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GIN

Dott. Fambrini GINECOLOGIA

(10/10/2018)

PATOLOGIA VULVARE, ECOSISTEMA


VAGINALE, MALATTIE SESSUALMENTE TRASMESSE

HPV-HUMAN PAPILLOMAVIRUS
VLP vaccine

Oggi sarebbe in programma una lezione sulla patologia vulvare, sull’ecosistema vaginale e le malattie
sessualmente trasmesse.
Per quanto riguarda le malattie sessualmente trasmesse, credo che sia un argomento ripetitivo, nel
senso che è già trattato a dermatologia e in tanti altri ambiti, invece vorrei approfondire un tema
molto specialistico e cioè l’infezione da HPV e i suoi rapporti con il cancro e le malattie a
trasmissione sessuale, nonché le strategie di prevenzione; a seguire la patologia vulvare, che è
anch’essa, in parte, collegata all’infezione da HPV.
Concludiamo il discorso dello Screening parlando dell’HPV, perché è un tema estremamente legato al
concetto di screening. Abbiamo avuto la possibilità di identificare molto presto questo fattore
eziologico, perché il cancro della cervice è l’unico cancro per cui è stata dimostrata la base
infettiva, l’agente causale è un virus. Questo rapporto è molto più stretto tra HPV e cervice uterina
che non tra HBS e epatocarcinoma, oppure tra fumo di sigaretta con polmone. Se non c’è HPV il
cancro non si può sviluppare attraverso tutte le sue fasi di malattia, prima intraepiteliale e poi
invasiva. Abbiamo avuto la possibilità di sviluppare un test per identificare i sierotipi più importante
di HPV molto presto, tanti anni fa, e ce lo siamo tenuto a disposizione pensando cosa farci, perché ci
siamo resi conto che la maggior parte delle donne, sopratutto giovani, avevano un test positivo.
Queste donne erano donne che avevano in effetti un hpv ad alto rischio, ma se ne sarebbero liberate
rapidamente e non avrebbero mai avuto problemi di cancro. Quindi introdurlo nella pratica clinica è
stato difficile, perché avere un test scarsamente specifico, ricco di falsi positivi non serve a niente,
incrementa soltanto i costi di secondo livello, in quanto tutti i falsi positivi erano mandati a fare la
colposcopia, che risultava negativa. L’ HPV-TEST è stato per diversi anni in stand-by, arrivando
perfino a dubitarne l’efficacia, se ne faceva utilizzi di nicchia come ad esempio per fare il triage di
alcune classi di PAP-test dubbio, il famoso ASCUS, se veniva al PAP-test ASCUS si poteva fare la
colposcopia oppure fare l’HPV-test da linea guida, però di fatto non era tanto utile. Poi è emerso che
poteva essere utilizzato come screening nelle fasce di età più avanzate perché erano quelle le fasce
di età in cui le infezioni diventavano pericolose. Questo virus agisce molto lentamente, la storia
naturale dello sviluppo del tumore è una storia di anni, quindi andarlo a identificare nelle donne in
fascia di età 35-65 era molto più predittivo che nelle donne più giovani.
Quando parlo di falso positivo dell’ HPV-TEST bisogna intendersi, ne parlo in termini oncologici, cioè
il gold dello screening è identificare la CIN, una lesione intraepiteliale ancora trattabile in maniera
conservativa. LìHPV-TEST ha tanti falsi positivi perché identifica il virus, quindi se cerco il virus è un
vero positivo, ma in realtà la CIN in queste infezioni virali c’è poche volte. Quindi falso positivo in
termini oncologici di predittività della CIN. Perciò l’utilizzo che se ne fa oggi è un utilizzo ragionato
in questa fascia di età più avanzata, dove ha dimostrato di essere costo efficace rispetto allo
screening con PAP-test, soprattutto perché le donne negative ripetono lo screening a 5 anni, e questo
riduce il numero di test complessivi che si fanno nell’arco di una vita. Da qui in poi cosa cambierà? E’
chiaro che quando hai una patologia a trasmissione infettiva ti concentri sulla vaccinazione e qui
sono stati tanti gli sforzi per creare un vaccino, è di fatti il primo vero vaccino contro un tumore. I
sierotipi virali sono tanti, alcuni sono oncogeni, altri si associano alla Condilomatosi. Gli oncogeni non
hanno tutti la stessa prevalenza, ce ne sono alcuni che sono responsabili della stragrande
maggioranza dei tumori, come il 16 e il 18 che sono associati al 70% dei cancri della cervice, quindi
quasi tutte le donne che hanno cancro della cervice, se si tipizza il virus hanno un 16 o 18. E’ chiaro
che quando in laboratorio si va a sviluppare un vaccino, essendo tutti diversi, si deve selezionare i
ceppi che vogliamo combattere e ragionevolmente sono stati selezionati il 16 e il 18. Sono stati
sviluppati due vaccini: il quadrivalente e il bivalente. Entrambi sono efficaci nella prevenzione delle
patologie correlate a HPV 16 e 18, ma nel quadrivalente vengono inseriti anche altri due ceppi virali,
la protezione verso il 6 e l’11. 6 e 11 non sono oncogeni ma sono legati allo sviluppo della maggior
parte dei conditomi. Questa è stata una scelta giusta da qualche punto di vista, non popolare da altri
punti di vista perché sicuramente chi deve scegliere personalmente che vaccino fare o che vaccino
far fare ai propri figli decide il quadrivalente , almeno ha una copertura verso la condilomatosi,
malattia tediosa e fastidiosa. Tuttavia quando si va a ragionare su larga scala e quando dobbiamo
offrire gratuitamente un vaccino, è chiaro che devo farmi delle domande: che cosa voglio prevenire?
il cancro; qual è quello che costa meno? il bivalente. Così la regione Toscana, come altre regioni,
optò a suo tempo per il bivalente, offrendolo ovviamente in quella fascia di età in cui ancora non era
possibile che fosse stato contratti i virus, quindi in età prescolare, nel dodicesimo anno. Tutte le
bambine venivano convocate e poi i genitori decidevano se aderire o meno alla vaccinazione. Sia il
bivalente che il quadrivalente hanno dimostrato di funzionare: nelle popolazioni vaccinate, come gli
australiani, la prevalenza della CIN e del cancro si riduce. 16 e 18 sono associati al 70% dei tumori in
tutto il mondo, più poi c’è una cross reattività per cui esistono delle affinità strutturali tra il 16 e il
