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(MORRA DE SANCTIS)

Francesco De Sanctis nacque a Morra Irpinia nel 1817.


Compì gli studi a Napoli e frequentò la scuola del purista Basilio Puoti. Nel 1839 aprì una sua scuola.
Nel 1848 partecipò con i suoi allievi all'insurrezione antiborbonica; di conseguenza fu arrestato e trascorse
in carcere 3 anni. Andò in esilio a Torino, dove visse sino al 1856; in seguito insegnò letteratura italiana al
Politecnico di Zurigo. Successivamente all'unificazione, rientrò in Italia e si dedicò, fino alla morte nel 1883,
alla attività politica. Fu deputato della sinistra moderata e due volte Ministro della Pubblica Istruzione.
Per alcuni anni tenne anche la cattedra di letteratura comparata presso l'Università di Napoli.
La figura di Francesco De Sanctis risalta sia per il suo impegno politico, sia per il suo contributo nel
panorama della letteratura italiana e della storiografia letteraria. Scrive infatti il primo testo organico ed
articolato di storiografia letteraria italiana la "Storia della letteratura italiana" (1870-71).
In quest'opera De Sanctis coglie e sottolinea i legami profondi tra la forma delle varie opere letterarie ed il
conteso storico, culturale e sociale, da cui quelle opere sono nate.
La "Storia della letteratura italiana" risulta, quindi,anche la storia della cultura e della società italiana.
A Francesco De Sanctis è dedicato un parco letterario in Irpinia, in cui sono proposti percorsi culturali che
intrecciano le sue opere con la visita dei luoghi delle sue origini.

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 (ALTAVILLA IRPINA)

Nato ad Altavilla Irpina (Avellino) nel 1863, entrò nell'Istituto a Roma nel 1880.
Nel 1888 partì come missionario per lo Shensi meridionale (Cina) . Durante la persecuzione dei Boxers fu
decapitato e tagliato a pezzi e Yentzepien dopo 12 anni di missione all'età di 37 anni. Fu beatificato da Pio
XII il 18-2-1951 e fatto santo da Giovanni Paolo II il 1-10-2000. Tentato dai familiari a desistere dalla sua
vocazione, "è vero - rispondeva - che la vita missionaria l'ho abbracciata liberamente. Ciò non significa che
ora io sia libero di abbandonarla..." . "Mi aspetta un lavoro enorme : meglio così che soffrire di noia per
disoccupazione. Sono nelle mani di Dio e quindi in buone mani! Se poi morissi, ebbene ci rivedremo in
cielo!". "Qualunque cosa accada, il Signore non la permetterà che per il nostro maggior bene. Se Dio non
vuole, non ci sarà torto un capello; se Lui lo permette, tanto meglio per noi!".

  
 (MONTELLA)

