa avere in alcun
modo qualche effetto sull’altra persona.
R.: In un certo senso, stai facendo a te stessa ciò che lui fa a te. Anche il tuo io interno sembra
indifferente al tuo io bloccato nella relazione. Chiamo questo processo “metaspecchio”,
perché spesso il modo in cui una persona tratta te, è un riflesso di come tu tratti te stesso. Il
problema non è solo l’altra persona o come reagisco all’altra persona, il problema è anche
qui, nel sistema tra le due diverse parti dell’io. Questo è un aspetto importante di come
lavora il sistema complessivo.
Come reagisce il tuo io esterno all’indifferenza interna?
R.: Non c’è da meravigliarsi che il tuo io esterno sia rigido. È tra l’incudine e il martello.
Penso che possa essere interessante scambiare queste posizioni (l’io interno con l’io
esterno).
Ad esempio, cosa sarebbe successo se avessi scambiato il posto dell’io esterno in prima
posizione, con quello dell’io interno in metaposizione, in modo da essere indifferente
verso l’altra persona e inflessibile con te stessa rispetto ai tuoi valori? Forse più sono
inflessibile con me stessa rispetto ai miei valori, più posso essere creativa nel mio
comportamento con l’altra persona.
La cosa bella di un lavoro sistemico come questo sta nel fatto che non è necessario
cambiare gli elementi del sistema per trovare la soluzione. È sufficiente modificare la
relazione tra gli elementi. Cosa succederebbe se lo facessi? Prova a prendere
semplicemente questi due io e a scambiarli fisicamente di posto.
R.: E se non c’è più la relazione, allora puoi iniziarne una nuova, anche se è con la stessa
persona?
B.: Sì.
R.: Ora diamo un’occhiata a queste due parti: quella che si trova ora in metaposizione è
inflessibile con te stessa rispetto ai tuoi valori. Vuoi avere una relazione con questa
persona adesso?
R.: Che tipo di relazione vorresti assicurarti di avere, se mai parlassi con questa persona in
futuro?
R.: OK. Ora, mettiti nella posizione dell’altra persona per un istante, in seconda posizione. Se
tu sperimentassi il mondo come fa lei, cosa ti renderebbe una persona più sincera e au
tentica?
(Barbara si muove fisicamente nella posizione dell’altra persona. Per un momento è
profondamente assorta nei suoi pensieri.)
R.: Ora esci dal sistema, in quarta posizione. Voglio che noti qualcosa di importante. Se riesci
a tirare fuori da questa persona la fiducia in se stessa, se agisci in modo da farle
acquistare più sicurezza, allora lei diventerà più autentica. Ecco la grande domanda: come
agiresti perché abbia più fiducia, in modo da essere sempre in linea con i tuoi valori?
(Al pubblico) Guardate la postura del corpo. È un’interessante combinazione di tutte le altre.
R.: Grazie.
Molto spesso, la difficoltà nel comunicare con un’altra persona è un’immagine speculare
del modo in cui ci si pone in relazione con se stessi.
Di fatto non è l’altra persona che rappresenta il problema o la soluzione.
Se riesco a fare un passo indietro, per vedere in che modo l’incomunicabilità è davvero un
riflesso del mio rapporto con me stesso, allora posso ristrutturare il sistema in modo tale da
essere proprio io di sostegno a me stesso. Questo, spesso, trasformerà l’intera relazione. La
tecnica di metaspecchio crea un contesto, in cui possiamo spostare continuamente la posizione
percettiva all’interno e all’esterno della relazione problematica, fino a che troviamo la
disposizione più ecologica e appropriata dei vari elementi della molecola relazionale.
4. Pensate in quali altri modi potreste reagire all’altro. Magari avete già cercato di cambiare
le vostre reazioni. Cosa vi fa continuare ad agire in quel modo, in questa relazione?
5. Ora, spostatevi lateralmente (in quarta metaposizione) e guardate il modo con cui trattate
voi stessi durante l’interazione, ad esempio: siete “sfrontati”, ”arrabbiati”, “critici”,
“creativi”, e così via. Notate a quali livelli logici (comportamento, capacità, convinzioni,
identità) operano le varie reazioni.
In che modo la reazione nei confronti di voi stessi è uno specchio di ciò che l’altra persona
sta facendo?