18 e altri virus oncogeni, per cui questa cross reattività immunitaria porta a una protezione totale a
livelli più alti. Il problema è che di fatto il vaccino funziona contro quei sierotipi per il quale è stato
progettato, però rimane fuori un 20-30% di cancri che non sono correlati a quel 16 e 18. Quindi cosa
facciamo? Possiamo far finta di niente? No perché non è possibile parlare di prevenzione se si lascia
in giro un rischio del 20-30%. Ci sono state due strade parallele, una che ha continuato a sviluppare il
vaccino cercando di arrivare a una copertura maggiore e un’altra che ha associato alla vaccinazione
lo screening, per identificare con strategie di prevenzione secondaria quei cancri che invece non
venivano prevenuti dal bivalente e quadrivalente. La donna che faceva il vaccino era comunque una
donna che doveva fare lo screening, e questo è stato il motivo per cui non si è raggiunta una discreta
copertura, purtroppo questo vaccino ha avuto difficoltà, al di là di tutte le polemiche sui vaccini che
ci sono state e che ci sono ancora , per cui sono troppi, fanno male e così via..infatti se mi vaccino
voglio levarmi un problema e se devo continuare a fare lo screening per beccare quel 20-30% di casi
che non sono prevenuti dal vaccino allora posso fare lo screening e basta, senza vaccinarmi. Questo è
stato il ragionamento di tanti genitori che non hanno sottoposto le proprie figlie, e poi i propri figli
perché oggi la vaccinazione sarebbe indicato anche nel maschio. Allora sono stati introdotti altri virus
all’interno del vaccino e oggi è in commercio e viene utilizzato un vaccino nonavalente, vuol dire che
protegge verso 9 ceppi, portando la protezione a una copertura oltre il 90%. Ci si può sempre
chiedere se il ragionamento di prima è valido anche ora, cioè non ce l’ho il 100% ma non ce lo avrò
mai. Cosa posso avere vaccinando tutte le bambine? Qual è la strategia a lungo termine della
vaccinazione? Se io vaccino tutte le bambine, la circolazione del virus nelle fasce di età più giovanili
si abbassa, non ho più tutte quelle ragazzine giovani con HPV-TEST positivo e poi di fatto niente.
Idealmente in una popolazione di donne vaccinate potrei utilizzare come unico mezzo di screening,
anche nelle giovani, l’ HPV-TEST perché la prevalenza del virus sarebbe molto bassa e a quel punto
potrei impostare uno screening solo con HPV-TEST a intervalli di 5 anni, o forse anche più ampi, in
modo tale da rendere più sopportabile questo tipo di associazione, perché per adesso non è possibile
abbandonare lo screening, neppure nelle donne che fanno il nonavalente. Nonostante questo
insistiamo, cerchiamo di vaccinare più possibile, sia perché comunque 9 casi su 10 di cancro vengono
prevenuti (il ragionamento che farei su mia figlia è: è vero deve fare lo screening però ha il 90% in
meno di probabilità di ammalarsi, quindi perdere 10 min all’anno per fare un pap-test non costa
niente) sia perché se riuscissimo ad avere una copertura del 90% delle bambine di 12 anni riusciremo
ad avere una copertura significativa per ridurre al minimo la circolazione del virus e poter utilizzare
hpvtest come screening.
HPV non è esclusivamente coinvolto dev’eziopatogenesi del carcinoma della cervice uterina, ma ci
sono forme di cancro della vulva, del pene , del faringe e della cavità orale e del canale anale che
sono correlati a hpv. Quindi se sparisse l’HPV sparirebbero una discreta quota di questi cancri. Ad
esempio il cancro dell’orofaringe non ha questa associazione così stretta con hpv, non il 99,7% dei
cancri dell’orofaringe è associato a hpv, è una proporzione inferiore, intorno alla metà, ma se fai
scomparire metà dei cancri dell’orofaringe, metà dei cancri del pene, sarebbe un buon risultato. Se
scomparisse l’HPV scomparirebbe una discreta causa oncologica. HPV nell’ uomo è sia causa di cancro
del pene che di condilomatosi e sopratutto nella popolazione omosessuale di cancro anale. Il cancro
del pene è molto raro, mentre quello anale nella popolazione omosessuale è molto frequente.
Purtroppo non è possibile vaccinare solo la popolazione a rischio, cioè solo la popolazione
omosessuale, perché la vaccinazione deve essere fatta in una fascia di età in cui l’orientamento
sessuale ancora non è definito, ovvero 12 anni, anche nel bambino. Quindi non si può mettere in atto
questa strategia di prevenzione, l’unica strategia è anche nel maschio, come nella femmina, ed oggi
è consigliato nei LEA ( livelli minimi di assistenza ) anche dal ministero, la vaccinazione al 12esimo
anno di età. Questo può avere due vantaggi, il primo ovviamente prevenire i tumori nell’uomo, il
secondo ridurre comunque la circolazione anche alla donna, perché essendo comunque un vettore a
trasmissione sessuale, chiaramente andando a vaccinare il maschio abbiamo una riduzione della
prevalenza e della circolazione. Riduzione della circolazione del virus e della prevalenza anche nel
sesso femminile. Quindi oggi esiste l’indicazione alla vaccinazione di entrambi i sessi nel 12esimo
anno di età.
Il 50% dei cancri a livello dell’orofaringe è legato a HPV.
E’ importante utilizzare tutti mezzi di informazione a disposizione, perchè, ad esempio, a chi viene il
cancro dell’utero? A tutte quelle donne di paesi dove non esiste uno screening, come l’Est Europa,
ma anche alle italiane che vivono in un contesto sociale per cui il messaggio sociosanitario non
arriva. Infatti ci sono donne che fanno pap-test, hpv-test, fanno tutto l’esistente, mentre ci sono
donne che non fanno niente, perché vivono al di fuori di un contesto dove queste cose sono proposte
o perché semplicemente non sanno che sono gratuite. E’ importante che le donne siano a conoscenza
degli screening, del fatto che sono gratuiti e che funzionano. E’ importante che sia effettuato
all’ISPO, perché così il campione viene letto da un laboratorio che ne legge un milione all’anno,
mentre dal ginecologo di fiducia il campione è indirizzato a un laboratorio dove ne leggono 1000
l’anno, quindi nel primo caso ci sono dei citopatologi che sono sicuramente molto più allenati
rispetto ai secondi.