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Nacque a Calitri il 1/06/1856 da Giuseppe e da Cleonice Teresa Chiaia. Compì, con grande profitto, corso
degli studi classici ad Avellino. Laureatosi in Matematica all'Università di Napoli nel 1878, fu Assistente alla
Cattedra di Astronomia; "mente pronta e ognor ferace" di profonde indagini, conseguì, nel 1880, anche la
laurea in Ingegneria Civile, che segnò l'inizio di una lunga serie di successi e di ascesa. Messo in luce il suo
ingegno nel concorso bandito nel 1882 per il R. Corpo del Genio Civile, fu classificato tra i primi. Seguendo
I'innata inclinazione, si dedicò con ardente passione ʹ che è poi la sua grande vocazione ʹ allo studio
particolare dei problemi ferroviari, a progettare e a costruire nuove ferrovie; ed in questo vasto ed arduo
campo di studi, egli getta, animoso, la base del suo splendido avvenire.
Fu dapprima assegnato, il 23/07/1888, al Circolo ferroviario di Foggia; di poi oggetto di profonda stima da
parte dei superiori, fu trasferito il 16/07/1904 nel ruolo del R. Ispettorato Generale delle Strade Ferrate.
Tecnico di grande valore e di profondo pensiero, iniziò la sistemazione del porto di Genova costruendo il
parco ferroviario dei Giovi; indi preparò uno studio < di massima > per la rete ferroviaria della Basilicata;
infine fu capo di una Missione di tecnici, che si recò nella Somalia Italiana per studiare, sul pasto, un
progetto di una rete ferroviaria in quella vasta colonia.
Ma dove rifulse, in piena luce, il grande artiere della tecnica ferroviaria fu quando, durante la Prima Guerra
Mondiale (1915-18), organizzò e condusse a termine un vasto piano di costruzioni ferroviarie per scopi
militari e strategici. A titolo d'onore, va ricordata, soprattutto, la ferrovia Montebelluna- Susegana
('Treviso), che il Margotta, superando le numerose ed aspre difficoltà della natura e le contingenze del
momento storico che la nazione attraversava, condusse a compimento in breve tempo.
Questa ferrovia fu inaugurata, improvvisamente, la none del 15/05/1916, nell'imperversare della grande
offensiva austriaca sull'altopiano di Asiago ʹ la cosi detta strafe expedition o spedizione punitiva, che si
proponeva di porre 'Italia fuori combattimento,- dando cosi un decisivo e valido contributo alla difesa del
fronte alpino, violentemente minacciato. Il che potrebbe, di per se stesso, rendere ad un uomo la massima
soddisfazione.
E l'importanza storica di quella ferrovia fu riconosciuta dal Governo, quando, il 22/05/1919, il Margotta
venne insignito del Distintivo dl speciali benemerenze per il personale delle Ferrovie esposto ai rischidi
guerra in zona d'operazione. Per le prove date d'indiscussa competenza e per la rettitudine adamantina di
vita, il Margotta raggiunse, in breve tempo, il più elevato grado della gerarchia, Capo del servizio delle
costruzioni ferroviarie.
Tra le opere di eccezionale importanza, che furono compiute sotto la sua alta direzione tecnica, vanno
ricordate le due famose < < direttissime >>, la Firenze-Roma ela Roma-Napoli; di quest'ultima ebbe anche
l'ambito onore d'inaugurare, il 16/07/1922, - alla presenza del Re ʹ il tronco Roma-Formia, con un dotto
discorso. Fu membro dcl Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, nel quale diede prova, anche in momenti
politici assai ardui e in questioni non facili districarsi, di rara competenza.
Del Consiglio Superiore fu anche Direttore, ed in tale veste, in occasione del Nono Congresso Ferroviario
Internazionale - che ebbe luogo a Roma ʹ egli tenne,il 23/04/1921, -per incarico dcl Governo,- una
interessante conferenza su << Le costruzioni ferroviarie in Italia, dalla costituzione del Regno fino ad oggi
>>. E quando, il 10/04/1923, per raggiunti limiti d'età, fu messo in stato di quiescenza, per la sua
competenza e per i meriti veramente eccezionali fu chiamato, per Decreto Reale dell'ottobre 1923, a far
parte ʹ come esperto estraneo- del Consiglio Superiore dei LL.PP. e vi rimase fino a tarda eta, poco prima
che fosse colto dalla morte.
Circondato dalle generali simpatie e dalla costante fiducia delle autorità politiche, nel 1923 fu nominato
membro della Commissione Reale per l'Amministrazione provinciale di Avellino, della quale il 29/08/1929
divenne Preside. Con la suaintelligente attività e preparazione tecnica, diede all'Irpinia un indirizzo di vita
nuova.; a suo titolo d'onore, si ricorda il progetto d'un Consorzio intercomunale per l'approvvigionamento
idrico di quelle popolazioni con le sorgenti del Calore, ed i ripetuti tentativi, da lui compiuti, per riallacciare,
con una ferrovia diretta, Napoli con Avellino.
A vantaggio della nostra provincia, il Margotta si prodigò con opera solerte ed affettuosa, e lo dimostrano
le parole con cui si chiude la Relazione, che egli stesso compilò, nel 1933, alla fine della sua gestione: <<
Oltre all'aver curato, da probi amministratori della cosa pubblica, di ottenere una saggia e rigida
amministrazione, senza far pesare in alcun modo sul bilancio ['opera nostra, abbiamo anche posto al
servizio del nostro paese le nostre personali influenze ed il nostro prestigio allo scopo di avviare problemi di
grande interesse locale senza alcun onere per l'Amministrazione, a cui abbiamo avuto l'onore di essere
preposti>>.
Anche la nobiltà dei sentimenti in lui, che ebbe il culto della famiglia, fu intimamente connessa all'energia
intellettuale ed alle opere compiute, che vennero intrecciando il vago serto di sua benemerenza e
grandezza. Si uni' in matrimonio con Costanza Irace, si presume il 1891,nata ad Avellino il 1869, deceduta a
Roma il 1937, e della loro unione nacque Giuseppe, Cleonice e Francesco."Giuseppe medico oculista",
Primario oculistica degli Ospedali riuniti di Venezia. Libero docente di clinica oculistica dell'Università di
Padova. Mori a Roma il 3 agosto 1953 (Vito Alfonso Margotta).