6. Dalla quarta metaposizione, scambiate le due posizioni associate a voi stessi. Mettete, cioè,
la reazione di terza posizione (il modo in cui trattate voi stessi) in prima posizione, in
modo da adottare quel livello di reazione nei confronti dell’altra persona. Mettete la
reazione che era in prima posizione nella terza. Notate come lo scambio modifichi il
sistema e trasformi l’espressione delle reazioni.
7. Mettetevi nei panni dell’altra persona (seconda posizione). Guardatevi attraverso i suoi
occhi. Come appare il vostro comportamento da quella prospettiva? Dal punto di vista
dell’altro, di cosa avete bisogno o cosa volete da voi stessi?
8. Riassociatevi nella zona della prima posizione già modificata (ad esempio, quella che è
stata trasformata dalle reazioni del livello dell’ex terza posizione). Notate come le vostre
reazioni e i vostri punti di vista siano cambiati.
Riassumiamo tutti gli elementi del lavoro sulle convinzioni, che abbiamo esplorato in questo
libro.
Abbiamo iniziato separando le convinzioni da altre funzioni nella nostra vita e nel nostro
comportamento. Le convinzioni sono diverse dalle strategie e dalle capacità, diverse dai
comportamenti, e abbiamo detto che hanno a che vedere con le generalizzazioni riguardo alle
cause, ai significati, ai valori e ai limiti.
In realtà sono a un livello diverso rispetto a quello dei comportamenti.
Discutere riguardo a un comportamento non cambierà necessariamente la convinzione,
perché il comportamento è su un altro livello. Abbiamo iniziato a lavorare con alcune
semplici convinzioni sulle capacità, scoprendo che ciò che dava loro un certo potere, non era
il fatto che fossero un’immagine, un suono o una sensazione, ma una molecola composta da una
relazione, una sinestesia tra immagini, suoni e sensazioni.
Il nostro primo passo è stato quello di riorganizzare le rappresentazioni, nelle loro posizioni
d’accesso fisiologiche appropriate.
In seguito abbiamo potuto ristrutturare la relazione in modo che ogni rappresentazione
sostenesse le altre nel sistema.
Poi siamo scesi un po’ più in profondità. Procedendo verso convinzioni più importanti,
ovvero verso convinzioni determinanti, abbiamo scoperto che esse non sono molecole
costituite solo da sistemi rappresentazionali, bensì relazioni critiche tra persone. Potrebbe
trattarsi della molecola relazionale tra me, mia madre e mio padre, invece che di un gruppo di
rappresentazioni sensoriali. Ancora una volta abbiamo lavorato per riorganizzare la molecola
in una struttura più appropriata, organizzata nel tempo e organizzata dalla posizione
percettiva, perché, lo ripeto, è a volte difficile distinguere le vostre convinzioni da quelle che
avete modellato dagli altri.
Abbiamo separato e riorganizzato la molecola relazionale e ci siamo spostati in una posizione
esterna al sistema, per apportarvi le risorse che consentono la riorganizzazione.
Infine, abbiamo lavorato con una molecola costituita dalla nostra identità, la cui struttura
crea un sistema di rinforzo sia positivo sia negativo. Questa forma una sinestesia dell’io, una
molecola dell’io. Abbiamo esaminato il modo di riorganizzare il sistema nell’insieme di
relazioni più appropriate ed ecologiche.
Meditazione conclusiva
Mettetevi ancora una volta in una posizione di abbandono. Lasciate che la vostra mente si
disponga in un nuovo atteggiamento, lasciate che cambi il proprio modo di operare, passando
dall’introduzione di informazioni all’integrazione e all’elaborazione di esse. Magari riuscite a
vedere un’immagine di voi come se steste galleggiando su voi stessi. Mentre osservate voi
stessi lì in basso, magari potete iniziare a concentrarvi su una parte del vostro viso con la
quale vi sentite a vostro agio, una parte che in qualche modo definisce qualcosa del vostro
essere.
Potrebbe trattarsi dei vostri occhi, della vostra bocca, delle ciglia, del naso, del mento, delle
guance, della fronte. Iniziate a concentrarvi su quella zona. Avvicinatevi sempre più, in modo
da iniziare a vedere quella parte di voi a un altro livello.