Domanda: il PAP-test lo facciamo con il citologico, l’ HPV-test invece? è sempre un prelievo


effettuato con lo stesso meccanismo, brush a livello della cervice, ma invece di strusciarlo su un
vetrino e colorarlo, si stempera in un mezzo di trasporto liquido che poi viene messo in una
macchina che identifica direttamente il virus con test appositi. Il prelievo è sempre uguale, tanto che
oggi esiste oltre che il PAP-test che si struscia sul vetrino, anche il pap-test in fase liquida , il
THINPrep: prendi delle cellule a livello del collo dell’utero e con lo stesso prelievo puoi fare sia il
pap-test in fase liquida, quindi andare a vedere le cellule che poi vengono, invece che strusciate,
assorbite su un monostrato, su un vetrino, e contemporaneamente HPV-test. Anche l’industria si è
sviluppata in modo tale da poter avere questo tipo di possibilità.

PATOLOGIA VULVARE BENIGNA E MALIGNA


C’è sempre una lezione sulla patologia vulvare, perché la vulva è un organo a comune tra
dermatologia, di fatto è tessuto cutaneo, e ginecologia, in quanto i genitali vengono ispezionati dal
ginecologo, quindi siamo in un terreno a comune. Infatti esistono, anche se rari ( a firenze è sempre
esistito) ambulatori di patologia vulvare, dove lavorano insieme ginecologi e dermatologi; questo
perché molte patologie dermatologiche che coinvolgono altri distretti corporei possono manifestarsi a
livello vulvare con delle caratteristiche abbastanza tipiche.
La patologia vulvare è stata classicamente distinta in tre grandi branche:

-Alterazioni epiteliali non neoplastiche


-Alterazioni epiteliali neoplastiche non invasive
-Alterazioni epiteliali neoplastiche invasive

Ovviamente si parla soltanto di alterazioni epiteliali, non di altri tipi di alterazioni. Siamo di fronte a
un epitelio cutaneo, cheratosico, squamoso pluristratificato, chiaramente con presenza di annessi
piliferi, ghiandole del Bartolino e altre cose da cui può svilupparsi patologia, come in tutti gli altri
organi. Ad esempio esiste l’adenocarcinoma della ghiandola del Bartolino.

ALTERAZIONI EPITELIALI NON NEOPLASTICHE


Malattia infiammatoria cronica ad eziologia sconosciuta, a predisposizione familiare, a patogenesi
immunomediata.
Tra queste abbiamo alcune patologie infiammatorie croniche che sono abbastanza caratteristiche
della vulva, in particolare modo la più frequente, che spesso ci ritroviamo a diagnosticare e curare,
è il LICHEN SCLEROSO.
Patologia che può venire su qualsiasi superficie cutanea ma che a livello vulvare è particolarmente
frequente.

Sappiamo che queste donne hanno un’ attivazione del sistema immunitario e questo è dimostrato da
vari aspetti: alti livelli di autoanticorpi, maggiore incidenza di malattie autoimmunitarie, e il più
importante, il profilo immuno-istologico: linfociti T CD4, cellule dendritiche CD1a nel derma,
aumentato numero di cellule di Langherahans nell’epidermide.
Facciamo diagnosi con la clinica, con anamnesi ed esami obiettivo, però di fatto facendo una biopsia
si può osservare questo infiltrato linfocitario che è il marcatore istologico del Lichen Scleroso, oltre
infiltrazione linfoide perivascolare a banda nel derma profondo, atrofia degli strati granuloso e
spinoso dell’epidermide , ipercheratosi e sclerosi del derma superficiale.
La cosa più importante che caratterizza da un punto di vista epidemiologico il Lichen è che è una
patologia della menopausa. può svilupparsi già in età perimenopusale, le forme più precoci iniziano
intorno ai 50 anni, ma di solito l’evoluzione verso quadri sintomatici che portano la donna a farsi
visitare li abbiamo in più tarda età. Quindi è una patologia, come la maggior parte della patologia
vulvare, della donna anziana. Esiste, ed è quello che sempre spiazza i ginecologi, anche un Lichen in
età molto giovanile ( chissà perché), che si osservano in età prepubere.
Da un punto di vista dermatologico queste sono le definizioni:

-Lesioni elementari: papule biancastre, piatte, isolate o confluenti in placche.


