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Marco Menegotto

Corso di Tecnica delle Costruzioni

• Introduzione
• I materiali per il c.a.
• Procedimenti di verifica
• Analisi della sezione in c.a.
• Analisi della sezione in c.a.p.
• Strutture di fondazione (Giovanni Via)
• Elementi strutturali in acciaio (Giovanni Via)
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1 INTRODUZIONE 1

2 I MATERIALI PER IL C.A. 9

2.1 GLI INERTI 9


2.2 I CEMENTI 11
2.3 L’ACQUA 15
2.4 GLI ADDITIVI 15
2.5 IL CALCESTRUZZO 16
2.6 LE ARMATURE DI ACCIAO 27
2.7 PROVE OBBLIGATORIE 31

3 PROCEDIMENTI DI VERIFICA 33

3.1 RAPPRESENTAZIONE DEL COMPORTAMENTO DEI MATERIALI 34


3.2 VALORI CARATTERISTICI 42
3.3 METODO DELLE TENSIONI AMMISSIBILI 47
3.4 LA DUTTILITA' 61

4 ANALISI DELLA SEZIONE IN C.A. 63

4.1 COMPORTAMENTO DI ELEMENTI IN C.A. 65


4.2 FLESSIONE SEMPLICE - ANALISI LINEARE 68
4.3 FLESSIONE SEMPLICE - ANALISI NON LINEARE 78
4.3.1 FLESSIONE SEMPLICE DEVIATA 83
4.4 TAGLIO E FLESSIONE 86
4.5 TORSIONE SEMPLICE 95
4.6 SFORZO NORMALE SEMPLICE 99

iii
4.6.1 COMPRESSIONE SEMPLICE 100
4.6.2 TRAZIONE SEMPLICE 103
4.7 SFORZO NORMALE E FLESSIONE - ANALISI LINEARE 104
4.8 SFORZO NORMALE E FLESSIONE - ANALISI NON LINEARE 109
4.9 FESSURAZIONE 113

5 ANALISI DELLA SEZIONE IN CEMENTO ARMATO PRECOMPRESSO 119

5.1 RAGIONE DELLA PRECOMPRESSIONE 120


5.2 SFORZI DI PRECOMPRESSIONE 124
5.2.1 CAVI SCORREVOLI (POST-TESI) 125
5.2.2 CAVI ADERENTI (PRE TESI) 132
5.3 COMPORTAMENTO E VERIFICA DELLE SEZIONI 134
5.4 FLESSIONE SEMPLICE 138
5.4.1 VERIFICHE 139
5.4.2 PROGETTO 144
5.5 FLESSIONE E TAGLIO 148
5.6 SFORZO NORMALE (SEMPLICE E COMPOSTO) 157

6 STRUTTURE DI FONDAZIONE E CONTENIMENTO 160

6.1 INTERAZIONE TRA SUOLO E STRUTTURA 160


6.2 INDAGINI GEOTECNICHE 162
6.3 FONDAZIONI 167
6.4 OPERE DI CONTENIMENTO 174
6.5 CEDIMENTI 178

7 ELEMENTI STRUTTURALI IN ACCIAIO 180

iv
7.1 CARPENTERIA METALLICA 180
7.2 GLI ELEMENTI CHE COMPONGONO LA STRUTTURA 185
7.3 I COLLEGAMENTI 188
7.4 LE UNIONI 193

v
1 Introduzione

La struttura portante di un'opera deve assolvere la sua funzione rispetto a tre ordini di
obiettivi: di affidabilità, di economia ed estetici.
In particolare, per quanto riguarda l'affidabilità, la struttura deve poter rispondere alle
varie sollecitazioni cui andrà incontro nel suo esercizio, senza subire deterioramenti che
ne compromettano il buon funzionamento.
Il progettista deve essere in grado di concepire una struttura adeguata all'opera e di
garantirne l'affidabilità. Pertanto ha bisogno di controllarne a priori il comportamento. La
teoria delle strutture gliene offre gli strumenti. Si consideri ad esempio, un comune
edificio. Esso sarà composto da un gran numero di elementi, di diversi materiali, e di cui
una parte viene considerata struttura. Potrà aversi in elevazione un'ossatura di pilastri,
travi, solette, pareti in c.a., murature in laterizio, solai e coperture misti; in fondazione
punti, pali o travi; infine, alla base, si avrà un suolo di fondazione. Tutti questi elementi
saranno connessi tra loro in molteplici modi.
Il comportamento di un tale assemblaggio la struttura dell'edificio, soggetto alle azioni i modelli
esterne, deve essere analizzato a priori, cioè prima della costruzione. A questo scopo è
necessario far uso di un modello, sperimentale o astratto.
Il modello, più o meno complesso, non corrisponderà mai esattamente alla realtà,
neppure se fesse costituito da un'intera struttura di prova nominalmente identica a quella

1
vera. Infatti, è noto che non possono realizzarsi due oggetti perfettamente uguali nelle
dimensioni, nella composizione locale dei materiali, nei vincoli.
Inoltre, la storia delle sollecitazioni di prova non potrebbe essere uguale a quella reale
futura.
Quindi anche un modello di struttura e di carichi, il più completo e vicino al vero,
fornirebbe solo delle indicazioni limitate. Qualsiasi modello richiede pertanto un giudizio
sul suo grado di corrispondenza con la realtà ed un’interpretazione degli effetti del divario
sulla affidabilità dell’opera.
In pratica i modelli impiegati nella progettazione sono il più delle volte astratti e
consistono in schemi di comportamento strutturale interno ed in schemi di azioni esterne
più o meno semplificati ed adatti ad un calcolo conveniente.
I modelli sperimentali consistono in campioni al vero, nella scala e nei materiali, di
singole parti o dell’intera struttura, oppure in riproduzioni in scale e/o in materiali diversi.
Essi vengono impiegati sia per le verifica diretta di alcuni elementi strutturali, sia per
comprovare la validità dei modelli teorici e per perfezionarli.
Il divario, rispetto alla situazione reale, sia dei modelli in sé, sia dei parametri numerici la sicurezza
(come ad es. l’intensità delle forze), è dovuto a fattori in buona parte non determinabili a
priori e diversi da caso a caso.
L’interpretazione degli effetti di tale incertezza è di notevole importanza. Poiché
l’analisi del modello ha come obiettivo l’affidabilità della struttura, interesse non tanto
che le incertezze siano piccole in assoluto, quanto piuttosto che non siano dalla parte del
pericolo. Nel giudizio di corrispondenza fra i risultati dell’analisi e la realtà verrà quindi
interposto il concetto di sicurezza. Cioè, essendo impossibile conoscere la non
corrispondenza in dettaglio, le varie incertezze saranno coperte con opportuni margini di
sicurezza rispetto al verificarsi di eventi indesiderati (tali da compromettere l’uso della
struttura o da arrecare danni).
A sua volta, la stima di tali margini è oggetto di un’analisi, svolta mediante l'impiego
di ulteriori nodelli, che rappresentano la distribuzione probabilistica dei parametri in

2
gioco.
Nella verifica delle strutture quindi saranno presenti in maggiore o minor grado dei
modelli probabilistici, in associazione ai modelli di comportamento strutturale.
Da questo punto di vista si possono individuare tre tipi di analisi delle strutture.
L'analisi deterministica, in cui non intervengono modelli probabilistici. Tutti i dati
sulle grandezze che compaiono nel calcolo vengono considerati certi, e quindi le
grandezze, come le tensioni e le deformazioni di esercizio, risultano determinate. La
sicurezza viene introdotta genericamente imponendo dei limiti a tali grandezze.
L'analisi probabilistica, mediante la quale si elaborano le probabilità di
raggiungimento di tutte le particolari condizioni indesiderate per la struttura (collasso o
altri stati-limite), mettendo in conto ogni parametro casuale con la sua distribuzione
probabilistica.
Questo tipo di analisi diviene estremamente laborioso anche con pochi parametri in
gioco.
L'analisi semiprobabilistica, in cui i valori delle grandezze da introdursi nel calcolo
vengono tutti fissati (come nell'analisi deterministica), ma in modo da tenere conto della
probabilità che ognuno di essi ha di non venir oltrepassato in senso sfavorevole
Come si vedrà nel seguito (cap.3), le normative sono attualmente orientate verso
questo tipo di analisi, e ne stabiliscono i termini.
Come in qualsiasi altro campo della tecnica, nella analisi delle strutture i modelli semplicità e accuratezza degli schemi
usuali, sono schemi semplificati, risultanti da un compromesso fra la praticità d'impiego e
l'aderenza alla realtà. Più lo schema vuole essere comprensivo ed accostarsi al fenomeno
reale, più le analisi diventano complesse e costose. D'altra parte, se per semplicità ci si
allontana eccessivamente dal vero, occorrono margini di sicurezza più ampi.
Nella progettazione corrente si tenderà a schemi più semplici, poiché il progetto, oltre
alla struttura, ha una sua economia, ed una grande raffinatezza di analisi non produce in
genere corrispondenti benefici. Invece, gli schemi più complessi avranno impiego quando
una conoscenza più precisa dei fenomeni sia richiesta o dall’interesse scientifico, per scopi

3
che vanno oltre un singolo progetto, oppure da un’opera particolarmente impegnativa.
A questo riguardo va fatta peraltro un’osservazione, cioè che la precisione di calcolo è
sempre relativa al modello adottato. Ha senso quindi spingere tale precisione solo se il
modello stesso è adeguato, altrimenti essa è apparente, in quanto è annullata dalle sezione retta
incertezze di corrispondenza.
Al solo scopo di fissare le idee sugli schemi di calcolo, si consideri ad esempio la
semplicissima struttura in figura. La trave in c.a. è vincolata ai pilastri con continuità, e q = cost
sopporta un solaio con dei carichi variabili. Dimensionata la struttura, il progettista
verosimilmente adatterà uno schema strutturale piano,in cui la trave è rappresentata da una
linea d’asse retta, su vincoli puntiformi che non trasmettono coppie.
Il carico sarà rappresentato da un permanente e da un accidentale uniformi e applicati
statisticamente, fissati con un’analisi dei carichi in base ai pesi nominali. Ciò permetterà M
di calcolare le caratteristiche di sollecitazione esterna (M,T) nella sezione generica.
Per la sezione si avrà uno schema a deformata piana, con aderenza fra acciaio e
conglomerato e senza resistenza a trazione di questo, i due materiali avranno
Sezione retta
comportamento elastico lineare con rapporto prestabilito dei moduli elastici. Con ciò sarà σa σb'
possibile trovare una distribuzione di tensioni interne in equilibrio col momento flettente
M.
In un ulteriore schema si calcoleranno le tensioni corrispondenti al taglio T.
Le tensioni casi ricavate dovranno essere tutte inferiori a dei valori ammissibili, che il
σa'
progettista ipotizza. Occorrerà poi, all’atto dell’esecuzione, preparare dei modelli
sperimentali (campioni dei materiali da adoperarsi: prismi di conglomerato e barrette di ε σ
acciaio), e sottoporli a prove di resistenza. I valori delle tensioni di rottura saranno posti in
relazione con le tensioni ammissibili assunte, ciò avverrà ancora attraverso modelli
probabilistici e criteri di sicurezza stabiliti dai vari regolamenti.
Nella scelta e nel giudizio sugli schemi impiegati il progettista viene in effetti guidato le norme
dalla normativa ufficiale, che ha una duplice funzione.
Da una parte, il vincolo dei regolamenti (imposto al progettista ed agli altri

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responsabili dell’esecuzione) costituisce per gli utenti una garanzia di uniformità dei
criteri di affidabilità delle opere. D’altra parte.il progettista stesso viene sollevato dal
compiere ogni volta un lavoro critico di carattere generale e dalla relativa responsabilità,
essendo aiutato dalla normativa nella scelta di schemi comprovati, semplificazioni
accettabili, formule di calcolo, ed inoltre dei parametri numerici, cioè delle intensità delle
azioni esterne, delle resistenze dei materiali eccetera.
I regolamenti che attualmente interessano per la progettazione di strutture civili in
Italia sono:
Caratteristiche tecniche e requisiti dei leganti idraulici (Legge 26/5/65 n.595)
Norme sui requisiti di accettazione e modalità di prova dei cementi (O.M.3/6/68)
Norme per la disciplina delle opere di conglomerato cementizio armato, normale o
precompresso, ed a struttura metallica (Legge 5/11/71 n.1086)
Norme per la disciplina delle opere di conglomerato cementizio armato, normale o
precompresso, ed a struttura metallica. Istruzioni per l’applicazione (Circolare Min.
LL.PP 14/2/74 n. 11951)
Criteri generali per la verifica della sicurezza delle costruzioni e dei carichi e
sovraccarichi (D.M. LL.PP. 12/2/1982)
Istruzioni relative ai carichi ai sovraccarichi ed ai criteri generali per la verifica della
sicurezza delle costruzioni (Circ. Mi LL.PP. 24/5/82 n.22631)
Norme tecniche per la esecuzione delle opere in cemento armato normale e
precompresso e le strutture metalliche (D.M. LL.PP. 1/4/1983)
Istruzioni relative alle norme tecniche per la esecuzione delle opere in cemento armato
normale e precompresso e per le strutture metalliche (Circolare Mm. LL.PP. 30/6/1980
n.20244)
Calcestruzzo preconfezionato (Norme UNI 7163/79).
Varie norme UNI per l’accertamento delle proprietà del calcestruzzo, dell’acciaio per
c.a. e per carpenteria metallica, citate nelle altre norme.
Istruzioni per la progettazione e i l’esecuzione delle opere in c.a. e in c.a.p. col metodo

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semi-probabilistico agli stati limite - Consiglio Nazionale delle Ricerche, Luglio 1980.
Istruzioni per il calcolo e l’esecuzione delle travi composte di acciaio e calcestruzzo
(Norme tecniche CNR 22/6/71)
Criteri generali e prescrizioni tecniche per la progettazione, l’esecuzione e il collaudo
di ponti stradali (0.M. LL.PP. 2/8/80).
Norme tecniche per il calcolo, l’esecuzione ed il collaudo delle strutture in
conglomerato cementizio con armatura normale o di precompressione e confezionato con
aggregati leggeri strutturali (proposta AICAP 1976)
Norme per la progettazione, il calcolo, la esecuzione ed il collaudo di costruzioni con
strutture prefabbricate in zone asismiche e sismiche (Circolare Cons.Sup. LL. PP. 11/8/69
n.6090)
Istruzioni per il progetto, l’esecuzione ed il controllo delle strutture prefabbricate in
conglomerato cementizio e per le strutture costruite con sistemi industrializzati (Norme
tecniche CNR 14/12/83)
Istruzioni per il calcolo e l’impiego degli appoggi di gomma nelle costruzioni (Norme
tecniche CNR 25/6/71)
Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche
(Legge 2/2/74 n.64)
Disposizioni concernenti l’applicazione delle norme tecniche per le costruzioni in zone
sismiche (D.M. LL.PP. 3/3/75)
Norme tecniche riguardanti le indagini sui terreni e sulle rocce, la stabilità dei pendii
naturali e delle scarpate, i criteri generali e le prescrizioni per la progettazione,
l’esecuzione e il collaudo dalle opere di sostegno delle terre e delle opere di fondazione
(D.M. LL.PP. 21/1/81).
Nell’ambito di tali norme alcune, quali leggi e decreti, hanno carattere vincolante, altre
costituiscono un supporto ufficioso per il progettista e l’esecutore.
Le Norme tecniche per la esecuzione delle opere...... (D.M. LL.PP. 1/4/83)
costituiscono il riferimento ufficiale principale per il progetto delle strutture.

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Nel presente testo queste verranno citate brevemente come norme o regolamento
italiani. La loro lettura è necessaria all’intendimento del corso.
Il progetto di una struttura è dunque una sintesi - fatta sulla base della conoscenza delle sintesi
necessità d’impiego, delle tecniche di esecuzione, dei metodi di analisi disponibili, e della
normativa in vigore - la quale, pesando in ogni caso particolare l’importanza reciproca che
acquistano i diversi aspetti ed i relativi oneri, cercherà di essere ottimale rispetto
all’insieme delle esigenze. Il progettista deve possedere una cultura specifica sufficiente
per Controllare tali esigenze e Compierne una sintesi, poiché l’analisi e le verifiche, più o
meno automatiche ma non completamente, sono comunque un momento successivo
all’impostazione del progetto. Naturalmente, il progetto della strutture è una parte del
progetto dell’opera. Che la struttura portante sia destinate a un edificio civile o industriale,
a un ponte, o e un impianto qualsiasi, essa dovrà essere integrata in un organismo per il
quale tutti gli aspetti della funzione vengono elaborati nella fase progettuale.
In questa materia si mette a fuoco l’aspetto statico, che può venir isolato nell’analisi,
ma non è indipendente dagli altri nel progetto.
Con ciò la sintesi di cui si diceva si estende, e comporta una collaborazione fra persone
che si occupano dello stesso oggetto osservandolo da più punti di vista.
Al progetto fa seguito l’esecuzione, dell’opera. La conoscenza delle tecniche e dei
problemi esecutivi presenta un interesse pratico e teorico che riguarda sia i progettisti, sia
i responsabili dei lavori. Forse i problemi esecutivi si prestano meno ad una trattazione
teorica, che non i problemi di analisi. Essi, perciò verranno trattati nella forme di
illustrazione di immagini, con commenti e discussioni nel corso delle lezioni e con
osservazioni in loco, mentre il presente testo ne conterrà solo qualche treccia.
La parte più illustrativa del corso, riguardante appunto gli aspetti costruttivi, sia per
quanto riguarda i procedimenti esecutivi, sia per quanto riguarda i dettagli di progetto, si
appoggerà ad alcuni esempi occasionali per dar luogo ad osservazioni più generali.
Rappresenterà cioè lo spunto iniziale per la formazione dell’esperienza necessaria alla
progettazione.

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Tale parte, per forza di cose, può comparire nel testo degli appunti solo per cenni, ma
ciò non significa che sia secondaria. Anzi rappresenta il succo del corso.
La materia, più fibrosa del corso sarà invece una prosecuzione dello studio teorico
delle strutture, iniziato nei corsi di Statica o di Scienza delle Costruzioni, con riguardo
soprattutto al cemento armato e precompresso, accompagnato dalle esemplificazioni di cui
si è ora detto. La trattazione, che se ne farà, sarà elementare, non solo in senso limitativo,
ma anche nel senso che cercherà di fornire gli elementi che sono necessari per poter
approfondire, in via autonoma o in corsi successivi, la cultura in materia.

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2 I MATERIALI PER IL C.A.

Il cemento armato è un materiale composto da conglomerato cementizio e armature di


acciaio. Esso può essere considerato una pietra artificiale che, come tale, offre i vantaggi
di poter essere prodotta nella forma desiderata e di poter incorporare le armature atte a
renderla, nell’insieme, molto più resistente alla flessione che non una pietra naturale.
Poiché, dei due componenti, il conglomerato viene prodotto in opera, e poiché le sue
qualità dipendono molto dalla sua confezione, se ne dà una descrizione più estesa.
I componenti principali del conglomerato a loro volta sono:
- gli inerti, in genere di pietra di piccola pezzatura, che costituiscono l’ossatura del
conglomerato;
- il cemento e l’acqua, che al contatto reagiscono formando una pasta che rende
monolitica tale ossatura.

2.1 GLI INERTI


Gli inerti si possono suddividere secondo:
- il peso specifico;
- la forma e le dimensioni;
- altre caratteristiche petrografiche, fisiche e chimiche.
Sono inerti naturali quelli provenienti da fiume o da cave, in dimensioni già adatte,

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oppure frantumati da blocchi maggiori. Sono artificiali: da frantumazione di materiali da
costruzione, da scorie di altoforno, eccetera.
In rapporto al peso specifico essi si suddividono in inerti normali, inerti pesanti ed
inerti leggeri.
Con gli inerti normali i ottengono i calcestruzzi ordinari, il cui peso specifico si trova inerti pesanti e leggeri
intorno ai 2300 g/m3.
Con gli inerti pesanti i ottengono calcestruzzi fino a 5000 kg/m3, che sono di raro
impiego, per grosse zavorre o per schermi contro radiazioni. Sono tali ad esempio gli
inerti come le magnetite o la barite.
L’impiego degli inerti leggeri è invece frequente ed in estensione: i calcestruzzi
raggiungono i 1200 kg/m3. Vengono usati nella prefabbricazione edilizia, sia per
tamponature, sia per strutture portanti, e sono dei buoni coibenti termici. Vengono anche
usati per strutture importanti semplici o precompresse. I vantaggi della leggerezza sono
evidenti. Peraltro le tecniche di lavorazione sono più delicate e le resistenze offerte dai
calcestruzzi leggeri alla compressione sono in generale inferiori. Possono essere, inerti per
calcestruzzi leggeri materiali come: pomice, scorie vulcaniche, amianto, numerosi
materiali artificiali espansi, anche l’aria si può considerare tale, se il calcestruzzo è
prodotto con dei vuoti distribuiti per diminuirne il peso specifico (calcestruzzo alveolare).
Fra le altre caratteristiche di cui si deve tener conto per la scelta degli inerti, in altre qualità
generale od in alcuni casi particolari, sono da ricordare principalmente: l’uniformità, la
bassa permeabilità, la scarsezza di impurità, la stabilità ad alte temperature, la non
gelività, la resistenza meccanica, anche eventualmente all’urto, alla abrasione,
all’erosione, la non reattività chimica col cemento o con altre sostanze che possono venire
e contatto col calcestruzzo; la dilatabilità termica, infine, e soprattutto, le disponibilità a
basso costo. La forma e le dimensioni degli inerti influiscono sulle lavorazione del calce,
come si osserverà più oltre.

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2.2 I CEMENTI
Alla base della maggior parte dei cementi si ha il Cemento Portland che è costituito da:
Calce (CaO) per il 60 ÷ 68 % in peso
Silice (SiO2) per il 18 ÷ 28 % in peso
Allumina (Al2O3) per il 5 ÷ 14 % in peso
Ossido ferrico (Fe2O3) per il 5 ÷ 14 % in peso
altri componenti secondari per il 4 ÷ 8 % in peso
i quali componenti, che si trovano nelle materie prime (calcari e materiali argillosi),
vengono cotti ad elevata temperatura (1400+1500 0C) formando il clinker che, raffreddato
e macinato con una piccola aggiunta di gesso, fornisce il cemento.
Durante la clinkerizzazione i componenti primi si combinano, per formare:
Silicato tricalcico (in formula abbreviata C3S)
Silicato bicalcico (C2S)
Alluminato tricalcico (C3A)
Alluminato-ferrite tetracalcico (C4AF)
I due silicati costituiscono intorno al 70 ÷ 80 % del clinker, e sono i più stabili ed i più
significativi per la resistenza meccanica e chimica del calcestruzzo indurito. Il C3S si
idrata più rapidamente e quindi sviluppa all’inizio più calore; esso dà il maggior
contributo alle resistenze iniziali. Il C2S si idrata più lentamente e
contribuisce all’aumento della resistenza per periodi fino ad un anno.
Il C3A ed il C4AF sono poco attivi, sono degradabili perché poco stabili, in definitiva
non desiderabili nel prodotto, ma sono utili al processo di clinkerizzazione.
Un altro fattore che influisce sulla rapidità dell’idratazione e quindi sulle resistenze
iniziali e sullo sviluppo del calore, è la finezza di macinazione. Aumentando la finezza,
aumenta la superficie specifica dei granuli e quindi la rapidità di idratazione. Con essa
aumenta però anche il ritiro (v.oltre).
Il calore di idratazione può essere dannoso qualora la dispersione sia limitata, come nei

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getti ad alte temperature ambiente o nei getti massicci, dando luogo a lesioni per
contrazioni non uniformi del conglomerato.
I diversi tipi di cemento Portland semplici si ottengono mescolando in diverse tipi di cementi
proporzioni, nei limiti degli intervalli indicati, i rispettivi costituenti, ottenendo diverse
caratteristiche di resistenza e di velocità di presa e indurimento.
I Portland modificati o corretti (cementi pozzolanici e d’alto forno) si ottengono con
l’aggiunta di pozzolana, o loppe d’alto forno rispettivamente. Essi forniscono una
maggiore resistenze all’aggressione chimica ed uno sviluppo ritardato dell’indurimento e
del calore di idratazione.
I cementi alluminosi hanno una diversa composizione chimica dal Portland: le
caratteristiche principali consistono in alte resistenze sia iniziali che finali, e nella buona
resistenza all’aggressione chimica; sfavorevoli sono l’alto calore di idratazione ed il costo
elevato.
Per cementi Portland naturali si intendono, infine, i cementi ottenuti per cotture di
marne così come si trovano, senza variarne artificialmente le percentuali dei componenti
con tagli. Essi furono i primi ad essere prodotti, ma attualmente sono rari.
In Italia, la legge 26 Maggio 1965, n.595 prevede i seguenti cementi: cementi normalizzati
A) Cementi normali ed a alte resistenza
B) Cemento alluminoso
C) Cementi per sbarramenti di ritenute,
Il D.M. 3 Giugno 1968 ne stabilisce le norme sui requisiti di accettazione e le modalità
di prove.
I requisiti riguardano:
− le resistenze meccaniche su malta plastica, a flessione e a compressione a varie età
fino a 28 giorni (la resistenza a compressione a 28 giorni è anche usata per indicare i
tipi. di cemento, per es. cemento tipo 325 o 425 etc.), secondo la tabella:

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Art. 1 - ad alta resistenza e rapido indurimento Tabella:
I cementi indicati nella legge 26 maggio 1965, n. 595, resistenza a flessione:
saggiati su malta normale, secondo le prescrizioni e le mo- dopo ventiquattro ore 40 kg/cm2
resistenze meccaniche dei cementi
dalità indicate nel successivo art. 10, debbono avere i se- dopo tre giorni 60 » indicate nel DM 3/6/68
guenti limiti minimi di resistenza meccanica, con tolleranza dopo ventotto giorni 80 »
del 595: resistenza a compressione:
A) CEMENTI NORMALI E AD ALTA RESISTENZA dopo ventiquattro ore 175 kg/cm2
- normale dopo tre giorni 325 »
resistenza a flessione: dopo ventotto giorni 525 »
dopo sette giorni 40 kg/cm2 B) CEMENTO ALLUMINOSO
dopo ventotto giorni 60 » resistenza a flessione:
resistenza a compressione: dopo ventiquattro ore 40 kg/cm2
2
dopo sette giorni 175 kg/cm dopo tre giorni 60 »
dopo ventotto giorni 325 » dopo ventotto giorni 80 »
- ad alta resistenza resistenza a compressione:
resistenza a flessione: dopo ventiquattro ore 175 kg/cm2
2
dopo tre giorni 40 kg/cm dopo tre giorni 325 »
dopo sette giorni 60 » dopo ventotto giorni 525 »
dopo ventotto giorni 70 »
resistenza a compressione: C) CEMENTI PER SBARRAMENTI DI RITENUTA
dopo tre giorni 175 kg/cm2 resistenza a compressione:
dopo sette giorni 325 » dopo ventotto giorni 225 kg/cm2
dopo ventotto giorni 425 » dopo novanta giorni 350 »

− la perdita al fuoco, il residuo insolubile, il contenuto massimo in SO3 e in MgO


(e contenuto minimo in Al2O3 per il cemento alluminoso)
− la finezza massima, controllata con setaccio
− la deformabilità per rigonfiamento su provini di pasta normale
− i tempi di inizio e termine della presa su provini di pasta normale.

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La malta plastica e la pasta normale sono impasti di prova definiti dalle stesse norme.
I cementi indicati nella tabella con A) e C) rientrano nei cementi Portland, semplici o
modificati.
La finezza di macinazione, controllata secondo le norme, non dà l’effettiva
distribuzione della grandezza dei granuli ai fini della rapidità di presa e del ritiro: questa
va misurata con metodi di sospensione in un liquido, oppure di permeabilità ad una
corrente di aria.
Con il setaccio, invece, si può controllare che non si siano formati grumi.
Le prove di rigonfiamento mirano a verificare, attraverso una maturazione accelerata,
che non vi siano CaO ed MgO stracotti, che possono provocare nel tempo, con un
aumento di volume, la disgregazione del calcestruzzo.
La prova di inizio e termine della presa si svolge mediante l’ago di Vigat, cilindretto
d’acciaio di cui si misura l’affondamento in pasta normale in un recipiente dato. Due
valori convenzionali dell’affondamento indicano l’inizio ed il termine della presa. I tempi
di inizio e termine devono essere, rispettivamente, non inferiore a 45 minuti e non
superiore a 12 ore, per i cementi appartenenti alle categorie A e C; per i cementi
alluminosi i due valori diventano 30 minuti e 10 ore.
Oltre a quelli descritti vi sono dei cementi non normalizzati, per impieghi particolari, cementi speciali
fra cui:
− i cementi resistenti ai solfati ed i cementi ferrici, che sono cementi Portland in cui è
ridotta la presenza del C3A (maggiormente nei secondi). Essi offrono una buona
resistenza chimica. Il costo di produzione è più elevato.
− i surosolfatati, derivati dai Portland d’alto forno, con accentuazione delle sue
caratteristiche: basso ritiro, basso calore d’idratazione, buona resistenza chimica, lenta
presa e minore resistenza iniziale.
− i cementi bianchi (cui viene tolto 1’ossido ferrico, che dà la colorazione normale
grigiastra) usati molto per rifinitura, marmette, intonaci ecc., ed anche talvolta per

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impieghi strutturali.
− i cementi colorati, che si ottengono con aggiunte di pigmenti minerali.
− I cementi espansivi, adoperati per tamponature di falle, per ancoraggio di strutture
metalliche e di elementi prefabbricati, per inghisaggio di macchinari, in essi il ritiro è
compensato dall’espansione, il che garantisce un riempimento permanente.
− i cementi, ottenuti con aggiunte durante la macinazione, atte a migliorare le
caratteristiche di impermeabilità della pasta indurita.

2.3 L’ACQUA
L’acqua d’impasto non deve contenere acidi in proporzioni eccessive, particolarmente
l’acido solforico (3%) per la formazione di gesso, che rigonfia; il pH deve essere
compreso fra 6 e 8. Non deve inoltre contenere zuccheri.
L’acqua potabile è generalmente buona per l’impasto. Per una prova diretta, se l’acqua
dà a 28 gg una resistenza con uno scarto non maggiore del 10% rispetto all’acqua distillata
in un uguale impasto, può considerarsi valida.
Le norme Italiane stabiliscono in proposito:
L’acqua per gli impasti deve essere limpida, priva di sali (particolarmente solfati
e cloruri) in percentuali dannose, e non essere aggressiva.

2.4 GLI ADDITIVI


Esistono molti tipi di additivi per calcestruzzo, di cui si dà un rapido cenno. Gli effetti
che si possono richiedere agli additivi sono di modificare alcune caratteristiche del
calcestruzzo, fra tali effetti, sono richiesti principalmente:
− l’aumento della lavorabilità,
− l’acceleramento o il ritardo della presa,
− l’impermeabilizzazione,
− la diversa colorazione,
− l’aumento di volume durante la presa.

15
Fra gli additivi che aumentano la lavorabilità sono compresi, tra gli altri, gli aeranti,
che producono un’inclusione di bollicine d’aria nel getto nella misura del 0,5÷2% del
volume. Queste sono molto piccole (qualche centesimo di mm) e distribuite
uniformemente nella massa del getto. Il loro effetto è molto diverso dai vuoti dovuti a
difetti di miscelazione o di getto o ad eccesso di acqua, che sono di dimensioni visibili.
L’aria inclusa,. funzionando da lubrificante interno, migliora la lavorabilità e riduce il
tempo di mescolamento mantenendo omogeneo l’impasto e aumentando la durevolezza
del calcestruzzo. Riduce peraltro la resistenza, ma meno di quanto avvenga con aggiunta
dell’acqua necessaria ad un pari aumento della lavorabilità.
Gli acceleratori ed i ritardatori di presa, agendo sui tempi dell’idratazione e quindi
anche sulla velocità di sviluppo del calore, possono occorrere in getti a temperature
esterne rispettivamente troppo basse o troppo alte e per altre esigenze, come ad es. per
riprese del getto prima della presa dello strato precedente (ritardatori). I ritardatori, agendo
anche sull’inizio dell’indurimento, richiedono, ovviamente, un periodo più lungo di
impiego delle casseforme.
Gli additivi si producono in molte qualità, e con effetti diversi e combinati, fra cui
anche aumenti delle resistenze. Essi vanno comunque considerati e sperimentati caso per
caso.

2.5 IL CALCESTRUZZO
Il conglomerato cementizio, o calcestruzzo, si ottiene mescolando g1i inerti il cemento
e l’acqua, fino ad ottenere un imposto omogeneo.
L’impasto viene gettato in opera, ancora fluido, dopo qualche ora avviene le presa,
durante le quale il conglomerato perde gradualmente la fluidità. Al termine della presa, il
conglomerato non cambia più forma e ha inizio l’indurimento, durante il quale esso
acquista via via la resistenza. Le velocità di presa e di indurimento dipendono dal tipo di
cemento e dalle condizioni di maturazione.
I requisiti di un calcestruzzo finito possono essere molteplici. Prima di tutto va

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considerata, fra le grandezze interessanti, la resistenza a compressione R’b. Questa è la
grandezza più significativa di un calcestruzzo: una elevata R’b si accompagna o buone
caratteristiche meccaniche, omogeneità, buona compattezza.
Come si è detto il calcestruzzo può considerarsi una pietra artificiale, in cui la massima
parte è costituita per così dire da pietra stessa in piccole dimensioni, cioè dagli inerti,
cementati dalla pasta. Gli inerti nei calcestruzzi normali costituiscono circa 1’80% del
peso totale.
E’ necessario che gli inerti riempiano il più possibile il volume del calcestruzzo,
lasciando il minime di spazi liberi, da riempirsi con la pasta. Ciò sia per ragioni di
economia, essendo gli inerti molto meno cari del cemento, sia perché essi sono più stabili
fisicamente della pasta, e quindi conviene che il volume di questa sia minimo, ai fini del
ritiro, delle deformazioni viscose e della durevolezza.
Perché gli inerti occupino il massimo del volume disponibile occorre che essi siano di granulometria degli inerti
forma compatta e di granulometria assortita.
Si pensi di riempire un certo volume mediante corpi sferici tutti di dimensioni uguali:
questi lasceranno libera una certa percentuale di volume, che sarà sempre uguale, quale Esempio di fuso granulometrico per gli inerti
Pd (%)
che sia la dimensione delle sfere. Affinché il volume libero si riduca occorrerà aggiungere
100
sfere di dimensioni inferiori per occupare gli spazi liberi. Ciò vale, sia pure in modo 90
approssimato, anche per dei corpi della forma degli inerti da calcestruzzo. 80
Come dimensione indicativa della grandezza degli inerti è considerato il diametro dei 70
60
fori del setaccio di una serie normalizzate, attraverso il quale passano i grani, essendo 50
trattenuti dal successivo. 40
Una espressione ideale della distribuzione delle grandezze degli inerti è data da Füller: 30
20
Pd = d 10
D 0
in cui D è il diametro massimo degli inerti del gruppo prescelto, d il diametro intermedio 0 5 10 15 20 25 30
D, diametro fori dei crivelli in mm.
generico, e Pd la percentuale in peso passante il setaccio di diametro d.

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Avendo scelto per es. D = 30 mm si ottiene la curva in figura, attorno alla quali si può
costruire un fuso granulometrico entro cui deve ricadere la curve effettiva di un gruppo di
inerti, perché si abbia una buona distribuzione. La Norma UNI 7163-72 riporta i fusi
granulometrici prescritti per D =15÷70 mm.
Una curva adatta si ottiene mescolando inerti, forniti in due – tre – quattro pezzature
separate (sabbia, ghiaia o pietrischi di varie dimensioni).
Il diametro massimo si stabilisce in funzione degli spessori del getto e della densità
delle armature metalliche. Esso ha poi un limite superiore dato dalla possibilità di essere
bene impastato. Per getti di dighe si giunge ad esempio fino e D = 15 cm.
Si parla di granulometria continua e discontinua se nell’insieme sono contenuti inerti
di tutti i diametri oppure no.
Stabilita la granulometria occorre progettare la miscela in base, oltre ad altri requisiti lavorabilità
di cui si vedrà in seguito, principalmente alla resistenza richiesta (a indurimento avvenuto)
ed alla lavorabilità necessaria per la posa in opera.
La lavorabilità indica genericamente la facilità con cui si riesce e porre in opera ed a
costipare, fino all’eliminazione dei vuoti, un calcestruzzo. Essa è in relazione inversa con
l’energia necessaria - data una certa cassaforma ed una certa armatura metallica - a vincere
gli attriti interni nel calcestruzzo e gli attriti esterni verso la cassaforma e l’armatura, per
riempire la cassaforma e costipare il calcestruzzo.
Sulla lavorabilità influiscono, a parità di cassaforma e di armatura: il tipo e la forma
degli inerti, soprattutto dei più fini, la forma arrotondata essendo più favorevole di quella
a spigoli vivi, e la granulometria; il tipo e la finezza del cemento; la presenza di polvere
negli inerti, che riduce la lavorabilità, infine, e soprattutto, le quantità di acqua e la
presenza di additivi.
Considerando i due requisiti principali, resistenza e lavorabilità, questi sono in quantità d’acqua
contrasto per quanto riguarda la quantità d’acqua d’impasto richiesta. L’acqua aumenta la
lavorabilità, che è necessaria per la sicurezza che il getto vada a riempire tutto il suo
spazio, soprattutto nel cado di armature intricate o comunque di spessori sottili, per il

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trasporto a mezzo di pompe da calcestruzzo, per ridurre il costo del costipamento, che
diviene oneroso con calcestruzzi di bassissima lavorabilità. Invece, per quanto riguarda la
resistenza, l’acqua la riduce, ed un aumento di acqua richiede un corrispondente aumento
di cemento e ciò fa crescere il costo del conglomerato.
E’ da tenere presente che la quantità di acqua valida per la lavorabilità prescinde da
quella assorbita dai grani porosi degli inerti e dalla polvere, mentre contiene quella
assorbita per capillarità dall’inerte fino nel suo insieme (sabbia bagnata) e quella, in
generale, che si trova sulla superficie degli inerti, che si distribuisce durante l’impasto
(acqua libera). L’acqua di saturazione assorbita, invece, interviene in parte nel rapporto
A/C durante l’indurimento, riducendo la resistenza; la porosità e la polverosità degli inerti
sono quindi negative.
Per il progetto della miscela, cioè per ottenere una certa resistenza oltre alla abilità rapporto acqua/cemento
voluta, ci si può basare sulla legge di Abrams. Essa stabilisce che, dato il tipo di cemento,
la resistenza finale dipende solo dal rapporto Acque/Cemento (A/C) della miscela, (a
condizione che il getto sia costipato fino a lasciare non più del 2% di vuoti).
Una volta fissato il rapporto A/C, occorre fissare le rispettive quantità.
Vi sono più modi di indicare il contenuto in cemento di un calcestruzzo: come kg di
cemento per m3 di calcestruzzo finito, che è il più usato da noi; come rapporto in peso tra
inerti e cemento (I/C), con gli inerti considerati tutti insieme oppure divisi secondo le
pezzature; come rapporto I/C in volume.
Le quantità assolute di cemento e quindi di acqua vengono stabilite in base alla
lavorabilità richiesta. Alcuni autori hanno anche preparato delle tavole per stabilire il
rapporto I/C in funzione di essa.
Il rapporto acqua-cemento può essere condizionato,oltre che dalla resistenza, anche
dalla durevolezza, che rappresenta genericamente la resistenza al deterioramento
superficiale,in relazione agli agenti atmosferici e climatici, e la capacità di protezione
delle armature.
La durevolezza è funzione essenzialmente della porosità del conglomerato finito, su

19
cui influisce anche il rapporto A/C, per i vuoti lasciati nella pasta dall’acqua non
combinatasi col cemento ed evaporata.
Si riporta una tabella dell’A.C.I. sulle limitazioni del rapporto A/C in funzione della
durevolezza. Nel caso i valori riportati per il rapporta A/C in funzione della durevolezza
siano più limitativi di quelli richiesti dalla resistenza, occorre tenerne conto.
L’impasto di tutti i componenti viene effettuato in apposite macchine betoniere di l’impasto
tabella

20
diverse grandezze. dell’ordine del decimo di m3 fino ad alcuni m3.
Essenzialmente consistono in un tamburo con delle pale interne il quale, ruotando
intorno al suo asse, impasta i componenti. I tempi di impasto dipendono dal tipo di
macchina, dal volume, dal riempimento e dai dosaggi. I dosaggi possono essere effettuati
a mano o automaticamente, con misura del volume o del peso, secondo i casi, in impianti
dalle più diverse capacità.
Il calcestruzzo dopo l’impasto viene trasportato anche a grandi distanze a mezzo di
betoniere montate su autocarro e ruotanti lentamente. In questo caso va posta attenzione al
tempo di presa, tenuto conto anche delle temperature esterne. All’interno del cantiere
viene trasportato mediante secchioni (di gru o altri elevatori), nastri trasportatori o pompe.
Per essere pompato il calcestruzzo ha bisogno di una opportuna fluidità.
Infine viene gettato nelle casseforme, che sono centinate in modo da reggere le spinte getto e costipamento
verticali ed orizzontali esercitate dal getto.
Il calcestruzzo viene costipato quindi nella propria sede, principalmente a mezzo di
vibrazione ad alta frequenza. questa ha lo scopo di fornire l’energia necessaria a vincere
gli attriti interni all’impasto, costipandolo fino ad eliminare i vuoti. Oltre che per
vibrazione,il calcestruzzo si può costipare per pigiatura a mano con pestelli, per forza
d’inerzia dovuta a centrifugazione o ad urto in ceduta.
In cantiere si usa soprattutto la vibrazione, talvolta ancore le pigiatura a mano, che
naturalmente ha bisogno di un’altissime lavorabilità; cioè in pratica di molta acqua e
quindi di molto cemento.
I vibratori possono essere di quattro tipi: da applicarsi alle casseforme; da applicarsi
alla superficie libera del calcestruzzo; da applicarsi ad una tavola che si porti l’intero
manufatto e le casseforme; ad immersione. Il più frequente è quest’ultimo.
L’effetto vibrante è ottenuto nei vari vibratori da masse oscillanti con frequenze di
alcune migliaia di cicli al minuto.
I vibratori vanno disposti in modo che le loro aree di influenza coprano tutto il getto,
eventualmente in tempi successivi, nel caso di vibratori immersi. Il tempo di vibrazione è

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quello necessario ad eliminare i vuoti d’aria dall’impasto. Esso varia molto con le
consistenza del calcestruzzo: più è asciutto e più a lungo deve esse essere vibrato. Un
calcestruzzo considerato fluido (abbass. al cono > 15 cm) non può essere vibrato.
Nelle fasi di mescolamento, trasporto, getto e costipamento possono manifestarsi degli
inconvenienti, fra cui: l’inizio di presa anticipato, su cui influiscono, tra i fattori
contingenti, soprattutto la temperatura esterne ed il trasporto ritardato, l’evaporazione
dell’acqua, le separazione degli inerti e della pasta. La separazione provoca disuniformità
di distribuzione delle varie pezzature di inerti e della paste all’interno del getto finito,
alterando localmente anche i rapporti A/C ed I/C, con danno per tutte le caratteristiche.
Essa può verificarsi, oltre che per difetti di progetto delle miscele, per i seguenti motivi:
tempo di rimescolamento scarso o eccessivo, miscela troppo magra (povere di cemento),
miscela troppo fluida, trasporto accidentato; getto in caduta libera da nastri o comunque
da altezza elevata o con rimbalzi contro le pareti, per presenze di armature metalliche
troppo intricate, per inerti troppo grossi in rapporto agli spessori del getto, per forma degli
inerti non compatta; per getti subacquei, per vibrazione prolungata, per vibrazione di
calcestruzzo a scorrere; per vibrazione del calcestruzzo troppo fluido.
Da quanto detto deriva la necessiti di accompagnare alcuni getti con tubi guide o benne
o imbuti, evitando percorsi a caduta libera e di vibrare il conglomerato quando ha già
raggiunto la sua posizione.
La fase successiva al getto è la stagionatura o maturazione che consiste nella stagionatura
regolazione o nel controllo alle superfici del getto (in via di presa e di indurimento) dei
fattori ambientali: temperatura, umidità, ventilazione. Per la temperatura, occorre
soprattutto impedire che scenda ala gelo. Occorre poi mantenere umido l’intorno delle
superfici per evitare che l’acqua interna, non ancora combinata, evapori lasciando
canalicoli vuoti. Il tutto per il tempo, dipendente dalle caratteristiche e dai requisiti del
calcestruzzo, finché questo raggiunge un indurimento sufficiente.
Ciò si traduce, per il periodo necessario, nel lasciare in opera le casseforme, nel
disporre stuoie o sabbia bagnata o speciali pellicole che si spruzzano sul calcestruzzo ne

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trattengono l’umidità, nel proteggere dall’irraggiamento solare o, viceversa, nel disporre
dei riscaldatori.
Si accenna al fatto che la maturazione può essere accelerata mantenendo il
conglomerato a temperatura elevata fino all’indurimento. In questo caso però, per le
ragioni suddette, essa va realizzata in ambiente costantemente saturo di umidità. Ciò si
può ottenere immettendo vapore in involucri disposti attorno ai getti.
Si è visto nel progetto della miscela che, fra le caratteristiche finali del calcestruzzo, si resistenza a compressione e a trazione
è tenuto conto solo della resistenza a compressione R’b. Questo anche perché, come si è
detto, una buona R’b significa buona qualità in generale del calcestruzzo. Come ordine di
grandezza, la resistenza a compressione dei calcestruzzi normali per c.a. e c.a.p. oscilla fra
150 ÷ 600 kg/cm2 Vanno tenuti presenti però altri caratteri o requisiti, che possono
interessare talvolta in modo particolare e su cui si può influire specificamente nella
confezione del calcestruzzo.
La resistenza a trazione è riferibile in generale a quella a compressione, e quindi al
rapporto A/C. E’ da osservare peraltro che, a parità di R’b viene migliorata la resistenza a
flessione con la spigolosità degli inerti. La resistenza a flessione è importante per evitare
la formazione di fessure in opere di contenimento di liquidi o in lastre sottili inflesse per
carichi concentrati, E come lastre di pavimentazioni stradali o aeroportuali). Le Norme
forniscono, per la resistenza (caratteristica) a trazione,in mancanza di determinazione
diretta, l’espressione convenzionale:
Rbk = 7 + 0.06 R' bk ( kg cm 2 )
ove R' bk , resistenza caratteristica a compressione, sarà definita più oltre. La resistenza a
trazione per flessione Rbk(f) è assunta pari al doppio: Rbk ( f ) = 2 Rbk .
La deformabilità istantanea a compressione (reversibile) si esprime tramite il modulo deformabilità elastica
elastico iniziale E’b. Anche esso è riferibile alla R’b e quindi a1 A/C, dipendendo però
anche dal modulo E degli inerti. E’b si determina sperimentalmente; in mancanza di ciò le

23
Norme fanno assumere l’espressione convenzionale:
E ' b = 18000 R ' bk ( kg cm 2 )

Il modulo elastico trasversale (Poisson) può variare intorno a valori di 0,10 ÷ 0,20,
aumentando per calcestruzzi di maggiore resistenza.
Il coefficiente di dilatazione termica, del conglomerato e del ce. e c.a.p., viene assunto dilatazione termica
in media pari a 1 × 10 (C )
−5 0 −1

Il ritiro è il fenomeno della variazione di volume dovuta agli scambi igrometrici con ritiro
1’ambiente. La parte maggiore del ritiro avviene per l’asciugarsi del calcestruzzo con il
procedere dell’indurimento. A questo si sovrappongono le variazioni stagionali in cui il
calcestruzzo esposto all’aria aperte può assorbire o cedere umidità. L’entità del ritiro
dipende soprattutto dalla quantità dell’acqua d’impasto e dalle condizioni di stagionatura.
Il calcestruzzo che stagione e permane in acqua può presentare anche un ritiro
negativo, cioè una leggera espansione.
Il ritiro varia con lo distanza della superficie esterna: questa contrazione non uniforme
può provocare tensioni e fessure, che si aggiungono a quelle provocate dai gradienti
termici durante la stagionatura, per effetto della dispersione del calore di idratazione dalle
superfici. Il ritiro genera stati di coazione nelle strutture in c.a.;
Un conglomerato ha ritiro molto inferiore (10 volte) a quello delle corrispondente
pasta di cemento da sola. Ciò è dovuto alle presenza degli inerti che, trovandosi racchiusi
nella pasta, tendono ad opporsi, comprimendosi, alle contrazione della pasta stessa.
Il ritiro si misura in variazione relativa di lunghezze (ε) ed ha normalmente valori
oscillanti fra 0,2÷0,5 mm/m.
Per quanto riguarda il tipo di cemento, il ritiro dipende molto dai componenti minori e
dalla finezza di macinazione.
Gli inerti influiscono, per quanto si è detto, attraverso il loro modulo E, la permeabilità
e la porosità; gli inerti grossi riducono il ritiro.

