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OBESITA’ E SOVRAPPESO NEI DISTURBI PSICHIATRICI

Considerazioni generali

Introduzione
È oggi noto che l'obesità, considerata fino a non molti anni fa una "variante morfologica", costituisce in realtà un fattore
di rischio per numerose condizioni patologiche correlate che possono incidere significativamente sulla qualità e sulla
durata della vita. In questo senso l'obesità potrebbe essere considerata una malattia cronica, nell'accezione più ampia del
concetto, che necessita di una diagnosi precoce e trattamenti adeguati.
Si definisce obesità quella condizione nella quale il peso corporeo del soggetto eccede il peso ideale del 30% e obesità
grave quando eccede del 60%. Altrimenti si pone diagnosi di obesità, in relazione alla presenza nel soma di un'alta
percentuale di grasso corporeo relativo, e precisamente quando si rilevi un eccesso di adipe pari al 30-35% nel sesso
femminile, e pari al 20-25% nel sesso maschile. Si considera "sovrappeso" un eccesso ponderale compreso tra il 20 e il
30%.
Si distinguono primariamente due tipologie di obesità, l'obesità essenziale e l'obesità secondaria. Si definiscono
essenziali quelle obesità per le quali non sia stata ancora identificata l'esatta patogenesi e che sono presumibilmente
riconducibili a fattori genetici, metabolici, nutrizionali, sociali e culturali. Si considerano secondarie le obesità
conseguenti a malattie genetiche, ad alterazioni neuroendocrine, a endocrinopatie, all'assunzione di farmaci e a disagi
psichiatrici.
L'obesità quindi può essere una conseguenza di molti disturbi psichiatrici, pur non essendo considerata propriamente un
disturbo di natura psichiatrica né nel DSM-IV né nell'ICD-10.
A loro volta i disturbi psichiatrici che possono essere causa di alterazioni del peso corporeo si distinguono, dal punto di
vista "nosografico" in primari e secondari.
I disturbi primari sono alterazioni del comportamento alimentare non dipendenti da altri disturbi psichiatrici e che di
conseguenza sono considerati come sindromi primarie e indipendenti.
I disturbi secondari sono alterazioni del comportamento alimentare che rappresentano sintomi di altri disturbi
psichiatrici oppure una conseguenza dell'assunzione di sostanze psicoattive utilizzate per la cura del disturbo
psichiatrico primario.

Le prime descrizioni di comportamenti o atteggiamenti relativi all'alimentazione ed al cibo che presentano


caratteristiche sovrapponibili a quelli che verrebbero oggi considerati come disturbi della condotta alimentare (DCA)
compaiono 2000 anni fa, o più. L'iconografia di alcune sante cristiane ricalca inequivocabilmente condotte alimentari di
natura anoressica. Né mancano nell'antica letteratura ebraica e greca rappresentazioni, talora caricaturali, di soggetti
pletorici incapaci di controllare gli attacchi di fame e di voracità insaziabile.
Tuttavia per lungo tempo i DCA sono rimasti misconosciuti nella loro complessità e considerati prevalentemente come
disturbi endocrini, o sintomi di altre sindromi quali l'isteria, la nevrosi ossessiva ed altri disturbi psicopatologici.
Divenuti finalmente oggetto di studi sistematici e ricerche specifiche i DCA hanno ricevuto negli anni '80 una dignità
nosografica fino al più recente inquadramento categoriale dell'ultima edizione del DSM-IV.
Una definizione completa ed allargata di disturbo del comportamento alimentare è quella fornita da Fairburn e Walsh,
che descrivono una sindrome caratterizzata da un'alterazione persistente del comportamento alimentare e delle
condotte connesse con il cibo che diano luogo, come risultato finale, ad una inadeguata assunzione e/o assorbimento
degli alimenti. Tale disturbo, non causato direttamente da patologie internistiche o da altri disturbi psichici, può
compromettere in modo significativo il funzionamento psicosociale ed il benessere fisico del paziente.

Rilievi epidemiologici

La maggior parte degli autori è concorde nel ritenere che l'incidenza e la prevalenza dei disturbi alimentari e delle
condizioni di sovrappeso siano in aumento in tutto il mondo. In Inghilterra, ad esempio, la percentuale dei soggetti
sovrappeso è raddoppiata, negli ultimi dieci anni, raggiungendo il 51% della popolazione. Negli Stati Uniti il 55% della
popolazione è sovrappeso.
La prevalenza dell'obesità varia notevolmente da un paese all'altro con una percentuale maggiore nei paesi
industrializzati rispetto a quelli in via di sviluppo. Negli Stati Uniti che rappresentano forse il paese con la più elevata
prevalenza di obesità la percentuale è del 23%. In Italia la prevalenza dell'obesità patologica è del 6,5%, 7,0% negli
uomini e 6,1% nelle donne. La percentuale di soggetti sovrappeso risulta del 31,6%, 39,2% negli uomini e 24,5% nelle
donne (Tabella 1).

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Tabella 1. Dati epidemiologici rilevati in Italia

Prevalenza in Italia Sovrappeso Obesità

Totale 31,6% 6,5%

Uomini 39,2% 7,0%

Donne 24,5% 6,1%

Gli studi epidemiologici sui disturbi alimentari codificati dal DSM-IV sono nel complesso molto carenti in relazione ad
alcune caratteristiche e considerazioni comuni ad entrambe le sindromi.
Le pazienti anoressiche sono poco collaborative anche perché uno degli aspetti cardine della malattia è proprio la scarsa
consapevolezza di malattia. Per lungo tempo negano completamente alcuna sofferenza e/o patologia e quindi non
riferiscono i sintomi che consentirebbero un adeguato inquadramento diagnostico. Inoltre considerato il trend culturale
da anni imperante, che mitizza la linea magra e snella inducendo all'abuso di diete salutiste o meno, nonché dell'attività
sportiva praticata anche in misura eccessiva, le anomalie comportamentali, soprattutto nella fase iniziale di malattia,
possono costituire quasi un continuum rispetto alla normalità, e quindi possono sfuggire ad uno screening non molto
raffinato. Non da meno, le pazienti bulimiche sono molto restie a rivelare la loro condotta bulimica o la tendenza ad
indursi il vomito, e ulteriore ostacolo le crisi iperfagiche vengono consumate in gran segreto.
D'altro canto molti studi epidemiologici sono stati condotti utilizzando questionari autosomministrati e quindi risultano
nel complesso scarsamente attendibili. Né minor peso condizionante ha su queste indagini la giovane storia
psicopatologica delle due sindromi quali patologie psichiatriche. Nonostante la mancanza di dati certi comunque tutti
gli studi attestano che la bulimia nervosa è attualmente un disturbo più diffuso dell'anoressia nervosa, tanto che alcuni
autori hanno descritto l'anoressia nervosa come la patologia degli anni '70 e la bulimia la patologia degli anni '80. Nella
tabella 2 sono riportati i valori epidemiologici più accreditati.

Tabella 2. Valori epidemiologici più accreditati

Incidenza Prevalenza

Anoressia 6,8‰ 0,5-1%


(Hoek '95) (DSM-IV)

Bulimia 9,1‰ 1-3%


(Hoek '95) (DSM-IV)

DAI Dato non disponibile 0,7-4,6

Per altro i tassi di diffusione dei DCA sono estremamente variabili in relazione alla tipologia del campione censito. I
parametri relativi alla razza e alla nazionalità, alla cultura e al censo di appartenenza, all'età e al genere, all'adesione a
gruppi particolari, e altre variabili epidemiologiche spostano i valori relativi in misura significativa.
Ad esempio per l'anoressia nervosa i valori comuni di prevalenza descritti al 113,1% persone, si innalzano nell'età
compresa tra i 15-19 anni a 480,3‰.
I valori rilevati per la bulimia tra gli studenti liceali, nella fascia dell'età a rischio, si allargano fino a valori compresi tra
il 3,8 e il 9%. Per altro nelle popolazioni di studenti liceali ed universitari le crisi iperfagiche risultano estremamente
comuni sia nel sesso femminile, dal 25 all'80%, che nel sesso maschile, dal 40 al 60%. Complessivamente comunque
solo il 2% delle donne e una percentuale minore di uomini presenta una sintomatologia completa per la diagnosi di
bulimia.

Alcune altre considerazioni generali accomunano le due sindromi: entrambe sono nettamente più frequenti nel sesso
femminile. La prevalenza dell'anoressia è nel sesso femminile di 10 o 20 volte superiore a quella maschile. Anche la
prevalenza della bulimia presenta un rapporto femminile versus maschile di 10:1, che arriva fino a 50 ad 1 quando si
valuti la popolazione dei soggetti che giunge alla consultazione psichiatrica.
L'età di esordio è limitrofa. L'anoressia ha inizio tipicamente nella prima adolescenza. L'85% dei casi esordisce tra i 13

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e i 20 anni con una distribuzione bimodale che presenta due picchi: uno ai 14,5 e un secondo picco ai 18 anni. Non
mancano comunque alcuni casi insorti dopo i 30 anni e più rari tardivamente, dopo la menopausa.
L'età di esordio della bulimia è più tardiva collocandosi nella seconda adolescenza o nella prima età adulta, in un
intervallo compreso tra i 12 e i 35 anni, con un picco massimo intorno ai 18 anni.
Entrambe le sindromi sono più diffuse nei paesi industrializzati. L'anoressia è ritenuta a tutt'oggi una patologia
prerogativa delle società industrializzate e della cultura occidentale: i dati attestano che la diffusione nei paesi di altra
cultura è conseguente all'identificazione con la cultura occidentale.
Riguardo alla stratificazione sociale si è osservato che, se fino agli anni '70 l'anoressia era una sindrome di appannaggio
esclusivo dell'alta o medio-alta borghesia, negli anni '80 questa delimitazione di censo si è attenuata. La bulimia
presenta un'incidenza direttamente proporzionale all'urbanizzazione, più bassa nelle zone rurali e più elevata nelle
metropoli. È tradizione della cultura occidentale, in occasione delle festività, abbandonarsi a libagioni senza controllo. A
tal fine gli antichi romani inventarono il "vomitorio" per limitare il peso della crapula.
Entrambe le sindromi sono maggiormente presenti in alcuni gruppi chiusi, governati da regole rigide dove praticano
attività peculiari: modelle, ballerine, atleti.
La maggior parte delle pazienti ha una cultura universitaria. Due terzi delle pazienti bulimiche sono nubili. La razza
bianca è quella maggiormente coinvolta soprattutto nella fascia socioeconomica più elevata, pur avendo la bulimia una
distribuzione ubiquitaria, sia rispetto alla razza che al ceto sociale. Generalmente i soggetti arrivano all'osservazione
psichiatrica almeno cinque anni dopo l'esordio dei sintomi.
Il disturbo da alimentazione incontrollata, DAI, appare tendenzialmente raro nella popolazione comune con una
prevalenza compresa tra lo 0,7 e il 4,6%. La prevalenza si innalza invece in modo significativo nelle popolazioni di
soggetti obesi, in misura proporzionalmente corrispondente all'entità del sovrappeso. Ad esempio tra i soggetti che
adottano programmi dietetici in centri specializzati non medici risulta essere del 16%, per salire al 30% nei soggetti
obesi che si affidano alle cliniche universitarie specialistiche, e raggiungere il 70% tra i soggetti che frequentano i
gruppi degli Overeaters Anonymus. In Italia la percentuale di soggetti cui è stata posta diagnosi di DAI, in una
popolazione di obesi in trattamento presso una struttura universitaria specializzata, è risultata dell'11,9%.
Il DAI è solo relativamente più frequente nei soggetti di sesso femminile, con un rapporto 3:2, rispetto a quello
maschile. Non si rilevano altre annotazioni di natura epidemiologica significative. L'età di esordio riferita dai pazienti si
colloca tra i 20 e i 21 anni per giungere all'osservazione specialistica tra i 30 e 40 anni, riferendo oscillazioni del peso
corporeo anche di dieci chili.

Fisiopatologia dei DCA

Introduzione
Il comportamento alimentare, funzione primaria per la reintegrazione delle energie utilizzate, per l'introduzione dei
materiali necessari alla crescita e alla riparazione, nonché per l'acquisizione delle sostanze "nobili", è diretto al
soddisfacimento del più importante bisogno fisiologico legato alla conservazione dell'esistenza. Gli alimenti infatti
devono assolvere due scopi fondamentali: la reintegrazione dei materiali, svolgendo una funzione di restauratori, e il
rifornimento dell'energia, svolgendo una funzione dinamogena. Il mangiare costituirebbe quindi un atto finalizzato al
mantenimento di una condizione metabolica omeostatica. La funzione adattiva e omeostatica è diretta al mantenimento
di una costanza interna all'organismo nonostante le possibili variazioni delle condizioni ambientali esterne e il livello
delle riserve energetiche interne.
La condotta alimentare, forse anche per la sua importanza intrinseca, risulta essere una funzione estremamente
complessa che costituisce, in realtà, la tappa finale di alcuni comportamenti, quali la ricerca e l'ingestione del cibo, e di
reazioni a catena specifiche, innescate dall'integrazione di stimoli interni ed esterni all'organismo, che si estrinsecano in
molteplici modalità comportamentali.
La scelta della qualità del cibo, seppure condizionata dalla disponibilità reale, è così diversificata che l'uomo viene
definito onnivoro. Comunque qualunque sia il tipo di alimenti assunti, la quantità e la qualità dei principi alimentari,
sotto forma di proteine, grassi, carboidrati, sali, acqua e vitamine, nonché la quantità di calorie che vengono
quotidianamente ingerite e consumate dagli esseri umani, è pressoché sovrapponibile, in condizioni climatiche analoghe
e in condizioni normali. Tuttavia, come vedremo, numerose variabili di natura socio-ambientale, climatica,
etnoculturale e religiosa, interferiscono sulla modalità di alimentarsi del singolo individuo, inducendo modificazioni
quantitative e/o qualitative del cibo che viene assunto.

Nello svolgimento del comportamento alimentare è possibile differenziare un momento iniziale, una fase di
mantenimento e un tempo conclusivo, derivati dall'integrazione delle informazioni metaboliche provenienti da diversi
organi periferici, effettori, e dei segnali neurochimici espressi dal sistema nervoso centrale.
Gli effettori sono costituiti da numerosi segnali, ad esempio i livelli ematici di sostanze nutrienti semplici come il
glucosio, gli acidi grassi o gli aminoacidi, le molecole di neurotrasmettitori deputate alla comunicazione rapida e a

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breve termine, i neuropeptidi per azioni a più lungo termine, e gli ormoni. Questi input originano sia da organi
periferici, quali il tratto gastrointestinale, il fegato, il pancreas e il surrene, che dal sistema nervoso centrale, dal
romboencefalo al proencefalo. Nella tabella 3 sono riportati i principali fattori che regolano l'assunzione del cibo.

Tabella 3. Principali regolatori dell'assunzione del cibo

Stimolatori Inibitori

NPY Serotonina

Glucocorticoidi Leptina

Oppioidi Insulina (centrale)

GABA CRF

Galanina CCK (colecistochinina)

Norepinefrina Bombesina

PYY Catecolamine

PP Somatostatina

In periferia la CCK, la bombesina e altri peptidi, rilasciati nel tratto gastroenterico, dopo il pasto, intervengono sulle
diverse fasi della digestione, dell'assorbimento e del metabolismo. L'informazione viene trasmessa, lungo il nervo vago,
all'encefalo e segnala il senso di sazietà per la conclusione del pasto. Anche l'insulina pancreatica emette segnali di
sazietà.
Gli steroidi surrenalici svolgono funzioni diversificate: i recettori per i mineralcorticoidi aumentano l'ingestione e il
metabolismo dei grassi, mentre i recettori per i glicocorticoidi aumentano l'ingestione e il metabolismo dei carboidrati.
Quando le riserve di carboidrati sono ridotte si attiva l'azione sulla glicoregolazione, ad esempio all'inizio della
nutrizione, quando i livelli ematici degli steroidi sono più elevati per metabolizzare e convertire le riserve caloriche in
glucosio.

A livello centrale, nella parte inferiore del tronco encefalico, il nucleo dorsale del vago collega i segnali periferici ad
aree specializzate:
1. le strutture ponto-mesencefaliche e il talamo che interpreta le informazioni relative alla palatabilità e alle
caratteristiche organolettiche del cibo;
2. l'ipotalamo che riceve le informazioni sul livello delle sostanze nutrienti e degli ormoni circolanti, grazie alla
sua estesa vascolarizzazione e alle connessioni con l'ipofisi ed il romboencefalo;
3. le strutture proencefaliche, quali il nucleo accumbens, l'amigdala e la corteccia frontale, che svolgono funzioni
di ordine superiore di integrazione delle informazioni afferenti con gli aspetti cognitivi riguardanti le proprietà
del cibo relative al messaggio gratificazione-avversione.