-Lesioni secondarie: teleangectasie, lesioni purpuriche, escoriazioni ed erosioni.

Da un punto di vista macroscopico quello che osserviamo è un’atrofia, una sclerosi, un indurimento
delle superfici che porta sostanzialmente a un sovvertimento anatomico, per cui si va verso il
cosiddetto piatto vulvare, cioè tendono a scomparire tutte le caratteristiche anatomiche, le grandi e
piccole labbra, il clitoride e così via, andando verso sclerosi e atrofia di questi tessuti. Quindi ecco
un caso avanzato:
Le piccole labbra non ci sono più, l’introito vaginale è stretto e sclerotico, non c’è più il clitoride. Si
tratta si un caso non trattato che è evoluto verso questa forma così pronunciata. L’aspetto biancastro
è il colorito più tipico.
Vedete anche altri casi dove ci sono delle lesioni secondarie dovute al trattamento.
Altro caso molto avanzato dove non c’è più niente, è rimasto un piccolo accesso all’introito vaginale;
qui si somma il Lichen alla menopausa, è una signora di 70-80 anni, quindi all’atrofia da privazione di
estrogeni si somma quella del Lichen.

Sono importanti le lesioni secondarie da trattamento perché il sintomo guida che caratterizza il
Lichen è il prurito. E’ un sintomo abbastanza caratteristico di alcune patologie vulvari, in età post
menopausa sicuramente si associa al Lichen , in età giovanile di solito il prurito è sintomo di candida.
Ovviamente è banale parlare di candida a futuri medici, però di fatto è l’infezione più frequente nel
sesso femminile e una delle cause più frequenti di consultazione del medico. Sicuramente quindi le
forme di candida, in particolare non albicans recidivanti, rappresentano una situazione che affligge
cronicamente molte donne e per le quali c’è difficoltà di soluzione, perché questa non dipende molto
spesso dal trattamento antimicotico dato, ma dalla necessità di riequilibrare un micro-ambiente
vaginale che per alcuni motivi ha perso la sua capacità di impedire la proliferazione di agenti
saprofiti, come la candida. Soprattutto le forme non albicans sono quelle che oggi tendono
recidivare e instaurare forme cronico-recidivanti che incidono molto sulla qualità di vita della donna.
Per quanto riguarda il Lichen la diagnosi definitiva sarebbe istologica, ma noi ci accontentiamo nella
stragrande maggioranza dei casi di una valutazione clinica. La sintomatologia si contraddistingue per:
prurito, bruciore, dolore, disuria, dispareunia, secchezza cutanea-mucosa.
Come si gestisce? Intanto occorre sedare il prurito perché queste sono donne che si abituano al
sintomo ma hanno una pessima qualità della vita, poi cercare di arrestare la progressione della
malattia. Purtroppo quando lo stato è particolarmente avanzato difficilmente riusciamo a ripristinare
dei genitali esterni normali, ma se non altro si può bloccare il processo evoluivo. Il trattamento di
scelta, come tutte le patologie immunomediate dermatologiche, è il cortisone topico. Si somministra
il Mometasone, che ha un’efficacia cortisonica molto alta, con schemi codificati, inizialmente con
una frequenza almeno bi-trisettimanale, poi quando il sintomo si tranquillizza si può passare a una
dose settimanale, poi ogni due, fino a un mantenimento di una dose ogni 23 settimane che deve
essere vita natural durante.
LS precursore del carcinoma a cellule squamose

Una considerazione importante da fare è che il lichen è una patologia benigna a tutti gli effetti però non si sa
per quale motivo ( forse perché c’è di mezzo l’irritazione cronica) di fatto la popolazione di donne affette da
lichen scleroatrofico presenta un’incidenza di carcinoma squamo uso della vulva più alto rispetto uguale dalle
donne senza lichen: è un fattore di rischio per il carcinoma squamoso. Queste donne devono quindi fare la
terapia a lungo termine, ma devono fare anche un follow-up a lungo termine. Vanno guardate a almeno una
volta all’anno perché possono insorgere delle lesioni tumorali su una lesione di lichen.

Ad esempio in questa zona c’è un contesto di lichen squamoso su cui si sviluppa


una lesione neoplastica. Anche quelle che fanno una corretta terapia e hanno una risposta alla terapia con
cortisone non riducono il loro rischio di sviluppo di carcinoma squamoso. Quindi anche se la donna sta meglio e
il prurito va via, anche se le lesioni non progrediscono, il rischio oncologico resta immutato e per questo fa parte
del trattamento anche il follow-up a lungo termine anzi a lunghissimo termine. Follow-up che significa in questo
caso ispezione dei genitali esterni. Sembrerà una banalità però chi fa ginecologiecologia non si sofferma mai
durante la visita sulla valutazione dei genitali esterni a meno che non sia la donna a richiamarvi l’attenzione.
Vengono considerati solamente come punto di passaggio per poi accedere ai genitali interni, che sono
effettivamente fonte di magia di maggiore patologia.Spesso basta una ispezione dei genitali esterni per verificare
che tutto sommato non ci siano cose particolari, questo deve far parte di un esame ginecologico completo.