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La deformazione viscosa (ingl.: creep; franc.: fluage) é la deformazione lenta che deformabilità viscosa
avviene sotto carico. Essa è funzione del valore del carico, dell’età a cui è stato iniziato il
carico, della durata del carico, e si protrae, nel conglomerato, per alcuni anni.
Dipende molto dal tipo di cemento: il Portland ad alta resistenza ha, per es., una
deformabilità minore del Portland normale e ancora minore del Portland a basso
calore(per sbarramenti). Dipende fortemente dal rapporto A/C. Il creep è presente sia in
compressione che in trazione. Quanto agli effetti, una forte deformabilità viscosa può
giovare, per compensare coazioni interne e ridurre la fessurazione, quando per esempio sia
desiderabile l’impermeabilità di una struttura.
Il creep va limitato, invece, in opere che non devono subire deformazioni differite,
come per esempio sostegni di macchine, di guide e simili; nelle strutture precompresse, in
cui riduce la precompressione; e nelle strutture snelle, in cui la deformazione influisce
sulla sollecitazione.
Una buona resistenza all’abrasione è richiesta ad es. per pavimenti industriali, per resistenza all’abrasione
rivestimenti di canali o per opere marittime. Influiscono positivamente un basso A/C, un
alto costipamento, ed una riduzione degli inerti fini nella granulometria.
Per aumentare l’impermeabilità gli accorgimenti principali sono: una granulometria impermeabilità
studiata e il costipamento completo; la buona stagionatura. preferibilmente in acqua; la
limitazione sperimentata bene; l’uso di inerti impermeabili e di forma compatta; delle
riprese di getto; l’uso di additivi adatti.
Per resistenza al fuoco si intende la conservazione delle caratteristiche meccaniche di resistenza al fuoco
un elemento soggetto ad un certo trattamento termico su una faccia per una certa durata e
sotto carico. La resistenza al fuoco dipende soprattutto dalle caratteristiche degli inerti.
Buoni inerti sono, fra gli altri, i prodotti cotti frantumati.
Gli inerti leggeri sono in genere anche buoni, a causa della loro coibenza.
Per la resistenza all’aggressione chimica di un conglomerato riveste grande importanza resistenza chimica
il tipo di cemento, cui si è accennato. I problemi di resistenza ai differenti agenti
aggressivi variano e debbono essere analizzati caso per caso.

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La prove sui calcestruzzi possono dividersi in prove sui calcestruzzi freschi e prove sui prove sui calcestruzzi
calcestruzzi induriti. A loro volta queste ultime si distinguono in prove distruttive e prove
non distruttive.
Tre le principali per calcestruzzo fresco è la prova di consistenza, mediante il cono di slump
Abrams, prova che è pratica in cantiere per la semplicità dell’attrezzatura. Si tratta di un
tronco di cono alto 30 cm e con le altre dimensioni normalizzate aperto sulle due basi, che
fa da cassaforma al calcestruzzo da provare. Questo si getta dalla base minore, che sta in
alto, e si costipa con un pestello per un determinato numero di colpi a diversi strati. Si
sfila quindi la forma e si misura l’abbassamento del tronco di cono di calcestruzzo rimasto
libero. Questo abbassamento è detto in inglese slump.
Un calcestruzzo estremamente consistente può avere slump ≈ 0÷2 cm, un colcestruzzo
con slump > 15 cm è troppo fluido (salvo che non abbia additivi particolari).
La consistenza, che è misurata dal cono, è l’attitudine a non cambiare formo in riposo,
dopo un certo costipamento, in dipendenza della coesione. Essa non è sempre riferibile
alla lavorabilità, che invece dipende dagli attriti in movimento, cioè anche dalla forma
degli inerti e da altre cause: ad esempio l’aggiunta di un aerante può aumentare la
lavorabilità e lasciare inalterato lo slump. Inoltre la lavorabilità è sensibile alla quantità di
acqua libera, mentre lo slump lo è anche al rapporto A/C
Lo slump è principalmente indicativo della lavorabilità per impasti affini, in cui l’unica
grandezza variabile sia la quantità d’acqua, come controllo indiretto del dosaggio ad ogni
impasto. Altrimenti la consistenza dà solo orientativamente un indice di qualità e di
lavorabilità, soprattutto se si tratta di conglomerati speciali o con additivi.
Fra le prove sui calcestruzzi induriti vi sono le note provo a rotture per le misure della prove di resistenza
resistenza e compressione, trazione, flessione, su provini preparati a parte oppure estratti
da getti induriti, secondo modalità normalizzate (v.UNI 5125-67 e segg.), che si svolgono
in laboratorio (v.anche par.2.7).
Sono pure normalizzate, seconda varie norme in diversi passi, le prove per la
determinazione, su provini, del modulo elastico, del modulo di Poisson, del ritiro, del

26
viscosità, della durevolezza, della resistenza all’erosione e della permeabilità.
Fra le prove non distruttive, condotte cioè su una struttura in servizio senza
danneggiarla, molto diffuse sono quelle che misurano la durezza superficiale di un
calcestruzzo, attraverso il rimbalzo di un percussore. L’apparecchio misuratore, si chiama
sclerometro. La durezza superficiale si può mettere in relazione, in via approssimata, con
la resistenza del calcestruzzo. La corrispondenza è funzione anche di altre grandezze,
quindi, per una migliore approssimazione, lo strumento andrebbe tarato per ogni tipo di
calcestruzzo, secondo la natura degli inerti. Lo strumento va inoltre tarato per le diverse
inclinazioni.
Si ricorda infine l’esistenza di prove che misurano la propagazione di vibrazioni
ultrasoniche nella struttura, attraverso cui si risale alle caratteristiche elastiche e di
smorzamento e, tramite taratura. anche alla resistenza.
N.B.: Sugli argomenti attinenti ai cementi, conglomerati e prove relative, vengono
svolte delle proiezioni illustrative nel corso delle lezioni.

2.6 LE ARMATURE DI ACCIAO


L’acciaio è una lega di ferro, carbonio ed altri elementi (manganese, cromo, silicio, l’acciaio
eccetera).
Il ferro è il componente principale; gli altri raggiungono nell’insieme percentuali
intorno all’ l %; essi vengono legati al ferro nel processo di fusione, per aumentarne la
resistenza alla trazione. Il carbonio però rende anche l’acciaio più fragile e meno
saldabile; il silicio pure lo rende meno saldabile; la loro quantità è quindi limitata.
Si descrivono qui oppresso le qualità più significative per gli acciai da impiegarsi nelle
costruzioni in c.a..
Il Modulo elastico iniziale E non varia sensibilmente da un acciaio all’altro, ed ha modulo elastico
valori intorno a 2000000 kg/cm2, o leggermente, superiori.
Date l’omogeneità del materiale e la proporzionalità iniziale tra tensioni e
deformazioni, la misura del modulo elastico si effettua molto più semplicemente che per il

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conglomerato, su una barra sottoposta a trazione, di cui si rileva contemporaneamente la
tensione e la deformazione media. Il modulo E è fornito dal rapporto σ /ε.
Le resistenze a trazione e compressione sono circa uguali. Le prove standard sono fatte resistenze
a trazione (cfr.anche par. 2.7).
Interessano sia la resistenza a rottura Ra, cioè la tensione di rottura, sia la resistenza
allo snervamento Ra(S) o limite di elasticità, o limite di proporzionalità, cioè la tensione
per la quale il materiale subisce forti allungamenti a tensione circa costante.
Gli acciai dolci (a basso tenore di carbonio) mostrano nel diagramma σ -ε un
punto(tensione) di snervamento preciso Ra(S) a dei valori compresi fra 2000 ÷ 5000
kg/cm2. Negli acciai più resistenti (ad es. gli acciai armonici da precompressione) il punto
di snervamento non è evidente e si usa far riferimento ad un limite convenzionale di
snervamento: il raggiungimento di una deformazione permanente ε = 0.002 =0.2 %. La
corrispondente tensione si indica come Ra(0.2) (cfr. figure a pag. 48).
La resistenza allo snervamento dell’acciaio da c.a. è più importante di quella a rottura.
Infatti l’acciaio in una struttura non raggiunge normalmente la tensione Ra, che
comporterebbe delle ε inaccettabili per il conglomerato adiacente. Per tale ragione, come
si vedrà in seguito, nella rappresentazione della relazione σ /ε dell’acciaio viene spesso
ignorata la parte corrispondente a σ > Ra(S).
Questa è anche la ragione per cui alcuni acciai vengono sottoposti ad un trattamento
preventivo, l’incrudimento.
Esso consiste in una sollecitazione preliminare oltre il limite elastico, che nera delle
deformazioni permanenti. Nel successivi carichi (cioè in opera) l’acciaio non subirà più
tali deformazioni per raggiungere il secondo tratto ascendente della curva (v. figura).
L’effetto dell’incrudimento a freddo viene annullato a temperature di circa 35000.
L’allungamento unitario ε a rottura, A, deve essere molto più elevato della ε che rende allungamento a rottura, duttilità
inservibile una sezione in c.a.; il materiale cioè deve presentare uno sufficiente duttilità.
Tale proprietà (la cui opposta è la fragilità) è importante oltre che per considerazioni sul

28
comportamento strutturale, cui sarà fatto cenno in seguito, anche per la lavorabilità
dell’acciaio, che deve poter essere piegato senza mostrare segni di fragilità. Le norme
prevedono delle prove a piegamento delle barre, e dei valori minimi dell’allungamento a
rottura A. Questi variano tra 0,12 ÷ 0,24 per le armature ordinarie e tra 0,035÷ 0,05 per
quelle da precompressione.
La ripetizione di carico e scarico (anche parziale, o invertito) su un acciaio per un resistenza alla fatica
elevato numero di volte (dell’ordine dei milioni) riduce la Ra dell’acciaio e lo rende più
fragile, questo fenomeno viene denominato come fatica del materiale.
La resistenza ridotta è funzione del numero dei cicli di carico e scarico e al crescere di
esso tende ad un valore asintotico RF (resistenza a fatica).
Tale resistenza a fatica è a sua volta funzione del rapporto fra le tensioni massime e
minime che si raggiungono ciclicamente.
Il rilassamento consiste nella caduta di tensione che si ha, in funzione del tempo, rilassamento
quando la deformazione ε venga mantenuta a lungo costante.
L’entità del rilassamento dipende dal tipo di acciaio e dal tipo di laminaziane, dalla
tensione iniziale e dal tempo. Il rilassamento ha inoltre una forte sensibilità alla
temperatura.
Le norme forniscono i valori del rilassamento a tempo infinito Δσr∞ in funzione della
qualità di acciaio, delle tensioni iniziali e del tipo di armatura (par.3.1).
Si accenna solo al fatto che tutte le proprietà dell’acciaio sono molto sensibili alla comportamento termico
temperatura (resistenza, modulo elastica, duttilità, incrudimento, deformabilità viscosa e
rilassamento). Le armature d’acciaio quindi vanno protette in modo particolare dal fuoco
(e anche da temperature molto inferiori allo 0 oC), perché le loro deformazioni possono
causare il cedimento delle struttura.
Il coefficiente di dilatabilità termica è circa uguale a quello del conglomerato e cioè a
o -1
10 C . Ciò rappresenta un vantaggio, in quanto non nascono coazioni permanenti tra
armature e conglomerato dovute a dilatazioni differenziali.

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I tipi di armature per c.a. in uso e contemplati dalle norme sono: tipi di armature - aderenza
− barre tonde lisce (tondino d = 5 ÷ 30 mm)
− barre ad aderenza migliorata (d = 5 ÷ 30 mm)
− fili (trafilati) lisci o nervati (d = 4 ÷ 6 mm)
− reti elettrosaldate (d = 4 ÷ 12 mm)
per ognuno dei tipi suddetti le norme stabiliscono i requisiti ed i limiti di impiego.
Si tornerà più oltre sui tipi di armature da precompressione, insieme alla trattazione dei
relativi procedimenti d’impiego.
Il requisito fondamentale del tipo di armature, oltre e tutti i requisiti del materiale in
sé, è la capacità di aderenza col conglomerato, al fine di realizzare appunto un valido
cemento armato. Questo requisito attiene anche alle armature da precompressione, ma in
minor grado.
L’aderenza è funzione delle proprietà sia dell’armatura sia del conglomerato; essa ha
effetto sulla resistenza alla fessurazione e alla rottura degli elementi in c.a.
Per quanto riguarda le armature, dipende dalla misura della superfici, di contatto e
dalla sua rugosità. A parità di tensione nell’acciaio e di altre condizioni, una barra di
piccolo diametro offre una superficie di contatto, rapportata alla sezione, superiore rispetto
a una di grande diametro, ed offre quindi maggiore aderenza. Così pure, a parità di barra tonda liscia
diametro, una barra nervata con dei risalti (detta appunto ad aderenza migliorata) resisterà
allo scorrimento più di una liscia, e potrà avere quindi delle tensioni ammissibili più
elevate.
L’aderenza si oppone allo scorrimento reciproco tre armatura e conglomerato, che
tende a nascere in una struttura sollecitata, quando la tensione nell’acciaio vari lungo la
barra.
In particolare, come si vedrà meglio in seguito, per passare dalla tensione zero
barre ad aderenza migliorata
(termine della barra) alla tensione di esercizio, le armature hanno bisogno di una
conveniente lunghezza di ancoraggio e di altri accorgimenti, fra cui, per le barre lisce, una

30
piegatura a gancio. Le norme prevedono per le barre da c.a. delle prove per il controllo
dell’aderenza, con cui viene misurata la resistenza allo sfilamento di una barra da un
blocco di conglomerato. Le modalità delle prove, dette Beam Test e Pull out Test, sono
standardizzate e specificate.
Le norme prevedono poi le modalità di posa in opera delle armature, in particolare le
curvature dei ganci e delle sagomature, e le modalità di controllo per campioni, in
funzione dei diversi tipi e dei diversi diametri.

2.7 PROVE OBBLIGATORIE


Le Norme (in particolare il citato DM 16.6.76 parte 1^, art.3 ed allegati 2 e 3)
prevedono delle prove obbligatorie di controllo dei conglomerati e degli acciai che
vengono impiegati in una costruzione. Tali prove sono necessarie anche per stabilire le
Resistenze caratteristiche dei materiali stessi, le quali vengono introdotte nei calcoli di
verifica (par.3.2). Tutte le prove obbligatorie si svolgono sotto il controllo di Laboratori
Ufficiali.
a) conglomerato
2 P Prott.
Viene definito prelievo un insieme di quattro provini cubici ottenuti con calcestruzzo
struzzo prelevato fresco da uno stesso impasto. Il lato del cubetto varia da 10 a 30 cm
B=1
seconda il diametro degli inerti. Sono molto in uso attualmente provini con lato pari a 16
cm. 1
I provini vengono rotti per schiacciamento in una pressa quando hanno raggiunto una
età prescritta (generalmente 28 giorni). La resistenza a compressione di un provino è data 1
dal carico massimo raggiunto prima della rottura, diviso per l’area su cui esso agisce:
R’b=Prott / B. 1
La resistenza di un prelievo è le media delle quattro resistenze dei relativi provini.
Essa costituisce il risultato di una prova ai sensi del calcolo della suddetta Resistenza
caratteristica R’bk’ la quale si intende quindi riferita ad una stagionatura normale di 28
giorni, salvo diversa specificazione.

31
Le modalità di prelievo, confezione, stagionatura e prova sono precisate nelle
UNI6126÷5132. Le Norme stabiliscono una frequenza di prelievi di almeno uno per ogni
100 metri cubi di getto.
b) acciai
Le prove di controllo degli acciai per armatura ordinarie si svolgono secondo modalità
differenziate, esposte nel DM citato (parte 1, art.3 ed allegati 4. 5) e UNI 8407, a seconda
che essi siano controllati in stabilimento o meno.
I prelievi si effettuano in cantiere obbligatoriamente, a meno che l’acciaio sia
controllato ufficialmente e con continuità in produzione, nel quel caso i controlli in
cantiere divengono facoltativi.
Si determinano le resistenze caratteristiche: allo snervamento Rak(s), all’allungamento
permanente 0,2 % Rak(0,2), ed a rottura Rak, attraverso prove a trazione delle barre.
Si determina altresì l’allungamento a rottura delle zona della barre in cui essa si
verifica, e si effettuano prove di piega, per il controllo della duttilità del materiale.
I vari tipi di barre debbono previamente aver superato delle prove di aderenza.
Le prove di controllo degli acciai da precompressione sono riportati nel DM citato
(parte 2. arti2, ed allegato 3). Anche queste differiscono nelle modalità (essenzialmente
quantità dei prelievi obbligatori) a seconda che siano controllate in stabilimento o meno.
Le grandezze che si controllano sono le resistenze caratteristiche Rak(0,2), Rak(1),
Rak(s), ed Rak.
Inoltre: il diametro, l’allungamento a rottura, il modulo elastico, ed il massimo numero
di piegamenti alternati. Sono facoltative le prove di rilassamento e di fatica.

32
3 PROCEDIMENTI DI VERIFICA

Per poter inserire il comportamento meccanico del materiale in un modello di calcolo


astratto, occorre isolare alcune relazioni significative (come per esempio una relazione fra
tensioni e deformazioni) e quindi tradurle in schemi analitici.
Analogamente, i concetti di sicurezza vanno quantificati ed associati ai
medesimi0020schemi.
Lo scopo di tali schemi è di permettere un confronto numerico, una verifica, che attesti
la sicurezza della struttura.
E’ appena superfluo notare che non tutta la sicurezza può essere controllata con dei
numeri e che la struttura dovrà rispondere ad essa anche mediante un’impostazione a degli
accorgimenti di buona concezione ed esecuzione, e che tutto ciò sarà frutto della
sensibilità e della capacità di tutti gli addetti ai lavori, generata dalla comprensione del
comportamento delle strutture, come si accennava nell’introduzione.
Nondimeno, le verifiche numeriche sono un riferimento fondamentale per la sicurezza
e sono richieste dalla normativa.
In questo capitolo saranno illustrati: (1) alcuni degli schemi di comportamento dei
materiali impiegati nel calcolo del cemento armato, quindi (2) il significato dei valori
caratteristici dei parametri che regolano tali schemi, in funzione della sicurezza; quindi
(3) l’impostazione generale dei metodi di verifica in uso, infine sarà introdotta (4) la

33
nozione di duttilità, che rappresenta un aspetto, del comportamento dei materiali e degli
elementi strutturali, importante ai fini della sicurezza.

3.1 RAPPRESENTAZIONE DEL COMPORTAMENTO DEI


MATERIALI
Le principali relazioni - ai fini del calcolo delle strutture - riguardanti il relazioni σ − ε
comportamento di un materiale, sono le relazioni fra tensioni e deformazioni. In
particolare, le relazioni fra tensioni e deformazioni normali (σ−ε ).
Le figure nella pagina successiva mostrano alcuni diagrammi sperimentali carico
assiale/deformazione di alcuni provini in conglomerato (a compressione) e in acciaio (a
trazione). Essi sono stati tradotti in diagrammi σ−ε dividendo i carichi e le deformazioni
rispettivamente per l’area della sezione e per le lunghezza di misura del provino
(accettando con ciò l’ipotesi delle distribuzione uniforme delle tensioni sulla sezione).
Ogni diagramma rappresenta una particolare relazione σ−ε di un campione di
materiale, cioè la relazione corrispondente alle circostanze di quella data prove.
La relazione σ−ε potrebbe venire alterata, in un ipotetica altra prova, da vari fattori:
dalla presenza contemporanea di altre tensioni sul provino, dalla velocità e dalle durate
della prove, delle condizioni ambientali; dalla storia delle sollecitazioni subite
previamente dal provino. Si prescinde per ora dalla variabilità dei risultati di una stessa
prova per più provini uguali - su cui si tornerà fra breve - considerando invece
(teoricamente) le diverse possibilità di prova per un determinato campione.
Le curve di sinistra descrivono dunque la tensione a in funzione della deformazione
unitaria, in una prova svolta in ambiente normale, in tempo breve, in assenza di tensioni
trasversali, e su un provino vergine (curva di primo carico)
Per contro, un provino soggetto prima ad un carico molto elevato, e quindi scaricato,
non descrive lo stesso diagramma a ritroso, né un altra linea e, per successivi ricarichi e
scarichi segua linee ancore diverse. Ciò avviene per entrambi i materiali (fig. di destra).

34
35
Senza entrare in un esame dettagliato di tali fenomeni, sarà sufficiente affermare qui
che, finché le tensioni si mantengono nell’ambito del tratto circa lineare della curva, il σ
carico, lo scarico e i ricarichi seguono approssimativamente la stessa linea.
Nel calcolo di elementi strutturali in cui non si superi tale livello di tensione, si potrà R'b
quindi usare la curva di primo carico come unico schema σ−ε. Analogamente, per quanto
riguarda l’ambiente, se un elemento non va incontro a condizioni eccezionali, come ad
esempio a una temperatura da incendio (che fa abbassare l’intera curvaσ−ε), si considererà
valida quella normale. Eventuali condizioni anomale, se del caso, potranno essere
analizzate a parte.
E'b
Per quanto riguarda il tempo, invece, è una condizione normale che le strutture 0 0,0035 ε
sopportino dei carichi permanenti, o delle deformazioni impresse di lunga durata. Ciò
Parabola
comporta l’insorgere di deformazioni viscose, oppure di rilassamento delle tensioni, che in
alcuni casi possono modificare anche le sollecitazioni.
Esse quindi saranno tenute in conto; ma le descrizioni della relazione σ−ε con
l’aggiunta del tempo (t) saranno comunque riferite alle relazioni istantanee.
Quanto infine alla presenza di tensioni contemporanee in altre direzioni, esse alterano
le relazione σ−ε (si confronti anche la legge di Hooke generalizzata); anche qui, quando
la tensione in una direzione è nettamente predominante, talvolta si trascura l’influenza
delle altre.
Fra tutti i fattori, citati c’è interferenza, ma è possibile generalmente separare, in
pratica, i problemi connessi a ognuno di loro. Resta stabilito comunque che la curva σ−ε
per breve durata è una relazione di riferimento fondamentale per il comportamento del
materiale.
Tornando al punto iniziale, cioè l‘utilizzazione nel calcolo, le curve sperimentali come schemi σ−ε
quelle viste, vanno tradotte in relazioni analitiche definite.
Diversi schemi vengono adottati in proposito.
Innanzi tutto si ha, per entrambi i materiali, lo schema lineare, che corrisponde alla

36
legge di Hooke: σ
σ /ε = cost = E
(E, modulo elastico, è diverso da un materiale all’altro).
Questo schema è molto semplice e viene impiegato per l’analisi delle tensioni di
esercizio nelle sezioni, e per l’analisi lineare delle strutture. E’ accettabile per tali scopi,
E
ed in tali limiti, dato che sia il conglomerato, sia e meglio, l’acciaio, presentano un tratto
ε
iniziale circa rettilineo nelle curve sperimentali.
Dove invece occorre considerare le relazione σ−ε per intero oltre le tensioni di inizio
(calcolo allo s.1. di rottura), lo schema lineare non è più adatto e viene sostituito con
schemi non lineari come i seguenti:
a) Conglomerato
Per il conglomerato si usa arrestare tutti i diagrammi ad un valore determinato dalle ε,
considerato di rottura convenzionale a compressione del materiale, indipendentemente dal
valore della sua resistenza R’b. In Europa il valore ultimo della deformazione viene
assunto pari a
εbu = 0,0035 = 3.5%
In realtà il conglomerato potrebbe raggiungere contrazioni ε molto maggiori, se si
diminuisse il valore della tensione σ dopo aver raggiunto il massimo R’b, la curva
presenterebbe un ramo discendente molto lungo. In questa sede però prescindiamo da tale
considerazione. Inoltre, generalmente si esclude del tutto il ramo corrispondente alla
trazione, poiché si considera Rb = 0.
Gli schemi analitici più comuni sono:
1) la parabola con vertice corrispondente al punto:
ε = εbu ; σ= σbu
la parabola è la più semplice curva di secondo grado ed ha equazione:

37
σ = (ε buε − ε 2 ) R' b ε bu

2) la parabola-rettangolo (adottata dalle Raccomandazioni CEB); in essa il vertice


σ
è spostato al punto:

ε = 0,002 ; σ = σbu
R'b
e prosegue con un tratto orizzontale fino a εbu; in questa curva, il modulo iniziale E (cioè
la tangente nell’origine) è in media più vicino al vero che nella precedente.
L’equazione delle curva, divisa in due parti, risulta:
σ = (0,004 ⋅ ε − ε 2 ) R' b 0,002 per ε ≤ 0,002 E'b ε0
σ = R' b per 0,002 ≤ ε ≤ 0,0035
0 0,002 0,0035 ε
Parabola - rettangolo
3) curve cubiche, raccomandate anche dal CEB per un’analisi della struttura
particolarmente precisa;
4) diagramma rettangolare, valido solo per lo stato limite ultimo di rottura di
sezioni σ
in cui la zona compressa sia circa rettangolare. Esso rappresenta una semplificazione delle
R'b
altre curve ed è valido al sola fine di calcolarne l’integrale.
Il regolamento italiano, nel caso in cui si intende fare riferimento al diagramma
rettangolare, ne precisa le caratteristiche.
b) Acciaio
Il comportamento dell‘acciaio soggetto a tensione normale, viene generalmente E'b
rappresentato con curve uguali in compressione e trazione.
Il tratto iniziale è sempre rappresentato da una retta di inclinazione:
0 0,0022 ε'bu ε
Cubica
σ
= E = 2,0 ÷ 2,1 × 10 6 kg cm 2
ε
Le rappresentazioni più frequenti sono:

38
1) acciai dolci per c.a. diagramma bi-lineare con secondo tratto orizzontale, σ σ (+ - )
Ras
corrispondente alle tensione di snervamento Ra(S);
2) acciai incrudenti diagramma bi-lineare con il secondo tratto crescente; Ea
0 ε
3) acciai armonici da c.a.p.
Ras Ea
tali acciai, non presentando un punto di snervamento netto, vengono rappresentate da 0 0,002 0,01 ε
diagrammi misti come in figura, in cui è posto in rilievo il punto di snervamento Acciai dolci per c.a. Acciai incrudenti
σ
Ra
convenzionale al 2% Ra(0,2) ed il valore della resistenza Ra. Ra (0,2)
Come la relazione σ−ε, di cui si sono visti alcuni modelli relativi alla curva di primo
carico, così gli altri aspetti del comportamento meccanico si possono in via semplificata Ea
isolare e schematizzare: se ne riportano alcuni di uso più comune. 0 0,002 0,01 ε (+ - )
Acciai armonici da c.a.
Si è detto come la presenza contemporanea di tensioni secondo altre direzioni
modifichi le curve σ−ε dei materiali, e in particolare i valori delle resistenze.
I criteri di resistenza sono modelli rappresentativi della resistenza del materiale, criteri di resistenza
quando sia sottoposto a stati di tensione pluriassiali. Le resistenze a trazione o a
compressione testé considerate ne rappresentano dei casi particolari, in cui la tensione è
presente lungo una sola direzione (stati tensionali monoassiali). Molti sono anche qui i
modelli proposti, più o meno efficaci a seconda dei materiali e delle sollecitazioni. Se ne
ricordano solo due: uno valido per l’acciaio (τ ottaedrica) ed uno per il conglomerato
(curva critica).
Si ricorda a questo proposito che le tensioni principali intorno a un punto, sono le σ
agenti nelle giaciture in cui τ = 0 e che la determinazione di dette giaciture, mediante
considerazioni sull’equilibrio di un elementino contenente il punto, si ottiene anche
graficamente con il circolo di Mohr.
a) Acciaio
Vengono considerati equivalenti, ai fini della resistenza allo snervamento, tutti gli stati
di tensione intorno a un punto per i quali risulti uguale la seguente funzione delle tensioni
principali σI σII σIII:

39
σ id = σ I2 + σ II2 + σ III
2
− σ I σ II − σ II σ III − σ III σ I
tale funzione viene anche detta sigma ideale o σ equivalente, poiché, nel caso di
tensione monoassiale, σid coincide con la tensione effettiva presente (σI = σ ; σII =σIII =
0; σid = σ ): essa quindi riconduce uno stato tensionale qualsiasi a uno stato monoassiale
ideale equivalente secondo il criterio).Questo criterio di resistenze è detto della τ
ottaedrica, perché la funzione σid così espressa è proporzionale al valore che assume la τ
lungo le giaciture di un ottaedro regolare, i cui vertici si trovino sugli assi delle tensioni
principali.
b) Conglomerato
Per il conglomerato, che è un materiale fragile, e nel quale la resistenza a trazione è τ
molto inferiore di quella a compressione, il criterio precedente sarebbe del tutto critica
curva
inadeguato. Uno schema valido è invece costituito dalla caVa critica. Ogni stato tensionale
piano intorno a un punto può venir rappresentato da un circolo di Mohr, in un piano σ,τ.
Rb Rb
Uno stato tensionale qualsiasi (e con esso il relativi circolo di Mohr) viene definito σ
critico quando comporti la crisi (rottura) del materiale. L’inviluppo di tutti i possibili 1
circoli critici viene detto curva critica o intrinseca del materiale (v.figura). Pertanto, se a 2
3 4
uno stato tensionale corrisponde un circolo di Mohr interno allo spazio delimitato della
curva, lo stato si trova al disotto della rottura. Se, viceversa, il corrispondente circolo è 1,2,3: cerchi critici
τ 4: cerchio non critico
tangente o secante alla curva, tale stato è critico. σx
Vi sono varie proposte di equazione rappresentativa di tali curve. σy
Fra asse, quella di Caquot, con alcune approssimazioni, porta alla condizione di
resistenza:
(σ c + Rb )2 > r 2 + [8Rb (Rb + R'b ) ]
R'b3 r 3
in cui R’b è la resistenza a compressione del conglomerato
Rb è la resistenza a trazione
σc è l’ascissa del centro dal circolo di Mohr corrispondente al dato stato

40
tensionale
r è il raggio di tale cerchio.
E’ importante notare come la presenza di una compressione laterale aumenti la
resistenza a compressione rispetto a quella monoassiale.
La deformazione (unitaria) lenta di un dato conglomerato soggetto, a partire da un dato deformazione viscosa del conglomerato
istante t0 ad una tensione σ costante, si rappresenta in funzione del tempo e in funzione φ(t)
della deformazione, elastica εe con un’espressione: φ

ε (t ) = ε e + ε v (t ) = (σ E )[1 + φ (t )]
t (anni)
La deformazione differita εV(t) è in gran parte irreversibile e riflette i fenomeni viscosi. 0 1 2 3 4
Nell'ambito delle tensioni di esercizio, per un dato conglomerato si considera ϕ
χ
(coefficiente di fluage) una funzione del solo tempo, come indicato nella formula (fluage
1,5
lineare rispetto a σ). Per livelli tensionali elevati ϕ varierebbe anche con σ : ϕ = ϕ (t ,σ ) 1,0
La funzione φ, a parità di altre circostanze, è crescente col tempo, tendendo a stabilirsi 0,5
intorno a un valore finito ϕ∞ per t→∞. 0,65 0,75 0,85 4 R'bkj /R'bk28
Il suo andamento si può schematizzare come esponenziale:
ϕ (t ) = χϕ ∞ (1 − e − t )
I1 valore di ϕ∞ dipende da tipo di conglomerato e condizioni ambientali, secondo
quanto visto in precedenza; χ invece è una costante che dipende dall'indurimento rag-
giunto dal conglomerato all'atto della applicazione del carico (t0 = j giorni). Le costanti ϕ∞ ε r(t)
εr
e χ si ottengono per determinazione sperimentale diretta o per analogia. Le norme
stabiliscono comunque dei valori minimi ove occorra, come per es. nel calcolo delle 0,63εr 0,86εr 0,95εr 0,98εr

cadute di tensione nelle strutture precompresse: in particolare per χ si hanno i valori 0,4εr t (anni)
0 1 2 3 4
forniti dal diagramma in figura, dove in ascisse è espressa la resistenza del conglomerato
al tempo j rapportata a quella dei 28 gg.
Anche l'andamento del ritiro in funzione del tempo può essere espresso da una curva ritiro conglomerato

41
esponenziale
ε r (t ) = ε r∞ (1 − e − t )
posto che sia noto il valore a tempo infinito εr∞ per via sperimentale. Anche di εr∞ le varie
norme forniscono comunque i valori minimi o consigliabili (cfr. pag. 34).
Considerando solo i valori della tensione iniziale σapi a partire da 0,5 Rak, al disotto rilassamento acciaio
della quale il rilassamento si considera nullo, si ha per il rilassamento dell'acciaio
l'espressione

Δσ r∞ = 16 × Δ σ r∞ × [(σ api R ak ) − 0,5]


*
2

che è l'equazione di una parabola in funzione di σapi ⋅ Rak è la resistenza caratteristica


*
dell'acciaio. Δ σ r∞ è una costante, dipendente dal tipo di armatura e vale:
Tondo trafilato 0,1125 Rak
Treccia 0,150 "
Trefolo 0,135 "
Barra laminata 0,090 "
*
oppure Δ σ r∞ viene determinata sperimentalmente.
Tali valori corrispondono a temperature di circa 20 °C, ed al tempo t = ∞.

3.2 VALORI CARATTERISTICI


I1 comportamento dei materiali, per essere inserito in un calcolo teorico, va tradotto in
relazioni analitiche tra tensioni, deformazioni, ed anche altre grandezze come il tempo, la
temperatura, eccetera.
Gli schemi di comportamento sono, come si è visto, definiti a meno di alcuni parametri
legati al tipo ed alla qualità del materiale.
Ad esempio, la relazione σ−ε di un conglomerato sia rappresentata come una
parabola-rettangolo: per riferirla ad un certo conglomerato occorrerà fissare i parametri R'b

42
(resistenza), εbu (def. unitaria di rottura), e la tangente iniziale (modulo E'b) ovvero ε0
(vertice della parabola).
Si consideri per ora 1a resistenza a compressione R'b. Si è visto come questa sia per i variabile casuale (aleatoria)
conglomerati una grandezza di riferimento che riassume bene la qualità del materiale, e sia
di facile misurazione su campioni prismatici.
Si è anche accennato al fatto che per diversità casuali, nell'ambito di uno stesso
conglomerato. si verificano delle disuguaglianze nei risultati di più prove. Cioè la
resistenza di un conglomerato non è una grandezza determinata, ma è soggetta a variazioni
aleatorie.
I regolamenti prevedano pertanto l'esecuzione di numerosi prelievi, su uno stesso
materiale, stabilendone le modalità, con lo scopo di ricavarne un valore significativo della
resistenza (par.2.7).
Si esamina ora il criterio per individuare un tale valore.
Si potrebbe pensare di assumere come rappresentativo il valor medio di una serie di
prove. Ma ciò non soddisferebbe l'esigenza di sicurezza. Ad esempio, se le prove di
resistenza di dieci prelievi di un conglomerato fornissero i valori 200, 200, 250, 250, 300,
300, 350, 350, 400, 400; oppure fornissero 280, 290, 290, 295, 300, 300, 300, 310, 315,
315 il valor medio sarebbe in entrambi i casi 300 kg/cm2; ma non sarebbe logico
f (x)
considerare equivalenti i due conglomerati. Infatti, dal punto di vista della sicurezza,
interessa più un minimo garantito della resistenza che non un valore medio generico. Tale
minimo garantito viene inteso probabilisticamente, cioè come un minimo che ha una data
(molto elevata) probabilità di venir raggiunto dal materiale.
_
Nell'esempio qui sopra appare chiaramente che tale minimo è più elevato nel secondo x x
che nel primo conglomerato, e che quindi al secondo possiamo attribuire una resistenza
superiore che al primo, a parità di sicurezza.
I1 valore che si usa adottare come caratteristico di una resistenza non è dunque il distribuzione di Gauss
valore medio, ma quel valore che ha una probabilità 95% di venire raggiunta o superato.
Esso con ciò tiene conto della maggiore o minore dispersione delle resistenze di quel

43
materiale, cioè della loro distribuzione probabilistica, che invece il semplice valor medio
non considera. Per poter stimare tale valore basandosi su una serie limitata di prelievi
(quale è quella di cui si dispone in pratica), occorre considerare i valori ottenuti dalle
prove come variabili casuali (o aleatorie) e, ancora una volta, assumere un modello, che
rappresenti la loro distribuzione probabilistica.
Uno schema comunemente adottato per la distribuzione di una variabile aleatoria è
quello della distribuzione normale o di Gauss.
Detta x la variabile aleatoria, questa distribuzione è rappresentata da una funzione f(x)
continua, simmetrica rispetto al valor medio x , e che copre tutto il campo delle x, da +∞
a
- ∞.
La funzione f(x) è detta di densità di probabilità, definita come f(x)=P(dx)/dx essendo
P(dx) la probabilità che la variabile cada in un certo intervallo dx intorno ad x. f (x)
Nella distribuzione normale la f (x) ha espressione:
2
1⎛ x−x ⎞
− ⎜⎜ ⎟
f (x ) =
1 2 ⎝ δ ⎟⎠
e
δ 2π
essa contiene lo scarto quadratico medio δ, che è un indice della dispersione della x, e
h
regola perciò la maggiore o minore compattezza della rispettiva curva.
Per visualizzare il significato della funzione, si immagini di costruire un istogramma _
xk x x
delle frequenze, a partire dalla conoscenza di un numero finito di esperienze, e cioè: si Δx
divida l'asse della variabile x in intervalli finiti Δx e si riportino su ogni intervallo dei
rettangoli, di area proporzionale alla frequenza dei risultati caduti nell'intervallo stesso.
L'altezza dei rettangoli sarà h = (n /NΔx)
(n = numero di risultati compresi nell'intervallo del rettangolo)
(N = numero di risultati totale)
al tendere di N→ ∞ e Δx→ 0 l'istogramma tende alla curva f(x).

44
Questa curva sottende una superficie di area totale pari a 1:

∫ f (x )dx = 1
−∞

che è il valore della probabilità che la x cada fra -∞ e +∞ (pari a 1 cioè al 100 %) .
La probabilità che invece il risultato cada in un intervallo qualsiasi (x1÷ x2) è
data dall'integrale della F(x) esteso a quell'intervallo:
x2

P ( x1 ≤ x ≤ x2 ) = ∫ f (x )dx
x1

Il valor medio e lo scarto quadratico medio, se è data l'intera curva, hanno


rispettivamente espressione:

x=
−∞
∫ f (x )xdx

∫ f (x )(x − x ) dx
2
δ =
−∞

mentre, se si dispone solo di un numero finito di prove, essi vengono stimati mediante
le espressioni:
N
x = (1 N )∑ xi
i =1

∑ (x − x )
N
2

δ= i =1
N −1

con i quali valori viene estrapolata la curva distribuzione f(x) completa.

45
Un valore che ha un particolare interesse è il frattile di ordine p della curva. Esso frattile
corrisponde al punto Xp per il quale si ha: f (x)
xp

P (− ∞ < x ≤ x p ) = ∫ f (x )dx = p
−∞

cioè per il quale la probabilità della x di essere inferiore a xp è pari a p. Esso si può 2
1
esprimere come _
xk2 xk1 x_1 x
x p = x − k pδ x2
v a l o r i " c a r a t t e r i s t i c i " x k d i d u e _c u r v e
in cui kp è una funzione del solo p. con uguale v. medio x

In particolare, il valore caratteristico xk, che si voleva determinare, è definito proprio 1.1.1.1 valore
come il frattile di ordine 0,05(5%) della funzione f(x). caratteristico
f (x)
xk è quindi tale che p = 0,05:
xk

∫ f (x )dx = 0,05
−∞
1 2
e vale _ _
xk1 x1 x2 x
xk = x0,05 = x − k 0,05δ xk2
valori "caratteristici" xk di due _curve
con diverso v. medio x
in cui k0,05 vale 1,64 (nella distribuzione normale). Se i valori x e δ sono ricavati da stime
f (x)
in base a un numero limitato di prove, si assumono per k0,05 dei valori prudenziali, che
sono indicati nelle norme.
frattile 0,95
Quanto si è fin qui detto, partendo dall'esempio della resistenza a compressione del
conglomerato, vale in generale per tutte le grandezze meccaniche che rappresentano il
comportamento dei materiali.
_
Quando si verifica cioè la sicurezza di una struttura, si considerano, come valori x xk x
rappresentativi dei materiali, sempre i valori caratteristici.
Per quanto riguarda le azioni esterne (carichi) sulla struttura, esse andranno introdotte

46
nello schema di calcolo, ad esempio sotto forma di forze, con dei valori rappresentativi,
che pure dovranno tener conto della sicurezza. Anche per queste saranno considerati
quindi dei valori caratteristici, che corrispondono, nella maggior parte dei casi, a dei
massimi invece che a dei minimi garantiti, in quanto generalmente le azioni esterne hanno
effetti sfavorevoli; in questi casi i valori caratteristici saranno quindi frattili superiori; di
ordine 0,95, cioè, invece di 0,05.
I valori nominali delle azioni esterne massime su una struttura verranno perciò intesi
come valori caratteristici, determinati in base alla probabilità che su quella struttura si
verifichino tali azioni massime.
Si vedrà in seguito, come tutti i parametri (resistenze, intensità dei carichi eccetera)
vengono poi inseriti nel calcolo con i valori detti appunto di calcolo, derivanti da quelli
caratteristici mediante un'ulteriore operazione (applicazione dei coefficienti di sicurezza).

3.3 METODO DELLE TENSIONI AMMISSIBILI


METODO DEGLI STATI LIMITE
La verifica o l'analisi della struttura consiste, come si è accennato nell'introduzione, nel
ricondurre a schemi azioni esterne, struttura e comportamento dei materiali; nel riprodurre
quindi, attraverso tali schemi, alcuni aspetti del comportamento della struttura, e nel
verificare che questi siano compatibili con la sicurezza d'impiego.
Si prendono qui in esame due impostazioni del problema: quella delle tensioni
ammissibili e quella degli stati limite.
La prima consiste nel determinare mediante uno schema statico le tensioni massime metodo delle tensioni ammissibili (t.a.)
corrispondenti alle azioni esterne di esercizio, e di verificare quindi che tali tensioni siano
inferiori a dei valori prestabiliti (tensioni ammissibili).
Lo schema di calcolo per la determinazione delle sollecitazioni nelle sezioni (nei casi
delle strutture monodimensionali) e quello per la determinazione delle tensioni nella

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sezione stessa, possono essere schemi basati sul comportamento lineare dei materiali.
Infatti, in generale, il comportamento dei materiali é con buona approssimazione lineare
nell'ambito delle tensioni ammissibili (t.a.) in esercizio.
Le t.a. vengono stabilite dai regolamenti in base alle resistenze sperimentali dei
materiali, ridotte secondo vari coefficienti di sicurezza: ad esempio la σ 'b (tensione
ammissibile di compressione) per un conglomerato é fissata dalle norme attuali nella
formula
σ 'b = 60 + (R'bk −150) 4 ( kg/cm2)
in cui R’bk è la resistenza cubica caratteristica del conglomerato impiegato.
Volendo esprimere il coefficiente di sicurezza come:
γ = R' bk σ ' b
in questo caso esso risulterebbe oscillante fra 2,5 e 3,4 circa, secondo il valore di R’bk
(compreso fra 150 e 500 kg/cm2).
Analogamente le norme fissano le altre tensioni ammissibili nei vari casi, per il
conglomerato e per l'acciaio, come si vedrà meglio nel cap.4.
Il procedimento delle tensioni ammissibili (t.a.) è tradizionalmente il più
usato,1soprattutto per ragioni di semplicità: l'analisi lineare consente fra l'altro la
sovrapposizione degli effetti. Un tempo era l'unico, e veniva impiegato del tutto
deterministicamente. Oggi contiene anch'esso una traccia semiprobabilistica nei valori
caratteristici delle resistenze, cui fanno riferimento le norme nello stabilire i valori delle
tensioni ammissibili.
Peraltro tale metodo risulta concettualmente debole, dato che il raggiungimento delle
t.a. in una struttura, oltre a non essere dannoso in sé, non misura neppure la maggiore o
minore distanza di un eventuale fatto dannoso o stato limite.

1
E’ detto anche metodo tradizionale o metodo n (per il cemento armato).

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L'esempio seguente evidenzierà tale aspetto.
Si consideri la struttura a, rappresentata dallo schema in figura, di tre aste in acciaio
incernierate, di sezione A= 1 cm2 ciascuna, formanti angoli di 45°. A A = 1 cm2
Un carico P applicato nel nodo sollecita le tre aste a trazione, con sforzi normali N che A
in regime elastico lineare corrispondono ai valori indicati a fianco. 1 2 3
Assumendo una t.a. dell'acciaio σ a = 1600 kg /cm , si ricava che ogni asta può sop-
2
45° 45° N2= P/1,707
portare in esercizio uno sforzo assiale N = 1600 kg. Tale valore viene raggiunto per prima a) N1= N3= N2/2
dall'asta 2, quando P = 1600 × 1,707= 2730 kg. Questo è quindi da considerarsi il δ
massimo carico attribuibile alla struttura, indipendentemente dal valore inferiore
P
(esattamente la metà) raggiunto nel contempo dalla tensione nelle altre aste. Si vedrà
invece come esse costituiscano una riserva di resistenza per la struttura, nel confronto con
un altra b, composta di una sola asta dello stesso acciaio, di sezione A =1,707 cm2 e che
pure raggiunge la tensione ammissibile di 1600 kg/ cm2 per il carico P = 2730 kg.
Infatti, se si facesse riferimento alla rottura della struttura, prescindendo da altri A = 1 cm2
possibili inconvenienti, si noterebbe che facendo crescere il carico P, a parità di altre
condizioni, questa struttura cederebbe molto prima della precedente (v.oltre).
I1 metodo delle t.a. ha il difetto di considerare le due strutture equivalenti rispetto alla
sicurezza, nonostante la diversa distanza dal collasso in termini di aumento dal carico.
L'esempio, che verrà più oltre sviluppato meglio, pone in rilievo la carenza del metodo
b)
tradizionale nel confronto con un calcolo allo stato limite di rottura, il quale, mettendo in
luce la diversa distanza delle due strutture dallo strato limite (s.l.) considerato, attribuirà P
loro una diversa sicurezza.
Lo s.l. di rottura è quello più tipicamente considerato, ed ha dato luogo al nome di
calcolo a rottura. Bisogna però tener presente che esso è solo uno dei diversi stati limite
che possono interessare una struttura.
Le citate Istruzioni del CNR per le strutture in c.a. ed in c.a.p. stabiliscono quanto definizione di stati limite
segue.