L'ipotalamo svolgerebbe un ruolo centrale nell'indurre il comportamento alimentare controllando l'appetizione verso i
carboidrati, i grassi e le proteine e il metabolismo, e quindi la costituzione delle riserve energetiche corporee che porta
all'incremento del peso.
La noradrenalina iniettata nel nucleo paraventricolare induce, mediante la stimolazione degli alfa 2 recettori, un
notevole aumento della quantità di cibo per pasto, detto meal size. L'iperfagia sarebbe conseguente all'inibizione del
CRF, pertanto detto fattore di sazietà.
Per contro nell'anoressia è stata ipotizzata l'iperincrezione di tale fattore che potrebbe inoltre favorire il calo ponderale.
La beta-lipoproteina produce infatti nell'animale la lipolisi, il calo ponderale e l'aumento degli acidi grassi liberi
circolanti. L'infusione di sostanze nutrienti nel duodeno inibisce il rilascio della noradrenalina a livello del nucleo
paraventricolare.
La dopamina pare avere un'azione difasica sulla funzione alimentare, stimolando l'appetito a basse dosi, ma inibendolo
a dosi maggiori. Determinerebbe inoltre la risposta del piacere al termine del pasto. La comune preferenza dei soggetti
bulimici per sostanze altamente zuccherine potrebbe essere ricondotta ad una riduzione dell'attività del sistema
dopaminergico, più precisamente delle vie dopaminergiche mesolimbiche.

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Le sostanze anoressizanti, quali l'amfetamina e la feniletilamina, agirebbero stimolando la sintesi e il rilascio delle
catecolamine, soprattutto la dopamina nell'ipotalamo laterale.
La serotonina insieme al triptofano, che ne è il precursore, blocca la prosecuzione del pasto inviando un segnale di
sazietà, che agisce sia a livello del nucleo paraventricolare che dell'ipotalamo ventromediale. Per tale motivo è stata
avanzata l'ipotesi che nell'anoressia sia presente un'iperattività del sistema serotoninergico.
Poiché nei soggetti normali l'assunzione dei carboidrati induce l'aumento del livello della serotonina, è stato
recentemente ipotizzato che le pazienti bulimiche presentino un'ipofunzione dell'attività del sistema serotoninergico,
come confermato da alcuni dati di laboratorio. La concentrazione della serotonina nel liquor delle pazienti bulimiche
risulterebbe inversamente proporzionale alla tendenza alle abbuffate. Infatti le ricorrenti abbuffate svolgerebbero una
funzione di compenso del deficit del tono della serotonina.
Inoltre l'ipotesi di una disregolazione del sistema serotoninergico rende conto anche di altri aspetti psicopatologici e
sintomatologici che sono di comune riscontro nella clinica dei disturbi della condotta alimentare, quali i disturbi del
tono dell'umore, il discontrollo degli impulsi e i tratti ossessivo-compulsivi che colorano i quadri sindromici. Questa
ipotesi trova una conferma indiretta nell'efficacia del trattamento di tali disturbi con i farmaci attivi sul reuptake della
serotonina, i quali agirebbero inducendo una down-regulation dei recettori, originariamente dotati di una aumentata
sensibilità, che normalizzerebbe il loro tono.
Anche alcuni neuropeptidi quali gli oppioidi endogeni paiono ricoprire un ruolo significativo nei disturbi della condotta
alimentare. Iniezioni di beta endorfine nell'ipotalamo ventromediale stimolano l'inizio dell'assunzione del pasto, mentre
gli antagonisti degli oppioidi inibirebbero soprattutto l'assunzione di lipidi. Il livello delle beta endorfine nel plasma e
nel liquor delle pazienti bulimiche sarebbe ridotto; analogamente nella depressione in misura inversamente
proporzionale alla gravità dei sintomi.
Più precisamente il sistema degli oppioidi sembrerebbe avere una duplice funzione: in periferia favorirebbe
l'immagazzinamento delle energie, mentre a livello centrale consentirebbe le attività ad alto consumo energetico. È
possibile ipotizzare che nelle persone predisposte geneticamente all'obesità sia presente una compromissione dei
meccanismi di regolazione del sistema degli oppioidi endogeni.
È stato ipotizzato anche nell'anoressia un disfunzionamento della duplice funzione. Un'iperattività ko d centrale sarebbe
responsabile dell'iperattività fisica e dell'aumento della spesa energetica che determina il dimagrimento rinforzato dal
deficit dell'attività S periferica deputata all'accumulo e all'immagazzinamento delle riserve caloriche.
Il neuropeptide Y appare il composto con attività di stimolo sull'alimentazione, più efficace, finora individuato. È
presente anche in alcuni neuroni noradrenergici e produce un aumento dell'assunzione dei carboidrati. Recentemente è
stato ipotizzato che la sua secrezione sia condizionata da una proteina, la leptina, che viene prodotta dal tessuto adiposo
sotto il controllo di un meccanismo di feedback.

Determinanti psico-biologiche
La comprensione delle ripercussioni che le oscillazioni dell'appetito provocano sul peso corporeo, potrebbe consentire
di individuare alcuni fattori che sono causa dei disturbi alimentari e di stabilire in quale misura determinino l'aumento o
la riduzione del peso.
La spesa energetica è, di norma, proporzionale alla quantità di tessuto adiposo e di massa magra, e poiché nei soggetti
obesi queste sono aumentate rispetto ai soggetti normopeso, anche la spesa energetica lo è in misura proporzionale. Il
soggetto obeso quindi per mantenere in equilibrio il bilancio deve aumentare l'apporto energetico. Tuttavia gli studi sui
soggetti obesi non hanno evidenziato alterazioni significative del consumo energetico che possano essere esplicative.
Analisi di tipo antropologico, epidemiologico e sperimentale hanno dimostrato che l'uomo più facilmente acquisisce
peso piuttosto che perderlo, a causa di uno sbilanciamento in positivo del sistema di controllo dell'appetito. L'obesità è
infatti generalmente conseguente all'ipernutrizione, all'assunzione cioè di una quantità di calorie superiore a quella
utilizzata. Inoltre i soggetti obesi tendono ad assumere cibi più calorici rispetto ai soggetti magri.
L'ipernutrizione può verificarsi in ogni fase della vita ma sembrerebbe che il primo condizionamento del peso corporeo
del bambino sia costituito dall'alimentazione della madre prima e durante la gravidanza. Tale condizionamento potrebbe
prolungarsi negli anni successivi riflettendosi sul peso corporeo dell'adulto. Gli studi condotti su soggetti nati in epoche
di carestia e all'opposto in condizioni di notevole benessere hanno confermato i risultati ottenuti dagli studi effettuati
sugli animali. L'iponutrizione nei primi giorni di vita induce una riduzione permanente del peso corporeo, della taglia
corporea nonché degli adipociti, viceversa un'ipernutrizione provoca un aumento del tessuto adiposo e delle relative
cellule.
Seppure il comportamento alimentare sia condizionato da uno stato di necessità interna, l'espressione del
comportamento alimentare sottostà anche a richieste dell'ambiente e può essere oggetto di un controllo consapevole e
deliberato da parte dell'uomo. Ad esempio un soggetto può scegliere di modificare il proprio comportamento alimentare
per raggiungere obiettivi di natura morale o politica, o per motivi estetici. La restrizione alimentare adottata provocherà
una riduzione delle riserve energetiche che attivando il meccanismo di regolazione stimolerà la ricerca e l'assunzione
del cibo. In alcune aree del mondo l'elevata disponibilità di cibi altamente palatabili ed energetici, in specie ricchi di
lipidi, espone gli individui ad un iperconsumo di calorie, non più guidato dalla necessità biologica né deciso

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consapevolmente, che viene definito "iperalimentazione passiva". Questa situazione interagendo con una vulnerabilità
genetica può indurre in alcuni soggetti l'aumento dei depositi di tessuto adiposo.
Da queste osservazioni ad ampio spettro emerge che i soggetti obesi, nonostante l'eccesso di grasso corporeo, si
alimentano in abbondanza, confermando che il sistema di regolazione dell'assunzione del cibo tende verso l'accumulo
delle sostanze. Possiamo concludere che i processi biologici di specie operano una rilevante azione di prevenzione
dell'iponutrizione, per la profilassi di un eventuale deficit energetico, e che inoltre le difese biologiche nei confronti
dell'ipernutrizione sono deboli.

Determinanti psico-socio-ambientali

L'eziopatogenesi dei disturbi alimentari è ancora incerta sebbene i fattori culturali esercitino senza alcun dubbio un
ruolo preponderante sulla loro origine. Il rapporto con il cibo, verosimilmente per la sua diretta connessione con
l'esistenza, è sempre stato investito di molteplici significati ed è stato oggetto di controlli che prescindono la mera
funzione fisiologica. Rammentiamo l'utilizzazione dell'astensione dal cibo, sotto forma di digiuno parziale o totale,
suggerito o imposto dalla maggior parte delle religioni come strumento di purificazione. Al digiuno fa seguito
l'opulenza della festa nella quale il cibo è riproposto con una funzione gioiosa.
L'apprendimento esercita un ruolo primario nella strutturazione del comportamento alimentare. Un'interazione
appropriata con l'ambiente circostante nel quale le richieste del bambino siano correttamente decodificate e abbiano
risposte adeguate, consente che questi possa strutturare la capacità di riconoscere la natura dei suoi bisogni, operando
una distinzione tra mondo interno e mondo esterno, fra le esigenze emozionali e quelle fisiologiche e biologiche.
L'utilizzazione da parte dei genitori del cibo con finalità che esulano quelle fisiologiche induce un apprendimento non
corretto, che può rendere impossibile il giusto riconoscimento degli elementi costitutivi del processo della funzione
alimentare. Alcuni soggetti potrebbero giungere a non riconoscere lo stimolo della fame o della sazietà, oppure
utilizzare il cibo come succedaneo per contenere tensioni ed esperienze emozionali che vengono impropriamente
decodificate come necessità di cibi. È stato osservato che alcune pazienti anoressiche interpretano il corrispettivo
somatico della motilità gastrica che nei soggetti normali viene riconosciuta come fame in modo differente, non
decodificandola analogamente.
L'esperienza dell'interazione tra il cibo e il corpo durante la consumazione dei pasti e nel bere consente che il soggetto
apprenda a riconoscere l'appetito e la sensazione legata alla replezione o all'iper-replezione conseguente all'assunzione
smodata di cibo. Tuttavia molti stimoli esterni possono spingere l'individuo ad iniziare a mangiare senza che vi sia una
necessità legata alla riduzione del livello energetico corporeo o al livello di sazietà. Una grande varietà di eventi comuni
o stimoli di natura emozionale possono agire come trigger scatenando gli eccessi alimentari. Una scarsa capacità di
riconoscere la fame e di distinguere tra le necessità biologiche e quelle emozionali cui si aggiunga una scarsa capacità di
controllo degli impulsi predispone il soggetto all'obesità.
Il condizionamento sociale, attraverso meccanismi di accettazione e di repulsione, esercita una funzione di regolazione
del peso corporeo, inducendo nel soggetto un'assunzione di cibo inferiore oppure in esubero rispetto alla necessità. I
modelli proposti dalla cultura occidentale con l'ideale di magrezza fino alla tipologia di una donna quasi androgina o
con aspetto etereo, quale garanzia di successo e di autoaffermazione, possono condizionare prepotentemente la condotta
alimentare.
Alcune giovani donne possono, nella tarda adolescenza o nella prima età adulta, tempi di alta competitività, sviluppare
gradatamente il disturbo alimentare. Le pazienti anoressiche e con bulimia nervosa infatti tendono ad essere persone di
successo, sono sensibili al condizionamento sociale e rispondono integralmente alle pressioni sociali che inducono alla
magrezza. L'ideale di un corpo sottile e l'idealizzazione di tutti coloro che incarnano tale perfezione induce questi
soggetti maggiormente vulnerabili ad adottare incondizionatamente strategie volte all'incarnazione del modello-mito
fino a configurare una sindrome anoressica. Nell'altro versante il tentativo di emulare simili ideali somatici può
impattare con le esigenze biologiche e costituzionali della singola persona scatenando in alcune giovani adulte
comportamenti bulimici reattivi.
È stato osservato più recentemente che l'eccessiva attività sportiva può slatentizzare i disturbi alimentari. Nell'ambito
della popolazione dei "palestrati" i soggetti maschi patiti di body-building costituiscono un campione ad elevato rischio,
strutturano comportamenti simili al disturbo, e sono portati ad enfatizzare la loro forma fisica tanto da divenire
abusatori di steroidi anabolizzanti.
L'assetto familiare dei soggetti che hanno sviluppato il disturbo del comportamento alimentare presenta
un'organizzazione relazionale piuttosto peculiare. Le famiglie delle pazienti anoressiche sono caratterizzate da relazioni
molto strette con una situazione di benessere che nasconde un'elevata conflittualità e sentimenti di insoddisfazione e
frustrazione. Secondo alcuni autori le adolescenti tendono con la loro malattia ad allontanare l'attenzione dalla relazione
coniugale, densa di malumori e di litigiosità. In una costellazione parentale di tale natura le giovani adolescenti non
strutturano autonomia ed individualità.
Le famiglie delle pazienti con bulimia sono ancor meno unite e maggiormente conflittuali, utilizzano modalità di
comunicazione più indirette. Mostrano una scarsa coesione, una minore capacità di aiuto reciproco e di svincolo e di

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individualizzazione dei figli. Le pazienti pensano di essere trascurate e rifiutate dai loro genitori, e la bulimia potrebbe
quindi costituire una risposta o una reazione al disagio provocato da queste strutture familiari mal definite, caotiche e
stressanti.
In merito alle caratteristiche psicologiche le adolescenti che svilupperanno l'anoressia nervosa sono caratterizzate da un
senso di inadeguatezza e di incapacità pervasivi ma anche da una "innata" necessità di potere e di autoaffermazione. Il
controllo del cibo e in seguito del corpo vissuto come ingombrante rappresenta l'estrinsecarsi di questo potere.
Anche le pazienti bulimiche e i soggetti che sviluppano il DAI presentano un basso livello di considerazione di sé che li
rende particolarmente vulnerabili alle richieste ambientali della magrezza, quale espressione di carattere e forza di
volontà. L'intraprendere programmi di diete che inesorabilmente falliscono e ancor più l'insorgenza delle crisi di
iperalimentazione provocano un ulteriore crollo dell'autostima. Inoltre la riduzione dell'assunzione di glucidi e
carboidrati, come imposto dal regime dietetico, favorisce l'insorgere di sentimenti di perdita e l'acuirsi dei sentimenti di
incapacità che sconfinano in sentimenti di demoralizzazione fino all'insorgenza di una vera e propria depressione. Nella
chiusura del cerchio comportamentale si verifica un'ulteriore accentuazione della fragilità originata dai fallimenti
dietetici e dalle abbuffate.
I soggetti bulimici, come gli anoressici, hanno difficoltà nell'organizzazione del loro sviluppo nell'età adolescenziale.
Sono più espansive rispetto alle anoressiche, ma presentano anche una spiccata labilità emotiva e sono tendenzialmente
impulsive e colleriche. Mancano del controllo del Super-Io e delle forze dell'Io che invece caratterizzano le pazienti con
anoressia.

Classificazione dei DCA

Nella tabella 4 è riportata la classificazione dei disturbi della condotta alimentare secondo il DSM-IV.

Tabella 4. Classificazione dei Disturbi Alimentari, DSM-IV

Anoressia nervosa Con restrizioni


Con abbuffate e condotte di eliminazione

Bulimia nervosa Con condotte di eliminazione


Senza condotte di eliminazione

Disturbi non altrimenti specificati (atipici) Disturbo da Alimentazione Incontrollata o Altre forme atipiche

Segni e sintomi psichiatrici dei DCA

Introduzione
Alterazioni del comportamento alimentare si rinvengono in molte situazioni patologiche di natura internistica o
psichiatrica ma i disturbi della condotta alimentare, detti in un recente passato "psicogeni", presentano alcune
caratteristiche che li accomunano e ne fanno una categoria a sé stante. Infatti pur esprimendo un corredo
sintomatologico relativamente peculiare, sia nelle singole forme che rispetto alle complicazioni internistiche specifiche,
presentano alcuni aspetti hanno una disposizione trasversale: l'alterazione del senso della fame e della sazietà; la perdita
o riduzione estrema del senso di piacere derivante dall'alimentazione e dalla sessualità; le notevoli difficoltà nei rapporti
interpersonali; e la frequente presenza di alterazioni del ciclo mestruale.
Un nucleo psicopatologico comune coinvolge il rapporto con il cibo costituito da:
 convinzioni distorte nei confronti del cibo e dell'alimentazione;
 convinzioni distorte nei confronti del peso;
 convinzioni distorte in ordine alla forma del corpo;
 atteggiamenti autoprescrittivi riguardo al cibo.

