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Straus
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Quodlibet
Prima edizione: maggio 2010
ISBN 978-88-7462-325-9
Titolo originale: Philosophische Grundfragen der Psychiatrie II. Psychiatrie und Philosophie,
in H.W. Gruhle, R. Jung, W. Mayer-Gross, M. Müller (hrsg. von), Psychiatrie der Gegenwart.
Forschung und Praxis, Band I/2, Springer, Berlin 1963, pp. 926-994.
Traduzione italiana di Alberto Gualandi
© 1963 Springer, Berlin
© 2010 Quodlibet s.r.l.
Macerata, via S. Maria della Porta, 43
Copertina: Bianco
Stampa: Grafica Editrice Romana, Roma
La collana «Le forme dell’anima» è a cura di Stefano Besoli
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Indice
und Werk von Erwin Walter Maximilian Straus mit Ausblicken auf seine Bedeutung für die
Medizinische Psychologie, Königshausen & Neumann, Würzburg 1991 e in W. von Baey-
er, R.M. Griffith (ed. by), Conditio humana. Erwin W. Straus on bis 75th birthday, Sprin-
ger, Berlin-Heidelberg-New York 1966.
2 Cfr. G. Thinès, L’œuvre critique d’Erwin Straus et la phénoménologie, in P. Fédida,
J. Schotte (éd. par), Psychiatrie et existence, Décade de Cerisy, septembre 1989, Million,
Grenoble 19912, p. 86 e 98.
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guo, che non trova spazio nella storia della scienza e della filosofia. Devo-
to e al contempo irriverente nei confronti dei fondatori dell’analitica del-
l’Esserci e dell’analisi esistenziale – Heidegger e Binswanger – aspramente
critico nei confronti della tradizione “coscienzialista” che da Descartes
giunge fino a Husserl, Straus sembra condurci fin dall’Introduzione in una
terra di nessuno, in cui non si avventurano i professionisti delle neuroscien-
ze o della psicologia trascendentale, ma che al termine di questo viaggio
straordinario ci appare con l’evidenza e la chiarezza delle “cose stesse”:
quella regione che, compresa tra Natura ed Esserci, corpo e coscienza,
cause e ragioni, rappresenta ancor’oggi un punto cieco per la riflessione.
Al centro di quella che viene abitualmente considerata l’opera princi-
pale di Straus, Vom Sinn der Sinne, vi è una proposizione sovente citata
dai commentatori: «È l’uomo che pensa e non il cervello»3. I cinque capi-
toli che costituiscono Il vivente umano e la follia, potrebbero essere rias-
sunti in una frase ancor più radicale, formulata da un neurobiologo con-
temporaneo non ignaro di filosofia: «non è il cervello che pensa, bensì il
corpo»4. Nelle pagine che seguiranno tenteremo di mostrare che tale pro-
posizione non dev’essere intesa come una semplice metafora, bensì come
un’“ipotesi” fenomenologica che sta ricevendo numerose conferme empi-
riche a livello delle strutture esperienziali, morfologiche e cognitive, che
la biologia e la neurobiologia non riduzioniste stanno portando alla luce
nel tentativo di descrivere il rapporto comunicativo tra il vivente umano
e il suo “ambiente”. Per non incorrere nell’errore di credere che tale pro-
posizione celi le pretese egemoniche della filosofia idealista e trascenden-
tale, sarebbe tuttavia opportuno introdurvi l’aggiunta seguente: «non è il
cervello che pensa, ma neppure la coscienza». Tale supplemento permet-
terebbe di mettere fin d’ora in luce uno dei temi su cui dovremo ritorna-
re ampiamente: le strutture comunicative e intenzionali, attorno a cui s’in-
cardina il rapporto del vivente umano con il suo ambiente, non sono
l’opera di una coscienza solitaria, separata dal mondo e imprigionata nel
suo foro interiore. Esse sono piuttosto strutture incorporate in quelle
modalità sensoriali che una nuova dottrina del sentire, l’estesiologia, ha
il compito di descrivere nella loro unità e nelle loro differenze.
Prima di addentrarci nell’analisi di questa nuova dottrina del sentire,
soffermiamoci un istante sulla polemica messa in atto da Straus nei con-
3 E. Straus, Vom Sinn der Sinne. Ein Beitrag zur Grundlegung der Psychologie, Springer,
Berlin 1935, 2. vermehrte Aufl., Springer, Berlin-Göttingen-Heidelberg 1956, pp. 167 sgg.
4 A. Prochiantz, Les anatomies de la pensée, Odile Jacob, Paris 1997; trad. it. di P. Fer-
rero, A cosa pensano i calamari? Anatomie del pensiero, Einaudi, Torino 1999, p. 157. Cfr.
l’interpretazione che di questo problema propone G. Thinès, L’œuvre critique d’Erwin Straus
et la phénoménologie, cit., p. 94 sg. e Id., Commentaire sur Erwin Straus, le crédo de la psy-
chologie objective, «Études phénoménologiques», 4, 1986, pp. 3-17.
estesiologia della solitudine xi
fronti delle filosofie della coscienza moderne. Tale polemica si salda a uno
dei temi più innovativi del pensiero di Straus, un tema che per certi versi
porta a compimento ciò che Nietzsche è riuscito solo a profetizzare. Alla
luce della dottrina strausiana del sentire si può in effetti affermare che
tutto è esteriore o, indifferentemente, che tutto è interiore. Contro le dot-
trine idealiste e coscienzialiste, si tratta in effetti di mostrare che non vi è
nulla d’interiore, poiché l’“interiorità” non è altro che il prodotto di un
processo di riflessione o ripiegamento della relazione comunicativa incar-
nata nelle diverse modalità sensoriali. Contro le dottrine materialiste e
meccaniciste, si tratta invece di mostrare che la “realtà esterna”, che la
scienza ipostatizza a oggetto metafisico peculiare, non è altro che il risul-
tato di un processo di costruzione e progressiva astrazione, che parte dai
sensi e ai sensi è costretto a ritornare. In altre parole, esteriorità e interio-
rità sono solo metafore, ritagliate dal dominio originario del sentire, che
la scienza e la filosofia moderne hanno posto a fondamento ontologico
dei loro edifici concettuali5. Criticare tale ontologia significa ricondurre
i presupposti metafisici della scienza e della filosofia ai loro fondamenti
corporei, mostrando per esempio che il luogo misterioso e solitario in cui
si è rinchiusa la filosofia moderna a partire da Descartes non è altro che
uno spazio simbolico astratto prodotto dal suono della nostra voce o, più
precisamente, dalla capacità che è data all’orecchio umano di anticipare
il risultato di un’azione fonatoria esonerata dalla sua stessa espressione.