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Si definisce stato limite uno stato, raggiunto il quale la struttura, o uno dei suoi
elementi costitutivi, non può più assolvere la sua funzione o non soddisfa più le condizioni
per cui é stata concepita.
Gli stati limite si suddividono in due categorie:
a) stati limite ultimi, corrispondenti al valore estremo della capacità portante o
comunque legati al raggiungimento di condizioni estreme;
b) stati limite di esercizio, legati alle esigenze di impiego normale e di durata.
a) STATI LIMITE ULTIMI
Nei casi usuali si devono considerare gli stati limite ultimi derivanti da:
− perdita di equilibrio di una parte o dell'insieme della struttura, considerata come
corpo rigido;
− rottura localizzata della struttura, per azioni statiche;
− collasso per trasformazione della struttura o di una sua parte in meccanismo;
− instabilità per deformazione; rottura localizzata della struttura per fatica;
− deformazione plastica o di fluage o di fessurazione,che conducano ad una modifica
della geometria, tale da rendere necessaria la sostituzione della struttura o di sue
parti fondamentali;
− degradazione o corrosione che rendano necessaria la sostituzione della struttura o
di sue parti fondamentali.
Stati limite ultimi possono essere raggiunti anche per collasso incrementale, per effetto
del fuoco, di esplosioni, urti, ecc.
b) STATI LIMITE DI ESERCIZIO
Oltre agli eventuali stati limite di esercizio specificatamente previsti caso per caso, di
regola si dovranno prendere in esame gli stati limite di esercizio derivanti da:
− deformazioni eccessive;
− fessurazione prematura od eccessiva;
− degradazione o corrosione;

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− spostamenti eccessivi senza perdita dell'equilibrio;
− vibrazioni eccessive.
L'impiego del metodo degli Stati limite permette anche una impostazione del calcolo valori di calcolo (*)
più approfondita in senso probabilistico.
In fatti si procede come segue:
Si definiscono prima di tutto i valori di calcolo dei parametri da impiegarsi
(essenzialmente delle azioni esterne e delle resistenze dei materiali; eventualmente di altri,
riguardanti la deformabilità e il comportamento in genere della struttura, in dipendenza
dello stato limite considerato).
I valori di calcolo si ottengono dai valori caratteristici, ridotti o accresciuti, secondo il coefficienti parziali di sicurezza
caso, mediante dei coefficienti parziali di sicurezza γ.
Tali coefficienti vengono precisati numericamente dai diversi regolamenti.
Ad esempio la resistenza di calcolo a compressione del conglomerato R’b* si ottiene resistenze*
dividendo la resistenza caratteristica per un coefficiente γb (intorno 1,4÷1,5) mentre la
resistenza di calcolo dell'acciaio Ra si ottiene attribuendo al coefficiente γa dei valori
compresi tra 1,1÷1,3; questo é inferiore a quello del conglomerato, a causa della maggiore
affidabilità in generale della qualità dell'acciaio, che viene prodotto in stabilimento e non é
soggetto a manipolazioni sostanziali nella posa in opera.
R '*b = R'bk γ b Ra* = Rak γ a
Analogamente per ottenere le azioni (carichi ecc.) di calcolo, si moltiplicano i valori azioni esterne*
caratteristici per i coefficienti γF,
F * = Fk × γ F .
I γF, maggiori di 1, vanno nella maggior parte dei casi a moltiplicare le azioni (invece
che a dividerle, come per le resistenze), in quanto le azioni sono più sfavorevoli se
accresciute, mentre le resistenze se ridotte.
I coefficienti γF sono fissati dai regolamenti per le varie azioni esterne che possono

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interessare la struttura (pesi propri, carichi di servizio, vento, ecc.) in funzione dello stato
limite considerato (cioè del tipo di danno che può derivare alla struttura), e della
combinazione di carico (cioè della probabilità ridotta di intervento simultaneo di tutte le
azioni al loro livello caratteristico).
Ad esempio le azioni di calcolo in una combinazione di peso proprio, carichi di
servizio, e vento, per una verifica ad uno stato limite ultimo, potrebbero venire fissate:
Fg = Fgk × γ F 1
*

FS = FSk × γ F 2
*

FW = FWk × γ F 3
*

dove F*gk, F*Sk, F*Wk sono i valori caratteristici rispettivamente dei carichi permanenti,
dei carichi di servizio e del vento, ed i coefficienti di sicurezza:
γF1 = 1,5 ; γF2 = 1,5 ; γF3 = 1,35 ;
Se intervenissero ulteriori carichi, essi potrebbero avere coefficienti via via
decrescenti, per tener conto della ridotta probabilità del loro intervento simultaneo.
Qualora invece il peso proprio agisse favorevolmente (per esempio se fosse stabilizzante
rispetto allo s.l. di ribaltamento), il relativo γF1 verrebbe ridotto a 0,9.
Infine, nella verifica ad uno stato limite di esercizio della struttura, le stesse azioni Fk
varrebbero affette da coefficienti γF più bassi. Ad esempio:
γF1 = 1 ; γF2 = 1 ; γF3 = 1 ;
Fissati i valori di calcolo riguardanti le azioni esterne ed i materiali e supponendo di sollecitazioni
trattare una struttura ad elementi monodimensionali, si entra in uno schema strutturale, che
permette di ricavare gli effetti delle azioni (o sollecitazioni,o sforzi: Momento flettente,
Sforzo normale, eccetera) nelle varie sezioni.
Queste sollecitazioni S(F*) corrispondono perciò alle azioni esterne di calcolo F*, ma

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possono venire a loro volta modificate da ulteriori coefficienti di sicurezza γS, per divenire
Sollecitazioni di calcolo della sezione:
S * = S (F * ) × γ S
γS serve a tener conto della non corrispondenza dello schema di calcolo alla struttura
reale. Talvolta γS non compare esplicitamente, ma é conglobato nei coefficienti γF.
In definitiva, tutti i valori di calcolo sono ottenuti dai corrispondenti valori
caratteristici mediante dei coefficienti parziali di sicurezza, pesati ad hoc per ogni tipo di
carico, per la resistenza di ogni materiale, e in funzione dello stato limite in esame.
Ottenuta la sollecitazione, o le sollecitazioni, di calcolo S* nella sezione considerata, si verifiche agli s.l.
verifica, mediante uno schema di calcolo della sezione, che le deformazioni prodotte da S*
non superino i valori convenzionali di rottura εu (per lo s.l. di rottura del materiale) o
quelle corrispondenti ad altri s.l., εl.
La verifica sarebbe così compiuta. Vi é però da fare una osservazione, importante ai
fini pratici.
Poiché nell'analisi agli s.l. (ad es. di rottura) lo schema di calcolo della sezione non é
lineare (in quanto non lo é il comportamento del materiale) può essere piuttosto
complicato calcolare le tensioni e le deformazioni corrispondenti ad una data S*.
In generale, è più facile calcolare direttamente quale è la sollecitazione S* cui sollecitazione di calcolo interna ed esterna
corrisponde il raggiungimento della deformazione limite nel materiale. Essa può essere
considerata una sorta di resistenza della sezione a quel tipo di sollecitazione ed al dato
stato limite, e viene detta sollecitazione limite di calcolo interna S*i in particolare, per lo
s.l. ultimo di rottura della sezione si avrà S*u (ad es. M*u: momento di rottura di calcolo
della sezione).
Di contro,la S* data, cioè calcolata in base alle azioni esterne e maggiorata di
γS, viene detta precisamente sollecitazione di calcolo esterna S*e .
Se si ricava quindi previamente la S*i (dipendente solo dalla sezione e dai materiali), é
sufficiente verificare che la S*e (dipendente dalle azioni esterne e dalla struttura) non le

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sia superiore, cioè:
S * e ≤ S* i
Se la sollecitazione non é semplice ma combinata (ad es. Momento flettente e Sforzo
Normale), ovviamente occorre fare la verifica per le sollecitazioni di calcolo combinate.
Ciò sarà analizzato in dettaglio nel seguito.
Riassumendo il procedimento (cfr. anche lo schema seguente):

SCHEMA DEI PROCEDIMENTI DI VERIFICA DELLA SEZIONE IN C.A.

Alle tensioni ammissibili Agli stati limite

Azioni esterne Azioni esterne

(Proc. coincidente)
Materiali Materiali

R R F F F R R F F F

Distribuzione probabilistica Distribuzione probabilistica


Raccolta Fornite da Raccolta Fornite da
Rk Rk Fk Fk Fk Rk Rk Fk Fk Fk
statistica Regolamento statistica Regolamento
resistenze resistenze
Coefficienti
Eventuali formule di
conversione fra R
parziali γf γf γf
di sicurezza
provate e richieste
Analisi della struttura elastica
sezioni reagenti
Coefficienti di Coefficienti Coefficienti di
sicurezza unici γ γ parziali γm γm combinazione
γf
sui materiali di sicurezza

Se
Sollecitazione esterna Resistenze Azioni
di esercizio di calcolo R* R* di calcolo F* F* F*

(Procedimento distinto)
Analisi della sezione ideale Analisi della sezione Analisi della struttura
(parzializzata, elastica, omogeneizzata) adeguata allo s.l. più o meno adeguata allo s.l.

Tensioni ammissibili σb σb max Tensioni massime γs


in esercizio in esercizio

Sl* Se*
σa σa max Sollecitazione Sollecitazione
limite di calolo esterna di calolo

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− si assumono delle azioni esterne di calcolo F* (carichi, ecc.), considerate le più
sfavorevoli possibili, compreso il voluto margine di sicurezza (prima attraverso il
valore caratteristico e poi con il coefficiente γF).
− mediante un opportuna schema di calcolo della struttura, lineare o meno, si ricavano le
corrispondenti sollecitazioni di calcolo S*e (con lo stesso significato) nelle sezioni da
verificarsi (ad esempio il Momento flettente agente su di esse M*e ).
− mediante uno schema di calcolo della sezione, che contiene i parametri di calcolo (con
significato analogo) dei materiali, si ricava la sollecitazione limite di calcolo interna
S*i (ad esempio il Momento di rottura della singola sezione M*u).
− si verifica che S*e ≤ S*i (ad es. M*e ≤ M*u).
L'iter di verifica appena esposto é condotto sulla falsariga degli s.l. che riguardano la diversi stati limite
sezione. Le modalità di applicazione saranno viste nella parte riguardante il cemento
armato.
Non per tutti gli s.l. e non per tutte le strutture la verifica passerà per le sollecitazioni
*
S nelle sezioni. Dal punto di vista concettuale però il procedimento non sarà differente:
nel caso più generale, occorrerà verificare sempre che gli effetti delle azioni di calcolo non
superino le "capacità interne" di calcolo (delle sezioni, di elementi, della intera struttura)
rispetto al dato s.l..
Ad esempio si debba verificare allo s.l. ultimo di perdita di equilibrio dell'insieme
della struttura come corpo rigido un muro di sostegno di un terrapieno. Occorrerà
verificare che il Momento ribaltante, della spinta di calcolo (nel senso ormai noto) del
terreno, non sia superiore al momento resistente di calcolo riferito alle forze che si
oppongono al ribaltamento.
In teoria qualsiasi struttura andrebbe verificata in rapporto a tutti gli s.l. possibili, in
quanto nessuna struttura, ovviamente, deve raggiungere alcuno stato limite, per
definizione.
In pratica, il progettista può sapere quali verifiche siano superflue analiticamente, così

55
come sa stabilire quante e quali sezioni verificare, su tutte quelle della struttura. Anche in
ciò, del resto, i regolamenti stabiliscono delle direttive. Ad esempio, riguardo agli s.1. di
fessurazione, viene stabilito quali tipi di strutture non debbono subire fessurazione in
esercizio, (s.l. di fessurazione prematura) e quali debbano rispettare un massimo di
apertura specificato (s.l. di fessurazione eccessiva).
Non tutti gli s.l. poi rilevano direttamente dal calcolo strutturale (si veda ad esempio lo
s.l. di corrosione, quando non sia conseguenza dello s.l. di fessurazione).
Si può ora riprendere l'esempio delle tre aste ed effettuarne la verifica allo s.l. di confronto t.a./s.l.
rottura, per completare il confronto accennato.
Occorre stabilire i valori di calcolo delle grandezze interessate ed uno schema di
comportamento della struttura2.
Si supponga che l'insieme delle azioni esterne sia rappresentato da una forza verticale
P, come in figura, del valore caratteristico pari a:
(Fk) = Pk = 2730 kg.
se γF = 1,75, l'azione esterna di calcolo sarà:
F*e = Pk × 1,75 = 4777 kg P
Il modello di calcolo della struttura sia rappresentato dallo schema statico (di tre aste a
sezione costante, perfettamente incernierate), con l'aggiunta del legame σ*/ε dell'acciaio,
σ*
assunto di forma bilineare, come in figura. Per la resistenza di calcolo si assume, posto
γa=1,3: R*a

Ra = Rak/γa = 3200/1,3 = 2460 kg/cm2

εas εau ε
2
La struttura e la relativa analisi sono semplicissime. Tutte le sezioni di una stessa asta hanno la stessa
sollecitazione (sforzo normale di trazione) anche numericamente. L'analisi della sezione fornisce in ogni
caso Q=N/A, in campo lineare e non lineare. E' perciò possibile condurre una analisi non lineare della
struttura in modo elementare. Si consideri in pratica l'intera struttura come una sezione, ai fini del discorso
da esemplificare.

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per il modulo elastico iniziale Ea e per l'allungamento a rottura εaU, rispettivamente:
Ea = 2000000 kg/cm2 ; εau = 0,01
Si esamina dapprima il comportamento della struttura al crescere del carico.
Per P = Pk = 2730 kg, l'impiego della curva di calcolo fornisce gli stessi risultati già
visti nel caso elastico lineare, trovandosi tutte le aste nel primo tratto della curva. Si ha:
N2 = 1600 kg , N1 = N3 = 800 kg.
Facendo crescere il carico, gli sforzi nelle tre aste crescono in proporzione fino a
quando restano tutte in campo lineare, cioè fino a quando nell'asta 2 non si raggiunge lo
sforzo
N2 = Ra × A = 2460 × 1 = 2460 kg
che ha luogo per (cfr. pag. 58)
P = 2460 × 1,707 = 4200 kg
ed N1 = N3 = 2460/2 = 1230 kg.
Dopodiché la relazione σ/ε dell'asta 2 è rappresentata dal tratto orizzontale, in cui
Q = cost. = Ra = 2460 kg/cm2 P
pertanto N2 non potrà più crescere: l'ulteriore carico ΔP incrementerà lo sforzo solo nelle
aste 1 e 3 (cfr. anche par.3.4)
σ*
N2 = 2460 kg
N1 = N3 = 1230 + (cos45° ΔP/2) = 1230 + (0,71 × ΔP/2) R*a

Nel caso in esame interessa lo stato corrispondente a P = F*e, cioè a


ΔP = F*e − 4200 = 577 kg
in corrispondenza del quale εas ε

N1 = N3 = 1230 + 408 = 1638 kg < R*a × A.

57
Non si raggiunge quindi la resistenza di calcolo3. Appare chiaro che il carico P può
essere aumentato ancora oltre Fe* , fino al valore che provoca la plasticizzazione di tutte e
tre le aste, e che tale valore può essere calcolato più facilmente che non lo stato tensionale
corrispondente a Fe* . Basta infatti ricavare la risultante interna verticale che, essendo N1 =
N2 = N3 = R*a × A = 2461 kg, sarà:
P = N1 (1 − cos 45°) = 2640 × 2,41 = 5930kg
Questo può considerarsi un carico ultimo di calcolo interno Fu* , cioè il carico massimo
che la struttura può sopportare (analogo a Sl* vista più sopra a proposito del la sezione).
Potendosi calcolare facilmente Fe* , la verifica allo s.l. di rottura (della struttura)
conviene nella forma
Fe* ≤ Fu*
che in questo caso é verificata, essendo
4777 < 5930
Si esamini ora la struttura costituita dall'asta singola di 1,707 cm2 (equivalente secondo
il metodo delle t.a.) e se ne calcoli la Fu* . Chiaramente si ha:

3
Per la verifica allo stato limite occorrerebbe ora controllare che la ε nell'asta 2 fosse
inferiore a εau. Questa verifica è spesso superflua, poiché normalmente in una struttura di
acciaio non si raggiunge la tensione convenzionale di rottura, se non quando tutta la
struttura subisce forti deformazioni; in questo caso, quando tutte le aste hanno raggiunto la
plasticizzazione, cioè il tratto orizzontale corrispondente a R*a. Da questo punto di vista
talvolta la curva di calcolo dell'acciaio viene considerata illimitata nel tratto orizzontale,
per semplificare le operazioni, anche nelle sezioni in c.a.

58
Fu* = Ra* × A = 2460 × 1,707 = 4200kg
Con i dati attuali quindi, la verifica allo s.l. di rottura non sarebbe soddisfatta, infatti:
Fe* > Fu*

4777 > 4200 kg


Ora si può evidenziare meglio la differenza fra i risultati del calcolo alle t.a. ed allo s.l.
di rottura. Riassumendo l'esempio, si hanno due strutture equivalenti rispetto alle t.a; in
quanto il carico di esercizio provoca la stessa tensione massima; ma di esse una è
esuberante rispetto allo s.l. di rottura e l'altra è scarsa.
Pur raggiungendo entrambe il valore della Ra* al carico di 4200 kg, con conseguente
plasticizzazione dell'asta centrale, questo fatto rappresenta per l'asta singola il collasso,
mentre per le tre aste è l'inizio della ridistribuzione degli sforzi tra le aste, ovvero è
l'attivazione della riserva di resistenza, realmente presente nelle aste laterali, ma non presa
in conto dal metodo delle t.a.(cfr.par.3.4).
La verifica agli s.l. consente quindi, mediante uno schema di calcolo più aderente al
vero fenomeno indesiderato (qui il meccanismo di rottura), una migliore valutazione della
sicurezza.
La migliore valutazione si realizza, inoltre, anche perchè, spezzando il coefficiente di
sicurezza in diversi coefficienti parziali γ, il metodo degli s.l. permette di calibrare questi
rispetto alla probabilità dei carichi di crescere e di combinarsi e della pericolosità di ogni
s.l.; laddove il metodo delle t.a., con i soli coefficienti applicati alle tensioni, opera ancora
senza sufficiente distinzione.
Si è già detto, per contro, che quest'ultimo ha il vantaggio di una maggiore facilità
d'uso. Quanto invece alla maggior convenienza dell'uno rispetto all'altro in termini di
economia di materiale, il problema va posto in termini più sfumati, poiché l'eventuale
risparmio dipende dai valori che si assegnano ai coefficienti γ. Certo è che, in media, il
metodo degli s. l., è più calibrato. Con i numeri dell'esempio, per pura economia

59
converrebbe la verifica alle t.a. per l'asta singola, e quella allo s.l. per l'asta triplice.
In realtà la considerazione degli stati limite delle strutture non era affatto estranea al s.l. impliciti nel metodo delle t.a.
metodo di verifica tradizionale, fondato sulle tensioni ammissibili. Solamente,era presente
in maniera ridotta e non organica.
Ad esempio, i regolamenti hanno sempre prescritto delle limitazioni sulle
deformazioni (frecce elastiche di travi, ecc.) delle strutture, il che, sia pure in modo
frammentario, viene a coincidere con le verifiche ad uno s.l. di deformazione. Ancora, la
verifica alle τ ammissibili nella sollecitazione di taglio o torsione nel c.a. non è altro che
una verifica alla fessurazione obliqua. Parallelamente, nei tiranti in c.a., la duplice verifica
dell'armature isolate e della σ di trazione nel conglomerato, non sono altro che verifiche
agli s.l. di rottura e di fessurazione (con i coefficienti di sicurezza concentrati nelle
tensioni).
Nel campo delle strutture snelle, inoltre, le verifiche di instabilità attraverso il metodo
ω non sono altro che verifiche allo s.l.u., con l'introduzione di coefficienti speciali (ω e c)
sui carichi, per tener conto del particolare comportamento della struttura: le σ fittizie non
hanno nulla a che fare con le tensioni di esercizio, ed il loro confronto con le tensioni
ammissibili è un mero artificio di regolamento per limitare le sollecitazioni, in quanto
crescono in proporzione maggiore dei carichi.
La nozione di stato limite è stata quindi sempre presente, in modo implicito, nei
regolamenti. L'attuale tendenza, però, con il metodo degli s. l., ne rende più sistematica la
verifica, con una lista organica e con i coefficienti di sicurezza rispettivi.
Tali coefficienti parziali, applicati anche alle azioni, permettono di esplorare situazioni
sfavorevoli non rilevabili con le azioni di esercizio. I1 metodo poi permette l'uso di
modelli di calcolo più adeguati nella verifica a quegli stati limite in cui le strutture si
discostano dal comportamento lineare, come si è visto attraverso l'esempio delle tre aste e
come si approfondirà nei capitoli che seguono.

60
3.4 LA DUTTILITA'
L'esempio appena citato offre lo spunto per un altra importante osservazione. P ridistribuzione completa
N1= N2 = N3
P non può crescere ulteriormente
Generalizzando, si può esprimere il fenomeno nel modo seguente. 5930 (Fu*)
ridistribuzione per non linearità
Finché le tre aste si mantengono tutte in campo elastico, vi è una certa distribuzione 1e3
dell'asta 2
N1= N2 >0,5 N3
(cioè un insieme di rapporti mutui) degli sforzi assiali: gli sforzi N sono infatti 4200

costantemente nel rapporto 0,5 :1,0 : 0,5 per le tre aste nell'ordine. 2 distribuzione elastica lineare
degli sforzi:
Dal momento in cui l'asta centrale supera il limite di proporzionalità εas, il suo sforzo N1= N2 =0,5 N3

N rimane fisso, mentre gli altri continuano a crescere: i rapporti N1: N2 : N3 quindi
cambiano progressivamente; ha luogo cioè una ridistribuzione di tali sforzi. 2461 R*as A N

Se il materiale fosse stato fragile, cioè se si fosse rotto appena raggiunta la Ras, senza
poter subire allungamenti anelastici oltre 1a σas, la ridistribuzione non avrebbe avuto
P
luogo. Infatti, raggiunta Ras, l'asta centrale si sarebbe rotta, e lo sforzo N2 sarebbe caduto a 5930

zero; l'intero carico si sarebbe quindi trasferito sulle aste laterali. Queste, ricevendo il
nuovo sovraccarico, avrebbero a loro volta raggiunto la Resistenza e si sarebbero rotte; in 4200

altri termini, non avrebbero mai potuto lavorare tutte contemporaneamente al massimo
sforzo. Gli elementi strutturali fragili, pertanto, non permettono ridistribuzione degli
allungamento di rottura dell'asta 2
sforzi.
N
Nell'esempio presente, è necessario che l'asta centrale, raggiunta la Ras, riesca a allungamento elastico
dell'asta 2
allungamento plastico (duttilità)
richiesto nell'asta 2 (=1231 h/E)
per la ridistribuzione totale
deformarsi ulteriormente, mantenendo la propria sollecitazione costante (è una condizione
di congruenza che deve verificarsi con le altre aste, che, assorbendo l'ulteriore carico,
devono subire ulteriori allungamenti).
E' necessario, cioè, che gli elementi i quali nella ridistribuzione devono cedere sforzo
(in proporzione) siano sufficientemente duttili, perché essa abbia luogo.
Nell'esempio, si è supposto che avvenisse una ridistribuzione totale degli sforzi, cioè
tale da permettere a tutte le aste di raggiungere la loro tensione di rottura. Se la duttilità
viceversa è limitata, può aver luogo una ridistribuzione parziale degli sforzi, oltre la quale
la struttura cede.

61
La duttilità degli elementi, cioè la loro capacità di subire estese deformazioni (in definizione ed effetti
generale, quindi: allungamenti, rotazioni, scorrimenti eccetera) mantenendo il
corrispondente sforzo circa costante, è una proprietà molto importante per le strutture.
La duttilità consente una ridistribuzione degli sforzi, quindi un migliore sfruttamento delle vantaggi delle strutture duttili
resistenze di tutti gli elementi. Ciò permette anche che una determinazione non precisa delle
sollecitazioni (nei calcoli) venga assorbita dalla struttura con maggiore sicurezza rispetto a una
struttura fragile.
La rottura delle strutture duttili è inoltre preceduta da forti deformazioni, che sono un
preavviso visibile dell'approssimarsi del pericolo.
La duttilità è poi molto utile ad evitare collassi completi di strutture che subiscano azioni
eccezionalmente violente (urti, esplosioni, sismi), tali da renderle in servibili nel seguito.
Ciò in ragione della notevole energia che assorbono gli elementi duttili durante la
deformazione plastica (irreversibile), oltre che della redistribuzione degli sforzi.
In definitiva, la duttilità degli elementi strutturali è una qualità essenziale per la riserva di
sicurezza, anche al di là delle sollecitazioni previste nel calcolo.

62
4 ANALISI DELLA SEZIONE IN C.A.

La ricerca dello stato tensionale in una struttura è un problema iperstatico, nel senso che
non sono sufficienti considerazioni di equilibrio di forze a definirlo completamente, ma
occorrono anche condizioni di congruenza (o compatibilità) delle deformazioni e, pertanto,
anche la definizione dei legami fra tensioni e deformazioni.
Come é noto, la teoria della elasticità studia la distribuzione delle tensioni in corpi
tridimensionali qualsiasi, in cui detti legami siano elastici. Diversi legami sono presi in
esame in altre teorie.
Non è necessario però trattare tutti i corpi come tridimensionali, benché lo siano. Si
ricorre infatti a modelli semplificati: monodimensionali, come la trave, o bidimensionali,
come la piastra, quando un elemento strutturale abbia una dimensione (o rispettivamente
due) prevalente nettamente sulle altre. In questo modo il problema iperstatico si riduce.
Nello schema trave ad esempio, si individua un sottoschema sezione (retta) (cfr. sforzi (sollecitazioni) nella sezione
Appendice I) per il quale sono significative le caratteristiche di sollecitazione o sforzi
(sforzo normale, flessioni, tagli, torsione). Se la trave è isostatica rispetto ai vincoli esterni
queste si possono determinare mediante le sole condizioni di equilibrio, cioè mediante la
statica dei corpi rigidi. I1 problema iperstatico viene con ciò circoscritto alle singole
sezioni, per il principio di de Saint Venant. Se invece la trave é iperstatica anche
esternamente, le caratteristiche di sollecitazione si debbono determinare mediante la statica

63
dei corpi deformabili; ma il problema è comunque semplificato dal detto principio.
Si. ricorda che vengono trattate con modelli monodimensionali non solo le travi isolate,
ma anche le strutture composte di elementi monodimensionali collegati fra loro (iso- ovvero
iper-staticamente) come tralicci, telai, graticci. Anch'esse vengono dette brevemente
strutture monodimensionali, benché nell'insieme possano avere uno sviluppo piano o
spaziale.
Si ricorda inoltre che correntemente si chiamano strutture iperstatiche solo quelle in cui
gli elementi sono vincolati iperstaticartente (fra loro o esternamente) e isostatiche quelle in
cui le caratteristiche di sollecitazione sono staticamente determinate.
I1 problema della determinazione delle tensioni in una struttura monodimensionale si analisi della struttura e della sezione
svolge in due momenti:
1) determinazione degli sforzi esterni nelle sezioni della struttura: analisi della
struttura
2) determinazione delle tensioni nei vari punti della sezione e degli sforzi interni:
analisi della sezione.
La parte 1) analisi della struttura, che comprende naturalmente anche la determinazione
delle reazioni vincolari, richiede per le strutture iperstatiche la conoscenza della
deformabilità degli elementi e quindi del comportamento delle sezioni. Pertanto essa verrà
svolta dopo l'analisi della sezione.
Del resto, anche in fase di progetto l'analisi della struttura richiede un dimensionamento
preliminare della sezione, con delle sollecitazioni di prima approssimazione, al fine di poter
assegnare una deformabilità ed un peso agli elementi: ottenute così le sollecitazioni, le progetto e verifica
sezioni vengono ridimensionate; si procede quindi per successivi aggiustamenti tra calcolo
della sezione e calcolo della struttura. Anche da questo punto di vista perciò non è illogico
trattare la sezione prima della struttura. Questo capitolo tratterà dunque dell'analisi delle
sezioni (o meglio di conci) di trave in c.a., soggette a caratteristiche di sollecitazione
considerate date, cioè, riguardo alla sezione, esterne.
La sezione verrà considerata sotto l'aspetto del progetto e della verifica.
Ciò che conta, ai fini del controllo numerico della sicurezza, é la verifica della sezione,

64
secondo quanto prescritto dalle norme. Per progetto della sezione, si intende un
dimensionamento preliminare (dati gli sforzi) della sezione e delle armature, il più preciso
e ottimale possibile, affinché la sezione soddisfi le verifiche regolamentari secondo uno dei
procedimenti visti nel capitolo 3.
Ciò si ottiene scegliendo più o meno liberamente alcuni parametri (altezza, larghezza,
qualità dei materiali, area delle armature, eccetera) e ricavando gli altri con l'ausilio di
qualche operazione.
L'importanza pratica di un procedimento di progetto in questa accezione é notevole, in
quanto può accelerare i calcoli.
Da un punto di vista teorico lo è meno, in quanto qualsiasi procedimento è valido - al
limite anche un dimensionamento a occhio - purché le verifiche siano poi soddisfatte e non
vi siano sprechi.
Altro è invece il progetto della struttura nella accezione più vasta - cui si accennava
nell'introduzione - di impostazione, scelta dei tipi e definizione dei particolari, aldilà delle
verifiche numeriche.

4.1 COMPORTAMENTO DI ELEMENTI IN C.A.


Negli elementi monodimensionali in cemento armato sono presenti in via generale tutte comportamento al vero
e sei le caratteristiche di sollecitazione; alcune sono però prevalenti.
Quasi sempre fra esse la flessione, accompagnata dal taglio o dallo sforzo normale. Ad
esempio, nella struttura di un edificio le travi orizzontali sono soggette prevalentemente a
flessione e taglio, quelle verticali (pilastri) a flessione e compressione.
Spesso uno schema strutturale può essere considerato piano, eliminando con ciò nelle
sezioni una componente di flessione, una di taglio, e quella di torsione. Giova ricordare però
quanto si è detto a proposito del buon progetto di una struttura in generale: cioè che la
verifica non è tutto e che se le sollecitazioni fuori del piano si trascurano in alcuni casi, per
semplicità, nei calcoli, tuttavia la loro presenza va tenuta in conto nella disposizione delle
armature e nei particolari costruttivi.
Ciò premesso, si esamini il comportamento di una trave reale in c.a. soggetta a flessione

65
e taglio. Se le sollecitazioni sono molto basse, cioè se inducono nelle sezioni tensioni
inferiori alla resistenza a trazione del conglomerato, la trave si comporta all'incirca come se
fosse omogenea e isotropa. Al crescere delle sollecitazioni le parti tese si microfessurano e
gli sforzi di trazione si trasferiscono via via alle armature di acciaio. A1 crescere ulteriore
del carico, nascono delle fessure ben delineate, (v.figura), che partono dal lembo teso e
montano perpendicolarmente verso l'asse neutro nelle zone prevalentemente inflesse,
mentre si propagano obliquamente nelle zone prevalentemente soggette a sforzo di taglio.
Se si fa crescere poi il carico fino al collasso, questo potrà avvenire, schematicamente: per
rottura del conglomerato al lembo compresso (con o senza snervamento delle armature al
lembo teso); per rottura del conglomerato nell'anima; per rottura o per sfilamento delle
armature; o comunque per una combinazione di tali modi.
I1 comportamento degli elementi in c.a. impone prima di tutto di tener conto della
fessurazione in tutte le verifiche di resistenza (sia con il metodo delle t.a., sia agli s.1.
ultimi) con la parzializzazione della sezione sullo schema di calcolo: la parte in
conglomerato viene considerata non reagente a trazione e parzializzata alla sola zona
compressa.
Nelle verifiche agli s.l. di esercizio, come p.e. la fessurazione, la resistenza
a trazione sarà invece tenuta in conto.
Le armature in acciaio vengono considerate ugualmente reagenti a trazione armature
eacompressione e solo secondo l'asse della barra: l'area di una barra si considera cioè
concentrata in un punto della sezione (la rigidezza a flessione della barra viene considerata
solo in quanto si possa opporre al suo stesso svergolamento per carico di punta, cfr. par.4.6).
Nelle verifiche a sforzo normale e a flessione, si assume che ogni sezione retta si sezioni piane (ε lineare)
mantenga piana (schema di Navier), cioè che il diagramma delle E (lungo una
perpendicolare all'asse neutro) sia lineare.
Tale diagramma di ε riguarda sia il conglomerato sia le armature, le quali subiscono aderenza
quindi la stessa deformazione del conglomerato adiacente: vengono considerate cioè
aderenti (ovviamente la buona corrispondenza del comportamento reale a tale schema deve
essere assicurata con gli opportuni ancoraggi).

66
Sempre con riferimento alle sollecitazioni di sforzo normale e flessione, l'impiego di omogeneizzazione della sezione
relazioni σ−ε lineari (possibile, come si è visto, nel metodo t.a. e nelle verifiche a s. 1. di
esercizio) permette di elaborare uno schema utile per l'analisi della sezione in c.a.: la
sezione omogeneizzata.
Si ponga il problema: qual è l'area B°, (di una sezione) di conglomerato, elasticamente
equivalente ad una certa area di acciaio A°; cioè qual é l'area che, a parità di deformazione
ε° fornisca la stessa forza F°.
La forza fornita da A° e da B° rispettivamente, per un accorciamento ε° sarà, ricordando
che la relazione lineare (Hooke) si esprime σ = Eε:
F0
F° = A°σa = A°Eaε° F0
F° = B°σb = B°Ebσ° Δl
dall'uguaglianza degli ultimi membri si ricava
A0
B° = A° (Ea/Eb) = A° × n
I1 rapporta fra i moduli elastici dei due materiali l
B0 ε0= Δl/l
n = Ea/Eb
viene detto coefficiente di omogeneizzazione.
La risposta al problema è che una area di conglomerato n volte maggiore di una area di
acciaio fornisce la stessa forza, a parità di deformazione ε, e viceversa. In una sezione in
c.a. un'area di acciaio equivale quindi ad una area di conglomerato n volte, superiore, ai fini
della risposta elastica.
Inoltre, l'area d'acciaio reagisce anche a trazione.
I1 coefficiente di omogeneizzazione n può essere assunto come fisso. Le norme
stabiliscono il valore convenzionale:
n = 15
o altri valori a seconda dei casi.

67
Per questa ragione il metodo di verifica lineare delle tensioni ammissibili, vie ne detto
anche metodo n (cfr. par.3.3).
Una sezione in c.a. quindi equivale (si sottolinea ancora: quando i materiali seguono la sezione ideale
relazione σ − ε lineare di Hooke) ad una sezione omogenea in solo conglomerato, nella
quale 1) sia esclusa la parte di conglomerato tesa, e 2) alle armature corrispondano aree
A'
concentrate pari a n volte quelle effettive d'acciaio, e che queste aree resistano anche a a.n
trazione. a)
L'unica particolarità dell'analisi lineare per le sezioni in c.a. (rispetto a quelle omogenee) A n A

è che la sezione parzializzata non è nota a priori ma,per poterla determinare, bisogna prima n A'
trovare la posizione dell'asse neutro, in modo da escludere la parte tesa. A'

Una volta parzializzata ed omogeneizzata, quindi, la sezione, che così viene detta anche b)
sezione ideale, si può trattare come una sezione omogenea qualsiasi (il cui comportamento A n A
è, peraltro, stato già esaminato nei corsi precedenti).
a.n
In particolare, si può operare per sovrapposizione degli effetti, purché si operi sulla Sezione ideale
a) parzializzata (a.n. interno)
sezione parzializzata rispetto agli effetti complessivi. E' ciò che si vedrà nei prossimi b) non parzializzata (a.n. esterno)
paragrafi. L'omogeneizzazione con il coefficiente n e, quindi, la sezione ideale non potranno
impiegarsi per l'analisi non lineare.
Per quanto riguarda gli sforzi di taglio e di torsione, invece, il modello impiegato per
la verifica di una trave in c.a. è nettamente differente dai corrispondenti per le travi
omogenee e verrà introdotto nei paragrafi 4.4 e 4.5.

4.2 FLESSIONE SEMPLICE - ANALISI LINEARE


Vengono trattate come sezioni inflesse quelle di numerosissimi tipi di strutture generalità
(indipendentemente da come vengono verificate: cioè alle tensioni ammissibili, mediante
un'analisi lineare, come si vedrà ora, oppure allo stato limite di rottura, trattato nel prossimo
paragrafo).
Quando una trave è soggetta a flessione e taglio, le sezioni vengono analizzate come per
la flessione semplice e separatamente poi si esamina il taglio. Così pure si opera in genere
per la flessione con torsione. A1 contrario, quando la flessione è associata a sforzo normale,

68
occorrerà tenerne conto simultaneamente, in quanto entrambe le sollecitazioni producono
tensioni normali σ sulla sezione.
Per fare alcuni esempi, sezioni inflesse vengono considerate quelle di grandi travate di Trave a cassone

copertura o di ponte (v.fig.), nella loro sollecitazione di insieme derivante dallo schema
longitudinale a trave. Con altri schemi si analizzano poi le inflessioni trasversali, delle
strisce che la compongono (come ad es. le mensole degli sbalzi laterali).
Anche le sezioni di solette e solettoni, a pianta rettangolare e vincolati solo su due lati
opposti, vengono trattati come sezioni di travi inflesse, se i carichi sono distribuiti
uniformemente rispetto alla larghezza della soletta (altrimenti nasce un problema di Soletta piena appoggiata su due lati

ripartizione trasversale della sollecitazione, che può richiedere la trattazione bidimensionale


della struttura).
Soletta nervata
Un esempio particolare è dato dai comuni solai in c.a. e laterizio, negli edifici. Essi
hanno forma di soletta nervata (v.fig.), se si trascura la collaborazione del laterzio alla
resistenza. Essi vengono trattati per semplicità a trave, benché non si verifichino le
condizioni di cui sopra: normalmente sono vincolati di fatto sui quattro lati ed il carico non
è uniforme (per la parte accidentale).
Nel calcolo, essi vengono considerati vincolati soltanto sui lati perpendicolari ai travetti;
si adottano poi alcuni accorgimenti a integrazione dello schema, come le armature
trasversali, di ripartizione e di collegamento ai lati.
Un altro esempio è rappresentato dalle travi che sorreggono i solai stessi o le solette.
Come appare dalla figura, esse o sono in spessore o hanno una sezione a T di cui l'ala b
superiore è costituita da parte della soletta.
Quest'ultimo tipo si presta ad alcune considerazioni. Me Me
a) la trave con una sezione a T funziona come tale solo quando l'ala si trova al lembo
compresso. Se la flessione si inverte, come avviene nelle travi continue su più appoggi, la
stessa sezione va considerata come rettangolare con larghezza pari all'anima, poiché l'ala b0
tesa, viene esclusa nella parzializzazione.
b) La larghezza dell'ala può essere molto grande in rapporto alla luce della trave stessa.

69
In tal caso la larghezza non può essere considerata tutta utile (il principio di de Saint Venant
b=b0 +max (5 s,l/10)
non lo consentirebbe). Le norme stabiliscono una larghezza convenzionale collaborante
s
massima per il calcolo a trave, in funzione della luce (l) della nervatura,e dello spessore (s)
della soletta: essa è pari al massimo dei due valori l 10 e 5 × s .
c) Le travi di bordo con soletta (o parte di solaio) collaborante vengono trattate spesso b0

ome travi a T, mentre in realtà la loro forma asimmetrica ha gli assi principali d'inerzia
deviati rispetto alla direzione dell'ala e dell'anima. L'approssimazione che si fa nel
considerare anche qui l'asse neutro perpendicolare al piano di sollecitazione (verticale) è
giustificata per tali strutture, in realtà soggette a flessione deviata. Di questa verrà dato un
cenno nel paragrafo 4.3.
Nelle travi inflesse le armature principali di flessione attraversano le sezioni dalla parte
tesa, il più vicino possibile al lembo esterno per acquistare il massimo braccio. Ciò
compatibilmente con lo spazio per le staffe, (armature di cucitura trasversale (v.fig.) di cui
si tratterà a proposito del taglio) oltre a un minimo di distanza regolamentare copriferro di (compressione)

protezione. Quando l'armatura non ha spazio sufficiente per essere alloggiata correttamente b b

in uno strato, si dispone su più strati, con ulteriore aumento della distanza dal lembo teso.
Inoltre, saranno sempre presenti armature secondarie longitudinali in piccola quantità: h
staffa staffe
almeno un paio di piccole barre vicino al lembo compresso (reggistaffe), ed eventualmente
altre, anche ad altezza intermedia nelle sezioni alte e sottili, per assorbire tensioni dovute al copriferro
ritiro o alla torsione, eccetera; talvolta le armature in compressione sono in quantità b0
armatura tesa
superiore al minimo, per ridurre le tensioni nel conglomerato senza aumentare le dimensioni di trazione
della sezione.
Nella flessione semplice retta le caratteristiche di sollecitazione sono tutte nulle (in calcolo delle tensioni
particolare Ne = 0) eccetto il momento flettente agente secondo un asse principale della
sezione. Esso è noto e per la sezione è un momento esterno Me.
Si consideri una generica sezione . Gli assi di riferimento x,y abbiano origine nel centro
geometrico della sezione.
L'asse di sollecitazione sia y.
Le risultanti delle tensioni interne saranno, per definizione:

70
y
∫ σdA = N
Ai

∫Ai
σdAy = M y yn asse neutro
Si farà riferimento senz'altro alla sezione ideale (cfr. par.4.1); pertanto gli integrali
x
varranno estesi all'area ideale Ai e le σ saranno quelle del conglomerato.
1) L'equilibrio alla traslazione e alla rotazione tra sforzi esterni e risultanti interne sarà
espresso dalle equazioni
N = Ne = 0
M = Me = 0
2) I1 legame tensioni-deformazioni sarà qui lineare (Hooke)
σ = Eb ε
3) La congruenza con lo schema di sezione piana (Navier) impone alle e un andamento
lineare, parallelamente a y.
ε = K × yn
εbmax σb' max
dove K è una costante da determinarsi;
A' εa' σa' /n
yn è la distanza del punto generico dall'asse neutro, esso pure da determinarsi a.n.
Sostituendo a catena, le due equazioni di equilibrio diventano
0 = N e = N = ∫ σdA = ∫ EεdA = ∫ EKyn dA = EK ∫ yn dA = EKSin
Ai Ai Ai Ai

A
M e = N = ∫ σdAyn = ∫ EεdAyn = ∫ EKyn2 dA = EK ∫ yn2 dA = EKJ in ε εa σ σa /n
Ai Ai Ai Ai

Per definizione infatti (v.Appendice) gli ultimi integrali, che sono estesi alla area della
sezione ideale, sono rispettivamente il momento statico Sin e il momento di inerzia Jin della
sezione ideale stessa rispetto all'asse neutro. Dalla prima delle due equazioni si ha:
EKSin = 0 ⇒ Sin = 0

71
Cioè il momento statico della sezione ideale rispetto all'asse neutro è nullo. Tale
relazione si impiega appunto per trovare la posizione dell'asse neutro. Dalla seconda
σb' max
equazione si ricava:
C=1/2bσb' max y
Me = EK Jin K = M e EJ in
y
e quindi la tensione σ nel punto generico vale: t a.n.
σ = Eε = EKyn = M e EJ in Me
Si osservi che tutte queste espressioni sono quelle già note per le sezioni omogenee. Si
T=A σa
σa /n
sono qui ricavate per mostrare come è sufficiente riferirsi ad area, momento statico e
momento d'inerzia della sezione ideale per trasferire tali risultati al caso della sezione in
c.a..
Anche qui la costante K é la curvatura (corrispondente allo schema di sezioni non
reagenti a trazione) della linea d'asse della trave nella sezione in esame.
Per il calcolo delle tensioni e la verifica si procede quindi così: verifica
1) Si scrive l'espressione del momento statico della sezione ideale rispetto all'asse
neutro: poiché la posizione di questo è incognita, l'espressione conterrà una
incognita. Uguagliando a zero Sin si otterrà un'equazione che permetterà di ricavarla.
2) Si calcola quindi il momento d'inerzia Jin; le tensioni σ nei punti della sezione in
funzione delle rispettive distanze yn dell'asse neutro varranno:
σ b = (M e J in ) yn
queste sono tensioni della sezione ideale, cioè omogeneizzata in conglomerato, quindi
saranno valide per il conglomerato, mentre per l'acciaio andranno moltiplicate per il
coefficiente di omogeneizzazione n:
σ a = n (M e J in ) yn
I valori massimi (in assoluto) delle tensioni così calcolate vanno confrontati con le
corrispondenti tensioni ammissibili. Si dovrà verificare cioè che (valori assoluti)

72
σ 'b max ≤ σ 'b

σ a max ≤ σ a
Le norme prevedono inoltre che l'armatura tesa rispetti un minimo (0,25% dell'area della
sezione, per barre lisce e 0,15% per barre ad aderenza migliorata).
Le espressioni di Sin e Jin in sono in pratica molto semplici da calcolarsi, come appare
dai seguenti esempi (nel seguito, per brevità si ometterà l'indice i, restando
però inteso che Sin e Jin saranno riferiti alla sezione ideale).
Esempio: sezione rettangolare con armatura semplice. L'incognita più comoda da
assumersi è la distanza y dell'asse neutro dal lembo compresso. yn σbmax
by 2 y
Sn = + nA( y − h ) = 0 a.n.
2
h
(si riconosce in questa relazione l'equilibrio alla traslazione delle risultanti interne,
divise per σ b max y ) ricavata la y da tale relazione, il momento d'inerzia rispetto all'asse
neutro vale σa /n

by 3
Jn = + nA( y − h )
2

3
(qui si riconosce invece, sempre diviso per σ b max y , l'equilibrio alla rotazione delle
risultanti interne con Me).
Noto il momento esterno Me, le tensioni massime varranno: per il conglomerato, al
lembo compresso ( yn = y )
σ b max = (M e J n ) y
per l'acciaio, nell'unico strato presente nell'esempio ( yn = y − h )
σ a max = n (M e J n )( y − h )
(che verrà negativa, come ( y − h ), essendo di trazione).

73
Analogamente si procede nel caso di sezioni di larghezza variabile e con più armature: le
yn σbmax
espressioni di Sn e di Jn conterranno alcuni termini in più.
Occorre talvolta fare delle ipotesi sulla posizione dell'asse neutro in rapporto alla figura, y σb
come appare dall'esempio seguente. a.n.
Si abbia una sezione a T, con tre strati di armature. Non si sa a priori se l'asse neutro h
cadrà nell'ala superiore oppure nell'anima (ciò dipende dallo spessore dell'ala in rapporto
alle altre dimensioni della sezione e delle armature). Si suppone allora che cada nell'ala:
σa max/n
Sn = 1 2 b2 y 2 + nA1 ( y − h1 ) + nA2 ( y − h2 ) + nA3 ( y − h3 ) = 0
risolta l'equazione in y , si controlla che questa sia minore dello spessore s: cioè che l'asse b2
neutro cada effettivamente nell'ala, come supposto. In tal caso si procede come nell'esempio hI AI y s
hII
precedente al calcolo di Jn (con i termini di tutte le armature, ovviamente) e quindi delle AII
hIII
tensioni massime. y<s
AIII
Altrimenti, se risulta y > s , l'asse neutro cade nell'anima; ma la y così trovata non è quella
b1
esatta, essendo l'espressione di Sn fondata sull'altra ipotesi. Allora si rivedrà l'espressione:
b2
S n = 1 2 b2 y 2 + 1 2 (b2 − b1 )( y − s ) + nA1 ( y − h1 ) + nA2 ( y − h2 ) + nA3 ( y − h3 ) = 0
2
hI AI
hII s
AII y
La y ricavata da questa relazione sarà corretta. I1 momento d'inerzia varrà: hIII y-s
y>s
J n = 1 3 b2 y 3 − 1 3 (b2 − b1 )( y − s ) + nA1 ( y − h1 ) + nA2 ( y − h2 ) + nA3 ( y − h3 )
3 2 2 2
AIII

b1
Con questo si calcolano le tensioni massime nello stesso modo del caso precedente.
Si intende qui per progetto quanto detto nel paragrafo precedente, cioè un formule di progetto
dimensionamento della sezione, a Me assegnato, in modo che soddisfi le verifiche delle t.a.
Ci possono progettare molte sezioni diverse,che soddisfino egualmente bene le
verifiche,per un dato momento Me.
La sezione adatta può essere più o meno larga, più o meno alta, più o meno armata, e
può avere varie forme. Il problema non è cioè determinato nel senso che offra una sola
soluzione.

74
Una volta fissate però un numero sufficiente di grandezze, le altre si possono ricavare
analiticamente, imponendo le condizioni che le σmax risultino uguali alle σ rispettive dei
due materiali.
Si supponga di aver stabilito di impiegare una sezione rettangolare di una certa larghezza
b e con armatura semplice (cioè solo dalla parte tesa). Sono ovviamente assegnate la
sollecitazione Me e le tensioni ammissibili σ b e σ a .
Si cercano delle espressioni che forniscano l'altezza utile h e l'armatura A in funzione del
lato b (o viceversa).
1) L'equazione di equilibrio alla traslazione (Sn = 0) può leggersi:
1 2 b2 y 2 = nA(h − y ) cioè SCn = − STn
(i due termini sono i momenti statici della parte compressa e di quella tesa
rispettivamente: v. figura a pag.72). σbmax
Sostituendo STn con SCn nell'espressione di Jn si ottiene: C y/3 y
a.n.
J n = 1 3 by 3 + 1 2 by 2 (h − y ) = 1 2 by 2 (h − y 3) , cioè
H h t
J n = SCn × t (oppure J n = STn × t )

t, che nel caso presente vale (h − y 3) , è i 1 braccio delle forze (risultanti) interne4. T σa /n
2) L'equazione di equilibrio alla rotazione, espressa in funzione delle due tensioni b
massime, fornisce:
σ b max = (M e J n ) y σ a max = n (M e J n )( y − h )
Inserendo in queste equazioni le condizioni che si vogliono imporre:

4
Nella geometria delle masse t è la somma dei bracci dei baricentri dei momenti statici,
o centri relativi, rispetto all'asse neutro; si riconosce così 1'espressione del momento
d'inerzia come momento statico dei momenti statici, cfr. Appendice.

75
σ b max = σ b ; σ a max = σ a
nonché l'espressione di Jn appena vista (punto 1), si ottiene
⎧ σ b = 2 M e [by (h − y 3)]
⎪⎪
⎨ 2nM e
⎪σ a = (h − y )
⎩⎪ [by (h − y 3)
2
]
Questo sistema, risolto in funzione delle due incognite y ed h fornisce:

h = α Me b y = kh

in cui α e k sono coefficienti in cui vengono raccolte funzioni delle sole ( σ b , σ a ,n).
La comodità di queste espressioni è nel fatto che le funzioni α e k si trovano in tabelle,
come quella in figura. Queste riportano anche altri coefficienti, che determinano le
corrispondenti quantità di armature, ed il braccio delle forze interne, ottenuti dalla
manipolazione delle stesse relazioni. Il dimensionamento, consiste dunque nel determinare
l'altezza utile h in funzione di b, o viceversa, rispettivamente con le formule:
h = α Me b b = αM e h 2
e successivamente l'armatura di trazione A, mediante il braccio delle forze C
interne t = ηh ≅ 0,9h :
t
A = M e (σ a × t )
I risultati di queste formule di dimensionamento, h (o viceversa b) ed A, vanno poi
arrotondati secondo dimensioni costruttive. Essi sono esatti per le sezioni rettangolari con
T=A σ =M/t
armatura semplice, che quindi non richiedono ulteriori verifiche una volta arrotondate per
eccesso. Vengono pure impiegati per un dimensionamento di sezioni a T o con doppia
armatura: in tali sezioni è necessaria però una verifica. Esistono poi altre tabelle analoghe,
ricavate per le sezioni rettangolari con armature doppie in varie proporzioni.

