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Erwin W.

Straus

Il vivente umano e la follia


Studio sui fondamenti della psichiatria

A cura e con introduzione di Alberto Gualandi

ESTRATTO

Ulteriori informazioni:
http://www.quodlibet.it/schedap.php?id=1909

Quodlibet
Prima edizione: maggio 2010
ISBN 978-88-7462-325-9
Titolo originale: Philosophische Grundfragen der Psychiatrie II. Psychiatrie und Philosophie,
in H.W. Gruhle, R. Jung, W. Mayer-Gross, M. Müller (hrsg. von), Psychiatrie der Gegenwart.
Forschung und Praxis, Band I/2, Springer, Berlin 1963, pp. 926-994.
Traduzione italiana di Alberto Gualandi
© 1963 Springer, Berlin
© 2010 Quodlibet s.r.l.
Macerata, via S. Maria della Porta, 43
Copertina: Bianco
Stampa: Grafica Editrice Romana, Roma
La collana «Le forme dell’anima» è a cura di Stefano Besoli
www.quodlibet.it
Indice

IX Estesiologia della solitudine. Terapia filosofica e guari-


gione psichiatrica in Erwin Straus
di Alberto Gualandi

LI Erwin W. Straus. Profilo della vita e delle opere

Il vivente umano e la follia


Studio sui fondamenti della psichiatria

3 I. Introduzione. Natura ed Esserci

25 II. La comunicazione e l’essere-comune

33 III. La relazione con l’Allon


1. Il visibile come terzo e come altro (p. 33); 2. Il visibile è domi-
nante (p. 38); 3. Il visibile è avvolgente (p. 40).

43 IV. Il significato della motilità

55 V. La situazione animale originaria

71 VI. I disturbi della situazione originaria


1. L’esser desto (p. 71); 2. L’àmbito preliminare che la scienza
dimentica (p. 75); 3. Intenzionalità e causalità (p. 82); 4. La bipo-
larità dell’esperienza (p. 87); 5. Le psicosi sintomatiche (p. 95).

107 Indice dei nomi


Estesiologia della solitudine
Terapia filosofica e guarigione psichiatrica in Erwin Straus

1. Il titolo originario Psychiatrie und Philosophie appare indubbia-


mente riduttivo per il testo del 1963 che presentiamo qui in traduzione
italiana. Non soltanto perché, appartenendo all’ultimo periodo della pro-
duzione strausiana, esso costituisce una sorta di sintesi dell’intero percor-
so di pensiero di quest’autore1, ma anche perché Straus vi presenta in
modo sistematico una nuova e profonda concezione della filosofia, che
bisogna innanzitutto evitare di ridurre a un vago appello al “mondo della
vita”, vòlto a temperare le durezze della psichiatria tramite il metodo anti-
riduzionista della fenomenologia. Dietro alla sua sincera attenzione per
il mondo della vita, alla capacità di descrivere le “cose stesse”, portando
alla luce, con esempi icastici e metafore inedite, ciò che normalmente non
vediamo, perché a noi troppo vicino, si cela infatti un argomentare scar-
no e tagliente che persegue un obiettivo ambizioso: quello di elaborare
una descrizione preliminare del vivente umano che serva, da un lato, da
base per la psichiatria e, dall’altro, da fondamento su cui ricostruire l’in-
tera filosofia.
Al lettore impaziente di classificare uno stile e un percorso di pensiero
entro categorie prestabilite, la filosofia di Straus non può tuttavia non
apparire irritante. Pensatore che non perde occasione di smantellare con
il metodo della fenomenologia i presupposti ontologici e metafisici delle
scienze naturali e umane e che, al contempo, non cessa di criticare i mae-
stri della filosofia, ricordando ciò che vi è d’imprescindibile nell’apporto
oggettivo delle scienze della natura e, in particolare, della biologia2, Straus
sembra porsi fin dalle prime pagine di questo scritto su un terreno ambi-

1 Bibliografie complete dell’opera di Straus sono contenute in F. Bossong, Zu Leben

und Werk von Erwin Walter Maximilian Straus mit Ausblicken auf seine Bedeutung für die
Medizinische Psychologie, Königshausen & Neumann, Würzburg 1991 e in W. von Baey-
er, R.M. Griffith (ed. by), Conditio humana. Erwin W. Straus on bis 75th birthday, Sprin-
ger, Berlin-Heidelberg-New York 1966.
2 Cfr. G. Thinès, L’œuvre critique d’Erwin Straus et la phénoménologie, in P. Fédida,

J. Schotte (éd. par), Psychiatrie et existence, Décade de Cerisy, septembre 1989, Million,
Grenoble 19912, p. 86 e 98.
x alberto gualandi

guo, che non trova spazio nella storia della scienza e della filosofia. Devo-
to e al contempo irriverente nei confronti dei fondatori dell’analitica del-
l’Esserci e dell’analisi esistenziale – Heidegger e Binswanger – aspramente
critico nei confronti della tradizione “coscienzialista” che da Descartes
giunge fino a Husserl, Straus sembra condurci fin dall’Introduzione in una
terra di nessuno, in cui non si avventurano i professionisti delle neuroscien-
ze o della psicologia trascendentale, ma che al termine di questo viaggio
straordinario ci appare con l’evidenza e la chiarezza delle “cose stesse”:
quella regione che, compresa tra Natura ed Esserci, corpo e coscienza,
cause e ragioni, rappresenta ancor’oggi un punto cieco per la riflessione.
Al centro di quella che viene abitualmente considerata l’opera princi-
pale di Straus, Vom Sinn der Sinne, vi è una proposizione sovente citata
dai commentatori: «È l’uomo che pensa e non il cervello»3. I cinque capi-
toli che costituiscono Il vivente umano e la follia, potrebbero essere rias-
sunti in una frase ancor più radicale, formulata da un neurobiologo con-
temporaneo non ignaro di filosofia: «non è il cervello che pensa, bensì il
corpo»4. Nelle pagine che seguiranno tenteremo di mostrare che tale pro-
posizione non dev’essere intesa come una semplice metafora, bensì come
un’“ipotesi” fenomenologica che sta ricevendo numerose conferme empi-
riche a livello delle strutture esperienziali, morfologiche e cognitive, che
la biologia e la neurobiologia non riduzioniste stanno portando alla luce
nel tentativo di descrivere il rapporto comunicativo tra il vivente umano
e il suo “ambiente”. Per non incorrere nell’errore di credere che tale pro-
posizione celi le pretese egemoniche della filosofia idealista e trascenden-
tale, sarebbe tuttavia opportuno introdurvi l’aggiunta seguente: «non è il
cervello che pensa, ma neppure la coscienza». Tale supplemento permet-
terebbe di mettere fin d’ora in luce uno dei temi su cui dovremo ritorna-
re ampiamente: le strutture comunicative e intenzionali, attorno a cui s’in-
cardina il rapporto del vivente umano con il suo ambiente, non sono
l’opera di una coscienza solitaria, separata dal mondo e imprigionata nel
suo foro interiore. Esse sono piuttosto strutture incorporate in quelle
modalità sensoriali che una nuova dottrina del sentire, l’estesiologia, ha
il compito di descrivere nella loro unità e nelle loro differenze.
Prima di addentrarci nell’analisi di questa nuova dottrina del sentire,
soffermiamoci un istante sulla polemica messa in atto da Straus nei con-
3 E. Straus, Vom Sinn der Sinne. Ein Beitrag zur Grundlegung der Psychologie, Springer,

Berlin 1935, 2. vermehrte Aufl., Springer, Berlin-Göttingen-Heidelberg 1956, pp. 167 sgg.
4 A. Prochiantz, Les anatomies de la pensée, Odile Jacob, Paris 1997; trad. it. di P. Fer-

rero, A cosa pensano i calamari? Anatomie del pensiero, Einaudi, Torino 1999, p. 157. Cfr.
l’interpretazione che di questo problema propone G. Thinès, L’œuvre critique d’Erwin Straus
et la phénoménologie, cit., p. 94 sg. e Id., Commentaire sur Erwin Straus, le crédo de la psy-
chologie objective, «Études phénoménologiques», 4, 1986, pp. 3-17.
estesiologia della solitudine xi

fronti delle filosofie della coscienza moderne. Tale polemica si salda a uno
dei temi più innovativi del pensiero di Straus, un tema che per certi versi
porta a compimento ciò che Nietzsche è riuscito solo a profetizzare. Alla
luce della dottrina strausiana del sentire si può in effetti affermare che
tutto è esteriore o, indifferentemente, che tutto è interiore. Contro le dot-
trine idealiste e coscienzialiste, si tratta in effetti di mostrare che non vi è
nulla d’interiore, poiché l’“interiorità” non è altro che il prodotto di un
processo di riflessione o ripiegamento della relazione comunicativa incar-
nata nelle diverse modalità sensoriali. Contro le dottrine materialiste e
meccaniciste, si tratta invece di mostrare che la “realtà esterna”, che la
scienza ipostatizza a oggetto metafisico peculiare, non è altro che il risul-
tato di un processo di costruzione e progressiva astrazione, che parte dai
sensi e ai sensi è costretto a ritornare. In altre parole, esteriorità e interio-
rità sono solo metafore, ritagliate dal dominio originario del sentire, che
la scienza e la filosofia moderne hanno posto a fondamento ontologico
dei loro edifici concettuali5. Criticare tale ontologia significa ricondurre
i presupposti metafisici della scienza e della filosofia ai loro fondamenti
corporei, mostrando per esempio che il luogo misterioso e solitario in cui
si è rinchiusa la filosofia moderna a partire da Descartes non è altro che
uno spazio simbolico astratto prodotto dal suono della nostra voce o, più
precisamente, dalla capacità che è data all’orecchio umano di anticipare
il risultato di un’azione fonatoria esonerata dalla sua stessa espressione.
Se, come avremo occasione di ribadire, la dimensione peculiare del-
l’umano si dispiega nell’àmbito estesiologico dell’udibile, il carattere feno-
menologicamente dominante del visibile mette in luce ciò che vi è di preu-
mano nell’uomo. L’accento posto da Straus sul visibile ha un valore tera-
peutico. Analogamente a ciò che avviene per la patologia schizofrenica, la
malattia filosofica dell’uomo è per Straus un’infermità dovuta al «potere
soverchiante del suono e della voce». In questo senso l’antropologia feno-
menologica di Straus procede in una direzione inversa a quella seguita dal
Wittgenstein delle Ricerche filosofiche. Tra Straus e il “secondo Wittgen-
stein” vi sono in realtà interessanti analogie che vanno al di là dell’atteg-
giamento irriverente nei confronti della tradizione filosofica, o degli esem-
pi illuminanti tratti dal mondo della vita e dalle sue “pratiche di senso”
concrete. Si potrebbe addirittura sostenere che per Straus, come per Witt-
genstein, «tutto [sia] lì in mostra» davanti ai nostri occhi, e che «ciò che
è nascosto», «non ci interess[i]»6. Ciò in cui la terapeutica strausiana del
vedere differisce maggiormente da quella di Wittgenstein è tuttavia il ten-
tativo di dispiegare davanti a uno sguardo offuscato da troppa concettua-

5 E. Straus, Vom Sinn der Sinne, cit., pp. 250 sgg.


6 L. Wittgenstein, Philosophische Untersuchungen, Basil Blackwell, Oxford 1953; trad.
it. di R. Piovesan e M. Trinchero, Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino 1967, 19833, p. 70.
xii alberto gualandi

lità linguistica la dimensione preconcettuale del «senso», corporeo e sen-


soriale, nelle cui distorsioni affonda le radici il linguaggio della follia. Poi-
ché per Straus l’animale condivide con noi un mondo di senso (prelingui-
stico) comune, contro Wittgenstein7 si potrebbe quindi affermare che «se
un leone potesse parlare, noi potremmo capirlo», e che folle è invece colui
che pur parlando, non possiamo – in tutto o in parte – capirlo. Se è vero
che, definendo le condizioni di possibilità di quel fenomeno peculiarmen-
te umano che è la follia, l’antropologia fenomenologica fonda la psichia-
tria, l’antropologia fenomenologica strausiana trova, a sua volta, un fon-
damento ultimo in una fenomenologia del vivente intesa come filosofia del
«mondo (sensibile) comune» all’uomo e all’animale. Tale fenomenologia
del vivente risulterebbe tuttavia avulsa dal problema centrale della psichia-
tria se non la si riconducesse alla questione antropologica seguente: in che
modo dev’essere fatto quell’essere vivente che è l’uomo affinché qualcosa
come la malattia mentale sia, per esso, in generale possibile8? Per porre
questa questione in modo coerente con la fenomenologia del vivente, ela-
borata in modo sistematico nel testo che qui presentiamo, è necessario
seguire il filo conduttore fornito dalla nuova dottrina del sentire che, sulla
scorta di Plessner9, Straus denomina «estesiologia».

2. Straus chiama la sua dottrina “estesiologia” per un motivo preciso.


Il termine “estetica”, intesa come analisi e teoria della aisthesis e della
conoscenza sensibile, è gravato in epoca moderna da una pesante ipote-
ca, di cui, tanto Kant, quanto la fenomenologia, non riescono a liberarsi
completamente. Il suo inventore, Baumgarten, considerava infatti la cono-
scenza sensibile un tipo di conoscenza intuitiva e provvisoria, di grado
nettamente inferiore rispetto alla precisa e rigorosa conoscenza intellet-
tuale e scientifica10. Benché l’estetica kantiana costituisca la “prima
parte”, e il fondamento imprescindibile, di tutto l’edificio della Ragion
pura, la teoria della sensazione kantiana “pre-adatta”, in modo surretti-
zio, la “materia sensibile” alle esigenze teorico-concettuali della conoscen-
7
Ivi, p. 292.
8
E. Straus, J. Zutt, Vorwort, in Id. (hrsg. von), Die Wahnwelten. Endogene Psycho-
sen, Akademische Verlagsgesellschaft, Frankfurt a. M. 1963, p. 2 sg.
9 Cfr. H. Plessner, Die Einheit der Sinne. Grundlinien einer Ästhesiologie des Geistes

(1923), in Gesammelte Schriften III, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1980; Id., Anthropologie


der Sinne (1970), in Gesammelte Schriften III, cit.; trad. it. di M. Russo, Antropologia dei
sensi, Cortina, Milano 2008; Id., Studi di estesiologia. L’uomo, i sensi, il suono, a cura di
A. Ruco, CLUEB, Bologna 2007.
10 E. Straus, Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung für das Verständnis der Halluzina-

tionen, «Zeitschrift für Psychiatrie und Neurologie», 182, 1949, ora in E. Straus, Psycho-
logie der menschlichen Welt, Springer, Berlin 1960, pp. 240 sgg.
estesiologia della solitudine xiii

za scientifica e al funzionamento “formale” delle categorie dell’intelletto.