Se, come avremo occasione di ribadire, la dimensione peculiare del-
l’umano si dispiega nell’àmbito estesiologico dell’udibile, il carattere feno-
menologicamente dominante del visibile mette in luce ciò che vi è di preu-
mano nell’uomo. L’accento posto da Straus sul visibile ha un valore tera-
peutico. Analogamente a ciò che avviene per la patologia schizofrenica, la
malattia filosofica dell’uomo è per Straus un’infermità dovuta al «potere
soverchiante del suono e della voce». In questo senso l’antropologia feno-
menologica di Straus procede in una direzione inversa a quella seguita dal
Wittgenstein delle Ricerche filosofiche. Tra Straus e il “secondo Wittgen-
stein” vi sono in realtà interessanti analogie che vanno al di là dell’atteg-
giamento irriverente nei confronti della tradizione filosofica, o degli esem-
pi illuminanti tratti dal mondo della vita e dalle sue “pratiche di senso”
concrete. Si potrebbe addirittura sostenere che per Straus, come per Witt-
genstein, «tutto [sia] lì in mostra» davanti ai nostri occhi, e che «ciò che
è nascosto», «non ci interess[i]»6. Ciò in cui la terapeutica strausiana del
vedere differisce maggiormente da quella di Wittgenstein è tuttavia il ten-
tativo di dispiegare davanti a uno sguardo offuscato da troppa concettua-
tionen, «Zeitschrift für Psychiatrie und Neurologie», 182, 1949, ora in E. Straus, Psycho-
logie der menschlichen Welt, Springer, Berlin 1960, pp. 240 sgg.
estesiologia della solitudine xiii
(ed. by), Existence¸ New York 1958; trad. it. di P. Gambazzi, Estesiologia e allucinazioni,
in E. Minkowski, V. von Gebsattel, E. Straus, Antropologia e psicopatologia, Bompiani,
Milano 1967, p. 205.
15 Ibid.
16 E. Straus, Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung, cit., p. 241 sg.
estesiologia della solitudine xv
it. di F. Macaluso, L’errore di Cartesio, Adelphi, Milano 1995; Id., The Feeling of What
Happens. Body and Emotion in the Making of Consciousness (1999); trad. it. di S. Fredia-
ni, Emozione e coscienza, Adelphi, Milano 2000. Il problema – pionieristicamente formu-
lato da Straus – del significato emotivo della sensazione e dell’intenzionalità sensoriale pri-
maria è da alcuni decenni al centro delle ricerche di questo neurobiologo contemporaneo.
estesiologia della solitudine xvii
27 E. Straus, Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung, cit., p. 244; Id., Vom Sinn der
Sinne, cit., p. 378.
28 E. Straus, Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung, cit., p. 238.
29 E. Straus, Estesiologia e allucinazioni, cit., p. 181.
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che noi abbiamo di noi stessi non è indipendente da quella che noi abbia-
mo degli altri e del mondo. Esperire sensorialmente l’alterità del mondo
significa esperire al contempo il mio corpo come affètto – guardato o toc-
cato, agito o colpito – in modo più o meno resistente e violento da parte
dell’Altro. Per tale ragione Straus afferma che l’esperienza sensoriale non
mi permette di cogliere dall’esterno, in modo neutro e distaccato, «qual-
cosa che accade nel mondo». Tramite essa, piuttosto, vi è sempre qualco-
sa che «mi accade nel mondo»30. Ogni volta che si dà esperienza senso-
riale del mondo, il mio “io-corpo” è sempre coinvolto “in prima perso-
na” e direttamente nel mondo. È per questo motivo che Straus riassume
la struttura intenzionale della relazione sensoriale al mondo negli «sche-
mi bipolari» – non completamente scevri da equivoci – di Io-e-l’Altro o
di Io-e-il-mondo31.
Dopo aver mostrato che l’esperienza sensoriale ha una sua peculiare
struttura intenzionale, che Straus definisce patico-comunicativa, in ragio-
ne del suo carattere emotivo e reversibile, si tratta ora di mettere in luce
alcune caratteristiche più fini, come quelle legate per esempio alla struttu-
ra tutto-parte, unità-molteplicità, attuale-potenziale, ponendo l’accento
sul fatto che, per comprenderne il valore, bisogna innanzi tutto compren-
dere il loro statuto di strutture materiali e tuttavia a priori rispetto ai sin-
goli contenuti esperienziali. Consideriamo innanzitutto l’articolazione che
si stabilisce tra la percezione attuale di un oggetto e le percezioni poten-
ziali che possono derivare da una variazione nello spazio o nel tempo della
posizione del nostro corpo. Quest’articolazione percettiva tra l’aspetto
attuale e potenziale di un oggetto o del mondo scandisce il ritmo peculia-
re in cui la nostra esperienza fluisce e diviene pur rimanendo in sostanza
la “stessa”32. Essa ha quindi un ruolo esperienziale di notevole rilevanza,
poiché è attorno ad essa che si consolida quella struttura spazio-tempora-
le che congiunge in modo stabile e costante il corpo vivente con l’alterità
trascendente del mondo33. La relazione tra l’attuale e il potenziale espri-
riamo intorno all’oggetto, esperiamo le diverse visioni dell’Altro al contempo come una
fase della nostra esistenza propria. Ogni momento individuale ha il suo posto nel conti-
nuum del nostro divenire. Ogni cosa sensorialmente esperita è presente, cioè mi si presen-
ta. Il momento attuale, il mutevole adesso del mio divenire si determina in riferimento
all’Altro da cui sono influenzato. Nella sua determinatezza, ciascun momento è in se stes-
so limitato, ma non terminato; esso è incompleto. L’intima forma temporale della nostra
esperienza sensoriale è quella del divenire in cui ogni fase si dirige verso le altre, preceden-
ti e seguenti, per il suo completamento» (E. Straus, Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung,
cit., p. 250).