76
Nelle travi in cui l'altezza h è vincolata da ragioni di ingombro ed anche la larghezza b travi in spessore
non può superare certi limiti (come ad es. nelle travi in spessore di solaio), non si potrà
ottenere che entrambi i materiali lavorino al massimo: infatti non c'è modo di soddisfare la
formula di progetto né per h né per b, se si assegnano entrambe le tensioni σ. Per contenere
la σbmax entro la σb, occorrerà allora disporre acciaio in quantità tale che esso lavori a σa <<
σ a (sia in trazione sia, eventualmente, in compressione).
Le formule di progetto e le relative tabelle potranno venir impiegate per ricercare (con
tentativi) a quali σa e σb corrisponda un coefficiente α ed un braccio del le forze interne t
tali da soddisfare le h e b assegnate. L'area di acciaio necessaria (in questo caso armatura
semplice) sarà data da
A = M tσ a
Se si dispone anche armatura in compressione, per lo stesso impiego delle formule di
progetto si potrà omogeneizzare tale area in conglomerato e tradurla in un allargamento
equivalente approssimativo della sezione. La determinazione dell'armatura in trazione
procede poi come sopra.

77
4.3 FLESSIONE SEMPLICE - ANALISI NON LINEARE
Le sezioni soggette a flessione sono ovviamente le stesse del paragrafo precedente, le
quali vengono ora esaminate sotto il profilo dello s.l. di rottura.
Lo schema di calcolo differisce da quello impiegato nella analisi lineare solo per il
legame tensioni − deformazioni, che non rifletterà qui la legge di Hooke, ma leggi non
lineari del tipo di quelle viste nel par.3.1., meglio adatte a riprodurre le tensioni in
condizioni di rottura. Pertanto non sarà applicabile la omogeneizzazione (par.4.1.), in quanto
essa è fondata sul rapporto fra i moduli di elasticità lineare (coefficiente n), né, quindi, lo
schema di sezione ideale.
Rimarrà valido invece lo schema di parzializzazione, cioè l'esclusione della zona di
conglomerato tesa nella verifica di resistenza.
Si avrà una sollecitazione esterna di calcolo costituita da un momento flettente Me, che
sarà maggiore di quello di esercizio, si ricorda, in quanto conterrà i coefficienti di sicurezza
regolamentari γF.
Come è stato detto nel par.3.3, non conviene calcolare lo stato di tensione interno momento di rottura (di calcolo)
corrispondente ad Me, per poi verificare se le ε corrispondenti rientrino nei limiti
convenzionali di rottura. E' più semplice invece ricavare il momento Mu, per il quale tali
limiti vengono raggiunti: momento (interno) di calcolo di rottura o ultimo, e verificare
quindi che esso non sia inferiore al momento esterno:
M e* ≤ M u*
Mu sarà di calcolo, in quanto elaborato dalle relazioni σ−ε fondate sulle resistenze di
calcolo dei materiali, cioè, si ricorda ancora, su quelle caratteristiche ridotte dei coefficienti
γM. (cfr. par.3.3).
La verifica allo s.l. di rottura per flessione richiede dunque, in sostanza, il calcolo del
momento di rottura della sezione M u* .
A titolo di illustrazione si considereranno alcuni diagrammi σ−ε del conglomerato, tutti
limitati alla εb = ε’bu = 0,0035, ed uno per l'acciaio (bilineare elasto-plastico senza
incrudimento); quest'ultimo dev'essere limitato in trazione a εau = -0,01, ma per comodità
può venir considerato illimitato (solo per la flessione semplice, non alterando
significativamente il valore di Mu). Pertanto lo s.l. verrà raggiunto sempre per εbmax = ε’bu.
Ai fini del calcolo però conviene distinguere fra i casi in cui tale valore ε’bu viene rottura di compressione
raggiunto prima, o dopo, che l'acciaio in trazione abbia raggiunto la deformazione di rottura di trazione
snervamento (di calcolo) ε as = Ra*(S ) E : infatti, a seconda dell'uno o dell'altro modo di
rottura (detti anche di compressione e di trazione), il valore di M u* si calcola in maniera
diversa.
Per una data sezione, il modo di rottura dipende dalla quantità di armatura tesa A, a armatura bilanciata
parità di tutte le altre condizioni (cioè dimensioni della sezione, resistenze R ed R , *
b
*
a

armatura in compressione A').


I1 valore Ab dell'armatura, per cui l'acciaio si troverebbe proprio al limite di
snervamento (εas) quando il conglomerato raggiunge l'accorciamento di rottura ε’bu, si dice
Armatura bilanciata.
Se l'armatura effettivamente presente in trazione A è inferiore ad Ab l'acciaio si snerva
prima che il conglomerato si rompa e la sezione si dice debolmente armata. ε'bu=(0,0035)
A<Ab
Viceversa, se A è superiore ad Ab, l'acciaio è ancora in campo elastico alla rottura del rottura
conglomerato compresso; la sezione si dice fortemente armata. Nel caso in cui A = Ab la di trazione
a.n.
sezione si dice anche normalmente armata. Si noti che l'appellativo di normale è riferito
solo alla distinzione dei due modi di rottura, e non ad una opportunità di armare
effettivamente le sezioni con tale quantità; ché anzi normalmente la maggior parte delle
εau εas A
sezioni sono debolmente armate, ed è opportuno che sia così ai fini della loro duttilità e, ε A>Ab
(-0,01) ( σas /Ras )
d'altro canto, spesso, del loro costo. rottura
di compressione
Il valore dell'armatura bilanciata Ab si determina facilmente imponendo alla sezione un
diagramma di σ lineare(come sempre per la congruenza) e che rifletta le condizioni:
ε b max = ε ' bu ε a max = ε as cioè y ε ' bu = h (ε ' bu −ε as )

79
Le relazioni σ−ε impiegate faranno sì che le risultanti di compressione e di trazione
ε= εbu σb=R*
b
valgano, considerando una sezione rettangolare con armatura semplice:
y a.n.
C = ∫ σdA = α Rbu
*
by
beton
h
T = ∫ σdA =R Ab *
as
acciaio
A=Ab
Infine, per l'equilibrio alla traslazione in flessione semplice si avrà: ε ε= εas
N = C + T = αRbu
*
by + Ras* Ab = 0
Risolvendo il sistema di questa equazione e di quella di congruenza nelle incognite y ed
Ab si ottiene il valore cercato dell'armatura bilanciata
ε ' bu Rbu*
Ab = αbh
ε ' bu −ε as Ras*
Il coefficiente α (che non va confuso con l'omonimo coefficiente delle formule di
dimensionamento alle t.a.) dipende dalla forma del diagramma σ−ε del conglomerato e ne
triangolo parabola parabola rettangolo
misura l'integrale: se esso fosse lineare (triangolo) a varrebbe 1/2; per la parabola α = 2/3; rettangolo ridotto
ν ν ν ν
per il rettangolo ridotto α = 0,8; per il parabola-rettangolo α = 0,81. Come si vede, il y
rettangolo ridotto è uno schema che fornisce la stessa risultante del parabola-rettangolo α =0,5 α =0,67 α =0,81 α =0,8
(quando la zona compressa ha larghezza costante), piuttosto che un vero e proprio ν =0,33 ν =0,38 ν =0,416 ν =0,4

diagramma σ−ε. In modo concettualmente analogo, cioè a partire da un uguale diagramma


delle ε, si ricava il valore Ab in caso di sezione non rettangolare o con più strati di armatura:
sarà solo più complesso numericamente il calcolo delle varie risultanti, mentre non
basteranno i coefficienti α ora visti.
La presenza dì un'armatura A' in compressione eleva il valore di Ab.
Per le principali forme di sezione esistono tabelle che forniscono il valore di Ab, in
assoluto o in percentuale, in funzione dei parametri Ra* e Rbu
*
. Noto dal calcolo (o dalle

80
tabelle) il valore della armatura bilanciata per la data sezione, si può stabilire se l'armatura
effettiva della sezione stessa le sia inferiore o superiore.
Dopodiché si può calcolare il valore del momento di rottura M u* .
Si è già potuto osservare come, non essendo le relazioni σ−ε lineare, cada il significato calcolo del momento di rottura
dell'area ideale, e quindi dei relativi momenti statici e d'inerzia. In particolare, l'asse neutro
non sarà più baricentrico. Esso verrà ricavato sempre dalla relazione di equilibrio alla
traslazione; si distinguono i due casi:
a) A ≤ Ab (sezione debolmente armata: caso usuale).
La tensione nell'acciaio in trazione è nota e vale Ras. Per la sezione con armatura
semplice si ha:
bαyRbu
*
= Ras* Ab (C = − T)

ARas* (νy − h ) = M u* (T×t = M)


σb=R*
b
t, braccio delle forze interne, vale (h − νy ) , in cui ν al pari di α dipende dalla forma
del diagramma σ−ε e vale (per zona compressa rettangolare e semplice armatura): C
parabola ν = 0,375 ; rettangolo ν = 0,4 ; parabola rettangolo v = 0,416 y
Le equazioni hanno le incognite y e M *
u separate e sono di facilissima t a.n.
soluzione. Numericamente divengono un po’ più complesse per l'aggiunta di
armature in compressione o per la forma non rettangolare: il calcolo della risultante
C richiede l'aggiunta della risultante di compressione dell'acciaio e l'integrazione T
delle tensioni σb sulla zona compressa (equivalente al volume del solido delle σb in σa=R*
as
figura), il tutto in funzione delle rispettive leggi σ−ε. Per il calcolo di tali integrali si
ricorre spesso alla discretizzazione in strisce sottili della zona compressa, ed
all'ausilio di un elaboratore (cfr. par. 4.8).
b) A ≥ Ab (sezione fortemente armata).
La tensione nell'acciaio è incognita e vale
σ a = E aε a = E aε ' bu ( y − h ) y

81
le due equazioni di equilibrio divengono:
bαyRbu
*
= Aσ a

Aσ a (νy − h ) = M u*

che associate alla precedente, forniscono i valori di σa, y , M u* .


Valgono le medesime osservazioni di cui sopra per le sezioni diverse da quella
rettangolare e con armatura semplice.
Ricavato così il momento M u* non resta che confrontarlo con M e* , come richiesto (v. verifica
inizio del paragrafo), per completare la verifica.
Occorre notare che alcuni regolamenti presentano la verifica sul coefficiente di sicurezza
degli sforzi invece che sul momento di calcolo. Ciò è possibile quando il coefficiente di
sicurezza γF è unico e tutte le azioni hanno effetto concorde sul momento esterno. Cioè se si
può scrivere
M e* = γ F M e
allora si equivalgono le due espressioni:
M e* < M u* ovvero M e* M u* > γ F
Ma ciò non è possibile nel caso più generale in cui M e* risulti prodotto da diversi carichi
Fi, con diversi coefficienti di sicurezza γ Fi oltre ad un eventuale γS
(cfr. cap.3.1): in tal caso rimane significativa solo la prima delle due.
Le norme attuali prevedono come coefficienti di sicurezza
− per il conglomerato γb = 1,6;
− per l'acciaio γa = 1,15, secondo il tipo di controllo cui è sottoposto;
− per le sollecitazioni (coefficiente unico) γF = 1,5.
Si è già osservato come la posizione dell'asse neutro a rottura non sia più quella duttilità delle sezioni inflesse
risultante dall'annullarsi del momento statico, cioè quella baricentrica della sezione ideale
(par.4:0 e 4.2). Rispetto al campo elastico, l'asse neutro generalmente si sposta verso la

82
parte compressa nelle sezioni debolmente armate, per l'allungarsi dell’acciaio snervato; b
mentre scende verso le armature tese nelle sezioni fortemente armate. y a.n.
Ha luogo pertanto una redistribuzione delle tensioni (analoga alla redistribuzione degli
h
sforzi vista nell'esempio del par.3.3), che è molto più pronunciata nel primo caso: quando la
tensione nell'acciaio ha raggiunto il suo valore massimo Ras* , la sezione non cede, ma l'asse A<Ab R*as

neutro, impegnando l'esteso snervamento dell'acciaio, se ne allontana; così il momento σ'b

interno cresce mentre la risultante di trazione resta costante. y


a.n.
Le sezioni debolmente armate sono quindi duttili alla flessione, e sono in linea di h
massima da preferirsi, per gli effetti del loro comportamento duttile sul comportamento
A>Ab σa<R*
as
della struttura nel suo insieme. La rottura di compressione delle sezioni fortemente armate è
distribuzione redistribuzione
invece più fragile, a causa dello scarso accorciamento ε ' bu rispetto a quello elastico. Tutto elastica a rottura

ciò si osserverà di nuovo in particolare esaminando le relazioni tra momento e curvatura


(cap.9).
Per il progetto di una sezione inflessa ci si orienta quindi verso sezioni debolmente progetto
armate, anche perché nelle altre la capacità dell'acciaio non viene sfruttata appieno.
Le norme non danno prescrizioni specifiche su questo punto. Tuttavia va tenuto presente
che il valore di Ab per una data sezione dipende anche dal rapporto Rbu
*
Ras* il quale può
venir sottovalutato, rispetto al comportamento reale, dal gioco dei rispettivi valori
caratteristici e dei coefficienti γF. Pertanto, a1 fine di ottenere sicuramente una sezione con
rottura di trazione occorre che l'armatura A sia ben al disotto di Ab calcolato.
Il progetto a rottura, inteso come dimensionamento della sezione in modo che risulti
M e* = M u* , si avvale anch'esso dell'ausilio di tabelle e grafici, fra cui i domini di rottura, di
cui si tratterà più oltre.
4.3.1 FLESSIONE SEMPLICE DEVIATA
Si è visto come qualche trave a T abbia l'ala asimmetrica e sia in realtà soggetta a
flessione deviata, e come la deviazione però non influisca molto sulla resistenza, soprattutto
se la trave è collegata con una soletta, che ne rettifica in parte la sollecitazione.

83
Vi è qualche raro caso in cui la deviazione può rilevare, come per esempio in una trave
rettangolare soggetta a carichi verticali e laterali contemporaneamente. La verifica, anche in
campo lineare, sarebbe piuttosto laboriosa. Infatti, l'asse neutro non è perpendicolare al
piano di sollecitazione; la sua direzione non è neppure determinabile a priori con le
relazioni di antipolarità, poiché l'ellisse d'inerzia andrebbe riferita alla sezione parzializzata Mx
in obliquo. L'analisi della flessione deviata in campo lineare non verrà pertanto trattata: ci si
limita qui ad un cenno della verifica allo s.l. di rottura. Conviene quindi affrontare il My
problema in modo indiretto, come si è già visto: calcolare cioè gli sforzi M *
u che
corrispondono allo s.l. di rottura e verificare, quindi, che quelli esterni, M e* , non li superino.
Nella flessione deviata vi sono però due componenti della sollecitazione M ex* ed M ey* :
occorre verificare che questa combinazione sia inferiore ad una analoga combinazione limite
interna (M x , M y )u .
*

Riportando le sollecitazioni su un diagramma nel piano Mx, My (v.fig.), si individua un dominio di rottura in flessione deviata
dominio di interazione (M x , M y )u rispetto allo s.l. di rottura, la cui frontiera rappresenta
*

tutte le combinazioni di rottura, mentre lo spazio interno rappresenta combinazioni che non
comportano rottura. Per la flessione retta si è individuato un punto M u* ; al variare della My
direzione del piano di sollecitazione deviata sulla sezione, gli analoghi punti, relativi ad
M*
uy frontiera del dominio
ogni angolo di deviazione, descrivono una linea che è appunto la frontiera del dominio di
Mu(φ ) (Mx,My )*u
rottura suddetto.
Concettualmente si potrebbe operare sempre su una direzione ϕ (quella del piano di
sollecitazione) e ricavarsi un solo punto M u*(ϕ ) come per la flessione retta. Ma, per φ
M*
ux Mx
convenienza operativa, a causa della non ortogonalità del piano di sollecitazione con l'asse
neutro, conviene ricavare l'intero dominio, o almeno una porzione di esso.
I1 procedimento è il seguente. Data la sezione e le armature, si sceglie una direzione per
l'asse neutro e si fa variare la sua posizione parallelamente, finché a un diagramma delle ε

84
limite, cioè con ε b max = ε ' bu , non corrisponda un diagramma σ (in uno dei noti schemi),
integrato sull'area, che realizzi la condizione di flessione semplice:
ε=ε '
N u* = ∫ σdA =0 (C = -T) bu
A
A>Ab
Individuato tale diagramma si calcolano i momenti flettenti nelle direzioni parallela e σ=
b R' *
bu
perpendicolare all'asse neutro, i quali, composti vettorialmente, forniranno un valore
risultante del momento di rottura (in una direzione che a priori non era nota). Si ottiene così
ε a .n
un punto della frontiera. Ripetendo la stessa operazione per tutte le direzioni dell'asse neutro . C
σa=
(o per un ambito ristretto che possa comprendere la direzione che si cerca) si ottiene il Ra* C=-T
s σ
dominio richiesto (o una porzione di esso). Naturalmente i punti del dominio sugli assi
principali della sezione x, y sono quelli rappresentativi dei momenti di rottura M ux* e M uy* T

nelle due flessioni rette, che si calcolano direttamente, come si è visto precedentemente.
Si noti che nella figura (pag. prec.) è stato disegnato un solo quadrante del dominio di
rottura. Gli altri tre sono uguali (simmetricamente) se la sezione è simmetrica rispetto agli
assi x ed y (sia per la forma sia per l'armatura); altrimenti il dominio completo avrà i quattro
quadranti disuguali.
Una volta che si è in possesso del dominio di interazione per la rottura in flessione verifica
deviata di una sezione, le verifiche relative sono immediate: si riporta il punto
rappresentativo della sollecitazione esterna M ex* , M ey* sullo stesso piano. Se il punto è
interno al dominio, la verifica è positiva; se invece è esterno non è soddisfatta. Si ricordi
che i momenti di calcolo, esterni e interni, contengono già tutti i rispettivi coefficienti di
sicurezza.
I domini di rottura si trovano risolti in prontuari, per alcune sezioni più comuni, in funzione
di diverse qualità di conglomerato e di acciaio.

85
4.4 TAGLIO E FLESSIONE
Le strutture portate ad esempio per la flessione sono generalmente soggette anche a
taglio. Una trave soggetta a sforzo di taglio è necessariamente soggetta anche a flessione,
essendo
T = dM dz T T
La flessione può invece essere presente da sola (come nell'esempio in figura), in tratti di M M
trave, ma ciò non avviene di frequente.
Le armature specifiche per il taglio sono costituite da staffe (armature trasversali che
corrono lungo il perimetro della sezione racchiudendo anche le armature longitudinali), e da
sagomati staffe
ferri piegati o sagomati (armature longitudinali che attraversano in obliquo l'altezza della
trave: generalmente sono realizzati piegando le stesse barre longitudinali di flessione). Le longitudinali
stesse barre longitudinali, in alcuni tratti servono per il taglio, come si vedrà oltre. di flessione
Si esamina uno schema di analisi impiegato per la verifica alle tensioni ammissibili. In
esso le tensioni nel conglomerato e nell'acciaio si calcolano servendosi di due modelli verifica alle t.a.
diversi ed indipendenti.
Una prima verifica riguarda le tensioni tangenziali τ nel conglomerato, secondo il tensioni nel conglomerato
seguente modello:
a) si assume che la distribuzione delle tensioni normali σ dovute alla flessione (nello
schema della sezione ideale) non venga alterata dalla presenza del taglio;
b) si assume che l'intera sezione di conglomerato, anche la parte tesa, reagisca alle τ (e
quindi alle corrispondenti σ oblique di trazione).
Con riferimento alla figura, si consideri un concio di trave a sezione e armatura costanti,
compreso tra le sezioni 1 e 2, distanti dz, e soggetto a flessione e taglio. Si divida il concio
in due parti (linea tratteggiata): in sezione, la parte superiore presenterà l'area A*
(eventualmente parzializzata e omogeneizzata), e l'altra la restante area. Sulla parte
superiore agiscono in direzione z le risultanti:
− nella sezione 1, la risultante delle σ di compressione relativa ad A* (cfr.par.4.2):

86
M1 *
C1* = ∫ σdA = EK1 ∫ ydA = S
A* A* J C1 C2
J è il momento d'inerzia della intera sezione omogeneizzata.
A*
S* è il momento statico di A* rispetto all'asse neutro y* a.n.
h M1 M2
− nella sezione 2, analogamente (J ed S* saranno gli stessi, essendo la distanza dz
infinitesima)
C 2* = (M 1 J )S * 1 2
− in presenza di sforzo di taglio sarà M 2 ≠ M 1 ; quindi sulla superficie orizzontale di b dz
stacco fra le due parti agirà, per l'equilibrio, una risultante infinitesima
[ ]
dF * = C 2* − C1* = (M 2 − M 1 )S * J = dMS * J = TdzS * J C1 C2
σ1 σ2
Supponendo la distribuzione delle τ uniforme sulla superficie dì stacco (b × dz) si avrà
dF * = τbdz dF= τbdz
da cui A*

τ = (T × S * ) (J × b )
b
*
T e J sono costanti (per la sezione), mentre b ed S variano in funzione della linea di
stacco (distante y* dall'asse neutro).
Le τ così calcolate sono τyz (orizzontali). Ad esse per reciprocità corrispondono le τzy
(verticali) agenti sulla sezione all'altezza y.
Tale procedimento si può applicare riguardo a qualunque linea che divida in due la
sezioni. La τ ricavata sarà la τ media perpendicolare alla linea stessa. S* sarà il momento
statico rispetto all'a.n. di una delle due superfici staccate e b la lunghezza della linea di
stacco.
Dall'espressione delle τ verticali di una sezione si ottengono i diagrammi esemplificati in
figura, che sono coerenti con l'ipotesi che la parte tesa in flessione non reagisca. S*, quindi,
nella zona fra l'asse neutro e le armature di trazione è costante. In tale zona τ varia solo se
varia b, ed è massima dove b è minima:

87
τ max = (T × S *n ) (J × bmin ) = T (t × bmin )
a.n.
poiché il braccio delle forze interne t vale: τ

t=M C=
∫ σydA = EKJ =
J
∫ σdA EKS
*n
S *n
c om p . τ σ
* *
Nella parte compressa, invece, S ha un andamento parabolico, poiché sia A sia la sua
distanza dall' a.n. variano con y*.
a.n.
In figura sono riportate anche le τ orizzontali nell'ala di una sezione a T, che possono τ
assumere talvolta valori da controllarsi.
Le τmax calcolate vanno confrontate con la τ ammissibile, stabilita dalle Norme:
τ
τ = 14 + (R'bk −150) 35 (kg/cm2) τ

Tale verifica ha per scopo di evitare in esercizio la fessurazione per taglio, la quale nasce
σ2
obliquamente e si estende facilmente a tutta l'altezza della zona tesa. Essa è dovuta alle σ τ
τ
principali di trazione che, dove la σ longitudinale è nulla (cioè fra 1'a.n. e le armature tese), σ1
sono dirette a 45° ed hanno valore σ1 = τ, come si ricava dal circolo di Mohr. 45°
σ2 σ1 σ
La verifica delle τ non è quindi altro che una verifica delle σ1. Se poi si ha che
τ max < 4 + (R'bk −150) 35
allora le norme permettono di evitare la verifica delle armature.
I1 calcolo degli sforzi nelle armature viene svolto, come si è detto, con l'impiego di un sforzi nelle armature
altro modello, detto traliccio di Moersch. Questo è una trave reticolare ideale, isostatica
internamente, in cui (con riferimento alla figura): il corrente superiore è costituito dal
conglomerato compresso e il corrente inferiore dalle armature tese di flessione; le aste di
parete compresse sono di conglomerato e disposte a 45°, come le σ2; infine le aste di parete
tese sono costituite dalle armature di taglio ed hanno l'inclinazione effettiva di queste (per
l'ipotesi che le armature lavorano solo secondo il proprio asse).

88
Supponendo di avere un traliccio semplice, come in figura, lo sforzo nell'asta di parete
generica viene calcolato attraverso l'equilibrio delle forze agenti nella maglia cui appartiene. Δl
Lo sforzo di scorrimento relativo alla maglia è dato da:
ΔF = T2 − T1 = ΔM t = (T × Δl ) t t
45°
essendo T1 e T2 le forze di trazione nei due tratti adiacenti di corrente inferiore, T lo sforzo
di taglio nella maglia, Tp la forza di trazione nell'armatura di parete. Le forze di Δl
compressione Cp non interessano, in quanto questa verifica riguarda le sole armature.
Risolvendo il triangolo di equilibrio si ricava facilmente il valore di Tp per le varie t
45°
inclinazioni dell'armatura. In particolare si ha per un ferro sagomato a 45°:
Tp = ΔF 2 = (T × Δl ) t 2 e σ a = (T t ) (2 Asag Δl )
invece per una staffa a 90° Tp
Tp = ΔF = (T × Δl )
Tp C C
Se, come è in realtà, le staffe e i ferri piegati sono presenti insieme e a distanza
ravvicinata rispetto a quella di una maglia, il modello viene generalizzato, come se fosse 45° 45° 90° 45°
composto di diversi tralicci sovrapposti in parallelo, costituenti sempre un insieme T1 T2 T1 T2
ΔF ΔF
isostatico. Tp
La tensione σa che sollecita un piegato o una staffa si ottiene mediante le stesse formule,
Tp Δ F=T2-T1
sagomati (45°) staffe (90°)
nelle quali lo sforzo di scorrimento ΔF da attribuirsi alla relativa maglia é però solo una
parte dello sforzo relativo a quel tratto Δl, data la presenza di altre armature accostate. Si fa
l'ipotesi che lo sforzo si distribuisca nelle maglie sovrapposte in proporzione alle armature.
A ognuna di queste viene quindi in pratica assegnato un proprio Δl pari al suo passo, e si
suppone che la σa in una data sezione sia uguale per staffe e sagomati. Si ha allora:

T Tst Tsag ⎡A 2A ⎤
= + = σ a ⎢ st + sag ⎥
t t t ⎣ Δlst Δlsag ⎦ Δl
cioè

89
⎡⎛ A 2A ⎞⎤
σ a = T ⎢t ⎜⎜ st + sag ⎟⎟⎥
⎣⎢ ⎝ Δlst Δlsag ⎠⎦⎥
progetto delle armature

si deve verificare che σ a ≤ σ a .


Al di là dello schema di calcolo a traliccio, l'efficacia delle staffe è superiore, in quanto
esse: realizzano una cucitura completa del concio rispetto a qualsiasi superficie di
scorrimento (cfr. calcolo delle τ); reagiscono anche al taglio trasversale ed alla torsione;
contengono le armature di flessione favorendone l'aderenza e limitandone la possibilità di A* A*
carico di punta; esercitano anche un effetto di contenimento del conglomerato rendendo più
efficace la collaborazione fra i due materiali e migliorando la duttilità dell'insieme. D'altra
parte i ferri sagomati sono comodi in quanto sono le stesse barre, via via che si rendono
superflue lungo la trave, impiegate per la flessione.
Le norme prescrivono pertanto che almeno il 40% dello sforzo di scorrimento F sia
assegnato alle staffe. La parte restante può andare ancora a staffe o a ferri piegati.
A rigore ciò dovrebbe verificare in ogni punto, cioè:
F
Tst t = σ a ( Ast Δlst ) ≥ 40% T t
T1 F t
Di fatto si ammette che basti la verifica complessiva su un tratto. In tal caso l'armatura a T2
taglio si dimensiona come segue. l
Si considera un tratto di trave (in cui il taglio T è di segno costante) e se ne calcola lo (T=sforzo di taglio)
T/t Fsag60%max
sforzo di scorrimento F lungo la superficie neutra. F è pari all'area sottesa dal diagramma
T/t di quel tratto, ovvero alla differenza (algebrica) delle risultanti di trazione T1 e T2 degli Fst 40%min
estremi:
sag

F =∫
T
dl (= F sag + Fst ) (nsag Asag σa ) Tp
l t
Fst
Si calcola quale parte Fsag di esso può essere assorbito dai sagomati, in numero nsag
(nst Ast σa ) Tp
compatibile con la possibilità di sottrarli all'armatura di flessione (nel modo che si vedrà
oltre) ed in base alla tensione ammissibile σ a :

90
Fsag = nsag × Asag × σ a × 2 e quindi Fst = F − Fsag
con Fst non inferiore al 40% di F.
I1 numero di staffe necessarie (tenendo conto che se una staffa ha due braccia utili la Ast
sezione utile Ast è due volte la sezione della barra usata) si ricava da:
nst × Ast × σ a = Fst
Le staffe in genere sono disposte a passo costante, per cui coprono una fascia uniforme
di sforzo di scorrimento. I sagomati vanno disposti in maniera che la loro posizione coincida
approssimativamente con il baricentro dello sforzo ΔF di spettanza di ognuno (il che si può
controllare con una suddivisione del diagramma T/t in zone di spettanza di ogni ferro) e che
comunque ogni ferro piegato, nella sua proiezione sull'asse della trave, si sovrapponga ai
successivi. Per il passo delle staffe le norme fissano un massimo di 0,8 h, e comunque di 1/3
di metro. T/t
1 sag 2 sag 3 sag
In questo modo, la prescrizione della percentuale minima del 40% viene rispettata sulla
staffe
media del tratto considerato e non punto per punto (v.figura). Ciò è tollerato, purché i tratti
non siano troppo lunghi. Nelle travi di piccola luce (come quella dei comuni edifici) si può
assumere come unico tratto anche la metà della luce stessa.
Si è detto che, per la sagomatura dei ferri longitudinali, occorre verificare che la loro momento ammissibile (resistente)
sottrazione all'armatura longitudinale non deve ridurre oltre i limiti ammissibili la capacità a
flessione. Bisogna controllare cioè che il Momento flettente esterno sia, in ogni sezione,
inferiore al Momento ammissibile cioè a quel valore per cui si raggiunge la tensione
ammissibile in un materiale (generalmente l'acciaio, per travi di sezione costante). Il
Momento ammissibile si riduce nelle sezioni a mano a mano che si sottraggono dei ferri, per
polo
sagomarli.
h
Dato lo schema a traliccio, però, è da notarsi che il Me che tende il corrente inferiore nel S
punto s in cui si rialza un ferro è il Me relativo non a quella sezione ma, nell'ipotesi h
peggiore, al polo opposto della maglia, distante lungo l'asse della trave di una quantità pari
ad h (regola della traslazione o del decalage). In realtà tale distanza, per la presenza di

91
varie armature a taglio affiancate, è compresa fra 0,5 h ed h. Bisogna quindi che il l/2

diagramma dei momenti ammissibili sia esterno a quello dei momenti Me massimi di almeno
0,5 h. Le norme non prescrivono nulla al riguardo; salvo nel punto di appoggio dove
prescrivono una armatura longitudinale inferiore in grado di assorbire una forza pari
all'intera reazione (per travi semplicemente appoggiate). Ciò corrisponde a una traslazione A R/ σa
pari a circa h. R

La necessità di questa traslazione serve ad adeguare travi, di altezza non piccolissima

Mamm
rispetto alla luce, alla teoria delle travi monodimensionali. Infatti essa perde di rilevanza via

Me
via che si riduce il rapporto h/l , mentre è di evidente necessità nelle travi molto corte. Ad
esempio la mensola corta in figura ha un comportamento a traliccio elementare puntone −
tirante: apparirebbe assurdo ridurre l'armatura del tirante tra la sezione d'incastro e quella >0,5h >0,5h >0,5h

dell'estremità libera, dove pure il Me si annulla. Un altro esempio di strutture soggette a


flessione e taglio, in cui lo schema si riduce a un traliccio elementare, è quello dei plinti Armatura di flessione = T/ a
tozzi, che sarà esaminato più oltre.
Si è già osservato che la verifica delle τ nel conglomerato non é altro che una verifica
allo s.l. di fessurazione per i carichi di esercizio, nella quale si considera tutta la sezione F
reagente alle τ. Invece, per il calcolo delle armature, mediante il traliccio di Moersch, si T
trascura il contributo del conglomerato teso, considerando la trave completamente fessurata: C F
tale schema corrisponde pertanto a una realtà già diversa da quella di esercizio. Esso è
impiegato però a favore della sicurezza nelle verifiche delle tensioni di esercizio,
analogamente a quanto si fa per la flessione, dove il contributo del conglomerato teso alla
resistenza viene del tutto trascurato.
Si dà ora un cenno del problema del calcolo a rottura per taglio. A differenza dello s.l. di rottura per taglio
schema di calcolo della sezione inflessa, lo schema di Moersch è isostatico, e la
distribuzione delle tensioni nel traliccio non dipende dalla deformabilità delle aste (cioè
dalle leggi σ−ε). Pertanto l'impiego delle relazioni non lineari non evidenzierebbe nessuna
redistribuzione: la struttura cederebbe quando in un'asta la tensione raggiungesse il suo
valore ultimo (resistenza di calcolo) e la verifica allo s.l. di rottura non si differenzierebbe
da quella alle t.a. se non per i coefficienti di sicurezza.

92
Peraltro, se si vuole indagare più accuratamente sulla rottura per taglio, é il modello
stesso che bisogna variare, risultando il traliccio isostatico troppo semplificato. Questo non
tiene in conto che, in prossimità della rottura per taglio, alcuni dei seguenti fenomeni hanno τ

luogo (v.figure): 45°


− il corrente compresso fornisce delle τ verticali nel conglomerato;
− il corrente teso fornisce una componente verticale a seguito dell'inclinazione ingranamento degli inerti
dell'armatura; comp. vert.
armatura
− lungo la lesione ha luogo un ingranamento degli inerti;
− le fessure non sono a 45° e quindi la direzione delle aste di parete compresse ad esse
parallela, è diversa da quella prevista;
− dette aste non sono incernierate ma, entro certi limiti, continue con i correnti.
Formule di calcolo che tengano conto adeguatamente di tali meccanismi resistenti sono
attualmente in discussione e in evoluzione. Le Norme CNR citate, per quanto riguarda lo s.l.
di rottura per taglio, premettono testualmente: Il comportamento a rottura degli elementi in
c.a. e in c.a.p. sottoposti a prevalente sollecitazione di taglio è estremamente complesso,
dipendendo da un gran numero di parametri, talché non esistono ancora metodi di calcolo aste continue

semplici e di corrente utilizzo che coprano tutti i tipi di rottura e che tengono conto
adeguatamente dei contributi alla resistenza dei detti gli elementi costituenti le
membrature.
Si ritiene quindi sufficiente, allo stato attuale, il cenno dato dei fenomeni che
intercorrono.
Riassumendo, generalmente il progetto di una trave ordinaria procede così: si progetto della trave
dimensionano le sezioni di momento massimo (positivo e negativo) stabilendo la larghezza
della zona compressa b, l'altezza h e l'area dell'armatura tesa A (e l'eventuale armatura
compressa A'). L'area A si definisce in un congruo numero di barre, scelte fra i diametri
commerciali. Teoricamente è meglio che esse siano di piccolo diametro e in gran numero, a
vantaggio della aderenza e delle sagomature per il taglio. Il numero viene limitato poi dalle
esigenze pratiche. Nelle travi comuni non dovrebbero comunque essere meno di 4, dovendo

93
una coppia di ferri, più esterni, correre per tutta la lunghezza della trave. Si dispone
un'armatura corrente in compressione: un minimo di due reggistaffe, se non ne occorre di lunghezza di ancoraggio
più per calcolo. Se la sezione é alta, si dispone anche qualche corrente intermedio.
Qualora la trave abbia sezione a T, la larghezza bmin viene stabilita in base alle tensioni
tangenziali τ. Essa non può essere troppo piccola anche per offrire una certa resistenza a
flessione e taglio trasversali, non calcolati; ciò vale anche per la disposizione dell'armatura
corrente.
Le sezioni di momento massimo vengono poi verificate o alle t.a. o allo s.l. di rottura. Si
determina quindi il momento ammissibile o resistente della sezione al diminuire
dell'armatura tesa. Si calcola l'armatura totale a taglio, ripartita in staffe e ferri piegati. La armatura di flessione
posizione di questi ultimi si stabilisce con il diagramma dei momenti resistenti e quello
dello sforzo di scorrimento. Sono necessarie alcune traslazioni rispetto a entrambi: il
posizionamento delle armature a taglio caso per caso è un interessante tema di dettaglio
costruttivo e richiede una certa immaginazione del meccanismo resistente, dipendendo dalla
ubicazione dei carichi e delle reazioni. Ad esempio, in una trave appoggiata sull'intradosso,
il traliccio ideale parte con un puntone inclinato: quindi i sagomati vanno spostati verso la
campata. Le staffe, invece, sono utili vicino all'appoggio, per il contenimento del
conglomerato, e risulta efficace il prolungamento dell'armatura tesa di flessione
(traslazione). Si é già accennato al caso affine della mensola corta.
Un altro problema importante di dettaglio è quello dell'ancoraggio delle barre, su cui si ancoraggio dei ferri
tornerà nuovamente. Le barre vanno prolungate, oltre la sezione in cui si considerano
efficaci, di una lunghezza di ancoraggio in cui acquistano aderenza. Per le barre lisce è
necessario anche un uncino o gancio. Le prescrizioni relative sono espresse nelle Norme.
L'ancoraggio va di massima realizzato nel conglomerato compresso. Cosi pure le
sovrapposizioni delle barre, cioè gli ancoraggi di barre in prosecuzione, che sono necessari
a causa della lunghezza limitata (10 :12 metri) delle barre commerciali.
Le tensioni che nascono nel conglomerato intorno ai tratti di ancoraggio delle barre,
come pure quelle in corrispondenza delle piegature, sono aspetti importanti da tener presenti
nei dettagli costruttivi.

94
Ancora, da tener in conto nel disegno delle armature, sono gli effetti delle
concentrazioni di tensioni dovute a fori, spigoli, forze concentrate, giunti, ecc.

4.5 TORSIONE SEMPLICE


La sollecitazione di torsione é presente in una sezione di trave quando la risultante
relativa è sghemba rispetto all'asse della trave (più precisamente rispetto all'asse dei centri
di torsione delle sezioni). Si ha torsione semplice se essa si riduce ad un momento Mt
intorno a tale asse: le sezioni ruotano allora intorno all'asse stesso.
In pratica, nelle strutture in c.a. nelle quali la torsione compare come fenomeno F

secondario, cioè non necessario all'equilibrio dello schema di calcolo, essa viene trascurata.
Ad esempio, le travi di bordo su cui un solaio viene considerato appoggiato sono di fatto
Flessione Torsione
rese solidali con questo (anche attraverso armature di collega mento, superiori o inferiori): il Torsione semplice
e Taglio
solaio, inflettendosi, trascina nella rotazione la trave di bordo, che si torce. Tale torsione
viene assorbita bene da una trave a sezione piena con un minimo di armatura longitudinale e
trasversale; inoltre la presenza di altri elementi, esclusi dallo schema portante, come le
tamponature ed il contrasto assiale del solaio stesso, possono contribuire a ridurla: la
verifica a torsione in tale caso viene tralasciata.
solaio
In altri casi la torsione non si può trascurare. Naturalmente sono fra questi i casi in cui
l'equilibrio stesso di parti strutturali non può prescindere dalla resistenza a torsione. Ad
esempio, quando un balcone o una scala sono portati a sbalzo da una trave laterale, la balcone
flessione d'incastro dei primi si traduce in torsione per la trave.
Un altro esempio è costituito dai ponti con impalcato a trave unica (in generale a
cassone). Quando il sovraccarico non é in asse alla trave, questa è soggetta a torsione.
Le sezioni vantaggiose per la torsione sono quelle cave di forma chiusa e quelle piene.
Sono svantaggiose quelle in pareti sottili di forma aperta.
Le armature adatte alla torsione devono correre lungo il perimetro della trave.
Teoricamente la più conveniente avvolge la trave con un'elica, ma normalmente si usa
buone no
un graticcio formato da staffe e ferri longitudinali perimetrali.

95
Lo schema di calcolo della trave in c.a., parallelamente a quello per il taglio, viene
spezzato in due schemi indipendenti: uno per il calcolo delle tensioni nel conglomerato ed
uno per il calcolo degli sforzi nell'armatura.
Le tensioni tangenziali τ nella sezione vengono calcolate nell'ipotesi che questa sia tensioni τ nel conglomerato
omogenea elastica e reagente.
Le espressioni per il calcolo delle τ sono quindi quelle note dalla teoria elastica, di cui si
riportano le più significative. Mt
− Sezione circolare, piena o cava:
per la simmetria radiale, vale l'ipotesi del mantenimento delle sezioni piane.
0
Gli scorrimenti γ e le tensioni tangenziali τ variano proporzionalmente alla distanza
τ
dal centro: R 0
τ = (M t J p ) × r ; τ max = (M t J p ) × R γ r τ
τmax
dove Mt è il momento torcente agente sulla sezione, Jp il momento d'inerzia polare di
questa rispetto al centro O; r la distanza del punto generico da O; R il raggio esterno della Mt
sezione.
− Sezione in parete sottile di forma chiusa qualsiasi (a una connessione) S
τ = ( M t 2Ωs ) ; τ max = (M t 2Ωsmin )
dove Ω è l'area delimitata dalla linea media della parte piena; s è lo spessore locale dove
Ω Smin
si calcola la τ (formula di Bredt). τmax
− Sezione rettangolare piena.
Non si può ammettere che la sezione rimanga piana, per cui la τ non è più proporzionale
alla distanza dal centro (cfr. analogia idrodinamica).
La τmax (al centro del lato lungo) vale:
τmax
τ max = ϕ (M t b2 H ) τmax
H

con ϕ coefficiente di forma, che dipende dal rapporto H/b fra i lati e che può esprimersi
approssimativamente b

96
4 + 3 × (H b )
ϕ=
0.45 + H b
Alle τ, e in praticolare alla τmax al bordo, corrispondono delle σ principali di
compressione e di trazione, orientate a 45° rispetto all'asse della trave, e di valore uguale a
quello della τ corrispondente (cfr. Cerchio di Mohr, par.4.4).
Si verifica quindi che la τ (cioè la σ1) sia contenuta nei valori ammissibili (uguali a
quelli considerati per il taglio):
τmax τ = 14 + (R'bk −150) 35 (Kg/cm2)
Con il che ci si cautela dalla fessurazione obliqua nella trave. Poiché, come si é visto, lo
schema per la verifica del conglomerato è indipendente da quello per le armature, il progetto
della sezione prescinde dalle armature e viceversa. La sezione si può pertanto dimensionare
direttamente in funzione di τ max ≅ τ .
Le possibili armature, si è visto, sono due: o un'elica, inclinata a 45° nel verso delle σ armature
principali di trazione, oppure un graticcio ortogonale. Il secondo tipo é più pratico sia per il
confezionamento e la posa in opera, sia perché non è soggetto a errori di orientazione.
I1 relativo modello di calcolo prescinde dunque dalla resistenza a trazione del
conglomerato. Esso è costituito da un traliccio in cui le aste compresse sono costituite da
conglomerato e sono inclinate a 45°, parallelamente alle fessure, cioè come le σ principali
di compressione. Le aste tese sono costituite dalle barre di arma tura.
a) Elica
Considerando la maglia base del traliccio, la forza di scorrimento di sua spettanza si
scompone come in figura. Lo sforzo di trazione nella barra vale F 2 . E' da notare che le
aste orizzontali (tratteggiate in figura) pur essendo necessarie a rendere isostatico lo
schema, risultano scariche per la sollecitazione in esame.
Il valore dello sforzo F si ricava dalla formula di Bredt, immaginando di applicarla
all'involucro della sezione contenente l'armatura (lo spessore s non interessa):

97
FΔp = ∫ τ × s × dp = (M t 2Ω ) × Δp
Δp

Δp essendo il passo dell'elica misurato lungo la sezione, cioè il tratto di competenza di una
barra.
Per ottenere lo sforzo di scorrimento complessivo lungo tutto il contorno, si estenderà
l'integrale all'intero perimetro p = 2(b + h )
Fp = (M t 2Ω ) × Δp = [M t (b × h )] × (b + h )

F 2 sarà lo sforzo di trazione complessivo nelle armature stesse.


Si potrà direttamente calcolare l'area complessiva delle barre che attraversano la sezione,
A, in modo che la tensione risulti uguale alla tensione ammissibile dello acciaio σ a

(
A = Fp ) [ ( )]
2 × (1 σ a ) = M t σ a 2 × [(b + h ) (b × h )]
da cui si ricavano facilmente il numero delle barre, l'area di ognuna o il passo scegliendo a
piacere una delle tre grandezze.
b) Graticcio Ortogonale
In questo schema, anche le aste orizzontali risultano cariche (per l'equilibrio nella terza
dimensione rispetto allo sviluppo del perimetro: v.oltre). La maglia base del traliccio sarà
sollecitata come in figura.
Fermo restando quindi il valore di Fp, se si dispone l'armatura a graticcio ortogonale
occorrerà un'area complessiva
Along = Fp × (1 σ a ) = (M t σ a ) × [(b + h ) (b × h )]
oltre a delle staffe laterali di pari area per maglia (ad esempio uguale area e uguale passo
dei longitudinali).
Per un tratto di trave lungo Δl si avrà così un volume complessivo di armature
2×Along×Δl, mentre, con un armatura a elica (che correndo inclinata sviluppa una lunghezza

98
di Δx × 2 per barra), si avrà un volume Ael × 2Δl = Along × Δl , cioè la metà rispetto al
graticcio.
Ciò è dovuto al fatto, cui si è accennato, che le aste trasversali del traliccio (costituite
dalle staffe), nel primo schema sono scariche e quindi nella realtà non si mettono, mentre
nel secondo sono necessarie e costituiscono la metà dell'armatura totale. Per rendersene
conto si confrontino i due schemi, ridotti per semplicità di figura ad una maglia quadrata per
faccia di trave; posto che i diagonali compressi sono in ogni caso sollecitati, ed esaminando
il nodo indicato dal cerchio, ad esempio, si vede che nel primo caso è possibile l'equilibrio
orizzontale senza staffa, mentre nel secondo no; oppure: fatto un qualsiasi taglio orizzontale
dell'insieme, l'equilibrio verticale alle risultanti delle aste compresse è assicurato nel primo
caso dall'elica tesa, mentre nel secondo sono necessarie le aste longitudinali.
Nel caso di torsione composta con sforzo di taglio il modello impiegato sarebbe in realtà
inadeguato, sia per il calcolo delle tensioni nel conglomerato (in sezione parzializzata e torsione composta
soggetta a σ), sia per le armature.
I1 modello necessario ad uno studio accurato diverrebbe però molto complesso. In
pratica perciò, nei casi ordinari, si usa sommare le quantità di armature trasversali e
longitudinali e sommare gli effetti anche nel calcolo delle τ, verificando la τmax
complessiva. Le norme in questo caso consentono una maggiorazione del 10% della τ am-
missibile. Per quanto riguarda la verifica allo stato limite ultimo per torsione vale quanto N N
detto per il taglio (par.4.4).

4.6 SFORZO NORMALE SEMPLICE


Fra le strutture che possono essere soggette a sforzo assiale rientrano, per quanto
pilastro tirante
riguarda la compressione, pilastri, pile, puntoni di travature reticolari; per quanto riguarda la compresso
trazione, i tiranti,presenti in strutture strallate o reticolari.
In pratica lo sforzo normale semplice, cioè perfettamente centrato con l'asse
dell'elemento, è ben difficile che si realizzi. Queste strutture sono soggette per lo meno N N
anche alla flessione, i cui effetti combinati con lo sforzo normale non sono affatto

99
trascurabili. Ciononostante le Norme consentono in alcuni casi, per semplificare lo schema
di calcolo, la verifica a compressione semplice; ma contemporaneamente impongono una
maggiorazione dei coefficienti di sicurezza del conglomerato e l'obbligo di un minimo di puntoni
armatura. Così è per i pilastri degli edifici (quando non siano presenti azioni orizzontali
sulla struttura), che possono venir considerati soggetti al solo sforzo assiale derivante
dall'analisi dei carichi della loro zona di spettanza su tutti i piani sovrastanti. Vengono
costruiti anche dei tiranti in cemento armato, nonostante il conglomerato non contribuisca
tiranti
alla resistenza a trazione. Esso ha bensì la duplice funzione di proteggere le armature dalla
corrosione e di limitare le deformazioni; un tirante equivalente di solo acciaio richiederebbe
manutenzione (il che può essere svantaggioso in una struttura composta per il resto in c.a.) e
subirebbe allungamenti specifici superiori.
4.6.1 COMPRESSIONE SEMPLICE
La verifica delle tensioni è immediata, essendo la sezione uniformemente compressa (ε=
cost) e quindi non parzializzata.
In campo lineare, la sezione ideale coincide con l'intera sezione omogeneizzata (cfr.
par.4.1), quindi:
Ai = B + nA A H
in cui B è l'area del conglomerato, A l'area di tutto l'acciaio. Le tensioni, costanti, valgono: B=H b

σ b = N Ai σ a = n (N Ai )
b
la verifica comporta il confronto con una tensione ammissibile ridotta del 30% rispetto alla
σ 'b stabilita per la flessione (par.4.2):
σ b ≤ 0,7σ 'b (σ 'b = 22,5 + R'bk 4)
la quale viene ridotta ulteriormente per pilastri con lato b < 25 cm
σ b ≤ 0.7[1 − 0,03(25 − b )]σ 'b
La verifica della tensione nell'acciaio è superflua essendo sempre soddisfatta. verifica a rottura
La condizione convenzionale di rottura è data da:

100
ε = ε 'bu
con ε 'bu ridotto a 0,0020 (invece che 0,0035); ad essa corrisponde uno sforzo normale
interno di calcolo pari a:
N u* = B × R'*b + A × σ a (0,002 )

σa(0,002) è la tensione nell'acciaio corrispondente a ε = 0,002 (risulta pari a Ra* (s ) se


questa ha un valore minore di Ea × 0,002 = 4200 Kg/cm2).
La verifica è, al solito:
N e* ≤ N u*
I1 progetto della sezione di un pilastro è staticamente indeterminato: può essere progetto
qualsiasi, invero, il rapporto tra A e B (percentuale d'armatura), in quanto l'armatura non barre
Φl>12mm. longitudinali
sarebbe staticamente necessaria in compressione semplice. Come si è detto, però, il
regolamento fissa un minimo, pari allo 0,6% dell'area strettamente necessaria di
conglomerato in esercizio, cioè (per b ≥ 25 cm): staffe

A ≥ 0,006 N e 0,7σ 'b


con gli ulteriori limiti che 0,003 B < A < 0,050 B e che le barre abbiano un diametro 0 >12 p<15 Φl staffe
mm. <25cm.