ALTRE DERMATOSI
LICHEN SIMPLEX
Dermatosi fortemente pruriginosa che si
localizza sul versante cutaneo della vulva

Accanto al lichen scleroso abbiamo il lichen simplex che è definito come un’altra dermatosi fortemente
pruriginosa sul versante cutaneo della vulva e che è l’espressione di un quadro conseguente ad un grattamento
cronico.
ASPETTO CLINICO
• Diffuso ispessimento e superficie reticolata
data dall’approfondimento dei solchi
cutanei;
• Placche rilevate a limiti netti, rosso cupo o
bruno-grigiastre, desquamanti e con croste
ematiche.
L’aspetto è quello della definizione dermatologica: si vede una lichenificazione sostanzialmente con una
scomparsa non è una scomparsa bensì una degenerazione sclerotica dei genitali esterni.

TERAPIA
INTERRUZIONE del circolo vizioso:
Prurito Iperplasia Grattamento

Eliminazione dei fattori scatenanti:


• Uso di indumenti intimi solo di cotone
• Eliminazione di indumenti sintetici e colorati
• Lavaggi con detergenti NON contenenti profumi o
coloranti
• Idratazione con creme emollienti

Terapia
• ANTISTAMINICO SISTEMICO
• CORTICOSTEROIDE LOCALE
(Idrocortisone 0,1%) a scalare

Voglio soltanto passare all’ultimo lichen: il lichen planus, che è in ordine di frequenza il terzo lichena livello
vulvare. Ha una patogenesi anche questo verosimilmente autoimmune.

LICHEN PLANUS
Dermatosi papulosa di tipo infiammatorio cronico che interessa cute e mucose

È rappresentato clinicamente articolo con lesioni papulose biancastre rilevate, disposte a formare un reticolo a
foglie di felce. Si possono avere delle forme più gravi dovute alla erosività della lesione con delle sintomatologie
importanti. FORMA EROSIVA:
aree erose vestibolari, circondate da epitelio biancastro.
Il marcatore di tipo macroscopico è questa progressiva atrofia delle piccole labbra e del clitoride che portano dei
risultati molto simili a lichen scleroso. A differenza di questo però qui ci possono essere delle lesioni associate
localizzate tipicamente a livello del cavo orale. L’ispezione del cavo orale è sempre mandatoria in caso di
sospetto diagnostico.

Se da un punto di vista clinico se il lichen scleroso scleroso era caratterizzato dal prurito qui abbiamo
prevalentemente bruciore dovuto alle caratteristiche erosive delle lesioni. Il bruciore è un altro sintomo tipico
delle infiammazioni vulvo vaginale: sia del lichen planus ma anche di altre vaginiti. La donna giovane che accusa
prurito è probabilmente affetta da Candida (poi ci sono degli elementi diagnostici un pochino più sofisticati
come il tampone vaginale ma la cultura vaginale e così via però il sintomo orientativo prurito candida) Il
bruciore è indicativo nella donna giovane di bruciore vulvo-vaginiti batteriche. [DD BRUCIORE: pre-
menupausa vulvo-vaginite batteria; post-menopausa lichen planus]
Purtroppo spesso e volentieri sono delle associazioni di sintomi, a sintomatologia non è così netta, vengono
riferiti un sacco di sintomi per cui dovete valutare anche altre caratteristiche: ad esempio la candida si associa
queste perdite biancastre che prendono il nome di leucorrea, più solide rispetto alla leucorrea della vaginite
batterica che invece è più fluida e di solito maleodorante. Dico questo perché la maggior parte delle vulvo-
vaginiti si trattano al primo acchito con trattamenti empirici: si fa una valutazione clinica anamnestica e si
imposta un trattamento che di solito è un trattamento antifungino o antibiotico oppure associato perché
comunque gli antibiotici ti generano quasi sempre una candida associata. In seguito è chiaro che se la situazione
non si risolve bisogna fare degli accertamenti: in quel caso si fa un tampone vaginale con un antibiogramma e si
cerca di arrivare a una definizione più precisa e ad un farmaco più mirato.

TERAPIA:
CORTICOSTEROIDI LOCALI E/O SISTEMICI
Il lichen planus, come tutte le patologie immunomediata si tratta con il cortisone ad alto dosaggio mometasone
furorato, lo stesso che avevate visto per il lichen scleroso, quindi alla fine anche se avete un dubbio diagnostico il
trattamento è lo stesso (breve parentesi in cui il prof dice che i dermatologi vengono accusati perché fanno tanti
discorsi ma alla fine trattano tutti col cortisone, lui dice che è relativamente vero).
È relativamente vero perché per le dermatosi vulvare il cortisone viene usato quasi per tutte.

VIN (Neoplasia Intraepiteliale Vulvare)

Allontaniamoci dalle patologie vulvari benigne e andiamo nelle lesioni epiteliali non benigne e quindi nelle
lesioni oncologiche. Allo stesso modo del collo dell’utero della vagina del pene e dell’ano anche a livello vulvare
si sviluppano le lesioni oncologiche passando attraverso una fase intra epiteliale.
Questa fase intra epiteliale a livello cervicale e definite è definita CIN e al livello vulvare è definita VIN (Neoplasia
Intraepiteliale Vulvare), al livello del pene è PIN e a livello della vagina e VAIN a livello del canale anale AIN.
Questo vi fa capire come la patogenesi sia simile e come l’HPV sia coinvolto in tutte queste manifestazioni con
percentuali di associazione diverse. Ci sono tanti i cancri vulvare che non sono associati al’HPV, mentre a livello
della cervice tutti cancri sono HPV associati.