I disturbi dell'immagine corporea: bulimia/anoressia


La polarizzazione ideativa sull'immagine corporea costituisce uno degli aspetti nucleari sia dell'Anoressia Nervosa che
della Bulimia Nervosa e costituisce l'elemento cardine dei disturbi alimentari psicogeni. Schilder ha descritto
l'immagine corporea come "quel quadro del nostro corpo che formiamo nella nostra mente, ossia il modo in cui il nostro
corpo appare a noi stessi". Si tratta di un concetto plastico che è il risultato di tutte le esperienze sensoriali e psichiche e
continuamente integrato nel sistema nervoso centrale. Egli sostiene inoltre che l'immagine corporea precede e determina

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in qualche modo la struttura del corpo stesso. Due sono gli elementi che la costituiscono: la componente percettiva e
quella legata all'atteggiamento nei confronti del proprio corpo. La prima riguarda essenzialmente l'aspetto sensoriale, la
seconda comprende l'insieme dei pensieri, delle emozioni e dei comportamenti legati al proprio corpo.
La perdita della capacità di valutare adeguatamente il proprio corpo viene definita disturbo dell'immagine corporea. I
soggetti appaiono incapaci di formulare un giudizio obiettivo sulla propria immagine corporea come è maggiormente
evidente nelle pazienti anoressiche che anche quando in stato di estrema magrezza, ai limiti della cachessia, continuano
a percepire il proprio corpo come troppo voluminoso. Tra i sintomi dei DCA il disturbo dell'immagine corporea
rappresenta il contenuto psicopatologico nucleare più resistente ad ogni confutazione. Alla polarizzazione ideativa
sull'immagine corporea contribuiscono due elementi. All'importanza eccessiva attribuita all'aspetto fisico, da un lato, fa
riscontro dall'altro, una incolmabile insoddisfazione per la propria immagine.
La conferma che il disturbo riguarda la raffigurazione centrale dell'immagine corporea è riconducibile all'osservazione
che le anoressiche tendono ad ipervalutare la dimensione larghezza rispetto all'altezza, seppure limitata alla percezione
di sé. Nel genere femminile si aggiunge amplificata l'insoddisfazione per alcune parti del proprio corpo: fianchi, cosce e
glutei.
La preoccupazione eccessiva e persistente per il proprio peso corporeo compare nel DSM-III-R come sintomo anche
della bulimia, avvicinando questa sindrome all'anoressia.
Un'intensa paura di ingrassare costituisce infatti il nucleo centrale della bulimia anche quando il peso corporeo sia nella
norma. Altrettanto eccessiva è la preoccupazione per la forma, la proporzione e l'aspetto del proprio corpo. Per questi
motivi il soggetto comincia a controllare l'alimentazione, ma questo controllo va presto incontro ad una disregolazione
cui seguiranno le abbuffate e successivamente altri comportamenti volti a ridurre il peso corporeo. Ogni minima
oscillazione ponderale, avvertita anche indirettamente dalle variazioni dell'aderenza degli indumenti, viene percepita
drammaticamente e crea uno stato di ansia che induce ulteriori modificazioni nel comportamento alimentare.
In entrambe le sindromi l'importanza centrale attribuita al peso corporeo e all'aspetto fisico esercita un condizionamento
sul livello di autostima, più grave per le pazienti bulimiche consapevoli di non riuscire a controllare rigorosamente il
loro regime dietetico.
È presente una distorsione percettiva dell'immagine corporea, cioè la tendenza a sovrastimare le dimensioni del proprio
corpo e a sentirsi più grasse del reale, costante anche quando il peso corporeo sia nella norma. Le pazienti presentano
una marcata discrepanza tra le misure desiderate del proprio corpo e quelle percepite. Si riscontra nelle pazienti
bulimiche un ideale di magrezza ancor superiore a quello delle pazienti anoressiche che rende conto di una maggiore
insoddisfazione corporea.
I vissuti corporei negativi nelle pazienti bulimiche sono significativamente superiori rispetto ad altri soggetti che si
sottopongono a diete alimentari.
Il disturbo dell'immagine corporea è di frequente riscontro anche nei soggetti con DAI, inoltre maggiormente nelle
donne obese che nei soggetti maschi.

L'anoressia nervosa
Il termine anoressia nervosa fu introdotto per la prima volta nel 1874 da Gull, clinico londinese, e venne
successivamente adottato in Germania e in Russia. In Francia Lasegue, nel 1873, adottò invece il termine di anoressia
isterica, e nel 1883 Huchard introdusse quello di anoressia mentale. Per altro sebbene il termine sia universalmente
accettato esso è relativamente improprio, considerato che l'etimo indicherebbe la mancanza di appetito, come estensione
di mancanza di "brama, di desiderio". In realtà, è oramai noto che i soggetti anoressici, pur controllando l'assunzione del
cibo, conservano l'appetito almeno per tutta la prima fase della malattia provando una notevole sofferenza. Solo in
seguito, bilanciata dal senso di onnipotenza conseguente alla capacità di neutralizzare il bisogno di alimentarsi, la
sofferenza si attenua.
Inoltre, l'importanza del cibo è confermata anche dal crescente interesse che le pazienti dimostrano per il cibo e tutto ciò
che è affine (ricette e cucina) e che arriva ad occupare la gran parte dei loro spazi quotidiani e delle loro conversazioni.
Le caratteristiche della personalità premorbosa sono paradigmatiche e costanti: si tratta di bambine o giovani
adolescenti apparentemente remissive, tendenzialmente introverse, con una rete sociale ristretta, perfezioniste e
competitive, con rendimento scolastico caratteristicamente superiore alla norma, e intente a conseguire il massimo in
qualsiasi compito. Nella tabella 5 sono riportati i criteri diagnostici del DSM-IV.

Tabella 5. Criteri diagnostici per l'anoressia nervosa

A. Rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra o al peso minimo normale per l'età e la statura (per esempio perdita
di peso che porta a mantenere il peso corporeo al di sotto dell'85% rispetto a quanto previsto, oppure incapacità di
raggiungere il peso previsto durante il periodo di crescita lineare, con la conseguenza che il peso rimane al di sotto
dell'85% rispetto a quanto previsto).

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B. Intensa paura di acquistare peso o di diventare grassi, anche quando si è sottopeso.

C. Alterazione del modo in cui il soggetto vive il peso o la forma del corpo, o eccessiva influenza del peso e della
forma del corpo sui livelli di autostima, o rifiuto di ammettere la gravità dell'attuale condizione di sottopeso.

D. Nelle femmine dopo il menarca, amenorrea, cioè assenza di almeno tre cicli mestruali consecutivi. (Una donna
viene considerata amenorroica se i suoi cicli si manifestano solo a seguito di somministrazione di ormoni, per
esempio estrogeni).

Specificare il sottotipo:
Con Restrizioni: nell'episodio attuale di Anoressia Nervosa il soggetto non ha presentato regolarmente abbuffate o
condotte di eliminazione (per esempio vomito autoindotto, uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi).
Con Abbuffate/Condotte di Eliminazione: nell'episodio attuale di Anoressia Nervosa il soggetto ha presentato
regolarmente abbuffate o condotte di eliminazione (per esempio vomito autoindotto, uso inappropriato di lassativi,
diuretici o enteroclismi).

L'esordio della malattia è subdolo e insidioso, e generalmente sfugge all'osservazione dei familiari, nonostante l'età
dell'esordio si collochi preferenzialmente nell'adolescenza, forse anche perché il brillante funzionamento sociale non
lascia minimo spazio a sospetti negli educatori. Gradatamente i soggetti cominciano a diminuire la quantità del cibo che
assumono durante la giornata con l'obiettivo di ridurre il peso corporeo. Spesso inizialmente adottano una dieta per
correggere un pregresso aumento ponderale, dieta che non viene più interrotta ma sfocia nel comportamento anoressico.
Il rifiuto di mantenere il peso corporeo nella norma è caratteristica fondamentale dell'anoressia. All'origine si situa la
ricerca spasmodica di una magrezza ideale, di una sottigliezza estrema del corpo fin quasi ad una rarefazione dello
stesso. Anche quando l'entità del dimagramento è tale da segnare evidentemente il corpo le giovani affette continuano a
valutare eccessivo il loro peso e a vedere ridondanti le loro forme corporee.
C'è come una necessità di divenire emaciate e l'obiettivo di contenere il peso corporeo è, a questo punto, perseguito con
modalità singolari e peculiari. Le giovani adolescenti cominciano a rifuggire dal mangiare lamentando dolori gastrici o
adducendo una fastidiosa tensione addominale. Esercitano un controllo sulla qualità del loro cibo eliminando i cibi
grassi, gli oli e tutto ciò che è considerato ipercalorico o potenzialmente troppo ingrassante. Alcune diventano
vegetariane o intraprendono particolari diete disintossicanti. Compaiono quindi alcune bizzarrie comportamentali:
sminuzzano il cibo in piccolissime particelle, giocherellano coi pezzetti sul piatto rimirando il cibo prima di portarlo
alla bocca, rallentano in modo inenarrabile il tempo della masticazione, tenendo a lungo il boccone in bocca, portandolo
da una gota all'altra, prima di deglutirlo, alcune contano tra un boccone e l'altro, sempre con l'obiettivo, verosimilmente,
di rendere ancor più sgradevole il cibo. A questo punto cominciano a mangiare nella propria stanza o in cucina, in piedi,
non più a tavola con i familiari per evitare il loro controllo. Alcune occultano in tutta la casa, nei cassetti o nel
borsellino, gli avanzi e i resti stantii del cibo. Nel tempo la quantità di cibo assunta durante la giornata diviene
pressoché risibile: un'oliva, un unico anellino di fiocchi d'avena per la colazione, solo la buccia di alcuni frutti.
Seppure inizialmente l'anoressia possa costituire uno strumento di protesta o un tentativo di realizzare l'autonomia, una
volta strutturatasi, la malattia si autoalimenta. Il digiuno induce inizialmente uno stato di ipervigilanza e di
autoesaltazione sostenuto dall'esperire il controllo di un bisogno così primario come l'alimentazione e dalla ricerca
spontanea e volontaria della fame, situazione che evoca un timore universalmente noto. La famiglia diviene
assolutamente impotente e anzi quando comincia ad esercitare pressioni sulla paziente perché si alimenti regolarmente
ottiene l'effetto opposto.
L'anoressica si consolida nei programmi di controllo alimentare: il convincimento di un eccesso ponderale si configura
come un'idea prevalente che in alcune pazienti assume i caratteri del delirio.
Al dimagrimento fa da contrasto con il dinamismo e l'intensa attività fisica alla quale le anoressiche si dedicano con
rigore e severo autocontrollo. Anche in questo comportamento le pazienti esprimono una determinazione ferrea ed
impeccabile, e continuano a praticarlo a casa quando la debilitazione e il calo ponderale sconsigliano la palestra.
Compiono esercizi fisici aerobici per ore e ore, o camminano avanti ed indietro per la casa o nella loro stanza anche per
ore, pur di essere certe di eliminare le calorie ingerite, addirittura tendono e stare in piedi durante il colloquio. La
maggior parte delle pazienti sviluppano quindi comportamenti volti a garantire il contenimento del peso corporeo,
l'induzione del vomito, l'assunzione di diuretici e di lassativi.
Alcune pazienti possono sviluppare comportamenti bulimici sotto forma di crisi di iperfagia, dette binge.
Il decorso è variabile, con un andamento irregolare, continuo o sub-continuo, con remissioni e riesarcebazioni. Solo
poche casi vanno incontro ad una remissione spontanea a seguito di un unico episodio.
Nella tabella 6 sono descritte le complicanze mediche dell'anoressia nervosa.

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Complicanze internistiche dell'anoressia nervosa (mod. da Am. J. of Psychiatry,
Tabella 6.
Supplement, vol. 157, n. 1, January 2000)

Apparato Sintomi Segni Esami di laboratorio

Peso/corpo Debolezza, spossatezza Malnutrizione Basso peso/indice di massa


corporea, basso percentile

Sistema nervoso Apatia e difficoltà di Difficoltà nelle funzioni cognitive, EEG: alterazioni aspecifiche
centrale concentrazione umore depresso e irritabile TAC: allargamento dei ventricoli;
RMN: assottigliamento della
sostanza grigia e bianca
PET: ipermetabolismo del
glucosio a livello del nucleo
caudato

Apparato cardio- Palpitazioni, debolezza, Bradicardia; riduzione della massa ECG: basso voltaggio, bradicardia
circolatorio, vertigini, respiro corto, miocardica; prolasso della mitrale; sinusale; aritmie, depressione del
centrale e dolore toracico, scompenso cardiaco congestizio; segmento S-T e allungamento del
periferico estremità fredde; edemi polso irregolare, debole e lento; tratto Q-T, indice di
declivi ipotensione ortostatica; lipotimie ed sofferenza/danno del muscolo
episodi sincopali; vasocostrizione cardiaco
periferica con acrocianosi

Apparato Dolore osseo con Punti cruciali: statura ai limiti RX o scansione dell'osso per
scheletrico l'esercizio e fratture inferiori/arresto del fattore di fratture patologiche da stress;
patologiche crescita ossea; osteoporosi densitometria ossea e
mineralometria: osteopenia

Apparato Debolezza e dolore Deperimento muscolare Anormalità degli enzimi muscolari


muscolare muscolare nella grave malnutrizione

Apparato Arresto della Perdita del ciclo o amenorrea Ipoestrogenia; livelli di secrezione
riproduttivo maturazione sessuale e primaria; interruzione dello sviluppo di LH e FSH prepuberali;
dell'interesse; riduzione sessuale o regressione dei caratteri mancanza dello sviluppo
della libido sessuali secondari; riduzione della follicolare
fertilità; alta percentuale di
complicanze gravidiche o neonatali

Apparato Fatica, intolleranza al Ipotermia Disidratazione ed edemi periferici;


endocrino e freddo; diuresi; vomito diminuzione del T3, con TSH e T4
metabolico normali; livelli ematici elevati di
cortisolo e di colesterolo; alcalosi
o acidosi metabolica; anormalità
elettrolitiche: ipocloremia;
ipofosfatiemia; iponatremia;
ipopotassiemia

Apparato Fatica; intolleranza al Rare ecchimosi/anomalie della Anemia normocromica-


ematologico freddo coagulazione/diatesi emorragica normocitica; leucopenia o
neutropenia con relativa
linfocitosi; piatrinopenia; ipoplasia
midollare, abbassamento della
VES

Apparato gastro- Vomito; dolore Distensione anomala con i pasti; Svuotamento gastrico ritardato;
intestinale addominale; gonfiore; borborigmi aumentato tempo di transito;
costipazione/stipsi dispepsia; occasionali anomalie
ostinata del funzionamento epatico;
pancreatite

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Apparato genito- Iperazotemia; bassi tassi di
urinario filtrazione glomerulare; litiasi
aumentata; nefropatia ipovolemica

Complicanze Modificazione dei Lanugo; colorazione giallastra; pelle


dermatologiche capelli secca e squamosa, alopecia

La bulimia nervosa
La bulimia nervosa, in senso letterario "fame da bue" o "da cane", compare solo raramente nelle pubblicazioni di natura
medica antecedenti gli anni '60. È negli anni '70 che l'accesso bulimico o alimentazione compulsiva diviene oggetto di
studio.
Nel 1979, Russel definì per primo la bulimia e descrisse tre principali caratteristiche sintomatologiche:
1. una potente ed irrefrenabile propensione ad abbuffarsi;
2. comportamenti come il vomito autoindotto e l'abuso di lassativi per evitare l'aumento di peso;
3. un esagerato timore di ingrassare.

Solo in tempi recenti, dopo essere stata interpretata come una variante dell'anoressia o dell'obesità, la bulimia nervosa è
stata considerata una sindrome con propria autonomia e nel 1980 venne inserita nel DSM-III.
Il quadro psicopatologico è costituito da modificazioni del comportamento indotte da percezioni ideative disturbanti. A
livello psico-ideativo i soggetti che sviluppano la Bulimia Nervosa presentano un timore di ingrassare devastante, anche
quando il peso sia nella norma, e un disturbo dell'immagine corporea molto marcato. Questi convincimenti impattano in
una struttura di personalità caratterizzata da scarsi meccanismi di controllo che portano all'insorgenza delle crisi
bulimiche cui seguiranno le condotte di eliminazione compensatorie. Nella tabella 7 sono riportati i criteri diagnostici
secondo il DSM-IV.

Tabella 7. Criteri diagnostici per Bulimia Nervosa

A. Ricorrenti abbuffate. Una abbuffata è caratterizzata da entrambi i seguenti:


1. mangiare in un definito periodo di tempo (ad esempio un periodo di due ore), una quantità di cibo
significativamente maggiore di quello che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso tempo
ed in circostanze simili.

2. Sensazione di perdere il controllo durante l'episodio (ad esempio sensazione di non riuscire a smettere di
mangiare o a controllare cosa e quanto si sta mangiando)

B. Ricorrenti ed inappropriate condotte compensatorie per prevenire l'aumento di peso come vomito autoindotto,
abuso di lassativi, diuretici, enteroclismi o altri farmaci, digiuno o esercizio fisico eccessivo.

C. Le abbuffate e le condotte compensatorie si verificano entrambe in media almeno due volte alla settimana, per tre
mesi.