estesiologia della solitudine xix
de l’action, Vrin, Paris 1997, p. 19. Strutture intenzionali e temporali, che connettono in
modo unitario e circolare sensazione, movimento e azione, sono al centro di numerose ana-
lisi neurobiologiche contemporanee, impegnate nella revisione del paradigma “modulari-
sta” classico in svariati àmbiti di ricerca. Oltre ai lavori di Damasio già citati, fortemente
condizionati dal “dogma della localizzazione”, cfr. i lavori di A. Berthoz, J.-L. Petit, Phé-
noménologie et physiologie de l’action, Odile Jacob, Paris 2006; A. Berthoz, Le sens du
mouvement, Odile Jacob, Paris 1997; trad. it. di E. Dal Pra e A. Rodighiero, Il senso del
movimento, McGraw Hill, Milano 1998; F. Bailly, G. Longo, Mathématiques et sciences
de la nature. La singularité physique du vivant, Hermann, Paris 2006; G. Longo, Mouve-
ment, espace et géométrie, «Intellectica», 25, 1997; V. Gallese, La molteplicità condivisa.
Dai neuroni mirror all’intersoggettività, in A. Ballerini, F. Barale, V. Gallese, S. Ucelli, Auti-
smo. L’umanità nascosta, a cura di S. Mistura, Einaudi, Torino 2006.
35 Questo tema, come noto, è da alcuni decenni al centro delle ricerche di Gerald Edel-
36
E. Straus, Vom Sinn der Sinne, cit., pp. 242 sgg.
37
Cfr. J.J. Gibson, The Senses Considered as Perceptual Systems, Houghton Mifflin
Company, Boston 1966.
38 E. Straus, Vom Sinn der Sinne, cit., pp. 331 sgg.
39 E. Straus, The Expression of Thinking, in J.M. Edie (ed. by), An Invitation to Phe-
linguaggio possiede questo potere e questa funzione, si pone già qui una
questione fondamentale. Quali strutture sensoriali peculiari preparano e
sostengono la “struttura di trascendenza potenziata” che ci è fornita dal
linguaggio? E in che modo questa struttura di trascendenza esercita la sua
azione sull’esperienza preconcettuale, coartandola nella prigione del lin-
guaggio della tradizione o della malattia mentale?
Al pari di “attuale” e “potenziale”, “unità” e “molteplicità” rappre-
sentano delle strutture percettive che esprimono il gioco chiasmatico, di
mutua implicazione, che vi è tra il “tutto” e la “parte”, tra il mondo e il
corpo. Secondo Straus, il fatto che il mondo sia unitario costituisce per
l’esperienza quotidiana un assioma imprescindibile. In quanto “unitario”,
esso è comune a tutti gli esseri senzienti e semoventi: tanto agli uomini,
quanto agli altri animali. Il fatto poi che questo mondo unitario sia sud-
divisibile in una molteplicità di orizzonti, o in una molteplicità di ogget-
ti, a loro volta costitutive di altrettante unità, articolabili in una moltepli-
cità di punti di vista o di aspetti, non ne dissolve o confuta il carattere
unitario. Tra unità e molteplicità si sviluppa una dinamica – analoga a
quella in cui si articola la relazione di mutua implicazione tra il potenzia-
le e l’attuale – che ha per orizzonte un mondo naturale e unitario, che
Straus chiama l’Allon o l’Altro: «L’Altro, il mondo, sebbene sia un’unità,
si mostra composto di una molteplicità di cose e diviso in una varietà di
aspetti. La molteplicità è legata all’unità, la diversità alla complementa-
rità. Nella vita quotidiana non dubitiamo mai che sia un solo mondo a
manifestarsi, sia pure sotto i vari aspetti di mondo visibile, udibile e tan-
gibile. A questo riguardo possiamo parlare di prospettive nelle quali l’Al-
tro si mostra uno e medesimo, mai però completo o perfetto. Per evitare
confusioni e seguire la consuetudine, limiteremo l’espressione “prospet-
tive” all’àmbito ottico, mentre impiegheremo un nuovo termine passan-
do da una sfera sensoriale all’altra. Parleremo in questo caso di aspetti.
Anche questo termine non può nascondere la sua derivazione dal regno
ottico. Ma poiché esso, in quanto termine scientifico, non è ancora
sovraccarico e poiché ci è familiare in quanto designa le nostre mutevoli
relazioni con un oggetto identico, lo useremo qui per indicare l’unità nella
molteplicità delle modalità»40. Queste osservazioni di Straus ci conduco-
no al cuore del problema dell’esperienza che stiamo tentando di enuclea-
re. In esse, la complementarità dialettica tra il tutto e la parte è intesa da
Straus in rapporto al problema dell’unità e della «molteplicità dei modi»,
ovvero al problema della relazione unitaria-molteplice che intrattengono
tra loro le diverse modalità sensoriali41. Quest’ultimo problema – si
40 E. Straus, Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung, cit., p. 250; cfr. anche Id., Estesio-
Schriften, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1980-1985; trad. it. a cura di V. Rasini, I gradi del-
l’organico e l’uomo, Boringhieri, Torino 2006, p. 102 sg.