Per un pilastro rettangolare le barre devono essere almeno quattro, ai vertici della Φs >6mm.
sezione. Se non ci sono limiti alle dimensioni b ed H, si tende a mettere il minimo di
armatura; altrimenti si sceglie un compromesso economico.
Ne
Inoltre vanno poste delle staffe di diametro 0 > 6 mm, con un passo p non maggiore di
15 volte il diametro delle barre longitudinali, e non maggiore di 25 cm. 0 e
Lo scopo dell'armatura longitudinale è quello già detto di opporsi alle flessioni non
calcolate, in tutte le direzioni. In una sezione quadrata non armata, ad esempio, sarebbe
sufficiente una eccentricità di Ne pari a solo 0,12 volte il lato per avere trazione al vertice ed
un forte aumento delle σ. Le barre hanno inizialmente una tensione σa = nσb. Col passare

101
del tempo la tensione però cresce, a causa della deformazione viscosa del conglomerato, εV.
Questa tende a trascinare con sé l'acciaio, che si sovraccarica: corrispondentemente il
conglomerato tende a scaricarsi. Si ha cioè una redistribuzione di σ dovuta ai fenomeni
viscosi, che avviene perché 1'acciaio ha una deformabilità viscosa praticamente nulla
rispetto al conglomerato. Poiché col tempo quindi il rapporto σ−ε nel conglomerato sotto
carico tende a decrescere, è come se diminuisse il modulo Eb, cioè aumentasse n (fino a
raddoppiarsi e triplicarsi).
Ciò mostra che l'acciaio può raggiungere tensioni di compressione molto più elevate nel
tempo. Essendo le barre in sé snelle e scarsamente vincolate riguardo al lo sbandamento
verso l'esterno, c'è pericolo che questo si verifichi per carico di punta. In ciò è la ragione del
diametro minimo (φ 12) prescritto e della presenza di staffe, atte a trattenere le barre dalla
fuoriuscita, limitandone la lunghezza libera di inflessione e la snellezza (appunto il passo
delle staffe è regolato sul diametro delle barre longitudinali). I1 fenomeno del carico di
punta è un pericolo per tutti gli elementi, o parti di elementi, snelli compressi. Qui si è
sottolineato quello relativo alle barre dei pilastri. Altro è quello del pilastro in sé, pure
presente, e che verrà trattato nel capitolo 9.
La presenza delle staffe ha anche gli scopi di resistere agli sforzi (non calcolati) di taglio
e di torsione e di contenere il conglomerato migliorando la duttilità dell'elemento ed
aumentandone leggermente la resistenza (cfr. pilastri cerchiati).
I pilastri cerchiati sono pilastri in cui la staffatura è un'elica a passo molto ravvicinato, pilastri cerchiati
ed esercita insieme ai ferri longitudinali, anch'essi molto fitti, un effetto di contenimento barra staffante ad elica
cerchiante del conglomerato. Si è visto che la resistenza a compressione del conglomerato A
aumenta in presenza di una compressione trasversale (cfr. curva critica, par.3.1).
Nei pilastri cerchiati le armature contrastano l'espansione trasversale del calcestruzzo Bn p
conseguente alla compressione longitudinale (cfr. nei corpi elastici il modulo di Poisson) e
generano, per la coazione, una compressione trasversale. Tale compressione non viene
valutata direttamente nelle verifiche. Secondo la Norma, invece, se ne tiene conto
D D
assegnando forfaittariamente un'area ideale maggiorata alla sezione, pari a:
sezione

102
Ai = Bn + 15 × A + 45(πDAs p )
in cui: Bn è l'area del nucleo (conglomerato interno all'armatura)
A è l'area dell'armatura longitudinale
As è l'area della barra staffante, p il passo, D il diametro del nucleo.
La formula è valida nei limiti in cui
p≤D 5 Ai ≤ πD 2 2 A ≥ 1,5 × (πDAs p )
La cerchiatura è efficace solo per piccole eccentricità. L'effetto di cerchiatura è presente
anche nei pilastri normalmente staffati, ma in modo discontinua e non sufficiente a produrre
un notevole aumento diffuso di resistenza nel conglomerato. A1 posto dell'armatura armatura
di frettaggio
cerchiante si può impiegare equivalentemente un'armatura frettante costituita da staffe a
molte braccia, a passo ravvicinato, incrociate.
4.6.2 TRAZIONE SEMPLICE
La verifica di resistenza si riduce alla sola armatura, essendo la parzializzazione totale
σa = N A ≤ σa
Viene però aggiunta una verifica alla fessurazione, acciocché in esercizio sia garantita la
funzione del conglomerato di ricoprimento: si impone cioè che il conglomerato, in
esercizio, collabori alla trazione con una tensione sufficientemente bassa, calcolata con
sezione ideale completa. Le Norme non forniscono prescrizioni precise. Si può però
adottare un coefficiente di omogeneizzazione n = 20, per tener conto del ridotto modulo Eb
in trazione, ed una tensione ammissibile nel conglomerato pari a:
σ b = 1 2 Rbk
con Rbk resistenza caratteristica a trazione, da determinarsi, ovvero da assumersi pari a
Rbk=7+0,05 Rbk (Kg/cm2). La verifica della tensione ammissibile nel conglomerato risulta
quindi:
σ b = N (B + nA) ≤ σ b

103
I tiranti debbono essere particolarmente curati nel collegamento delle armature alle
strutture di estremità.
4.7 SFORZO NORMALE E FLESSIONE - ANALISI LINEARE
Lo sforzo normale e la flessione producono entrambi tensioni normali (σ) sulla sezione
ed è quindi necessario studiare il loro effetto combinato. Le due sollecitazioni sono sempre
associate anche se in alcuni casi, come si è visto, le verifiche si fanno per semplicità a
sforzo normale semplice.
La pressoflessione (compressione e flessione) è presente principalmente in tutte le strutture pressoinflesse
strutture verticali caricate dall'alto: pilastri, pile, muri eccetera.
La forma di sezione più conveniente é quella compatta piena (quadrata, circolare) per i P P P
casi più prossimi alla compressione; tende a forme rettangolari, ovvero a T e ad I (doppia T) P
P P
se prevale la flessione retta, rispettivamente in uno o nei due versi; tende a forme scatolari
P
se la flessione prevale e può avvenire in diverse direzioni. Nelle sezioni a T, ad I o scatolari
si ha un migliore rapporto tra momento d'inerzia e area (raggio d'inerzia) e ciò si traduce in P P
N
un risparmio di materiale a parità di resistenza.
P
E' da notarsi che la possibilità di flessione e, quindi, la necessità di forme adatte, negli
elementi compressi è accresciuta dagli effetti di snellezza, su cui si tornerà in altro capitolo.
Si può intanto puntualizzare che al crescere della lunghezza di un elemento presso inflesso,
deve crescere anche l'inerzia della sua sezione, per contenere gli effetti detti del
second'ordine, i quali vengono misurati dal coefficiente di snellezza λ (che è proprio il
rapporto fra la lunghezza libera di inflessione l0 dell'elemento ed il raggio d'inerzia i della
sezione: λ = l0 i ).
La verifica delle tensioni in campo lineare si avvale delle note relazioni per le sezioni tensioni nella sezione
omogenee:
σ b = (N Ai ) + (M J i ) y (formula binomia)

σ b = (N Ai ) + (N Sn ) yn (formula monomia)

104
y p = (J n Sn ) = (J p S p ) (relazione di antipolarità) P
ε σbmax
εa
Tutte le grandezze sono riferite qui alla sezione ideale (par.4.1); in particolare (v. A σa' /n
y
figura): Gi σbG
yp e yn
y é la distanza del punto, in cui si calcola σb, dall'asse baricentrico (non più neutro);
yn è la distanza del punto, in cui si calcola σb, dall'asse neutro; 0 yG
a.n.
yp è la distanza del Centro di pressione P dall'asse neutro;
Sn, Jn, Sp, Jp sono, rispettivamente, i momenti statici e d'inerzia rispetto all'asse A εa
σa /n
neutro e all'asse passante per P.
Per ottenere le σa nell'acciaio basterà moltiplicare per il coefficiente di omo-
geneizzazione n le σb (a parità di y o di yn) della sezione ideale.
Si ricorda ora come si ricavano le tre espressioni.
La prima espressione è la sovrapposizione degli effetti di compressione e di flessione, i (σbmax)
σb
cui termini sono stati già ricavati separatamente nei paragrafi precedenti.
y
Essa è di pronto impiego quando la sezione non si parzializza, essendo nota a priori la σbG =N/Ai
posizione del baricentro ideale Gi.
La formula monomia è più comoda invece quando la sezione si parzializza, perché non yn
richiede la ricerca del baricentro G; ma solo quella dell'asse neutro, necessaria comunque. yG
Si può dimostrare (v.figura) mediante una semplice proporzione fra due triangoli nel
diagramma delle σ, notando dalla formula binomia che, in Gi essendo y = 0 e
σ bG = N Ai , la σb alla distanza yn generica sarà nella proporzione σa /n

σ b yn = σ bG yG ⇒ σ b = (N Ai )( yn yG ) = (N Sn ) yn
Si noti anche che questa espressione contiene implicitamente le due equazioni di
equilibrio contenute nella binomia.
La terza formula fornisce la distanza yp dell'asse neutro dal centro di pressione P. Questo asse neutro
è noto dalle sollecitazioni esterne, essendo la traccia della risultante relativa sul piano della
sezione, e dista dal centro di riferimento 0 della sezione (rispetto al quale si misurano le
sollecitazioni esterne) di una eccentricità e = M/N. L'espressione si ricava esprimendo:

105
− la congruenza delle ε (con il modello lineare di Navier, par.4.0):
ε = kyn
essendo anche qui k una costante da determinarsi (curvatura);
− la relazione σ−ε lineare (Hooke) omogeneizzata in conglomerato
σ b = Ebε = Eb kyn
− l'equilibrio alla traslazione ed alla rotazione intorno all'asse neutro delle risultanti
P asse p
interne e degli sforzi esterni N ed M(n) ε
A ε =k y
N = ∫ σ b dAi = ∫ Eb ky n dAi =Eb kS n n
Ai Ai y
yp e Gi
yn
M (n ) = ∫ σ b dAi yn = ∫ Eb ky dAi =Eb kJ n
2 k
n
Ai Ai
0 yG
a.n.
dividendo la seconda per la prima si ottiene l'eccentricità di P rispetto all'asse neutro yp
(v.figura) A εa
y p = M n N = J n Sn
che è uguale anche al rapporto Jp/Sp, cioè calcolato rispetto all'asse per P parallelo
all'a.n., per la reciprocità della corrispondenza antipolare.
Ciò posto, la verifica procede come segue:
a) Piccola eccentricità. Si intende per piccola eccentricità quella per cui l'asse neutro piccola eccentricità
non taglia la sezione, che quindi non si parzializza. Ciò avviene (nel campo lineare ε σ'bmax
della legge σ−ε ) quando il centro di pressione P cade nel nocciolo centraled'inerzia σamax/n
della sezione ideale, che risulta pertanto l'intera sezione, omogeneizzata. Le tensioni P y
e 0 Gi σ'bG=N/Ai
si calcolano con la formula binomia, con l'avvertenza che M ed y siano riferite al
baricentro ideale (0 ≡ Gi). In particolare le tensioni massime valgono e si verificano yn
σa /n
come segue: k
σ b max = (N Ai ) + (M J i ) y max ≤ σ b a.n.

σ a , max = n[( N Ai ) + (M J i )( y max − h')] ≤ σ a (verifica superflua)

106
Bisogna inoltre verificare in questo caso che non sia superata la tensione ammissibile
ridotta per compressione semplice (cfr. par.4.6), cioè:
(N Ai ) ≤ 0,7σ b (o ulteriormente ridotte se il lato b < 25 cm)
A titolo di esempio, si ricorda che il nocciolo di una sezione rettangolare omogenea ha
forma di un rombo, il cui asse è un terzo (il noto terzo medio) del lato parallelo. La presenza
di un armatura estende leggermente il nocciolo della sezione ideale.
b) Grande eccentricità. Si ha grande eccentricità quando il centro di pressione P cade grande eccentricità
fuori del nocciolo. L'asse neutro taglia la sezione: per prima cosa se ne determina la P asse p
posizione. Generalmente è più pratico l'uso della yp = Jp/Sp piuttosto che della h' u
S
yp=Jn/Sn Essa va impostata sulla sezione ideale, incognita, scrivendo tutte le
Gi e yp (incognita)
grandezze in funzione dell'incognita yp: ne deriva un'equazione algebrica di terzo
grado; come si vede applicandola all'esempio schematizzato in figura: h
a.n. 0
S p = nA(u + h ) + nA' (u + h') + (b − b0 )(u + s ) / 2 + b0 y / 2 − bu / 2
2
p
2

J p = nA(u + h ) + nA' (u + h') + (b − b0 )(u + s ) / 3 + b0 y 3p / 3 − bu 3 / 3


2 2 3

b0
In questo caso, tutti i termini salvo uno sono costanti rispetto a yp; numericamente perciò b
le espressioni si semplificano. Resta comunque una equazione del tipo: asse p P
u σb max
y 3p + py p − q = 0
in cui p e q rappresentano i termini costanti, raccolti. L'equazione in questa forma si
y
risolve comodamente per tentativi: si introducono cioè dei valori di tentativo della yp e si
a.n. 0
risolve l'espressione, finché non si trova il valore che la soddisfa. Questo procedimento è
y-h
molto veloce con una piccola calcolatrice programmabile.
Ricavata la yp, è determinata la sezione ideale. Se ne calcola il momento statico Sn σa /n
rispetto all'asse neutro e, mediante la formula monomia, si calcolano le tensioni.
In particolare i valori massimi da verificarsi, dicendo (con riferimento alla figura)
y = y p − u , risultano:

σ b max = (N Sn ) y ≤ σ b

107
Il progetto di una sezione a pressoflessione presenta, come per le altre sollecitazioni, progetto
alcune indeterminazioni. A proposito della flessione semplice si è detto che, date le σ dei
materiali e fissata la b della sezione, era conveniente ricavare l'altezza utile e l'armatura
(mediante le tabelle), imponendo che le σmax effettive risultassero pari alle tensioni
ammissibili: in questo modo si otteneva il massimo risparmio di materiale.
In pressoflessione ciò può non essere vero; per date condizioni può essere impossibile.
Basti pensare ad esempio ad una sezione di cui si è fissata l'altezza h. Se essa è tale che il
centro di pressione P (che è un dato esterno) capiti dentro il nocciolo, non ci può essere
trazione (e tanto meno si può raggiungere la σa) nell'armatura tesa.
In casi in cui l'eccentricità sia poco esterna alle armature, anche se non impossibile, la
soluzione con σ a max = σ a in trazione richiederebbe uno spostamento forzato dell'asse
neutro verso la zona compressa, a spese di un allargamento esagerato della sezione, o
dell'introduzione di una elevata armatura in compressione.
D'altra parte il dimensionamento della sezione in genere procede per tentativi ed in base
alle necessità d'ingombro. Orientativamente, si assegnano le prime dimensioni regolandosi
sulla compressione semplice, se trattasi di piccole eccentricità, e sulla flessione semplice, se
trattasi di grande eccentricità. Successivamente si determinano le armature con l'ausilio di
tabelle, ricercando non la condizione che σ a max sia pari a σ a , ma che fra le armature in
compressione ed in trazione si ottenga il minimo complessivo; oppure che le armature in
compressione ed in trazione siano uguali: ciò è necessario per esempio quando la flessione
può avere alternativamente l'uno o l'altro verso, nella stessa misura (come nelle strutture in
figura: la pensilina può avere il sovraccarico indifferentemente da un lato e dall'altro; il σbmax
telaio può avere le forze laterali agenti in un senso o nell'altro).
Quando il taglio si accompagna alla pressoflessione, la trave è in condizioni più pressoflessione e taglio
favorevoli rispetto al taglio e flessione. Infatti, nel baricentro della sezione ideale, dove la τ Gi τ max
è massima, è presente una σz di compressione che riduce la σ principale di trazione; d'altra a.n.
parte, nella eventuale zona tesa (σz = 0) le τ non hanno più il valore massimo, essendo ivi S*
< S*n (cfr.par.4.4). σ(z) τ

108
Effettuando le verifiche delle tensioni τ e delle armature mediante le stesse formule,
stabilite per flessione e taglio, si è pertanto in favore della sicurezza. Vale il contrario se la
struttura è in taglio e tensoflessione.
Le stesse considerazioni fatte per il taglio valgono per lo sforzo di torsione.

4.8 SFORZO NORMALE E FLESSIONE - ANALISI NON LINEARE


Si è avuta l'occasione ormai diverse volte di notare (a partire dal par.3.2) che per la
verifica a rottura di una sezione, mediante un'analisi non lineare, è conveniente effettuare il
confronto fra la sollecitazione di calcolo esterna (data) e la sollecitazione di calcolo interna
ultima (da ricavarsi una volta per tutte), Se* ≤ Su* , piuttosto che ricavare lo stato di
deformazione interna (diagramma ε) corrispondente alla sollecitazione Se* e verificarne la
compatibilità rispetto alle deformazioni di rottura, ε (Se* ) ≤ ε u .
Nel caso presente la sollecitazione esterna (pressoflessione retta) ha due componenti: Ne dominio di interazione a rottura
e Me. Analogamente a quanto si è visto per la flessione semplice deviata, il valore della S *
u

assume la forma di un dominio di interazione, la cui frontiera rappresenta tutte le


combinazioni di rottura (di calcolo) per N ed M associati. A1 solito, la verifica è soddisfatta 'bu
se la coppia di sollecitazioni di calcolo esterne Ne e Me corrisponde a un punto non esterno 0.0 0.002 0.0035

al dominio.
La costruzione del dominio procede così:
3
1 2
− si esplorano tutti i possibili diagrammi di ε per cui si abbia o ad un lembo ε = ε 'bu o al 5
4
livello di un armatura ε = ε au (in trazione);
-0.01 Ras /Ea ε
− si ricavano (dalle leggi σ−ε) i corrispondenti diagrammi di σ e se ne calcolano le εau εas
risultanti: (N , M )u ; ε
*
Diagrammi per la costruzione del dominio di rottura N,M
− ognuna di queste coppie di valori essendo di rottura, i punti corrispondenti, riportati sul (con 5 diversi modi di rottura)

grafico, descrivono la frontiera del dominio di interazione (fig.pag.seg.).


La figura mostra il variare del diagramma delle ε in tutti i modi, rispettando la
condizione che almeno una εu sia raggiunta (ε’bu o εau). Per semplicità di disegno, appaiono

109
solo la metà di tali diagrammi, cioè quelli che si riferiscono alla flessione in un verso (ε’bu
al lembo superiore, ovvero e εau all'armatura inferiore). Essi comprendono, dunque, oltre
alla pressoflessione, anche tutti i casi di tensoflessione. L'altra metà dei diagrammi sono gli
stessi ribaltati verso il basso. Si osservi che, per quei diagrammi in cui risulta ε positiva
sull'intera sezione, (piccola eccentricità) la ε’bu passa da 0,0035 a 0,0020, a norma di
regolamento. Considerando dunque la metà dei diagrammi, in figura si individuano cinque
campi che riflettano altrettanti modi di rottura:
− campo 1, in cui si ha rottura per εau dell'armatura, con tutta la sezione tesa (lavorano
quindi solo le armature);
− campo 2, in cui si ha ancora rottura per εau, ma una parte di sezione è compressa (con
compressione
εbmax compreso fra 0 ÷ 0,0035); semplice

− campo 3, in cui si ha rottura per compressione del conglomerato; é sempre 5

εbmax=0,0035, e l'acciaio teso è sempre snervato (εamax è compresa fra εau ÷ εas cioè
fra (0,010 e Ras/Ea, in trazione); 4
(Simmetrico per
− campo 4, in cui εbmax vale ancora 0,0035, l'acciaio è in trazione in campo elastico sezione simmetrica) rottura di compressione
(0<εamax ≤εas);
rottura di trazione
− campo 5, in cui il diagramma è tutto di compressione; εbmax scende a 0,0020 ed εbmin 3
è compresa fra 0 e 0,0020 (per quest'ultimo valore si ha compressione uniforme con
ε=cost.). 1
2 M*
u flessione semplice M
Ad ognuno degli infiniti diagrammi di ε descritti esplorando tutti i campi, corrispondono trazione
semplice
dei diagrammi di σ le cui risultanti passano, nell'ordine, dalla trazione semplice alla
tensoflessione, alla flessione semplice, alla pressoflessione, alla compressione semplice. Dominio di rottura M,N
(per una sezione debolmente armata)
Trazione e compressioni semplici si hanno per i due rispettivi diagrammi di ε = cost.
(non esattamente nelle sezioni dissimmetriche, salvo una adatta scelta del punto 0 di
riferimento).
Ad un determinato diagramma, per il quale si equivalgono le risultanti di trazione e di
compressione, corrisponde la flessione semplice. Esso si troverà nel campo 3 o nel campo 4,

110
a seconda che la sezione sia debolmente o fortemente armata rispetto all'armatura bilanciata
(cfr.par.4.3); raramente,per sezioni con armatura molto debole, si troverà nel campo 2.
Con le risultanti dei diagrammi descritti si costruisce dunque metà della frontiera del
dominio di rottura, corrispondente alla flessione in un verso. L'altra metà è simmetrica
rispetto all'asse N, se la sezione è simmetrica con armatura simmetrica (inflettendosi in un
verso o in un altro, a parità di sforzo normale, Mu non cambia); altrimenti va costruita
esplorando l'altra metà (ribaltata) dei diagrammi ε.
Non può esservi simmetria intorno all'asse M, che significherebbe un eguale
comportamento alla trazione ed alla compressione (cfr.par.4.5).
Corrispondentemente al diagramma di ε che separa il campo 3 dal 4 (εbmax = 0,0035 ed 1.1.1.2 rottura di compressione e di trazione
εamax = εas), il dominio presenta una cuspide, che molto spesso coincide col M max ; *
u
duttilità
rispetto all'asse N essa si trova: in compressione, per sezioni debolmente armate, in
trazione per sezioni fortemente annate; sull'asse M, per sezioni con A= Ab, evidentemente.
Nei campi 1,2,3 la rottura sarà rottura di trazione secondo la definizione del par.4.3
(essendo l'acciaio snervato in trazione), mentre nei campi 4 e 5 si avranno rotture di
compressione.
Le rotture in pressoflessione hanno quindi carattere fragile o comunque meno duttile di
quelle per flessione, a parità di sezione.Generalmente parlando, perciò, nei pilastri si ha
meno deformazione plastica, e quindi meno redistribuzione delle sollecitazioni e meno
dissipazione di energia, che non nelle travi inflesse.
Un'altra osservazione sulla forma del dominio: il punto di M u* max non si trova in
generale in corrispondenza di N = 0, ma in corrispondenza di uno sforzo normale N > 0:
pertanto, ad esempio, se si ha un certo valore M u* , per N = 0 (flessione semplice),
aggiungendo uno sforzo normale N di compressione, M u* cresce. Ciò può avvenire nel c.a. a
causa della forte parzializzazione della sezione (soprattutto se debolmente armata) in
flessione semplice. L'aggiunta di N, infatti, inizialmente produce un recupero di sezione

111
reagente, senza che diminuisca la risultante di trazione nelle armature: ciò comporta anche
un aumento di M u* .
L'aumento di N diviene sfavorevole rispetto allo s.l. di rottura solo oltre il punto di
M max .
*
u

Per costruire il dominio ora visto, si sono esplorati tutti i diagrammi ε perpendicolari ad
un solo piano, cioè con tutti gli assi neutri paralleli ad un asse principale di inerzia della
sezione. I1 dominio di rottura cioè si riferisce a sforzo normale e flessione retta.
Effettuando le stesse operazioni per tutte le inclinazioni dell'asse neutro, invece del y ex P
dominio, piano, di interazione di sforzo normale e flessione retta, si ottiene il dominio
y N ey
completo di interazione N, Mx, My della sezione, che avrà una rappresentazione spaziale,
come quella indicata in figura. Le tracce sui piani coordinati saranno i domini di flessione x
semplice deviata (piano Mx, My) e di sforzo normale e pressoflessione retta (piani N, Mx ed x
Mx =N ey
N, My rispettivamente) che si sono già considerati (par.4.3). I1 dominio di interazione di
My =N ex
pressoflessione in un piano qualsiasi è rappresentato dalla sezione del dominio spaziale, con
un piano contenente l'asse N. Ovviamente il piano di sollecitazione in genere non coinciderà
N
con quello di inflessione (perpendicolare al corrispondente asse neutro) trattandosi di
N*u compressione
flessione deviata. semplice

La costruzione del dominio, ancorché concettualmente semplice (si parte da un


diagramma ε, si determinano le corrispondenti σ, che si integrano sull'area ricavandone le
risultanti), richiede operazioni lunghe, tenuto conto anche del gran numero di punti
necessari a costruire l'intero dominio. Tali operazioni si fanno agevolmente con calcolatori
elettronici. L'integrazione delle forze σdA si risolve numericamente dividendo (v.figura) la
parte compressa della sezione in strisce sottili di area b(y)×Δ, con il che gli integrali si
riducono alle sommatorie (dal continuo si passa al discreto), per il calcolo delle coordinate M*
uy M*
ux

(N , M x , M y )u di un punto della frontiera del dominio


*
Dominio di rottura N, Mx ,M y
(un quadrante)

112
⎧ N * = ∑ p σ bp ⋅ bp ⋅ Δ + ∑q σ aq ⋅ Aq



⎪ *
⎨ M y = ∑ p σ bp ⋅ bp ⋅ Δ ⋅ y p + ∑q σ aq ⋅ Aq ⋅ y q


⎪ *
⎪⎩ M x = ∑ p σ bp ⋅ bp ⋅ Δ ⋅ x p + ∑q σ aq ⋅ Aq ⋅ xq

in cui l'indice p numera tutte le strisce di conglomerato e l'indice q tutte le singole armature;
Δ è lo spessore delle strisce. Movendo l'asse neutro in modo da far variare il diagramma e in
bp
tutti i modi (anche qui ovviamente con piccoli passi finiti di variazioni) con la condizione Δ
striscia p
che il diagramma sia comunque di rottura secondo le convenzioni già viste, si ottiene
yp
l'intero dominio a tre dimensioni. Limitandosi invece a direzioni parallele agli assi
ε'
bu
principali della sezione, si hanno i domini piani di pressoflessione retta, esaminati più sopra. yq
Può servire di doversi calcolare un dominio o, per lo meno, una porzione che interessa di σ=
b R' *
bu
un dominio: si procede allora nel modo descritto. Si vanno diffondendo, d'altra parte, tabelle Area q σb
p
e grafici che riportano un gran numero di domini in funzione dei vari parametri: forma e
xq xp
dimensioni della sezione, disposizione e quantità delle armature, resistenze dei materiali.
σa a.n C
Normalmente i grafici riportano i domini di sforzo normale e flessione retta e quelli di q . C>T
interazione M x* , M *y (flessione deviata) per vari valori dello sforzo N* , che rappresentano
T
sezioni del dominio solido a vari livelli di N*= cost.

4.9 FESSURAZIONE
cause
La fessurazione costituisce uno stato limite per le strutture in c.a. perché ne favorisce la
disgregazione e ne rovina l'aspetto e perché è un veicolo all'aggressione delle armature da
parte di agenti esterni. La fessurazione può essere prodotta da varie cause. Può cominciare
in seguito ad assestamenti dopo il getto, durante la presa; può conseguire a dilatazioni
termiche in coazione,durante l'indurimento o a maturazione avvenuta; può derivare dal ritiro

113
o da discontinuità (riprese di getto); infine può nascere o venir incrementata dagli sforzi
generati da azioni esterne o cedimenti.
Per le prime cause, l'accuratezza di getto, costipamento e maturazione, nonché di alcuni
particolari costruttivi, come un minimo di armatura ben distribuita (previsto dalle Norme),
costituiscono la prevenzione adatta.
Per quanto riguarda gli sforzi, invece, la fessurazione è possibile ogni volta che il
conglomerato venga a trovarsi in trazione. E' necessario perciò compiere delle verifiche per
assicurarsi contro tale fenomeno o, meglio, per contenerlo, dato che una fessurazione è
inevitabile, nel cemento armato soggetto a σ di trazione. Le verifiche, come sempre,
avranno carattere convenzionale e saranno condotte su opportuni modelli.
Lo stato limite si presenta almeno sotto due aspetti: quello di fessurazione prematura, s.l. di fessurazione
che è legato alla nascita delle fessure; e quello di fessurazione eccessiva, legato all'ampiezza
massima che raggiungono le fessure stesse. L'uno o l'altro stato limite sono da prendersi in
considerazione, a seconda della delicatezza della struttura e della sua esposizione.
Si è visto (cfr. par.4.4, 4.5, 4.6) come il metodo tradizionale delle tensioni ammissibili
contenga delle verifiche implicite allo s.l. di fessurazione prematura, imponendo
(direttamente o tramite le τ ) la verifica delle σ principali di trazione. Esse sono prescritte
per quelle sollecitazioni (taglio, torsione, trazione semplice) la cui fessurazione si propaga
immediatamente a tutta la larghezza della trave, e quindi è bene che non nasca affatto.
La fessurazione per flessione (o per pressoflessione) ha invece un altro carattere, in fessurazione per flessione
quanto le σ di trazione sono massime a un lembo, e decrescono rapidamente verso l'interno.
Inoltre, la fessura incontra di regola, presso l'apertura, delle armature ortogonali.
Normalmente quindi è prescritto come stato limite quello di ampiezza eccessiva, ma non
quello di apertura prematura, salvo alcuni casi di strutture delicate (ad es., che devono
essere impermeabili, o che hanno armature particolarmente sensibili alla corrosione) oppure
in ambienti molto aggressivi. Per entrambi gli s.l. il modello impiegato nella verifica è
analogo: si considera, cioè, la sezione tutta reagente e omogeneizzata, entro il valore di Rbk
di trazione nel conglomerato, che si calcola con le consuete formule della sezione ideale.

s.l. di fessurazione prematura


114
I1 momento flettente M *f momento di fessurazione, è quello per cui:

σmax (traz) = Rbk


ove Rbk è la resistenza a trazione caratteristica per flessione, che per le Norme (a11.2)
può essere assunta pari a
Rbk = 2 × (7+0,06 Rbk) Kg/cm2
Deve risultare
M e* ≤ M *f
Trattandosi di uno s.l. di esercizio, la resistenza di calcolo coincide con la resistenza
caratteristica (γm =1), al contrario di quanto è prescritto per gli s.l. ultimi, più gravi. Anche
le azioni esterne, con le quali si calcola M e* , sono quelle caratteristiche (γf =1) o
combinazioni simili a quelle di esercizio, dette frequenti o quasi permanenti eccetera, e
sono stabilite dalle Norme.
In alcuni casi più severi si impone che la sezione non vada in trazione, (stato limite di s.l. di decompressione
decompressione) per evitare che una fessura, preformata, si possa aprire. In modo del tutto
parallelo si definisce allora un momento di decompressione M d* , come quello per cui
σmax(traz) = 0 (invece che Rbk). Naturalmente questa condizione non è possibile in una
sezione semplicemente inflessa (senza compressione esterna o precompressione).
Per quanto riguarda lo s.l. di ampiezza eccessiva, è utile fare qualche considerazione s.l. di ampiezza eccessiva
preliminare sul fenomeno, per individuare dei parametri che influiscono sull'ampiezza delle
fessure.
Si consideri un modello molto semplice (v.figura): un gruppo di barre tese contornate da
B
un prisma di conglomerato; il tutto soggetto a trazione. Si assume che:
T
− in fase non fessurata la sezione si comporti come una sezione omogeneizzata σb=0 A σb=Rbk
T τd
interamente reagente:
σa=T/A σa=nT/(B+nA)
σ b = σ b n = T (B + nA) σb
σb=Rbk= σa /n

a a a

115
(B = area conglomerato; A = area acciaio; n = coefficiente di omogeneizzazione);
− la resistenza a trazione Rbk sia uguale per tutte le sezioni, salvo differenze casuali
infinitesime;
− raggiuntasi la Rbk nella sezione casualmente più debole, si apra una fessura completa e
resti solo l'armatura a trasmettere gli sforzi tra le due labbra; ivi cioè si perda l'aderenza
e sia σb = 0;
− le tensioni tangenziali τd di aderenza fra armatura e conglomerato siano costanti tra la
fessura e la sezione in cui l'aderenza è ancora completa (cioè in cui σb = σa/n = Rbk)
(ipotesi di Brice).
Formatesi alcune fessure qua e là in punti casualmente appena più deboli degli altri, la σb<Rbk σb>Rbk
distribuzione delle σb (costante sulla sezione) varia tra una sezione e l'altra con legge lineare σb=0 σb=Rbk
T
tra i valori σb = 0 (sezioni fessurate) e σb = σa/n (sezioni distanti a dalla sezione fessurata): τd
a è appunto la lunghezza di trasmissione, cioè quella necessaria al conglomerato per σa=nT/(B+nA)
a
raggiungere la tensione corrispondente alla perfetta aderenza (cioè σb = Rbk nel caso Δ
presente). T

a si rilava dalla relazione di equilibrio (riferita al modello τd = cost.):


w
τ d × p × a = Rbk × B cioè a = (Rbk × B ) (τ d × p ) Δ

in cui p è il perimetro totale delle armature in sezione.


A1 crescere della forza di trazione T, ulteriori fessure non potranno nascere a distanza
inferiore ad a dalle precedenti, in quanto ivi non si raggiunge Rbk (per insufficienza di
lunghezza di trasmissione); d'altra parte non rimarranno intervalli lunghi più di 2a privi di a.n. y
fessure, in quanto in una fascia centrale si avrebbe una tensione σb > Rbk. Si conclude che h
tutte le fessure sono intervallate fra loro tra un minimo di a ed un massimo di 2a.
B
w
L'ampiezza w della fessura (detti Δ gli intervalli adiacenti) è data dalla differenza tra A
l'allungamento dell'acciaio quella del conglomerato di un intervallo
w = ε a Δ − ε bΔ

116
e supponendo trascurabile il secondo rispetto al primo,
w = εaΔ
Essendo l'intervallo Δ al massimo pari a 2a, si avrà
w max = ε a ⋅ 2a = 2(σ a Ea )a = (2σ a Rbk B ) (Eaτ d p )
Per estendere le considerazioni derivate da questo modello, già molto semplificato, alle
sezioni inflesse, occorre stabilire quale area di conglomerato B si debba considerare: si può
assumere un'area come quella in figura, che abbia le armature al proprio centro.
L'ampiezza delle fessure quindi, a parità di tensione nell'acciaio σa, diminuisce, secondo
l'espressione di wmax, essenzialmente:
− all'aumentare di p (perimetro delle barre): quindi a parità di area di acciaio conviene
usare più barre di diametro minore, le quali sviluppano un perimetro maggiore;
− all'aumentare di τd (tensione di aderenza): quindi convengono gli acciai ad aderenza
migliorata.
Con tali accorgimenti si ottiene una fessurazione mediamente più diffusa ma meno
ampia, quindi meno dannosa.
Le norme CNR forniscono altre formule, di origine simile ma un po’ più elaborate; per
la determinazione dell'ampiezza delle fessure. Esse definiscono, nello spirito del
procedimento semiprobabilistico, un valore caratteristico dell'apertura delle lesioni wk, di
cui stabiliscono i valori massimi ammissibili nel prospetto a lato.
Data una sezione inflessa, l'unica incognita nella formula di wmax (ovvero di wk) è σa;
questa si può ricavare in funzione della wmax (o wk) richiesta, da cui il Momento interno di
massima fessurazione di calcolo M w* risulterà

M w* = (σ a J i ) [n (h − y )] σ a = σ a (wk )
Il modello che si impiega per il calcolo della σa nella verifica a questo stato limite è la
sezione ideale, cioè parzializzata (cfr.par.4.1), in quanto la sezione vera ha le fessure aperte
(mentre il modello per il calcolo della lunghezza a era la sezione reagente).

117
A1 solito, la verifica sarà
M e* ≤ M w*
La verifica agli s.l. di fessurazione è necessaria soprattutto nelle travi alte, che sono in
genere molto debolmente armate. In tali casi, questi s.l. possono risultare più limitativi della
verifica allo s.l. ultimo (rottura) o della stessa verifica alle t.a.

118
5 ANALISI DELLA SEZIONE IN CEMENTO ARMATO
PRECOMPRESSO

Gli elementi in c.a.p. sono costituiti, al pari di quelli in c. a., da conglomerato


cementizio e da armature in acciaio.
La differenza consiste nella applicazione di una sollecitazione artificiale, preliminare
rispetto all'intervento delle azioni esterne (carichi permanenti, accidentali, eccetera). Questa
pre-sollecitazione, comprimendo il c.a. e tendendo alcune armature, genera nell'elemento
uno stato di coazione che ha degli effetti benefici sul comportamento della struttura e sulla
sua resistenza.
A tale tecnica è anche legata una differente qualità dei materiali. Il conglomerato, pur materiali
essendo di base lo stesso, è mediamente migliore di quello da c.a.: infatti la fascia di
resistenze caratteristiche contemplata dalle Norme (300 ÷ 550 kg/cm2) si colloca più in alto.
La migliore qualità è dovuta ad una confezione più accurata, commisurata anche al maggior
impegno tecnologico complessivo che richiede un opera in c.a.p.
Più importante la diversità dell'acciaio. Ne sono presenti due tipi: quello per le armature
con cui si esercita la precompressione e quello per le armature ordinarie. Le armature di
presollecitazione vengono realizzate con acciaio armonico che ha resistenze molto superiori
a quelle dell'acciaio dolce, pur avendone lo stesso modulo elastico Ea (cfr..par.2.6 e 3.1). La
precompressione però non può sostituirsi a tutte le funzioni proprie delle armature. Pertanto

119
vengono introdotte anche delle armature ordinarie, ma in misura ridotta rispetto al c.a.,
come armature trasversali e staffature, armature secondarie, rinforzi locali eccetera.
In conclusione il c.a.p. è un cemento armato che, oltre alle armature ordinarie, in
quantità ridotta, possiede delle armature speciali, mediante le quali viene precompresso.

5.1 RAGIONE DELLA PRECOMPRESSIONE


La necessità della presollecitazione deriva principalmente dalia disponibilità di acciai
con resistenza molto elevata rispetto all'acciaio ordinario e che, naturalmente, si vogliono
sfruttare appieno. Ciò non è possibile infatti con la tecnica del cemento armato ordinario,
con le armature che entrano in tiro per aderenza, poiché alla maggior resistenza dovrebbe
corrispondere anche un maggior modulo elastico Ea.
Si consideri una sezione in c.a. soggetta a flessione semplice, ed il suo comportamento c.a. non precompresso
agli stati limite di rottura e di fessurazione.
a) s.l. (ultimo) di rottura (par.4.3) s.l. di rottura
Si ricorda l'espressione ricavata per l'armatura bilanciata:
(
Ab = αbh[ε 'bu (ε 'bu +ε as )] × R*bu Ras )
Aumentando la resistenza di calcolo dell'acciaio Ras* e perciò anche εas (che vale
Ras* Ea ), a parità di altre condizioni il valore di Ab decresce molto rapidamente (al limite col
quadrato di Ras* ). Pertanto, impiegando acciai con Ras* crescenti, e non potendosi aumentare
in proporzione Rbu
*
, né tanto meno ε’bu (convenzionalmente fissa), tutte le sezioni tendono a
cadere nel campo delle sezioni fortemente armate. In conseguenza vanno incontro a rotture
di compressione (par.4.3) cioè a quelle in cui, per definizione, l'acciaio non raggiunge la
Ras* e, quindi, non viene sfruttato convenientemente.
b) s.l. (di esercizio) di fessurazione (par.4.9) s.l. di esercizio
1) I1 momento di fessurazione M *f dipende dal momento d'inerzia Ji della sezione ideale.
Questa a sua volta (par.4.1) non è legata alla resistenza dell'acciaio, ma solo al suo

120
modulo elastico Ea, tramite il coefficiente di omogeneizzazione n. Pertanto un acciaio
più resistente non porta nessun miglioramento, se non ha un Ea maggiore (che in effetti
non ha)
2) Il momento di apertura limite delle fessure, M w* , dipende dalla tensione σ a (wk ) (vedi
espressione dell'ampiezza wmax delle fessure), indipendentemente dal valore della
resistenza dell'acciaio: un valore elevato della resistenza può risultare inutile.
Dunque, un acciaio con resistenza Ras* elevata oltre certi limiti non può essere ben
sfruttato nel c.a. ordinario. Rispetto a tutte e tre le angolazioni da cui si è osservato questo
fatto, la ragione si riconduce alla perfetta aderenza che fa parte del modello di calcolo e
che, in effetti, si provvede per il buon funzionamento del cemento armato stesso.
Queste considerazioni possono riassumersi dicendo che l'armatura ad elevata resistenza,
per raggiungere le tensioni elevate di trazione, ha bisogno di elevati allungamenti ε. I1
conglomerato, se è aderente, deve subire gli stessi allungamenti: quindi è costretto a
deformarsi molto e, di conseguenza, a fessurarsi molto, ed a subire anche elevate ε di
contrazione al lembo compresso, rompendosi per compressione.
Con la tecnica della precompressione si può superare tale problema, permettendo alle
armature di subire degli allungamenti ε diversi (maggiori) rispetto a quelli del conglomerato
adiacente.
L'armatura viene tesa prima di essere resa solidale con la struttura: viene, cioè, pre-tesa armatura di precompressione
mediante opportune apparecchiature; viene poi bloccata nella sua pretensione, contrastando
la relativa forza sul conglomerato, il quale diviene precompresso. Le due forze danno luogo
ad un sistema autoequilibrato.
In queste operazioni le armature si allungano, mentre il conglomerato si contrae;
l'aderenza, eventualmente, viene stabilita dopo.
Le armature di precompressione sono costituite da: fili, barre, trecce (due o tre fili
avvolti fra loro), trefoli (più fili avvolti intorno a un filo centrale); fili, trecce o trefoli sono
spesso riuniti in fasci che formano dei cavi.

121
I sistemi di precompressione sono molti e coperti da brevetti; le differenze riguardano
essenzialmente la tecnica di messa in tiro e di bloccaggio delle armature.
Essi si suddividono in due gruppi: quelli a cavi pre-tesi o aderenti e quelli a cavi
post-tesi o scorrevoli.
Occorre fare una precisazione sui termini: nel c.a.p. i cavi sono sempre pre-tesi cavi pre-tesi (aderenti)
artificialmente rispetto all'entrata in azione dei carichi esterni, per la natura stessa della
precompressione. Nella suddivisione suddetta si intendono invece cavi pre-tesi quelli tesi
prima che venga gettato il conglomerato. In una prima fase essi vengono messi in tiro nelle
cassaforme vuote e contrastati o su di esse o a terra: hanno perciò un tracciato rettilineo
ovvero a tratti rettilinei. Viene poi eseguito il getto del conglomerato, ove essi rimangono
annegati (in tensione); a maturazione avvenuta, gli ancoraggi a terra vengono sbloccati ed i
cavi, impediti nell'accorciarsi dal conglomerato stesso, per aderenza, lo precomprimono.
I cavi post-tesi (s'intende: tesi dopo il getto del conglomerato) giacciono invece liberi in
guaine e sporgono dalle estremità dell'elemento gettato, finché questo non ha raggiunto un cavi post-tesi (scorrevoli)
indurimento sufficiente. A maturazione avvenuta i cavi vengono tesi dalle estremità,
contrastando immediatamente sul conglomerato, che precomprimono: debbono perciò
essere scorrevoli dentro la guaina. Una volta tesi a dovere, vengono bloccati alle estremità
contro il conglomerato. Tali cavi possono avere un tracciato curvilineo qualsiasi (senza
gomiti vivi), poiché durante il tiro la guaina rimane ferma nel getto indurito, secondo il
tracciato predisposto.
Gli apparecchi di bloccaggio sono commisurati alla portanza dei relativi cavi.
Generalmente il pezzo essenziale è una piastra d'acciaio o un cuneo, su cui vengono fissate
le estremità dei cavi, ed ha il compito di ripartire la forza di contrasto sul conglomerato.
A bloccaggio ultimato, dentro la guaina viene iniettata a pressione una malta di cemento
fluida, che la riempie tutta e poi indurisce.
La malta assolve le funzioni di proteggere il cavo dalla corrosione e di stabilire aderenza
tra il cavo e la guaina; questa è a sua volta aderente al conglomerato esterno, con il quale
pertanto il cavo viene a collaborare nelle successive fasi di carico, rendendo anche più
sicuro l'ancoraggio.

122
Si cerca di orientare la forza di precompressione nel conglomerato in maniera da comportamento
comprimere quelle zone che, nella sollecitazione derivante dalle azioni esterne, ri-
sulterebbero tese. In tal modo:
− inizialmente i cavi raggiungono elevate tensioni, allungandosi liberamente, e le zone di
c.a. potenzialmente tese accumulano compressione;
− sotto i carichi di esercizio i cavi si continuano a tendere, ma la trazione, invece che tutta
alle armature, viene attribuita anche al conglomerato che ricede la compressione
accumulata, senza parzializzarsi (nella maggior parte dei casi);
− per ulteriore carico il conglomerato si fessura e si parzializza, fino a rottura, ma l'acciaio
potrà essere sfruttato al massimo, avendo scontato elevati allungamenti iniziali.
La sezione in conglomerato, quindi, non parzializzandosi sotto i carichi di esercizio,
viene sfruttata integralmente. A ciò si accompagna un controllo completo della fessurazione
ed anche una riduzione della deformazione.
Tutto ciò ha naturalmente anche dei risvolti economici traducendosi in notevoli risparmi
di acciaio e di conglomerato, rispetto al c.a., a parità di sollecitazioni esterne. I1 minor peso
delle strutture, che ne deriva, riduce poi le sollecitazioni stesse e costituisce un ulteriore
fattore di risparmio.
Ciò consente, fra l'altro, di realizzare strutture inflesse di luci impossibili per il c.a.; mentre
quest'ultimo risulta conveniente negli elementi prevalentemente compressi, oppure nelle
strutture inflesse di piccola luce o intelaiate.