D. I livelli di autostima sono indebitamente influenzati dalla forma e dal peso corporei.

E. L'alterazione non si manifesta esclusivamente nel corso di episodi di Anoressia Nervosa.

Specificare il sottotipo:
Con condotte di Eliminazione: nell'episodio attuale di Bulimia Nervosa il soggetto ha presentato regolarmente vomito
autoindotto o uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi.
Senza condotte di Eliminazione: nell'episodio attuale il soggetto ha utilizzato regolarmente altri comportamenti
compensatori inappropriati, quali il digiuno o l'esercizio fisico eccessivo, ma non si dedica regolarmente al vomito
autoindotto o all'uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi.

L'inizio della Bulimia Nervosa è spesso riconducibile ad una dieta dimagrante volta a correggere un aumento ponderale
per altro molto contenuto. Il regime dietetico adottato diviene presto molto ristretto tanto da poter costituire una fase di
anoressia, che potrà avere una durata variabile da poche settimane ad alcuni mesi. In un'elevata percentuale di soggetti,
dal 34 all'88%, l'esordio del disturbo è preceduto da ripetuti tentativi di restrizione dietetica anche senza che si strutturi

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una vera e propria fase di anoressia. In altri casi la comparsa delle abbuffate è molto precoce ed è quasi concomitante
l'inizio della dieta. In alcuni casi l'esordio è preceduto da un evento di perdita o di separazione.
Rapidamente però lo schema alimentare sfugge al controllo del soggetto e si instaura un'alternanza continua di
abbuffate e semidigiuni o digiuni, mentre via via scompaiono i pasti regolari. Generalmente le pazienti agiscono in
assoluta segretezza, più raramente cominciano l'abbuffata durante i pasti principali per concluderla comunque sempre in
solitudine. Questo fa sì che solo a distanza di tanto tempo, talvolta anche anni, i familiari si accorgano di quanto accade.
La ricorrenza delle abbuffate costituisce un criterio diagnostico. Il concetto di abbuffata è definito in relazione a tre
differenti parametri: quantitativo, temporale e del vissuto soggettivo. Il parametro quantitativo è quello maggiormente
sottolineato nel DSM-IV. La quantità di cibo consumata dal soggetto è messa a confronto con quella assunta da una
popolazione virtuale normale nel medesimo tempo ed in circostanze sovrapponibili. Il parametro temporale, relativo
alla rapidità con la quale il cibo viene consumato, già presente nel DSM-III-R, è posto in secondo piano, nel DSM-IV.
L'abbuffata è comunque distinta dallo "spiluccamento" continuo, grignottage.
Dal punto di vista della psicopatologia soggettiva, terzo parametro, condizione assoluta perché si possa parlare di
abbuffata è il vissuto di perdita del controllo che la persona esperisce, riferendo la sensazione di non poter impedire
l'insorgenza della crisi né di poterla interrompere una volta cominciata.
A questo punto il disturbo si complica con la comparsa delle condotte di eliminazione finalizzate al controllo del peso
corporeo. Inizialmente le pazienti ricorrono ad oggetti allungati, comune l'uso dello spazzolino da denti, o utilizzano le
dita (segno di Russell) per la stimolazione della faringe per l'induzione del riflesso del vomito. Le pazienti riferiscono
che i primi episodi sono seguiti da una grave prostrazione, in seguito la pratica rende l'operazione molto più immediata
e una adeguata contrazione del diaframma diviene sufficiente a provocare l'espulsione del cibo ingerito.
Una volta insorta, la condotta bulimica tende ad automantenersi attraverso i meccanismi di rinforzo positivo derivanti
dal piacere legato all'assunzione del cibo e dalla pratica del vomito che consente l'ingestione di cibi calorici senza che
questa comporti un aumento ponderale. Osservando che il vomito consente loro di ingerire qualsiasi cibo, anche
proibito, le pazienti sono portate a non controllare più l'alimentazione.
Le crisi bulimiche, manifestazione essenziale del disturbo, si definiscono per le caratteristiche che presentano. Gli
elementi specifici sono la durata, la frequenza, i fattori scatenanti, i sentimenti scatenanti ed evocati, la qualità e la
quantità del cibo e i motivi dell'interruzione. La crisi ha una durata comunemente inferiore alle due ore, con frequenza
giornaliera o plurigiornaliera in alcuni soggetti. Alcune pazienti si alimentano pressoché ininterrottamente durante la
giornata, giungendo, quindi, comunque ad assumere quantità smodate di cibo. Soprattutto nelle fasi iniziali la crisi è
scatenata da molteplici trigger sia esogeni che endogeni. Ad esempio la vista dei cibi proibiti, sentimenti di collera o
irritazione, tristezza o ansia, solitudine o noia, sentimenti di vuoto, possono essere all'origine delle crisi. Con il
progredire del disturbo queste correlazioni si vanno perdendo e le pazienti programmano le abbuffate. In relazione ai
sentimenti evocati le crisi bulimiche sono tipicamente seguite da oscillazioni del tono dell'umore, le pazienti
esperiscono sentimenti di natura depressiva, di demoralizzazione, di autosvalutazione e riferiscono sensi di colpa
marcati, disprezzo e disgusto di sé.
Il cibo che le pazienti assumono rientra tra i cibi esclusi dalle diete o appartiene a quelli considerati rischiosi.
Frequentemente si tratta di un cibo rapidamente fruibile e di facile preparazione, altamente calorico e di scarsa
consistenza, tale da poter essere deglutito velocemente. La quantità di cibo ingerita è notevole, mediamente da 5.000 a
20.000 calorie per crisi. È comune l'assunzione di grassi, carboidrati e glucidi piuttosto che proteine e l'ingestione di
altrettanto notevoli quantità di liquidi, specialmente bevande gassate per facilitare l'emesi. L'ingestione del cibo è
caratteristicamente vorace, caotica e compulsiva, è scarsa l'attenzione per il gusto o il sapore dei cibi assunti, e viene
infatti alternata, indifferentemente, l'introiezione di cibi salati e dolci. Alcune pazienti si limitano a masticare le grandi
quantità di cibo per poi sputarle senza ingerirle. La crisi bulimica è accompagnata da perdita del controllo e dall'esperire
sensazioni che non appartengono ad un normale pasto. Le pazienti riferiscono di non riuscire a smettere di mangiare
fino a quando non intervengano elementi che prescindono dalla loro volontà, quali il dolore legato alla eccessiva
distensione gastrica, l'irruzione di altri nell'ambiente dove stanno consumando il cibo, oppure il sopraggiungere del
sonno o infine anche l'esaurimento delle scorte.
L'evoluzione del disturbo è caratterizzata dal terrore crescente di perdere il controllo del peso a causa dell'incrementarsi
delle abbuffate. Le pazienti intensificano quindi i sistemi atti a compensare le crisi alimentari. Le pazienti che adottano
le condotte eliminative vengono dette purging, purgative. La conclusione abituale della crisi diviene il vomito
autoindotto, con le tecniche usuali. Alcuni ricercatori hanno osservato che il vomito abituale compare circa dopo un
anno. Al vomito fa seguito un senso di sollievo transitorio legato alla riduzione della distensione gastrica e dell'ansia
evocata dal timore di ingrassare.
All'emesi autoindotta si aggiunge quella indotta farmacologicamente nonché l'assunzione di farmaci lassativi e diuretici.
Molte pazienti ricorrono all'assunzione di ipepac, derivato dell'ipecacuana, potente induttore del vomito. Dal 20 al 40%
delle pazienti abusa di lassativi o quotidianamente o solo in occasione delle crisi. All'assunzione dei farmaci lassativi si
affianca quella dei diuretici, anche molto potenti, in alcuni casi 3-5 fiale di Furosemide al giorno. In alternativa, alcune
pazienti ricorrono all'assunzione di farmaci anoressizanti o stimolanti per prevenire le crisi, oppure di grandi quantità di
alcoolici o ansiolitici per l'induzione del sonno.
Un altro comportamento che le pazienti bulimiche mettono in atto sempre per controllare il peso corporeo è l'esercizio
fisico estenuante. Ma anche rispetto a questo l'atteggiamento è caratterizzato dall'incostanza: le pazienti alternano

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periodi in cui si alimentano seguendo rigide diete e praticano gli esercizi fisici con costanza, in modo quasi compulsivo,
a periodi durante i quali si alimentano irregolarmente e abbandonano l'attività fisica precipitando in uno stato di apatia e
abulia spiccate.
L'intervento dei familiari per interrompere le crisi bulimiche o per prevenirle attraverso il controllo del cibo provoca
reazioni sgradevoli, disforiche, con crisi di ribellione e talvolta aggressività sia verbale che fisica. Le strategie di
controllo spaziale, l'occultamento del cibo, il ricorso a lucchetti e chiusure di sicurezza alla porta della cucina o del
frigorifero, nonché il taglio delle disponibilità economiche non sortiscono risultati significativi. Infatti molte pazienti
bulimiche giungono a rubare il cibo per raggiungere lo scopo. Per procurarsi le notevoli quantità di cibo che poi
consumano evitano i negozi nei quali sono conosciute, oppure si approvvigionano in più negozi, a tappe.
Nelle fasi più avanzate talvolta le pazienti pianificano la loro giornata in funzione dell'abbuffata che diviene
l'occupazione dominante nella quotidianità tanto da interferire anche con le attività lavorative. Queste pazienti mostrano
gravi problemi nell'adattamento familiare, sociale e lavorativo, mentre altre mantengono un funzionamento sociale
impeccabile e non giungono mai all'osservazione clinica. La progressiva perdita del controllo e la gravità dei vissuti di
autosvalutazione e di colpa spingono talvolta le pazienti a comportamenti autolesionistici, come graffiarsi, provocarsi
tagli, morsi, bruciature, o in casi più estremi mettere in atto tentativi di suicidio.
In genere trascorrono da tre a sei anni, in media cinque anni, prima che il soggetto si rivolga allo specialista. Il decorso
della malattia è tendenzialmente cronico, continuo o intermittente. È anche possibile che alcune pazienti presentino una
remissione spontanea più o meno completa.
Nella tabella 8 sono riportate la complicazioni mediche della bulimia nervosa.

Complicanze internistiche della Bulimia nervosa (mod. da Am. J. of Psychiatry,


Tabella 8.
Supplement, vol. 157, n. 1, January 2000)

Apparato Sintomi Segni Esami di laboratorio

Apparato Dolore faringeo; gonfiore Carie dentali con erosione dello RX: erosione dello smalto;
orofaringeo delle gote e del collo smalto soprattutto sulla superficie livelli sierici elevati di amilasi
indolore linguale degli incisivi; eritema del associati con iperplasia delle
faringe; ingrandimento delle parotidi benigna
ghiandole salivari (sialoadenosi)

Sistema nervoso Convulsioni EEG: anomalie;


centrale RMN: lieve dilatazione
ventricolare

Apparato Palpitazioni ECG: anomalie; prolasso della


cardiovascolare mitrale

Cardio-muscolare Debolezza Cardiomiopatia e miopatia


(abusatori di periferica
ipecacuana)

Metaboliche ed Debolezza; irritabilità Assottigliamento della pelle Alcalosi ipokaliemia e


elettrolitiche ipocloremica nei soggetti che
vomitano; alcalosi metabolica:
iponatriemia; aumento dei
bicarbonati e dell'azotemia;
ipocalcemia e ipofosfatemia nei
soggetti che abusano di
lassativi;
Acidosi metabolica: aumento
dell'amilasemia e degli acidi
grassi liberi; ipercolesterolemia;
abbassamento del metabolismo
basale; ipoglicemia

Apparato gastro- Dolore addominale e Occasionalmente vomito ematico o Riflusso gastroesofageo;


intestinale fastidio nei soggetti che ematemesi; ipertrofia delle esofago di Barrett; clisma
vomitano; occasionalmente ghiandole salivari; esofagite; opaco: colon dilatato e atonico

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vomito spontaneo; stipsi gastrite; erosione gastroesofagea (colon catartico), a livello
ostinata; irregolarità fino alla perforazione esofagea; microscopico: assottigliamento
intestinali e gonfiore nei svuotamento gastrico rallentato; dei microvilli e alterazioni dei
soggetti che abusano di dilatazione gastrica fino alla rottura; lisosomi e dei plessi nervosi
lassativi colon catartico; steatorrea;
alterazione della funzionalità
epatica; pancreatite

Apparato genito- Nefropatia ipokaliemica


urinario

Apparato Riduzione della fertilità Spotting o ciclo mestruale breve, Ipoestrogenismo; rischio di
riproduttivo amenorrea aborto raddoppiato

Apparato Polmonite ab ingestis;


respiratorio pneumomediastino spontaneo

Complicanze Cute secca Ispessimento della pelle del dorso Segno di Russell
dermatologiche della mano

Disturbo da alimentazione incontrollata (DAI)


Di più recente inquadramento clinico-diagnostico è il Disturbo da Alimentazione Incontrollata conosciuto negli USA
come BED, Binge Eating Disorder. Il disturbo non è ancora inquadrato come un'entità nosografica a sé stante ma è già
stato proposto per la futura edizione ed collocato sia tra i disturbi dell'alimentazione NAS, tabella 9, sia nell'appendice
B tra i "Criteri ed Assi utilizzabili per ulteriori studi", riportati nella tabella 10.

Tabella 9. Disturbi dell'Alimentazione Non Altrimenti Specificati. Sono inclusi tutti quei disturbi dell'alimentazione che
non soddisfano i criteri di nessuno specifico Disturbo dell'Alimentazione

1. Per il sesso femminile, tutti i criteri dell'Anoressia Nervosa in presenza di un ciclo mestruale regolare.
2. Tutti i criteri dell'Anoressia Nervosa sono soddisfatti e, malgrado la significativa perdita di peso, il peso attuale
risulta nei limiti della norma.
3. Tutti i criteri della Bulimia Nervosa risultano soddisfatti, tranne il fatto che le abbuffate e le condotte
compensatorie hanno una frequenza inferiore a due episodi per settimana per tre mesi.
4. Un soggetto di peso normale che si dedica regolarmente ad inappropriate condotte compensatorie dopo aver
ingerito piccole quantità di cibo (esempio induzione del vomito dopo aver mangiato due biscotti).
5. Il soggetto ripetutamente mastica e sputa, senza deglutirle, grandi quantità di cibo.

6. Disturbo da Alimentazione Incontrollata: ricorrenti episodi di abbuffate in assenza delle regolari condotte
compensatorie inappropriate tipiche della Bulimia Nervosa.

Tabella 10. Criteri di ricerca per il Binge Eating Disorder (Disturbo da Alimentazione Incontrollata)

A. Episodi ricorrenti di alimentazione incontrollata. Un episodio di alimentazione incontrollata si caratterizza per la


presenza di entrambi i seguenti elementi:
1. Mangiare, in un periodo definito di tempo ( per esempio entro un periodo di 2 ore), un quantitativo di cibo
più abbondante di quello che la maggior parte delle persone mangerebbe in un periodo simile di tempo e in
circostanze simili

2. Sensazione di perdita del controllo nel mangiare durante l'episodio (per esempio la sensazione di non
riuscire a fermarsi, oppure a controllare che cosa e quanto si sta mangiando)

B. Gli episodi di alimentazione incontrollata sono associati con tre (o più) dei seguenti sintomi:
1. mangiare molto più rapidamente del normale

14
2. mangiare fino a sentirsi spiacevolmente pieni
3. mangiare grandi quantitativi di cibo anche se non ci si sente fisicamente affamati
4. mangiare da soli a causa dell'imbarazzo per quanto si sta mangiando

5. sentirsi disgustato verso se stesso, depresso, o molto in colpa dopo le abbuffate.

C. È presente marcato disagio a riguardo del mangiare incontrollato

D. Il comportamento alimentare incontrollato si manifesta, mediamente, per 2 giorni alla settimana in un periodo di sei
mesi.
Nota: il metodo per determinare la frequenza è diverso da quello usato per la Bulimia Nervosa; la ricerca futura
dovrebbe indicare se il metodo preferibile per individuare la frequenza-soglia sia quello di contare il numero dei
giorni in cui si verificano la abbuffate, oppure quello di contare il numero di episodi di alimentazione incontrollata.

E. L'alimentazione incontrollata non risulta associata con l'utilizzazione sistematica di comportamenti compensatori
inappropriati, uso di purganti, digiuno, eccessivo esercizio fisico, e non si verifica esclusivamente in corso di
Anoressia Nervosa o di Bulimia Nervosa.