48 Il tema dell’a priori materiale e delle legalità strutturali ha ricevuto un’attenzione
particolare da parte delle correnti “realiste” della fenomenologia. La nostra analisi inter-
pretativa si trova quindi in accordo con l’ipotesi avanzata da alcuni commentatori – cfr. in
particolare H. Spiegelberg, Phenomenology in Psychology and Psychiatry, Northwestern
University Press, Evanston 1972, p. 264 e 268 – secondo cui la concezione della fenome-
nologia di Straus sarebbe più vicina a quella elaborata dalle prime correnti realiste, in par-
ticolare dai “circoli” di Monaco e Gottinga, rispetto alla fenomenologia coscienzialista svi-
luppata da Husserl a partire dalle Idee. Secondo Spiegelberg, il rifiuto della svolta coscien-
zialista e soggettivista della fenomenologia permetterebbe addirittura a Straus di anticipa-
re – fin dall’inizio degli anni trenta – il ritorno al «mondo della vita» dell’ultimo Husserl.
Sulle correnti realiste della fenomenologia, cfr. S. Besoli, L. Guidetti (a cura di), Il realismo
fenomenologico. Sulla filosofia dei circoli di Monaco e Gottinga, Quodlibet, Macerata
2000.
estesiologia della solitudine xxv
materia vivente, può essere descritto solo in forma duale, secondo le strut-
ture continue della visione e quelle discrete del tatto, ci basti come spun-
to di riflessione50. Essa lascia infatti inevasa un’altra possibilità: ovvero
che le strutture estesiologiche dell’udito e della voce suggeriscano una
“nuova sintesi” o una “terza via” per risolvere gli enigmi dell’ontologia.
Soffermiamoci su una possibile obiezione. Sostenere che la scienza fisi-
ca presuppone un’ontologia condizionata dalle strutture sensomotorie del
vivente umano non equivale forse ad assegnare uno statuto trascenden-
tale alla biologia, annullando ancora una volta il ruolo e la funzione della
filosofia? Dal punto di vista biologico ed evolutivo, si potrebbe infatti ipo-
tizzare che la funzione di a priori materiale, svolta dalle strutture senso-
riali e motorie, sia dovuta al fatto che le diverse modalità sensoriali espri-
mono delle forme dell’organismo filogeneticamente preadattate alle
macrostrutture dell’ambiente. Benché queste forme siano il prodotto della
storia evolutiva e appaiano quindi variabili e relative, per gli individui
dotati di quel particolare sistema sensoriale (specie-specifico), le modali-
tà e strutture che in esso s’incarnano appariranno necessariamente come
degli assoluti, ovvero come degli a priori, non relativizzabili neppure da
parte di una specie dotata della capacità di accedere al reale fisico-chimi-
co per mezzo di un linguaggio simbolico astratto ed esonerato dai conte-
nuti specifici dei propri sensi. Se, da un lato, abbiamo tentato di mostra-
re che nel linguaggio quotidiano, così come nel linguaggio scientifico, per-
mangono delle strutture irriducibili che affondano le loro radici nelle
strutture dei sensi, d’altro lato ci preme sottolineare che queste strutture
dell’organismo preadattate all’ambiente sono irriducibili alle strutture fisi-
co-chimiche dell’ambiente proprio per il fatto che esse sono filogenetica-
mente variabili, ovvero proprio perché ogni specie – evolutivamente con-
tingente – ritaglia grazie ad esse una sua parte di ambiente, che si inter-
seca in modo più o meno ampio con quella di altre specie altrettanto con-
tingenti. L’“oggettività” dell’informazione che esse colgono nell’ambien-
te non può essere quindi legittimata epistemologicamente affermando,
come sostiene Gibson, che tale informazione esiste già in potenza nell’am-
biente. L’accordo tra il pensiero e la realtà si opera originariamente al
livello delle strutture dei sensi, e sarebbe un errore ipostatizzare tale accor-
do in una struttura metafisica esistente in potenza “prima” dei sensi.
Incorrere in tale errore significa ricadere in una concezione quasi aristo-
telica del “rapporto armonico” tra il pensiero e la realtà, in cui la realtà
metafisica non è tuttavia descritta in termini di essere e sostanza, bensì
per mezzo di un linguaggio fisico-chimico, cui è assegnata la funzione di
ontologia fondamentale. Assegnare tale funzione alla scienza fisica non è
Eine Studie über den «Wengener Kreis»: Binswanger, Minkowski, von Gebsattel, Straus,
Guido Pressler, Hürtgenwald 1995, p. 152. Straus, in realtà, non ha mai articolato in modo
preciso e sistematico questo principio ordinativo, rapportandolo alle istanze che collega-
no il sentire con la percezione e col linguaggio. A partire dagli anni ’50, nelle sue opere
antropologiche, egli ha fornito accenni illuminanti, ma ha anche lasciato intendere che
accedere alla dimensione della percezione, del linguaggio, della conoscenza oggettiva e della
scienza significa abbandonare il “paradiso” animalesco e infantile del sentire. In questa
sfumatura tragica, intimamente connessa con la teoria strausiana dell’esperienza, è lecito
intravedere una carenza – relativa alla capacità di chiarire la dinamica grazie alla quale il
mondo della percezione, del linguaggio e della cultura si edifica su quegli a priori materia-
li che sono le strutture sensoriali – che la teoria dovrà tentare per altre vie di supplire.
53 Cfr. M. Dufrenne, L’œil et l’oreille, L’hexagone, Montreal 1987; trad. it. a cura di
C. Fontana, L’occhio e l’orecchio, Il Castoro, Milano 2004; J.-L. Nancy, À l’écoute, Gali-
lée, Paris 2002; trad. it. a cura di E. Lisciani-Petrini, All’ascolto, Cortina, Milano 2004.
estesiologia della solitudine xxix
cinazioni, cit., p. 210 sg.; Id., Vom Sinn der Sinne, cit., p. 401.
63 E. Straus, Vom Sinn der Sinne, cit., p. 401.
xxxii alberto gualandi
parte, o quelli che guardano il paziente dalle macchie del test di Ror-
schach. Tutto questo rivela il senso di libertà o di prigionia, i rapporti di
forze, peculiari a ogni esperienza sensoriale, che nella sfera del patologi-
co emergono con esasperata violenza. La diversità di questi aspetti rima-
ne valida comunque la fisiologia voglia considerare la relazione esistente
tra stimolo ed eccitamento e la trasmissione di quest’ultimo»64.