Per quanto riguarda la neoplasia intra epiteliale vulvare ne esistono due forme:
-una HPV correlata, nella donna più giovane, che si comporta molto come la CIN. È legata alle abitudini sessuali
e si associa altre malattie a trasmissione sessuale, al fumo di sigaretta e alla presenza di lesioni intra epiteliali in
altri distretti del basso tratto genitale. È una forma che a che fare con gli stessi fattori di rischio che determinano
il cancro della cervice e spesso e volentieri le donne immunodepressi, ad esempio le HIV positive hanno
un’esplosione di HPV a livello di tutto il tratto genitale basso: vedete lesioni cervicali, lesioni vaginali, lesione
vulvari,perché lo stesso a HPV può dare lesioni intra epiteliali e invasive a livello di tutti questi distretti
-poi abbiamo una forma di VIN che interessa l’età più avanzata. È una minoranza, però anche quella più
maligna, è quella che si associa di solito maggiormente al lichen scleroso ed è quella che evolve più
frequentemente in cancro squamoso.
Quindi la forma HPV associata è prevalentemente giovanile, è una forma che può andare anche incontro
regressione o comunque trattamenti conservativi; le forme associate al lichen sono le più pericolose. La forma
giovanile si chiama anche Bowenoide, l’altra Basalioide (ma chi se ne frega sono modi di dire, cit.)

A)BOWENOID VIN B)BASALOID VIN

Qui vedete le caratteristiche: A)non affetto da lichen con queste lesioni rossastre pluri distrettuali, questa è una
forma di VIN HPV correlata; B) qui vedete un contesto chiaramente senile e di lichen scleroso atrofico con delle
lesioni iniziali che sono quelle che dobbiamo ricercare in tutte le portatrici di lichen nel follow up.
Trattamento:
come per la CIN possiamo essere conservativi e possiamo proporre un trattamento escissionale conservativo che
si può fare con il laser, ma si può fare anche con altri strumenti ad esempio con la lama a freddo e punti. Chi sa
usare il laser preferisce utilizzarlo perché lo strumento è molto versatile e mi permette di fare delle piccole
escissioni e anche di associare delle coagulazioni di aree difficilmente gestibili con la comune escissione a lama
fredda, per esempio del clitoride.
Chiaramente l’analisi istopatologica del pezzettino va sempre fatta perché anche qui, come si diceva per quanto
riguarda la conizzazione del collo dell’utero, mi devono confermare che sia una lesione in sito. Prima dle
trattamento escissionale io faccio una biopsia livello vulvare, ma poi una volta che faccio l’escissione ho bisogno
di richiedere la conferma anatomopatologica. Per quanto riguarda la VIN nella donna giovane ho delle forme
meno cattive, HPV associate e preferisco essere meno aggressivo da un punto di vista terapeutico: nella donna
giovane preferisco gestirla con una escissione laser o comunque una escissione superficiale.
La donna in menopausa avanzata che ha lichen scleroatrofico e che ha una neoplasia intra epiteliale questa è
una paziente che mi farà un cancro della vulva 90%, di conseguenza devo essere più aggressivo con il
trattamento. Ora vi farò vedere qualcosa su sul cancro vulvare per farvi capire che ci sono a livello della vulva
degli interventi che possono essere molto demolitivi. Però ecco qui si entra nel tecnico (non allego le slides). A
me interessa che voi come medici generici (finché non diventate specialisti dovete sapere tutto di tutto) vi
rendiate conto di quand’è che una paziente deve essere indirizzata allo specialista.
Quindi:
-per il cancro della cervice e per il cancro della mammella esistono screening: quindi voi in qualità di medici
dovete essere sicuri che vostri pazienti facciano lo screening o che come minimo ne capiscono l’importanza (poi
se non lo vanno a fare cavoli loro), voi dovete trasmettere l’informazione
-per quanto riguarda l’endometrio il sintomo guida e il sintomo precoce pur non esistendo uno screening è il
sanguinamento in menopausa: tipicamente la donna dice “ho rivisto”, quindi ogni volta sentito una donna dire
“ho rivisto” dovete consigliare un esame di primo livello ovvero l’ecografia transvaginale
-il tumore ovarico purtroppo è quello più meschino perché per tempi molto lunghi rimane asintomatico:
dovete essere dei fini diagnosti e comunque cercare di tenerlo in considerazione in una scatolina della vostra
memoria e porlo in diagnosi differenziale tutte le volte che avete una sintomatologia che non mi convince. Ad
esempio una donna che si presenta a sessant’anni, che è dimagrita, che dice vado male di intestino, che c’è una
faccia più gonfia (però è dimagrita): può avere di tutto e fra quel tutto ci può essere anche il tumore ovarico
-Il tumore della vulva che deve essere tenuto in considerazione quando una donna anziana (intendo 70-80) anni
si fa scappare detto che ha prurito.

Il tumore della vulva sarebbe il tumore facilissimo da diagnosticare: vedendo le immagini si vedono queste palle
di tumore a livello dei genitali esterni. Il problema è che queste donne sono donne che non se la guardano
neanche da sé, si vergognano anche di sè stesse, quindi figurati se se la fanno vedere da un estraneo che può
essere anche ho un medico. Queste donne si tengono questi pruriti per tempi lunghissimi finché poi insorgono il
dolore, la necrosi, la sintomatologia da tumore avanzato e gioco forza devono andare dal medico. Quindi
nonostante noi si possa teoricamente fare diagnosi super precoce di fatto poi queste donne hanno delle diagnosi
tardive, con lesioni centimetriche superficiali facilmente diagnosticabili. Non c’è neanche bisogno di toccare la
paziente, appena si mette sul lettino ginecologico si può fare la diagnosi. Però ecco la diagnosi andava fatta
prima, va fatta leggendo nel pensiero di queste donne.