Probabilmente nella vostra mente potete ingrandirla abbastanza da iniziare a vedere i pori
della pelle e forse la peluria finissima. Avvicinatevi, ingrandite sempre di più l’immagine in
modo da vedere alcune delle cellule che costituiscono la pelle. E avvicinatevi ancora, ben
dentro voi stessi, tanto da vedere le singole cellule e i loro nuclei, andate ancora oltre,
entrando in un nucleo, nella profondità della cellula, fatevi sempre più vicini. Potete persino
vedere i cromosomi che creano la cellula, insaccati nel nucleo. Questi cromosomi che
provengono sia da vostro padre sia da vostra madre, che si integrano insieme in una relazione
di interazione.
Mentre vi concentrate ancora più da vicino su un cromosoma, addirittura potete iniziare a
trovare i filamenti di DNA, depositari del codice genetico e andare ancora oltre, dentro gli
aminoacidi che costituiscono il DNA e ancora oltre, nelle molecole che costituiscono questa
minuscola parte di voi. Più da vicino e più in profondità, potete vedere gli elettroni che
circondano il nucleo dell’atomo. Ora l’atomo inizia a disperdersi intorno a voi, diventando
sempre più grande e voi vi trovate in uno spazio, che sembra infinito, in mezzo agli atomi.
Quindi iniziate a tornare indietro, vedete l’elettrone, gli atomi che formano le molecole, le
molecole che formano gli aminoacidi che creano i geni e i filamenti di DNA, i cromosomi, e,
dopo questi, le singole cellule, che formano con altre cellule i pori della vostra pelle. Poi la
pelle diventa parte del vostro volto, e mentre guardate il vostro volto potete continuare a
tornare indietro fino a vedere il vostro corpo e i corpi delle persone vicino a voi.
Poi uscite dalla stanza, per poterla vedere in relazione alle altre stanze dell’edificio. Mentre
l’edificio si rimpicciolisce e si allontana, vedete gli altri edifici della città e le auto come se
fossero le cellule della città; e poi tutto ciò che c’è fino ai confini della città e oltre, fino a
vedere le altre città. Ancora oltre, iniziate a vedere i confini dei paesi, gli altri paesi che
stanno intorno e l’acqua blu dell’oceano. Ora andate oltre, su su attraverso le nuvole,
osservate i continenti, le altre masse d’acqua e le masse di terra, che diventano sempre più
piccole sotto il vostro sguardo. Infine, iniziate a vedere i confini della sfera blu, quel gioiello
blu che a mano a mano si rimpicciolisce. Gli altri pianeti appaiono tutt’intorno e diventano
sempre più piccoli, fino a che potete vederli come se fossero gli atomi che costituivano le
molecole più grosse.
Forse il nostro sistema solare è un molecola minuscola del corpo di Dio, che fa sì che noi
siamo una parte di un cromosoma, di una cellula, di un volto.
Mentre mantenete nella vostra mente tutti questi diversi livelli, può essere utile e interessante
ricordare che noi stessi esistiamo su tutti questi livelli, quasi come un ologramma.
E se, come diceva Einstein, “l’universo è un luogo amichevole”, allora le cose che avete
imparato qui si integreranno in voi nel modo più sereno ed ecologico per voi.
Mentre percepite gli altri intorno a voi, ovvero le altre identità, potete iniziare a tornare
indietro in questa stanza. Ma serbate in voi un po’ di quella sensazione di grande molecola di
cui siete parte. Vorrei ringraziarvi per la partecipazione, per le vostre domande, per la vostra
energia e le vostre convinzioni; e, cosa più importante, vorrei ringraziarvi di essere voi stessi,
grazie per le vostre identità. Ci rivedremo prima o poi, se non in questo universo, sicuramente
in qualche altro.
Grazie e arrivederci!
APPENDICI
Appendice I Schemi di Meta Programmi
c. Stile di pensiero
Visione
Azione
Logica Emozione
b. Comportamento esterno
Reazione interna
2. Movimenti oculari
I movimenti oculari automatici, inconsci, spesso accompagnano particolari processi di
pensiero che indicano l’accesso a uno dei sistemi rappresentazionali. Queste posizioni oculari
possono anche stimolare l’accesso e sostenere l’attività di un particolare sistema sensoriale.