Queste differenze patiche tra le diverse modalità, tra i rispettivi modi
di contatto con l’Altro, hanno dunque per Straus un’importanza fonda-
mentale in àmbito psicopatologico. Centrali nell’analisi dell’esperienza
delirante e allucinatoria, esse giocano un ruolo particolarmente rilevante
nella descrizione e comprensione di quel vissuto psicotico in cui il pazien-
te si sente soverchiato dalle voci dell’Altro65. Secondo Straus, non si può
comprendere nulla dell’esperienza della schizofrenia se non si tengono in
considerazione queste differenze di struttura tra i sensi, se le si riducono
intellettualisticamente al «punto di vista del conoscere» concettuale, o se
le si appiattisce sulla sfera sensoriale che si rivela predominante in àmbi-
to percettivo nella cultura occidentale: la sfera del vedere. Portare alla luce
le strutture intenzionali incarnate nelle diverse modalità sensoriali è quin-
di un’operazione la cui rilevanza va oltre l’àmbito fenomenologico, psico-
logico o psichiatrico66. Si tratta piuttosto di un’operazione che ci induce a
scalzare i presupposti più “intuitivi” e “naturali” su cui si fonda la filoso-
fia classica occidentale, da Platone a Husserl. Portare alla luce tali diffe-
renze di struttura, ci induce, da un lato, a ritenere che il mondo, l’oggetto
e l’oggettività non possano essere esclusivamente pensati per mezzo del
paradigma oculare. D’altro lato, ci induce a supporre che la modalità udi-
tiva svolga, in connessione con l’azione motoria e vocale, una funzione
centrale nel processo riflessivo che conduce all’autocoscienza e all’auto-
comprensione. Anticipando ipotesi neurobiologiche attuali, Straus ci ricor-
da inoltre che le «voci» degli schizofrenici rappresentano una sorta di eco,
alienata nel mondo esterno, dei loro stessi pensieri, ovvero delle loro pre-
rappresentazioni uditive, esonerate dalle corrispondenti azioni vocali67.
L’analisi che Straus dedica alla modalità tattile è innanzitutto incen-
trata sul carattere duplice e duale, già rilevato da Aristotele come tipico
di questa modalità sensoriale. Tale duplicità è dovuta al fatto che, essen-
64 E. Straus, Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung, cit., pp. 257-258; Id., Estesiologia
Evolutionary Theory of the Origins of Language, in S.A. Spence, A.S. David (ed. by), Voi-
ces in the Brain: The Cognitive Neuropsychiatry of Auditory Verbal Hallucinations,
«Cognitive Neuropsychiatry», 1/2, February/May, 2004.
estesiologia della solitudine xxxiii
do il tatto una modalità per “contatto”, che entra cioè in azione elimi-
nando ogni tipo di distanza, l’Altro si rivela in essa come «immediata-
mente presente» e come capace di reagire, in modo mutuo e reversibile,
ogni volta che è toccato: «L’Altro si rivela nella sfera del vedere come lon-
tano; nella sfera acustica “prende possesso” dell’ascoltatore; nella sfera
tattile è immediatamente presente. Ogni toccare è nello stesso tempo un
essere toccato; ciò che tocco, a sua volta mi tocca, iscrivendosi in una
gamma di emozioni che va dall’orrore ai fremiti di piacere. Corrispon-
dentemente, le nostre espressioni verbali oscillano dai significati transiti-
vi a quelli intransitivi. In inglese il verbo to feel può essere transitivo, to
feel something, o intransitivo, I feel (myself). In tedesco berühren corri-
sponde all’inglese to touch, e in entrambe queste lingue “toccare” oltre a
indicare un contatto fisico può significare un “toccare” emozionale o “un
essere toccato”. In nessun altro aspetto la reciprocità della relazione
all’Altro è così evidente come nella sfera tattile»68. Lo spiccato carattere
di reciprocità della modalità tattile è comprovato anche da un altro carat-
tere strutturale appartenente a questa modalità duplice: la straordinaria
coordinazione che tra sensibilità e motilità si realizza nella sfera tattile.
Questa coordinazione fa sì che le qualità tattili degli oggetti – la loro levi-
gatezza o ruvidità – svaniscano improvvisamente non appena cessi il
movimento del corpo o della mano. L’ambiente naturale possiede indub-
biamente le caratteristiche fisico-chimiche strutturali e oggettive che gli
attribuisce Gibson, ma la durezza, la rugosità o la levigatezza esistono sol-
tanto per un essere vivente senziente e semovente, dotato di una mano
libera e di dita fini e flessibili69.
Secondo Straus, questa duplicità del tatto ha anche un importante
risvolto sociologico, dovuto al fatto che la modalità tattile è una modali-
tà esclusiva, che «limita la partecipazione a due persone», al contrario
della modalità visiva, che ci permette di volgerci insieme verso qualcosa
di comune, o alla modalità uditiva, in cui il suono ci abbraccia tutti. Oltre
ad escludere la terza, questa esclusività tattile fa anche sì che, a ciò di cui
“io” prendo possesso, afferrandolo o sedendoci sopra, debba rinunciar-
vi anche la «seconda persona». Il tatto è il senso del possesso e tale fatto
è testimoniato anche dal linguaggio il quale designa le relazioni di pro-
prietà con il termine «pos-sedere (be-sitzen)»70. Il tatto è un senso che ras-
sicura e assicura, ma spinta alle sue estreme conseguenze, questa tenden-
za al possesso rassicurante del mondo ci spinge su una via solitaria, osses-
siva e maniacale, in cui la realtà appare frammentata in una molteplicità
68E. Straus, Estesiologia e allucinazioni, cit. (trad. it. in parte modificata), p. 213; Id.,
Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung, cit., p. 258.