Osservato per la prima volta da Stunkard nel 1959, in un gruppo di soggetti obesi, solo nella seconda metà degli anni
'80 è stato studiato individualmente e quasi esclusivamente negli Stati Uniti. La caratteristica del disturbo è costituita
dalla presenza di crisi di discontrollo dell'alimentazione, analoghe a quelle che si osservano nei pazienti bulimici, dette
appunto nella cultura statunitense binge. Queste crisi sono responsabili di un notevole disagio e di un cattivo
adattamento sociale ma non inducono i comportamenti compensatori né di eliminazione né con l'intensificazione
dell'attività sportiva.
Conseguentemente i soggetti interessati presentano un incremento ponderale relativo di grado variabile, che spiega
perché il disturbo sia stato inizialmente individuato proprio nella popolazione degli afferenti a centri specializzati nei
programmi di riduzione del peso. Il disturbo si accompagna, più comunemente, all'obesità ma può anche colpire
soggetti normopeso.
Caratteristica del disturbo, necessaria per porre diagnosi, è che le crisi di iperfagia siano prolungate lungo la giornata
differendo in questo dagli episodi di abbuffata tipici della bulimia. Il soggetto presenta queste giornate di
iperalimentazione durante le quali ingurgita ingenti quantità di cibo. La frequenza è di tre o cinque giorni per settimana
in alternanza alle giornate di alimentazione regolare e controllata. La qualità del cibo assunta durante le giornate di crisi
vira verso i cibi grassi rispetto alle proteine e alle fibre che costituiscono il regime alimentare consueto delle giornate
normali.
L'apporto calorico sembrerebbe correlato direttamente alla gravità della depressione frequentemente presente. La lotta
costante per contrastare le abbuffate e l'aspirazione verso uno standard di perfezione elevata nella dieta appaiono
peculiari di questi pazienti. Il ricorso a comportamenti compensatori appare meno comune nonostante le ripercussioni in
senso negativo sul livello dell'autostima, nonché i sentimenti di colpa e di sconfitta siano rilevanti. Ove utilizzati questi
comportamenti sono limitati all'assunzione di lassativi.
Come appare facilmente ipotizzabile il peso corporeo di questi soggetti va incontro caratteristicamente a oscillazioni
anche marcate, weight cycling syndrome o yo-yo dieting nella dizione inglese, in relazione alla frequenza delle giornate
di alimentazione incontrollata, alla quantità del cibo ingerito, alla presenza di condotte di eliminazione, alla pratica
dell'esercizio fisico, nonché a caratteristiche più soggettive, quali l'assetto genetico e lo stato metabolico.
Una volta insorto l'aumento ponderale acquista un andamento progressivo poiché l'osservazione dei soggetti coinvolti
ha evidenziato che l'atteggiamento compulsivo verso il cibo aumenta con l'aumentare dell'adiposità.

Disturbi del comportamento alimentare e comorbidità con altri disturbi psichiatrici

Sintomi d'ansia fino alla strutturazione di un vero e proprio disturbo d'ansia generalizzata sono molto frequenti durante
il decorso dei disturbi alimentari psicogeni, soprattutto della bulimia e del disturbo di alimentazione incontrollato. Tali
quadri tendono alla risoluzione con la remissione del disturbo alimentare. Tra i disturbi d'ansia riscontrati nei campioni
di soggetti bulimici è presente la fobia sociale.
Per contro la fobia sociale delle pazienti anoressiche più difficilmente può essere considerata come una sindrome a sé
stante considerato che è prevalentemente circoscritta al mangiare un pubblico.
Alcuni autori hanno riscontrato in un campione di soggetti affetti da disturbo da alimentazione incontrollata la presenza
di soggetti con attacchi di panico e di disturbo post-traumatico da stress.
L'insorgenza di una sintomatologia che si configura come una distimia o un disturbo depressivo maggiore è comune

15
durante il decorso di tutti i disturbi alimentari psicogeni. Una percentuale variabile di pazienti anoressiche possono aver
presentato una distimia o una depressione maggiore prima di ammalare di anoressia. La percentuale più elevata di
disturbi dell'umore si rileva tra i pazienti bulimici, come confermato dagli studi specifici che hanno rilevato una
prevalenza lifetime di depressione maggiore del 71%. Sembrerebbe che il disturbo dell'umore faccia seguito al
disadattamento indotto dall'insorgenza del disturbo alimentare, anche se in almeno un terzo dei casi sarebbe precedente.
Una percentuale del 4-6%, fino al 13% secondo altri autori, di disturbo bipolare è comune all'anoressia e alla bulimia
nervose. Tra i soggetti che presentano il disturbo da alimentazione incontrollata è frequente anche la diagnosi di
depressione atipica. Durante gli episodi depressivi maggiori, in questi soggetti, l'assunzione del cibo aumenta e
altrettanto accade per il peso corporeo, a differenza di quanto accade nei pazienti normopeso.
Alcune caratteristiche psicopatologiche e cliniche hanno consentito un accostamento tra la bulimia e seppure in misura
meno marcata l'anoressia e il disturbo ossessivo-compulsivo. La prevalenza lifetime del DOC nelle pazienti con
anoressia nervosa è stata stimata fino al 25% e tratti ossessivo-compulsivi sono di comune riscontro nella maggior parte
delle pazienti in trattamento per il recupero del peso nei centri di cura terziaria. Per altro alcuni autori hanno sottolineato
le caratteristiche comuni ai disturbi alimentari e al DOC osservabili sia da un punto di vista clinico che da quello
biologico.
L'abuso di alcoolici e di sostanze psicoattive è di comune riscontro nelle pazienti anoressiche, bulimiche e con
disturbo da alimentazione incontrollata. Un terzo dei soggetti bulimici, dal 30 al 37%, sviluppa condotte di abuso di
sostanze; le anoressiche, 12-18%, soprattutto nel sottogruppo delle binge/purging. Nell'ambito del disturbo del
comportamento rientrano la tendenza al furto occasionale, o alla cleptomania, gli atti autolesivi, la reattività esagerata
agli eventi e i tentati suicidi.
L'associazione con alcuni disturbi di personalità è stata descritta in percentuali variabili in diversi studi, con valori
oscillanti tra il 50 e il 75%. Più comune è l'associazione tra l'anoressia nervosa e il disturbo di personalità del cluster C,
e tra la bulimia e il cluster B e C. Il disturbo borderline è diagnosticabile tra i pazienti bulimici con una percentuale
compresa tra il 14 e 40%, e del 14% con disturbo da alimentazione incontrollata. Tra questi ultimi soggetti è rilevabile
anche il disturbo evitante di personalità.
I pazienti con disturbo dell'alimentazione e disturbo di personalità più facilmente possono andare incontro a un
concomitante disturbo dell'umore o di abuso di sostanze, rispetto a quelli senza disturbo di personalità. La comorbità
per il disturbo di personalità è significativamente più comune tra i pazienti anoressici, nel sottogruppo binge/purge
rispetto al sottogruppo restricted, e tra i pazienti bulimici in quelli con peso normale. Yanovsky ha riscontrato in una
popolazione di pazienti obesi alcuni disturbi psichiatrici in percentuali differenti. Il 14% dei soggetti obesi presentava
una prevalenza lifetime per depressione maggiore, l'8% per distimia, l'8% per abuso di sostanze, il 6% per dipendenza
alcoolica e il 4% per disturbo ossessivo-compulsivo.

Valutazione clinica del paziente in sovrappeso o obeso

Il riconoscimento precoce e tempestivo dell'origine psichica di un disturbo alimentare è di estrema importanza


considerata la tendenza del decorso alla cronicizzazione e la possibilità dell'insorgenza di complicanze poco compatibili
con la vita. Le pazienti affette da DCA possono, seppure per cause molto diverse, andare incontro all'exitus in una
percentuale rilevante. La mortalità dell'anoressia nervosa varia dal 5 al 20% per denutrizione o squilibrio
idroelettrolitico e dall'1 al 2% per suicidio. Gli studi di follow-up, a 10 e 15 anni, condotti su pazienti adolescenti hanno
confermato che quelle sottoposte a trattamento intensivo non vanno incontro a complicazioni a rischio per la vita.
Per quanto riguarda la bulimia nervosa i dati relativi all'outcome e gli studi di follow-up a lungo termine sono molto
rari. In ordine alla mortalità il dato disponibile, risultato di uno studio condotto su un campione molto numeroso di
soggetti, è dell'1%.
Le tabelle rispettivamente 11 e 12 riportano alcuni dati ottenuti da studi di follow-up sul decorso dell'anoressia e della
bulimia nervosa.

Tabella 11. Decorso dell'Anoressia nervosa (studio di follow-up a 4 anni)

Esito buono 44%

Esito intermedio 28%

Esito scarso 24%

Mortalità 5%

Tabella 12. Decorso della Bulimia nervosa (studio di follow-up a 6 anni)

16
Esito buono 60%

Esito intermedio 29%

Esito scarso 10%

Mortalità 1%

Il clinico quando si trovi davanti ad un soggetto che presenta una modificazione del peso corporeo deve procedere
contestualmente all'iter della diagnosi differenziale.
La diagnosi differenziale va posta rispetto a tutte quelle situazioni fisiopatologiche nelle quali un soggetto può andare
incontro ad un aumento ponderale e deve indagare le caratteristiche sottostanti, più peculiari dei DCA al di là della
descrizione anamnestica dei singoli quadri clinici fornita dai pazienti o dai familiari.
L'indagine psicopatologica deve spaziare e oltre alla sfera del comportamento alimentare deve essere indirizzata a
verificare il funzionamento delle seguenti aree:
1. Alterazione del senso della fame. In questi soggetti il senso della fame perde il significato fisiologico di
controllo della reintegrazione calorica e si distacca dal controllo centrale per fondersi caratteristicamente a
stimoli di natura intrapsichica. Questo contenuto psicopatologico è dirimente nella diagnosi differenziale con le
modificazioni, verso l'inappetenza o verso l'iperfagia (conseguenti anche all'assunzione dei farmaci) che si
riscontrano nei soggetti affetti da disturbi dell'umore (depressione o disturbo bipolare).
2. Alterazioni del controllo degli impulsi. È possibile osservare nel soggetto un'incapacità ad esercitare un
adeguato controllo nella sfera del comportamento alimentare e meno marcata sui comportamenti in generale.
3. Alterazione dell'immagine somatica. Il soggetto perde la capacità di formulare un giudizio obiettivo sulla
propria immagine corporea.
4. Alterazioni del giudizio di realtà. Si osserva nel soggetto un'incapacità a stabilire confini netti tra la realtà
interna e quella esterna.
5. Alterazioni della cenestesi somatica. Il soggetto appare incapace di attribuire il giusto significato alle proprie
percezioni cenestesiche.
6. Alterazione del controllo relazionale. La comunicazione con e tra gli altri componenti dell'ambiente è
disturbata e infarcita di spostamenti sul soma.

In altri termini il clinico deve sospettare la presenza di un disturbo alimentare in un soggetto obeso quando rilevi:
 anamnesi di ampie oscillazioni del peso corporeo;
 intercorrenti restrizioni dietetiche;
 marcata preoccupazione per il peso e per l'aspetto fisico;
 indicatori di discontrollo sull'alimentazione;
 atteggiamento rigido e perfezionista nei confronti della dieta;
 difficoltà al calo ponderale;
 difficoltà nel mantenere l'eventuale calo ottenuto;
 comorbidità o anamnesi di un disturbo depressivo.

Per giungere ad un giudizio diagnostico di certezza, reso complesso anche dall'atteggiamento scarsamente collaborativo
dei soggetti affetti, il clinico può avvalersi di ausili specifici e supporti strumentali. Gli strumenti di valutazione a
disposizione consistono in interviste strutturate o semistrutturate e test autocompilati che indagano e consentono una
misurazione standard delle aree comportamentali più specifiche alterate dal disturbo.
Le tabelle 13, 14, 15 riportano le scale di valutazione più comunemente utilizzate per una diagnosi precoce. Alcune
scale sono specifiche per l'approfondimento dell'indagine su alcune aree psicopatologiche peculiari del disturbo in atto:
ad esempio la valutazione della misura dell'alterazione dell'immagine corporea, la motivazione al trattamento, i
comportamenti relativi alle "abbuffate" e le situazioni trigger.

Strumenti di valutazione dei disturbi alimentari (mod. da Am. J. of Psychiatry,


Tabella 13.
Supplement, vol. 157, n. 1, January 2000)

Scala Riferimento Forma di Caratteristiche


somministrazione

17
Diagnostic Survey Johnson, 1987 Autovalutazione o 12 sezioni riguardanti aspetti demografici,
for Eating Disorders intervista strutturata anamnestici, immagine corporea, diete, uso di
(DSED) lassativi, abbuffate esercizi fisici, funzionamento
sessuale, mestruazioni, anamnesi familiare, medica e
psichiatrica, adattamento

Eating Attitudes Garner et al., Autovalutazione 26 item centrate su sintomi e caratteristiche dei
Test (EAT) 1982; Garner, disturbi alimentari
1997

Eating Disorders Fairburn et al., Intervista semi- Indaga la presenza e la gravità di caratteristiche dei
Examination (EDE) 1993 strutturata disturbi alimentari e fornisce diagnosi operative
secondo il DSM-IV

EDE-Q4 Fairburn e Autovalutazione Forma autosomministrata dell'EDE da uti-lizzare


Beglin, 1994 quando non è possibile il colloquio

Eating Disorders Garner et al., Autovalutazione 11 sottoscale con punteggio da 1 a 6


Inventory 1983; Garner,
1991; 1996

Eating Disorders Mitchell et Autovalutazione Indaga i sintomi dei disturbi alimentari, i sintomi
Questionnaire al.,1985 affini, il decorso e il trattamento

Questionnaire of Yanovski, 1993; Autovalutazione Valuta il disturbo alimentare con binge


Eating and Weight Nangle et al.,
Patterns 1993

Yale-Brown-Cornell Mazure et al., Intervista strutturata Comprende una checklist di 65 items sintomatici più
Eating Disorders 1994; Sunday et 19 domande. Richiede un tempo di quindici minuti o
Scale al., 1995 meno

Questionari autosomministrati per la valutazione del comportamento alimentare del


Tabella 14.
paziente obeso (mod. da L'Obesità 1997)

BS Hawkins et al., Scala utilizzabile per la diagnosi di bulimia e del DAI


1980

BES Gormally et al., Scala per la valutazione dei comportamenti di abbuffata


1982

BITE Henderson et al., È un test che può portare ad una sovrastima del numero delle abbuffate e da un altro
1987 canto a sottovalutazione delle forme limite

ESI Whitaker et al., Potrebbe rivelarsi utile per lo screening del DAI negli obesi
1989

QEWP-R Spitzer et al., Sembra uno dei test più specifici per i pazienti bulimici
1993

DIET Shlundt et al., È uno strumento utile per predire l'aderenza dei pazienti a programmi dietetici per la
1988 riduzione ponderale

SDS Stotland et al., Può essere utilizzata per predire l'aderenza dei pazienti obesi ai programmi dietetici
1991

SAM Stanton et al., Valuta la capacità dei soggetti di resistere in situazioni ad alto rischio dal punto di vista
1990 alimentare

18
ESES Glynn et al., È una scala per la valutazione della difficoltà nel controllare la propria tendenza ad
1986 iperalimentarsi cimentandosi in 25 situazioni

TFEQ Stunkard et al., Valuta il comportamento alimentare nei soggetti obesi con particolare attenzione ai
1985 rapporti tra i comportamenti restrittivi, l'obesità e le binge

Tabella 15. Questionari per la valutazione dell'alterazione dell'immagine corporea

MBSQ Brown et al., 1990 Comprende 3 scale per la valutazione degli aspetti percettivi e cognitivi

BSQ Cooper et al., 1987 Esistono tre versioni: una di 34 items, di 16 e di 8 items

PASTS Reed et al., 1991 Indaga gli aspetti affettivi e cognitivi collegati al disturbo

BIATQ Cash et al., 1987 Indaga gli aspetti affettivi e cognitivi collegati al disturbo

Nelle interviste semistrutturate il clinico gestisce l'incontro, scandisce i tempi e indirizza l'approfondimento delle aree
più alterate. Vogliamo ricordare tuttavia come la scale autocompilate siano di attendibilità relativa data la tendenza delle
pazienti, sia anoressiche che bulimiche, a minimizzare o nascondere i loro sintomi.