La PNL ha categorizzato questi segnali di accesso nello schema seguente:
Appendice III Livelli neurologici
I. Livelli logici
Gregory Bateson ha fatto notare come, nei processi di apprendimento, di cambiamento e di
comunicazione, ci siano delle gerarchie naturali di classificazione. La funzione di ciascun
livello era per lui quella di organizzare l’informazione del livello sottostante. Le regole per
cambiare qualcosa ad un certo livello erano diverse da quelle per cambiare qualcosa al
livello sottostante. Il cambiamento di qualcosa ad un livello più basso poteva influenzare i
livelli più alti, anche se non necessariamente; ma il cambiamento ai livelli più alti avrebbe
necessariamente modificato le cose ai livelli sottostanti, perché potessero sostenere i
cambiamenti dei livelli superiori. Bateson ha notato che spesso era la confusione di livelli
logici che creava problemi.
Spirituale Trasmissione
A. Chi sono – Identità (Chi) Missione
Il mio sistema di convinzioni –
B. Consenso e motivazioni
Valori, criteri (Perché)
Le mie capacità –
C. Direzione
Stati, strategie (Come)
Cosa faccio –
D. Azioni
Comportamenti specifici (Cosa)
Il mio ambiente – Contesto esterno
E. Reazioni
(Dove, quando)
Le seguenti affermazioni indicano i diversi livelli in una persona che sta lavorando con
impegno per raggiungere un obiettivo nell’ambito della propria salute.
Le seguenti affermazioni indicano i diversi livelli in una persona che ha problemi con l’alcol.
SUBMODALITÀ
VISIVE AUDITIVE CINESTESICHE
LUMINOSITÀ VOLUME INTENSITÀ
(offuscato – brillante) (alto – basso) (forte – debole)
DIMENSIONE TONO AREA
(grande – piccolo) (basso – acuto) (ampio – ristretto)
COLORE ESTENSIONE VOCALE DURATA
(in bianco e nero – a colori) (su toni alti o bassi) (costante – intermittente)
MOVIMENTO TEMPO TEMPERATURA
(veloce – lento – immobile) (veloce – lento) (caldo – freddo)
DISTANZA DISTANZA PESO
(vicino – lontano) (vicino – lontano) (pesante – leggero)
MESSA A FUOCO
RITMO
(nitido – sfuocato)
POSIZIONE POSIZIONE POSIZIONE
PROFONDITÀ
(tridimensionale –
piatto)
METAMODALITÀ
ASSOCIATO – EMOZIONALE –
PAROLE – SUONI
DISSOCIATO TATTILE
INTERNO – INTERNO – INTERNO –
ESTERNO ESTERNO ESTERNO
GLOSSARIO DI PNL
Ambiente: contesto esterno in cui il nostro comportamento ha luogo. Il nostro ambiente è ciò
che percepiamo come “esterno” a noi. Non è parte del nostro comportamento, quanto piuttosto
qualcosa a cui dobbiamo reagire.
Ancoraggio: processo tramite il quale si associa una risposta interna a qualche stimolo
esterno (simile al condizionamento classico), in modo che sia possibile riaccedere alla
reazione in modo veloce e, a volte, nascosto.
Calibrazione: processo che consente di imparare a leggere le risposte inconsce, non verbali,
di un’altra persona durante un’interazione in atto, tramite l’abbinamento di segnali d’accesso
comportamentali visibili con risposte interne specifiche.
Cinestesico: relativo alle sensazioni del corpo. Nella PNL il termine cinestesico è usato per
comprendere ogni tipo di sensazione, comprese quelle tattili, quelle viscerali e quelle
emotive.
Citazioni: schema in cui un messaggio che si vuole trasmettere può essere incastrato tra
citazioni, come se qualcun altro l’avesse proferito.
Contesto: struttura che circonda un particolare evento. Questa struttura spesso determina il
modo in cui un evento o un’esperienza particolare vengono interpretati.
Convinzioni: generalizzazioni sostenute con decisione riguardanti (1) cause, (2) significati e
(3) limiti (a) del mondo che ci circonda, (b) del nostro comportamento, (c) delle nostre
capacità e (d) della nostra identità. Le convinzioni funzionano a livelli diversi da quelli della
realtà concreta e servono a guidare e a interpretare le nostre percezioni della realtà,
mettendole spesso in relazione con i nostri criteri e i nostri sistemi di valori. Le convinzioni
sono notoriamente difficili da cambiare attraverso le regole tradizionali della logica o del
pensiero razionale.
Criteri: valori e standard che una persona utilizza per prendere decisioni o dare giudizi.
Identità: la nostra percezione di chi siamo. Il nostro senso di identità organizza le nostre
convinzioni, capacità e comportamenti in un unico sistema.