69 E. Straus, Vom Sinn der Sinne, cit., p. 387.
70 Ivi, p. 396.
xxxiv alberto gualandi
damentale. Tale duplicità è dovuta al fatto che il tatto può essere vissuto
ed esperito in modo nettamente antitetico: sia come un senso attivo e
“aptico”, come nell’azione di toccare o afferrare; sia come un senso pas-
sivo e ricettivo in cui a toccarmi è esclusivamente l’Altro. Ciò fa sì che il
tatto venga in tal modo a corrispondere ai due sensi antitetici che già Ari-
stotele gli assegnava nel De Anima: in un caso, il più intelligente e umano
dei sensi; nell’altro, il più originario e fondamentale, ovvero il più corpo-
reo e atavicamente animale. «La reciprocità del toccare può variare in due
diverse direzioni. Da un lato, si tocca per rilevare l’oggetto, per “afferrar-
lo” e, in questo caso, l’“afferrare” è diretto verso l’oggetto. Dall’altro,
però, si viene toccati, in quanto l’accadere dell’Altro irraggia e si dirige
verso di me. Nel toccare attivo uso la mano come strumento per ottene-
re informazioni sul carattere dell’oggetto; in questo caso posso comuni-
care le mie impressioni ad altri. […] Nella passività dell’essere-toccato
esperisco invece il mio corpo sensibile nella sua sensibilità, vulnerabilità,
debolezza, nudità. Quanto più fortemente l’Altro preme su di me, quan-
to più ne sono soverchiato, tanto più ricado nella desolazione e nell’ab-
bandono della mia esistenza. Persino il dolore non è un mero stato pas-
sivo dell’essere. Anche in esso rimane ancora una relazione io-mondo: nel
dolore che ci “deruba” dei nostri sensi, in cui cioè le cose non sono più
percepibili come sono, il mondo preme su noi imprigionandoci nel nostro
corpo, mentre, nel contempo ce lo rende estraneo»74.
Riepiloghiamo brevemente i risultati cui siamo giunti ripercorrendo
l’analisi strausiana dello spettro sensoriale. Le modalità visive, tattili e udi-
tive comportano delle variazioni nella struttura intenzionale del sentire
riguardanti la direzionalità e la valorizzazione emotiva, la ripetibilità atti-
va e l’impressionabilità passiva, la chiusura e l’apertura degli orizzonti spa-
ziali e temporali, la vicinanza e la lontananza, la persistenza e la durata, il
possesso e i confini tra ciò che è mio e ciò che è dell’Altro. Nell’analisi di
Straus, tuttavia, queste variazioni e differenze non si ripartiscono a caso.
Da un lato, assumono particolare rilevanza quelle variazioni o caratteri-
stiche modali che permettono di determinare la struttura sostanziale del
mondo, la sua continuità spaziale e la sua stabilità temporale, il suo per-
durare articolato in relazioni di coesistenza e giustapposizione, in rappor-
ti ordinati di figura e sfondo, di contiguità e lontananza. Ma un’importan-
za considerevole assumono anche quelle variazioni o caratteristiche moda-
li che, d’altro lato, permettono di cogliere il suo agire o accadere attuale,
le sue discontinuità temporali e il suo particolare ritmo di variazione, la
sua durata vitale o l’inizio e fine della sua azione. Questa polarizzazione
74 E. Straus, Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung, cit., p. 260; Id., Estesiologia e allu-
Psychotherapie», 1953, ora in Id., Psychologie der menschlichen Welt, cit., pp. 316-334.
78 Cfr. E. Straus, Die aufrechte Haltung. Eine anthropologische Studie, «Monatsschrift
für Psychiatrie und Neurologie», 117, Heft 4/5/6, 1952, ora in Id., Psychologie der mensch-
lichen Welt, cit., pp. 224-235.
estesiologia della solitudine xxxix
Journal», XLV, 2, 1956-1957, ora in Id., Psychologie der menschlichen Welt, cit., pp. 364-
376.
80 Cfr. E. Straus, On Obsession. A Clinical and Methodological Study, «Nervous and
Mental Disease Monographs», New York 1948; trad. it. di C. Muscelli, Sull’ossessione.
Uno studio clinico e metodologico, introduzione di C. Muscelli e G. Stanghellini, Fioriti
Editore, Roma 2006; Id., Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung, cit.
xl alberto gualandi
L’evoluzione della fisica, Boringhieri, Torino 1965, pp. 224 sgg.; A. Einstein, Relativity:
The Special and General Theory (1920); trad. it. di V. Geymonat, a cura di B. Cermigna-
ni, Relatività: esposizione divulgativa, Boringhieri, Torino 1962, 199410, p. 62.
85 Cfr. E. Straus, Vom Sinn der Sinne, cit., p. 314.
estesiologia della solitudine xli
86 E. Straus, Estesiologia e allucinazioni, cit. (trad. it. in parte modificata), p. 207 sg.
xlii alberto gualandi
del paradigma visivo, continua a essere incarnato per Straus dalla moda-
lità oculare?
Descartes rappresenta per Straus il genio della separazione. «La dico-
tomia cartesiana», difatti, «non solo separa la mente dal corpo, ma la
creatura esperiente dalla natura, l’Io dal mondo, la sensazione dal movi-
mento, una persona dall’altra, l’Io dal Tu»87. Esiliata in un luogo esisten-
te, la coscienza cartesiana diviene completamente estranea al mondo, e
per ritrovare la strada che le permette di uscire dalla sua condizione di
solitudine radicale essa ha bisogno della mediazione divina: «Nonostan-
te Cartesio non abbia mai negato, né seriamente dubitato, dell’esistenza
del cosiddetto mondo esterno, egli ha sempre insistito sulla sua inacces-
sibilità. La sua esistenza non è più che probabile e dev’essere provata:
nella filosofia di Cartesio, è la prova dell’esistenza di Dio e della sua vera-
cità che garantisce la realtà del mondo esterno. Questa prova comunque
non elimina la separazione di coscienza e mondo; anzi, proprio il fatto
che ci sia bisogno di una prova sottolinea questa separazione. Anche
quando siamo convinti dell’esistenza del mondo esterno, ne rimaniamo
per sempre esclusi, senza alcuna possibilità di contatto o di comunicazio-
ne»88. Denunciando il ricorso cartesiano alla mediazione divina, Straus
non si accorge tuttavia di puntare il dito su quello che potrebbe anche
costituire un punto di forza del pensiero di Cartesio. Al di là della lette-
ra del testo cartesiano, il ricorso alla mediazione divina può infatti esse-
re interpretato come una sorta di riconoscimento della presenza necessa-
ria dell’Altro nel cuore della coscienza dell’uomo. L’impossibilità di acce-
dere direttamente al mondo esterno è compensata e mediata in Descartes
dal rapporto comunicativo con l’“alter ego sovrumano”: la presupposi-
zione d’esistenza di un interlocutore infinitamente benigno, anziché mali-
gno, costituisce la condizione necessaria per accedere all’oggettività del
mondo. In altre parole, come Straus stesso ha riconosciuto, il rapporto
comunicativo con l’alter ego umano, l’Heteros, “precede” e condiziona
il rapporto con l’Allon.