L’attività del sentire viene così ipostatizzata in una sostanza-cosa infini-
tamente piccola, in un atomo di sensazione. Essa viene dissolta in un pul-
viscolo di sensazioni atomiche, o di stimoli puntuali e caotici, che atten-
dono l’azione ordinatrice degli schemi dell’immaginazione, dei principi e
delle categorie dell’intelletto per ricevere una forma, una struttura, un
senso. Sgravato da queste ipoteche, il termine “estesiologia” dovrebbe
invece ispirare un approccio al mondo dei sensi e del sentire che metta in
luce tutta la ricchezza delle sue strutture e del suo senso pre-linguistici e
pre-categoriali. L’estesiologia, in breve, ha come scopo quello di fornire
una descrizione delle strutture a priori incarnate nei sensi e nel corpo
umano e animale.
L’approccio estesiologico ai sensi e al sentire si propone quindi come
approfondimento e radicalizzazione dell’approccio descrittivo della feno-
menologia. L’obiettivo dell’estesiologia strausiana è quello di fornire una
descrizione dei contenuti sensoriali e delle loro strutture peculiari libera
dai pregiudizi teorici di matrice cartesiana che condizionano la psicofisio-
logia e la psicologia sperimentale moderna, ma anche la filosofia trascen-
dentale kantiana e, in certo modo, husserliana. Al di là delle loro diffe-
renze d’impostazione, sperimentale l’una, trascendentale l’altra, l’esteti-
ca kantiana e la psicologia sperimentale moderna condividono infatti il
presupposto secondo cui i sensi ci forniscono delle sensazioni separate e
puntuali che il cervello o l’intelletto dovrebbero poi sintetizzare, unifica-
re, totalizzare. La filosofia kantiana chiama queste entità puntuali “intui-
zioni empiriche” o “sensazioni”. La psicofisica le chiama stimoli o input
sensoriali. In entrambe, la concezione atomizzata della sensazione11 con-
fluisce in quella teoria che Straus denomina dottrina del mosaico senso-
riale, teoria secondo cui il sistema unitario della percezione si compone
“pezzo per pezzo” – come una sorta di puzzle sensoriale – grazie all’atti-
vità del cervello, dell’intelletto, della ragione12. Questi presupposti teori-
ci contrastano nettamente, secondo Straus, con il modo diretto e imme-
diato in cui i sensi si rapportano con il mondo, manifestandosi come
strutture unitarie e globali della coscienza sensoriale13. L’obiettivo del-
l’estesiologia è di riportare alla luce quelle strutture immediate e globali
che appartengono in prima persona al sentire, rivendicando per quest’ul-
timo uno spazio autonomo, protetto dalla morsa teorica dell’intelletto e
della ragione.
Il sentire costituisce dunque per Straus la dimensione originaria su cui
si fondano tutte le evidenze e verità della percezione, del linguaggio, della
11 E. Straus, Vom Sinn der Sinne, cit., p. 26.
12 Ivi, pp. 67 sgg.
13 Ivi, pp. 101, 103 sgg.
xiv alberto gualandi

conoscenza filosofica e scientifica. Questo carattere originario non è attri-


buito da Straus al sentire in ragione di un’ipotesi metafisica o di una
rivendicazione morale, estetica o politica di stampo idealista o romanti-
co. Esso gli è assegnato in ragione della sua funzione fenomenologico-
oggettiva imprescindibile, in ragione cioè di un fatto tanto banale quan-
to fondamentale, che risulta per molti filosofi piuttosto difficile da capi-
re: «nell’esperienza sensoriale la realtà non ha mai una controparte»14.
Detto in altri termini, l’esperienza sensoriale – al contrario di una propo-
sizione o di una teoria – non può mai rivelarsi “irreale”. Non c’è nessun
modo di uscire dall’esperienza sensoriale per accedere a un altro tipo di
esperienza che ci permetta di stabilirne l’“irrealtà”. Un’esperienza senso-
riale “falsa” o “sbagliata” è pur sempre esperienza di un qualcosa che,
grazie ad altre esperienze sensoriali, si è rivelato essere diverso da ciò che
credevamo tale non al livello dell’esperienza sensoriale, ma al livello del
giudizio e dell’opinione. L’opinione e la credenza non possono però veni-
re confusi con il sentire. L’esperienza sensoriale è diretta e senza media-
zioni, e quindi non si dà in essa la possibilità di incappare nella falsità e
nell’errore. Affermare questo non significa tuttavia confondere l’essere
con il percepire, come vorrebbero alcuni, bensì affermare che «ogni cosa
che entra nell’esperienza sensoriale si manifesta come reale», ed è sentita
in quanto tale «nella sua azione e nella sua attualità»15. “Essere reale”
non significa necessariamente essere già “oggetto” di esperienza sensoria-
le, ma significa poterlo perlomeno divenire. Coloro che sostengono il con-
trario non si accorgono di incorrere in una «situazione paradossale: infat-
ti, in tutte le sue azioni (osservare, provare, dimostrare, comunicare), lo
scienziato rimane nella sfera dell’esperienza quotidiana. La scienza stes-
sa, nella misura in cui si radica nell’esperienza quotidiana in quanto azio-
ne umana, presuppone la validità di quest’ultima esperienza»16. Per ren-
dersi conto di tale fatto basti pensare che ogni cosa che appartiene alla
scienza – e che non reputiamo una mera ipotesi speculativa – entra già o
(supponiamo) entrerà in relazione con la nostra esperienza sensoriale. Il
fatto poi che questa relazione possa essere anche indiretta, mediata da
una “protesi teorica”, o da un’apparecchiatura sperimentale, non cam-
bia nulla alla situazione fondamentale. Non bisogna trascurare che Straus
è uno psichiatra, di formazione biologico-medica tradizionale, che nella
sua attività professionale osserva di frequente l’attività del cervello attra-

14 E. Straus, Aesthesiology and Hallucinations, in R. May, E. Angel, H.F. Ellenberger

(ed. by), Existence¸ New York 1958; trad. it. di P. Gambazzi, Estesiologia e allucinazioni,
in E. Minkowski, V. von Gebsattel, E. Straus, Antropologia e psicopatologia, Bompiani,
Milano 1967, p. 205.
15 Ibid.
16 E. Straus, Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung, cit., p. 241 sg.
estesiologia della solitudine xv

verso lo spettro delle sue onde elettromagnetiche. L’apparecchiatura elet-


tronica che, ieri come oggi, rivela lo spettro d’onda cerebrale può essere
costruita in modo da fornire un’informazione più o meno ricca alla vista
o all’udito. Ciò che permane invariato è tuttavia il fatto che essa costitui-
sce una sorta d’interfaccia che permette all’oggetto studiato scientifica-
mente – in questo caso il «ritmo alfa» del cervello17 – di entrare nell’espe-
rienza sensoriale, di manifestarsi all’uno o all’altro dei nostri sensi, e di
essere in tal modo sentita nella sua azione e nella sua attualità. Per quan-
to il problema sia stato rimosso ed esorcizzato, l’epistemologia novecen-
tesca ha dovuto infine rassegnarsi a riconoscere che quando si tenta di
confermare intersoggettivamente un protocollo osservativo, relativo per
esempio a un’apparecchiatura neurocerebrale, il problema dei qualia e
della loro comunicabilità risorge inevitabilmente. Ciò è dovuto al fatto
che l’esperienza sensoriale non rappresenta soltanto un «problema ineli-
minabile» e, secondo Popper, risolvibile per via «convenzionale»18. Essa
costituisce anche e soprattutto la fonte e il fondamento di ogni ulteriore
evidenza e verità: ciò attraverso cui dobbiamo necessariamente passare
per entrare in relazione con il «reale». In conclusione, «l’esperire senso-
riale e l’esperire il reale sono una sola e medesima cosa»19. Nell’esperien-
za sensoriale non c’è alcun problema di validità, di accordo o meno con
regole generali. «La realtà dell’esperienza sensoriale non ha bisogno di
alcuna giustificazione a posteriori. Essa precede ogni dubbio»20. Essa
«non conosce alcun dubbio, essa è anteriore al dubbio. Per questa ragio-
ne essa non può essere scossa da ragioni»21. La sua legittimazione è l’espe-
rienza sensoriale stessa, cioè «il mio essere-impressionato, l’appartenen-
za di un evento alla mia stessa esistenza. L’Altro è reale fintantoché m’im-
pressiona ed è da me impressionato»22.
Ma potrebbe esserci anche un’altra ragione che contribuisce a ostaco-
lare la giusta comprensione della relazione originaria con il reale prodot-
ta dall’esperienza sensoriale. Questa ragione potrebbe essere dovuta al cre-
dere che la relazione sensoriale – in quanto relazione diretta e immediata
con il reale – non sia ancora una vera e propria relazione oggettuale. Ad
essa mancherebbero ancora un senso e una direzione, e soprattutto quel
carattere di alterità oggettuale che le può essere conferito soltanto dal fatto
di venire intenzionata da un atto coscienziale. Credere ciò significa però
17 E. Straus, Il vivente umano, infra, p. 75.
18 K. Popper, The Logic of Scientific Discovery, Hutchinson, London 1959, Routled-
ge, London-New York 20023, § 30, p. 88; trad. it. di M. Trinchero, Logica della scoperta
scientifica, Einaudi, Torino 1970.
19 E. Straus, Estesiologia e allucinazioni, cit., p. 218.
20 E. Straus, Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung, cit., p. 262.
21 E. Straus, Vom Sinn der Sinne, cit., p. 379.
22 E. Straus, Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung, cit., p. 262.
xvi alberto gualandi

per Straus cadere in un duplice errore. Da un lato, significa rinchiudere


l’esperienza sensoriale all’interno di una coscienza solitaria, ma quasi onni-
potente – in tutto e per tutto già determinata nella sua funzione «costitu-
tiva» e «donatrice» di senso23. A tale coscienza spetterebbe il compito di
assegnare all’esperienza sensoriale un senso di alterità oggettuale, inten-
zionandola come percezione, piuttosto che come ricordo o immaginazio-
ne, e inserendola così all’interno dell’insieme degli enti ed eventi del
mondo (senso esterno), piuttosto che in quello degli enti ed eventi della
mente e del corpo (senso interno). Dall’altro lato, ciò significa spogliare la
relazione sensoriale col mondo della sua struttura propria e peculiare –
che la distingue in maniera essenziale dalla relazione mediata, propria del
credere, significare o sperare – riducendola a un puro contenuto di coscien-
za, a un qualia sensoriale separato dalla struttura attiva e intenzionale in
cui esso è fin dall’inizio intimamente calato. In realtà, tutto ciò significa
soltanto che essa, «in quanto modo particolare di essere e come forma spe-
ciale di “intenzionalità”, è stata mal interpretata»24. L’esperienza senso-
riale ha infatti, per Straus, una sua peculiare struttura intenzionale che si
tratta ora di portare gradatamente alla luce, a partire dalla connessione
originaria e inscindibile che c’è tra il muoversi e il sentire.
Per descrivere la struttura intenzionale dell’esperienza sensoriale in
tutte le sue articolazioni bisogna, secondo Straus, restituirle il valore di
relazione primaria e vitale, grazie cui un organismo vivente entra in rap-
porto con l’ambiente. Il sentire è per Straus sempre incarnato in un corpo
vivente che, oltre ad essere senziente, è anche sé-movente. Per un essere
vivente muoversi in un ambiente significa stabilire una relazione con il
mondo e con gli altri esseri viventi che è fin dall’inizio valorizzata emoti-
vamente. Il sentire non è mai riducibile a una sensazione neutra, sprovvi-
sta di significato vitale, ma è inscindibilmente connesso con un agire che
anima il sentire di un’intenzionalità propria, ovvero di un senso, positivo
o negativo, e di una direzione: «verso qualcosa» o «lontano da qualco-
sa»25. Quest’intenzionalità non è ancora quella di una «coscienza secon-
daria» che riflette sui suoi atti, ma piuttosto una sorta di movimento di
trascendenza immediata verso altri oggetti, esseri ed enti, attraenti o repel-
lenti, «simpatici» o «antipatici» che popolano il mondo26. Straus riassu-
23 E. Straus, Vom Sinn der Sinne, cit., p. 12 e 210.
24 E. Straus, Estesiologia e allucinazioni, cit., p. 187.
25 E. Straus, Vom Sinn der Sinne, cit., p. 291.
26 Il concetto di «coscienza secondaria» è di A. Damasio, Descarte’s Error (1994), trad.

it. di F. Macaluso, L’errore di Cartesio, Adelphi, Milano 1995; Id., The Feeling of What
Happens. Body and Emotion in the Making of Consciousness (1999); trad. it. di S. Fredia-
ni, Emozione e coscienza, Adelphi, Milano 2000. Il problema – pionieristicamente formu-
lato da Straus – del significato emotivo della sensazione e dell’intenzionalità sensoriale pri-
maria è da alcuni decenni al centro delle ricerche di questo neurobiologo contemporaneo.
estesiologia della solitudine xvii

me il senso di questo movimento di trascendenza verso la realtà del


mondo affermando che il sentire ci pone in modo diretto e immediato in
rapporto con l’Altro. Esso ci permette di cogliere la realtà nel suo carat-
tere più irriducibile: nella sua alterità, rispetto al nostro corpo o alla
nostra mente; ma ci permette anche di coglierla nel suo carattere autono-
mo o indipendente: come un “oggetto” dotato di una sua unità, identità
e sussistenza sostanziale, indipendentemente dal nostro sguardo o dalla
nostra azione tattile. Questo carattere di alterità e indipendenza è com-
provato anche dal fatto che l’esperienza sensoriale ha sempre un caratte-
re «mutuo e reversibile». Essa non riguarda mai soltanto l’Altro, ma sem-
pre me stesso in relazione con l’Altro: «Nell’esperienza sensoriale espe-
riamo sempre noi stessi e il mondo nello stesso momento, non me stesso,
originariamente, e l’Altro per inferenza, non me stesso prima dell’Altro,
non me stesso senza l’Altro. Non c’è alcun primato della coscienza di se
stesso sulla coscienza del mondo»27.
La polemica di Straus nei confronti della tradizione coscienzialista
moderna che, a partire da Descartes, e passando per Kant, giunge fino a
Husserl, risuona qui con forza. In modo opposto e complementare, la
concezione della coscienza che costituisce il cuore di questa tradizione sta
a fondamento sia della filosofia trascendentale sia della psicofisica speri-
mentale. Entrambe queste discipline presuppongono infatti quella sepa-
razione tra coscienza e mondo esterno che è stata operata da Descartes,
e che ha finito per esiliare la coscienza «in un luogo inesistente» e «senza
mondo». Secondo Straus, infatti, la dicotomia cartesiana «non solo sepa-
ra la mente dal corpo, ma anche la coscienza dal mondo»28. Essa separa
la creatura esperiente dalla natura, l’Io dal mondo, la sensazione dal
movimento, una persona dall’altra, l’Io dal Tu. «L’Io cartesiano non ha
alcun contatto col mondo esterno, non è in comunicazione diretta con
nessun alter ego. Secondo Descartes, l’autocoscienza precede la coscien-
za del mondo: siamo coscienti di noi stessi prima di essere coscienti delle
cose, prima di esser coscienti di qualsiasi altra cosa»29. Secondo Straus,
nelle Meditazioni cartesiane Husserl non farà altro che assegnare a que-
sto “prima” un senso logico-metodologico “rigoroso e radicale”, finen-
do per attribuire a queste separazioni, prodotte dalla riflessione della
coscienza su se stessa, un valore “trascendentale”. Ma se tutte queste
separazioni sono la conseguenza della separazione iniziale tra coscienza
e mondo, si tratterà allora di mostrare che nell’esperienza sensoriale que-
ste dimensioni dell’esperienza sono ancora interrelate, e che l’esperienza

27 E. Straus, Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung, cit., p. 244; Id., Vom Sinn der
Sinne, cit., p. 378.
28 E. Straus, Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung, cit., p. 238.
29 E. Straus, Estesiologia e allucinazioni, cit., p. 181.
xviii alberto gualandi

che noi abbiamo di noi stessi non è indipendente da quella che noi abbia-
mo degli altri e del mondo. Esperire sensorialmente l’alterità del mondo
significa esperire al contempo il mio corpo come affètto – guardato o toc-
cato, agito o colpito – in modo più o meno resistente e violento da parte
dell’Altro. Per tale ragione Straus afferma che l’esperienza sensoriale non
mi permette di cogliere dall’esterno, in modo neutro e distaccato, «qual-
cosa che accade nel mondo». Tramite essa, piuttosto, vi è sempre qualco-
sa che «mi accade nel mondo»30. Ogni volta che si dà esperienza senso-
riale del mondo, il mio “io-corpo” è sempre coinvolto “in prima perso-
na” e direttamente nel mondo. È per questo motivo che Straus riassume
la struttura intenzionale della relazione sensoriale al mondo negli «sche-
mi bipolari» – non completamente scevri da equivoci – di Io-e-l’Altro o
di Io-e-il-mondo31.
Dopo aver mostrato che l’esperienza sensoriale ha una sua peculiare
struttura intenzionale, che Straus definisce patico-comunicativa, in ragio-
ne del suo carattere emotivo e reversibile, si tratta ora di mettere in luce
alcune caratteristiche più fini, come quelle legate per esempio alla struttu-
ra tutto-parte, unità-molteplicità, attuale-potenziale, ponendo l’accento
sul fatto che, per comprenderne il valore, bisogna innanzi tutto compren-
dere il loro statuto di strutture materiali e tuttavia a priori rispetto ai sin-
goli contenuti esperienziali. Consideriamo innanzitutto l’articolazione che
si stabilisce tra la percezione attuale di un oggetto e le percezioni poten-
ziali che possono derivare da una variazione nello spazio o nel tempo della
posizione del nostro corpo. Quest’articolazione percettiva tra l’aspetto
attuale e potenziale di un oggetto o del mondo scandisce il ritmo peculia-
re in cui la nostra esperienza fluisce e diviene pur rimanendo in sostanza
la “stessa”32. Essa ha quindi un ruolo esperienziale di notevole rilevanza,
poiché è attorno ad essa che si consolida quella struttura spazio-tempora-
le che congiunge in modo stabile e costante il corpo vivente con l’alterità
trascendente del mondo33. La relazione tra l’attuale e il potenziale espri-