Livelli logici: gerarchia interna in cui ogni livello è progressivamente di maggior impatto e
psicologicamente più determinante. In ordine di importanza (dall’alto al basso), questi livelli
includono: (1) identità, (2) convinzioni, (3) capacità, (4) comportamento e (5) ambiente.
Meta Modello: modello sviluppato da John Grinder e Richard Bandler, che identifica le
categorie di schemi linguistici che possono essere ambigui o problematici.
Meta Programma: livello di programmazione mentale che determina il modo in cui
classifichiamo, orientiamo le nostre esperienze e le organizziamo. I nostri Meta Programmi
sono più astratti delle nostre specifiche strategie di pensiero e definiscono il nostro approccio
complessivo ad una particolare questione, piuttosto che i dettagli del nostro processo mentale.
Metafora: processo mediante il quale si pensa a una situazione o a un fenomeno sotto forma
di qualcos’altro (ad esempio storie, parabole e analogie).
Obiettivo ben formato: un obiettivo in PNL è ben formato, cioè consente di arrivare a un
esito efficace ed ecologico, quando vengono soddisfatte le seguenti condizioni: l’obiettivo è
(1) enunciato al positivo, (2) definito e valutato in base a prove basate sui sensi, (3) iniziato e
mantenuto dalla persona che persegue l’obiettivo, (4) tale da preservare i sottoprodotti
positivi del presente stato e (5) appropriatamente contestualizzato in modo che si adatti
all’ecologia esterna.
Posizione: particolare prospettiva o punto di vista. Nella PNL ci sono tre posizioni
fondamentali che si possono assumere per percepire una particolare esperienza. La prima
posizione consiste nel fare esperienza di qualcosa attraverso i propri occhi, associati al
proprio punto di vista, in prima persona. La seconda posizione consiste nel fare esperienza di
qualcosa come se si fosse nei panni di un’altra persona. La terza posizione consiste nel fare un
passo indietro e nel percepire la relazione tra se stessi e gli altri da una prospettiva dissociata.
Predicati: parole che indicano un processo (come verbi, avverbi e aggettivi) selezionato per
descrivere un soggetto. I predicati vengono usati in PNL per identificare quale sistema
rappresentazionale la persona stia usando per elaborare un’informazione.
Ricalco: metodo usato dai comunicatori per stabilire rapidamente il rapport, adattando alcuni
aspetti del proprio comportamento a quelli della persona con cui stanno comunicando –
adattamento o rispecchiamento di un comportamento.
Ricalco nel futuro: processo mentale tramite cui si sperimenta più volte una situazione futura,
al fine di assicurarsi che il comportamento desiderato si verifichi in modo automatico e
spontaneo.
Ricerca transderivazionale: processo di ricerca, indietro nel tempo, dei propri ricordi e
delle proprie rappresentazioni mentali, per individuare esperienze di riferimento da cui sono
derivati un comportamento o una reazione del presente.
Stato: l’insieme delle condizioni mentali e fisiche, in base alle quali una persona si comporta.
Strategia: insieme di azioni mentali e comportamentali esplicite, usate per raggiungere uno
specifico risultato. Nella PNL, il più importante aspetto di una strategia è rappresentato dai
sistemi rappresentazionali, usati per eseguire ogni specifica azione.
Struttura profonda: mappa (sia conscia sia inconscia) che le persone usano per organizzare e
guidare il proprio comportamento.
Collana PNL
Robert Dilts
Robert Dilts esamina il potere delle parole di figure storiche come Abraham Lincoln,
Hitler, Gandhi, Socrate e Gesù. I suoi studi intensi rivelano come alcuni modelli
linguistici possano influenzare profondamente la vita delle persone. Una risorsa
importante per chi utilizza il linguaggio come strumento di lavoro. Un libro
straordinario sul reale impatto delle parole.
Robert Dilts
Un manuale prezioso che riparte dalle intuizioni originarie dei creatori della PNL. Un
ritorno alle basi della PNL che ci ricorda la potenza e la grazia delle sue applicazioni
in numerosi campi della vita personale e professionale. Contiene articoli sull’uso
della Programmazione Neuro-Linguistica nei seguenti ambiti:
• Comunicazione aziendale
• Vendite
• Terapia della famiglia
• Negoziazione
• Metodo socratico e indagine filosofica
• Istruzione
• Scrittura creativa
• Salute
Collana Coaching
Robert Dilts