Ritorniamo quindi alla questione precedente. Da dove trae la tradizio-
ne cartesiana la forza necessaria a scalzare quel fondamento originario
rappresentato dal mondo visivo? Probabilmente da quella modalità sen-
soriale a cui lo stesso Straus riconosceva la forza di cancellare la distan-
za tra le cose, di oltrepassare i confini tra ciò che è mio e ciò che è suo,
d’invertire la relazione comunicativa con la realtà. Il linguaggio della tra-
dizione si avvale della stessa forza soverchiante che anima le voci degli
schizofrenici e che sembra trascinare con sé quelle strutture che stanno a
87 Ivi, p. 181.
88 Ivi, p. 182.
estesiologia della solitudine xliii
fondamento del nostro rapporto con il reale. Esso si avvale di una “forza
donatrice di senso” che dall’“alto” delle nostre parole ridiscende “verso
il basso” delle nostre sensazioni. È in virtù di tale forza che giunge a com-
pimento il processo d’intercomprensione, grazie all’alternanza dei ruoli
tra locutore e ascoltatore. Ma è sempre in virtù di essa che la violenza di
una voce, più o meno «interiore», può renderci impossibile dialogare con
noi stessi, con gli altri, con il mondo reale: «La comprensione, compar-
tecipata o individuale, richiede una certa dose d’indifferenza, la possibi-
lità di sottrarsi all’urto delle impressioni, di riflettere su se stessi, di porsi
in un ordine generale in cui i posti siano interscambiabili. Il potere delle
“voci” rassomiglia al potere dei suoni. Il suono, sebbene sia “qualcosa”,
non è propriamente una cosa, non è uno dei pragmata che possiamo
maneggiare. Non si può agire sul suono, ma non è che esso sia un nien-
te: è un “qualcosa” che elude la nostra presa, a cui siamo esposti senza
potercene sottrarre. Il potere del suono continua a rivelare la sua azione
nella parola articolata, la parola come comando creatore di Dio, come
fato predestinato; o anche nel “detto”, nella sentenza del giudice, nella
voce della coscienza. La voce della coscienza avverte e ammonisce chi è
libero di agire. Le “voci” dello schizofrenico deridono, perseguitano,
comandano: non lasciano alcuna libertà, sono ovunque; inesorabilmen-
te, “esse” premono sul paziente come un gas venefico che si è costretti a
respirare quando riempie l’atmosfera. La voce della coscienza giudica le
cose passate e soppesa quelle future. La “voce” dello schizofrenico è pro-
priamente solo del presente e nel presente svanisce»89.
Ricapitoliamo brevemente il percorso compiuto. La modalità visiva
sembra da un lato rappresentare per Straus, come per gran parte della
fenomenologia, il paradigma originario del rapporto immediato e intui-
tivo con l’Altro. Dall’altro lato, questo privilegio oculare sembra pregiu-
dicare la comprensione di alcune caratteristiche peculiari dell’esperienza
umana che divengono fondamentali in fenomeni esclusivamente umani
come la schizofrenia. Nei fenomeni allucinatori che caratterizzano que-
sto tipo di patologia, il rapporto sensoriale con l’Allon sembra infatti
venire assoggettato al rapporto fono-uditivo distorto con l’Heteros. Il sen-
tire voci diviene così una sorta di calco in negativo delle strutture empi-
rico-trascendentali peculiari dell’Esserci umano. La discussione interna
alla psichiatria fenomenologica conduce dunque Straus alla revisione di
alcuni presupposti filosofico-antropologici che condizionano in modo
riduttivo la fenomenologia e che, una volta scalzati, permettono d’intra-
vedere una relazione peculiare, essenziale per la psichiatria, tra l’azione
89 E. Straus, Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung, cit., p. 267; Id., Estesiologia e allu-
90 E. Straus, Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung, cit., p. 268; Id., Estesiologia e allu-
mo, Feltrinelli, Milano 1983; H. Plessner, Die Frage nach der Conditio Humana, in Pro-
pyläen-Weltgeschichte, hrsg. von G. Mann, A. Heuss,Verlag Ullstein, Frankfurt-Berlin
1961; trad. it. di M. Attardo Magrini, Conditio Humana, in I Propilei, vol.1, Mondado-
ri, Milano 1967, pp. 60 sgg. Per un’analisi di questo tema, cfr. A. Gualandi, Voci dell’Al-
tro. Sensorialità, comunicazione, alienazione in Straus e Binswanger, cit.
