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Ciò che in questa sede ci interessa evidenziare è il legame particolare che di fatto ha da sempre
unito la scienza psichiatrica alla condizione femminile. La comprensione di un tale legame offre la
possibilità di leggere l'intreccio spesso oscuro tra ruoli, competenze, funzioni sociali proprie
dell'essere donna, da un lato, e i compiti istituzionali della psichiatria, dall'altro.
La lettura che proponiamo, che è comunque una delle possibili letture del problema, risulta
senz'altro più soddisfacente dal punto di vista femminile; essa infatti permette di illuminare una
serie di questioni e di nessi che in altro modo risultano trascurati o considerati di poco conto nella
formazione della malattia mentale. Facendo riferimento all'analisi della condizione femminile si
può infatti ride- finire la funzione della psichiatria come prevalente funzione di controllo dei
comportamenti di ruolo sessuali e familiari.
La sanzione psichiatrica
Anche sul piano delle specifiche sanzioni psichiatriche ritroviamo il legame preferenziale della
psichiatria con la donna. La sanzione che accompagna l'intervento di controllo della psichiatria sui
comportamenti deroganti si concretizza in quello che è il suo effetto: il disconoscimento di
responsabilità rispetto all'atto derogante, e per ciò stesso rispetto all'individuo in tutto il suo
complesso. Attraverso l'affermazione dell'esistenza di una malattia o di un comportamento malato la
psichiatria decolpevolizza, ma anche priva di responsabilità l'individuo. L'atto diagnostico consiste
allora in una definizione sostanziale di in- capacità e irresponsabilità dell'individuo e dei suoi atti.
La definizione di incapacità e irresponsabilità che la psichiatria attribuisce all'individuo «da curare»
costituisce per la donna solo un'estensione di un principio giuridico che nell'Ottocento la vedeva
come incapace e irresponsabile nei vari campi (penale, civile, lavorativo, etc.) (Manfredi e
Mangano, 1983). Questa incapacità che la psichiatria assume nella interpretazione del
comportamento deviante femminile è cioè ben presente ancor prima e al di là della psichiatria: il
giudizio di incapacità ha accompagnato la storia della donna costituendo uno degli elementi sociali
della sua subordinazione. E nella storia della psichiatria è ancora ben visibile come per la donna a
giudizio di incapacità preesista e accompagni il giudizio di malattia. Dalla particolare costituzione
fisica delle donne, dalla particolare funzione materna, dai particolari compiti che la donna deve
assumere nel sociale, la psichiatria ricava il quadro di tutte quelle limitazioni della natura femminile
che saranno poste alla base del giudizio e della interpretazione della malattia mentale della donna.
La richiesta di cura
Il legame tra condizione femminile e psichiatria è risaltato ai nostri occhi di tecnici donne sia in
forma qualitativa sia in forma quantitativa, tanto nel lavoro manicomiale, tanto nel lavoro
territoriale (Reale et al., 1982). Sul piano della qualità si è constatato che i motivi che hanno indotto
l'istituzione manicomiale a segregare le donne originavano dalla necessità di controllare la
sessualità e il lavoro riproduttivo come luogo di formazione del ruolo femminile contro ogni tipo di
devianza (vagabondaggio sessuale, turpiloquio, rifiuto del lavoro domestico-familiare, rifiuto
all'accudimento dei figli, rottura o messa in discussione «anomala» del rapporto di coppia). In
maniera diversa, i motivi del ricorso al ricovero per i maschi originavano direttamente dalla sfera
del lavoro produttivo e dell'economico (mancanza di lavoro, vagabondaggio, mancanza di casa,
mancanza di mezzi di sostentamento, violenza sociale, etc.), oppure dalla violazione di altre norme
(penali). Sul piano della quantità, il ricorso alla struttura psichiatrica sia pubblica sia privata ha visto
un'affluenza massiccia di donne. I dati della nostra esperienza, a partire dall'applicazione della legge
180, parlano di prevalenza netta dell'utenza femminile. Anche i dati di altri territori e di altre città
(Arezzo, Bologna, Roma, Trieste) indicano che l'utenza dei nuovi servizi di salute mentale sta
registrando un ribaltamento progressivo di quel rapporto che nel manicomio degli ultimi anni in
Italia vedeva una prevalenza di maschi. Questo dato, se messo in relazione con il più frequente
ricorso volontario delle donne alla struttura sanitaria e psichiatrica, spiega il perché del
ribaltamento. Nel manicomio vi è sempre stato poco spazio per il ricovero volontario: esso è sempre
stato una struttura di controllo violenta, e difficilmente una donna vi si sarebbe rivolta
spontaneamente. D'altro canto anche il ricovero coattivo sulle donne è stato una pratica meno
diffusa in quanto l'istituzione familiare, più facilmente dalle donne che dai maschi, ha ottenuto il
consenso alla cura. Anche questo dato si è modificato con il tempo: situazioni diverse si sono avute
in aree diverse e in epoche differenti. Ciò che comunque ci preme affermare è che negli ultimi anni,
con la trasformazione dei servizi e della risposta istituzionale, si registra una presenza di utenza
femminile che si va facendo sempre più pressante. Questa linea di tendenza indica un percorso
specifico delle donne verso la psichiatria, percorso già documentato per altre nazioni come gli Stati
Uniti (Chesler, 1972). Si rileva così una specificità del ruolo femminile nel maggior ricorso delle
donne alla pratica di autodenuncia di malattia e di richiesta di cura ai servizi di salute mentale.