30 E. Straus, Vom Sinn der Sinne, cit., p. 377.


31 Ivi, p. 246.
32 Ivi, p. 256.
33 «Quando guardiamo allo stesso “che cosa” da differenti prospettive, quando ci aggi-

riamo intorno all’oggetto, esperiamo le diverse visioni dell’Altro al contempo come una
fase della nostra esistenza propria. Ogni momento individuale ha il suo posto nel conti-
nuum del nostro divenire. Ogni cosa sensorialmente esperita è presente, cioè mi si presen-
ta. Il momento attuale, il mutevole adesso del mio divenire si determina in riferimento
all’Altro da cui sono influenzato. Nella sua determinatezza, ciascun momento è in se stes-
so limitato, ma non terminato; esso è incompleto. L’intima forma temporale della nostra
esperienza sensoriale è quella del divenire in cui ogni fase si dirige verso le altre, preceden-
ti e seguenti, per il suo completamento» (E. Straus, Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung,
cit., p. 250).
estesiologia della solitudine xix

me quindi a livello spazio-temporale la relazione parte-tutto, che unisce il


mio corpo al tutto del mondo in modo chiasmatico e quasi paradossale.
Ma essa è anche espressione del rapporto bipolare e reversibile che con-
giunge reciprocamente il mondo col corpo. Variando la percezione che ho
di un paesaggio, varia al contempo la coscienza che ho della posizione del
mio corpo nello spazio del mondo. Variando l’azione che un suono del
mondo esercita sul mio corpo, varia la percezione che ho dell’inizio e della
fine di un evento, e del modo in cui questo evento presente si trascende in
quello futuro. Entrambi questi aspetti della relazione sensoriale esprimo-
no il modo peculiare in cui ogni percezione si trascende e fluisce in una
totalità più ampia: nell’orizzonte spaziale e temporale del mondo. In sin-
tesi, l’esperienza sensoriale ha una sua peculiare struttura intenzionale,
poiché essa è animata da una componente attiva e conativa, apportata dal
movimento o dall’azione, la quale opera un’inversione della direzione
d’esperienza rispetto alla direzione causale34. Oltre a “teleologizzare” l’in-
tero sistema dell’esperienza trasformando la causa in scopo, quest’inver-
sione della direzione d’esperienza opera una trasformazione irreversibile
del sistema oggettivo del tempo inserendolo in una struttura trascendente
di anticipazioni che dischiude in esso la più autentica e irriducibile dimen-
sione temporale: la dimensione del futuro e del possibile35. Per Straus, in
altri termini, non vi è intenzionalità se non laddove si dà una struttura
“fluida” di trascendenza nell’Altro e di anticipazione “possibilitante” del
tempo. È in questo senso che la lezione dei filosofi che hanno posto l’ac-
cento sul nesso esistente tra intenzionalità, temporalità e trascendenza –
Husserl e Heidegger, in primis – fornisce un elemento imprescindibile per
la descrizione “in prima persona” della struttura dell’esperienza: a patto
34 J.-L. Petit, Introduction générale, in Id. (éd. par), Les neurosciences et la philosophie

de l’action, Vrin, Paris 1997, p. 19. Strutture intenzionali e temporali, che connettono in
modo unitario e circolare sensazione, movimento e azione, sono al centro di numerose ana-
lisi neurobiologiche contemporanee, impegnate nella revisione del paradigma “modulari-
sta” classico in svariati àmbiti di ricerca. Oltre ai lavori di Damasio già citati, fortemente
condizionati dal “dogma della localizzazione”, cfr. i lavori di A. Berthoz, J.-L. Petit, Phé-
noménologie et physiologie de l’action, Odile Jacob, Paris 2006; A. Berthoz, Le sens du
mouvement, Odile Jacob, Paris 1997; trad. it. di E. Dal Pra e A. Rodighiero, Il senso del
movimento, McGraw Hill, Milano 1998; F. Bailly, G. Longo, Mathématiques et sciences
de la nature. La singularité physique du vivant, Hermann, Paris 2006; G. Longo, Mouve-
ment, espace et géométrie, «Intellectica», 25, 1997; V. Gallese, La molteplicità condivisa.
Dai neuroni mirror all’intersoggettività, in A. Ballerini, F. Barale, V. Gallese, S. Ucelli, Auti-
smo. L’umanità nascosta, a cura di S. Mistura, Einaudi, Torino 2006.
35 Questo tema, come noto, è da alcuni decenni al centro delle ricerche di Gerald Edel-

man e Jean-Pierre Changeux. Cfr. in particolare G. Edelman, The Remembered Present,


Basic Books, New York 1989; trad. it. di L. Sosio, Il presente ricordato, Rizzoli, Milano
1991; J.-P. Changeux, L’homme de vérité, Odile Jacob, Paris 2002; trad. it. di A. Serra,
L’uomo di verità, Feltrinelli, Milano 2003.
xx alberto gualandi

tuttavia di mostrare che dietro questo nesso non vi è nulla di sublime e


misterioso, bensì soltanto la connessione inscindibile che si dà tra muo-
versi, sentire e anticipare36. È questa connessione che determina, secondo
Straus, la struttura temporale di trascendenza, peculiare dell’esperienza
sensoriale, su cui si basa ogni struttura temporale più astratta e concettua-
le. Tanto la struttura temporale del ricordo quanto quella del concetto
scientifico, che (in modo apparentemente definitivo) sovverte e inverte il
continuum direzionale e irreversibile dell’esperire sensoriale, presuppon-
gono l’orizzonte spazio-temporale che ci è dischiuso dal sentire. Il concet-
to scientifico, la funzione d’astrazione, la facoltà di giudizio e l’immagina-
zione schematizzante “sfruttano” la struttura temporale di anticipazione,
tipica dell’esperienza sensoriale, al fine di “aprire una breccia nell’orizzon-
te” dei sensi e trascendere in modo ancora più potente ed efficace il qui e
ora sensoriale. Ma il fatto che essi sfruttino questa struttura temporale
continua e irreversibile, significa anche che essi la presuppongono, e che,
presto o tardi, devono ritornare ad essa.
Questa tesi ha un’importanza notevole per la ricerca attuale. Anche la
psicologia cognitivista più avveduta pare infatti incapace di comprende-
re che il momento attivo dell’esperienza comporta un’inversione della
relazione temporale col mondo descrivibile “in prima persona”, ma irri-
ducibile a una descrizione “in terza”. Tentare di tradurre quest’inversio-
ne in terza persona conduce per esempio Gibson a ipostatizzare l’infor-
mazione potenziale in una struttura metafisica della realtà scientifica:
come se l’informazione potenziale fosse già presente nel mondo in uno
stato che attende soltanto d’essere còlto da questa struttura di trascen-
denza capace di anticipare il corso del mondo37. Ma non è tutto. La strut-
tura umana di trascendenza differisce in modo essenziale da quella ani-
male, poiché l’esperienza sensoriale umana subisce su di sé l’“effetto di
ricaduta” del linguaggio. Non possiamo infatti descrivere in modo total-
mente puro l’esperienza sensoriale prelinguistica, così come da adulti non
possiamo mai del tutto tornare bambini. Come riconosce lo stesso Straus,
il linguaggio rappresenta infatti uno strumento di potenziamento estre-
mamente efficace della struttura di trascendenza dell’esperienza38. Esso
ci permette di trascendere il qui e ora esperienziale, ancorato al “centro”
d’esperienza che è il nostro corpo, e dislocarci in maniera «ex-carnata» o
«eccentrica» in ogni parte del tempo e dello spazio39. Ma se è vero che il

36
E. Straus, Vom Sinn der Sinne, cit., pp. 242 sgg.
37
Cfr. J.J. Gibson, The Senses Considered as Perceptual Systems, Houghton Mifflin
Company, Boston 1966.
38 E. Straus, Vom Sinn der Sinne, cit., pp. 331 sgg.
39 E. Straus, The Expression of Thinking, in J.M. Edie (ed. by), An Invitation to Phe-

nomenology, Quadrangle Books, Chicago 1965, pp. 277 sgg.


estesiologia della solitudine xxi

linguaggio possiede questo potere e questa funzione, si pone già qui una
questione fondamentale. Quali strutture sensoriali peculiari preparano e
sostengono la “struttura di trascendenza potenziata” che ci è fornita dal
linguaggio? E in che modo questa struttura di trascendenza esercita la sua
azione sull’esperienza preconcettuale, coartandola nella prigione del lin-
guaggio della tradizione o della malattia mentale?
Al pari di “attuale” e “potenziale”, “unità” e “molteplicità” rappre-
sentano delle strutture percettive che esprimono il gioco chiasmatico, di
mutua implicazione, che vi è tra il “tutto” e la “parte”, tra il mondo e il
corpo. Secondo Straus, il fatto che il mondo sia unitario costituisce per
l’esperienza quotidiana un assioma imprescindibile. In quanto “unitario”,
esso è comune a tutti gli esseri senzienti e semoventi: tanto agli uomini,
quanto agli altri animali. Il fatto poi che questo mondo unitario sia sud-
divisibile in una molteplicità di orizzonti, o in una molteplicità di ogget-
ti, a loro volta costitutive di altrettante unità, articolabili in una moltepli-
cità di punti di vista o di aspetti, non ne dissolve o confuta il carattere
unitario. Tra unità e molteplicità si sviluppa una dinamica – analoga a
quella in cui si articola la relazione di mutua implicazione tra il potenzia-
le e l’attuale – che ha per orizzonte un mondo naturale e unitario, che
Straus chiama l’Allon o l’Altro: «L’Altro, il mondo, sebbene sia un’unità,
si mostra composto di una molteplicità di cose e diviso in una varietà di
aspetti. La molteplicità è legata all’unità, la diversità alla complementa-
rità. Nella vita quotidiana non dubitiamo mai che sia un solo mondo a
manifestarsi, sia pure sotto i vari aspetti di mondo visibile, udibile e tan-
gibile. A questo riguardo possiamo parlare di prospettive nelle quali l’Al-
tro si mostra uno e medesimo, mai però completo o perfetto. Per evitare
confusioni e seguire la consuetudine, limiteremo l’espressione “prospet-
tive” all’àmbito ottico, mentre impiegheremo un nuovo termine passan-
do da una sfera sensoriale all’altra. Parleremo in questo caso di aspetti.
Anche questo termine non può nascondere la sua derivazione dal regno
ottico. Ma poiché esso, in quanto termine scientifico, non è ancora
sovraccarico e poiché ci è familiare in quanto designa le nostre mutevoli
relazioni con un oggetto identico, lo useremo qui per indicare l’unità nella
molteplicità delle modalità»40. Queste osservazioni di Straus ci conduco-
no al cuore del problema dell’esperienza che stiamo tentando di enuclea-
re. In esse, la complementarità dialettica tra il tutto e la parte è intesa da
Straus in rapporto al problema dell’unità e della «molteplicità dei modi»,
ovvero al problema della relazione unitaria-molteplice che intrattengono
tra loro le diverse modalità sensoriali41. Quest’ultimo problema – si

40 E. Straus, Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung, cit., p. 250; cfr. anche Id., Estesio-

logia e allucinazioni, cit., p. 200 sg.


41 E. Straus, Vom Sinn der Sinne, cit., p. 212.
xxii alberto gualandi

potrebbe affermare – rappresenta il problema centrale dell’estesiologia.


Esso costituisce una sorta di banco di prova per questa disciplina, poiché
la fisiologia e la psicologia tradizionale si mostrano per diversi aspetti
incapaci di risolverlo. Distinguendo tra qualità e modalità sensoriali, uno
psicofisiologo come Helmholtz ammetteva infatti «la possibilità del pas-
saggio da qualità a qualità, da colore a colore, da suono a suono. Nello
stesso tempo però, egli sottolineava lo iato che separa una modalità dal-
l’altra, i colori dai suoni, i suoni dagli odori»42. In altri termini, Helm-
holtz intravedeva tra le diverse modalità sensoriali lo stesso iato incom-
mensurabile che, più di duemila anni prima, era stato riconosciuto da
Gorgia nella seconda e terza tesi del trattato Sul non essere. Ma come
comprendere allora la complementarità tra i sensi, se le loro differenze si
notano così facilmente? E se le modalità sensoriali sono tra loro incom-
mensurabili, come spiegare il fatto che esse tuttavia «comunicano»? Un
modo per risolvere il problema parrebbe essere quello di mostrare che la
loro differenza è solo apparente, che essa è una sorta di epifenomeno
dovuto a semplici differenze di «energia nervosa». La legge delle «ener-
gie specifiche», formulata, nel 1837, da Johannes Müller, pretendeva
infatti ridurre le qualità sensoriali a semplici stati di nervi sensoriali «inge-
nerati da una causa esterna»43. Le differenze tra modalità erano quindi
ridotte a tipi diversi di energia veicolati nei «canali», al fatto cioè che que-
ste qualità sono diverse nei vari nervi sensitivi o sensoriali e costituisco-
no l’«aspetto energetico dei sensi». Per assumere l’aspetto dei qualia sen-
soriali che compongono il mondo unitario della nostra percezione, que-
ste «qualità nervose» devono poi essere «trasposte o proiettate» nel
mondo esterno da «un’idea» o da un processo di coscienza confermato
dall’esperienza. A questa teoria delle energie specifiche, Helmholtz
aggiunge quindi l’idea che tali qualità nervose siano da intendere come
dei «segni»44, privi di un qualsiasi significato estrinseco, che le inferenze
inconsce della mente ci inducono a proiettare «al di fuori» della coscien-
za, fino al punto di «prenderle» per la realtà esterna45. In conclusione,
come nota giustamente Gibson, la psicofisiologia classica compone il puz-
zle percettivo “pezzo per pezzo” facendo corrispondere energie-stimolo
differenti a energie nervose differenti che producono segni di tipo diffe-
rente, che a loro volta devono essere correlati a misteriosi e immaginari
processi semi-coscienti che li compongono tra di loro, trasformandoli infi-
ne in “realtà esterna”. Non bisogna lasciarsi tuttavia sfuggire che il pre-
supposto fondamentale, necessario al funzionamento di questo comples-
42 E. Straus, Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung, cit., p. 250 sg.
43 Ivi, p. 239.
44 Ibid.
45 Ivi, p. 245.
estesiologia della solitudine xxiii

so processo di scomposizione e ricomposizione sensoriale, è l’esistenza di


una coscienza solitaria, già completamente formata, e dotata del suo pote-
re “costituente”. Questo potere esercita la sua azione su qualia di sensa-
zione fin dall’inizio spogliati del loro senso intrinseco, poiché deprivati di
quella struttura intenzionale che raccorda immediatamente il nostro
corpo con l’alterità del mondo: «Il punto di partenza è sempre lo stesso:
l’assunzione che la coscienza, con tutti i suoi numerosi contenuti, è sola
con se stessa, tagliata fuori dal mondo. Non s’intravede più alcuna via
che ci conduca fuori da questa prigione solipsistica»46.
Per risolvere il problema dell’unità e molteplicità dei sensi bisogna
quindi imboccare una via diversa da quella tracciata dalla psicofisica di
matrice cartesiana. In primo luogo, bisogna riconoscere che le differenze
tra le diverse modalità sensoriali non possono essere ridotte a differenze
di energia nervosa. Esse sono delle differenze di struttura, di cui fa teso-
ro il linguaggio quotidiano, e in cui continuamente c’imbattiamo nelle
«convenzioni» della vita di ogni giorno. Tra la vista e il tatto vi sono dif-
ferenze di struttura che sfuggono ad ogni tentativo di omologare l’espe-
rienza sensoriale per mezzo dello schema dello stimolo istantaneo e pun-
tuale. Come vedremo meglio in séguito, la vista è il senso del distacco e
della distanza, mentre il tatto è il senso della vicinanza e della reciproci-
tà. La vista permette di direzionarci verso le cose incontrandole laddove
sono e permangono, nel luogo preciso che occupano nel mezzo del pae-
saggio. Nel tatto, invece, ad ogni dirigersi della mano verso l’alterità del
mondo, fa séguito una pressione eguale e contraria del mondo sul nostro
corpo. Il tatto è il senso del possesso, ma questo possesso è rischioso, poi-
ché il nostro corpo vi è esposto direttamente alla retroazione dell’Allon.
Ma veniamo al secondo punto. Se le differenze tra modalità devono esse-
re riconosciute come differenze di struttura, ciò non significa che tra esse
esista uno iato che le rende incommensurabili. Queste differenze di strut-
tura sono infatti variazioni o declinazioni complementari di quella strut-
tura unitaria, patico-comunicativa e intenzionale che ci pone in relazio-
ne immediata e diretta con l’Altro, e che abbiamo riconosciuto apparte-
nere all’esperienza sensoriale in generale. Tale struttura generale è artico-
lata in una molteplicità di aspetti che abbiamo riconosciuto essere quelli
della direzionalità e della valorizzazione emotiva, della mutua reversibi-
lità e della dialettica “attuale-potenziale” e, infine, della struttura di tra-
scendenza spazio-temporale. Ogni modalità sensoriale sarà quindi carat-
terizzata da un suo particolare modo di declinare, di porre l’accento o di
articolare l’uno o l’altro di questi cinque aspetti fondamentali, a partire
da una comune struttura intenzionale.