123
A titolo di curiosità si ricordano due esempi antichi di pro-sollecitazione artigianale, esempi tradizionali
applicate a note strutture: la botte e la ruota di bicicletta.
Nella fabbricazione di una botte le doghe vengono accostate faccia a faccia e poi legate
da cerchi di ferro montati a forzare e a caldo. Raffreddandosi, il cerchio stringe
ulteriormente la botte, cioè la precomprime. Se così non fosse, con l'entrata in carico della
botte per il riempimento, il cerchio si allungherebbe leggermente e, poiché l'interfaccia fra
doga e doga non reagisce a trazione, esse si distaccherebbero, facendo perdere tenuta alla
botte. Senza precompressione si avrebbe uno stato limite di esercizio paragonabile alla
fessurazione (o meglio alla decompressione) nel c.a.
Nel secondo caso, invece, i raggi di una ruota di per sé non potrebbero reagire a
compressione (essendo estremamente snelli andrebbero incontro allo s.l. di instabilità);
trovandosi di volta in volta al disotto del mozzo si affloscerebbero, ed il cerchione
lavorerebbe in modo del tutto improprio. Pertanto il ciclista pre-tende i raggi (contrastando
sul cerchione esterno, che si precomprime, e sul cerchio interno della ruota, che si
pretende). I raggi, una volta soggetti alla compressione del carico esterno, restano sempre in
trazione, ridotta, anche sotto carico. `

5.2 SFORZI DI PRECOMPRESSIONE


Molti sono i tipi di strutture in c.a. che vengono precompressi. Si ricorre a tale tecnica
ogni volta che è necessario ridurre il peso di elementi inflessi, (come per esempio in ponti,
coperture di grande luce) o quando si voglia annullare la fessurazione (serbatoi, tubi) o
limitare le deformazioni (tiranti eccetera).
Come per il cemento armato (par.4.0), in questo ambito verranno considerati solo gli
elementi monodimensionali (travi).
La sezione in c.a.p., oltre che agli sforzi esterni, è anche soggetta agli sforzi di
precompressione: l'analisi della sezione richiede quindi la determinazione di entrambi.
Poiché quella degli sforzi di precompressione presenta alcune particolarità, che influiscono
sulla verifica delle sezioni, esso verrà affrontato ora, limitatamente alle travi isostatiche,
nonostante un tale problema sia stato classificato (par.4.0) come appartenente alla analisi

124
della struttura. Si rinvia a questa (cap.8), per quanto riguarda gli sforzi di precompressione
nelle strutture iperstatiche.
5.2.1 CAVI SCORREVOLI (POST-TESI)
Si consideri una trave precompressa da un solo cava post-teso, come in figura, e senza
altre azioni.
La determinazione degli sforzi in ogni sezione sarebbe immediata se il cavo scorresse
nella guaina senza attrito, gli ancoraggi bloccassero perfettamente il cavo alle estremità,
N
nella tensione di tiro, ed i materiali non subissero fenomeni viscosi.
Infatti, dalla statica dei fili si verrebbe a dedurre che la tensione N nel cavo è costante ed cavo
uguale a quella misurata all'apparecchia di tiro (martinetto) al momento del blocco degli N
ancoraggi.
In ogni sezione si avrebbe: N
− nel cavo uno sforzo di trazione N, diretto come la sua linea d'asse in quel punto; c.a.
− nella parte in c.a., per l'equilibrio, una risultante uguale ed opposta: cioè uno sforzo N,
diretto come il precedente, ma di compressione. N

Lo sforzo di compressione N si può scomporre in tre componenti (considerando un caso Ncosα≅ N


piano): Nsinα α N
− una componente normale o pre-compressione in senso stretto, pari a N ⋅ cosα ;
− una coppia o pre-flessione, pari a N ⋅ cosα ⋅ e ;
− una componente tangente, o pre-taglio, pari a N ⋅ sen α ;
α è l'angolo fra le linee di asse del cavo e della trave, nella data sezione. Per le forme
normali, α essendo piccolo, si può porre cosα ≅ 1 .
Le sezioni andrebbero così verificate sotto l'effetto congiunto di questi sforzi e di quelli
prodotti dalle azioni esterne.
Prima di descrivere le correzioni necessarie, per effetto dei fenomeni accennati, si
descrive ora un altro modo di individuare gli sforzi di precompressione.
Si considerano tutte le forze superficiali scambiate fra cavo e conglomerato (sempre sistema equivalente
nelle ipotesi di cui sopra) che sono:

125
− forze di blocco agli ancoraggi, pari a N (e scomponibili nelle tre componenti)
− pressioni fra cavo e guaina lungo i tratti curvi; in mancanza di attrito esse sono
R
perpendicolari alla linea di contatto e valgono p = N/R (essendo R il raggio di curvatura
locale del cavo).
N
I1 sistema (autoequilibrato) costituito da queste forze rappresenta in dettaglio quello con α0
e0
cui si realizza la precompressione del c.a. e, rispettivamente, la pretensione del cavo. p=N/R
Quindi, calcolando gli sforzi prodotti da tale sistema, si ottengono per un'altra via
ovviamente gli stessi sforzi visti, sezione per sezione. I1 sistema di forze viene detto
p=N/R
pertanto sistema equivalente alla precompressione, essendo in verità proprio il sistema che Nsinα0 Nsinα0

la realizza. Ncosα0 Ncos0 α


M=N0 M=N0
Per calcolare la pre-compressione la pre-flessione ed il pre-taglio in una sezione, si
possono calcolare, rispettivamente, lo sforzo normale, il momento flettente ed il taglio Sistema equivalente alla precompressione

prodotti nella sezione dal sistema equivalente.


Si esaminano ora gli effetti degli attriti e del comportamento nel tempo dei materiali, che perdita di tensione
producono delle perdite di tensione nei cavi e, corrispondentemente, delle perdite di
precompressione nel c.a., rispetto ai valori predetti.
Si hanno delle perdite di tensione instantanee (cioè che avvengono durante le operazioni A) istantanee:
stesse di tiro e bloccaggio), tra l'apparecchio e le varie sezioni della trave; esse sono dovute
a vari fattori.
Una prima perdita si ha nell'apparecchio stesso, che per entrare in forza ha bisogno di un bloccaggio
certo cedimento, rispetto alla tensione letta sul martinetto in tiro.
Occorre calcolare che lo sforzo N0 all'ancoraggio non è, quindi, quello letto sullo
strumento, ma è ridotto, in una misura che dipende dal tipo di apparecchiature impiegate.
Inoltre, nelle sezioni via via più distanti dall'apparecchio, vi sarà una diminuzione attrito
progressiva della tensione, che andrà persa nell'attrito fra cavo e guaina. Fn

L'attrito nasce quando due superfici a contatto si scambiano una forza normale e tendono
Fa
a scorrere mutuamente. La forza di attrito Fa (tangenziale) che si può sviluppare è pari alla
Fa
forza normale Fn per il coefficiente di attrito f
Fn

126
Fa = f ⋅ Fn
p
Se si esercita una forza Fa maggiore di quella di attrito, le due superfici scorrono, ma N
cavo
resta una reazione tangenziale pari a circa Fa.
Nel caso cavo-guaina, la Fn è presente nei tratti in curva, distribuita sotto forma di una
pressione normale p = N/R (v.sopra); N è ora lo sforzo di trazione locale nel cavo, non più
guaina
costante.
Nei tratti rettilinei teoricamente non c'è pressione di contatto fra cavo e guaina. Ma
inevitabili serpeggiamenti del tracciato producono lo stesso effetto che in curva, in misura 0 1 2 3
N0
ridotta.
A causa degli attriti il cavo perde tensione tra l'estremità di tiro e le sezioni, al crescere
della distanza. Le norme prevedono pertanto che si calcolino tali perdite, suddividendo il N1
α01
tracciato del cavo in più tronchi (v.figura). A1 termine del primo tronco (0-1) si ha uno N2
α12
sforzo di pre-tensione N1 pari a: α23
N3
⎛ ⎞
N1 = N 0 × ⎜1 − f l l01 − f cα 01 ⎟ l01 l12 l23
{ ⎜ 14243 ⎟
⎝ ⎠
(N.B. i simboli N1 ,N2 ,N3 , non vanno confusi
perdite per attrito nel tratto 0-1 con quelli usati nel seguito per gli sforzi
in cui l01 ed α01 sono la lunghezza e l'angolo di curvatura del cavo nel tronco 0-1 fl ed fc i iniziali e finali di ogni sezione)

coefficienti di attrito in linea ed in curva.


Le norma stesse stabiliscono i valori dei coefficienti di attrito tra guaina (in lamierino) e
cavi, in mancanza di determinazione diretta:
fl = 0,003 m-1 ; fc = 0,3
Per la generica sezione (1,2,3...) occorre calcolare gli sforzi N1, N2, N3.... ridotti via via
fino alla sezione stessa, ripetendo l'operazione come per il primo tronco. La suddivisione in
più tronchi, non troppo lunghi, é necessaria, in quanto 1'espressione vista è
un'approssimazione lineare di un'integrazione, in cui lo sforzo N varia con continuità.
La determinazione degli sforzi variabili lungo il cavo è necessaria anche per il calcolo
dell'allungamento del cavo stesso che costituisce un controllo immediato, prima del blocco,

127
che il cavo sia tutto alla tensione prevista e non si sia incastrato in qualche punto nella
guaina. L'allungamento complessivo si ottiene dalla somma degli allungamenti nei vari
tronchi: per il tronco 0-1 esso vale
Δl01 = [(N 0 + N1 ) 2 Ea A] ⋅ l01 (A= area del cavo)
e così via per gli altri.
Alle perdite istantanee si può aggiungere quella dovuta al tiro dei cavi successivi. Una cavi successivi
trave, infatti, contiene generalmente più cavi, messi in tiro uno alla volta, ognuno dei quali
dà il suo contributo alla precompressione, accorciando la trave in proporzione alla sua
quota. Tale accorciamento produce una perdita di tensione nei cavi già in tiro, che si valuta
mediante il calcolo dell'accorciamento elastico della trave dovuto ai cavi successivi e
procedendo quindi come per il ritiro (v. oltre).
Le perdite differite procedono in tempi lunghi (mesi). Esse sono dovute sia b) differite:
all'accorciamento della trave per ritiro e per deformazioni viscose (che comporta un
accorciamento del cavo teso, riducendone la tensione): sia al rilassamento dell'acciaio
stesso, che costituisce di per sé una perdita di tensione.
La prima perdita deriva dal ritiro εrs successivo alla messa in tiro dei cavi: dipende ritiro
quindi dall'età del conglomerato al momento in cui questa avviene. Disponendo del valore
εr∞ sperimentale e delle curve esponenziali (par.3.1) di εri in funzione dell’età alla messa in
tiro, si può ottenere per differenza il ritiro successivo
ε rs = εr∞ − εri
In mancanza di determinazione diretta (e per spessore di conglomerato non
particolarmente sottile) le Norme forniscono i valori:
ε rs = 0,00030 (strutture precompresse prima di 14 gg.)
ε rs = 0,00025 (strutture precompresse dopo 14 gg.)
In conseguenza di un tale accorciamento nel cavo si avrà la perdita di tensione:
Δσr = ε rs × Ea ΔN r = Δσr × A

128
La perdita di tensione per deformazione viscosa del conglomerato dev'essere valutata viscosità conglomerato
secondo le Norme sezione per sezione, tenendo conto della posizione del cavo nella sezione
stessa, poiché esso seguirà la deformazione viscosa εv del conglomerato adiacente (in
seguito alla aderenza tramite la malta iniettata); essa vale:
ε v = (σ b Eb )χφ∞ (cfr.par.3.1)
in cui σb è appunto la tensione del conglomerato sotto l'effetto della precompressione
iniziale (cioè senza contare le perdite lente) e dei carichi permanenti nel punto dove passa
il cavo nella sezione data. (Per il calcolo di tale σb v.oltre).
Per il termine χφ∞ le Norme stesse concedono, in mancanza di determinazione
sperimentale, i valori:
χφ∞ = 2,3 (strutture precompresse prima di 14 gg.)
χφ∞ = 2,0 (strutture precompresse dopo 14 gg.)
La perdita di tensione corrispondente, analogamente al ritiro, varrà
Δσ v = ε v E a ΔN v = Δσ v × A
Va notato che tale procedura semplificata è molto approssimativa, in quanto la defor-
mazione viscosa della trave avviene sotto sforzi che variano nel tempo.
I1 rilassamento dell'acciaio è una perdita di tensione, funzione della tensione iniziale, rilassamento
del tempo e della temperatura. La rappresentazione analitica considerata dalle norme è stata
prospettata nel par.3.1.
La perdita di tensione per rilassamento va sommata alle altre perdite lente (ritiro e
deformazione viscosa del conglomerato). Tuttavia bisogna osservare che fra loro vi è
un'interferenza che ne riduce gli effetti: infatti il cavo, accorciandosi e perdendo tensione
per gli altri motivi, è soggetto a un rilassamento ridotto rispetto a quello che presenterebbe
se fosse tenuto a lunghezza perfettamente costante. Le Norme (art.2.6.2) concedono
pertanto una riduzione del rilassamento, con un'espressione approssimata.

129
Un artificio per ridurre effettivamente le perdite di tensione lente (e quella dovuta al tiro ritaratura dei cavi
dei cavi successivi) è la ritaratura dei cavi, ove il sistema di bloccaggio lo permetta. Questa
consiste in una rimessa in tiro del cavo, al valore iniziale massimo, dopo un periodo di
alcuni giorni o settimane, durante il quale si sono già sviluppate delle perdite. Mediante tale
rimessa in tiro le perdite, per la parte già sopravvenuta, vengono così recuperate.
La ritaratura non può essere sostituita da un maggior tiro iniziale, pur avendone gli stessi
effetti, in quanto, come si vedrà anche in seguito, la tensione di tiro del cavo ha per norma
un valore massimo ammissibile.
Riassumendo, un cavo non sarà tutto teso ad una tensione pari a quella realizzata al tiro, 1.1.1.3 perdite complessive
ma già inizialmente subirà delle perdite tra sezione e sezione, a causa degli attriti; inoltre, sforzi iniziali e finali in ogni sezione
tali tensioni caleranno col tempo (ma si suppone che le perdite si stabiliscano
asintoticamente a valori limitati). Interesserà quindi per ogni sezione lo sforzo N iniziale e
lo sforzo N a perdite lente avvenute o finale, che d'ora in avanti verranno detti brevemente
N1 ed N2; altrettanto vale per lo sforzo di precompressione sul conglomerato (uguale ed
opposto sezione per sezione a quello del cavo). N0
I due valori dello sforzo N dipendono dalla misura delle perdite, diversa da caso a caso.
Come ordine di grandezza esse valgono, detto N0 il tiro all'apparecchio, per un cavo:

6≈45 ÷ 30% di N 0
4744 8 64414 5 ÷ 25% di N 1
474444 8
N 2 ( finale ) = N 0 − ΔN anc − ΔN attr − ΔN rit − ΔN visc − ΔN rilass

N1(iniziale)

Riprendendo il sistema equivalente alla precompressione, esso va quindi corretto per le


perdite di tensione:
− inizialmente compaiono sul conglomerato delle forze distribuite tangenti al tracciato del
cavo (forze di attrito), che sono dirette in verso contrario a quelle di precompressione;
attraverso lo schema rappresentativo (v.figura) è evidente la riduzione di
precompressione via via che ci si allontana dagli ancoraggi;

130
− col passare del tempo tutte le forze del sistema equivalente si riducono per le perdite
lente, fino a stabilirsi sui valori cosiddetti finali.
Il problema dell'ancoraggio è di bloccare il cavo, in tiro con forze fino a centinaia di ancoraggio dei cavi
tonnellate, su una testata, o in un punto intermedio, della trave. Si tratta quindi di ripartire
una forza concentrata su una zona ristretta, (per ragioni di ingombro) di conglomerato. guaina
Senza entrare nella descrizione dei numerosi apparecchi di bloccaggio, essi si riconducono a cavo

piastre metalliche appoggiate sulla superficie di conglomerato, oppure a elementi che


penetrano nel getto. Ad essi vengono fissati i fili, trefoli o trecce formanti i cavi, mediante
sistemi di cunei, o dadi e cunei. Ancoraggio per barre
Anche le barre hanno degli ancoraggi a piastra, alla quale possono essere fissate con (sistema Dywidag)
dadi filettati (v.figura)5.
Nel conglomerato, al contatto con gli apparecchi di bloccaggio, sono ammesse delle
tensioni locali pari a R’bk/1,3, molto superiori a quelle ammissibili in sezione; tali pressioni
si attenuano diffondendosi verso l'interno della trave. La loro rapida diffusione genera però
delle tensioni di trazione trasversali, che debbono venir assorbite da opportune armature di
frenaggio, cioè da fitte staffature incrociate, perpendicolari al cavo, per alcune decine di
centimetri all'interno del getto.
I1 calcolo delle tensioni che nascono nei pressi dell'ancoraggio ricade nell'analisi degli
stati tridimensionali. Generalmente il dimensionamento del frettaggio, come quello
dell'ancoraggio stesso, non è compito diretto del progettista, ma viene stabilito in base a
indicazioni fornite dal possessore del brevetto.
Talvolta il cavo può venire messo in tiro da una sola estremità: allora, all'estremità
opposta si dispone un ancoraggio morto o autoancoraggio. I1 cavo, invece che uscire dalla
trave ed essere collegato a una piastra, rimane all'estremità morta annegato nel getto, con i
trefoli sfioccati a ventaglio o ripiegati a cappio e bloccati per aderenza. Anche questi
ancoraggi richiedono una armatura secondaria di diffusione.

5
Si rinvia alle proiezioni svolte nel corso per una illustrazione più dettagliata.

131
Con gli ancoraggi si ottiene un risparmio di materiale e di operazioni. Per i cavi che
hanno un tracciato lungo, però, il tiro da due estremità dà più sicurezza che la tensione
richiesta giunga fino alle sezioni più importanti.
Ad operazioni di tiro ultimate, gli ancoraggi esterni vanno ricoperti, generalmente con
una paretina in conglomerato, per protezione.
5.2.2 CAVI ADERENTI (PRE TESI)
cavo aderente
Si è detto che questi cavi vengono messi in tiro nella cassaforma vuota; poi si getta il
conglomerato che, a maturazione avvenuta, si precomprime sbloccando i cavi degli
ancoraggi esterni. La pre-sollecitazione di acciaio e conglomerato avviene perciò in due
tempi diversi, da cui il nome di cavi pretesi.
Per la attrezzatura fissa pesante che richiedono e per i vantaggi che offrono d'altra parte
(mancanza di ancoraggi in opera), essi vengono molto usati nella prefabbricazione.
L'esempio più corrente è quello dei travetti prefabbricati per solai, che vengono prodotti su
filiere, in pezzi molto lunghi, e poi tagliati a misura. Molti altri tipi di elementi vengono cavo aderente deviato

prodotti in serie con tale procedimento.


Non essendovi superfici a contatto durante il tiro, i cavi non possono avere tracciato perdite di tensione
curvilineo. Inoltre, salvo tracciati pluriangolati, non vi sono perdite per attrito.
Vi è però un calo di tensione nei cavi al momento dell'entrata in compressione del 1.1.1.4 A) contrazione elastica istantanea
conglomerato. Infatti questo, comprimendosi, si contrae, trascinando i cavi. Ciò non avviene
nei cavi scorrevoli perché, mentre i cavi vengono tesi il conglomerato si accorcia
simultaneamente.
Fin dall'atto della precompressione i cavi sono aderenti e si può ragionare su una sezione
omogeneizzata (par.4.1). Il coefficiente di omogeneizzazione viene però assunto pari a n =
6 (invece che 10 o 15) in base alla qualità superiore del conglomerato, ed alla
considerazione che esso non va in trazione sensibilmente, per cui il suo modulo elastico
complessivo è più elevato.

132
Si esamina dapprima la sezione precompressa da un solo cavo. Si avrà, applicando uno
sforzo N iniziale eccentrico di e (come il cavo), una tensione di compressione variabile
espressa dalla formula binomia (par.4.7)
σ b = N Ai + (Ne J i ) y
in particolare, all’altezza del cavo (y=e)
σ b = N (1 Ai + e 2 J i )

ε = σ b Eb = (1 Eb )N (1 Ai + e 2 J i )
Questa ε, per l'aderenza, è la contrazione unitaria locale del conglomerato ma anche del
cavo. Quindi la perdita di tensione, per effetto di tale accorciamento varrà
Δσ = Ea × ε = (Ea Eb )N (1 Ai + e 2 J i ) = n (N Ai )(1 + e 2 i 2 ) G
e ε σb
Ora, lo sforzo N è proprio lo sforzo di precompressione finale della sezione, cioè quello
a contrazione scontata
cavo risultante
N = N0 − Δσ × A
Risolvendo il sistema di queste due equazioni si ricavano le due incognite N e Δσ:
N0
N= ( = N1 )
nA ⎛ e 2 ⎞
1+ ⎜1 + 2 ⎟⎟
Ai ⎜⎝ i ⎠
in cui N0 è lo sforza di tiro iniziale, noto
A è l'area del cavo
Ai l'area della sezione ideale (B + nA)
I è il raggio d'inerzia della sezione ideale ( J i Ai )
N.B. Se all'atto della precompressione interviene un momento esterno M1(v.oltre), il
termine e2 diviene e(e − M1/N).

133
In conclusione, all'atto della precompressione, invece che le perdite per attrito e rientro
degli ancoraggi, nei cavi pre-tesi ha luogo una riduzione di tensione (che si può anche cavo aderente
chiamare perdita) per l'accorciamento elastico del conglomerato, conseguente al rilascio dei
cavi.
Una volta tagliati i cavi (a filo della testata della trave) l'ancoraggio si realizza per
aderenza: bisogna perciò considerare che il cavo stesso diviene pienamente efficace dopo
una conveniente lunghezza di ancoraggio, al pari di quanto si è detto nel par. 4.9; ciò va
tenuto in conto, ad esempio, nell'appoggio delle travi, la cui profondità dev'essere
sufficientemente lunga e staffata.
Invece, per le perdite differite, tutto avviene come per i cavi post-tesi: B) perdite differite
N 2 ( finale ) = N1(iniziale ) − ΔN rit − ΔN visc − ΔN rilass

5.3 COMPORTAMENTO E VERIFICA DELLE SEZIONI


La sezione in c.a.p. è dunque una sezione sottoposta preventivamente ad un sistema
autoequilibrato: uno sforzo N di trazione, applicato ad uno o più cavi, ed un uguale sforzo N
di compressione al c.a.
Lo sforzo N è noto ed è lo sforzo complessivo applicato al tiro, depurato delle perdite di
tensione di ogni cavo: sarà lo sforzo iniziale Ni, se al netto delle sole perdite istantanee; o lo
sforzo N2 finale, se al netto anche delle perdite lente.
Verrà ora trattata la precompressione integrale, cioè quella per cui, sotto le azioni di
esercizio, tutta la sezione è compressa (salvo una minima trazione ammessa). Si darà un
cenno, più oltre, sulle sezioni miste, in cui solo una parte viene precompressa, e delle
sezioni a precompressione parziale in cui l'intera sezione viene precompressa, ma non in
misura tale che resti senza trazioni significative in esercizio.
Nel caso, normale, in cui la trave sia precompressa con più cavi, si definisce, per cavo risultante
comodità, un cavo risultante, cioè un cavo ideale passante sezione per sezione nel centro di
spinta dei cavi.

134
cavi reali
Il cavo risultante (c.r.) sarà disposto in modo da presollecitare la trave in senso opposto
cavo risultante
alle sollecitazioni esterne. Ad esempio, in una trave appoggiata e con un carico distribuito
verso il basso, a cavi post-tesi, il c.r. avrà un andamento curvilineo come in figura, sezione

esercitando così una pre-flessione verso l'alto, crescente verso le sezioni di mezzeria, ed un sezione

pre-taglio, crescente verso gli appoggi, in proporzione, rispettivamente, ai diagrammi della c. r.


flessione e del taglio esterni. Ciò risulta anche meglio dell'osservazione del sistema
equivalente (par.5.2): per un cavo siffatto esso consiste in un carico ripartito e diretto verso
l'alto (oltre alle forze d'estremità).
Il comportamento di una tale trave si può descrivere sommariamente come segue. La comportamento
trave inizialmente appoggia sui casseri. La precompressione, entrando in gioco, tende a
imprimerle una deformata con curvatura verso l'alto. Purché gli appoggi siano
sufficientemente rigidi, essa tende a sollevarsi dalla cassaforma, rimanendo appoggiata alle
estremità e portando così, subito, il peso proprio insieme agli sforzi di precompressione.
Ciò è vantaggioso perché consente un migliore sfruttamento della precompressione, come si
vedrà anche oltre; però non accade se la trave viene appoggiata su un fianco o viene peso proprio
sostenuta nel tratto intermedio: problemi che sono da tener presenti nel trasporto dei c.r.
prefabbricati e che impongono eventualmente le verifiche di condizioni transitorie.
Un eccesso di precompressione non compensata dal carico potrebbe infatti provocare carichi accidentali
peso proprio
uno stato limite della struttura anche in fase iniziale, per deformazione, fessurazione o
anche rottura verso l’alto. Col tempo lo sforzo di precompressione diminuisce per le perdite c.r.
lente, quindi tale pericolo non si verifica se non subito.
Una volta caricata, invece, la struttura inverte l’inflessione fino a incurvarsi verso il
basso. Nella precompressione integrale si fa in modo che fino ai massimi carichi di
esercizio, il conglomerato non si fessuri e resti in campo elastico: le sezioni seguono bene lo
schema elastico interamente reagente.
Al crescere ulteriore del carico la trave si fessura e il conglomerate compresso entra in
campo non lineare σ − ε, come in una normale trave in c.a., fino alla rottura: la sola
differenza è che l'acciaio, pre-teso, raggiunge tensioni molto più elevate.

135
I1 fatto che la sezione sia pre-sollecitata comporta alcune particolarità nelle verifiche, in problemi di verifica
confronto al c.a.:
− prima di tutto le tensioni complessive non sono proporzionali (neppure in campo
lineare) ai carichi esterni, ma alla somma algebrica tra le sollecitazioni esterne e le
presollecitazioni (normalmente di verso opposto). Quindi la sola verifica alle tensioni
ammissibili è ancora più carente che nel c.a. ordinario, rispetto alla sicurezza in termini + + =
di aumento del carico; perciò le norme prescrivono, con le verifiche alle t.a., delle
verifiche aggiuntive agli s.l. di rottura e di fessurazione. precompressione M1 M2-M1

− inoltre, le condizioni più sfavorevoli per le tensioni massime non sono necessariamente
quelle a carico esterno massimo, ma possono essere quelle a carico esterno minimo: le
norme prescrivono perciò di verificare le tensioni in entrambe le condizioni;
− infine, lo sforzo di precompressione varia nel tempo. Poiché esso è opposto agli sforzi
esterni, il carico esterno minimo sarà più sfavorevole abbinato alla precompressione M1 M2
(min.) (max.)
massima (cioè iniziale); invece col carico massimo sarà più sfavorevole la
precompressione minima (a perdite lente avvenute). Queste sono infatti le due
N1 N2
condizioni per cui vengono svolte generalmente le verifiche alle tensioni ammissibili (a (max.) (min.)

parte i casi in cui la struttura viene eseguita in più fasi).


In base a tali considerazioni è evidente che, in sede di progetto, la forma della sezione di valori degli sforzi di precompressione
una trave inflessa verranno calibrate in modo da ottimizzare le verifiche in entrambe le
condizioni. Cioè, il momento di precompressione N×e avrà un valore opportunamente Me Te

intermedio fra Memax ed Memin, ed il pre-taglio N×senα sarà compreso fra Temax e Temin, N e Nsinα

in modo da minimizzare in assoluto le rispettive tensioni da verificare.


Prima di specificare i valori delle tensioni ammissibili, viene di fare un ulteriore tensioni ammissibili
considerazione. La condizione di carico minimo e precompressione iniziale ha luogo solo
all'atto della messa in tiro; col tempo la precompressione cala e con essa le corrispondenti
tensioni nei materiali. Quindi, la condizione di carico minimo col tempo si sposta verso la
sicurezza.

136
Essendo transitorie, le tensioni prodotte in tale condizione hanno dei valori ammissibili
più elevati di quelle a carico massimo (e precompressione finale). Queste stesse, comunque,
hanno dei valori leggermente superiore che nel c.a., a parità di resistenza caratteristica R’bk.
La ragione è che i materiali globalmente subiscono le tensioni massime alla messa in tiro e
poi non più, neppure con l'intervento dei carichi massimi (al contrario di quanto avviene nel
c.a.) superando una significativa riprova in opera. Questa sorta di collaudo preventivo dei
materiali al vero consente una certa riduzione dei coefficienti di sicurezza nelle tensioni
ammissibili.
Queste valgono, per il conglomerato:
in fase iniziale, a compressione: σ 'b = 0,48Rbkj

in fase iniziale, a trazione: σ 'b = 0,08Rbkj (0)

a regime, a compressione: σ 'b = 0,38R 'bk 28

a regime, a trazione : σ 'b = −0,06 R'bk 28 (0)


I valori di R’bk sono riferiti all'età (j giorni) del conglomerato nella fase corrispondente
alla verifica. Per le condizione a regime si adotta senz'altro la resistenza convenzionale a 28
giorni R’bk28. Per la condizione iniziale, se la precompressione è attuata ad es. dopo una
settimana dal getto, si adotterà la R’bk7, con il carico esterno minimo che agisce in tale data.
Se successivamente può intervenire un carico minimo inferiore (ad esempio una flessione di
segno uguale a quello della presollecitazione) la verifica andrà ripetuta per le resistenze e le
perdite di tensione relative alla data di tale intervento.
I valori ammissibili in trazione σ b interessano sia le σ normali alle sezioni (dovute alle
pressoflessione), sia le σ principali dovute al taglio. Le σ 'b di compressione per taglio
hanno qualche ulteriore limitazione.
Le σ b di trazione per pressoflessione sono limitate a zero nei casi, stabiliti, nei quali
vada esclusa la fessurazione.

137
Invece 1e tensioni ammissibili nell'armatura di precompressione valgono:
in fase iniziale a σ api = 0,85Rak ( s ) (cavi post-tesi)
a regime σ api = 0,6 Rak
Le resistenze Rak e Rak(s) devono essere garantite in produzione, secondo standards
stabiliti dalle Norme. La resistenza Rak(s) è allo snervamento: per i fili e le trecce viene
sostituita da Rak(0,2) per i trefoli di Rak(1).
Se le armature sono pre-tese, il coefficiente in fase iniziale viene portato da 0,85 a 0,90,
per tener conto della immediata riduzione di tensione per la deformazione elastica (par.5.2).
In ragione delle piccole trazioni ammesse nel conglomerato nella precompressione
integrale le tensioni stesse vengono calcolate sempre nell'ipotesi di sezione non schema di calcolo della sezione
parzializzata. Pur essendo ammesse delle σ di trazione, vengono però prescritte delle
armature sussidiarie in acciaio ad aderenza migliorata, in grado di assorbire l'intera
risultante di trazione ad una tensione convenzionale di 2200 Kg/cm2 in fase iniziale e di
1800 Kg/cm2 a regime.
Nell'analisi della sezione, per le sollecitazioni esterne che intervengono dopo che è stata
Stabilita l'aderenza, le armature (sia pre-tese che post-tese) vengono omogeneizzate
(cfr.par.4.1 e 5.2) con un coefficiente n = 6. Viene ammessa nell'acciaio una sovratensione
pari a 0,06 Rak, per tali azioni.
Più oltre verranno precisate i criteri ed i coefficienti di sicurezza per le verifiche agli
stati limite.

5.4 FLESSIONE SEMPLICE


Con sollecitazione di flessione semplice s'intende quella prodotta dalle azioni esterne e
consistente in un momento flettente Me. La sezione sarà soggetta anche allo sforzo di Me
precompressione (autoequilibrato) calcolato come si è mostrato nel par.5 c.r.
sezione
Si assume che la sezione, nell'ambito delle tensioni ammissibili, anche di trazione, sia
interamente reagente, elastica e nella deformazione rimanga tutta piana, eccetto N

138
naturalmente il cavo: questo subisce una deformazione e preliminare indipendente e poi
eventualmente viene legato alla deformazione della restante sezione per aderenza.
5.4.1 VERIFICHE
Le verifiche, secondo quanto detto nel paragrafo precedente, saranno le seguenti

a) t.a. condizione iniziale


La precompressione è la massima. I1 carico esterno da considerare è il minimo. Se i cavi
sono post-tesi la sezione non li comprende, ma anzi dev'essere depurata dei fori delle
guaine.
Prima di tutto il carico. Dovendosi considerare quello esterno minimo, esso sarebbe
nullo. Però normalmente si fa in modo che questa condizione non si verifichi mai, che
almeno il peso proprio della trave entri in carico all'atto stesso della precompressione
(cfr.par.5.3). σsup1 -0.08R'bk
Poiché la sezione si mantiene elastica, reagente e piana, si può impiegare la formula (0)
binomia (par.4.7) per il calcolo delle tensioni. Detti: ys1
M1
N1 lo sforzo iniziale del cavo risultante nella sezione (contiene le perdite
istantanee, non quelle lente)
M1 il momento flettente esterno Me minimo sulla sezione
yi1 e
A1 J1 area e momento d'inerzia della sezione iniziale (per i cavi pretesi coincide
con quella definitiva).
Le verifiche delle σ nel conglomerato, che debbono essere soddisfatte ai lembi superiore N1

e inferiore sono: σinf1 <0.0048R'bk


trazione compressione
σ sup y s1 ≥ −0,08 R ' bk ( j ) (0 )
(N1 A1 ) + [(N1 × e + M 1 ) J 1 ]
y i1 ≤ 0,48 R ' bk ( j )
σ inf

139
Il primo termine dà la compressione baricentrica. Il secondo sovrappone la preflessione
(N1×e) alla flessione esterna minima M1; yS1 e yi1 sono le distanze dei lembi superiore e
inferiore dal baricentro G1 (riferendosi a casi abituali di travi orizzontali con carichi diretti
verso il basso: gli indici superiore e inferiore vanno intesi in accordo col verso del momento
esterno).
La formula serve anche per la σb da introdurre nel calcolo delle cadute di tensione per
effetto della viscosità (par.5.2) ponendo, al posto di yi, l'eccentricità e del cavo.
La σ di trazione nel cavo, dal canto suo, deve verificare
σ api = N1 A1 ≤ σ api (A = area del cavo)

(i valori di σ api sono indicati nel paragrafo precedente).


Nel caso di più cavi, questa verifica deve valere cavo per cavo, e non solo per il c.r. σsup2 ≤ -0.038R'bk
b) t. a. , condizioni a regime
Durante le perdite lente le tensioni nella sezione si alterano, ma le Norme consentono il
calcolo approssimato del valore ridotto N2 di cui al par.5.2 applicato alla stessa sezione; G1
anche il cavo risultante si può spostare lievemente se le perdite di tensione non sono uguali M2
G2
per tutti i cavi. I1 carico esterno da considerare è il massimo o, meglio, quello che provoca
e1
il massimo momento flettente Me = M2 sulla sezione che si verifica. La sezione su cui
agisce il sovraccarico comprende anche le armature di precompressione, oltre a quelle N2
ordinarie, omogeneizzate con coefficiente n = 6. I1 baricentro G2 di tale sezione sarà quindi
σinf2 -0.06R'bk
spostato leggermente verso il cavo risultante; le distanze ys ed yi saranno alterate di
conseguenza. Le verifiche nel conglomerato saranno:
y s2 ≤ 0,38 R ' bk (28 )
σ sup
(N 2 A1 ) + [(N 2 × e1 + M 1 ) J 1 ] + [(M 2 − M 1 ) J 2
σ inf y i2 ≥ −0,06 R ' bk (28 ) (0 )

nell’acciaio dei cavi:

140
Δσ a = [(M 2 − M 1 ) J 2 ]emax ≤ 0,06 Rak (trazione)
emax essendo la eccentricità del cavo più distante da G2
c) verifica alla fessurazione
Questa verifica è richiesta per le strutture in ambienti aggressivi.
I1 momento di fessurazione M *f (cfr. anche par.4.9) si calcola con coefficienti di
sicurezza sui materiali γm = 1. Esso è il momento per il quale la σinf2 eguaglia la resistenza
convenzionale a trazione per flessione (par.5.2):
σ inf 2 = Rbk ( f ) = −2(7 + 0,06 R' bk 28 ) (kg/cm2)
quindi M *f si ottiene uguagliando a Rbk(f) l'espressione (di cui al punto b) di σinf2.

[ ]
− 2(7 + 0,06 R ' bk 28 ) = (N 2 A1 ) + {[(N 2 e1 + M 1 ) J 1 ] + (M *f − M 1 ) J 2 }yi 2

ricavato M *f , esso va confrontato col momento esterno di calcolo (per la fessurazione),


che in base alle norme è il momento massimo di esercizio M2 per un coefficiente γf
complessivo pari a 1,3:
M *f ≥ M e* = 1,3M 2
d) verifica a rottura
Nelle verifiche precedenti lo schema di comportamento della sezione si è potuto
assumere reagente, elastico e (a aderenza avvenuta) omogeneizzato. E' venuto comodo
perciò tener in conto che i cavi sono tesi più del conglomerato, mediante l'applicazione di
due forze N uguali e contrarie: una di trazione al cavo e una di compressione alla restante
sezione; le perdite lente sono state poi riassunte in una riduzione di dette forze. Agli effetti
della precompressione sono stati infine aggiunti quelli delle forze esterne, attraverso un
momento flettente, agente sulla sezione con i cavi omogeneizzati
A rottura tale schema non è più adeguato, essendo la sezione fessurata, e le tensioni di schema di calcolo
tutti i materiali in campo non lineare. Le sovrapposizioni di effetti non sono possibili e non

141
conviene più l'artificio di separare nelle due forze uguali ed opposte gli effetti della
precompressione.
Pertanto la sezione dovrà essere analizzata sotto gli effetti congiunti di precompressione
e momento esterno. ε ε 'bu
Lo schema di calcolo della sezione è analogo a quello per l'analisi non lineare della
sezione in c.a.(par.4.3), ove si aggiunga la deformazione preliminare Δεp del cavo, cioè la
C
differenza di ε che si ha tra cavo e conglomerato adiacente, a perdite lente avvenute (e che
si calcola in campo elastico Δεp = N2/AEa).
La sezione rimarrà dunque piana nella deformazione (a meno della Δεp nel cavo) e sarà
parzializzata.
T
Le relazioni σ − ε del conglomerato e dei due tipi di armatura sono i diagrammi di c.r. armatura
calcolo (par.3.1) assumendo le rispettive resistenze di calcolo ordinaria
Rb* = 0,55 × R' bk , e Ra* = Rak
Ciò posto, la ricerca del momento di rottura si effettua esplorando i diagrammi di ε che bu
passano, al lembo superiore, per ε:= ε bu = 0,0035, fino a trovare quello per cui le risultanti
si uguaglino (C = T) individuando la condizione di flessione semplice (v. figura). C
Tali risultanti si calcolano come nel par-4.3, salvo quella del cavo
T p = A × σ (ε ap + Δε p ) = A × σ p
t
C=T
in cui εap è la deformazione della sezione nel punto del cavo e σ (ε ap + Δε p ) è la tensione ε σp Tp
εaoap T
che corrisponde alla ε = ε ap + Δε p . σo
To
ε ap ≤ 0,01 εcavo = εap + (N2 /AEa ) T=To +Tp
come del resto per le armature ordinarie adiacenti. εarm.ord = εao
Individuato il diagramma di rottura per flessione, il momento interno ultimo vale
M u* = C × t = T × t

142
ove, t braccio delle forze interne misura la distanza fra le rette d'applicazione delle due
risultanti.
La verifica, come al solito sarà
M u* ≥ M e*

in cui M e* , momento esterno di calcolo (per la rottura), è dato per norma dal momento
massimo di esercizio M2 per un coefficiente di sicurezza complessivo γf = 1,75
M e* = M 2 × 1,75
Poiché il calcolo delle risultanti può essere laborioso, per i casi, di travi a T o ad I verifica semplificata
normalmente dimensionate (cioè non troppo basse) si può fare una verifica a rottura
semplificata.
In tali casi, infatti, si presume che le armature raggiungano, a rottura, le rispettive C
resistenze Ra* ; cioè che la sezione si comporti come una sezione debolmente armata
(par.4.3), cosa che si ottiene proprio in virtù della precompressione (par.5.1). t
Quindi la risultante di trazione varrà senz'altro
T = Ra*( p ) A( p ) + Ra*(o ) A(o ) R*
ap A*
ap T
avendo indicato con l'indice p le armature di precompressione e con o le armature R*
ao Ao
ordinarie. Componendo le forze delle varie armature, se ne trova la retta di azione. Senza
dover poi calcolare la risultante C (essendo C = T). si assume che la sua retta d'azione sia al
centro dell'ala superiore; con il che si determina il braccio delle forze interne t (v.figura).
Segue che:
M u* = T × t
da verificarsi come sopra.

143
5.4.2 PROGETTO
Per progetto della sezione si intende,come già n.el cap.4, il dimensionamento, a
momento esterno assegnato, della sezione stessa in maniera che soddisfi le verifiche
ottimizzando l'impiego dei materiali.
Nel caso della sezione precompressa dovranno essere assegnati sia il momento
massimo M2 sia il momento minimo M1.
Si considera ora un procedimento di dimensionamento di massima per sezioni in cui M1
e M2 abbiano lo stesso segno, come avviene nella maggior parte delle strutture isostatiche.
Innanzi tutto qualche considerazione sulla forma più opportuna delle sezioni.
Poiché la precompressione genera una flessione opposta a quelle dei carichi, si avrà che forma della sezione
col momento M1 sarà compresso un lembo (continuando a riferirsi alla trave appoggiata, il
lembo inferiore), mentre con il momento M2 sarà compresso l’altro (superiore). I1 caso è
analogo alla pressoflessione di segno alterno nel c.a. (par.4.7), e converranno quindi le
sezioni a I (doppia T), in generale non simmetriche, tra cui si includono anche quelle di
forma scatolare, che, nei riguardi della flessione retta, sono loro equivalenti a parità di ali e
di anime.
Si esamini lo stato tensionale rispetto alle verifiche alle t.a.
1) Nella condizione di carico minimo agisce sulla sezione uno sforzo N1, eccentrico di M1 N1 δ1
e,
N1
ed un momento esterno M1 che, combinati, corrispondono allo sforzo N1 spostato verso
l'alto della quantità δ1= M1/N1, sotto quest'azione,detta appunto stato corrispondente,
devono essere soddisfatte le verifiche: in particolare, al lembo superiore, la σ dovrà essere
contenuta entro la σ ammissibile di trazione ( σ b = 0 , oppure = 0,08 R’bk). Se la struttura
N2
ricade nel primo caso ( σ b = 0 ) la risultante N1, spostata di δ1, non dovrà risultare fuori dal
δ2
nocciolo; nel secondo ( σ b = −0,08R ' bk ) la N1 non dovrà risultare esterna ai punti limite
M2
(leggermente esterni al nocciolo). Per comodità si ragionerà sul nocciolo, ma le conclusioni
varranno anche per i punti limite. N2
2) Analogamente, per il momento massimo M2 lo stato corrispondente sarà la forza di

144
precompressione N2, spostata della quantità δ2 = M2/N2; essa neppure dovrà risultare esterna
al nocciolo o ai punti limite (della sezione con i cavi omogeneizzati).
In una buona progettazione risulterà conveniente che le due verifiche siano soddisfatte di
giustezza, per sfruttare appieno la capacità dei materiali.
Ai fini delle considerazioni qualitative seguenti, si prescinda dalle differenze fra N1 ed
N2, fra i noccioli delle condizioni 1 e 2, e si supponga semplicemente che la sezione sia
soggetta a una forza N, in corrispondenza del cavo risultante: col momento M1 si dovrà
spostare di un δ1 almeno fino all'estremo inferiore di nocciolo; col momento M2 si dovrà
spostare di un δ2 non oltre l'estremo superiore di nocciolo.
Se la sezione ha solo carico permanente (M2 ≅ M1) converrà che δ1 ≅ δ2, cioè che il
nocciolo sia di ampiezza nulla e che δ1 sia massimo, per limitare N: a ciò corrisponde una
sezione a T ideale, con tutta l'area concentrata nell'ala e il nocciolo ridotto al baricentro G

(1'anima,di area nulla, è necessaria per distanziare il cavo di δ1). Se invece una trave ha solo
nocciolo nocciolo
carico accidentale, essendo il peso proprio trascura bile, M1 = 0, converrà che δ1= 0 e che δ2 G

sia massimo: a ciò corrisponde una trave a I ideale, simmetrica con tutta l'area concentrata
nelle due ali. I1 nocciolo risulta alto quanto la sezione, riducendosi al segmento
congiungente le due aree.
Naturalmente questi sono esempi estremi: l'area dell'ala non potrà essere concentrata in
un punto ed anche l'anima dovrà avere un suo spessore, sia per permettere il passaggio dei
cavi rialzati, sia per resistere al taglio. D'altra parte, né il peso proprio né quello accidentale
saranno mai nulli, per cui sarà M2 ≠ M1 ≠ 0.
Resta però l'indicazione di tendenza: una trave che sopporta un carico in massima parte
permanente avrà una sezione a T (ad esempio per una copertura di grande luce); una trave
che sopporta un carico essenzialmente accidentale avrà sezione a I (ad esempio un ponte di
piccola luce). Nei casi intermedi le sezioni avranno forme a doppia T con ali diverse,
secondo il rapporto tra le sollecitazioni massime e minime.

145
Converrà, insomma, concentrare le aree di conglomerato il più possibile ai due lembi, in
proporzione opportuna, piuttosto che a un solo lembo, come nella sezione inflessa in c.a., a
causa dell'alternarsi del lato compresso al variare del carico accidentale.
Ciò posto si darà qualche indicazione sulla via da seguire per un primo dimensionamento
dimensionamento della sezione e dello sforzo di precompressione.
La sezione non sarà univocamente determinabile in base a deduzioni analitiche, essendo
molte le soluzioni possibili. I parametri a disposizione sono: l'altezza della sezione, le
dimensioni delle ali e dell'anima, la quantità e la posizione delle armature. I dati sono i
momenti flettenti esterni minimo e massimo M1 e M2 (anche se, per la loro determinazione
occorre conoscere il peso proprio della struttura, e quindi se ne dovrà introdurre un valore di
stima). l
Trattando sempre sezioni con momenti esterni dello stesso segno (come ad es. in una
h
trave appoggiata) si osserva innanzi tutto che il cavo risultante verrà disposto il più in baso
possibile, compatibilmente con gli ingombri ed i copriferri, per rendere massimi δ1 e δ2 e
l/15 > H > l/25
quindi risparmiare sulla armatura di precompressione.
L'altezza della sezione può essere condizionata da esigenze non strutturali. Riducendo
l'altezza occorre aumentare l'armatura e viceversa, ma oltre certi limiti l'aumento d'altezza
non conviene, comportando l'aumento di conglomerato (e di peso). In pratica, per le travi
b1
appoggiate, l'altezza H è compresa generalmente fra 1/15 ed 1/25 della luce 1.
s s/2
Fissata l'altezza, risulta fissato approssimativamente il braccio delle forze interne a C
rottura (cfr.più sopra: verifica semplificata). Infatti:
− è facile valutare, in base al numero dei cavi approssimativo, la distanza c del c.r. dal H t
lembo inferiore (∼ 5 ÷ 10 cm); (il copriferro minimo per la guaina è fissato dalle norme
T
in 35 mm); A c
− lo spessore s dell'ala superiore pure potrà esser valutato: la sua. dimensione è legata alla (A = area del c.r.)
larghezza dell'ala stessa, e al fatto che questa lavora anche a flessione trasversale,
portando direttamente dei sovraccarichi o almeno il proprio peso: spesso l'ala superiore
è inglobata in solette, (nei ponti, coperture, eccetera):

146
t = H −c−s 2
Conoscendo quindi M2 ed il braccio t ed avendo considerato che, a rottura, le risultanti
di compressione e di trazione valgono approssimativamente:
C ≅ b1 × s × Rb* T ≅ A × Rak
e che
M u* = T × t = C × t
volendosi ottenere inoltre
M u* ≅ M e* = M 2 × 1,75
si ricaverà
b1 ≅ (M 2 × 1,75) (t × s × Rb* ) ; A ≅ (M 2 × 1,75) (t × Ra* )
tale risultato, si ripete di prima approssimazione, è fondato sulla considerazione che il
grosso della risultante di compressione interessa essenzialmente l'ala compressa: occorre
quindi che s non sia troppo grande rispetto ad H e che H stessa sia sufficiente a che (in una
trave normalmente dimensionata per i carichi dati) 1'acciaio possa raggiungere la propria
resistenza: qualcosa di simile alla condizione che rende una sezione in c.a. debolmente
armata (par.4.3), cosa opportuna, come si è detto, ai fini della duttilità.
Ricavata A, area del c.r., si può dunque ricavare lo sforzo di precompressione disponibile
N1 = Aσ api − ΔN ist N 2 = N1 − ΔN l

in cui ΔNi e ΔNl sono le perdite di tensione istantanee e differite stimate per la data sezione.
A questo punto la sezione è dimensionata in quanto all'altezza H, all'ala superiore, ed al
cavo risultante. Resta da attribuire quindi:
− la larghezza dell'anima bo,che in genere si mantiene al minimo, compatibilmente con il
passaggio dei cavi e delle staffe e anche in relazione con l'altezza H. In genere si ha un
minimo di una dozzina di centimetri (per ogni nervatura, se trattasi di una sezione
cellulare. Peraltro l'anima è soggetta anche alle verifiche a taglio (v.oltre);

147
− la dimensione dell'ala inferiore: per determinarla si fa riferimento alla verifica delle σb a b1
precompressione massima N1, (e momento minimo M1) con successivi ampliamenti a.n.
dell'ala, fino a soddisfare la verifica stessa, alle tensioni ammissibili.
M1
Infatti, così come la verifica col momento massimo M2 regola la dimensione dell'ala
b0
superiore (sia a rottura, come si è visto, sia alle t.a.), la verifica con M1 ed N1 regola la H
dimensione dell'ala inferiore: basta considerare che la σb al lembo compresso, se il lembo
N1
opposto è l'asse neutro, è data dalla formula monomio (par.4.7) A
σb max
σ b max = (N1 Sn )H b2
in cui Sn, rispetto all'a.n., risente soprattutto dell'ala inferiore stessa, più distante.
Con ciò la sezione sarebbe definita. In realtà è necessario procedere un po' più a lungo
con aggiustamenti successivi, ripetendo le verifiche, per metterle tutte a punto tenendo
conto della forma esatta della sezione con i raccordi, i cavi reali, le perdite di tensione, le
armature, i pesi propri effettivi ordinari, eccetera.
Esistono vari procedimenti per la guida rapida degli aggiustamenti in funzione delle
verifiche, per i quali si rinvia ai testi più specializzati. Bisogna tener in conto, infine, che
sovente alcune dimensioni sono fissate da esigenze d'uso (si pensi, ad es., alla larghezza
viabile per un ponte): ancor più si tratterà di contemperare le esigenze di verifica statica
(che, essendo delle disuguaglianze, lasciano spazi di manovra dalla parte della sicurezza),
con il disegno complessivo.