92 Nei fenomeni di allucinazione tattile, il toccare può per esempio propagarsi a distan-
za con una modalità di diffusione che ha una pervasività analoga a quella del suono. Que-
sta inversione della relazione comunicativa con il mondo può essere del resto estesa anche
alle allucinazioni visive, le quali sono assai frequenti nel delirio di tipo alcolico o da intos-
sicazione da mescalina, ma assai più rare nella schizofrenia: «Le allucinazioni visive, rare
nella schizofrenia, possono seguire lo stesso modello: la direzione del vedere s’inverte, il
paziente è accecato, raggi di luce vengono diretti verso di lui, delle rappresentazioni lo oppri-
estesiologia della solitudine xlv
anche da J. Jaynes, The Origin of Consciousness in the Breakdown of the Bicameral Mind
(1976); trad. it. di L. Sosio e A. Sassano, Il crollo della mente bicamerale e l’origine della
coscienza, Adelphi, Milano 1984, pp. 126, 485 sgg., ove l’autore cita direttamente Straus per
quanto riguarda la teoria fono-uditiva delle allucinazioni e della schizofrenia.
94 T. Eagleton, D. Jarman, Wittgenstein. The Terry Eagleton Script. The Derek Jarman
Film, British Film Institute, London 1993; trad. it., di M. Benigni, Wittgenstein. La sceneg-
giatura di Terry Eagleton. Il film di Derek Jarman, Ubulibri, Milano 1993, p. 39 e 100 (tra-
duzione in parte modificata).
95 Ivi, p. 103 e 104 (traduzione in parte modificata).
xlvi alberto gualandi
1991; Id., From Hand to Mouth: the Origins of Language, Princeton University Press, Prin-
ceton (New Jersey) 2002; trad. it. di S. Romano, Dalla mano alla bocca: le origini del lin-
guaggio, Raffaello Cortina, Milano 2008; S. Mithen, Singing Neanderthals, Phoenix, Lon-
don 2005; trad. it. di E. Faravelli e C. Minozzi, Il canto degli antenati. Le origini della
musica, del linguaggio, della mente e del corpo, Codice Edizioni, Torino 2008; S.J. Gould,
Ontogeny and Philogeny, The Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge, Lon-
don 1977; A. Prochiantz, A cosa pensano i calamari?, cit.
97 Cfr. D. Morris, A Zoologist’s of the Human Animal, Jonathan Cape, London 1967;
trad. it. di M. Bergami, La scimmia nuda, Bompiani, Milano 1968, 200621; M.F.A Mon-
tagu, Time, morphology and neoteny in the evolution of man, in M.F.A. Montagu (ed. by).,
Culture and the evolution of man, Oxford University Press, New York 1962, pp. 324-342;
Id., Growing Youth, Bergin & Garvey Publishers, Granby, Massachusetts 1981; trad. it.
di E. Bertoni, Saremo bambini, Red Edizioni, Como 1992.
98 Cfr. F. Jacob, Evolution and tinkering, «Science», 196, 1977; trad. it. di D. Garavi-
ni, Evoluzione e bricolage, Einaudi, Torino 1979; S.J. Gould, E.S. Vrba, Exaptation – a
missing term in the science of form, «Paleobiology», 8 (1), 1982; trad. it. di C. Ceci, a cura
di T. Pievani, Exaptation, il bricolage dell’evoluzione, Boringhieri, Torino 2008.
estesiologia della solitudine xlvii
cativa del «senso», in A. Cavazzini, A. Gualandi (a cura di), Logiche del vivente. Evolu-
zione, sviluppo, cognizione nell’epistemologia francese contemporanea, «Discipline filoso-
fiche», XIX, 1, 2009, pp. 117-136.
100 Alcuni commentatori hanno negato alla fenomenologia “naturalistico-biologica”
dita dell’animalità e dell’infanzia, si veda anche F. Leoni, Follia come scrittura di mondo,
Jaca Book, Milano 2001, pp. 148 sgg.
102 Cfr. la celebre affermazione di Heisenberg, contenuta in W. Heisenberg, Das Natur-
bild der heutigen Physik, Rowohlt, Hamburg 1955; trad. it. di E. Casari, Natura e fisica
moderna, Garzanti, Milano 1957, p. 20. Poiché oggetto della ricerca scientifica contem-
poranea non è più, secondo Heisenberg, «la natura in sé, ma la natura subordinata al modo
umano di porre il problema», tramite la scienza l’uomo non incontrerebbe altro che se stes-
so, pur credendo di incontrare la natura.
103 M. Proust, La fugitive (1925); trad. it. di F. Fortini, La fuggitiva, Einaudi, Torino
1978, p. 37. Cfr. anche il commento di Beckett alla frase di Proust, contenuto in S. Beck-
ett, Proust (1931); trad. it. di C. Gallone, Proust, Sugarco, Milano 1978, 19944, p. 72:
«Noi siamo soli. Non possiamo conoscere e non possiamo essere conosciuti. “L’uomo è
una creatura che non può uscire da se stessa […]”».
xlviii alberto gualandi
cento G. Thinès, L’œuvre critique de Erwin Straus et la phénoménologie, cit., p. 99, citan-
do la frase conclusiva di Vom Sinn der Sinne, concernente «il mondo muto» che dev’esse-
re trasformato «in un mondo che ci parla in un numero infinito di luoghi», E. Straus, Vom
Sinn der Sinne, cit., p. 419. Per una svista significativa, Thinès sostituisce la seconda occor-
renza di «mondo» con «morale».
estesiologia della solitudine xlix
alberto gualandi
107 A. Clarck, Being There, The MIT Press, Massachusetts Institute of Technology
1997; trad. it. di S. Levi, Dare corpo alla mente, McGraw-Hill, Milano 1999, p. 167 e 191.
108 E. Straus, Vom Sinn der Sinne, cit., p. 419.
109 Sull’ineliminabile antropomorfismo dell’immagine “anti-antropomorfica” del
mondo della scienza moderna, cfr. E. Straus, Vom Sinn der Sinne, cit., pp. 316 sgg.
110 Ivi, p. 419. Cfr. la precedente analisi del tatto inteso cartesianamente come senso
Sinne, cit., pp. 188 sgg. L’idea che l’estesiologia rappresenti il punto di mediazione e di pas-
saggio tra la filosofia (verticale) della natura e l’indagine trascendentale (orizzontale) dello
spirito e della cultura è di H. Plessner, I gradi dell’organico e l’uomo, cit., pp. 56 sgg.