46 E. Straus, Estesiologia e allucinazioni, cit., p. 156.


xxiv alberto gualandi

Prima di avviare l’analisi delle differenze connesse con questi cinque


aspetti bisogna però osservare che questa struttura intenzionale, che s’in-
carna in modo peculiare in ogni modalità sensoriale, gioca un ruolo par-
ticolarmente rilevante nel processo esperienziale, perché è a partire da essa
che è appreso ogni specifico qualia sensoriale: il timbro di uno strumen-
to o il colore di una nube, la consistenza di una superficie o l’odore di un
fiore. Le differenze strutturali tra modalità sensoriali esprimono una mol-
teplicità di forme a priori differenti che condizionano ogni nostro proces-
so esperienziale, senza tuttavia risultare condizionate dall’esperienza. La
struttura intenzionale che s’incarna in modi diversi nelle diverse modali-
tà sensoriali fornisce quindi un fondamento immodificabile all’esperien-
za, un fondamento a priori che vale e varrà per ogni tempo e luogo espe-
rienziale. Ma di che fondamento a priori si tratta qui esattamente? Poi-
ché i sensi sono organi di un corpo materiale e vivente si può sostenere
che queste strutture sensoriali costituiscano una sorta di a priori materia-
le attorno a cui s’incardina il rapporto tra la realtà e la mente47. Ogni
modalità sensoriale è caratterizzata da una sua peculiare legalità struttu-
rale in base alla quale si può a priori affermare che un colore, per esem-
pio, non può mai essere intuito separatamente da un’estensione spaziale,
o che un suono non può essere intuito separatamente da una durata tem-
porale48. Ogni singolo contenuto sensoriale è quindi sottomesso a priori
alla legalità strutturale connessa con la modalità sensoriale che permette
di coglierlo o esperirlo. Questa concezione delle strutture sensoriali, incar-
nate nelle diverse modalità sensoriali come altrettanti a priori materiali,
ha un significato filosofico rilevante, non solo perché permette di tradur-
re in termini estesiologici precisi alcune importanti acquisizioni della feno-
menologia novecentesca, ma soprattutto perché va controcorrente rispet-
to alla concezione tradizionale dell’a priori e del trascendentale. Per la tra-
47 H. Plessner, Die Stufen des Organischen und der Mensch (1928), in Gesammelte

Schriften, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1980-1985; trad. it. a cura di V. Rasini, I gradi del-
l’organico e l’uomo, Boringhieri, Torino 2006, p. 102 sg.
48 Il tema dell’a priori materiale e delle legalità strutturali ha ricevuto un’attenzione

particolare da parte delle correnti “realiste” della fenomenologia. La nostra analisi inter-
pretativa si trova quindi in accordo con l’ipotesi avanzata da alcuni commentatori – cfr. in
particolare H. Spiegelberg, Phenomenology in Psychology and Psychiatry, Northwestern
University Press, Evanston 1972, p. 264 e 268 – secondo cui la concezione della fenome-
nologia di Straus sarebbe più vicina a quella elaborata dalle prime correnti realiste, in par-
ticolare dai “circoli” di Monaco e Gottinga, rispetto alla fenomenologia coscienzialista svi-
luppata da Husserl a partire dalle Idee. Secondo Spiegelberg, il rifiuto della svolta coscien-
zialista e soggettivista della fenomenologia permetterebbe addirittura a Straus di anticipa-
re – fin dall’inizio degli anni trenta – il ritorno al «mondo della vita» dell’ultimo Husserl.
Sulle correnti realiste della fenomenologia, cfr. S. Besoli, L. Guidetti (a cura di), Il realismo
fenomenologico. Sulla filosofia dei circoli di Monaco e Gottinga, Quodlibet, Macerata
2000.
estesiologia della solitudine xxv

dizione kantiana, il “luogo” per eccellenza deputato a incarnare l’a prio-


ri e il trascendentale è l’intelletto con i suoi principi e categorie. Le intui-
zioni empiriche non hanno né struttura, né legalità, e se ne possiedono
una, d’insieme o globale, essa è dovuta a quelle forme pure della sensibi-
lità che ricevono le sensazioni come “materia informe” colata nello
“stampo” preformato dello spazio e del tempo. Ma perché – si chiedeva
già Plessner – «non dovrebbe essere permesso» di «liberare la funzione»
dell’a priori e «della categoria dalla sua particolare specializzazione come
forma del pensiero e della conoscenza, per sollevare il problema di cate-
gorie o funzioni categoriali che appartengono ad altri livelli dell’esisten-
za più primitivi o più fondamentali?»49.
Da tale punto di vista, anche nella tradizione aristotelica le cose non
vanno meglio. A differenza di Kant, Aristotele considerava le categorie
sia come le proprietà ultime dell’essere, sia come i predicati più elevati e
generali del pensiero. Nel correlare il pensiero all’essere al fine di produr-
re un’asserzione vera, egli si avvale dello statuto duplice, logico-ontolo-
gico, delle categorie e del principio d’identità, ma salta a piè pari quelle
strutture estesiologiche che, primo nella storia, ha ingegnosamente por-
tato alla luce nel De Anima. L’incapacità di mostrare che i veri cardini
attorno a cui ruota il pensiero al fine di adeguarsi armoniosamente all’es-
sere non sono le categorie, bensì le strutture a priori della sensorialità, fu
pagata a caro prezzo. Innanzitutto, egli non si accorse che se «l’essere si
dice in una molteplicità di modi», ciò dipende in prima istanza dal fatto
che le strutture della sensorialità incarnate nelle diverse modalità senso-
riali sono irriducibili le une alle altre. Esse possono essere tradotte, ma
questa traduzione produce sempre uno scarto che si è riprodotto varie
volte nella storia del pensiero scientifico: dai problemi connessi alla
discretizzazione del continuo a quelli congiunti con l’identificazione di
una particella-onda nella meccanica quantistica; dai problemi connessi
col rapporto tra spazio e materia nella meccanica relativistica, a quelli
congiunti con l’interpretazione della “base empirica” e dell’“ontologia
finale” della scienza. L’essere, infatti, non è univoco. Non c’è quindi nes-
suna ragione per cui l’“ontologia finale” sia esclusivamente tattile, piut-
tosto che uditiva o oculare. Da questa incapacità aristotelica derivarono
inoltre le aporie e incongruenze connesse con l’impossibilità di concilia-
re sostanza prima e sostanza seconda, deduzione e induzione, fino alla
separazione ontologica tra proprietà primarie e secondarie, oggettive e
soggettive della realtà su cui si è costituita fino alla relatività e alla mec-
canica quantistica l’ontologia della scienza moderna. L’asserzione di Bohr
secondo cui tanto l’essere della materia inanimata, quanto quello della
49 H. Plessner, I gradi dell’organico e l’uomo, cit., p. 90.
xxvi alberto gualandi

materia vivente, può essere descritto solo in forma duale, secondo le strut-
ture continue della visione e quelle discrete del tatto, ci basti come spun-
to di riflessione50. Essa lascia infatti inevasa un’altra possibilità: ovvero
che le strutture estesiologiche dell’udito e della voce suggeriscano una
“nuova sintesi” o una “terza via” per risolvere gli enigmi dell’ontologia.
Soffermiamoci su una possibile obiezione. Sostenere che la scienza fisi-
ca presuppone un’ontologia condizionata dalle strutture sensomotorie del
vivente umano non equivale forse ad assegnare uno statuto trascenden-
tale alla biologia, annullando ancora una volta il ruolo e la funzione della
filosofia? Dal punto di vista biologico ed evolutivo, si potrebbe infatti ipo-
tizzare che la funzione di a priori materiale, svolta dalle strutture senso-
riali e motorie, sia dovuta al fatto che le diverse modalità sensoriali espri-
mono delle forme dell’organismo filogeneticamente preadattate alle
macrostrutture dell’ambiente. Benché queste forme siano il prodotto della
storia evolutiva e appaiano quindi variabili e relative, per gli individui
dotati di quel particolare sistema sensoriale (specie-specifico), le modali-
tà e strutture che in esso s’incarnano appariranno necessariamente come
degli assoluti, ovvero come degli a priori, non relativizzabili neppure da
parte di una specie dotata della capacità di accedere al reale fisico-chimi-
co per mezzo di un linguaggio simbolico astratto ed esonerato dai conte-
nuti specifici dei propri sensi. Se, da un lato, abbiamo tentato di mostra-
re che nel linguaggio quotidiano, così come nel linguaggio scientifico, per-
mangono delle strutture irriducibili che affondano le loro radici nelle
strutture dei sensi, d’altro lato ci preme sottolineare che queste strutture
dell’organismo preadattate all’ambiente sono irriducibili alle strutture fisi-
co-chimiche dell’ambiente proprio per il fatto che esse sono filogenetica-
mente variabili, ovvero proprio perché ogni specie – evolutivamente con-
tingente – ritaglia grazie ad esse una sua parte di ambiente, che si inter-
seca in modo più o meno ampio con quella di altre specie altrettanto con-
tingenti. L’“oggettività” dell’informazione che esse colgono nell’ambien-
te non può essere quindi legittimata epistemologicamente affermando,
come sostiene Gibson, che tale informazione esiste già in potenza nell’am-
biente. L’accordo tra il pensiero e la realtà si opera originariamente al
livello delle strutture dei sensi, e sarebbe un errore ipostatizzare tale accor-
do in una struttura metafisica esistente in potenza “prima” dei sensi.
Incorrere in tale errore significa ricadere in una concezione quasi aristo-
telica del “rapporto armonico” tra il pensiero e la realtà, in cui la realtà
metafisica non è tuttavia descritta in termini di essere e sostanza, bensì
per mezzo di un linguaggio fisico-chimico, cui è assegnata la funzione di
ontologia fondamentale. Assegnare tale funzione alla scienza fisica non è

50 Cfr. N. Bohr, I quanti e la vita, Boringhieri, Torino 1965, 20077.


estesiologia della solitudine xxvii

un’operazione di per se stessa illegittima. Tale funzione può essere sensa-


tamente ipotizzata e teorizzata, a condizione però di non ignorare che
questo linguaggio fisico-chimico, storico e provvisorio, non nasce dal
nulla metafisico, bensì da un insieme di strutture sensoriali in cui esso si
radica originariamente, e da cui si “emancipa” progressivamente, seppu-
re mai completamente, per mezzo di un complesso sistema di esoneri
“astraenti”. Ma la lezione di Straus insegna qualcosa di ancor più radi-
cale. Da un lato, essa ci insegna che soltanto queste strutture ci permet-
tono di rapportarci al reale secondo una modalità “in prima persona”,
necessariamente patico-comunicativa e intenzionale. Dall’altro, essa c’in-
segna che l’io e la coscienza, che sono alla base della concettualità astrat-
ta delle scienze, sono “soltanto” costruzioni: il risultato cioè di un “mon-
taggio” delle strutture sensoriali a priori. In altri termini, l’opposizione
tra il mondo esterno della scienza e il mondo interno della coscienza non
è altro che una “metafora”, e il foro interiore in cui agisce la coscienza
cartesiana è l’effetto di una “ri-flessione” o “ripiegamento” fono-uditivo
dell’«orizzonte estesiologico» che, «come una sorta di membrana, […]
avvolge ogni essere senziente»51.
Considerata la legalità materiale inscritta nelle singole modalità sen-
soriali, intese come forme a priori pre-adattate alle macrostrutture
dell’ambiente, e considerati i diversi livelli di sensibilità e prestazione sen-
soriale di cui sono dotate le differenti specie viventi, biologi e psicologi
evoluzionisti potrebbero ancora obiettare che i sensi svolgono, con moda-
lità più o meno fini, questa funzione di a priori materiale in tutto il regno
animale. I sensi umani, tuttavia, non incarnano soltanto una legalità strut-
turale connessa con le singole modalità sensoriali, ma anche una legalità
intersensoriale, più plastica e flessibile, tipica di un essere vivente non rigi-
damente pre-adattato a un’unica “nicchia” ambientale. Anche per gli
esseri umani, le strutture incarnate nelle diverse modalità sensoriali defi-
niscono una griglia a priori, caratterizzata da leggi e limiti prestabiliti, che
non può essere trasgredita dai singoli contenuti dei sensi. Bisogna ciono-
nostante osservare che questa esperienza sensoriale primaria non è anco-
ra vera e propria percezione. Per divenire tale è necessario che le diverse
modalità e strutture sensoriali si costituiscano in sistema percettivo
seguendo un determinato ordine strutturale. Mentre per Gibson le diver-
se modalità sensoriali svolgono funzioni ridondanti ed equivalenti, per
Straus esse presentano differenze strutturali ineludibili, che assegnano un
ruolo specifico all’una o all’altra modalità all’interno del sistema della
percezione. Nelle pagine che seguiranno mostreremo come per Straus le

51 E. Melandri, La linea e il circolo, introduzione di G. Agamben, Quodlibet, Macera-

ta 2004, p. 767 (prima edizione: Il Mulino, Bologna 1968).


xxviii alberto gualandi

modalità sensoriali si dispongano all’interno di una gamma che va dal-


l’estremo del visibile a quello del dolore. Il principio che ordina questa
gamma è quello del «poter essere intuito», da un lato, e quello dell’«esse-
re impressionato», dall’altro52.
Ma ritorniamo al tipo di legalità flessibile, non rigidamente vincolato
biologicamente, che le modalità sensoriali incarnano nell’esperienza
umana. Già al livello della percezione, tale esperienza può essere descrit-
ta correttamente solo coadiuvando gli a priori materiali per mezzo di sche-
mi empirico-trascendentali capaci di produrre ciò che Aristotele, in pole-
mica con Gorgia, chiamava sensorio comune. Come gli schemi kantiani
operano infatti una sintesi tra le strutture attive, discrete e unificanti del-
l’intelletto e le strutture continue e intensive fornite dalle intuizioni empi-
riche e pure del tempo e delle spazio, così la sovrapposizione ordinata delle
diverse modalità sensoriali permette di elaborare degli schemi aptico-visi-
vi che operano una mediazione tra le forme, continue e sfumate, intuite
dall’occhio e le forme discrete, “ritagliate” attivamente dalla mano. Come
gli schemi kantiani permettono di mediare tra il “qui e ora” singolare del-
l’esperienza sensoriale e il carattere universale e astratto della rappresen-
tazione concettuale, gli schemi elaborati dalla cooperazione intersensoria-
le costituiscono delle strutture “quasi-trascendentali”, storiche e cultura-
li, che fungono da base per la concettualizzazione linguistica e per la strut-
tura soggetto-predicato su cui s’incardina la proposizione. Ripercorrendo
le analisi comparative che Straus ha dedicato in particolare alla modalità
uditiva e oculare, abbozziamo ora una descrizione articolata delle struttu-
re intenzionali incarnate nelle differenti modalità sensoriali.
Il primo punto attorno cui si articola l’analisi comparativa di Straus
concerne una differenza che, sulla scorta di Dufrenne e Nancy53, potrem-
mo definire ontologica. Se la modalità visiva ci introduce infatti al domi-
nio dell’essere sostanziale, la modalità uditiva ci avvia al dominio del-

52 Cfr. T. Passie, Phänomenologisch-anthropologische Psychiatrie und Psychologie.

Eine Studie über den «Wengener Kreis»: Binswanger, Minkowski, von Gebsattel, Straus,
Guido Pressler, Hürtgenwald 1995, p. 152. Straus, in realtà, non ha mai articolato in modo
preciso e sistematico questo principio ordinativo, rapportandolo alle istanze che collega-
no il sentire con la percezione e col linguaggio. A partire dagli anni ’50, nelle sue opere
antropologiche, egli ha fornito accenni illuminanti, ma ha anche lasciato intendere che
accedere alla dimensione della percezione, del linguaggio, della conoscenza oggettiva e della
scienza significa abbandonare il “paradiso” animalesco e infantile del sentire. In questa
sfumatura tragica, intimamente connessa con la teoria strausiana dell’esperienza, è lecito
intravedere una carenza – relativa alla capacità di chiarire la dinamica grazie alla quale il
mondo della percezione, del linguaggio e della cultura si edifica su quegli a priori materia-
li che sono le strutture sensoriali – che la teoria dovrà tentare per altre vie di supplire.
53 Cfr. M. Dufrenne, L’œil et l’oreille, L’hexagone, Montreal 1987; trad. it. a cura di