Il trattamento dei DCA

Considerazioni generali
Il trattamento dei disturbi alimentare si avvale di numerose strategie di intervento che generalmente debbono essere
integrate considerata sia la complessità intrinseca dei singoli disturbi che le complicanze relative, nonché le
ripercussioni delle manifestazioni sociali che richiedono ulteriori approcci terapeutici. Esistono comunque alcune
strategie di base e considerazioni cliniche che sono comuni a tutti i DCA e devono costituire in certo modo le linee
guida dell'approccio terapeutico.
I primi incontri con un soggetto che presenta un DCA sono determinanti poiché è in questa fase che si stabiliscono i
presupposti della relazione terapeutica, cioè la possibilità di un rapporto di fiducia e di collaborazione. È di primaria
importanza considerare il contesto che porta al primo contatto: se la paziente abbia formulato una richiesta spontanea o
se sia giunta all'osservazione condotta dai familiari e quindi con quale modalità si relazioni durante il colloquio.
L'atteggiamento di diffidenza con il quale le pazienti anoressiche accedono al trattamento che vivono come una
minaccia per la propria autonomia, nonché la sfiducia e il senso di inadeguatezza delle pazienti bulimiche, possono
causare un'interruzione precoce del trattamento.
Nodo centrale del trattamento dei pazienti con DCA è la motivazione al trattamento, considerato che la maggior parte
delle pazienti affette, in particolare quelle con anoressia, considerano il loro comportamento anomalo una libera scelta.
La misura del peso auspicato dalla paziente può fornire un'indicazione sulla disponibilità autentica a raggiungere un
peso adeguato e quindi informazioni sulle possibili resistenze al trattamento. Inoltre il condizionamento che l'aspetto
fisico e le fluttuazioni del peso corporeo esercitano sull'autostima può ostacolare l'aderenza al progetto terapeutico.
È utile ricostruire un resoconto dettagliato di ogni singola giornata o l'uso del calendario come strumento per stimolare
la registrazione sollecita delle informazioni specifiche e soprattutto per rendersi conto dell'aspirazione. La possibilità di
osservare la paziente mentre consuma un pasto permette al clinico di conoscere le difficoltà che ella incontra mentre
mangia particolari cibi, le crisi d'ansia che insorgono mentre si alimenta e i rituali relativi al cibo, come lo taglia, lo
separa o lo mastica, e in quale modo condizioni il suo comportamento. È importante l'anamnesi familiare sia riguardo ai
disturbi dell'alimentazione che altri disturbi psichiatrici. Nella valutazione delle pazienti più giovani può essere di aiuto
coinvolgere tutti i parenti, il personale della scuola, i professori e coloro i quali lavorano quotidianamente con loro.
È di primaria importanza la valutazione delle condizioni generali della paziente: peso corporeo, funzionalità cardiaca,
equilibrio idroelettrolitico; eventuali squilibri metabolici e tutti gli altri parametri organici devono essere
opportunamente controllati. L'andamento di queste funzioni ma anche altri aspetti più relativi alla sfera del
comportamento possono rendere necessario il ricovero in ambienti adeguati. In alcune situazioni può rendersi
necessario il ricorso al ricovero in relazione a valutazioni oltre che di carattere internistico, anche psichiatrico, rispetto
al comportamento delle pazienti. Infatti le pazienti che soffrono di bulimia più raramente necessitano di un ricovero per
motivi internistici, ma gli aspetti comportamentali: la tendenza al discontrollo degli impulsi o a gesti autolesivi possono
comunque rendere necessario un periodo di degenza.

19
L'intervento contro la volontà della paziente, fino al ricovero coatto, può rendersi necessario quando la disponibilità al
trattamento sia tanto scarsa da porre a rischio la vita stessa. La scelta tra una struttura psichiatrica o di medicina
generale, e di un reparto per adolescenti o adulti, è condizionata generalmente dalle condizioni cliniche generali,
dall'esperienza dello staff psichiatrico o dei medici internistici e dalla disponibilità di ambienti adatti alla cura di queste
pazienti. Alcune esperienze cliniche dimostrano che i soggetti trattati nelle strutture altamente specializzate per i
disturbi alimentari presentano un esito migliore rispetto ai soggetti ricoverati in ambienti con minor competenza.
Un altro obiettivo del ricovero è quello di allontanare le pazienti dalle proprie famiglie necessario tanto più se le
relazioni siano particolarmente conflittuali e caratterizzate da criticismo e intense tensioni che potrebbero alimentare i
comportamenti patologici. Per altro attualmente i programmi con un ricovero parziale o in regime di day hospital hanno
avuto una diffusione crescente, indicati sia per ridurre i lunghi tempi di degenza sia per i casi di media gravità. In ogni
caso, prima di stabilire o intraprendere qualsiasi tipo di trattamento è necessario effettuare questa valutazione
preliminare del paziente essenziale per individuare il setting più appropriato.
Le tecniche fondamentali per il trattamento dei DCA comprendono la riabilitazione nutrizionale; il trattamento così
detto psicosociale che si avvale dei diversi modelli di psicoterapia, la terapia farmacologica, la terapia della famiglia e
i gruppi di auto-aiuto.

L'anoressia nervosa
Il trattamento dell'anoressia nervosa è molto complesso. È opportuno che sia duttile sia in relazione alla fase del decorso
della malattia che alla sfera psicopatologica propriamente: all'insufficiente consapevolezza di malattia e alla mancanza
di insight, fino alla totale negazione/diniego della malattia che si osserva in alcune pazienti. D'altro canto la gravità
intrinseca, a rischio per la vita, rende doveroso un intervento tempestivo e molto attento che non sottovaluti
l'atteggiamento oppositivo anche non manifesto nei confronti del trattamento. Questa situazione richiede che,
soprattutto nelle fasi iniziali, il trattamento sia multidisciplinare, si avvalga di differenti approcci e contempli il ricorso
alla collaborazione di tecnici e figure professionali aventi diverse competenze.
Obiettivi base del trattamento sono:
1. riportare alla normalità il peso corporeo delle pazienti;
2. individuare e trattare le complicazioni fisiche;
3. stimolare nella paziente la motivazione alla cooperazione per il recupero di patterns alimentari sani e alla
partecipazione al trattamento;
4. fornire loro un'educazione sui comportamenti alimentari e su quale sia un'alimentazione sana;
5. correggere il nucleo dei pensieri disfunzionali, dei comportamenti e delle emozioni relativi al disturbo;
6. trattare i disturbi psichiatrici associati, l'instabilità dell'umore e il discontrollo degli impulsi;
7. fornire un supporto alla famiglia, un counselling e una terapia adeguata ove necessario;
8. prevenire le ricadute.

Inizialmente, considerato quanto l'aspetto organico costituisca un'area molto ampia della psicopatologia, il trattamento
si avvarrà comunemente di strategie di intervento che competono più strettamente alla medicina generale.
Il primo step del trattamento, obiettivo a breve termine, è la cosiddetta riabilitazione nutrizionale. L'obiettivo della
riabilitazione nutrizionale, ineludibile per le pazienti il cui peso corporeo sia gravemente al di sotto dei parametri vitali,
comprende diversi obiettivi:
1. il recupero di un adeguato peso corporeo;
2. la normalizzazione del rapporto con gli stimoli legati all'alimentazione;
3. il ripristino o l'apprendimento di una normale percezione dei segnali della fame e della sazietà;
4. la correzione delle sequele biologiche e psicologiche della malnutrizione.

Il programma deve essere effettuato in regime di ricovero quando le condizioni generali siano gravemente compromesse
dalla malnutrizione e dal digiuno e durante il ripristino dell'alimentazione tutte le funzioni debbono essere
opportunamente monitorate. Una strategia supplementare che può essere adottata è l'iperalimentazione con cibi liquidi.
In particolari situazioni, quando la paziente rifiuti radicalmente di riconoscere la necessità di alimentarsi, può rendersi
necessario il ricorso al sondino naso-gastrico, o molto più raramente e per brevi periodi, all'alimentazione parenterale,
presidio per altro molto rischioso dato lo stato di defedamento immunitario in cui versano queste pazienti.
In generale un indice di un buon risultato del trattamento e quindi di un adeguato ripristino del peso corporeo è
rappresentato dal recupero del ciclo mestruale e dell'ovulazione.
Molti risultati suggeriscono che con la riabilitazione nutrizionale, insieme all'incremento ponderale, gli altri sintomi
legati al disturbo alimentare diminuiscano: la scelta del cibo aumenta e diviene più variata, si riduce la tendenza ad
accumulare il cibo e quindi l'ossessione per il cibo in intensità e frequenza. In realtà, tuttavia, alcune abitudini anomale
non migliorano semplicemente come funzioni del recupero del peso corporeo. Esiste un accordo generale sul dato che i
convincimenti distorti relativi al peso corporeo e all'immagine corporea si modificano meno facilmente e che l'esercizio
fisico eccessivo, tra i comportamenti legati al disturbo alimentare più resistenti da modificare, possa essere quello più
difficile da correggere.

20
Il ripristino di un adeguato peso corporeo induce anche un miglioramento dei sintomi riferiti al tono dell'umore e
all'ansia, con il miglioramento dell'apatia e dello stato letargico conseguente alla malnutrizione. Alcune pazienti al
momento del ricovero e quando percepiscono l'allargamento della conformazione del loro corpo, specialmente quando i
numeri relativi alla misurazione corrispondono a quelli assunti come numeri "magici", possono presentare una
riacutizzazione dei sintomi ansiosi e depressivi con irritabilità e ideazione suicidaria. Questi sintomi umorali, questi
tratti ossessivi non riferiti al cibo, e questi comportamenti compulsivi, non vengono spesso completamente risolti, ma
diminuiscono quando il ripristino del peso sia adeguato.

L'obiettivo del trattamento psicosociale è quello di aiutare le pazienti a:


1. comprendere il loro piano di riabilitazione nutrizionale e fisica e collaborare alla sua attuazione;
2. comprendere e modificare i loro comportamenti e atteggiamenti disfunzionali rispetto al proprio disturbo
alimentare;
3. migliorare il loro funzionamento interpersonale e sociale;
4. riconoscere il disturbo psicopatologico compresente e il conflitto psicopatologico che rinforza e amplifica i
comportamenti del disturbo alimentare.

Per raggiungere questi obiettivi è necessaria, generalmente, soprattutto nelle fasi iniziali, l'intensificazione delle
motivazioni al cambiamento attraverso il rinforzo dell'obiettivo che sottostà alla motivazione.
Sebbene gli studi sull'efficacia del trattamento psicosociale non siano numerosi e solo pochi siano stati condotti in
maniera sistematica, esistono comunque in letteratura molti lavori su gruppi ristretti di pazienti o su singoli casi. Inoltre
l'evidenza data da esperienze cliniche degne di considerevole rispetto suggerisce che la psicoterapia, ben condotta, ha
un'efficacia significativamente superiore sia rispetto al miglioramento dei sintomi dell'anoressia che alla prevenzione
delle ricadute.
La maggior parte dei programmi per i pazienti ospedalizzati si avvale di molteplici strategie di tipo comportamentale
incentrate su una combinazione di rinforzi non punitivi. I programmi comportamentali hanno mostrato una buona
efficacia a breve termine, come conferma anche una meta-analisi nella quale un gruppo di pazienti sottoposti ai due
trattamenti è stato confrontato con un gruppo di pazienti sottoposti al solo trattamento farmacologico.
Alcuni studi hanno mostrato che i programmi comportamentali indulgenti, che utilizzano il riposo a letto e la minaccia
dell'allettamento se l'aumento ponderale non è stato progressivo, possono rivelarsi più efficaci dei programmi
comportamentali più restrittivi e rigidi, nei quali il controllo delle calorie assunte per ciascun pasto, e i programmi
dell'alimentazione giornaliera vengono correlati alla scheda dei privilegi. Inoltre un programma di ri-alimentazione
troppo rapido ed autoritario potrebbe rivelarsi dannoso per la relazione terapeutica e per le ripercussioni fisiche.
È fondamentale che tutto il personale sia al corrente della possibilità che la paziente tenti di manipolare la relazione
terapeutica e tenda a controllare lei stessa l'incremento del peso corporeo ricorrendo a svariati espedienti fino
all'inganno, occultando il cibo o vomitando, o nascondendo sotto gli indumenti oggetti che accrescano il peso.
L'efficacia della psicoterapia individuale durante la fase acuta della malattia è incerta. Tuttavia l'esperienza clinica
suggerisce che è sempre virtualmente positivo fornire ai pazienti una comprensione empatica, i chiarimenti, il
riconoscimento degli sforzi positivi, il supporto, l'incoraggiamento e altri rinforzi dei comportamenti positivi. Le sedute
di una psicoterapia incentrata su tecniche che aumentino la motivazione possono costituire un valido aiuto per
potenziare la consapevolezza e il desiderio di guarigione nelle pazienti che inizialmente presentano una scarsa
motivazione.
D'altro lato i tentativi di intraprendere un trattamento psicoterapeutico formalmente rigido spesso falliscono con le
pazienti denutrite, le quali generalmente esercitano un diniego rispetto al loro disturbo, hanno comportamenti ossessivi
e presentano lievi compromissioni delle funzioni cognitive. Infatti, la psicoterapia da sola, di qualsiasi impostazione
teorica, si è rivelata insufficiente quando le pazienti sono in condizioni di grave malnutrizione.
Per altro mancano studi controllati che dimostrino che la psicoterapia di qualsiasi tecnica sia efficace per il recupero del
peso corporeo.
La psicoterapia di gruppo, invece, si è rivelata durante questa fase della malattia inefficace o addirittura
controproducente, poiché le pazienti tendono a stabilire delle alleanze che rinforzano gli atteggiamenti oppositivi al
trattamento. Inoltre le caratteristiche di personalità, l'egocentrismo e la rigidità, rendono le pazienti anoressiche poco
inclini a partecipare ai problemi altrui o impediscono l'identificazione e la possibilità di comunicare in un contesto
allargato. D'altra parte la loro eccessiva sensibilità e la bassa autostima possono essere responsabili dell'insorgenza o
recrudescenza di crisi ansiose a seguito di comunicazioni da parte di altri partecipanti al gruppo. E, da ultimo, le
pazienti gravemente emaciate sono assolutamente impossibilitate a partecipare attivamente ad un gruppo dalla
compromissione psicofisica indotta dalla denutrizione.
Esiste un generale accordo mutuato dalla pratica clinica che dimostra che, superata la fase acuta della malattia, la
psicoterapia è di notevole aiuto per le pazienti anoressiche. Si ritiene che la psicoterapia sia utile alle pazienti per
verificare e comprendere che cosa abbiano vissuto, gli aspetti che coinvolgono il loro sviluppo, gli aspetti familiari e
culturali della loro malattia, in che modo essa possa essere stata un tentativo malriuscito di regolazione del sé
emozionale e cognitivo, come sia possibile evitare o minimizzare il rischio di ricaduta, e come armonizzare meglio gli
aspetti più salienti per il proprio sviluppo futuro e altri importanti progetti per la vita.

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Molti clinici prediligono la psicoterapia cognitiva con un accento maggiore sul versante comportamentale per il
mantenimento dei comportamenti alimentari sani e sul versante cognitivo o con un taglio interpersonale per indurre una
ristrutturazione cognitiva o migliorare le strategie di coping. L'approccio psicodinamico ha in più il vantaggio di
consentire di individuare il disturbo di personalità di base e di contribuire a stimolare l'insight e la maturazione.