TUMORE DELLA VULVA

Tumore raro che colpisce la paziente anziana


Non esiste screening ma solo diagnosi precoce
Anamnesi fondamentale (primo sintomo: prurito)
Ricordati che:
Le pazienti anziane presentano spesso un
rifiuto al controllo ginecologico,
sottovalutando i segni ed i sintomi della
malattia.
Il 60% delle pazienti affette da
carcinoma vulvare si rivolge al medico
solo dopo 10-12 mesi dall’inizio dei
primi sintomi.

Anche per il cancro della vulva, che è prevalentemente un cancro squamoso esiste una stadiazione (sapere la
stadiazione)

Carcinoma vulvare
Stadiazione FIGO (1996)
Stadio 0 Carcinoma in situ – VIN III
Stadio I
Tumore confinato a vulva e/o perineo di ∅ ≤ 2 cm
Assenza di metastasi linfonodali
- IA: invasione stromale ≤ 1mm
- IB: invasione stromale >1mm
Stadio II Tumore confinato a vulva e/o perineo di ∅ > 2 cm.
Assenza di metastasi linfonodali
Stadio III Tumore di ogni dimensione con diffusione all’uretra inferiore e/o alla
vagina e/o all’ano e/o metastasi linfonodale inguinale monolaterale
Stadio IV
- IVA: Tumore che invade una o più delle seguenti strutture: uretra
superiore, mucosa vescicale, mucosa rettale, sinfisi pubica e/o
metastasi linfonodali inguinali bilaterali
- IVB: Metastasi a distanza comprese le metastasi linfonodali pelviche
Il cancro della vulva non è tanto difficile da ricordare: ha una crescita loco regionale prevalentemente con
linfotropismo inguinale. Le vie di diffusione sono: verso l’alto vagina, anteriormente uretra, posteriormente
canale anale e poi linfonodi inguinali.
Vedete come la stadiazione si basa inizialmente sulla profondità di infiltrazione e anche qui esiste un micro
invasivo che per la vulva ha un cut-off di 1 mm.
Il concetto di tumore micro invasivo è un tumore che di fatto si comporta come un intraepiteliale. Per il collo
dell’utero si può gestire come intraepiteliale in particolari condizioni fino a 3 mm di invasione; per la vulva la
definizione è di 1 mm. Poi si stadia in base alle dimensioni con un cut-off di 2 cm e poi in base alla diffusione
iniziale e diffusione avanzata ai linfonodi inguinali. Basta ricordarsi la storia naturale che è molto semplice per
questo tumore per ricordarsi la diffusione e la stadiazione.
La prognosi è legata a vari fattori e il fattore prognstico più importante per il cancro di vulva è lo stato del
linfonodo inguinale: con i linfonodi positivi abbiamo un dimezzamento alla sopravvivenza di queste donne. Il
tumore micro invasivo, cioè il tumore che infiltra meno di 1 mm ha un’infiltrazione che non porta al tumore a
contatto con gli spazi linfovascolari e quindi ha un rischio di metastasi linfonodale nullo.
Questo ce lo insegna la letteratura per cui noi possiamo fino a 1 mm di infiltrazione proporre gli stessi
trattamenti dei tumori infraepiteliali. Faccio un esempio: donna giovane 55 sessant’anni con una lesione che
viene biopsata, l’esito della bipsia mi dà una forma in situ, fate le scissione vi viene una infiltrazione di 1 mm; Se i
margini di scissione sono liberi si possono evitare interventi più demolitivi, perché gli interventi demolitivi a
livello vulvare come potete vedere dalle slide e sono molto tosti.
Il percorso è fondamentalmente lo stesso della cervice: identificazione della lesione-biopsia-risposte-
trattamento(su biopsie di malattie intraepiteliale trattamento conservativo)-
-risposta istologica definitiva sul pezzo escisso della vulva e confermao meno della diagnosi della biopsia. Se c’è
se (alla seconda biopsia, dopo l’intervento di escissione) un upgrade dell’infiltrazione devo fare la valutazione
della profondità dell’infiltrazione e informare la paziente. Questo è un concetto molto importante: voi dovete
sempre condividere l’informazione perché i pazienti oggi sanno tutto, o perlomeno si informano, quindi voi
dovete spiegare, dovete fornire alle pazienti i mezzi per poter decidere. Ovvio che dovete mettere le cose sotto
una certa luce: se una donna ad esempio ha un tumore invasivo chiaro che dovete dirle “signora se lei non si
opera il tumore non tornerà indietro”, però se la signora non si vuole far operare o comunque un paziente non
non si vuol far toccare voi non potete fare assolutamente niente se è capace di intendere di volere, cioè se non
c’è un’interdizione da parte del tribunale.
(Non è una cosa così banale. Il prof fa una parentesi in cui parla di un caso di parto in cui senza il consenso della
paziente non si è potuto salvare il bambino, perché la donna non voleva farsi toccare. Il caso in questione
riguardava una donna in sala parto con il marito, entrambi di origine musulmana che non hanno dato il consenso
per un cesario di emergenza durante il travaglio, il mancato consenso era relativo a una volontà del marito e
legato a motivi culturali-religiosi. Faccio un riassunto dei contenuti importanti venuti fuori nella discussione,
nonostante non siano pertinenti con l’argomento della lezione:

-L’assenza di consenso informato a una procedura diagnostica terapeutica configura un reato di colpa grave.
Sono pochi i reati di colpa grave del medico e uno è questo l’assenza del consenso informato.
-Non sottovalutate questo tipo di problematica: la problematica del consenso informato.
-Non prevale la salvaguardia del bambino finché non nasce, quando nasce il bambino è un essere giuridico.
Quindi se ad esempio ho una mamma che vuole interrompere la gravidanza la legge 194 prevede che la
gravidanza possa essere interrotta su volontà della madre fino alla 12ª settimana, dopo la gravidanza può essere
interrotta se espone a rischio la salute materna psichica o fisica. Nella maggior parte dei casi queste donne
interrompono per delle malformazioni fetali perché la malformazione crea uno stato psichico della madre di non
accettazione (rientra la definizione). Facciamo però l’esempio una mamma che ha un tumore in gravidanza, può
succedere spesso: la mamma si deve curare e allora dobbiamo interrompere la gravidanza a un’epoca che deve
andare bene però a tutti e due, madre e babino. Se interrompo la gravidanza per una malformazione o per un
altro motivo io mi devo assicurare che il bambino nasca morto, perché se mi nasce vivo (se siamo alla 24ª
25ªsett. Nasce vivo) il pediatra ha l’obbligo di rianimarlo perché diventa un essere umano a tutti gli effetti che va
tutelato. Noi siamo finiti sul giornale per un’interruzione terapeutica di gravidanza di un feto di malformato a 24
settimane (che sono diventate 25 settimane e mezzo è perché sono fatte altre accertamenti) ed il bambino è
nato vivo. Viceversa finché è dentro la pancia della mamma è la mamma a decidere, quindi a 40 settimane se il
bambino sta male ma la mamma non si vuol far toccare non si può toccare, figurati fare un cesareo. Il padre non
dovrebbe entrarci niente
-intervento di Michele Draisci che propone di chiamare le guardie giurate in sala parto e portare via il marito che
non dà il consenso. Il professore risponde che è meglio di no “sennò si va alle mani”.)

Ci sono delle slide che mostrano come il trattamento chirurgico del cancro della vulva sia molto invasivo. come vi
ho detto l’altra volta solo il tumore della cervice a una stadiazione clinica, gli altri tumori sono tutta sta di azione
di tipo chirurgico perché tutti passano dal trattamento chirurgico. Per il cancro di vulva l’operazione chirurgica
consiste nella rimozione radicale della lesione e delle linfoghiandole inguinali. Trattamento che varia sulla base
della stadiazione FIGO.

Stadio IA Tumorectomia radicale


(senza dissezione linfonodale)
Escissione fino alla fascia
inferiore del diaframma
urogenitale

Stadio IB e successivi
Una volta si faceva con questo tipo di incisione molto drammatica (Basset) che esponeva queste donne a rischio
di complicanze molto alto, immaginatevi che difficoltà hanno queste cicatrici a suturare in prossimità della
regione anale e in zone sporche per definizione.

Byron, tecnica delle tre incisioni separate.


Oggi si fa comunque un intervento di vulvectomia radicale cioè di rimozione dei genitali esterni fino al livello
della fascia profonda, ovviamente cercando di rispettare un margine chirurgico sano (anche se non è sempre
facile in prossimità di queste strutture come l’uretra o il canale anale) e poi la rimozione dei linfonodi inguinali
attraverso altre due incisioni, questo sicuramente riduce il rischio di complicanze.

Qui ci sono delle slide più tecniche che è però danno idea di quanto sia drammatico questo intervento.

Lo Stato linfonodale deve essere conosciuto perché rappresenta il principale fattore prognostico e in qualche
modo questi linfonodi li devo togliere far analizzare. La procedura che mi garantirebbe la negatività linfonodi dal
punto di vista istopatologico è la linfadenectomia. Tuttavia queste donne una volta che li tolgo linfonodi che
drenano gli arti inferiori hanno tutta una serie di complicanze tra cui dei linfedemi molto pronunciati. Inoltre i
linfonodi sono infiltrati solo nel 10% dei casi, quindi puoi fare questo intervento molto invasivo e però che è utile
solo in un 10% dei casi e ci sono un 90% di linfadenectomie che non servono a niente, anzi creano tutto questo
tipo di complicanze (difatti servono per dimostrare che i linfonodi sono negativi ma non servono a niente dal
punto di vista del trattamento). Inoltre queste pazienti sono anziane con problemi motori e questi linfedemi
limitano ulteriormente la motilità della donna, aumentando tutti i rischi legati all’ipomotilità.
Qal è stata la soluzione? LINFONODO SENTINELLA.
Il linfonodo sentinella è stato l’escamotage per ridurre il linfedema dell’arto superiore nel cancro di mammella.
Oggi ci rappresenta lo standard terapeutico anche nel carcinoma della vulva. Ne i tumori di piccole dimensioni
diciamo inferiore a 2 cm possono fare il linfonodo sentinella o con il blu o meglio con il tracciante radioattivo. La
tecnica del linfonodo sentinella è uguale per tutti tumori che lo fanno: oggi è standard per la mammella,
melanoma, sostanzialmente nel nostro scenario è lo standard per la vulva e si sta sviluppando anche su
endometrio cervice grazie a tecniche come per esempio la robotica dove si può utilizzare la fluorescenza. I dati
delle slide delle di accuratezza del linfonodo sentinella sono più sono un po’ vecchiotti: oggi il tracciante è
sicuramente affidabile e deve esserlo perché il rischio del sentinella è quello di avere un falso negativo (voi
quando prelevate quel linfonodo dovete essere sicuri che il primo linfonodo di drenaggio e che se quello è
negativo dovrebbe essere negativo tutto il pacchetto).

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