C. Fontana, L’occhio e l’orecchio, Il Castoro, Milano 2004; J.-L. Nancy, À l’écoute, Gali-
lée, Paris 2002; trad. it. a cura di E. Lisciani-Petrini, All’ascolto, Cortina, Milano 2004.
estesiologia della solitudine xxix

l’evento o dell’accadere: per l’esperienza ordinaria «il colore è vissuto


come un attributo delle cose; il suono come una loro emissione. I colori
aderiscono alle cose corporee, i suoni se ne separano e possono essere
ascoltati come staccati […]. L’occhio ci dà la struttura del mondo, lo sche-
letro delle cose; con l’orecchio, invece, ascoltiamo il suo battito, il suo
polso. È per questo che il linguaggio preferisce designare i colori con
aggettivi, i suoni con verbi»54. Contrapponendo alla metafisica sostanzia-
lista occidentale le metafore quasi musicali dell’evento e dell’accadere,
l’ontologia del secondo Heidegger non fa quindi altro che portare alle
estreme conseguenze le tendenze ontologiche già presenti nelle filosofie
romantiche che hanno assegnato una preminenza alla modalità uditiva su
quella oculare.
Il secondo punto approfondisce il precedente ponendo l’accento sul
nostro potere di disporre della sostanzialità visibile delle cose. Poiché l’oc-
chio ci fornisce lo «scheletro» strutturale delle cose, la temporalità dello
sguardo risulta, entro una certa misura, irrilevante. Lo sguardo può sof-
fermarsi su un oggetto un solo attimo, oppure un intero minuto. Può
distogliersi da esso, allontanarsi, o ritornarvi, ma qualcosa nell’oggetto o
nel paesaggio permarrà “identico”: lo stesso tavolo, la stessa camera, la
stessa strada. Per tale ragione, Straus afferma che l’occhio è l’organo che
«identifica e stabilisce». Esso stabilisce l’identità degli oggetti, del paesag-
gio o del mondo poiché permette di riconoscerli e ritrovarli, da più punti
di vista, in vari momenti. Ma esso permette anche d’orientare la nostra
relazione col mondo identificando in esso ciò che vi è di più stabile. Il
fatto poi che il colore sia vissuto come un attributo delle sostanze-cose,
che esso aderisca alle cose corporee o che, come amano ripetere i feno-
menologi, sia inseparabile dall’estensione, fa sì che esso «resti» e perdu-
ri – e che noi «possiamo rivederlo» la sera o il mattino seguente55. L’orec-
chio invece è l’organo che coglie l’attualità degli accadimenti. «Vi è una
coesistenza temporale del suono e dell’udire». «Non possiamo mai ria-
scoltare lo stesso suono». Non appena pronunciate, le parole scompaio-
no. «Il suono ha una durata determinata: nasce e muore»56.
Il terzo punto e il quarto pongono l’accento sulle differenze di struttu-
ra temporale e spaziale del vedere e dell’udire. La differenza più rilevante
concernente la temporalità è che essa si manifesta in forma di «persisten-
za» nel dominio del visibile, e in forma di «durata» nel dominio dell’udi-
bile. La persistenza presuppone una continuità che non ammette interru-
zioni e salti, mentre la durata può essere prodotta da una sequenza di suoni
54 E. Straus, Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung, cit., p. 256; Id., Estesiologia e allu-
cinazioni, cit., p. 209; Id., Vom Sinn der Sinne, cit., p. 399.
55 E. Straus, Vom Sinn der Sinne, cit., p. 397.
56 E. Straus, Estesiologia e allucinazioni, cit., p. 209 sg.
xxx alberto gualandi

più o meno regolari, interrotti o variabili. Il problema della temporalità è


inoltre strettamente connesso con quella particolare forma di variazione
che è il movimento: se nel dominio del visibile esso si manifesta come
«cambiamento di posto di un identico “qualcosa”», nel campo acustico
esso si manifesta «come sequenza temporale di dati variabili, per esempio
la sequenza di toni di una melodia o di una frase musicale»57. Una legge
analoga concerne le differenze rilevabili nella struttura del contorno e del
confine. Se nelle cose visibili il confine è spaziale, nelle cose udibili esso è
temporale. «Il contorno separa le cose, l’accordo unisce i suoni»58. I suoni,
in altri termini, non hanno né un contorno, né un confine, poiché ognuno
penetra nell’altro, fondendosi e compenetrandosi in modo consonante, o
urtando e «battendo» in modo dissonante. Differenze rilevanti riguarda-
no anche le capacità analitiche e matematiche dell’occhio, e le capacità sin-
tetiche dell’orecchio59. Se nella totalità dell’orizzonte l’occhio separa le
cose e divide il tutto in parti, l’orecchio «lega insieme i suoni che emergo-
no singolarmente come parti di una frase o di una melodia; l’udito è dun-
que un senso vòlto soprattutto alla sintesi»60. Mentre nel dominio del visi-
bile il principio delle grandezze estensive sembra dunque predominare,
assoggettandosi l’intensità del colore, nel dominio dell’udibile il principio
delle grandezze intensive giunge a esprimersi in ritmo, accento, forza,
assoggettando, come avviene nella danza, lo spazio-ambiente. Mentre
l’àmbito del visibile introduce direttamente al dominio del numerizzabile
e misurabile, l’àmbito dell’udibile sembra preludere a ciò che, nell’espe-
rienza umana, vi è di più attivo e trascendente: «Mentre nell’ottica c’è mol-
tiplicazione, nell’acustica c’è ripetizione. Poiché nel suono l’inizio e la fine
non si danno simultaneamente, il presente si trascende nel passato e nel
futuro: l’unità singola, pur presentandosi come parte, vuole essere com-
presa come elemento di un tutto»61. Considerando inoltre che, come già
affermato, il suono «nasce e muore», si comprenderà perché la peculiare
struttura di trascendenza dell’esperienza umana trovi nella dimensione
“narrativa” del suono il suo più naturale mezzo di espressione. Da qui
tutta una serie di espressioni metaforiche, come quelle della “voce della
coscienza” o del “dialogo interiore”, che animano la tradizione filosofica
da Agostino fino a Heidegger, ma che ritornano anche nell’esperienza vis-
suta dello schizofrenico nella forma alienata dell’Altro e della sua voce.
57 E. Straus, Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung, cit., p. 256.
58 Ivi, p. 257.
59 E. Straus, Vom Sinn der Sinne, cit., p. 401.
60 E. Straus, Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung, cit., p. 257; Id., Estesiologia e allu-

cinazioni, cit., p. 211.


61 E. Straus, Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung, cit., p. 257; Id., Estesiologia e allu-

cinazioni, cit., p. 211.


estesiologia della solitudine xxxi

Il sesto punto riguarda le strutture della spazialità attiva e, in particola-


re, le differenze di distanza e prossimità connesse con il movimento del
corpo: «Nel regno del visibile, l’Altro appare a distanza, situato là, di fron-
te a me. I molti “là” determinano il mio “qui” come una sosta instabile. Il
rumore e il suono riempiono invece il mio spazio, premono su di me. Nel-
l’orizzonte aperto del continuo ottico io posso dirigermi verso l’Altro, muo-
vendomi verso di esso. L’Altro mi sta di fronte come mèta: io lo vedo in que-
sto momento come un punto che non ho ancora raggiunto, ma che posso
raggiungere e raggiungerò. Lo spazio ottico è aperto al futuro. Il suono
prende possesso di me in un momento particolare; esso è proprio del pre-
sente e determina l’unicità attuale del mio adesso. Se ascolto, ho già ascol-
tato»62. Nello spazio acustico, si palesa quindi il fatto seguente: la dimen-
sione del futuro esiste soltanto in funzione dell’intenzionalità dell’ascolto,
poiché la realtà fisica del suono è quella di un presente che si “disfa” ad
ogni istante. Confermando le nostre analisi precedenti, queste osservazioni
aggiungono un fatto rilevante: le differenze di distanza e direzionalità com-
portano delle possibilità di azione e passione dissimili, e queste diverse pos-
sibilità comportano a loro volta delle valenze emotive distinte. In funzione
di queste diverse possibilità, il rapporto con l’Altro sarà per esempio carat-
terizzato da un grado di maggiore o minore costrizione e libertà.
Nel settimo punto evidenziato da Straus l’intima connessione esisten-
te tra libertà, direzionalità e possibilità d’azione emerge con chiarezza in
relazione alla modalità visiva, mentre in àmbito uditivo appare con forza
il potere coercitivo e soverchiante del suono63. Di questo potere reca testi-
monianza il linguaggio quotidiano e la radice etimologica del verbo
“ascoltare”: «Nel vedere mi dirigo attivamente verso il visibile: “getto il
mio sguardo su qualcosa”. Nell’ascoltare, invece, sono un ricettore: i
suoni mi raggiungono e mi costringono. Nell’ascolto [Hören] c’è, sia pure
sottaciuta, l’obbedienza [Ge-horchen]. Come il tedesco pone in relazione
udire [hören] e obbedire [ge-horchen], così il greco stabilisce una relazio-
ne tra akouein e hypakouein, il latino (e molte lingue romanze) tra audi-
re e ob-oedire […]. Il linguaggio “sa” che ogni modalità ha un suo modo
specifico di contatto, una sua specifica forma patica; esso “conosce” il
vedere come attività e i suoni nel loro potere soverchiante. Il linguaggio
“sa” anche che il nostro sguardo, dirigendosi verso l’Altro, può incontra-
re un altro sguardo in modo amichevole o evasivo, e che può essere inca-
pace di sopportarlo. Lo psicopatologo è chiamato ad approfondire ade-
guatamente fatti come l’inversione della direzione significativa del vede-
re, gli occhi minacciosi e opprimenti che fissano il cocainomane da ogni
62 E. Straus, Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung, cit., p. 257; Id., Estesiologia e allu-

cinazioni, cit., p. 210 sg.; Id., Vom Sinn der Sinne, cit., p. 401.
63 E. Straus, Vom Sinn der Sinne, cit., p. 401.
xxxii alberto gualandi

parte, o quelli che guardano il paziente dalle macchie del test di Ror-
schach. Tutto questo rivela il senso di libertà o di prigionia, i rapporti di
forze, peculiari a ogni esperienza sensoriale, che nella sfera del patologi-
co emergono con esasperata violenza. La diversità di questi aspetti rima-
ne valida comunque la fisiologia voglia considerare la relazione esistente
tra stimolo ed eccitamento e la trasmissione di quest’ultimo»64.
Queste differenze patiche tra le diverse modalità, tra i rispettivi modi
di contatto con l’Altro, hanno dunque per Straus un’importanza fonda-
mentale in àmbito psicopatologico. Centrali nell’analisi dell’esperienza
delirante e allucinatoria, esse giocano un ruolo particolarmente rilevante
nella descrizione e comprensione di quel vissuto psicotico in cui il pazien-
te si sente soverchiato dalle voci dell’Altro65. Secondo Straus, non si può
comprendere nulla dell’esperienza della schizofrenia se non si tengono in
considerazione queste differenze di struttura tra i sensi, se le si riducono
intellettualisticamente al «punto di vista del conoscere» concettuale, o se
le si appiattisce sulla sfera sensoriale che si rivela predominante in àmbi-
to percettivo nella cultura occidentale: la sfera del vedere. Portare alla luce
le strutture intenzionali incarnate nelle diverse modalità sensoriali è quin-
di un’operazione la cui rilevanza va oltre l’àmbito fenomenologico, psico-
logico o psichiatrico66. Si tratta piuttosto di un’operazione che ci induce a
scalzare i presupposti più “intuitivi” e “naturali” su cui si fonda la filoso-
fia classica occidentale, da Platone a Husserl. Portare alla luce tali diffe-
renze di struttura, ci induce, da un lato, a ritenere che il mondo, l’oggetto
e l’oggettività non possano essere esclusivamente pensati per mezzo del
paradigma oculare. D’altro lato, ci induce a supporre che la modalità udi-
tiva svolga, in connessione con l’azione motoria e vocale, una funzione
centrale nel processo riflessivo che conduce all’autocoscienza e all’auto-
comprensione. Anticipando ipotesi neurobiologiche attuali, Straus ci ricor-
da inoltre che le «voci» degli schizofrenici rappresentano una sorta di eco,
alienata nel mondo esterno, dei loro stessi pensieri, ovvero delle loro pre-
rappresentazioni uditive, esonerate dalle corrispondenti azioni vocali67.
L’analisi che Straus dedica alla modalità tattile è innanzitutto incen-
trata sul carattere duplice e duale, già rilevato da Aristotele come tipico
di questa modalità sensoriale. Tale duplicità è dovuta al fatto che, essen-

64 E. Straus, Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung, cit., pp. 257-258; Id., Estesiologia

e allucinazioni, cit., p. 212.


65 E. Straus, Vom Sinn der Sinne, cit., p. 382.
66 Ivi, pp. 383 sgg.
67 Cfr. T.J. Crow, Auditory Hallucinations as Primary Disorders of Syntax: An

Evolutionary Theory of the Origins of Language, in S.A. Spence, A.S. David (ed. by), Voi-
ces in the Brain: The Cognitive Neuropsychiatry of Auditory Verbal Hallucinations,
«Cognitive Neuropsychiatry», 1/2, February/May, 2004.
estesiologia della solitudine xxxiii

do il tatto una modalità per “contatto”, che entra cioè in azione elimi-
nando ogni tipo di distanza, l’Altro si rivela in essa come «immediata-
mente presente» e come capace di reagire, in modo mutuo e reversibile,
ogni volta che è toccato: «L’Altro si rivela nella sfera del vedere come lon-
tano; nella sfera acustica “prende possesso” dell’ascoltatore; nella sfera
tattile è immediatamente presente. Ogni toccare è nello stesso tempo un
essere toccato; ciò che tocco, a sua volta mi tocca, iscrivendosi in una
gamma di emozioni che va dall’orrore ai fremiti di piacere. Corrispon-
dentemente, le nostre espressioni verbali oscillano dai significati transiti-
vi a quelli intransitivi. In inglese il verbo to feel può essere transitivo, to
feel something, o intransitivo, I feel (myself). In tedesco berühren corri-
sponde all’inglese to touch, e in entrambe queste lingue “toccare” oltre a
indicare un contatto fisico può significare un “toccare” emozionale o “un
essere toccato”. In nessun altro aspetto la reciprocità della relazione
all’Altro è così evidente come nella sfera tattile»68. Lo spiccato carattere
di reciprocità della modalità tattile è comprovato anche da un altro carat-
tere strutturale appartenente a questa modalità duplice: la straordinaria
coordinazione che tra sensibilità e motilità si realizza nella sfera tattile.
Questa coordinazione fa sì che le qualità tattili degli oggetti – la loro levi-
gatezza o ruvidità – svaniscano improvvisamente non appena cessi il
movimento del corpo o della mano. L’ambiente naturale possiede indub-
biamente le caratteristiche fisico-chimiche strutturali e oggettive che gli
attribuisce Gibson, ma la durezza, la rugosità o la levigatezza esistono sol-
tanto per un essere vivente senziente e semovente, dotato di una mano
libera e di dita fini e flessibili69.
Secondo Straus, questa duplicità del tatto ha anche un importante
risvolto sociologico, dovuto al fatto che la modalità tattile è una modali-
tà esclusiva, che «limita la partecipazione a due persone», al contrario
della modalità visiva, che ci permette di volgerci insieme verso qualcosa
di comune, o alla modalità uditiva, in cui il suono ci abbraccia tutti. Oltre
ad escludere la terza, questa esclusività tattile fa anche sì che, a ciò di cui
“io” prendo possesso, afferrandolo o sedendoci sopra, debba rinunciar-
vi anche la «seconda persona». Il tatto è il senso del possesso e tale fatto
è testimoniato anche dal linguaggio il quale designa le relazioni di pro-
prietà con il termine «pos-sedere (be-sitzen)»70. Il tatto è un senso che ras-
sicura e assicura, ma spinta alle sue estreme conseguenze, questa tenden-
za al possesso rassicurante del mondo ci spinge su una via solitaria, osses-
siva e maniacale, in cui la realtà appare frammentata in una molteplicità
68E. Straus, Estesiologia e allucinazioni, cit. (trad. it. in parte modificata), p. 213; Id.,
Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung, cit., p. 258.
69 E. Straus, Vom Sinn der Sinne, cit., p. 387.
70 Ivi, p. 396.
xxxiv alberto gualandi

di «qui» senza «là», in una molteplicità di oggetti senza orizzonte, in cui


l’essere appare ad ogni passo minacciato di cadere in un abisso senza
fondo. «L’immediatezza del tocco» paga dunque «un alto tasso d’interes-
se» vitale71. Tale tasso è probabilmente lo stesso pagato dagli autistici,
che cercano la certezza della loro esistenza tramite il contatto e il posses-
so di un oggetto «duro»72. Ma è anche quello “rimborsato” dalla nostra
civiltà informazionale che analizza in modo “numerico” e “discreto” il
reale riducendolo, a partire da Descartes, alla modalità tattile-digitale.
Ciononostante, l’esclusività del tatto può essere moderata e corretta
prendendo coscienza della sua intrinseca reciprocità comunicativa. La fun-
zione del tatto, infatti, non è soltanto quella di afferrare e possedere; e nep-
pure quella di «maneggiare oggetti e utensili», e lavorare. Tutte queste
azioni hanno indubbiamente un’importanza fondamentale per l’esistenza
umana. Ciò che si può contestare è tuttavia il fatto che esse possano esse-
re elevate a paradigma unico del rapporto umano con il reale. Intenden-
do tale rapporto unicamente come un rapporto di trasformazione attiva e
manipolazione violenta della realtà, la filosofia moderna, marxismo e
pragmatismo in testa, hanno perso di vista la dimensione comunicativa
intrinseca a questa modalità. Benché l’afferrare possa anch’esso esser con-
siderato un «mezzo predominante d’intercomunicabilità tra i corpi», sol-
tanto nel toccare o nell’abbracciare il corpo dell’Altro come un Leib e non
come un Körper, emerge il carattere eminentemente umano, esistenziale
ed affettivo, di questa reciprocità emotiva e comunicativa: «il toccare tene-
ramente è un processo di avvicinamento senza fine o, meglio, un reitera-
to avvicinarsi e allontanarsi. Dobbiamo ritirarci a una certa distanza per
conquistarci una vicinanza. Anche l’abbraccio sessuale è un crescendo di
avvicinamenti e di allontanamenti che culminano e si spengono nell’orga-
smo. La comunicazione è un accadimento, non uno stato. La reciprocità
del toccare e dell’essere toccato è solo raramente perfetta. In tali rari incon-
tri ci sentiamo profondamente rapiti, ci esperiamo, con e per mezzo del-
l’altro, nell’unicità e nella pienezza della nostra esistenza»73.
Prima di concludere questa ricostruzione dell’analisi strausiana dello
spettro sensoriale è necessario soffermarci su un’ultima importante carat-
teristica strutturale della modalità tattile messa in evidenza da Straus. La
modalità tattile è infatti una modalità duplice in un senso ancor più fon-