La terapia farmacologica
Gli studi che hanno valutato l'indicazione dei farmaci antidepressivi nel trattamento dell'anoressia nervosa sono poco
numerosi e non esenti da critiche metodologiche anche perché questi farmaci non vengono somministrati di routine
nella fase acuta della malattia quando le pazienti sono gravemente defedate dal digiuno.
Gli antidepressivi triciclici e gli inibitori delle monoamiossidasi (IMAO) indurrebbero un incremento dell'appetito,
verosimilmente attraverso un'attivazione alfa-adrenergica a livello del nucleo paraventricolare ipotalamico. L'azione dei
triciclici sembrerebbe dose dipendente e inoltre si estrinsecherebbe più specificatamente in un'iperfagia per i
carboidrati, nota come craving.
La somministrazione di alcuni farmaci triciclici, 50 mg./die di clorimipramina, in uno studio in aperto, non ha mostrato
differenze significative rispetto al placebo. Anche la somministrazione di amitriptilina non ha dato risultati di rilievo
rispetto al placebo. In un altro studio il confronto è stato effettuato tra amitriptilina, 160 mg/die, in aggiunta alla
ciproeptadina e placebo. L'amitriptilina ha mostrato una superiorità significativa rispetto al placebo.
Al di là della scarsa specificità di questi farmaci come dimostrato da questi studi, la cui validità clinica è limitata a
causa del sottodosaggio utilizzato, è comunque opportuno che vengano somministrati con estrema cautela. Essi sono
infatti responsabili di una serie di effetti collaterali: possono acuire l'ipotensione, allungare il tempo di conduzione
cardiaca e le aritmie, soprattutto nelle pazienti anoressiche purging che potrebbero presentare un marcato
sbilanciamento dell'idratazione e una maggiore compromissione della funzionalità cardiaca.
Uno studio controllato recente ha mostrato che l'aggiunta della fluoxetina agli interventi di tipo nutrizionale o
psicosociale, in pazienti in trattamento per il recupero del peso in regime ospedaliero, non presenta vantaggi né rispetto
alla quantità né alla rapidità del ripristino. Studi non controllati suggeriscono che la fluoxetina possa essere efficace per
alcuni pazienti resistenti al trattamento.
L'uso degli antidepressivi si è rivelato maggiormente utile nella fase successiva del trattamento per il mantenimento del
peso corporeo raggiunto, sebbene anche gli studi controllati pubblicati che hanno valutato questa fase del trattamento
non siano numerosi. In uno studio controllato in pazienti ristabilite che avevano ricevuto fluoxetina (in dosaggio di 40
mg/die) gli autori hanno osservato, nell'anno successivo, un minor calo ponderale, una minore incidenza di sintomi
depressivi e un minore rischio di ricaduta rispetto ai soggetti trattati con placebo. In uno studio condotto in aperto su
pazienti trattati con citalopram in aggiunta alla psicoterapia si è osservato un peggioramento delle condizioni cliniche,
con una ulteriore riduzione del peso corporeo di molti chilogrammi, rispetto alle pazienti trattate con la sola
psicoterapia. Ciò potrebbe far ipotizzare che la somministrazione di antidepressivi inibitori selettivi del reuptake della
serotonina (IRS o SSRI) possa essere controproducente. Gli SSRI invece sembrerebbero indicati in quelle pazienti
anoressiche che presentano in comorbidità disturbi dell'umore, o un disturbo ossessivo-compulsivo o un discontrollo
degli impulsi. D'altro canto nelle pazienti anoressiche non si sono riscontrati gli effetti "anoressizzanti" degli SSRI,
comunque utilizzati a basso dosaggio.
Mancano studi controllati sulla valutazione dell'impiego di molecole appartenenti ad altre classi farmacologiche nel
trattamento dell'anoressia.
Il carbonato di litio non sembrerebbe incidere in modo significativo sul nucleo centrale della psicopatologia e l'aumento
ponderale che si verifica come effetto collaterale non può essere considerato sufficiente. Inoltre i sali di litio possono
indurre ripercussioni sul bilancio elettrolitico e sulla funzionalità cardiaca, aggravando un equilibrio già alterato
dall'assunzione reiterata dei diuretici e dei lassativi.
Anche l'uso dei neurolettici che era ed è invalso nella pratica clinica, soprattutto con lo scopo di mitigare alcuni sintomi
associati, non è stato oggetto di studi controllati. Uno studio ha dimostrato che il trattamento con la pimozide non è
efficace in misura significativamente superiore al placebo, rispetto alla rapidità con la quale si era verificato
l'incremento ponderale. La sulpiride esercita in basse dosi un potente effetto antiemetico. Uno studio controllato ha
evidenziato una superiorità ma non statisticamente significativa della sulpiride versus placebo, rispetto all'incremento
giornaliero del peso, ma non è apparsa in grado incidere sulle caratteristiche base del disturbo.
La somministrazione dei neurolettici, a basso dosaggio, è comunque indicata quando il convincimento relativo alla
propria immagine corporea e al disturbo abbia assunto coloriture evidentemente deliranti e l'ansia associata impediscano
un approccio terapeutico adeguato. Infatti essi paiono attivi nel migliorare la compliance farmacologica. Inoltre l'effetto
secondario della sedazione consente il contenimento dell'iperattività fisica.
La ciproeptadina, potente antagonista serotoninergico e istaminergico, è stata utilizzata nella terapia dell'anoressia
nervosa, per la sua capacità di indurre nei pazienti in trattamento un discreto aumento ponderale. Per altro i risultati non
hanno evidenziato una superiorità significativa rispetto al placebo. Tuttavia la somministrazione ad alte dosi
sembrerebbe favorire l'incremento ponderale e la remissione della sintomatologia depressiva con un'efficacia più elevata
nelle pazienti restricter. Anche con questo farmaco è possibile una limitazione dell'iperattività fisica a causa della
sedazione indotta.

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Altri trattamenti adottati comprendono presidi medici di diversa tipologia quali la somministrazione di vitamine e/o di
ormoni, o il ricorso, oramai desueto, della terapia elettroconvulsivante.
Alcuni clinici hanno utilizzato il naloxone, per la sua azione selettiva sui recettori oppioidi, in perfusione continua
endovenosa, per alcuni giorni. Altri supporti sperimentati comprendono il tetraidrocannabinolo, la L-DOPA e il
nandrolone, tutti con risultati poco chiari e non dirimenti anche a causa dell'esiguità del numero dei soggetti trattati.

La bulimia nervosa
Le strategie per il trattamento della bulimia nervosa comprendono la rieducazione e la riabilitazione nutrizionale, gli
interventi psicosociali che si avvalgono degli approcci di psicoterapia comportamentale, cognitivo-comportamentale,
interpersonale, psicodinamica e psicoanalitica, individuale o di gruppo, gli interventi sulla famiglia e la farmacoterapia.
La riabilitazione nutrizionale è diretta primariamente alla riduzione delle crisi di binge e dei comportamenti detti
purgativi. A differenza delle pazienti anoressiche le pazienti bulimiche non presentano particolari modificazioni del
peso corporeo, e quindi il suo controllo non costituisce un obiettivo centrale del trattamento. Nelle pazienti che
presentano oscillazioni del peso è necessario ricostituire un pattern alimentare regolare, senza crisi bulimiche, con
un'attenzione particolare all'incremento delle calorie che vengono assunte e all'aumento della selezione dei cibi
macronutrienti. Nelle pazienti che presentano un peso corporeo normale la rieducazione alimentare ha obiettivi
differenti, quali ridurre i comportamenti legati al disturbo alimentare e le restrizioni dietetiche, correggere gli squilibri
alimentari, accrescere la varietà dei cibi, e incoraggiare un esercizio sano ma non eccessivo. I risultati dell'esperienza
clinica dimostrano l'importanza e l'efficacia di questo aspetto del trattamento nella strategia generale della bulimia.
Il trattamento psicosociale include oltre agli scopi generali obiettivi anche della rieducazione alimentare il trattamento
delle condizioni in comorbidità e dei sintomi clinici associati. Il focus è incentrato sui temi che possono costituire la
base dei comportamenti del disturbo alimentare come risultati dello sviluppo: la formazione dell'identità, gli aspetti
dell'immagine corporea, la stima di sé in aree che esulino quelle relative al peso e alla forma, le difficoltà relative
all'aggressività e alla sessualità, alla regolazione degli affetti, alle aspettative rispetto al ruolo di genere, alle disfunzioni
familiari, allo stile di coping e al problem solving.
Nell'ambito del trattamento psicosociale la psicoterapia cognitivo-comportamentale, specificatamente orientata verso i
sintomi e le funzioni cognitive, è quella maggiormente studiata e che si è rivelata maggiormente efficace nella terapia
della bulimia nervosa. Obiettivo della terapia cognitiva è la modificazione delle cognizioni relative distorte, lo sviluppo
del senso critico sui comportamenti maladattativi e quindi la sostituzione di questi con comportamenti sani. Una tecnica
utile è l'uso del "diario alimentare" come automonitoraggio dei comportamenti relativi alla funzione alimentare. È
opportuno comunque un'attenta valutazione perché in alcune pazienti questa tecnica può accentuare i tratti ossessivi. I
pazienti sottoposti al trattamento hanno dimostrato una significativa diminuzione del numero delle crisi bulimiche, dei
comportamenti emetici e dell'abuso di lassativi. La percentuale di risposte positive al trattamento è comunque molto
variabile e spesso solo una minoranza di pazienti abbandona completamente i comportamenti di binge e di purge.
La terapia comportamentale che consiste nell'esposizione ai cibi oggetto delle crisi bulimiche è utilizzata ugualmente
nel trattamento della bulimia, sebbene i risultati siano piuttosto controversi. Sulla base di uno studio molto esteso il
trattamento di esposizione, considerata anche la complessità logistica, non pare aggiungere efficacia ad un buon
trattamento cognitivo-comportamentale.
Nella pratica clinica vengono utilizzati anche molti altri tipi di psicoterapia. La valutazione dell'efficacia di queste
forme di terapia è limitata ad alcuni singol case. Gli studi di confronto versus la psicoterapia psicodinamica hanno
mostrato che non è più efficace della psicoterapia cognitiva nei trattamenti a breve termine.
Solo un numero molto limitato di studi ha valutato l'efficacia delle diverse forme di psicoterapia. Uno studio condotto
da Fairburn e i colleghi ha posto a confronto la psicoterapia cognitiva, quella interpersonale e quella comportamentale.
Tutte e tre le forme di psicoterapia sono risultate efficaci nella riduzione dei comportamenti di binge dopo la fine del
trattamento, ma la terapia cognitiva è risultata più efficace nel miglioramento delle attitudini del disturbo relative alla
forma, al peso e ai comportamenti restrittivi. Tuttavia uno studio a lungo termine, con un follow-up di circa sei anni, ha
riscontrato un'efficacia sovrapponibile tra la psicoterapia interpersonale e cognitivo-comportamentale suggerendo che i
pazienti sottoposti alla psicoterapia interpretativa avevano acquisito maggiormente nel tempo in termini di efficacia.
Uno studio multicentrico in corso ha fondamentalmente confermato questi risultati.
Anche la psicoterapia di gruppo è stata utilizzata per il trattamento della bulimia nervosa soprattutto per ovviare alla
crescente diffusione del disturbo e quindi della relativa domanda di cure specifiche. Attualmente queste psicoterapie
adottano un approccio psicodinamico interpersonale con un supporto generale e tecniche cognitivo-comportamentali, in
un setting ambulatoriale. Obiettivo è fornire "un'esperienza correttiva emozionale" che sopperisca le fragilità del sé e
dell'identità, la scarsa autostima e autonomia di questi pazienti. Una meta analisi di quaranta gruppi di trattamento ne ha
dimostrato una moderata efficacia che si esprime con il permanere dei miglioramenti a distanza di un anno dalla fine del
trattamento. Alcuni studi hanno messo in luce che i programmi di trattamento di gruppo arricchiti da tecniche, quali la
dieta assistita e guidata, sono maggiormente efficaci. In uguale misura si è osservato che sottoporre le pazienti a
controlli frequenti, in specie nelle fasi iniziali del trattamento, esita in un migliore decorso. Per queste considerazioni
molti clinici sono favorevoli all'integrazione di trattamenti individuali e di gruppo che hanno dimostrato una efficacia
superiore se combinati piuttosto che singoli.

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Molti pazienti possono incontrare alcune difficoltà nel trattamento con la psicoterapia. Ad esempio nella psicoterapia
cognitiva possono esperire la difficoltà di modificare i loro comportamenti alimentari o la struttura della loro
personalità. È opportuno quindi che prima di adire al trattamento psicoterapeutico il clinico effettui un'attenta
valutazione della motivazione al cambiamento, identifichi la tipologia più adatta al singolo paziente verificandone le
attitudini allo specifico trattamento, monitorando la qualità della relazione terapeutica e valutando la necessità di
associare le diverse forme di intervento di efficacia accreditata.
In generale comunque la psicoterapia dei soggetti con un disturbo alimentare costituisce per il clinico una sfida di
notevole impegno, sia rispetto alla comprensione sia rispetto alla tecnica, per le reazioni controtransferali. Questi
disturbi generalmente non migliorano in breve tempo e quindi spesso evocano nei terapeuti l'idea di non essere adeguati
ad alleviare le sofferenze del paziente e a condurlo al cambiamento. Sentimenti di controtransfert tipici comprendono il
sentirsi accerchiati, la demoralizzazione e una necessità eccessiva, quasi un'urgenza, che il paziente vada incontro al
cambiamento. Questi sentimenti controtranferali possono richiedere l'intervento dei supervisori. Molti esperti hanno
inoltre osservato che il genere del terapeuta gioca un ruolo soprattutto rispetto alle reazioni controtranferali. Oltre alle
differenze di genere, anche differenze culturali eccessive, tra i pazienti o tra il terapeuta e i pazienti, e altri aspetti
complessivi e strutturali del sistema di trattamento possono condizionarne l'andamento e richiedono una valutazione
attenta.
Obiettivo primario della terapia farmacologica della bulimia nervosa è la modificazione dei comportamenti alimentari
anomali, nonché il miglioramento dei sintomi dei disturbi psichiatrici associati o conseguenti. Per altro gli studi
controllati sono pochi e condotti su gruppi di pazienti di numerosità esigua.
L'osservazione che la maggior parte dei pazienti affetti da bulimia nervosa presentava sintomi depressivi, strutturati
come distimia o depressione maggiore, ha favorito la scelta della farmacoterapia antidepressiva nella fase acuta del
trattamento.
In seguito alcuni studi randomizzati hanno dimostrato l'efficacia di questa terapia anche nei pazienti che non
presentavano una sintomatologia depressiva e inoltre che la presenza di una depressione iniziale non costituisce un
indice predittivo di una migliore risposta al trattamento. In proposito esiste una ampia variabilità di studi controllati, che
dimostrano un miglioramento dei comportamenti di binge e di vomito, in una percentuale compresa tra il 50 e il 75%
nei pazienti che avevano ricevuto il farmaco attivo.
Gli studi in doppio cieco a confronto con il placebo sono stati condotti con un elevato numero di molecole appartenenti
a diverse classi di antidepressivi (AD): l'imipramina, la desimipramina e l'amitriptilina (appartenenti alla classe dei
triciclici), la fluoxetina (tra gli SSRI), la fenelzina, l'isocarbossazide, la brofaramina (tra gli IMAO) ed altri
antidepressivi quali la mianserina, il bupropione ed il trazodone.
Il primo studio controllato che ha esaminato l'efficacia della mianserina, 60 mg/die, versus il placebo, ha riscontrato pari
inefficacia nel trattamento di un gruppo di pazienti con bulimia nervosa di media gravità. L'efficacia del bupropione, da
225 a 450 mg/die, dimostrata in uno studio specifico, è compromessa dalla frequenza elevata di crisi convulsive
osservata nel campione delle pazienti. Il trazodone, da 400 a 600 mg/die, ha mostrato un'efficacia sull'item riduzione
della frequenza delle abbuffate fino al 50% pari a quella dei triclici. L'imipramina e la desimipramina, in uguale
dosaggio 200 mg/die, sono risultate più efficaci del placebo in due studi, mentre in un altro studio l'amitriptilina è
risultata di pari efficacia. In tutti e tre questi studi le pazienti presentavano una riduzione tra il 47 e il 91% della
frequenza delle abbuffate. Una percentuale di pazienti compresa tra lo 0 e il 68% è andata incontro ad una remissione
totale della sintomatologia bulimica. Nonostante i dati relativi all'assunzione a lungo termine siano molto scarsi dato
l'esile compliance nel tempo delle pazienti bulimiche, la riduzione delle crisi sembrerebbe persistere sebbene in misura
meno significativa.
Sono stati osservati alcuni effetti collaterali dei farmaci triciclici quali la sedazione, la secchezza delle fauci, e con
l'amitriptilina l'aumento ponderale. Inoltre l'iperdosaggio di triciclici può provocare la morte e quindi anche questi
farmaci devono essere somministrati con cautela nei soggetti a rischio di suicidio.
L'efficacia dei farmaci IMAO, in relazione alla riduzione della frequenza delle crisi bulimiche, è risultata
sovrapponibile a quella dei triclici, in due studi controllati. Un altro studio ha evidenziato che le pazienti che presentano
una comorbidità per la depressione atipica hanno una migliore risposta alla fenelzina piuttosto che all'imipramina. Per
altro non va sottovalutato il dato che la somministrazione dei farmaci IMAO è molto rischiosa nelle pazienti bulimiche
che si alimentano in modo tanto disordinato e senza controllo, e pertanto questi devono essere prescritti con estrema
cautela. La somministrazione degli inibitori reversibili delle MAO-A (RIMA) potrebbe consentire di ovviare questi
problemi anche se mancano dati sulla loro reale efficacia.
Tutti gli studi disponibili confermano che i farmaci antidepressivi inducono un miglioramento dei disturbi psichiatrici in
comorbidità quali i disturbi dell'umore, i sintomi dell'ansia e alcuni aspetti del funzionamento della personalità.
Tutte le osservazioni a sostegno dell'ipotesi che le pazienti bulimiche abbiano un'ipotonia del sistema serotoninergico
hanno stimolato il ricorso alla somministrazione di farmaci anoressizzanti agonisti della serotonina, come la
fenfluramina e D-fenfluramina. La fenfluramina simile all'amfetamina ha un effetto anoressizzante paritetico ma non
induce la tolleranza né l'iperattivazione in uguale misura. In uno studio che ha confrontato la fenfluramina, la
desimipramina e il placebo, la prima è risultata la più efficace. La D-fenfluramina riduce selettivamente l'assunzione dei
carboidrati, senza modificare l'apporto delle proteine. L'osservazione degli effetti cardiotossici conseguenti
all'assunzione prolungata di queste molecole ne ha provocato in tempi recenti la sospensione dal mercato.