5.5 FLESSIONE E TAGLIO


Anche per il taglio valgono le considerazioni di carattere generale fatte sugli effetti della
presollecitazione.
I1 cavo risultante, in tiro preliminare, esercita sulla sezione uno sforzo di taglio opposto
a quello esterno. In esercizio, le tensioni tangenziali saranno quindi ridotte. A rottura, il
cavo potrà collaborare con altre armature al massimo della sua capacità senza dover subire
allungamenti incompatibili, avendoli subiti preliminarmente.

148
Le verifiche sono prescritte solo per le condizioni di esercizio, con lo sforzo esterno Te differenze rispetto al c.a.
massimo e minimo. Prima di svilupparle, si esaminano le differenze nella analisi della
sezione in c.a.p. rispetto a quella in c.a. (par.4.4)
1) mentre le armature ordinarie si considerano scariche ai fini del calcolo delle τ nel
Te
conglomerato in esercizio (par.4.4), l'armatura presollecitata è senz'altro in tiro e
quindi alleggerisce dette tensioni; ciò comporta che, nel c.a.p., dallo sforzo di taglio c.r. N Nsinα
Te agente sulla sezione, per il calcolo delle τb sarà sottratto lo sforzo di pre-taglio α
Nsenα, e si impiegherà lo sforzo:T = Te − N senα

149
2) le tensioni principali di trazione σ1 associate alle τ vengono ridotte dalla
precompressione; poiché sono queste che vanno limitate (contro la fessurazione) ciò σG σG
σ2
costituisce un ulteriore beneficio; il quale può essere accresciuto mediante l'uso τG
anche di staffe pretese, che è comunque riservato a casi speciali. τG
σ1
3) le dette σ1 di trazione, oltre ad essere inferiori, hanno anche una diversa
inclinazione; le fessure non saranno quindi a 45° ma ad un'inclinazione più bassa e, σG < 45°
σ2 σ1
da uno schema a traliccio di Moersch, gli sforzi nelle armature risulteranno inferiori. σ (trazione)
4) lo sforzo di pre-taglio Nsenα, avrà possibilmente un valore intermedio fra il minimo
ed il massimo taglio esterno T1 e T2, al fine di minimizzare in assoluto il taglio
complessivo T: questo, pertanto, avrà nelle due condizioni verso opposto, anche se
Nsen α
T1 e T2 hanno lo stesso verso. Le armature ordinarie per il taglio non potranno quindi
seguire l'orientamento delle σ1, come i ferri piegati nel c.a., ma dovranno essere T1
efficaci per entrambi i versi: saranno quindi solo staffe verticali.
Occorre però osservare che, per una corretta valutazione di tutti i benefici suddetti,
bisognerebbe considerare le azioni esterne "di calcolo". Considerare quelle “di esercizio” Nsen α
può essere pericolosamente sfavorevole alla sicurezza. Quello della precompressione è un T2
tipico caso di azioni producenti effetti discordi e quindi bisognose dei coefficienti parziali
γF.
La verifica convenzionale di regolamento si effettua solo in corrispondenza del verifica delle tensioni nel conglomerato
baricentro G della sezione. Le tensioni nelle due condizioni di verifica valgono ri-
spettivamente: b σG τG

τ G = [(T2 − N 2 sen α ) (J 2 × b )]S2*G σ G = N 2 A1 6

6
Le norme impongono talvolta una riduzione convenzionale della σG per la verifica alle t.a., per simulare
1'effetto di un coefficiente γF sulle sole azioni esterne. b σG τG

150
τ G = [(T1 − N1 sen α ) (J 1 × b )]S1*G σ G = N1 A1
b è la larghezza dell'anima, depurata del diametro della guaina.

151
Le corrispondenti σ1 principali di trazione, si ricavano dal circolo di Mohr:
τ τ
σ 1 = (σ G 2 ) − (σ 2
g 4) + τ 2
G
σ1
e dovranno risultare inferiori alle rispettive σ b di trazione (cfr.par.5.3) β1

σ 1(iniz. ) ≤ 0,08R'bkj σ 2 (regime ) ≤ 0,06 R'bk 28


β2
Dal circolo di Mohr si ricava anche che l'angolo β formato dal piano normale alla σ1
(piano secondo cui si formano le fessure) col piano orizzontale ha a regime iniziale σ2

tg β = σ1 /τ
in valore assoluto minore sempre di 1, per cui β > 45° ; inoltre, poiché la τ ha nelle due
condizioni esaminate versi opposti, così sarà anche per β.
I1 calcolo degli sforzi nelle staffe viene condotto su uno schema analogo al traliccio di calcolo delle armature
Moersch (par.4.4), tenuto conto della diversa inclinazione (β ≠ 45°) delle aste di parete
compresse. Lo sforzo di scorrimento ΔF relativo ad un tratto di trave lungo Δl è dato d F2
⎛ ⎧T − N 2 sen α ⎞ β2
ΔF = ∫ τ G × b × dl = ∫ (T t )dl
Δl Δl
(t = J S *n ) ⎜T = ⎨ 2
⎜ T − N α

⎟ Tst C
⎝ ⎩ 1 1 sen ⎠
Δ F1
Come per il c.a., anche qui si effettua direttamente il calcolo dell'armatura necessaria
(che automaticamente soddisfa la verifica) essendo lo schema isostatico. Lo sforzo di
β1
C Tst
trazione complessivo Tst nelle staffe del tratto Δl vale
Tst = ΔF× tgβ
Si assume naturalmente il maggiore in assoluto, corrispondente alla condizione di carico
per cui Tst (e non Te) è massimo.
I1 numero di staffe nst necessarie nel tratto Δl (tenendo conto che una staffa ha 2 braccia
utili) si ricava dalla relazione di equilibrio
nst × 2 × Ast × σ a = ΔF × tgβ

152
Tali staffe sono le staffe di anima. Data la forma non rettangolare della sezione, come
del resto anche nel c.a. quando è il caso, le staffe saranno composte di altri pezzi staccati
per le ali, in maniera da chiudere tutto il perimetro (v.figura).
Come nel c.a. il rialzo dei ferri piegati deve essere verificato anche rispetto alla
flessione (cfr.diagramma dei momenti ammissibili par. 4.4), così anche nel c.a.p.
(principalmente per i cavi post-tesi) il tracciato del cavo risultante sarà tale da ottimizzare
il valore del pre-taglio Nsenα sezione per sezione, al fine di ridurre il taglio complessivo
T; ma dovrà anche rispettare le condizioni per le verifiche a flessione lungo tutta la trave
(oltre alle esigenze di ingombro degli ancoraggi in testata).
Ancora, si prenda ad esempio una trave appoggiata agli estremi e di sezione costante. fuso del cavo risultante
Una volta definita la sezione di mezzeria (forma e armatura) si tratta di stabilire il campo
in cui può passare il c.r., affinché siano verificate le tensioni ammissibili in tutte le
sezioni. In genere si considerano, per semplicità, solo le verifiche delle σ minime
(trazione) nelle due condizioni di carico; le σ massime, a sezione e precompressione date,
risultano all'incirca egualmente verificate. M1
Tale campo viene detto per la sua forma fuso ammissibile del cavo risultante.
Nella sezione generica si è visto (par.5.4, PROGETTO) che lo stato corrispondente
alla condizione di carico minimo è per la sezione una forza Ni applicata in un punto
distante δ1=M1/N1 dal cavo risultante; ed è una forza N2 applicata in un punto distante
nocciolo
δ2=M2/N2, per la condizione di carico massimo. o punti limite N1
Si considera prima il caso in cui la σb = 0. Allora, la forza che rappresenta lo stato
δ1 =M1/N1
corrispondente dovrà restare sempre nel nocciolo.
A causa della condizione di minimo il cavo risultante deve passare perciò ad una
distanza non superiore a δ1 al disotto del nocciolo.
La distanza δ1 (variabile da sezione a sezione in funzione dei relativi M1 e N1), staccata
dall'estremo inferiore di nocciolo costituisce quindi il bordo inferiore del fuso: (se il c.r.

153
passa più in basso, il lembo superiore va in trazione in presenza del momento minimo M1
e della precompressione N1).
Per la condizione di massimo, il c. r. deve invece passare a una distanza non inferiore a
δ2 al disotto dell'estremo superiore del nocciolo: il bordo superiore del fuso sarà quindi la
distanza δ2 (variabile anch'essa da una sezione all'altra) staccata da tale estremo (se il c.r. è
più alto, il lembo inferiore va in trazione sotto il momento massimo e la precompressione
N2).
All'estremità appoggiata della trave, dove sia M1 sia M2 sono nulli, il fuso coincide col
nocciolo; così è in generale per tutti i punti di cui il momento è sempre nullo. Quando i M2

momenti esterni sono negativi, le rispettive distanze δ vanno staccate verso l'alto.
Se la sezione di momento massimo (qui la mezzeria), è stata progettata in maniera da N2

raggiungere in entrambe le condizioni le rispettive σ b , il fuso in tale sezione si riduce a un δ1 =M1/N1

punto (v. figura).


I bordi del fuso riflettono ovviamente l'andamento dei momenti M1 e M2 (che nella
trave appoggiata e carico uniforme è parabolico); per precisione dovrebbe tener conto
della variazione di N per gli attriti, da sezione a sezione. fuso del c.r.
I1 fuso emerge dal nocciolo per la parte inferiore. Ciò rappresenta il vantaggio della
presenza di una parte del carico (M1) all'atto della precompressione: quanto maggiore essa
è, tanto più il cavo può uscire dal nocciolo, guadagnando braccio per il carico massimo.
I1 fuso, dunque, individua il campo ammissibile del cavo risultante: i singoli cavi
possono correrne però all'esterno. Talvolta in travi molto armate, non tutti i cavi vengono
portati fino in testata; in tal caso è necessario, nel tracciamento del fuso, tener conto del
salto di sforzo N nella sezione in cui si. ancora il cavo.
I1 fuso così costruito rappresenta la condizione che σmin = 0 ai lembi. Se, invece, sono punti limite
ammesse delle trazioni (v.par.5.3), il fuso viene costruito nello stesso modo, ma a partire
dai punti limite, che sono quelli per cui (invece che zero) la σ al lembo opposto vale σ b .

154
Naturalmente essi non sono invarianti per la sezione,come il nocciolo, ma dipendono dalla
particolare σ b assegnata e dal valore dello sforzo di precompressione N.
Gli estremi inferiore e superiore di nocciolo distano dal baricentro G rispettivamente
ci = i 2 y s c s = i 2 yi
mentre i due punti limite distano
Ci = ci (1 − σ b σ G ) Cs = cs (1 − σ b σ G )

dove i è il raggio d'inerzia della sezione ( i = J A )


σG è la tensione baricentrica e σ b la tensione ammissibile di trazione, riferite alla
condizione di carico corrispondente.
Le operazioni di verifica mediante il fuso sono più che altro un controllo grafico per
definire il tracciato dei cavi in una trave a sezione costante. Nei casi più complessi, si
eseguono semplicemente le verifiche a flessione in una serie abbastanza fitta di sezioni, in
funzione della loro geometria e della distribuzione delle sollecitazioni esterne massime e
minime.
Quanto fin qui detto circa le verifiche ed il progetto delle sezioni in c.a.p. si riferisce precompressione parziale
alla tecnica della precompressione integrale, cioè quella per cui le sezioni in esercizio
sono sempre interamente compresse o quasi.
Come si è notato le norme impongono verifiche totalmente diverse per il c.a. ed il
c.a.p. alle tensioni ammissibili. Mentre nel primo la trazione è illimitata (salvo verifica
alla fessurazione), nel secondo la trazione è limitata a tensioni σ b
(0 ÷0,08 R’bk) inferiori ad Rb.
Viene però in uso la tecnica di attribuire alle sezioni una precompressione parziale
cioè non così intensa da annullare le trazioni in esercizio, ma tale da arrecare benefici,
quanto alle deformazioni e alla fessurazione, rispetto ad una normale struttura in c.a.

155
L'impiego di tale tecnica richiederebbe una normativa con criteri di verifica a flessione
non discontinui fra sezioni in c.a. ed in c.a.p., che però attualmente non è disponibile in
Italia.
Un’altra tecnica che invece è di largo impiego attuale nelle travi soggette a flessione, é sezione mista
quella delle sezioni miste in c.a. e in c.a.p. In questo caso si tratta di sezioni composte di
una parte in c.a.p. (a precompressione integrale) e di una parte in c.a., che vengono unite e getto in opera
rese collaboranti. La parte in c.a. verrà sollecitata solamente a compressione. Tali sezioni
assomigliano, nella concezione, alle sezioni composte in acciaio e calcestruzzo (cfr.cap.7).
Tralasciando di descrivere i numerosi casi di applicazione, si accenna ai casi,
frequenti, di travi precompresse, con una soletta superiore gettata successivamente alla
precompressione. Tale sistema è comodo perché si possono prefabbricare elementi
precompressi più leggeri e gettare in opera quantità notevoli di conglomerato, risolvendo
travetti precompressi prefabbricati
anche il collegamento fra le travi parallele (sono molto diffusi in particolare i solai a
travetti precompressi e soletta gettata successivamente).
allegerimenti in laterizio
Le verifiche riguardano innanzi tutto la parte precompressa, in fase iniziale, al pari di getto in opera
una sezione in c.a.p., sollecitata sia dal solo peso proprio, sia dal peso del getto successivo
se (come avviene spesso) ne costituisce il cassero di sostegno.
I due getti, consolidati, costituiscono una sezione collaborante per i carichi accidentali.
Per le sollecitazioni che ne derivano la sezione viene trattata come piana, omogenea e
reagente per intero: naturalmente alle tensioni dovute ai carichi accidentali vanno travetti precompressi
aggiunte, per la parte prefabbricata, le tensioni precedenti; la somma va sottoposta alle
normali verifiche. travetto
Va anche posta attenzione al fatto che nella collaborazione a flessione e taglio nascono
gli sforzi di scorrimento fra le due parti della sezione mista, che si calcolano con le note
formule già ricordate anche in questo paragrafo: in particolare vanno verificate le τ nel
conglomerato, e calcolate le armature passanti come per le sezioni in c.a., se trattasi di
travi.

156
Questo è solo un cenno informativo della tecnica delle sezioni miste. Nelle verifiche -
pur essendo i principi e gli strumenti di calcolo contenuti in quanto fin qui detto per il c.a.
ed il c.a.p. - occorre caso per caso saper tenere bene in conto le varie fasi e le modalità di
getto, di carico, di precompressione, gli effetti delle deformazioni lente differenziali e dei
collegamenti fra i getti successivi.

5.6 SFORZO NORMALE (SEMPLICE E COMPOSTO)


La precompressione per sua natura trova nei tiranti gli elementi di elezione, in quanto
ad essi può essere applicata una presollecitazione esattamente opposta alla sollecitazione
esterna, di trazione semplice.
Tuttavia essa trova anche qualche applicazione in strutture compresse, come pilastri elementi compressi
prefabbricati, pile o colonne particolarmente snelle: in esse la precompressione (agendo
c.r.
come sempre sia sulla deformabilità sia sulla resistenza) non è diretta, ovviamente, a
contrastare la sollecitazione preminente di compressione ma, piuttosto, la flessione che c.r. c.r.
può nascere durante particolari fasi di trasporto o di montaggio o per i cosiddetti effetti del
second'ordine delle forze esterne assiali.
Naturalmente, a maggior ragione, trova impiego in elementi nettamente presso-inflessi
(ad esempio, nei montanti di strutture a portale).
In tutti i casi di pressoflessione esterna le verifiche si svolgono esattamente come per
le sezioni inflesse (le quali in realtà sono, nell'insieme, pressoinflesse).
Per la verifica alle t.a., rimane valido tutto quanto detto nel par.5.4, salvo considerare
lo sforzo normale esterno Ne sommato allo stato corrispondente nella sezione. ε 'bu R*
b
N*
e
Per la verifica a rottura, la risultante di compressione non sarà uguale a quella di
C*
trazione, ma C * = T * + N e* .
Anche il progetto procederà con le dovute e intuibili variazioni: in particolare il cavo T*
risultante potrà avere eccentricità maggiore (a parità di Me) e lo sforzo di precompressione trazione compressione
N sarà minore. σ

157
I1 comportamento e le verifiche dei tiranti, invece, ancorché non presentino aspetti tiranti
diversi in principio da quelli relativi alle travi inflesse, meritano una descrizione che può
valere da sintesi semplificata dei concetti della precompressione.
I tiranti vengono impiegati in strutture reticolari o strallate; la precompressione
permette di regolarne la fessurazione e la deformabilità in maniera più efficace e
determinabile che non nel c.a. e ciò è di notevole vantaggio nelle strutture iperstatiche. In Δl1
N1 c.r.
questa sede essi verranno trattati in quanto elementi che sono isostatici durante la
precompressione (e che poi possono essere integrati in strutture iperstatiche). Δ l2
Nei tiranti, il cavo risultante è disposto in asse alla trave, per realizzare una N2
precompressione centrata. I singoli cavi possono essere perimetrali per aumentarne la
resistenza alle flessioni parassite. Δl
All'atto della messa in tiro, il cavo si tende e la sezione in conglomerato viene N2 N2
compressa uniformemente. Le tensioni valgono (intendendo sempre che σa è di trazione e Ne Ne
σb di compressione)
σ a = N1 A σ b = N1 B (A= area del c.r.; B = area sezione beton)
essendo N1 lo sforzo di tiro (No) depurato delle perdite istantanee (per attrito nei cavi
post-tesi, per contrazione elastica nei cavi pre-tesi. I1 conglomerato si è accorciato della
quantità Δl1=N1l/EbB.
A perdite lente avvenute, si hanno le tensioni ridotte Ne=N*
u
σ a = N2 A σ b = N2 B A

e il tirante si è ulteriormente accorciato della quantità Δl2 = [(χφ∞ + ε rs − ΔN rilass. ) Eb B ] × l


(cfr.par.5.2).
All'entrata in funzione del carico esterno Ne in questa fase, il cavo si surtende ed il
conglomerato si decomprime; entro lo sforzo Ne di esercizio, la decompressione non è mai
totale

158
σ a = (N 2 A) + [nN e (B + nA)] σ b = (N 2 B ) − [N e (B + nA)]
I1 tirante si allunga (rispetto alla precedente condizione) di Δl=Nel/Eb (B+nA).
All'ulteriore crescita della trazione esterna Ne, si giunge alla decompressione completa
del conglomerato e (trascurandone la resistenza a trazione) il carico Ne passa interamente
all'acciaio:
σ a = Ne A σb = 0 N e = N *f = N 2 [1 + (nA B )]
Crescendo ancora il carico, il tirante fessurato, si rompe per uno sforzo (valore di
calcolo)
N u* = Ra* × A
I1 progetto di un tirante risulta facile, dati i carichi di esercizio, in funzione delle varie
verifiche.
L'area del cavo risultante A sarà dimensionata in base alla verifica a rottura
N e*(rott . ) ≤ N u*
L'area di conglomerato B in base alla verifica a fessurazione (decompressione)
N e*( f ) ≤ N *f = N 2 [1 + (nA B )]
oppure in base alla deformabilità elastica richiesta in esercizio
Δl N e ≤ 1 Eb (B + nA)
che può essere legata ad uno s.l. di deformazione della struttura (cfr.cap.6).
Un problema di dettaglio costruttivo da affrontare con cura è quello dell'unione del
tirante con il resto della struttura, in maniera che sia garantito il vincolo e che siano
trasmessi con continuità gli sforzi di trazione.

159
6 STRUTTURE DI FONDAZIONE E CONTENIMENTO

6.1 INTERAZIONE TRA SUOLO E STRUTTURA


Perché una struttura sia in grado di fornire una risposta adeguata alle diverse
sollecitazioni cui è sottoposta non solo deve essere correttamente dimensionata in tutte le
parti che la compongono, ma anche poter trasferire tali sollecitazioni al supporto naturale
cui é vincolata, il terreno.
Gli elementi strutturali predisposti al fine di trasmettere le forze della parte in
elevazione al suolo costituiscono le strutture di fondazione.
Si intendono, invece, per strutture di contenimento le opere atte a sostenere il terreno
che debba essere, per ragioni varie, disposto artificialmente in condizioni diverse da quelle
naturali; è questo, ad esempio, il caso di uno scavo provvisorio o definitivo per la
realizzazione di un fabbricato, ovvero il caso di uno sbancamento relativo al percorso in
trincea di una sede stradale.
L'analisi delle strutture di fondazione e di contenimento prevede l'esame della mutua
influenza tra il comportamento della struttura e del terreno, entrambi soggetti a
sollecitazioni e deformazioni.
I1 problema dell'interazione suolo-struttura può essere evidenziato pensando
all'influenza delle deformazioni (cedimenti) del suolo su quelle della struttura e alla

160
conseguente diversa distribuzione delle sollecitazioni negli elementi che la compongono e
quindi delle tensioni trasmesse al terreno, dalle quali dipendono i cedimenti stessi.
A tal proposito, sintetizzando qui le conclusioni della teoria della trave su suolo
elastico, è possibile osservare l'influenza delle caratteristiche della struttura di fondazione
e del terreno sulla deformazione (linea elastica).
Gli spostamenti verticali y della linea elastica sono dati dall'equazione differenziale:
EJ d 4 y
y=−
Kb dx 4 y
I momenti flettenti da: p
d y
2
p=K b y
M = EI
dx 2 K coefficiente di sottofondo dipendente
Le reazioni del terreno da: da forma ed estensione della superficie
p = kby di carico e dal modulo del terreno
b larghezza d'appoggio
Tutte le grandezze M, p, y contengono sia le caratteristiche della trave (E,J,b) che
quelle del terreno (K).
Da questo esempio è facile comprendere come ben diverse sarebbero le grandezze
stesse, qualora si trascurasse la mutua influenza tra trave e terreno.
Nell'interazione suolo-struttura si possono individuare schematicamente tre ordini di
problemi:
− scelta delle ipotesi sulle azioni scambiate tra terreno e struttura, cioè scelta dei modelli
rappresentativi del suolo e della struttura;
− verifica delle capacità del terreno a resistere in sicurezza alle azioni ricevute;
− dimensionamento e verifica delle strutture anche in funzione delle sollecitazioni che
tali azioni producono.
Sarà compito del progettista decidere caso per caso il grado di affinamento del modello
e del calcolo, eventualmente per iterazione.

161
Risulta pertanto ovvio che lo studio approfondito delle fondazioni e delle opere di
contenimento richiede conoscenze sia nel campo strutturale, che in quello della meccanica
del terreno.
In questo capitolo ci si limita a descrivere le tipologie più ricorrenti delle strutture di
fondazione e di contenimento. Poiché per la scelta del tipo di fondazione è necessario
raccogliere preliminarmente tutte le informazioni relative al sito ove sorgerà l'opera, in tal
senso si farà prima cenno ai metodi di indagine sui terreni.
Nell'ambito delle tipologie descritte verranno quindi indicati, a titolo applicativo, i
criteri di calcolo per due elementi strutturali di largo impiego, il plinto ed il muro di
sostegno.

6.2 INDAGINI GEOTECNICHE


Molto spesso nell'operare la scelta di un'area, destinata alla realizzazione di una
costruzione, si considerano alcune caratteristiche quali esposizione, morfologia,
dislocazione, collegamenti viari, ecc. rimandando l'esame dell'aspetto geotecnico ad una
fase successiva, quella della progettazione strutturale; si dimentica così quale può essere,
in alcuni casi, l'incidenza economica delle opere di fondazione e sistemazione del terreno,
che si rivelino indispensabili solo dopo un accurata indagine sulla natura del terreno.
Una conoscenza, almeno sommaria, del sottosuolo si rivela pertanto opportuna prima
ancora di affrontare il problema strettamente progettuale.
Nella fase successiva, quella dell'impostazione architettonica e strutturale, non si può
prescindere da un esame approfondito sulla natura del terreno, che potrebbe rivelarsi
determinante nella scelta delle soluzioni, dall'adozione dello schema statico al
dimensionamento delle strutture.
A tal fine si dovrà quindi svolgere un'indagine sul terreno, seguendo un programma
predisposto in funzione dell'importanza e delle caratteristiche dell'opera da eseguire e
delle informazioni di carattere generale sulla natura del sottosuolo, (per es. esame visivo

162
del sito, studio di carte topografiche e geologiche, aerofotografia, raccolta di notizie su
costruzioni realizzate nelle vicinanze, ecc.).
Sarà opportuno verificare il programma di indagini man mano che si hanno i risultati,
per poter eventualmente intervenire introducendo ulteriori rilievi, o eliminando quelli che
si rivelassero superflui.
Di seguito viene svolta una sintetica panoramica sui metodi di indagine, ber 1'impiego
dei quali si rendono necessari studi specifici ed esperienza; si ritiene comunque utile la
conoscenza dei mezzi a disposizione per esaminare il terreno, quale introduzione ai
problemi di tecnica delle fondazioni.
Le indagini e le prove per stabilire la costituzione del sottosuolo e prevederne il prove in sito
comportamento si possono indicare schematicamente come segue
a) esami in superficie
b) sondaggi
c) metodi geofisici
d) prove atte a valutare le caratteristiche di resistenza e deformabilità, eseguite
con:
penetrometro
scissometro
piastre
pressiometro
Come già si è detto, si farà ricorso ad una indagine o ad una prova piuttosto che ad
un'altra o all'insieme di più ricerche, secondo un programma gradualmente aggiornato in
relazione agli elementi ed alle conoscenze raccolte durante la campagna di indagine.
Una breve descrizione dei metodi elencati viene fatta allo scopo di richiamare
l'attenzione su questa fase assai importante della progettazione.
a) esami in superficie. Nel corso di un sopraluogo nella zona è possibile sia prendere

163
visione dell'aspetto morfologico del sito e di eventuali scarpate naturali, scavi, trincee
esistenti in prossimità; sia raccogliere informazioni sulle costruzioni già eseguite nella E
zona e sui relativi problemi incontrati nella realizzazione delle fondazioni.
E' questo un primo passo, necessario comunque per orientare la successiva indagine, A B C D
che in alcuni casi può già fornire indicazioni importanti (si pensi, ad esempio, la franosità
denunciata dalla inclinazione della vegetazione); in altri casi, per modeste costruzioni F
previste in località note sotto l'aspetto geotecnico, può costituire in formazione sufficiente. G
Ad integrazione degli elementi disponibili naturalmente, l'esame in superficie può A B C D
essere completato mediante lo scavo di pozzi e trincee, che permette 1'osservazione diretta
5
degli strati superficiali e l'eventuale prelievo di campioni.
10
b) sondaggi. Per una conoscenza più approfondita del sottosuolo è necessario effettuare
12
delle perforazioni, prelevare saggi di terreno ed esaminarli; è possibile così
determinare la natura, le caratteristiche e la successione degli strati di terreno ed 20
individuare la posizione ed il comportamento di eventuali falde d'acqua. 25
Le tecniche di perforazione sono di due tipi: a percussione o a rotazione. 30
La sonda, munita di una testa tagliente, nel primo caso viene fatta avanzare lasciandola 35
cadere nel foro in corso d'esecuzione, nel secondo caso facendola ruotare. m
I sondaggi a percussione si eseguono in terreni sciolti ed incoerenti senza raggiungere
elevate profondità, quelli a rotazione in rocce ed in terre fino a profondità notevoli.
Durante la perforazione si prelevano campioni di materiale che possono essere terreno vegetale
rimaneggiati, se estratti senza particolari tecniche e, quindi, alterati inevitabilmente nelle torbe
caratteristiche fisiche; o indisturbati (cioè il meno disturbati possibile). intercalazioni sabbiose
In questo secondo caso si deve ricorrere a speciali attrezzature e procedure che depositi limo-argillosi
permettano di portare in superficie e, successivamente, in laboratorio il campione di formazione marnoso-arenacea
materiale nelle condizioni (struttura, stato di tensione, contenuto in acqua, ecc.) più vicine
a quelle originali. esempio di disposizione planimetrica
I1 campionatore, strumento per il prelievo di campioni indisturbati, è formato dei sondaggi e sezione stratigrafica
dell'insieme di un tubo cilindrico con pareti sottili, costituente il successivo involucro per

164
la conservazione del campione, e da un sistema atto ad infiggere ed estrarre detto tubo con
il minimo disturbo possibile.
Sia i campioni rimaneggiati, che quelli indisturbati, vanno conservati in luoghi protetti
dalle azioni atmosferiche e da variazioni di temperatura.
c) metodi geofisici. L'esame geotecnico di una zona molta estesa, quale ad esempio
quella interessata da un tracciato stradale, può essere condotto in modo rapido e
sommario determinando una proprietà fisica del terreno, da cui risalire alla sua co-
stituzione.
Si stabilisce, cioè, un legame tra caratteristiche del terreno e modalità di trasmissione
di onde elastiche nei metodi detti sismici, di corrente elettrica nei metodi detti elettrici.
Si realizzano due postazioni, una ricevente ed una trasmittente; questa, a seconda dei
due casi citati, è costituita da una carica o da un elettrodo; tra le due postazioni viene
effettuata la misura della velocità di trasmissione a cui è possibile determinare la natura
del sottosuolo.
d) prove atte a valutare le caratteristiche di resistenza e deformabilità.
Le prove penetrometriche permettono di valutare la consistenza del sottosuolo
misurando la forza necessaria per l'infissione nel terreno di un asta, dotata di punta conica.
Si impiegano penetrometri statici e dinamici nei primi la punta viene infissa
esercitando una pressione statica sull'asta; nei secondi lasciando cadere liberamente un
maglio di peso noto e da altezza nota. Dalla misura rispettivamente della pressione o del
numero di colpi necessari all'affondamento si stabiliscono la consistenza del terreno e le
sue caratteristiche (vedi figura).
L'asta è generalmente fatta in modo tale da permettere la valutazione della resistenza di
punta e quella d'attrito laterale.
La prova statica, possibile solo in terre coerenti e sabbie, è più attendibile, ma di più
difficile esecuzione; quando si preveda di incontrare strati più duri o terreni sciolti a
granulometria grassa è necessario ricorrere alla prova dinamica.

165
Le prove penetrometriche costituiscono un modo economico e rapido per acquisire
notizie sul sottosuolo, ma devono essere accompagnate da una conoscenza globale del
terreno nella località in esame.
La determinazione in sito della resistenza al taglio (che serve ad esempio per il calcolo
della portanza dei pali) si può ottenere con lo scissometro, apparecchio atto a misurare la
coppia torcente necessaria alla rotazione di un cilindro di terreno, definito dalle
dimensioni delle palette disposte in croce all'estremità di un asta.
Valutazioni sulla deformabilità del terreno sotto carico sono possibili con piastre o con
pressiometro.
Le prove di carico con piastre, prevalentemente usate per i problemi di
pavimentazione, raramente per quelli di fondazioni, si eseguono con martinetti idraulici
interposti tra piastra e corpo di contrasto e con strumenti per la lettura degli abbassamenti;
l'andamento dei cedimenti, relativi a cicli di carico e di scarico, permette di valutare
deformazioni elastiche e permanenti.
Con il pressiometro, il carico viene trasmesso al terreno radialmente, in una cavità
cilindrica già predisposta, e la deformazione misurata in funzione della variazione di
volume.
Le indagini e le prove di laboratorio costituiscono ulteriore strumento per determinare prove di laboratorio
la natura del terreno e per prevederne il comportamento; possono essere condotte su
campioni indisturbati, rimaneggiati o, nel caso di opere in terra, opportunamente trattati, al
fine di studiarne la possibilità di miglioramento delle caratteristiche, per stimare l'efficacia
dei trattamenti.
Per l'identificazione, oltre all'esame diretto del campione, si procede in laboratorio alla
determinazione del peso specifico, della granulometria, della porosità e, per materiali
sciolti, dei limiti di consistenza o di Atterberg.
Con adatte apparecchiature si procede inoltre, per i soli campioni indisturbati,
all'analisi di altre caratteristiche quali contenuto in acqua, tensione di capillarità,
permeabilità, attrito interno, coesione, compressibilità, ecc. fine di prevedere, nel modo

166
più completo possibile, il comportamento del materiale sotto il profilo della resistenza e
della deformabilità.
Anche per le prove di laboratorio il programma di lavoro deve essere definito di
volta in volta sulla base di dati disponibili a priori e raccolti durante il corso delle
indagini: certe prove hanno senso o sono possibili su alcuni materiali e non su altri.

6.3 FONDAZIONI
Dopo aver raccolto tutte le notizie possibili e ritenute necessarie sul sottosuolo
interessato dalla costruzione, si procede alla scelta delle strutture di fondazione ed al loro
dimensionamento, in funzione delle sollecitazioni ammissibili nel terreno ad una
determinata profondità e delle deformazioni ammissibili nella struttura.
A1 fine di operare tale scelta è necessaria la conoscenza dei tipi strutturali possibili
nelle diverse condizioni.
Una prima distinzione può essere fatta tra fondazioni superficiali o dirette, nelle quali
è trascurabile il contributo delle tensioni eventualmente presenti sulle superfici laterali, e
fondazioni profonde o indirette.
Le fondazioni superficiali sono realizzate con platee, con travi rovesce o con plinti fondazioni superficiali
isolati. Le platee sono piastre di cemento armato, di spessore costante o di spessore
variabile o irrigidite superiormente da una maglia di nervature, soggette a carichi
concentrati (azione dei pilastri verso il basso) e distribuiti (reazione del terreno verso
travi di
l'alto). Le travi rovesce possono disporsi parallelamente in una o nelle due direzioni della collegamento
maglia strutturale e hanno sezione a T con ala inferiore costituente la superficie
d'appoggio. I plinti sono elementi a forma di piramide tronca che sopportano
plinti
singolarmente ogni pilastro. Travi rovesce, se disposte in una sola direzione, e plinti
isolati frequentemente vengono uniti da travi di collegamento allo scopo di vincolarli
orizzontalmente fra loro.
Le fondazioni dirette trasferiscono agli strati superficiali del terreno i carichi della
costruzione; esse devono resistere alle azioni della sovrastruttura e del terreno ed inoltre

167
rendere minimi i cedimenti. Per raggiungere quest'ultimo scopo è necessario che la
distribuzione delle tensioni nel suolo sia la più uniforme possibile; ciò si ottiene, a parità
di altre condizioni (sollecitazioni allo spiccato, caratteristiche e tensioni ammissibili del
terreno, ecc.), aumentando la rigidità e quindi 1'altezza, delle strutture di fondazione.
Benché esista sempre una mutua influenza tra suolo e struttura, in molti casi pratici il
problema può essere semplificato considerando la fondazione perfettamente rigida ed il
terreno idealmente costituito dall'insieme di elementini indipendenti l'uno dall'altro e
capaci di fornire una reazione di intensità proporzionale al cedimento (modello di travi rovesce
Winkler); ciò equivale ad assimilare la superficie di contatto del terreno a una sezione a
comportamento elastico lineare.
Supposto che la superficie della fondazione rimanga piana, la distribuzione della
pressione di contatto è allora uniforme, se la risultante dei carichi cade nel baricentro della
superficie di contatto; ha andamento variabile linearmente, se vi è un'eccentricità. Le
pressioni, calcolate come per una sezione omogenea non reagente a trazione debbono
verificare:
σt ≤ σt
avendo indicato con σ t la tensione ammissibile del terreno, il cui ordine di grandezza
oscilla nei casi comuni tra 0,5 e 5,0 kg/cm2. platea
E' importante notare che le tensioni ammissibili non sono una proprietà intrinseca del terreno, ma,
pur essendo funzione delle sue caratteristiche, dipendono da diversi fattori, quali la profondità del
piano di fondazione, la forma della superficie d'appoggio, la storia dei carichi a cui è stato
sottoposto il terreno, la possibile vicinanza di altre costruzioni, l'eventuale presenza di acqua nel
sottosuolo, ecc.
Le fondazioni profonde si possono classificare in funzione del rapporto tra le fondazioni profonde
dimensioni (altezza e larghezza) denominandosi così fondazioni su pali, su pozzi e su pile;
anche nelle fondazioni profonde o indirette, con la funzione però di collegare ad esse la
struttura in elevazione, si impiegano platee, travi rovesce e plinti.

168
Dal punto di vista della realizzazione, pozzi e pile si possono considerare equivalenti,
in quanto ottenuti con il riempimento in calcestruzzo semplice o armato di un ampio scavo
effettuato a mano o a macchina (benna, martello pneumatico, escavatore, ecc.);
l'esecuzione dei pali si basa, invece, su tecniche e apparecchiature particolari, delle quali è
opportuno un breve cenno.
I diversi tipi di palo possono essere suddivisi in funzione del materiale costituente:
legno, metallo, calcestruzzo armato. Ovvero delle tecniche costruttive: sotto questo profilo
la descrizione appare più significativa.
I pali possono essere prefabbricati e successivamente infissi nel terreno o eseguiti in
opera. Mentre nel primo caso possono essere utilizzati i tre materiali suddetti, nel secondo
ovviamente si impiega il calcestruzzo che viene gettato all'interno di un foro circolare,
rivestito o meno da un tubo metallico. Questo è sempre presente nei pali costruiti in opera
senza asportazione di terreno, in quanto costituisce l'elemento infisso indispensabile per
la realizzazione del foro; può essere omesso o sostituito da fanghi di bentonite nei pali
costruiti in opera con asportazione di terreno nei quali il foro è ottenuto mediante sonde a
percussione o a rotazione. La necessità di calare nel foro un tubo con lo scopo di sostenere
lo scavo che man mano viene eseguito, la possibilità di assicurare la stabilità delle pareti
impiegando fanghi bentonitici o, infine, quella di rinunciare a tale sostegno, dipendono
dalle caratteristiche de terreno attraversato e vengono valutate di volta in volta.
I pali prefabbricati consentono l'impiego di diversi materiali (legno, metallo, c.a.), la
scelta di quello più adatto alle condizioni di impiego previste ed il controllo del palo prima
dell'infissione; la lunghezza deve essere prestabilita e difficilmente può essere variata
durante l'esecuzione.
I pali gettati in opera, mediante preventiva infissione del tubo-forma, permettono la
modifica della lunghezza in relazione alle caratteristiche degli strati incontrati;
analogamente a quelli prefabbricati, provocano disturbi (vibrazioni, rumori, alterazioni
delle caratteristiche meccaniche del terreno) durante 1'infissione ma, essendo realizzati

169
senza asportazione di terreno, danno luogo ad un addensamento del materiale laterale al foro
benefico per i terreni granulari, non per quelli coesivi.
La maggiore o minore difficoltà di infissione dà inoltre un'indicazione sulla resistenza degli
strati incontrati.
I pali trivellati, cioè gettati in opera dopo trivellazione del suolo, rendono possibile
l'esame diretto del materiale estratto durante lo scavo; inducono minori disturbi dinamici
in edifici adiacenti; possono attraversare strati particolarmente resistenti e raggiungere
dimensioni (diametro, lunghezza) e quindi portate assolute, superiori a quelle degli altri
tipi di palo, che incontrano un limite nell'energia necessaria all'infissione dell'elemento
prefabbricato o del tubo-forma.
Per quest'ultimo aspetto si può considerare indicativamente che i pali infissi raggiungano
diametri dell'ordine di 50 ÷ 60 cm e lunghezze di 20÷25 m, mentre i pali trivellati rispettivamente
200 ÷ 300 cm e 50 ÷ 60 m.
Inoltre è bene ricordare che i pali in calcestruzzo devono essere adeguatamente armati perché,
pur essendo prevalentemente soggetti a forze assiali, sono di frequente sollecitati anche a flessione
a causa di eccentricità delle forze di compressione, oppure per la presenza di forze trasversali in
testa o lungo il fusto. In particolare, i pali prefabbricati devono poi sopportare sollecitazioni ben
maggiori e di natura diversa, durante il trasporto e l'infissione, rispetto a quelle d'esercizio.
Si segnala, infine, l'opportunità di sottoporre alcuni pali, nella misura del 2÷ 3% dell'insieme
della palificata, a prove di carico per verificarne la qualità dell'esecuzione ed il comportamento nel
suolo. Mediante cicli di carico e scarico è possibile esaminare l'andamento delle deformazioni in
funzione del carico e del tempo.
Allo scopo di indicare alcuni semplici criteri di progetto e di verifica si fa riferimento ai plinti, calcolo dei plinti
diretti o su pali, strutture di fondazione largamente impiegate nelle costruzioni civili.
I1 calcolo dei plinti può essere condotto impiegando dei modelli molto semplici del
comportamento della fondazione e del terreno che, come si è detto precedentemente a proposito
delle fondazioni superficiali, consentono di risolvere facilmente il problema dell'interazione
suolo-struttura.

170
Infatti, se si fa riferimento al modello di Winkler per il terreno e di corpo rigido indeformabile
per il plinto, nei plinti diretti la pressione di contatto vale:
N N ⋅e
σt = ± y
S I
ove S,I sono caratteristiche geometriche della superficie reagente, e indica l'eccentricità della
risultante N dal baricentro della parte reagente, y è la distanza del punto generico dal medesimo.
Anche per i plinti su pali si possono assumere le ipotesi che la superficie della fondazione si
mantenga piana e che la relazione carico-abbassamento nei pali sia elastica lineare; la risultante P
per ogni singolo palo sarà quindi:
N N ⋅e
P= ± d
n ∑i ni d i2
dove n è il numero totale dei pali compresi nel plinto, ni il numero dei pali che distano di dal
baricentro degli n pali, d la distanza del palo di cui si vuol conoscere P dal medesimo.
Si può procedere allora alla determinazione delle dimensioni di base del plinto. Per chiarezza
di esposizione si suppone che l'eccentricità sia nulla, caso assai frequente. E' comunque altrettanto
semplice trattare il caso in cui si abbia un'eccentricità della risultante, come si vedrà
successivamente nei muri di sostegno.
Nei plinti diretti si calcolano la superficie S della base e, di conseguenza, i lati A, B del plinto:
S = N σt A× B = S
conoscendo la tensione ammissibile σt del terreno.
Nei plinti su pali si determina innanzi tutto il numero n di pali necessario:
nintero ≥ N P
noto il carico ammissibile P per il tipo di palo adottato.
Successivamente si sceglie la più opportuna disposizione in funzione del numero totale dei
pali e della loro distanza minima, che deve essere tale da garantire una ridotta interferenza ed un
buon funzionamento delle palificata nel suo insieme. Un valore indicativo dell'interasse i tra i pali
può essere circa tre volte il diametro D, ma anche notevolmente aumentato in relazione a
particolari caratteristiche del terreno.

171
Quindi si determinano le dimensioni di base tenendo conto che, onde evitare pericolose
concentrazioni di tensioni ai bordi del plinto, è necessario mantenere una certa distanza (almeno
uguale al diametro dei pali impiegati) tra l'asse dei pali più esterni ed il perimetro della
fondazione.
Qualora non ci siano particolari esigenze (interferenza con altre strutture, direzione prevalente
di sollecitazione, ecc.) si adotteranno per la superficie di base, sia nei plinti diretti, che in quelli su
pali, forme regolari e ad uniforme resistenza in tutte le direzioni.
Definita così la base, è necessario stabilire l'altezza che, per ottenere la rigidità di cui si è
parlato, sarà funzione delle dimensioni trasversali.
Il rapporto tra base e altezza può essere assunto quale misura della rigidità del plinto e, quindi,
come parametro per la scelta del modello di calcolo che meglio rappresenti il comportamento reale
della struttura.
Con le notazioni in figura, si possono definire plinti alti, cioè più rigidi, quelli in cui:
H [( A − a ) / 2] ≥ 1
e plinti bassi, cioè più flessibili, se:
H [( A − a ) / 2] < 1
Si osserva che la fondazione viene definita rigida o deformabile nei riguardi del modello
strutturale che rappresenta il suo comportamento interno, mentre può essere assunta indeformabile
in rapporto al terreno (rendendo accettabili le ipotesi dette).
La distinzione fra alti e bassi vale, nei limiti ricordati, sia per i plinti diretti, che per quelli su
pali; si può pertanto seguire una trattazione parallela. I1 calcolo dell'armatura, nel caso dei plinti
alti, può essere condotto assumendo un modello resistente costituito da un traliccio ideale (bielle
compresse di calcestruzzo tiranti di acciaio); se si trascurano le dimensioni del pilastro, lo sforzo
di trazione nell'armatura vale:
plinti diretti T = F [( A 4 )H ]
con riferimento all'esempio del plinto rettangolare in figura;
plinti su pali T = P[(i 2 )H ]

172
con riferimento all'esempio del plinto a quattro pali in figura (analogamente si possono trattare
plinti di forma diversa).
Si può poi determinare l'area dell'acciaio necessaria Aa = T σ a e, di conseguenza, il diametro
ed il numero delle barre.
Nei plinti bassi, con la teoria della trave inflessa, si calcolano le sollecitazioni:

Bσ t ( A 2 )
1
plinti diretti M =
2

2
plinti su pali M = 2 P (i 2 )

e l'armatura Aa = M tσ a , sempre per gli esempi delle figure.


I1 calcolo va fatto per entrambe le direzioni principali.
La verifica delle tensioni i nel calcestruzzo generalmente può essere omessa perché, anche nei
plinti bassi, l'altezza della sezione è tale da comportare in ogni caso tensioni d'esercizio
decisamente inferiori a quelle ammissibili. Una certa altezza infatti, oltre che per conferire rigidità
alla fondazione, deve essere adottata anche per evitare il pericolo di punzonamento, cioè della
rottura della struttura a causa delle forze concentrate di pilastri o pali.
La verifica convenzionale si può effettuare:
N
τ = σt = ≤σb
H × 2[(a + H ) + (b + H )]

dove σ b è la tensione ammissibile a trazione del conglomerato.


Anche nei calcolo delle travi rovesce, in molti casi, si possono adottare le ipotesi
semplificative a cui ci si è riferiti nel calcolo dei plinti; per l'analisi strutturale della fondazione, in
direzione longitudinale alla trave, si adotta allora il modello della trave continua, soggetta
all'azione di carichi concentrati (i pilastri) e uniformemente ripartiti (la reazione del terreno), in
equilibrio tra loro. A seguito delle approssimazioni introdotte, che renderebbero illusori i risultati
di un calcolo più approfondito, è possibile esaminare le singole campate della trave come
incastrate agli estremi.

173
L'analisi in direzione trasversale all'asse, può essere condotta con criteri analoghi a quelli
indicati per i plinti.
I1 comportamento statico delle fondazioni a platea, infine, può essere studiato nell'ambito
della teoria delle piastre, determinando le sollecitazioni dovute ai carichi dei pilastri ed alle
tensioni sulla
superficie di appoggio.

6.4 OPERE DI CONTENIMENTO


E' a tutti noto il largo impiego delle strutture dì sostegno nelle opere di ingegneria: la
costruzione di strade e ferrovie, la sistemazione di scarpate, di alvei fluviali, di bacini naturali o
artificiali, la costruzione di vasche, di banchine portuali sono alcuni esempi di opere che
richiedono l'uso di importanti strutture di contenimento.
Ma anche nell'edilizia civile ed industriale molto frequentemente è necessario variare le
condizioni della superficie del terreno, a volte definitivamente, a volte temporaneamente.
Risulta pertanto utile descrivere, in modo schematico, le opere più spesso impiegate e fornire
alcune nozioni per l'impostazione di semplici problemi relativi al contenimento della terra.
Muri di sostegno e paratie differiscono sia per il funzionamento statico, sia per le modalità di
costruzione.
Mentre la stabilità dei muri è prevalentemente assicurata dalle reazioni del suolo alla base di
una fondazione orizzontale, nel caso delle paratie si fa affidamento alla resistenza passiva del
terreno sulla parte di struttura infissa.
Dal punto di vista delle possibilità esecutive c'è da notare che la realizzazione del muro è
preceduta dallo scavo di sbancamento, mentre quella della paratia avviene dal piano di campagna,
prima di alterare l'equilibrio naturale.
I muri di sostegno si possono raggruppare in muri a gravità, nel cui equilibrio il peso proprio è
elemento determinante, realizzati principalmente con muratura, con gabbioni di pietrame o ghiaia,
con calcestruzzo semplice o debolmente armato; ed in muri inflessi (o in cemento armato), il cui
equilibrio rigido d'insieme sfrutta spesso il contributo del terreno retrostante, che grava sulla suola
di fondazione.