71 E. Straus, Estesiologia e allucinazioni, cit., p. 214.


72 Cfr. F. Tustin, Autism and Childhood Psychosis, The Hogart Press, London 1972;
trad. it. di S. Marsoni Sella, Autismo e psicosi infantile, Armando Editore, Roma 1972;
Id., The Protective Shell in Children and Adults, Karnac Books, London 1990; trad. it. di
F. Del Corno, Protezioni autistiche nei bambini e negli adulti, Cortina, Milano 1991.
73 E. Straus, Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung, cit., p. 259; Id., Estesiologia e allu-

cinazioni, cit., p. 215.


estesiologia della solitudine xxxv

damentale. Tale duplicità è dovuta al fatto che il tatto può essere vissuto
ed esperito in modo nettamente antitetico: sia come un senso attivo e
“aptico”, come nell’azione di toccare o afferrare; sia come un senso pas-
sivo e ricettivo in cui a toccarmi è esclusivamente l’Altro. Ciò fa sì che il
tatto venga in tal modo a corrispondere ai due sensi antitetici che già Ari-
stotele gli assegnava nel De Anima: in un caso, il più intelligente e umano
dei sensi; nell’altro, il più originario e fondamentale, ovvero il più corpo-
reo e atavicamente animale. «La reciprocità del toccare può variare in due
diverse direzioni. Da un lato, si tocca per rilevare l’oggetto, per “afferrar-
lo” e, in questo caso, l’“afferrare” è diretto verso l’oggetto. Dall’altro,
però, si viene toccati, in quanto l’accadere dell’Altro irraggia e si dirige
verso di me. Nel toccare attivo uso la mano come strumento per ottene-
re informazioni sul carattere dell’oggetto; in questo caso posso comuni-
care le mie impressioni ad altri. […] Nella passività dell’essere-toccato
esperisco invece il mio corpo sensibile nella sua sensibilità, vulnerabilità,
debolezza, nudità. Quanto più fortemente l’Altro preme su di me, quan-
to più ne sono soverchiato, tanto più ricado nella desolazione e nell’ab-
bandono della mia esistenza. Persino il dolore non è un mero stato pas-
sivo dell’essere. Anche in esso rimane ancora una relazione io-mondo: nel
dolore che ci “deruba” dei nostri sensi, in cui cioè le cose non sono più
percepibili come sono, il mondo preme su noi imprigionandoci nel nostro
corpo, mentre, nel contempo ce lo rende estraneo»74.
Riepiloghiamo brevemente i risultati cui siamo giunti ripercorrendo
l’analisi strausiana dello spettro sensoriale. Le modalità visive, tattili e udi-
tive comportano delle variazioni nella struttura intenzionale del sentire
riguardanti la direzionalità e la valorizzazione emotiva, la ripetibilità atti-
va e l’impressionabilità passiva, la chiusura e l’apertura degli orizzonti spa-
ziali e temporali, la vicinanza e la lontananza, la persistenza e la durata, il
possesso e i confini tra ciò che è mio e ciò che è dell’Altro. Nell’analisi di
Straus, tuttavia, queste variazioni e differenze non si ripartiscono a caso.
Da un lato, assumono particolare rilevanza quelle variazioni o caratteri-
stiche modali che permettono di determinare la struttura sostanziale del
mondo, la sua continuità spaziale e la sua stabilità temporale, il suo per-
durare articolato in relazioni di coesistenza e giustapposizione, in rappor-
ti ordinati di figura e sfondo, di contiguità e lontananza. Ma un’importan-
za considerevole assumono anche quelle variazioni o caratteristiche moda-
li che, d’altro lato, permettono di cogliere il suo agire o accadere attuale,
le sue discontinuità temporali e il suo particolare ritmo di variazione, la
sua durata vitale o l’inizio e fine della sua azione. Questa polarizzazione

74 E. Straus, Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung, cit., p. 260; Id., Estesiologia e allu-

cinazioni, cit., p. 216.


xxxvi alberto gualandi

strutturale corrisponde inoltre a una determinata ripartizione delle moda-


lità sensoriali. Le prime caratteristiche o variazioni apparterebbero tutte,
secondo Straus, alla modalità oculare: modalità prevalentemente attiva e
direzionale che agisce a distanza, e in modo analitico, su quella totalità
unitaria che è il mondo visivo o il paesaggio, operando identificazioni di
oggetti e distinzioni di parti. Le seconde apparterrebbero tutte, invece, alla
modalità uditiva: modalità prevalentemente passiva e impressionabile che
registra in modo sintetico gli atti e gli eventi con cui l’alterità del mondo
viene incontro, «avvolge» e «preme» sul nostro corpo. La modalità tatti-
le parrebbe invece collocarsi nel mezzo, come una sorta di punto di equi-
librio o di mediazione, grazie alla componente di «reciprocità» che in essa
è sempre presente. Questa reciprocità è dovuta alla relazione di mutua
reversibilità tra momento attivo e momento passivo che m’impedisce di
toccare l’Altro senza esserne a mia volta toccato. Ma essa è dovuta anche
all’assenza di distanza tra il mio corpo e l’Altro, la quale confonde i limi-
ti tra ciò che è mio e ciò che è suo, e mi espone ai rischi dell’invasione,
dello sconfinamento, della contaminazione.
A ben vedere, tuttavia, la descrizione delle modalità sensoriali offerta-
ci da Straus eccede la netta partizione tra caratteristiche sostanziali-spa-
ziali-visive, da un lato, e caratteristiche evenemenziali-temporali-uditive,
dall’altro. Quest’eccedenza ci pare dovuta a due ordini di ragioni. Di ordi-
ne prevalentemente metodologico, la prima ragione dipende dal fatto che
non possediamo un linguaggio sufficientemente puro da descrivere in
modo diretto e immediato le strutture estesiologiche che, in prima istan-
za, si manifestano a noi in prima persona e in modo vissuto. Questa
carenza può essere compensata solo mediante un linguaggio metaforico
che opera per spostamenti e sostituzioni e che reca i segni dello scambio
originario tra corpo e mondo che si attua nel dominio del sentire. Benché
fenomenologicamente “impuro”, il linguaggio metaforico rappresenta
qualcosa in più di un ostacolo per la descrizione delle strutture a priori
della sensibilità. Esso pare dotato di una funzione euristica che ci permet-
te di sondare l’àmbito originario di esperienza che precede quello del lin-
guaggio e del pensiero come una sorta d’“infanzia originaria” o di “sfon-
do muto”. L’analisi dell’àmbito originario del sentire ci ha permesso di
scoprire che le strutture estesiologiche che s’incarnano nelle differenti
modalità sensoriali tendono già – fin dall’inizio, o in modo precoce – a
sovrapporsi e a slittare, a scambiare i propri ruoli, a collaborare o a inter-
ferire. Si potrebbe quindi affermare che, nell’esperienza umana, l’a prio-
ri materiale tenda fin dall’inizio a trasgredire i propri limiti categoriali e
a divenire – per una sorta di metabasis eis allo genos sensoriale – chiasmo
estesiologico o schematismo empirico-trascendentale. Soffermiamoci ora
su un secondo ordine di ragioni, non disgiunte dalle precedenti.
estesiologia della solitudine xxxvii

Di ordine più contenutistico, tali ragioni rilevano come, nella descrizio-


ne della struttura sostanziale della realtà che, secondo Straus, ci sarebbe
fornita dalla visione, operi già, nascostamente, l’azione manuale. Il mondo
della visione non potrebbe apparire dotato di quelle caratteristiche di resi-
stenza e persistenza, durezza e stabilità, essenziali per ogni determinazio-
ne di sostanzialità, senza presupporre uno scambio di funzioni e contenu-
ti tra la modalità visiva, tattile e uditiva. Nell’esperienza umana, tale scam-
bio è l’effetto di una sorta di rovesciamento dialettico dei rapporti di ser-
vitù e dominio esistenti tra l’occhio e la mano. Se nei primi mesi di vita è
la modalità aptica che svolge la funzione attiva, dirigendosi intenzional-
mente verso le qualità visive del mondo per manipolarle, modificarle e spe-
rimentarne tutti i valori sostanziali (durezza, resistenza, persistenza, fles-
sibilità, plasmabilità, aggirabilità ecc.), intimamente connessi con la loro
valenza propriocettiva, in un secondo momento è l’occhio che prende il
comando assumendo simbolicamente su di sé i valori tattili ed esoneran-
do la mano dall’esplorazione attiva del mondo. Verso la fine del primo
anno di vita il mondo percettivo inizia a costituirsi in una sorta di quadro
stabile, distanziato e unitario, popolato di oggetti dotati di una loro spe-
cifica sostanzialità e coerentemente organizzato in funzione dei movimen-
ti prospettici del corpo. Un semplice movimento degli occhi o della testa è
ora sufficiente per articolare nelle sue parti costitutive quel tutto che,
aprendo le palpebre, ci appare in un solo istante: il paesaggio. Il mondo
visivo non potrebbe tuttavia assumere quel significato e quel senso inter-
soggettivo che gli assegniamo se non fosse fin dall’inizio animato da un’al-
tra istanza attiva capace di invertire la direzione comunicativa dell’azione
che il mondo esercita sul nostro corpo. Quest’istanza attiva, capace di
accordarsi o contrastare la vita «pulsante» del mondo, è ovviamente la
voce. Grazie al suo accoppiamento coordinato con l’istanza vocale, la
modalità uditiva diviene capace di reagire al potere coercitivo e soverchian-
te del suono sovrapponendosi ad esso, rispondendo alle sue sollecitazioni
o addirittura incitando ed esigendo le sue risposte. Accoppiandosi inoltre
con il gesto manuale o corporeo in forma di grido o di accompagnamen-
to ritmico-canoro, l’istanza vocale si carica delle funzioni d’intervento atti-
vo proprie del tatto, accentuando la componente performativa già impli-
cita nella sua funzione originaria di comunicazione con l’Altro. Accompa-
gnando la percezione visiva in forma di commento sonoro, l’istanza audio-
vocale assume su di sé quella funzione simbolica che la modalità visiva
aveva già messo in atto in rapporto al tatto. Nasce così quella forma di
esperienza, fortemente esonerata e simbolica, che è il linguaggio. In altre
parole, l’esperienza sensoriale diviene dapprima percezione stabile e coor-
dinata, grazie all’esonero simbolico operato dalla vista sul tatto, per poi
essere completamente assorbita – grazie alla funzione di mediazione atti-
xxxviii alberto gualandi

va-passiva, soggettiva-intersoggettiva, emotiva-cognitiva dell’apparato


fono-uditivo – in quella grande metafora del mondo che è il linguaggio.
Rilevando alcune ambiguità dell’antropologia strausiana, nella recen-
sione dedicata a Vom Sinn der Sinne Binswanger denunciava in particola-
re l’incapacità di definire in termini precisi il problema della differenza
antropologica tra l’uomo e l’animale. In ragione di tale ambiguità, Bin-
swanger obiettava alla dottrina strausiana della comunicazione simpateti-
ca, tra l’essere vivente e l’ambiente, di essere in realtà una metafora, una
trasposizione cioè delle strutture peculiari del «mondo umano» sul
«mondo naturale» dell’esperienza sensoriale, comune all’uomo e all’ani-
male75. Benché tale obiezione semplifichi eccessivamente l’approccio strau-
siano, alcuni decenni più tardi, nel testo che qui presentiamo, Straus rico-
noscerà all’obiezione di Binswanger la sua parte di ragione, affermando
che la specie umana si trova in una situazione particolare, in confronto al
restante regno animale, in quanto il rapporto con l’altro essere umano,
l’Heteros, viene per essa “prima” del rapporto con l’Allon76. Per il viven-
te umano, in altri termini, l’accesso al mondo naturale appare meno diret-
to, immediato, istintivo di quanto non avvenga per gli altri animali. L’ac-
cesso al mondo naturale risulta in larga parte mediato dal rapporto inte-
rumano, e tale mediazione affonda le sue radici fin dentro al corpo, fin
nelle strutture che organizzano e coordinano le diverse modalità dell’espe-
rienza sensoriale. Un testo del 1953 chiarisce in modo esemplare la natu-
ra di tale mediazione. Il rapporto del vivente umano col mondo si orga-
nizza fin dai primi mesi di vita per mezzo di un metapherein esperienziale
originario, di una metafora antropo-biologica fondamentale sulla base
della quale il rapporto con il reale risulta mediato dalla struttura simpate-
tico-comunicativa peculiare del rispondere e del domandare77.
Altre opere strausiane, composte tra la fine degli anni ’40 e la metà
degli anni ’60, sono ricche di preziose intuizioni antropologiche, relative
al significato singolare che la stazione eretta gioca nell’economia dell’espe-
rienza sensoriale78, o al ruolo che il linguaggio riveste nella struttura di
75 L. Binswanger, Vom Sinn der Sinne. Zum gleichnamigen Buch von Erwin Straus,
«Archiv für Neurologie und Psychiatrie», XXXVIII, 1, 1936, pp. 21 sgg. Per un confron-
to tra i due autori, cfr. A. Gualandi, Voci dell’Altro. Sensorialità, comunicazione, aliena-
zione in Straus e Binswanger, in S. Besoli (a cura di), Ludwig Binswanger. Esperienza della
soggettività e trascendenza dell’altro. I margini di un’esplorazione fenomenologico-psichia-
trica, Quodlibet, Macerata 2006, pp. 667-708.
76 Cfr. E. Straus, Il vivente umano e la follia, infra, p. 68 e sg.
77 Cfr. E. Straus, Der Mensch als ein fragendes Wesen, «Jahrbuch für Psychologie und

Psychotherapie», 1953, ora in Id., Psychologie der menschlichen Welt, cit., pp. 316-334.
78 Cfr. E. Straus, Die aufrechte Haltung. Eine anthropologische Studie, «Monatsschrift

für Psychiatrie und Neurologie», 117, Heft 4/5/6, 1952, ora in Id., Psychologie der mensch-
lichen Welt, cit., pp. 224-235.
estesiologia della solitudine xxxix

trascendenza dell’esperienza umana79, o alla funzione che la voce-udito


gioca nel processo di costituzione dell’autocoscienza e della riflessione80.
Alla dottrina strausiana sembra tuttavia mancare una ricostruzione uni-
taria del “passaggio” che congiunge il mondo dei sensi con il mondo del
linguaggio e della conoscenza concettuale. Il problema non è di poco
conto, e le sue conseguenze si ripercuotono su tutta la dottrina strausia-
na dell’esperienza. Se rimane infatti oscuro il duplice passaggio – dal
“basso verso l’alto” e dall’“alto verso il basso” – che congiunge i sensi
con il linguaggio e la conoscenza concettuale, come possiamo allora spie-
gare la forza “distorcente” che Straus assegna alla tradizione? Se l’àmbi-
to del sentire fosse completamente indipendente da quello del linguaggio
e della conoscenza intellettuale, la tradizione cartesiana, che sta a fonda-
mento della scienza e della filosofia moderna, come potrebbe deformare
in modo così fondamentale il senso e le strutture che governano il senti-
re? Se le strutture a priori che s’incarnano nelle diverse modalità senso-
riali non fossero in qualche modo capaci di interferenza e sovrapposizio-
ne, come potrebbe la follia esercitare la sua azione fin dentro al cuore del-
l’esperienza sensoriale? In particolare, quel tipo di «follia endogena», la
cui origine – come Straus lascia ambiguamente intuire nella conclusione
del testo che qui presentiamo – è presumibilmente innescata o intensifi-
cata da un rapporto distorto con l’altro uomo?
Nella dottrina di Straus, il passaggio dall’esperienza sensoriale al
dominio della percezione e dell’esperienza concettuale è descritto trami-
te alcuni esempi e metafore paradigmatiche. Per accedere al mondo della
scienza e della conoscenza concettuale, bisogna essere in grado di varia-
re il proprio «punto di vista» individuale, bisogna essere capaci di «met-
tersi al posto dell’altro», prendendo distanza dal proprio hic et nunc sen-
soriale. La conoscenza scientifica è valida solo se i diversi posti di osser-
vatore sono interscambiabili, se essa è vera per me, per te, qui e là, oggi
e domani. La conoscenza oggettiva e concettuale si costituisce al termine
di un processo in cui si passa dalla modalità in «prima persona» dell’espe-
rienza sensoriale alla modalità in «terza persona» dell’esperienza concet-
tuale. Benché Straus caratterizzi, in modo apparentemente riduttivo,
l’esperienza sensoriale come soggettiva e singolare (e l’esperienza in terza
persona come intersoggettiva e generale), non bisogna dimenticare che
79 Cfr. E. Straus, On the Form and Structure of Man’s inner Freedom, «Kentucky Law

Journal», XLV, 2, 1956-1957, ora in Id., Psychologie der menschlichen Welt, cit., pp. 364-
376.
80 Cfr. E. Straus, On Obsession. A Clinical and Methodological Study, «Nervous and