Un quadro tendenzialmente più completo del legame tra donne e psichiatria non può prescindere da
alcune annotazioni sulla situazione economica del mondo femminile nel momento in cui la
psichiatria appare all'interno del panorama scientifico ottocentesco. Il dato che ci appare senz'altro
più evidente è quella complessa articolazione del rapporto tra donne e mondo produttivo che vede le
donne lavorare negli stessi luoghi maschi, le fabbriche, ma con la pretesa sociale di definire come
illegittima questa presenza. L'aspetto più clamoroso di ciò è la disparità di trattamento economico
rispetto al lavoratore di sesso maschile che appare al tempo stesso effetto e fondamento di tale
definizione di illegittimità. Senza voler entrare qui nella complessa analisi. del lavoro femminile, ci
sembra che all'atto della modifica dell'assetto economico della società (genesi e affermazione del
modo di produzione capitalistico) la condizione femminile sia stata contrassegnata da un massimo
di frammentazione e separatezza di funzioni lavorative e sociali. Se paragoniamo brevemente il
posto della donna all'interno dell'assetto sociale precedente a quello capitalistico, vediamo che la
partecipazione al lavoro produttivo sia agricolo sia artigianale non poneva alla donna particolari
problemi di organizzazione del quotidiano. L'uno e l'altro lavoro erano pensati come
prolungamento della vita domestica e non creavano alla donna quelle contraddizioni che si
presenteranno invece in epoca successiva. La donna viveva così una situazione integrata rispetto
alle sue due possibilità esistenziali e alle sue due funzioni: il lavoro riproduttivo e quelle
produttivo. Certo, questa integrazione delle sue capacità non significa per la donna maggior potere
sociale: poiché rimane sempre vero il dato dell'esclusione della donna dalla gestione e
partecipazione diretta al potere. Più semplicemente, la partecipazione delle donne al lavoro
produttivo era consentita e prevista all'interno di un'organizzazione societaria che non attribuiva a
esso un valore di ricchezza sociale. Poi, nel momento in cui, all'interno della società industriale, il
lavoro produttivo diviene asse portante del nuovo assetto economico, la donna vede mettere in
discussione la sua partecipazione al lavoro produttivo in quanto lavoro contrapposto «da sempre»
alla sua funzione naturale e al suo destino biologico: il lavoro riproduttivo-familiare.
Con ciò si tende anche ideologicamente a mettere in ombra e a occultare il dato di fatto che la
donna, come afferma Evelyn Sullerot (1977), ha sempre lavorato e ha sempre portato il peso di un
lavoro materiale legato alla produzione di beni e alla sopravvivenza. Con il nuovo modo di
produzione capitalistico la donna comincia a scindere se stessa come individuo sociale, col
suddividere le sue capacità nel momento in cui si differenziano i luoghi della produzione (casa-
fabbrica).
Tavola 11: Professioni esercitiate all'ingresso nella prostituzione in Francia nel 1840 su
3120 casi
Dalle brevi note sulla storia economica delle donne e sul ruolo sociale femminile ripartiamo per una
rilettura della storia della psichiatria che dia maggiore visibilità al nesso donne-follia. L'obiettivo è
quello di rendere meno «inapparente» il ruolo che le donne hanno avuto nella formazione storica sia
della teoria sia della prassi psichiatrica. Ripercorreremo quindi in breve le tappe di questa storia
cercando eli individuare gli atteggiamenti degli psichiatri rispetto al disagio femminile, così come le
loro opinioni e credenze. I momenti essenziali che ci sembra di dover sottolineare sono:
A. una fase iniziale da cui emerge con particolare evidenza come la condizione sessuale della
donna sia considerata il luogo naturale e preferenziale per l'insorgenza della malattia mentale;
B. un secondo momento in cui tende a delinearsi una teoria universale del disagio e della malattia
che riduce l'incidenza delle differenze sessuali sulla genesi della malattia.
Il passaggio dall'una all'altra fase è scandito da una serie di tappe successive che in modo graduale
tendono a separare i contenuti della vita quotidiana, in qualsiasi modo espressi, dalla sofferenza
prima e dalla malattia dopo. Queste tappe cui diamo una prima definizione, costituiscono i momenti
generali del processo di formazione della scienza psichiatrica:
i. la costruzione del folle-malato separata dall'identità del mendico;
ii. la separazione del giudizio morale (che coinvolge l'analisi della vita del soggetto nella sua
complessità) dall'osservazione del comportamento cosiddetto malato che si elabora solo
all'interno dello spazio di internamento;
iii. la separazione tra i diversi tipi di comportamento che si verificano all'interno
dell'istituzione e che daranno luogo a una gerarchia di comportamenti definiti come
patologici;
iv. la separazione del corpo biologico dal corpo sessuato e da quello sociale: sempre di più il
corpo sarà considerato un insieme di processi chimico-fisici, all'interno dei quali azioni e
reazioni appaiono come neutrali rispetto a differenze economiche, sociali e sessuali.
All'interno di queste tappe, il nostro obiettivo è, da un lato, dare rilevanza alle interpretazioni e
codifiche del comportamento femminile, così come si sono succedute nella storia della psichiatria;
dall'altro, rendere visibile come l'analisi del comportamento femminile sia stato l'elemento centrale
e costitutivo del sapere psichiatrico.
Bibliografia
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Note
1. A tale proposito rimandiamo a più recenti ricerche sulla discriminazione sessuale nel lavoro. Aa.
Vv..- «Le sexe du travail», Presses Universitaires de Grenoble;",Grenoble.
2. A proposito di «stato e percezione» di malattia si veda E. Reale e M.L. Pepe: «Donne e follia»,
Devianza & Emarginazione, 1, 5, 1984.