174
Poiché la parte verticale dei muri in c.a. si comporta come una mensola incastrata alla base,
può risultare opportuno, oltre certe altezze, realizzare dei contraffortio speroni per irrigidirla.
Si impiegano anche muri di tipo particolare quali, ad esempio, quelli in terra armata o in
elementi prefabbricati.
Nei lavori stradali si suole fare la distinzione tra muri di controripa, a sostegno del terreno
naturale non rimosso, posto a monte della sede stradale, e muri di sottoscarpa, disposti al piede
del rilevato stradale e quindi soggetti alla spinta di un materiale selezionato e compattato.
Per tutti i tipi di muro è molto importante prevedere accurati sistemi di drenaggio dell'acqua di
pioggia o di falda, a monte e a valle (v. fig. pag.seguente)
L'insufficienza di opportune misure per l'eliminazione dell'acqua può compromettere la
stabilità, in quanto l'acqua aumenta di molto la spinta del terreno e d'altra parte ne altera
sostanzialmente le condizioni di resistenza (fig. a fianco).
Le paratie si possono distinguere secondo il comportamento statico o secondo i paratie
materiali ed i sistemi usati nella costruzione.
Oltre certe altezze di scavo è necessario disporre dei tiranti d'ancoraggio per contenere
le sollecitazioni e, conseguentemente, la sezione e la profondità di infissione della paratia.
Si hanno quindi paratie senza ancoraggio, che si comportano come mensole incastrate a
terra, e paratie con ancoraggio, cioè vincolate anche nella parte alta.
Dal punto di vista esecutivo, ricordando anche quanto è stato detto a proposito dei pali
di fondazione, si possono avere paratie costituite da elementi prefabbricati e infissi
(palancole), in cemento armato o in acciaio; paratie gettate in opera e formate da pali
accostati o da diaframmi.
I1 calcolo dell'altezza d'infissione, che indicativamente è compresa fra h e 2h, viene
condotto con riferimento all'equilibrio alla rotazione della paratia, sotto 1'azione della
spinta attiva e della resistenza passiva. Queste sono funzione dell'altezza di scavo e
dell'altezza d'infissione, rispettivamente, e vengono ricavate in base a modelli di
comportamento del terreno di cui qui non si entra in merito.

175
Allo stesso modo si determinano le sollecitazioni (di flessione e taglio), con cui le
sezioni vengono dimensionate e verificate.
Con le medesime finalità applicative dell'esempio di calcolo di un plinto, si espone un calcolo dei muri di sostegno in c.a.
procedimento di verifica di un muro di sostegno, facendo riferimento ad un caso molto
semplice ed assumendo uno dei possibili criteri di valutazione della spinta del terreno.
Si ricorda solo che molti sono i modelli teorici della spinta delle terre, le cui
formulazioni più note sono dovute a Coulomb ed a Rankine e che l'entità della spinta
dipende dalle caratteristiche (peso specifico, angolo d'attrito, coesione) del terreno posto
dietro al muro, dall'inclinazione della superficie del terrapieno, da eventuali sovraccarichi
sul terreno, dalla presenza di acqua e, nella teoria di Coulomb, dalla geometria del muro
(pendenza del paramento interno).
Nel muro di sostegno in cemento armato, considerato in questa applicazione, si
suppone (in sicurezza) che il terreno a valle essendo stato rimosso durante la costruzione,
non sia in grado di offrire un contributo alla stabilità (spinta passiva) e che quello a monte
venga sistemato secondo una superficie orizzontale e sia privo di sovraccarichi.
Le forze verticali (Ni) e orizzontali, con le notazioni della figura, e le relative distanze
(d) della retta d'azione dal punto O (possibile centro di rotazione della struttura per perdita
di equilibrio come corpo rigido) per un tratto L = 1, sono
− il peso proprio dell'elevazione
N1 = b × h × γ b d ( N1 ) = c + b 2
− il peso proprio della fondazione
N2 = B × a × γ b d (N 2 ) = B 2
− il peso proprio del terreno di riempimento che grava sulla fondazione
N3 = e × h × γ t d (N 3 ) = c + b + e 2
− la risultante Nt delle tensioni verticali σt, agenti sulla superficie di contatto
fondazione-terreno;

176
− la risultante T delle tensioni orizzontali τ agenti sulla medesima superficie;
− la spinta attiva Pa, risultante delle tensioni orizzontali PZ dovute al terrapieno.
Queste possono porsi nella forma:
PZ = γ t × z × λa
essendo λa il coefficiente di spinta attiva, che, secondo la teoria di Rankine, in assenza di
sovraccarichi e per terreni privi di coesione, vale:
λa = tg 2 (45o − ϕ 2 )
e allora la spinta attiva risulta:
Pa = (1 2 )γ t (h + a ) λa d (Pa ) = (h + a ) 3
2

Con riferimento all'equilibrio intorno a 0,le azioni verticali (N1, N2, N3) si dicono forze
stabilizzanti, mentre 1e azioni orizzontali (Pa) forze ribaltanti. Se N = ΣNi è la risultante
ed MN = ΣNi × d(Ni) il momento risultante delle forze stabilizzanti, Pa la risultante ed
MR=Pa×d(Pa) il momento risultante delle forze ribaltanti, si può determinare la distanza d0
della risultante dal punto 0 e dG dal baricenro G:
d 0 = (M N − M R ) N , dG = B 2 − d0
Si procede alle verifiche di stabilità, che generalmente consistono: nella verifica delle
pressioni al contatto, rispetto alle tensioni ammissibili nel terreno, ed in quella dello stato
limite ultimo di perdita dell'equilibrio rigido per ribaltamento o per scorrimento.
La prima verifica si esprime con la disuguaglianza:
σ t max ≤ σ t
La σt max si calcola considerando la superficie di appoggio come sezione omogenea non
reagente a trazione, soggetta a pressione e flessione, di altezza B e larghezza L = 1 .
σ t max = (N B ) ± [(M R − M N ) (B 2 6)]
min

177
qualora il centro di pressione cada dentro il nocciolo centrale d'inerzia della superficie di
contatto (dG ≤ B/6); ovvero:
σ t max = 2 N 3d 0
se la risultante è fuori dal nocciolo (dG > B/6).
Nella verifica allo scorrimento la sicurezza viene di solito espressa dalladisu
guaglianza:
Pa × γF ≤ T
in cui T = Ntgφ viene considerata la forza di attrito sviluppabile nella superficie di
contatto; γF il coefficiente di sicurezza, che viene concentrato tutto sulla spinta Pa per
semplicità. I valori di γF dipendono dalle caratteristiche del terreno di riempimento e,
comunque, non sono mai inferiori a 1,5 ÷ 2.
In modo analogo nella verifica al ribaltamento si ha:
M R × γ F ≤ MN
Successivamente, note tutte le azioni sulla struttura, si possono facilmente calcolare le
sollecitazioni nelle sezioni più significative (ad esempio le sezioni indicate in figura S1,S2,
S3, S4) ed eseguire il dimensionamento dell'armatura e la verifica delle sezioni, secondo
quanto indicato per le sezioni in c.a.
E' importante notare, infine, che la verifica della stabilità come corpo rigido nel modo
esposto, può risultare insufficiente, qualora, in terreni dalle caratteristiche di resistenza
molto basse, vi sia il pericolo di uno slittamento in blocco del muro e di una parte di
terreno, secondo una superficie simile a quella indicata in figura. Per lo studio di questo
problema si rinvia ai testi di geotecnica.

6.5 CEDIMENTI
Nel progetto delle fondazioni e delle opere di contenimento, come è stato detto più in
generale a proposito dei metodi di calcolo delle strutture, non è sufficiente verificare la

178
condizioni di equilibrio, ma è necessario porre particolare attenzione al problema delle
deformazioni, che non solo possono essere oltre una certa misura inaccettabili in sé, ma
sono causa di sollecitazioni supplementari nella struttura (e talvolta di gravi dissesti).
I cedimenti possono essere uniformi o differenziali. Alcuni esempi: un abbassamento
uniforme, di notevole entità, che ovviamente non comporta incrementi delle sollecitazioni,
potrebbe considerarsi accettabile per il serbatoio di una raffineria, non per una casa
d'abitazione che ha riferimenti altimetrici al tessuto urbano: un cedimento verticale,
accompagnato da una rotazione rigida d'insieme, analogamente al precedente, non
impegna le varie parti della struttura, ma può essere pericoloso per la stabilità d'insieme o
globale (caso noto è quello della Torre di Pisa) oppure rendere inutilizzabile la costruzione
(per esempio uno stabilimento in cui le macchine possono funzionare entro determinati
limiti di orizzontalità): cedimenti differenziali sono ammissibili per strutture isostatiche o,
anche, per strutture iperstatiche se dimensionate tenendo conto delle sollecitazioni
prodotte dagli spostamenti relativi dei vincoli.
Qualora i cedimenti calcolati risultino inaccettabili, si dovrà modificare il progetto
delle fondazioni o delle strutture sovrastanti ovvero esaminare la possibilità di intervenire
per migliorare le caratteristiche del terreno, sottoponendo l'area interessata dalla
costruzione a trattamenti particolari, quali il precarico con rilevati, il consolidamento con
iniezioni, l'assestamento con vibrazioni, la sostituzione dello stato superficiale con
materiale opportunamente selezionato e trattato.
I1 calcolo dei cedimenti dovuti al terreno e la valutazione dei pericoli che essi
comportano, così come la scelta dei provvedimenti atti ad eliminarli o a renderli
accettabili richiedono esperienza e conoscenze specifiche approfondite, che vanno oltre
l'ambito di questo corso; si è ritenuto però opportuno stimolare la sensibilità a questo
aspetto molto importante della progettazione strutturale.

179
7 ELEMENTI STRUTTURALI IN ACCIAIO

7.1 CARPENTERIA METALLICA


L'insieme di tutte le parti che compongono una struttura in acciaio costituite la
carpenteria metallica, di cui è necessario conoscere i processi di produzione e di
assemblaggio per impostare correttamente il progetto.
Mentre le costruzioni in c.a. possono essere realizzate sia fabbricandole in cantiere,
con i materiali componenti (barre d'acciaio e, per preparare il calcestruzzo, cemento, inerti
e acqua), sia prefabbricandole, parzialmente o totalmente; le costruzioni metalliche sono
sempre costituite da elementi prefabbricati in stabilimento, generalmente standardizzati e,
successivamente, assemblati in cantiere, impiegando diversi sistemi di collegamento.
La prefabbricazione consiste nella produzione dell'acciaio, profilato in varie forme aspetti tecnologici
particolarmente adatte per le costruzioni, da parte dell'industria siderurgica e nella
successiva lavorazione in officina per la preparazione dei pezzi e per parziali assemblaggi.
Una volta pronte, le diverse parti della carpenteria vengono trasportate dall'officina al
cantiere per il montaggio, al quale seguono generalmente dei trattamenti per proteggere la
struttura dalla corrosione e dal fuoco (verniciatura, zincatura, ecc.).

180
Gli specialisti addetti alle diverse fasi di realizzazione della carpenteria metallica
(lavorazione in acciaieria e officina, trasporto, montaggio, verniciatura) devono
conoscerne le tecniche ed i relativi problemi, come:
− la composizione chimica ed il processo di fabbricazione dell'acciaio si traducono in
diverse possibili proprietà meccaniche del materiale, rendendolo adatto o meno
all'impiego nelle costruzioni. L'acciaio è una lega del ferro e di altri componenti
metallici (manganese, rame, nichel, cromo, ecc.) e non metallici (carbonio, silicio,
zolfo, ecc.), in parte volutamente aggiunti, in parte contenuti nelle materie prime; le
percentuali dei singoli componenti influenzano lavorabilità, fragilità, resistenza
meccanica, saldabilità, ecc. della lega; il tenore di carbonio, in particolare, viene
assunto correr criterio di classificazione, poiché influisce profondamente sulla
lavorabilità.
− La trasformazione nella forma richiesta per mezzo di laminazione a caldo o a freddo,
di fucinatura o di colata in getti influenza ulteriormente le proprietà ricordate (per es.
creazione di tensioni interne).
− La lavorazione dei profilati commerciali (prodotti dalle acciaierie) comporta diverse
altre operazioni, per renderli adatti al loro impiego finale, quali il taglio, la piallatura,
la tornitura, la fresatura, la foratura con trapano o con punzone, la saldatura, ecc.
− Il trasporto ed il sollevamento impongono criteri per la scelta delle dimensioni dei
pezzi.
− I1 piano di montaggio deve essere coordinato in relazione ai macchinari e all'impianto
di cantiere, alle tecniche previste per il collegamento in opera delle diverse parti
(chiodatura, bullonatura, saldatura), al tipo di unione dei singoli elementi (colonna,
trave, solaio, ecc.).
− La scelta dei prodotti protettivi e delle relative modalità di applicazione possono
influire fortemente sulle spese di manutenzione della carpenteria e sulla sicurezza
della struttura nei riguardi dell'azione del fuoco.

181
Questi cenni su alcuni problemi tecnologici propri delle costruzioni in acciaio,
mostrano quanto varie e complesse siano le conoscenze necessarie agli operatori
impegnati nella realizzazione ed inoltre servono ad introdurre alcune nozioni elementari
che devono essere note al progettista strutturale, a completamento di quelle relative ai
calcali statici.
Per tutto ciò che riguarda le costruzioni metalliche si fa riferimento alla parte 3^ delle proprietà dei materiali e verifiche
Norme (D .M .16.6.76); in esse vengono indicate, per i diversi tipi di acciaio, le qualità
richieste e le prave necessarie ad accertarla.
Per i procedimenti di verifica sono già stati indicati i criteri fondamentali nel cap.3. In
particolare le verifiche della sezione risultano più semplici che nel c.a., trattandosi di
sezioni realmente omogenee.
Le Norme suddividono gli acciaio laminati a caldo in due classi, tipo 1 e tipo 2, di cui
stabiliscono le seguenti
tensioni ammissibili per stati monoassiali:
acciai tipo 1 σamm = 16 kg/mm27
acciai tipo 2 σamm = 24 kg/mm
Tali valori, relativi alla condizione di carico I (azioni principali), sono da
moltiplicarsi per 1,125 nella condizione di carico II (azioni principali e
complementari). Per gli stati pluriassiali, invece, si dovrà verificare che la tensione ideale
(par.3.1) risulti σid ≤ σamm. La tensione ideale col criterio della τ ottaedríea, nel caso di
stato biassiale (piano) e nel riferimento (x,y),vale:

σ id = ± σ x2 + σ y2 − σ xσ y − 3τ xy2

In particolare per tensione tangenziale τ pura, si ha:

7
Nella parte 3^ delle norme le tensioni ammissibili vengano indicate con σamm, τamm invece che σ , τ .

182
σ id = 3τ 2 ≤ σ amm cioè τamm = 0,576σamm
Se per la scelta degli acciai da impiegare il compito del progettista è chiarito dalla assemblaggio degli elementi
normativa e per l'analisi della sezione facilitato dal comportamento del materiale, di
contro problemi complessi, propri della carpenteria metallica, nascono dall'esigenza di
montare in cantiere la struttura.
E' pertanto necessario essere in grado di verificare la capacità dei collegamenti e delle
unioni a trasmettere gli sforzi e a realizzare i vincoli per cui sono previsti.
Una precisazione terminologica: in questi appunti si diranno collegamenti i sistemi di
connessione (chiodature, bullonature, saldature) tra due o più parti della struttura; unioni i
dettagli relativi all'assemblaggio degli elementi strutturali (unioni colonna-colonna, trave
principale-trave secondaria, trave-colonna ecc.); nella letteratura si incontrano i termini
collegamento ed unione, con significato alterno.
Pur ricordando che un confronto approfondito per la scelta della soluzione più idonea confronti con il c.a.
ad una struttura deve essere fatto di volta in volta, in base alle condizioni particolari di
ogni singola costruzione, è interessante elencare alcuni fattori favorevoli o sfavorevoli alle
strutture in acciaio:
− rispetto ad altri materiali da costruzione, l'acciaio ha un elevato valore del rapporto
resistenza/peso a cui conseguono una maggiore leggerezza della struttura (a titolo
orientativo un fabbricato con struttura in acciaio può pesare 0,30 t/m3 vuoto per pieno, con
struttura in c.a. 0,35 t/m3) e quindi fondazioni meno costose, ingombri ridotti degli
elementi portanti, minori oneri di trasporto e sollevamento dei pezzi prefabbricati;
− le ridotte dimensioni delle sezioni, dovute all'elevata resistenza del materiale (non
accompagnata da un modulo elastico elevato in proporzione), comportano maggiore
deformabilità e pericolo di fenomeni di instabilità. Le Norme infatti, oltre a imporre dei
limiti alle deformazioni (frecce degli elementi inflessi, spostamenti orizzontali dei
fabbricati alti, ecc.), dedicano un intero paragrafo al criteri di verifica riguardo
all'instabilità. Questa si può manifestare sia per la struttura nel suo insieme, sia per un

183
intero elemento (sbandamento laterale di una colonna o di un controvento compressi,
svergolamento di una trave inflessa), sia localmente nelle lamiere degli elementi
(imbozzamento dell'anima, dell'ala, di una parete)
− sono propri dell'acciaio i pericoli di rotture fragili (a temperature molto basse o per
particolari lavorazioni, che inducano stati triassiali di tensione, o per urti) e di rotture per
fatica (v.anche par.2.6);
− una struttura metallica può essere trasformata, consente facili accoppiamenti con
strutture
non metalliche, può essere, in particolari casi, anche recuperata;
− proprietà comuni a tutte le costruzioni prefabbricate, e quindi a quelle metalliche, sono
rapidità di esecuzione e industrializzazione del lavoro;
− in alcune parti della struttura possono essere presenti tensioni interne dovute a
lavorazioni
(produzione, montaggio), mentre non esiste il ritiro del materiale;
− come già si è detto, l'acciaio deve essere protetto dall'azione del fuoco, che ne altera le
caratteristiche meccaniche, e dalla corrosione: sono necessari pertanto trattamenti iniziali
e manutenzione continuata;
− la rappresentazione grafica del progetto è più onerosa.
Un cenno, infine, alle strutture miste acciaio-calcestruzzo; a questa definizione strutture miste acciaio-calcestruzzo
corrisponderebbero anche le strutture in c.a., nelle quali si impiegano barre di acciaio
distribuite e piegate opportunamente nelle zone di conglomerato ove si prevedono tensioni
di trazione.
Nelle strutture miste propriamente dette, però, l'acciaio è utilizzato in profilati, che
vengono preparati, lavorati e assemblati con i criteri propri delle strutture in acciaio e che
spesso costituiscono il supporto per il getto del calcestruzzo.
Mentre nelle strutture in c.a. il trasferimento delle tensioni interne da un materiale
all'altro avviene su tutta la superficie delle barre, in quelle miste il contatto è limitato ad

184
un piano (per es. faccia dell'ala superiore di un profilato a I, come in figura); su tale piano
è necessario pertanto realizzare dispositivi che assicurino la trasmissione degli sforzi di
scorrimento, come staffe e perni, saldati alla trave d’acciaio e compresi nel getto di
calcestruzzo.
Nel calcolo viene prudenzialmente affidato ad essi per intero il trasferimento delle
tensioni di scorrimento tra 1e due parti, trascurando l'aderenza con la faccia del profilato.
La sezione, composta dai due materiali, viene considerata unica e analizzata nelle
verifiche con il metodo delle t.a. o degli s.l..
Si osserva che, nella verifica a rottura, si evitano le incertezze sulla valutazione di
numerosi parametri che devono essere considerati nel metodo delle t.a. Infatti, detta
verifica può prescindere dagli effetti del ritiro, della viscosità, delle variazioni termiche
differenziali, delle fasi costruttive, delle tensioni residue, che influenzano sostanzialmente
solo le tensioni di esercizio. Si rileva però l'importanza di questi problemi nelle strutture
miste riguardo ad altri s.l. (cedimenti locali, deformazioni, ecc.), che debbono comunque
essere tenuti presenti.

7.2 GLI ELEMENTI CHE COMPONGONO LA STRUTTURA


Le strutture degli edifici civili, ai quali si farà riferimento nel breve esame che segue,
sono costituite da fondazioni, colonne, travi (principali e secondarie), solai, eventuali
controventi. Le fondazioni sono sempre in c.a. (perché non possono essere in
manutenzione) e di esse si è parlato nel cap.6.
Per la realizzazione di colonne, travi, controventi si impiegano generalmente profilati
semplici in commercio, previsti nel sagomario europeo: solo se le sezioni di questi
risultano insufficienti, si fa ricorso a elementi composti speciali, più costosi. I prontuari, a
cura delle società produttrici, riportano in tabelle le caratteristiche geometriche e statiche
dei profilati commerciali (v.pag. seguente).
Le colonne sono elementi verticali soggetti principalmente a sforzo normale, colonne
eventualmente accompagnato da flessione. Possono essere realizzate con profili

185
commerciali semplici con sezione a I (doppio T) ad ali larghe (serie HE - A leggera, B
normale, M rinforzata) che presentano raggio d'inerzia e, quindi, snellezza non molto
dissimili in tutte le direzioni; le sezioni tubolari hanno raggio d'inerzia elevato e costante
in tutte le direzioni, ma comportano maggiori difficoltà nelle unioni con altri elementi.
Nei casi in cui la flessione o la lunghezza libera d'inflessione in un piano prevalgono
rispetto agli altri, si adotteranno sezioni aventi in tale piano modulo di resistenza (e raggio
d'inerzia) più elevato.
Dall'accoppiamento di lamiere, di profilati a L, a C, a I si possono ottenere sezioni
composte, più costose, ma indispensabili in particolari condizioni di sollecitazione.
Alle volte risulta più conveniente per il montaggio realizzare colonne in un solo pezzo
comprendente più piani, anziché suddivise piano per piano, in quanto si riduce il numero
delle unioni (colonne passanti). La sezione dell’intero tratto si dimensiona in base alle
sollecitazioni massime, che si hanno generalmente in corrispondenza la piano più basso,
oppure si rinforza ai piani inferiori la sezione progettata per il piano più alto.
Le travi principali e secondarie, sollecitate a flessione, possono essere costituite da travi
profilati commerciali con sezione a I, (della serie IPE o, se l’altezza è limitata, della serie
HE, più bassa ma più pesante a parità di modulo di resistenza) o a C.
Per carichi o luci notevoli si passa a travi composte (a parete piena o forata, a traliccio o a
cassone). Con piatti saldati è possibile ottenere sezioni composte a parete piena con
sezione a I, a C, ad H; travi di questo tipo sono disponibili in serie unificate ed integrano
pertanto la gamma dei profilati semplici.
Il passaggio dei cavi e tubazioni degli impianti richiede a volte dei fori ( generalmente
circolari o rettangolari) nell’anima delle travi. Rispondono a questa esigenza le travi
alveolate prodotte in serie con profili commerciali, tagliati a greca lungo l’anima e saldati
come risulta dalla figura; il profilo che si ottiene ha, inoltre, il momento d’inerzia
superiore rispetto al profilato di base.
Nei casi comuni si impiegano travi di sezione costante, progettate per il momento
massimo; negli elementi inflessi di una certa importanza può risultare conveniente

186
impiegare un profilo semplice, rinforzato in corrispondenza delle sezioni più sollecitate
mediante piattabande applicate alle ali, oppure un profilo composto, avente momento
d'inerzia variabile lungo l'asse della trave, in relazione all'andamento del momento
flettente. Ciò si può ottenere variando l'altezza della trave, oppure la larghezza o lo
spessore delle ali.
I solai degli edifici a struttura d'acciaio possono essere in calcestruzzo o metallici. Nel solai
primo caso si tratta di solai analoghi a quelli delle strutture in c.a. costituiti da solette
piene o miste in calcestruzzo e laterizio. Nel secondo caso di lamiere zincate con forma
ondulata o grecata, su cui si può effettuare un getto di riempimento.
Dell'esecuzione e del calcolo dei solai in calcestruzzo si è già accennato (par. 4.2); il
loro impiego nelle costruzioni metalliche pone, però, alcuni problemi particolari. I1 solaio
può essere indipendente dalle travi portanti metalliche, allora il suo comportamento è del
tutto simile a quello dei solai delle strutture in c.a. ma, nella determinazione delle
sollecitazioni, potrà esser necessario tenere conto della maggiore cedevolezza degli
appoggi (cap.8).
I1 solaio può invece collaborare con le travi metalliche, se vengono predisposte
opportune connessioni sulla superficie di contatto;si realizza in tal caso una struttura
mista acciaio-calcestruzzo (nella direzione d'orditure delle travi).
I solai metallici sono costituiti da lamiere zincate di piccolo spessore (5/10 ÷ 20/10
mm.) la cui capacità portante è data dalla particolare forma ondulata o grecata; esse
vengono fissate alle travi con viti o con punti di saldatura. I1 getto di riempimento può
avere solo fini di spianamento, ripartizione, isolamento acustico e termico, ecc.; oppure
collaborare staticamente con la lamiera, mediante risalti sulle superfici o saldatura per
punti di una rete elettrosaldata d'armatura, disposta nel getto.
I controverti sono elementi di irrigidimento dell'insieme della struttura (cfr. cap.8) controventi
riguardo alle azioni esterne laterali (come il vento). Essi possono essere costituiti da pareti
in c.a. oppure da aste in acciaio disposte in maniera da lavorare a trazione e compressione.

187
7.3 I COLLEGAMENTI
I principali sistemi per collegare due o più parti di una struttura d'acciaio so no:
− chiodi
− bulloni normali
− bulloni ad attrito
− saldature
Le Norme indicano sia i materiali da impiegare, sia i criteri di verifica, sia le regole
pratiche per il progetto e l'esecuzione.
I collegamenti con chiodi e con bulloni normali sono simili nel comportamento statico chiodi, bulloni normali
e nella preparazione delle parti da connettere: gli sforzi sono trasmessi da una parte
all'altra mediante il gambo (di chiodo o bullone), che attraversa i due pezzi,
precedentemente forati. Le norme stabiliscono i diametri normali del gambo e del
relativo foro, l'interasse tra i fori e la loro distanza dai bordi; questi ultimi limiti servono a
garantirsi dall'indebolimento della lamiere, dal distacco tra le faccia a contatto (pericolo di
corrosione all'interno), dall'instabilità di tratti intermedi di lamiera compresi fra due chiodi
o bulloni e sono anche necessari all'esecuzione del collegamento.
Essi differiscono, invece, sostanzialmente nel sistema di bloccaggio: i chiodi, dotati di
testa ad una sola estremità del gambo, vengono riscaldati a temperatura tale da renderli
malleabili (∼1200°C), poi introdotti nel foro e ribattuti (∼950°C) con uno stampo, in modo
da formare in opera la seconda testa dell'altra estremità; i bulloni normali sono filettati e
vengono serrati mediante un dato avvitato (con chiavi normali o dinamometriche).
Infatti, durante il raffreddamento da 950°C alla temperatura ambiente, il chiodo non è
libero di accorciarsi e quindi comprime le lamiere una contro l'altra. Le incertezze
sull'entità delle tensioni indotte dalla contrazione termica e sulla qualità della testa
realizzata in opera sconsigliano l'uso di chiodature nei collegamenti atti a trasmettere
sollecitazioni dirette parallelamente al gambo (fig.)002E

188
Dopo il serraggio del dado, anche i bulloni sono tesi e comprimono le lamiere,
fornendo, però, per le loro modalità esecutive, maggiori garanzie nei riguardi di eventuali
sforzi di trazione. Di ciò tiene conto il regolamento stabilendo tensioni ammissibili di
trazione molto superiori a quelle per i chiodi.
Le principali verifiche dei collegamenti con chiodi e bulloni riguardano la recisione del
gambo, la rottura della lamiera indebolita dai fori, il rifollamento della lamiera, per effetto
della pressione di contatto con il gambo.
Per poter effettuare tali verifiche è necessario calcolare come si distribuiscano tra i vari
chiodi o bulloni le sollecitazioni totali agenti sul collegamento. Si tratta di un problema
iperstatico e le equazioni di equilibrio non sono sufficienti, ma è necessario considerare la
deformabilità del sistema. Ragionando nei due casi limite (a) di infinita rigidità dei pezzi
da unire e perfetta deformabilità dei chiodi e (b) viceversa, si può dimostrare che nel caso
(a) la sollecitazione si ripartisce uniformemente tra tutti i chiodi, nel caso (b) viene
interamente sopportata dal primo e dall'ultimo della fila. La situazione reale (c) sarà
intermedia.
I risultati dell'analisi teorica e sperimentale di casi reali sono stati utilizzati per
formulare delle regole pratiche per la scelta del numero massimo dei chiodi per fila e del
passo delle chiodature; nelle applicazioni si suole spesso considerare la ripartizione
uniforme della forza tra tutti i chiodi, nel caso di sollecitazioni come in figura.
I collegamenti con bulloni ad attrito, molto simili nella tecnologia a quelli con bulloni
normali, ne differiscono sostanzialmente per il comportamento statico. Anche nei
collegamenti precedenti, per effetto delle operazioni di bloccaggio (raffreddamento dei
chiodi, serraggio dei bulloni), nascono tensioni di attrito che collaborano alla resistenza,
ma si trascurano nel calcolo.
Nel collegamento in esame, invece, si fa riferimento solamente all’attrito, non
considerando la resistenza al taglio del gambo, la quale non può entrare in gioco, perché
l'attrito impedisce praticamente scorrimenti relativi fra le lamiere.

189
I bulloni ad attrito, realizzati in acciaio ad alta resistenza, vengono serrati per mezzo di bulloni ad attrito
chiavi dinamometriche, in modo da avere una forte trazione nel gambo e quindi una forte
precompressione dell'interfaccia delle lamiere. Nota la forza di trazione Nb nel gambo, il
regolamento propone per il calcolo della forza Nt di esercizio trasmessa per attrito, per
ogni bullone:
Nt = (1/νs)μNb
ove νs è il coefficiente di sicurezza allo slittamento, che si assume 1,25 per la con dizione
di carico I (azioni principali) e 1,10 per la II (azioni principali e complementari); μ è il
coefficiente d'attrito, i cui valori variano tra 0,45 e 0,30 in funzione della qualità delle
superfici a contatto.
Se, come possibile, il collegamento richiede anche sforzi assiali N di trazione nei
bulloni (fig.), la forza d'attrito Nt si riduce:
Nt = (1/νs)μ(Nb − N)
Per quanto riguarda diametri normali, interassi, distanze dai bordi valgono criteri
analoghi a quanto detto per i collegamenti con bulloni normali; particolare cura va posta
alla protezione dalla corrosione, che potrebbe nel tempo ridurre l'attrito tra le superfici a
contatto e quindi la resistenza del collegamento.
I collegamenti con saldature sono sostanzialmente diversi da tutti i precedenti, sia per saldature
le modalità esecutive, che per il funzionamento statico. Portando i materiali a contatto ad
elevate temperature si genera un legame intimo tra loro e si ottiene così un insieme
monolitico, attraverso cui le tensioni fluiscono con continuità.
I procedimenti tecnologici delle saldature sono vari e complessi; le norme indicano quali
impiegare:
− saldatura manuale ad arco con elettrodi rivestiti;
− saldatura automatica ad arco sommesso;
− saldatura automatica e semiautomatica sotto gas protettore;

190
ammettendo la possibilità di adottare altri procedimenti, la cui efficacia venga pre-
ventivamente verificata con ben determinate prove.
L'arco voltaico si sviluppa tra due elettrodi, uno costituito dagli elementi da unire,
l'altro da un cannello metallico inserito nella saldatrice, il quale fornisce il materiale
d'apporto per il cordone di saldatura.
Variando la composizione dell'elettrodo metallico, che avrà caratteristiche simili al
metallo base da saldare, e rivestendolo con materiali opportuni, è possibile influire
sostanzialmente sui risultati dell'operazione (riducendo le perdite di carbonio, proteggendo
la saldatura dall'ossidazione, rendendo più graduale il raffreddamento, durante il quale
possono nascere tensioni interne causate dall'impossibilità delle diverse parti di deformarsi
liberamente).
Anche per la scelta degli elettrodi metallici vengono date indicazioni dal regolamento.
Una classificazione dei tipi di saldatura può essere fatta in funzione delle posizioni
relative che assumano le lamiere tra loro e con il cordone. Si hanno così i giunti a
completa penetrazione, con le lamiere disposte testa a testa, a croce, a T ed i giunti con
cordoni d'angolo, frontali e laterali.
Per la verifica delle saldature si calcolano le tensioni ideali assumendo per la sezione
resistente della saldatura dimensioni convenzionali, fissate dalle norme in funzione del
tipo di giunto e della direzione delle forze che lo sollecitano, e si confrontano con le
tensioni ammissibili (v. esempio in fine capitolo).
Per tutti i collegamenti descritti assumono grande importanza le modalità esecutive ed controlli
i successivi controlli per accertare la buona riuscita delle operazioni o per individuare
eventuali difetti.
A questo proposito il regolamento precisa che:
− nei collegamenti con chiodi: le teste ottenute con le ribaditure devono risultare ben
centrate sul fusto, ben nutrite alle loro basi, prive di screpolature e ben combacianti con
la superficie dei pezzi; dovranno poi essere liberate dalle bavature mediante scalpello
curvo, senza intaccare i ferri chiodati;

191
− nei collegamenti con bulloni ad attrito le superfici di contatto devono essere pulite
(prive di olio, vernice, scaglie, ecc.), planari, parallele; deve poi essere controllato il
serraggio dei bulloni, misurando il valore della coppia torcente, presente mediante due
possibili operazioni, cioè applicando con chiave dinamometrica un ulteriore coppia che
faccia ruotare il dado di 10°, oppure allentando e riserrando il dado per controllare se la
coppia prescritta lo riporta in posizione originale;
− nei collegamenti con saldature si richiede addirittura che i saldatori abbiano superato
determinate prove di qualifica; che i lembi da collegare siano regolari, lisci ed esenti da
incrostazioni, ruggine, scaglie, grassi, vernici, irregolarità locali ed umidità e presentino
un minimo disallineamento. Particolarmente accurati saranno per le saldature, i controlli
con radiografie, ultrasuoni, o sistemi magnetici dai quali se ne dedurrà l'accettabilità e
l'appartenenza ad una delle due classi previste dalle norme: la saldature di I classe
debbono soddisfare ovunque l'esame radiografico o l'esame con ultrasuoni; per quelle di
II classe sono ammessi difetti contenuti per numero ed estensione, entro ragionevoli limiti
di accettabilità.
Si ricordano, infine, alcuni degli elementi che concorrono alla scelta di un tipo di scelta del collegamento
collegamento piuttosto che un altro.
Le chiodature sono ormai in disuso perché costose, pesanti, lente nel montaggio.
Le bullonature, rispetto alle saldature:
− richiedono una mano d'opera meno specializzata;
− comportano operazioni di montaggio più facili a normalizzarsi ed industrializzarsi e
minori incertezze sulla loro riuscita;
− si prestano meglio ad eventuali trasformazioni e rimozioni;
− hanno bisogno di maggior lavoro di preparazione dei pezzi in officina, sono però
rapide nel montaggio;
− sono più pesanti per la presenza di parti passive (testa, rosetta, dado);
− realizzano unioni che si scostano maggiormente dal vincolo ideale e che presentano

192
discontinuità a causa dei fori;
− condizionano maggiormente le dimensioni dell'unione per la necessità di distanziare
opportunamente fori, dadi.
Mentre in una stessa unione è vietato l'impiego di differenti metodi di collegamento, a
meno che uno solo di essi sia un grado di sopportare l'intero sforzo,è invece possibile
realizzare nella stessa struttura alcune unioni bullonate, altre saldate. Si eseguono allora in
officina le unioni geometricamente e staticamente più impegnative mediante saldatura,
operando in condizioni ottimali (attrezzature, posizione dell'operatore, controlli,
trattamenti protettivi, ecc.); il montaggio in cantiere avviene con collegamenti bullonati
nelle unioni più semplici (per es. a flangia, vedi oltre).

7.4 LE UNIONI
L'assemblaggio della carpenteria metallica, parte in officina, parte in cantiere viene
eseguito con i sistemi di collegamento visti nel par.prec. A seconda dei diversi tipi di
elementi da associare (travi, colonne, eccetera) si hanno vari dettagli attivi o unioni, le cui
caratteristiche tecnologiche e statiche differiscono notevolmente. E' necessario stabilire il
vincolo da realizzare e conseguentemente le sollecitazioni di trasmettere. Per esempio
l'unione tra una trave ed una colonna può essere armata in modo da consentire rotazioni
relative e non spostamenti: in tale sezione si annullano allora i momenti e, nel modello
strutturale, si individua una cerniera. Oppure essa può essere progettata in modo da
costituire un nodo rigido: lo schema sarà in quel punto continuo e tutti gli sforzi potranno
essere trasmessi.
Nel descrivere alcune delle unioni più comunemente impiegate negli edifici civili, si
può seguire una classificazione in funzione della tipologia dei diversi elementi da unire:
− unioni di colonna
− unioni di trave
− unioni trave-trave
− unioni trave-colonna
− unioni colonna-fondazione (base)

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Se una colonna ha dimensioni tali da rendere opportuna, per il trasporto e montaggio, una unioni di colonna
suddivisione in più pezzi, si devono prevedere delle unioni.
Esse vengono preferibilmente disposte ove la flessione risulta minima, al di sopra dei
nodi; si ottengono così unioni più semplici perché soggette a solo sforzo normale e
distanziate dagli attacchi delle travi.
Le due parti di colonna possono essere saldate testa a testa, o unite mediante
coprigiunti (chiodati o bullonati o saldati), oppure con flange da collegare mediante
bulloni;le flange sono preparate in officina e saldate normalmente all’asse del profilato.
Se i tratti di colonna sovrapposti hanno sezione diversa, si ricorre a piastre di
imbottitura tra profilati e coprigiunti, a vari elementi di raccordo, in modo da realizzare
nel migliore dei modi il passaggio delle tensioni da una sezione all’altra (v.figura).
La verifica delle unioni con saldatura testa a testa non è necessaria nel caso di
saldature di I classe, che ripristinano integralmente la sezione del profilato; è molto
semplice per quelle di II classe: σ1 = N/As ≤ 0,85σamm, assumendo una sezione
convenzionale As della saldatura pari a quella del più piccolo dei profilati da unire.
Nelle unioni di colonne a doppio T con coprigiunti bullonati , dopo aver valutato la
distribuzione dello sforzo assiale N tra ali ed anima (per es. in proporzione alle rispettive
aree), le verifiche da farsi riguardano: i bulloni soggetti taglio; le sezioni di colonna
indebolite dai buchi; il rifollamento della lamiera al contorno dei fori. Inoltre, si devono
dimensionare i coprigiunti in modo che abbiano la stessa area ed inerzia dei profilati da
unire.
Lo spessore delle flange deve essere proporzionato a quello delle parti da unire ed al
loro eventuale disassamento.
I modi per unire due tronchi di una stessa trave sono analoghi a quelli descritti per le unioni di trave
colonne, pur essendo diverse le forze da trasmettere: sforzo di taglio, momento flettente.
Si hanno ancora unioni saldate testa a testa, unioni con coprigiunti bullonati o saldati,
unioni con flange. Esse si dispongono, possibilmente, in punti della trave ove le
sollecitazioni sono minime.

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Nelle saldature di testa a completa penetrazione, le tensioni τ e σ, dovute a T ed M, e la
conseguente σid, da confrontare con la σam, si calcolano assumendo una sezione resistente
pari a quella della trave, poiché la saldatura corre lungo tutta le sezione.
Nelle unioni con coprigiunti bullonati le verifiche riguardano ancora le sezioni di trave
indebolite dai fori, i bulloni, i coprigiunti. Per il calcolo delle tensioni da attribuirsi ai
singoli bulloni o a gruppi di esse, dovute alle sollecitazioni N, M, T che l’unione trasmette,
si rinvia all’esempio in fine paragrafo.
Le unioni trave-trave sono quelle relative all’intersezione tra travi principali e unioni trave-trave
secondarie.
Possono essere progettate in modo che la trave secondaria sia semplicemente
appoggiata su quella principale, collegando la trave secondaria all’anima della principale
con saldatura, mediante squadrette e bulloni, con flangia o anche saldando all’anima della
trave principale un appoggio (tacco) per la secondaria, che poi viene fissata con angolari e
bulloni.
Se si richiede all’unione di realizzare la continuità fra le travi secondarie, devono
essere rese continue le ali superiori e inferiori, per trasmettere i momenti flettenti. Ciò può
essere ottenuto con unioni bullonate, applicando coprigiunti in zona tesa e spessori in zona
compressa, oppure con unioni saldate.
Per le unioni trave-colonna si hanno diverse possibili soluzioni a seconda che sia unioni trave-colonna
passante la colonna oppure la trave, a seconda che si voglia ottenere un vincolo rigido
(incastro) o articolato (cerniera), a seconda che nel nodo concorrano una o più travi (nodi
a una, due, tre, quattro vie).
Nel caso della colonna passante, più usato negli edifici, si realizza il nodo-cerniera
analogamente alle unioni trave-trave con squadrette, bulloni ed eventualmente tacchi,
collegando la trave all'ala o all'anima della colonna, come mostrato nelle fig. a pag.
seguente.

196
Lo schema del nodo-incastro si esegue in genere con saldature o con flange, di-
sponendo rinforzi sull'anima e tra le ali della colonna, per evitare il pericolo di
imbozzamenti e di strappi, determinati rispettivamente dalla compressione e dalla trazione
delle ali della trave.
Nel caso meno frequente, in cui sia passante la trave, si ricorre a soluzioni a flangia per
la colonna con collegamento in opera bullonato o saldato e si ricostituisce con piatti
saldati la sezione della colonna nel tratto compreso tra le ali della trave.
Sia per le unioni trave-trave che per quelle trave-colonna, volendo evitare saldature in
opera, si possono saldare in officina (rispettivamente alla trave principale o alla colonna)
dei tronchi di trave ed eseguire poi in opera unioni di trave bullonate in sezioni correnti.
Le unioni colonna-fondazione hanno il compito di trasmettere le azioni della colonna unioni colonna-fondazione
in acciaio alla struttura di fondazione in c.a. Nella zona dell'unione le tensioni devono
ridursi notevolmente in relazione ai valori ammissibili del conglomerato.
A tale scopo si salda una piastra alla base della colonna e la si ancora al calcestruzzo
con bulloni particolari, anche se la superficie di interfaccia risultasse interamente
compressa. Affinché le tensioni di contatto siano ben distribuite, la piastra deve essere
molto rigida e quindi molto spessa, oppure nervata.
La sezione di conglomerato di contatto può essere trattata, per il calcolo delle tensioni
nel conglomerato stesso e nei bulloni con cui effettuare le verifiche, come una sezione in
c.a. parzializzata e con i bulloni d'ancoraggio al posto delle barre.
Con le stesse tensioni si dimensiona la piastra d'acciaio, rispetto alla deformazione.
I bulloni d'ancoraggio o tirafondi possono essere annegati nel getto della fondazione,
oppure esservi collocati successivamente, insieme alla colonna, in alloggiamenti
predisposti, che vengono poi sigillati con malta espansiva contemporaneamente al
riempimento dello spazio lasciato tra piastra e plinto.
I tirafondi vanno ancorati inferiormente ad armature (barre, putrelle) annegate nel
plinto e disposte al fondo degli alloggiamenti.

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Dopo aver descritto alcune tipiche unioni fra elementi strutturali di edifici, con qualche esempi
cenno al loro comportamento statico, sono utili degli esempi di riferimento per indicarne il
procedimento di verifica.
Nel collegamento con bulloni e squadrette di un unione trave-trave, che realizzi un
nodo-cerniera, si devono verificare le diverse parti (bulloni, squadrette, travi), dopo aver
determinato le sollecitazioni che esse si scambiano.
Sono valide alcune ipotesi: si può considerare la trave principale priva di rigidezza
torsionale ed i bulloni capaci di reagire solo a sforzi di taglio, che si suppongono ripartiti
uniformemente fra essi.
Ciò premesso e detta R la reazione della trave secondaria (s.) appoggiata sulla
principale (p.), è possibile calcolare le forze che impegnano le singole parti, nel caso
rappresentato in figura, ove le squadrette, di spessore costante, sono collegate con due
bulloni (n = 2) all'anima sia della trave s., sia di quella p..
Nel collegamento squadrette-trave s. (sez.a.a.), dato che i bulloni trasportano la
reazione a una distanza ea dalla trave p., nasce un momento Ma = R × ea in equilibrio con
la coppia Ha=Ma/c così le forze scambiate tra bulloni e trave s. sono:
Va=R/n Ha=(R × ea )/c

componendo Va e Ha, la risultante è: Fa = Va2 + H a2 ; quelle tra bulloni e squadrette


valgono la metà, perché la forza Fa presente in un bullone si ripartisce tra le due
squadrette (v.fig.sez.1.1).
Nel collegamento squadrette-trave p. (sez.b-b) si ha ancora un momento Mb= ebR/2
dovuto all'eccentricità di ogni coppia di bulloni dall'asse della trave s; le sollecitazioni tra
squadrette, bulloni, trave p. sono:

Vb = (R 2 ) n H b = [(R 2 ) × eb ] c Fb = Vb2 + H b2

e poiché ea ≅ eb, le risultante è ≅ Fa/2.

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Le verifiche che interessano la sez. a-a sono dunque:
per i bulloni (a taglio) τ = Fa 2 Abull ≤ τ amm (bull .)
per le squadrette (sezione depurata σ = (M a Wsq ) = (R × ea ) Wsq e τ = R Asq
dei fori a flessione e taglio)
da cui σ id = σ 2 + 3τ 2
per l’anima della trave (rifollamento σ = Fa (s × d ) ≤ σ rif . × 1,15 = 2σ am × 1,15
della lamiera al bordo del foro)

Quando risultano soddisfatte le condizioni di verifica del collegamento alla trave s.


(sez. a-a), è di solito superfluo controllare il collegamento alla trave principale (sez. b-b),
poiché, se ea≅eb, in questo si hanno le stesse sollecitazioni nelle squadrette e nei bulloni e
sollecitazioni metà nell’anima della trave p., che, inoltre, ha in genere spessore maggiore.
Per la stessa unione, se si impiega la saldatura, vengono realizzati due cordoni lungo
gli spigoli di contatto dell'anima della trave s. con quella p.
Tali cordoni d'angolo si verificano assegnando al cordone uno spessore p conven-
zionale, pari all'altezza del triangolo iscritto nella sezione (v.figura) del cordone stesso.
Calcolando che i cordoni in parallelo, di lunghezza l, nel presente caso sono due, la
superficie totale utile di saldatura risulta 2l × p. La tensione tangenziale τ si verifica8:
0,85σ amm per acciaio tipo 1
τ II = R (2h × p ) ≤
0,70σ amm per acciaio tipo 2
Un altro esempio: l'unione di trave del profilato a I in figura, con coprigiunti bullonati
sull'anima e sulle ali, deve essere in grado di trasmettere le sollecitazioni T, M. I1 taglio
viene portato interamente dai bulloni dall'anima, il momento flettente in parte dai bulloni
delle ali, in parte da quelli dell'anima.

8
Si indicano con σ⊥, τ⊥, σII, τII, rispettivamente le tensioni perpendicolari e parallele all’asse della
saldatura.

200
La distribuzione di M tra ali ed anima può essere fatta in proporzione ai rispettivi
momenti di inerzia:
2 × b × e × [(h − e ) 2] (1 12) × a × [(h 2) − e] × M
2 2
M = M (ali ) + M (anima ) = ×M +
Ix Ix
(avendo considerato le risultanti di trazione e compressione nelle ali alla distanza h − e).
La sollecitazione con cui verificare i coprigiunti d’ala a sforzo normale, i fori nell’ala a
rifollamento ed i relativi bulloni al taglio, è data allora da: Ftot = M (ali ) (h − e ) ,
Fbull , ali = Ftot n(ali ) ( nell’esempio: numero bulloni ali n(ali)=6).
I coprigiunti d’anima vengono dimensionati in modo da avere momento d’inerzia
uguale o maggiore di quello dell’anima della trave; i relativi bulloni sono soggetti alle
forze V ed H dovute, rispettivamente, a T ed M(anima). Più sollecitati sono i bulloni che
distano maggiormente dal baricentro, nel caso in figura:
V = T n(anima ) H max = M (anima ) C (nell’esempio nanima=3)

con la risultante Fbull (max ) = V 2 + H max


2
si verificano l’anima della trave a rifollamento e la
sezione dei bulloni a taglio.
Infine, si verifica a flessione e taglio la sezione della trave in corrispondenza delle
forature, ove risulta indebolita.
In generale, concludendo, per lo studio di unione si procede così:
− si determinano gli sforzi N, T, M che 1'unione trasmette in relazione al funzionamento
dell'intera struttura:
− si sceglie uno schema astratto, rispondente alle caratteristiche dell’unione considerata,
per determinare la ripartizione di tali sforzi tra i singoli che la compongono (chiodi,
bulloni, cordoni di saldatura, squadrette, coprigiunti, ecc.);
− si verificano le tensioni negli elementi più sollecitati, in base ai criteri di resistenza

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negli elementi congiungenti (chiodo, bullone, saldatura) nelle lamiere e negli eventuali
rinforzi; si possono stati di tensione avere pluriassiali, a seconda dei casi (ad es. nelle
applicazioni precedenti, stato monoassiale si ha nei bulloni, nel cordone di saldatura,
pluriassiale, nelle squadrette, nelle sezioni dei profilati indebolite dai fori).
Sia per la concezione del nodo (progetto dell’unione, scelta del collegamento,
disposizione di tacchi d'appoggio, di rinforzi, individuazione degli elementi da verificare,
ecc.), sia per la distribuzione degli sforzi tra i singoli elementi, più che a regole generali
va fatto riferimento a schemi validi caso per caso; gli esempi illustrati precedentemente
sono soltanto un indicazione del modo di procedere ed un un'analisi più sistematica di tutti
i casi può essere fatta su testi specializzati.

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