Mental Disease Monographs», New York 1948; trad. it. di C. Muscelli, Sull’ossessione.
Uno studio clinico e metodologico, introduzione di C. Muscelli e G. Stanghellini, Fioriti
Editore, Roma 2006; Id., Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung, cit.
xl alberto gualandi

l’accesso diretto e originario al reale ci è assicurato esclusivamente dal-


l’esperienza sensoriale. La conoscenza “oggettiva” della scienza è solo il
risultato di un’astrazione: essa rappresenta una sorta di “schema genera-
le” che rimane valido una volta che si è compiuto, in modo reale o imma-
ginario, il processo di scambio reciproco dei posti e delle prospettive. Se
si volesse illustrare questo processo che ci permette di passare dal mondo
“soggettivo” dell’esperienza sensoriale al mondo intersoggettivo della
conoscenza concettuale per mezzo di un’immagine, si potrebbe impiega-
re la metafora leibniziana della sommatoria, o dell’integrale, di tutte le
prospettive o punti d’osservazione. Una metafora ancora più calzante è
però offerta dall’immagine strausiana della carta geografica81. Secondo
Straus, l’immagine che la conoscenza scientifica ci offre della realtà è ana-
loga a quella che ci viene offerta da una mappa o da una carta geografi-
ca, la quale non rappresenta la realtà da un punto di vista particolare,
bensì da un punto di vista “universale” che, come quello definito da
Copernico o Galileo sul sistema solare, dobbiamo tuttavia “costruire”,
poi imparare ad usare82. L’isomorfismo della scienza e del reale è sempre
schematico e, dunque, solo “apparente”: per riacquisire il senso della vita,
del divenire, del reale, bisogna sempre ritornare all’esperienza sensoriale.
In caso contrario, lo scienziato rischia di divenire un «patetico esplorato-
re di mappamondi, poiché “la carta non è il territorio”»83. Ogni grande
scienziato ne è stato del resto capace: ci può forse bastare l’esempio di
Einstein che ha rintrodotto il punto di vista dell’osservatore all’interno
d’una mappa fisica del mondo che soltanto il Dio galileiano o newtonia-
no era in grado di “percepire”, o che è giunto all’intuizione della relati-
vità generale tramite l’“esperienza vissuta” di un corpo umano in caduta
libera in un ascensore84. Dopo Einstein, l’invariante non è più un ogget-
to reale, percepito da un immaginario “intelletto divino”, bensì il risulta-
to di una costruzione85.
L’errore della scienza e della filosofia tradizionale è dunque quello di
scambiare la mappa con il territorio, d’invertire la relazione di genesi e
fondazione tra una rappresentazione astratta e generale e quella totalità
affettiva e intenzionale, dinamica e in divenire che è il paesaggio senso-
riale. Ma tra vivere un paesaggio e orientarsi in esso per mezzo di una
carta vi è la stessa differenza che esiste tra due modalità nettamente distin-
81E. Straus, Vom Sinn der Sinne, cit., p. 335.
82Cfr. E. Straus, The Expression of Thinking, cit.
83 A. Prochiantz, Machine-Esprit, Odile Jacob, Paris 2001, p. 114.
84 A. Einstein, L. Infeld, The Evolution of Physics (1938); trad. it. di A. Graziadei,

L’evoluzione della fisica, Boringhieri, Torino 1965, pp. 224 sgg.; A. Einstein, Relativity:
The Special and General Theory (1920); trad. it. di V. Geymonat, a cura di B. Cermigna-
ni, Relatività: esposizione divulgativa, Boringhieri, Torino 1962, 199410, p. 62.
85 Cfr. E. Straus, Vom Sinn der Sinne, cit., p. 314.
estesiologia della solitudine xli

te di accesso al reale: tra una modalità diretta e immediata, in cui il


mondo che si manifesta non può essere messo in questione, e una moda-
lità mediata e simbolica, in cui la correttezza dell’immagine può e deve
essere sempre ricondotta all’originaria esperienza sensoriale. Ma, dobbia-
mo ora domandarci, il passaggio che dall’esperienza sensoriale conduce
alla conoscenza concettuale e oggettiva può essere veramente rappresen-
tato come un processo di variazione di prospettive visive o come uno
scambio fisico di posti di osservazione? Il modo in cui Straus ricostruisce
questo passaggio non assegna forse troppa importanza alla visione? Il
processo che conduce alla “costruzione” della mappa non comporta una
serie di operazioni di misurazione che hanno una valenza tattile ancor
prima che visiva? E che funzione svolge lo scambio dialogico dei ruoli del
locutore e dell’ascoltatore nel processo che conduce dall’esperienza sen-
soriale in prima persona e soggettiva, alla conoscenza intersoggettiva e in
“terza persona”?
Straus non manca di osservare come il processo che ci permette di
assumere il posto dell’altro e di variare la nostra prospettiva visiva sia un
processo che può e dev’essere appreso, un processo in cui gioca un ruolo
rilevante l’insegnamento del maestro e il linguaggio della tradizione.
L’insegnamento del maestro e il linguaggio della tradizione ci offrono que-
gli strumenti necessari per operare una mediazione tra i differenti punti
di vista, per comprendere che le differenze di prospettiva non giocano
necessariamente a favore dello scettico, ma rappresentano l’occasione per
comprendere meglio l’oggetto attraverso il gioco complementare del-
l’identità e della differenza. Le differenze di punti di vista presuppongo-
no infatti un’identità di fondo, l’identità originaria del mondo visivo: «Se
nel vedere non ci fossero differenze, la relazione tra maestro e scolaro non
potrebbe sussistere. Il maestro insegna al suo allievo un punto di vista e,
da ultimo, una più profonda intuizione su “che cosa” sia l’oggetto consi-
derato. La differenza dei punti di vista è il presupposto pratico per una
conversazione di valore significativo. In tutte queste relazioni (nello scam-
bio, nell’insegnamento e nelle conversazioni quotidiane) si rivela lo stes-
so fenomeno: anche se siamo più di uno possiamo vedere insieme la
medesima cosa»86. Il fatto che Straus parli qui di «vedere», e non di toc-
care o ascoltare, non dev’essere trascurato. Se l’insegnamento del maestro
può permettere di «meglio vedere», in che cosa consiste la differenza tra
un buon e un cattivo maestro? Da dove trae la sua forza coercitiva la tra-
dizione cartesiana che, secondo Straus, domina incontrastata la riflessio-
ne scientifica e filosofica moderna? Da dove trae la forza necessaria a scal-
zare quel fondamento originario che, nonostante la critica al predominio

86 E. Straus, Estesiologia e allucinazioni, cit. (trad. it. in parte modificata), p. 207 sg.
xlii alberto gualandi

del paradigma visivo, continua a essere incarnato per Straus dalla moda-
lità oculare?
Descartes rappresenta per Straus il genio della separazione. «La dico-
tomia cartesiana», difatti, «non solo separa la mente dal corpo, ma la
creatura esperiente dalla natura, l’Io dal mondo, la sensazione dal movi-
mento, una persona dall’altra, l’Io dal Tu»87. Esiliata in un luogo esisten-
te, la coscienza cartesiana diviene completamente estranea al mondo, e
per ritrovare la strada che le permette di uscire dalla sua condizione di
solitudine radicale essa ha bisogno della mediazione divina: «Nonostan-
te Cartesio non abbia mai negato, né seriamente dubitato, dell’esistenza
del cosiddetto mondo esterno, egli ha sempre insistito sulla sua inacces-
sibilità. La sua esistenza non è più che probabile e dev’essere provata:
nella filosofia di Cartesio, è la prova dell’esistenza di Dio e della sua vera-
cità che garantisce la realtà del mondo esterno. Questa prova comunque
non elimina la separazione di coscienza e mondo; anzi, proprio il fatto
che ci sia bisogno di una prova sottolinea questa separazione. Anche
quando siamo convinti dell’esistenza del mondo esterno, ne rimaniamo
per sempre esclusi, senza alcuna possibilità di contatto o di comunicazio-
ne»88. Denunciando il ricorso cartesiano alla mediazione divina, Straus
non si accorge tuttavia di puntare il dito su quello che potrebbe anche
costituire un punto di forza del pensiero di Cartesio. Al di là della lette-
ra del testo cartesiano, il ricorso alla mediazione divina può infatti esse-
re interpretato come una sorta di riconoscimento della presenza necessa-
ria dell’Altro nel cuore della coscienza dell’uomo. L’impossibilità di acce-
dere direttamente al mondo esterno è compensata e mediata in Descartes
dal rapporto comunicativo con l’“alter ego sovrumano”: la presupposi-
zione d’esistenza di un interlocutore infinitamente benigno, anziché mali-
gno, costituisce la condizione necessaria per accedere all’oggettività del
mondo. In altre parole, come Straus stesso ha riconosciuto, il rapporto
comunicativo con l’alter ego umano, l’Heteros, “precede” e condiziona
il rapporto con l’Allon.
Ritorniamo quindi alla questione precedente. Da dove trae la tradizio-
ne cartesiana la forza necessaria a scalzare quel fondamento originario
rappresentato dal mondo visivo? Probabilmente da quella modalità sen-
soriale a cui lo stesso Straus riconosceva la forza di cancellare la distan-
za tra le cose, di oltrepassare i confini tra ciò che è mio e ciò che è suo,
d’invertire la relazione comunicativa con la realtà. Il linguaggio della tra-
dizione si avvale della stessa forza soverchiante che anima le voci degli
schizofrenici e che sembra trascinare con sé quelle strutture che stanno a

87 Ivi, p. 181.
88 Ivi, p. 182.
estesiologia della solitudine xliii

fondamento del nostro rapporto con il reale. Esso si avvale di una “forza
donatrice di senso” che dall’“alto” delle nostre parole ridiscende “verso
il basso” delle nostre sensazioni. È in virtù di tale forza che giunge a com-
pimento il processo d’intercomprensione, grazie all’alternanza dei ruoli
tra locutore e ascoltatore. Ma è sempre in virtù di essa che la violenza di
una voce, più o meno «interiore», può renderci impossibile dialogare con
noi stessi, con gli altri, con il mondo reale: «La comprensione, compar-
tecipata o individuale, richiede una certa dose d’indifferenza, la possibi-
lità di sottrarsi all’urto delle impressioni, di riflettere su se stessi, di porsi
in un ordine generale in cui i posti siano interscambiabili. Il potere delle
“voci” rassomiglia al potere dei suoni. Il suono, sebbene sia “qualcosa”,
non è propriamente una cosa, non è uno dei pragmata che possiamo
maneggiare. Non si può agire sul suono, ma non è che esso sia un nien-
te: è un “qualcosa” che elude la nostra presa, a cui siamo esposti senza
potercene sottrarre. Il potere del suono continua a rivelare la sua azione
nella parola articolata, la parola come comando creatore di Dio, come
fato predestinato; o anche nel “detto”, nella sentenza del giudice, nella
voce della coscienza. La voce della coscienza avverte e ammonisce chi è
libero di agire. Le “voci” dello schizofrenico deridono, perseguitano,
comandano: non lasciano alcuna libertà, sono ovunque; inesorabilmen-
te, “esse” premono sul paziente come un gas venefico che si è costretti a
respirare quando riempie l’atmosfera. La voce della coscienza giudica le
cose passate e soppesa quelle future. La “voce” dello schizofrenico è pro-
priamente solo del presente e nel presente svanisce»89.
Ricapitoliamo brevemente il percorso compiuto. La modalità visiva
sembra da un lato rappresentare per Straus, come per gran parte della
fenomenologia, il paradigma originario del rapporto immediato e intui-
tivo con l’Altro. Dall’altro lato, questo privilegio oculare sembra pregiu-
dicare la comprensione di alcune caratteristiche peculiari dell’esperienza
umana che divengono fondamentali in fenomeni esclusivamente umani
come la schizofrenia. Nei fenomeni allucinatori che caratterizzano que-
sto tipo di patologia, il rapporto sensoriale con l’Allon sembra infatti
venire assoggettato al rapporto fono-uditivo distorto con l’Heteros. Il sen-
tire voci diviene così una sorta di calco in negativo delle strutture empi-
rico-trascendentali peculiari dell’Esserci umano. La discussione interna
alla psichiatria fenomenologica conduce dunque Straus alla revisione di
alcuni presupposti filosofico-antropologici che condizionano in modo
riduttivo la fenomenologia e che, una volta scalzati, permettono d’intra-
vedere una relazione peculiare, essenziale per la psichiatria, tra l’azione

89 E. Straus, Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung, cit., p. 267; Id., Estesiologia e allu-

cinazioni, cit., p. 226.


xliv alberto gualandi

tattile, la voce e l’udito. Un sovvertimento in queste modalità sensoriali


conduce infatti, secondo Straus, a uno spostamento del confine che sepa-
ra il mio corpo dall’Altro, a una deformazione del confine tra «ciò che è
mio e ciò che è suo», ovvero a un’alterazione della relazione che costitui-
sce – per tutta la tradizione che da Cartesio giunge fino a Kant e a Hus-
serl – la forma e il contenuto fondamentale di ogni struttura di coscien-
za. Il risultato è una sorta di alienazione, o «atmosferizzazione» del pro-
prio pensiero nella realtà naturale, in cui l’Allon comincia a parlare con
la voce dell’Heteros o, meglio, con la voce dell’Altro che abita fin da sem-
pre il nostro pensiero.
La possibilità di una “contaminazione reciproca” delle strutture tatti-
li, vocali e uditive, può essere verificata anche per altra via. Secondo
Straus, le allucinazioni fono-uditive si collocano a metà strada tra le
«cosiddette “allucinazioni cinestetiche” e fenomeni quali l’automatismo
ideico, il furto e l’enunciazione sonora del pensiero»90. Benché Straus non
lo affermi esplicitamente, questa posizione mediana delle allucinazioni
fono-uditive sembra dipendere dal fatto che il pensiero è costituito della
stessa materia della voce anticipata silenziosamente dall’udito. Per Straus,
come per gli altri antropologi-filosofi cui egli si è ispirato in modo più o
meno diretto, il pensiero è infatti linguaggio vocale, immaginariamente
anticipato dall’udito, ma esonerato dall’emissione fonica effettiva: esso è
voce muta ovvero pensiero uditivo91. Il «porsi a metà strada» delle allu-
cinazioni fono-uditive può essere dunque dovuto al fatto che l’enuncia-
zione vocale di un suono è essa stessa un’azione motoria. Il sentimento
dell’alienazione fono-uditiva, ovvero il sentimento della non appartenen-
za delle proprie parole, o dei propri pensieri, al proprio apparato fono-
uditivo, è quindi un analogo della sensazione che prova chi è vittima d’il-
lusioni tattili in cui il corpo proprio è toccato «a distanza» dall’Altro92.

90 E. Straus, Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung, cit., p. 268; Id., Estesiologia e allu-

cinazioni, cit., p. 227.


91 Cfr. A. Gehlen, Der Mensch, Athenaion, Berlin 1940; trad. it. di C. Mainoldi, L’uo-

mo, Feltrinelli, Milano 1983; H. Plessner, Die Frage nach der Conditio Humana, in Pro-
pyläen-Weltgeschichte, hrsg. von G. Mann, A. Heuss,Verlag Ullstein, Frankfurt-Berlin
1961; trad. it. di M. Attardo Magrini, Conditio Humana, in I Propilei, vol.1, Mondado-
ri, Milano 1967, pp. 60 sgg. Per un’analisi di questo tema, cfr. A. Gualandi, Voci dell’Al-
tro. Sensorialità, comunicazione, alienazione in Straus e Binswanger, cit.
92 Nei fenomeni di allucinazione tattile, il toccare può per esempio propagarsi a distan-

za con una modalità di diffusione che ha una pervasività analoga a quella del suono. Que-
sta inversione della relazione comunicativa con il mondo può essere del resto estesa anche
alle allucinazioni visive, le quali sono assai frequenti nel delirio di tipo alcolico o da intos-
sicazione da mescalina, ma assai più rare nella schizofrenia: «Le allucinazioni visive, rare
nella schizofrenia, possono seguire lo stesso modello: la direzione del vedere s’inverte, il
paziente è accecato, raggi di luce vengono diretti verso di lui, delle rappresentazioni lo oppri-
estesiologia della solitudine xlv

L’azione fonatoria, anticipata silenziosamente dall’udito, è vissuta dallo


schizofrenico come l’azione di un Altro, e questo sovvertimento dell’agi-
re e patire, tramite l’inversione delle aree motorie e sensoriali, si trasmet-
te, secondo un’ipotesi neurobiologica recente93, all’intero apparato ricet-
tivo. In conclusione, se lo spettro dei sensi umani è tutto compreso all’in-
terno dei due estremi del tatto attivo o del tatto passivo, grazie al suo
carattere duplice, attivo-passivo, la modalità fono-uditiva si colloca esat-
tamente al suo centro. Essa funge quindi da cardine o da punto di svolta
a partire dal quale la direzione comunicativa del suono si estende all’in-
tero spettro sensoriale. È per tale motivo che la follia si manifesta come
un fenomeno contagioso capace d’intaccare ciò che fino a quel momen-
to appariva sano e di modificare in tal modo l’intera fisionomia del sen-
tire. Ed è per la stessa ragione che il linguaggio della filosofia ha avuto la
capacità di destrutturare l’intero rapporto sensoriale col mondo rinchiu-
dendo la nostra anima in una prigione da cui, per secoli, non è stato più
possibile fuggire: «Per lungo tempo al centro della filosofia vi è stata l’im-
magine di un’anima umana, solitaria, che meditava sulle sue esperienze
private. […] Quest’anima è chiusa, prigioniera del suo stesso corpo, ed è
impedita dal contatto con le altre anime dalle pareti dei corpi. Io ho volu-
to disfarmi di quest’immagine»94.