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È stata quindi studiata la somministrazione dei farmaci SSRI. La fluvoxamina, in un dosaggio di 100-200 mg/die,
induceva un riduzione del peso corporeo in un gruppo di pazienti obesi in misura superiore al placebo. Anche altri studi
hanno mostrato una certa efficacia ma modesta. La fluoxetina è risultata efficace su pazienti normopeso inducendo una
riduzione della sintomatologia depressiva, della frequenza delle crisi bulimiche, dei comportamenti emetici e in alcuni
casi una remissione pressoché totale della sintomatologia. Sia il primo studio multicentrico che un altro studio hanno
mostrato che il dosaggio di 60 mg/die di fluoxetina è quello più efficace. Ad oggi la fluoxetina è il solo farmaco
approvato dalla Food and Drug Administration per il trattamento della bulimia nervosa. Gli effetti collaterali più
frequenti comprendono l'insonnia (30%), la nausea (28%), l'astenia (23%) e disturbi della sfera sessuale. Altre molecole
della stessa classe, quali il citalopram e la sertralina, presentano caratteristiche farmacologiche affini tanto da suggerirne
la somministrazione in questo disturbo.
Studi con altri antidepressivi hanno mostrato elevate percentuali di dropout per svariati motivi.
Farmaci di altre classi indicati nel trattamento della bulimia comprendono i sali di litio, utili per raggiungere una
stabilizzazione del tono dell'umore, ma con efficacia pari al placebo sul disturbo primario. La gestione inoltre richiede
estrema cautela poiché la litiemia può presentare notevoli oscillazioni e a seguito delle condotte di eliminazione può
raggiungere livelli di tossicità. Altri farmaci anticonvulsivanti (fenilidantoina) e indicati come stabilizzatori del tono
dell'umore (carbamazepina), sono stati sperimentati ma con scarsi risultati. L'acido valproico e il valproato di sodio
presentano la stessa indicazione ma possono indurre un aumento ponderale indesiderato, e quindi sono da preferire nei
pazienti che presentino una comorbidità per un disturbo bipolare o ciclotimico. Mancano esperienze sufficientemente
numerose per la lamotrigina, sebbene questa molecola sia attiva nel ridurre l'appetito e quindi il peso. Inoltre presenta
un effetto attivante.
Altri presidi farmacologici comprendono la fenfluramina e la metil-amfetamina, cadute in disuso a causa dei fenomeni
di tolleranza e dipendenza.
Il naltrexone, antagonista dei recettori oppioidi, è stato valutato in tre studi randomizzati, al dosaggio utilizzato nel
trattamento dell'abuso di sostanze per prevenire le ricadute (50-120 mg/die). I risultati per altro hanno mostrato che il
naltrexone non è molto superiore al placebo nella riduzione dei sintomi bulimici. In altri studi con dosaggi più elevati,
dai 200 ai 300 mg/die, si è osservata una maggiore efficacia. Per contro non è possibile ignorare l'epatotossicità di
questo farmaco quando utilizzato a dosaggi elevati.

La terapia della famiglia


La famiglia e le relazioni intercorrenti tra i membri che la compongono hanno da sempre ricoperto importanza centrale
nella comprensione e nel trattamento dei disturbi alimentari. Più precisamente la terapia familiare si è rivelata
particolarmente utile per le pazienti anoressiche, soprattutto nella prima adolescenza quando siano ancora molto
vincolate alla famiglia e quando i membri siano disponibili e collaborativi. Negli anni '60 la terapia familiare era
considerata la terapia di elezione.
In tutte le situazioni psicopatologiche comunque la comprensione delle ripercussioni del disturbo sui membri della
famiglia rimane fondamentale. In uno studio controllato effettuato su pazienti che avevano presentato l'esordio
dell'anoressia prima dei 18 anni, con una durata di circa tre anni, quelle trattate con terapia familiare presentavano, a
distanza di un anno, un miglioramento superiore rispetto a quelle trattate con la sola psicoterapia individuale. Uno
studio di follow-up a cinque anni ha mostrato, in misura proprio rilevante, il mantenersi degli effetti positivi della
terapia familiare. I limiti di questi studi sono dovuti al fatto che generalmente queste pazienti erano state sottoposte
spesso indifferentemente ad entrambi i trattamenti.
Di estrema importanza è avviare i genitori delle pazienti ai programmi psicoeducativi, family counselling, che
comprendono incontri periodici con il nucleo familiare e incontri di gruppo per le coppie genitoriali. Questi incontri
sono condotti da terapeuti che non si occupano direttamente della psicoterapia della paziente. Obiettivo primario di
questi incontri è fornire ai genitori una conoscenza il più possibile esaustiva della natura del disturbo e gli strumenti per
una gestione che contenga le conseguenze e minimizzi il rischio di una cronicizzazione del decorso e delle ricadute. I
genitori vengono aiutati a comprendere le dinamiche originarie e quindi le modificazioni indotte dalla psicopatologia in
atto, nonché le strategie da adottare. È fondamentale evitare che si instaurino vantaggi secondari per la paziente che
potrebbero rinforzare la scelta dei comportamenti anomali
Gli incontri di gruppo delle coppie genitoriali hanno inoltre la finalità di fornire un supporto psicologico che deriva
dalla condivisione delle problematiche specifiche e faciliti quindi il cambiamento attraverso l'esperienza compiuta da
altri genitori.
L'attenzione di questi interventi è incentrata sulla malattia della paziente e su quanto possa ostacolarne la guarigione
piuttosto che sulle relazioni familiari.

Gli interventi psicosociali basati sul modello dell'addiction


Alcuni modelli interpretativi considerano i disturbi alimentari alla stregua dei disturbi da uso e abuso di sostanze
psicoattive e quindi suggeriscono trattamenti analoghi. È molto controversa l'utilizzazione del programma dei dodici
passi come unico tipo di intervento, principalmente perché questi programmi non considerano l'indirizzo nutrizionale né

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i complessi deficit psicologici e comportamentali che presentano questi pazienti. Il programma dei dodici passi e altri
analoghi, il cui focus è incentrato esclusivamente sulla necessità dell'astinenza non accompagnata da una valutazione di
quegli aspetti, non è pertanto raccomandabile come unica forma di intervento iniziale. Mancano dati su questo tipo di
trattamento a breve come a lungo termine nei soggetti affetti da anoressia nervosa.
Alcuni pazienti hanno fondato i gruppi degli Overeaters Anonymous e gruppi simili di autoaiuto come supporto al
trattamento iniziale per prevenire le possibili ricadute. A causa di una grande variabilità delle conoscenze, delle
attitudini, dei convincimenti, e delle esperienze da passo a passo e di ciascuno sponsor rispetto ai disturbi alimentari,
alle loro conoscenze di medicina generale e sulle psicoterapie, e, a causa della grande variabilità della struttura di
personalità dei pazienti, delle condizioni cliniche, e della suscettibilità di una possibile reazione contro terapeutica, è
opportuno che un clinico supervisioni i pazienti che effettuano questi programmi.

Il DAI/BED
Il trattamento del DAI presenta le difficoltà legate alla necessità di curare sia il disturbo della condotta alimentare che
l'obesità o il sovrappeso, di cui questi soggetti spesso soffrono. Inoltre non possono essere misconosciuti o sottovalutati
i disturbi psichiatrici in comorbidità. Le tecniche principali a disposizione per il trattamento del DAI sono il trattamento
psicosociale con la psicoterapia cognitivo-comportamentale e la psicoterapia interpretativa, la farmacoterapia e i
programmi di riduzione del peso. I pochi studi controllati depongono per una mutuabilità di questi programmi dal
trattamento della bulimia nervosa.
La terapia cognitivo-comportamentale con questi pazienti è svolta più comunemente in gruppo piuttosto che
nell'approccio individuale, con una durata inferiore alle 24 settimane. Obiettivo primario della terapia è la
modificazione dei patterns del comportamento alimentare perseguito inizialmente con la prescrizione di uno schema
alimentare. Sono consentiti tre pasti regolari e ove necessario alcuni piccoli spuntini. In questa fase inoltre è consigliata
la selezione di cibi a basso contenuto di grassi e il paziente è spinto a variare l'alimentazione. Inoltre viene indotto a
praticare l'attività fisica.
Nella seconda fase l'obiettivo diviene quello di correggere le distorsioni cognitive riguardanti il peso, il proprio aspetto
fisico, i cibi consentiti e l'alimentazione in generale. Tipicamente questi pazienti, secondo il modello di funzionamento
del "tutto o nulla", incontrano una notevole difficoltà a nutrirsi in modo misurato e tendono ad oscillare tra l'essere a
dieta ipocalorica e non a dieta. Periodo quest'ultimo generalmente caratterizzato da un'alimentazione caotica e
disordinata.
La terza fase del trattamento è indirizzata ad affrontare le problematiche che emergono durante il trattamento e la
prevenzione delle ricadute, mediante l'identificazione delle situazioni a rischio e la messa a punto di strategie volte al
loro controllo.
Nel complesso gli studi controllati hanno dimostrato che questa terapia è efficace nel ridurre i comportamenti alimentari
anomali mentre, almeno a breve termine, è meno attiva sulla riduzione del peso corporeo e sulla possibilità di ricadute,
che si erano verificate in alcuni studi anche durante il trattamento stesso.
La psicoterapia interpersonale si è rivelata altrettanto efficace, anzi uno studio di follow-up ad un anno ne ha mostrato
un maggiore efficacia nel tempo. Infatti mentre i pazienti trattati con psicoterapia cognitivo-comportamentale avevano
mantenuto immodificato il loro peso corporeo, i soggetti trattati con psicoterapia interpretativa avevano continuato a
perdere peso, in media 3 chilogrammi.
Obiettivi della terapia farmacologica del DAI sono la riduzione delle abbuffate e il calo ponderale. Le molecole più
frequentemente utilizzate sono i farmaci antidepressivi, in particolare desipramina, imipramina, fenelzina e fluoxetina.
Essi sarebbero attivi sia sulle "abbuffate" sia sui comportamenti di eliminazione, almeno a breve termine.
La desipramina si è dimostrata significativamente superiore al placebo sulla "frequenza" dei giorni di abbuffata in
pazienti sovrappeso bulimici senza condotte di eliminazione. Alla sospensione del farmaco i pazienti presentavano una
ricaduta. L'imipramina invece è risultata attiva sul parametro "entità" delle abbuffate in un campione di pazienti
normopeso o obesi con binge. La fluoxetina, 60 mg/die per un anno, induce una riduzione del peso corporeo in soggetti
obesi con binge. Per altro l'effetto positivo sembra esaurirsi dopo le prime 20 settimane e dalla valutazione nel follow-
up emerge che i pazienti tendono a riacquisire il peso dopo la sospensione del trattamento. La fluvoxamina non ha
mostrato un'efficacia specifica.
È oramai pressoché desueto l'uso dei farmaci anoressizzanti dopaminergici, quali la metil-amfetamina e la fentermina, a
causa dei loro effetti collaterali: gli effetti psicostimolanti, la tolleranza e l'effetto rebound alla sospensione. Gli altri
farmaci anoressizzanti serotoninergici, quali la fenfluramina e la D-fenfluramina, sono stati attualmente ritirati dal
commercio a causa degli effetti collaterali, in specie i disturbi cardiocircolatori e l'ipertensione polmonare.
Sono ancora in corso gli studi per valutare l'efficacia della sibutramina, un farmaco inibitore del reuptake della
serotonina e della noradrenalina.
Risultati poco confortanti si sono ottenuti con i programmi di riduzione del peso corporeo. Anzi si è osservato che i
programmi troppo rigidi possono indurre una riesacerbazione dei comportamenti di binge non appena lo schema della
dieta diviene meno rigido. Questi programmi dimostrano una migliore, seppure sempre molto modesta e limitata al
breve termine, efficacia quando svolti con il supporto di un gruppo.
La maggior parte dei trattamenti ad oggi adottati per il trattamento del DAI risultano efficaci solo nel 50% dei soggetti

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affetti ed inoltre solo a breve termine. Anche in questa situazione psicopatologica quindi l'approccio integrato appare
l'unico in grado di garantire una migliore prognosi. La combinazione del trattamento farmacologico e della terapia
cognitivo-comportamentale, attraverso la diminuzione del discontrollo alimentare e l'aumento della motivazione e
quindi dell'adesione al regime dietetico, sembrerebbe quello più valido anche nel lungo termine.

Farmacoterapia: sibutramina

La Sibutramina è il capostipite di una nuova generazione di molecole indicate nel trattamento del sovrappeso e
dell'obesità. La molecola è una feniletilamina sviluppata originariamente come antidepressivo; nel corso degli studi,
peraltro, l'azione antidepressiva si è rivelata modesta rispetto a quella esercitata sul senso della sazietà ed è in
quest'ultima direzione che è proseguita la valutazione clinica del farmaco, ora registrato e commercializzato come
terapia per la riduzione ponderale.
Il suo peculiare meccanismo d'azione consiste in un'inibizione della ricaptazione di noradrenalina e serotonina, due
neuromediatori deputati, a livello di specifici centri nervosi, alla regolazione del comportamento alimentare e del
metabolismo energetico. Questi effetti terapeutici vengono prodotti prevalentemente dai suoi ammino-metaboliti attivi
primari e secondari (metabolita 1 e metabolita 2). La Sibutramina e i suoi metaboliti non inducono né aumentano il
rilascio delle monoammine, né inibiscono le monoamminoossidasi. Questa differenza rispetto alla fenfluramina e alla
dexfenfluramina costituisce elemento di sicurezza sotto il profilo degli effetti indesiderati, effetti attribuiti, per queste
ultime molecole, alla maggiore disponibilità di serotonina in circolo.
L'efficacia della Sibutramina nel ridurre il peso corporeo deriva da un duplice meccanismo d'azione: da un lato, in virtù
di un aumento dell'attività serotoninergica, il farmaco riduce l'assunzione di cibo potenziando il senso di sazietà,
dall'altro aumenta il dispendio energetico attraverso una stimolazione della termogenesi mediata dall'attivazione dei
recettori 3.
Da sottolineare che il calo ponderale è accompagnato da favorevoli modificazioni dei lipidi sierici e del controllo
glicemico rispettivamente nei pazienti con dislipidemia e diabete di tipo 2.
Da un punto di vista farmacocinetico, la Sibutramina viene ben assorbita per via orale e la demetilazione che subisce al
primo passaggio epatico per opera dell'enzima CYP3A4, e in misura minore CYP2C9 e CYP1A2, dà origine a
metaboliti attivi che vengono poi coniugati e idrolizzati a composti inattivi, escreti principalmente attraverso le urine.
La lunga emivita dei metaboliti (14-16 ore) consente la monosomministrazione giornaliera.
Deve essere usata cautela nel somministrare il prodotto in associazione a farmaci che interagiscono con l'attività
dell'enzima CYP3A4 (chetoconazolo, itraconazolo, eritromicina, claritromicina, troleandomicina e ciclosporina), come
pure l'uso concomitante di più medicinali, ognuno dei quali aumenti i livelli plasmatici della serotonina a livello
cerebrale, può dare origine a interazioni, in particolare alla "sindrome da serotonina".

La Sibutramina è indicata quale terapia integrativa nell'ambito di un programma per la riduzione e il controllo
del peso corporeo in:
 pazienti con obesità e con indice di massa corporea (BMI) pari o superiore a 30 kg/m 2;
 pazienti in sovrappeso con BMI pari o superiore a 27 kg/m2, in associazione ad altri fattori di rischio
correlati all'obesità, quali diabete di tipo 2 o dislipidemia.

Nel corso dei numerosi studi clinici, della durata fino ad un anno, i pazienti trattati con Sibutramina hanno conseguito
un calo di peso superiore a quello dei pazienti trattati con placebo. La riduzione del peso è risultata dose-dipendente
come ha dimostrato, ad esempio, uno studio multicentrico condotto su 1047 pazienti che ha confrontato tale molecola,
somministrata a diversi dosaggi, con il placebo per 24 settimane.
Negli studi della durata di un anno, la diminuzione di peso è risultata massima nell'arco dei primi sei mesi ed è stata
mantenuta nei restanti sei.
Inoltre lo STORM (Sibutramine Trial of Obesity Reduction and Maintenance), uno studio multicentrico in doppio cieco
pubblicato recentemente, ha evidenziato l'efficacia della Sibutramina nel mantenere la perdita di peso per due anni.
L'effetto della terapia con Sibutramina è stato anche valutato in numerosi studi a lungo termine su pazienti affetti da
diabete di tipo 2. In tutti la molecola ha indotto una significativa riduzione ponderale ed una diminuzione dei valori
della glicemia a digiuno e dell'emoglobina glicosilata, indici di un migliorato controllo del metabolismo glucidico. Un
altro riscontro costante, negli studi con la Sibutramina, è stato il miglioramento del metabolismo lipidico: trigliceridi e
colesterolo totale, infatti, tendono a ridursi, mentre aumenta il colesterolo HDL.
Gli effetti positivi del calo ponderale indotto da questo nuovo farmaco hanno quindi una valenza clinica, nel senso di
prevenire o far regredire tutti i danni provocati dalle alterazioni metaboliche correlate all'eccesso di peso, ma ne hanno
anche un'altra, molto importante, farmacoeconomica legata alla riduzione dell'uso degli ipoglicemizzanti orali o delle
terapie ipocolesterolemizzanti.
Ed infine va ricordato che importanti studi epidemiologici hanno evidenziato come il calo ponderale determini una
riduzione stabile della pressione arteriosa, eserciti benefici effetti sul metabolismo epatico, sul ciclo mestruale e sulla
fertilità, e possieda anche una discreta efficacia preventiva nei riguardi di molte neoplasie.

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