3. Immaginiamoci un Wittgenstein, più loquace del solito nei confron-


ti della storia della filosofia, impegnato a rivendicare la paternità di un
rovesciamento radicale: «I filosofi nella tradizione di Descartes partono
dalla loro solitudine, meditando sulle loro sensazioni private. Io voglio
capovolgere questo vecchio modello secolare. Voglio partire dalla nostra
cultura, la vita pratica che viviamo insieme. Guardare ciò che pensiamo
e sentiamo, e dire questo in termini pubblici»95. Mutatis mutandis, le stes-
se parole potremmo immaginarle proferite da Straus. Con una differen-
mono. Le forze ostili sono simili al vento, al corso di un fiume, al fuoco. In questa loro flui-
dità e fugacità, nel loro sfuggire a ogni presa, penetrano nella più intima interiorità del mala-
to, toccano il suo “cuore”, lo aggrediscono sessualmente, ma tuttavia si propongono come
agenti da una certa distanza», E. Straus, Estesiologia e allucinazioni, cit., p. 228.
93 Cfr. T.J. Crow, Auditory Hallucinations as Primary Disorders of Syntax… cit., ma

anche da J. Jaynes, The Origin of Consciousness in the Breakdown of the Bicameral Mind
(1976); trad. it. di L. Sosio e A. Sassano, Il crollo della mente bicamerale e l’origine della
coscienza, Adelphi, Milano 1984, pp. 126, 485 sgg., ove l’autore cita direttamente Straus per
quanto riguarda la teoria fono-uditiva delle allucinazioni e della schizofrenia.
94 T. Eagleton, D. Jarman, Wittgenstein. The Terry Eagleton Script. The Derek Jarman

Film, British Film Institute, London 1993; trad. it., di M. Benigni, Wittgenstein. La sceneg-
giatura di Terry Eagleton. Il film di Derek Jarman, Ubulibri, Milano 1993, p. 39 e 100 (tra-
duzione in parte modificata).
95 Ivi, p. 103 e 104 (traduzione in parte modificata).
xlvi alberto gualandi

za essenziale, tuttavia. Mentre la terapeutica wittgensteiniana mira a


disinnescare le trappole linguistiche che ingenerano i crampi mentali e i
double-binds performativi, di cui ha sofferto per secoli la soggettività
occidentale, agendo sul terreno stesso del linguaggio e senza discostarsi
da esso, la terapia di Straus mira a trascendere questo terreno riattivan-
do le potenzialità patico-comunicative incarnate nelle modalità sensoria-
li in cui affondano le radici i linguaggi della ragione e della follia. Portan-
do archeologicamente alla luce la «situazione animale originaria» che
costituisce il fondamento “quasi-naturale” della nostra forma di vita
comune, la terapia strausiana tenta di persuadere la “voce silenziosa”
della coscienza moderna a ripercorrere a ritroso il cammino della storia,
collettiva e individuale. Ciò che da questo percorso in ultima istanza tra-
spare è una genealogia prelinguistica del senso che, esclusa a priori dal-
l’analisi di Wittgenstein, produce numerose convergenze nella paleoan-
tropologia e nelle scienze evoluzionistiche attuali. Per Straus, come abbia-
mo notato, l’essere umano inizia a separarsi dalla «situazione animale ori-
ginaria» nel momento in cui acquisisce la stazione eretta, libera la mano
e si pone di fronte a un orizzonte d’esperienza dominabile con il sempli-
ce sguardo. Tale processo di separazione giunge tuttavia a compimento
solo nel momento in cui la “scimmia neotenica dallo sviluppo ontogene-
tico accelerato/rallentato” giunge ad assegnare all’apparato fono-uditivo
il ruolo di guida dell’intero sistema motorio e sensoriale96. Ma se, duran-
te il corso del suo sviluppo biologico e culturale, la «scimmia nuda»97 ha
appreso a rifunzionalizzare i propri sensi e il proprio corpo in relazione
a scopi non prescelti dalla selezione naturale98, finendo per gerarchizza-
re l’intero spettro sensoriale in funzione degli “schemi” selezionati stori-
96 Cfr. M.C. Corballis, The Lopsided Ape, Oxford University Press, New York-Oxford

1991; Id., From Hand to Mouth: the Origins of Language, Princeton University Press, Prin-
ceton (New Jersey) 2002; trad. it. di S. Romano, Dalla mano alla bocca: le origini del lin-
guaggio, Raffaello Cortina, Milano 2008; S. Mithen, Singing Neanderthals, Phoenix, Lon-
don 2005; trad. it. di E. Faravelli e C. Minozzi, Il canto degli antenati. Le origini della
musica, del linguaggio, della mente e del corpo, Codice Edizioni, Torino 2008; S.J. Gould,
Ontogeny and Philogeny, The Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge, Lon-
don 1977; A. Prochiantz, A cosa pensano i calamari?, cit.
97 Cfr. D. Morris, A Zoologist’s of the Human Animal, Jonathan Cape, London 1967;

trad. it. di M. Bergami, La scimmia nuda, Bompiani, Milano 1968, 200621; M.F.A Mon-
tagu, Time, morphology and neoteny in the evolution of man, in M.F.A. Montagu (ed. by).,
Culture and the evolution of man, Oxford University Press, New York 1962, pp. 324-342;
Id., Growing Youth, Bergin & Garvey Publishers, Granby, Massachusetts 1981; trad. it.
di E. Bertoni, Saremo bambini, Red Edizioni, Como 1992.
98 Cfr. F. Jacob, Evolution and tinkering, «Science», 196, 1977; trad. it. di D. Garavi-

ni, Evoluzione e bricolage, Einaudi, Torino 1979; S.J. Gould, E.S. Vrba, Exaptation – a
missing term in the science of form, «Paleobiology», 8 (1), 1982; trad. it. di C. Ceci, a cura
di T. Pievani, Exaptation, il bricolage dell’evoluzione, Boringhieri, Torino 2008.
estesiologia della solitudine xlvii

camente e culturalmente dalla specie99, la terapia, filosofica o psichiatrica


che sia, richiede la riattivazione di modalità comunicative non contamina-
te dalle voci della tradizione, culturale o familiare. Benché indispensabile
per curare “dall’alto” le psicosi endogene che hanno un’origine intersog-
gettiva e relazionale, la voce dell’analista freudiano, o del terapeuta anali-
tico-esistenziale, può condurci sulla via della guarigione solo se ci induce
ad apprendere nuovamente a vedere, udire, toccare per mezzo di nuove
metafore, schemi, sinestesie in accordo con quella sorgente di senso che è il
corpo100. Qualcosa di analogo vale anche per la filosofia. Benché indispen-
sabile per smantellare i presupposti metafisici della tradizione occidentale,
il linguaggio filosofico può conseguire l’effetto terapeutico auspicato sol-
tanto demolendo la prigione linguistica in cui si è rinchiusa la coscienza
moderna, ritornando all’epoca della filosofia in cui, non ancora al centro
della riflessione, l’uomo condivideva con l’animale un mondo comune. L’in-
felice coscienza occidentale sembrerebbe in tal modo ritrovare l’innocenza
e la serenità delle filosofie della natura presocratiche101. Come valutare que-
sta prospettiva strausiana? La guarigione che essa prospetta è effettivamen-
te raggiungibile, o il risultato che ne consegue è un’inevitabile regressione?
Se c’è una “verità” che la letteratura del ’900 non ha cessato di ripete-
re, e che la scienza contemporanea ha talora confermato102, è probabilmen-
te la seguente: «L’uomo è l’essere che non può uscire da sé»103. L’esempio
99 Cfr. A. Gualandi, L’individuazione neotenica umana e la genesi exattante e comuni-

cativa del «senso», in A. Cavazzini, A. Gualandi (a cura di), Logiche del vivente. Evolu-
zione, sviluppo, cognizione nell’epistemologia francese contemporanea, «Discipline filoso-
fiche», XIX, 1, 2009, pp. 117-136.
100 Alcuni commentatori hanno negato alla fenomenologia “naturalistico-biologica”

di Straus un’applicabilità terapeutica effettiva – applicabilità che sarebbe invece ascrivibi-


le alle analisi degli altri membri del Wengener Kreis, Binswanger e von Gebsattel, in par-
ticolare, che hanno posto maggiormente l’accento sulla dimensione intersoggettiva, cultu-
rale e spirituale dell’esperienza umana. Cfr. T. Passie, Phänomenologisch-anthropologische
Psychiatrie und Psychologie. Eine Studie über den «Wengener Kreis», cit., p. 167.
101 Cfr. E. Straus, Il vivente e la follia, infra, p. 74. Sul rapporto tra linguaggio e per-

dita dell’animalità e dell’infanzia, si veda anche F. Leoni, Follia come scrittura di mondo,
Jaca Book, Milano 2001, pp. 148 sgg.
102 Cfr. la celebre affermazione di Heisenberg, contenuta in W. Heisenberg, Das Natur-

bild der heutigen Physik, Rowohlt, Hamburg 1955; trad. it. di E. Casari, Natura e fisica
moderna, Garzanti, Milano 1957, p. 20. Poiché oggetto della ricerca scientifica contem-
poranea non è più, secondo Heisenberg, «la natura in sé, ma la natura subordinata al modo
umano di porre il problema», tramite la scienza l’uomo non incontrerebbe altro che se stes-
so, pur credendo di incontrare la natura.
103 M. Proust, La fugitive (1925); trad. it. di F. Fortini, La fuggitiva, Einaudi, Torino

1978, p. 37. Cfr. anche il commento di Beckett alla frase di Proust, contenuto in S. Beck-
ett, Proust (1931); trad. it. di C. Gallone, Proust, Sugarco, Milano 1978, 19944, p. 72:
«Noi siamo soli. Non possiamo conoscere e non possiamo essere conosciuti. “L’uomo è
una creatura che non può uscire da se stessa […]”».
xlviii alberto gualandi

più radicale è fornito dai personaggi di Beckett o di Thomas Bernhard. Rin-


chiusi in un universo di parole in cui il mondo esterno è sistematicamente
negato, nullificato, dissolto negli atti di coscienza di un soggetto solitario104,
Murphy e Reger, Watt e Konrad danno cartesianamente prova a se stessi
della propria esistenza, ripetendo, in modo meticoloso e ossessivo, atti di
linguaggio che hanno per solo oggetto il proprio valore illocutorio e perlo-
cutorio, certi di trovare nella propria lucida follia il solo antidoto alla fol-
lia del mondo. Nonostante la svolta “pratica”, si potrebbe sostenere che la
terapeutica wittgensteiniana non si sia mai del tutto liberata da questo
“autismo linguistico specie-specifico”. Non potendo in alcun modo trascen-
dere l’universo del linguaggio, anche per il secondo Wittgenstein il vivente
umano rimane prigioniero di quell’artificio che lui stesso ha creato per com-
pensare la sua singolare condizione antropobiologica. La terapeutica strau-
siana è forse in grado di indicarci un’altra via. Per ammissione del suo stes-
so autore tale via sembrerebbe ricondurci in una dimensione premoderna,
in una sorta di paradiso originario, animalesco o infantile, capace di salvar-
ci dall’angoscia della perdita che segna l’avventura del linguaggio e della
storia. Analogamente all’affermazione di Husserl, secondo cui «l’arca-ori-
ginaria Terra in realtà non si muove»105, tale auspicio strausiano non deve
però essere preso alla lettera. Esso dev’essere piuttosto compreso come un
invito a limitare l’importanza della dimensione eccentrica dell’esperienza
umana, a ridurre il peso della dimensione excarnata del linguaggio e della
concettualità astratta, mettendo in luce ciò che di inevitabilmente centrico
e incorporato permane in essa. La prospettiva strausiana diviene in tal
modo portatrice di una nuova consapevolezza “ecologica”, che ha conno-
tazioni politiche e morali106, oltre che terapeutiche. Nell’epoca in cui la
dimensione excarnata dell’esperienza si è potenziata a dismisura per mezzo
delle “tecnologie comunicative” che hanno permesso all’uomo di percepi-
re – oltre che di pensare – se stesso e il mondo da un “punto di vista” eccen-
trico al proprio corpo, la terapia strausiana ci protegge dall’illusione di cre-
dere di «incontrare la realtà esterna» nel momento in cui, interrogata dalla
104 E. Straus, Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung, cit., p. 262.
105 Cfr. E. Husserl, Umsturz der kopernikanischen Lehre in der gewöhnlichen weltan-
schaulichen Interpretation (1934), in M. Faber (ed. by), Philosophical Essays in Memory
of Edmund Husserl, Harvard University Press, Cambridge 1940; trad. it. di G.D. Neri,
Rovesciamento della dottrina copernicana nella corrente visione del mondo, «Aut-Aut»,
245, 1991, pp. 3-18.
106 Sulle implicazioni morali della terapeutica strausiana pone involontariamente l’ac-

cento G. Thinès, L’œuvre critique de Erwin Straus et la phénoménologie, cit., p. 99, citan-
do la frase conclusiva di Vom Sinn der Sinne, concernente «il mondo muto» che dev’esse-
re trasformato «in un mondo che ci parla in un numero infinito di luoghi», E. Straus, Vom
Sinn der Sinne, cit., p. 419. Per una svista significativa, Thinès sostituisce la seconda occor-
renza di «mondo» con «morale».
estesiologia della solitudine xlix

“protesi o impalcatura”107 tecnoscientifica, la natura non fa altro che riflet-


tere all’infinito l’immagine “digitalizzata” dell’uomo. Riflessa «da un nume-
ro infinito di luoghi»108, connessi tra loro in rete da una sorta di grande
monade divina, l’«immagine antropomorfizzata del mondo»109 rischia di
spacciare «la mappa per il territorio», facendo dimenticare a quel vivente
che è l’uomo di essere una parte o un prodotto della natura, prima di esse-
re il suo «padrone e possessore»110 tecnoscientifico. Ma se la scienza è una
«creazione umana»111, un “artifizio” o una “strategia” evolutiva che, pari
al linguaggio, il vivente umano ha inventato per relazionarsi col mondo, una
via complementare e contraria dev’essere allora percorsa per riprendere con-
tatto con ciò che vi è di “preumano” nell’uomo: con quella natura prenoe-
tica e prediscorsiva separato dalla quale l’essere umano si ammala di solitu-
dine, e muore. Punto di connessione tra il corpo e lo spirito, la natura e la
storia, il linguaggio e la sensazione, l’estesiologia è il «commutatore teori-
co»112 che dovrebbe permettere questa duplice circolazione “dall’alto verso
il basso” e “dal basso verso l’alto”. Senza indulgere in nostalgie reazionarie,
la terapeutica strausiana può dunque essere compresa come un invito a trac-
ciare nuovi percorsi «simpatetico-comunicativi» tra le dimensioni centriche
ed eccentriche dell’esperienza umana, reinterpretando, così come ha sempre
voluto la scienza, il rapporto vissuto che intratteniamo con noi stessi e col
mondo alla luce del linguaggio e della teoria, ma anche correggendo, così
come ha sempre voluto la fenomenologia, il concetto e la teoria alla luce di
un senso sinestesico e metaforico, intuitivo e analogico, che emerge in modo
ineludibile dai nostri sensi e dal nostro corpo. Lungi dal segnalare un’anti-
nomia sterile o contraddittoria, è di questa circolarità comunicativa che vive
ancora oggi, anche in àmbito terapeutico, il rapporto tra il discorso “in terza
persona” della scienza e il discorso “in prima persona” della filosofia.

alberto gualandi

107 A. Clarck, Being There, The MIT Press, Massachusetts Institute of Technology
1997; trad. it. di S. Levi, Dare corpo alla mente, McGraw-Hill, Milano 1999, p. 167 e 191.
108 E. Straus, Vom Sinn der Sinne, cit., p. 419.
109 Sull’ineliminabile antropomorfismo dell’immagine “anti-antropomorfica” del

mondo della scienza moderna, cfr. E. Straus, Vom Sinn der Sinne, cit., pp. 316 sgg.
110 Ivi, p. 419. Cfr. la precedente analisi del tatto inteso cartesianamente come senso

della certezza e del possesso.


111 E. Straus, Vom Sinn der Sinne, cit., p. 190 e 191.
112 Straus impiega un concetto analogo a proposito del cervello, E. Straus, Vom Sinn der

Sinne, cit., pp. 188 sgg. L’idea che l’estesiologia rappresenti il punto di mediazione e di pas-
saggio tra la filosofia (verticale) della natura e l’indagine trascendentale (orizzontale) dello
spirito e della cultura è di H. Plessner, I gradi dell’organico e l’uomo, cit., pp. 56 sgg.

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