Y   Calitri)


Nato a Calitri il 17 ottobre 1847, seguì gli studi di medicina a Napoli, dove si laureò nel 1872.
Nel 1873, come sanitario comunale, a Napoli ebbe occasione di farsi largo nell'opinione pubblica
prendendo parte alla campagna contro il colera che gli fruttò la medaglia di benemerenza di 1° grado e gli
aprì le porte dell'Istituto di Anatomia Patologica, diretto dal prof. Schron.
Man mano divenne noto in Italia e fuori, specialmente per le sue ricerche sulla pustola maligna, sulla sifilide
ereditaria, sulla patologia epatica e sull'assorbimento del peritoneo. Nel 1884 passo all'Università di Pisa
dove iniziò gli studi che gli hanno dato maggiore fama.
A partire dal 1889, impressionato dall'alto numero di vite umane che mieteva la tubercolosi, si dedicò con
tutto le sue forze allo studio dei bacilli tubercolari dandone un fondamentale contributo.
Nel X° Congresso Medico Internazionale di Berlino (1890) l'unico nome di sperimentatore, che non fosse
tedesco, pronunciato da R. Koch, fu quello di Maffucci, grazie alla prima comunicazione ch'egli fece sulla
scoperta della tubercolina.
Per quanto assorbito dalle ricerche sulla tubercolosi, il Maffucci non trascurò altri studi e nel 1898 pubblicò
una ricerca sulla "Patologia della cauda equina e del cono terminale" che gli valse le congratulazioni dei più
grandi scienziati, tra i quali il Koch.
I risultati delle sue ricerche errano attesi da tutto il mondo scientifico, e le sue pubblicazioni erano tradotte
in varie lingue estere. Al Maffucci si deve il merito della dottrina sull'eredoimmunità della tubercolosi (i
discendenti di tubercolotici presentano una resistenza maggiore al contagio).
Morì a Pisa il 24 novembre 1903, lasciando a favore dell'Università una grossa somma da utilizzare per una
borsa biennale di studi di perfezionamento in Anatomia Patologica. Dei suoi studi restano ben 61
pubblicazioni in lingua italiana ed estera.
Il 12 ottobre 1922, in memoria del Maffucci, fu posta sulla facciata principale del municipio un'artistica
targa marmorea sormontata dalla sua effigie in bronzo.
Disse di lui il prof. Tito Carbone  

    
 
  
 


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  (Calitri)
Nato Calitri il 6 gennaio 1842, Michele Antonio, fin da piccolo dimostrò grande attitudine agli studi che
iniziò nel 1852 a Napoli presso i Gesuiti.
A sedici anni entrò come novizio nell'Ordine dei Cappuccini, in Salerno, sotto il nome di Evangelista. Compì
gli studi prima a Bologna e poi a Venezia dove, il 16 luglio 1864, celebrò la prima Messa.
A seguito della legge di soppressione del 1867 P. Evangelista si recò in Francia dove predicò nelle principali
chiese riportando ovunque grandi trionfi oratori. Nel 1870 a causa degli eventi che seguirono la sconfitta
dei francesi a Sedan, P. Evangelista fu costretto a fuggire in Inghilterra, dove, dopo aver imparato la lingua,
iniziò di nuovo a predicare nelle maggiori chiese inglesi.
P. Evangelista era molto ben visto tanto che fu scelto come compagno e consigliere di un ambasciatore
cattolico per recarsi a Pietroburgo, in Russia. Dopo circa un anno ritornò in Inghilterra dove continuò il suo
lavoro apostolico per 12 anni.
Nel 1884 fu richiamato a Roma e nominato Superiore della Basilica di San Lorenzo in Campo Verano; l'anno
dopo venne eletto Provinciale di Salerno. Tante furono le opere compiute da P. Evangelista che il 22
dicembre 1888 venne consacrato Vescovo di Cassano al Jonio.
Qui restaurò a proprie spese la Cattedrale, riaprì il seminario, istituì opere di cristiana pietà, per cui il Papa
lo promosse, il 29 novembre 1898, Vescovo di Lecce, dandogli il titolo nobiliare di Conte Romano.
Durante il breve periodo di governo di questa diocesi, Mons. Evangelista si distinse per gli atti di carità e
giustizia, che nel corso della sua vita hanno caratterizzato la sua opera apostolica.
Morì prematuramente a Calitri il 17 settembre 1901.

   Montefusco)

(S. Agnese, frazione di S. Giorgio del Sannio il 29 set tembre 1816 - 25 agosto 1901). Dal
padre Giacomo ereditò "carattere fiero e indipendente" e dotato di vivace intelligenza,
frequentati in Napoli i corsi universitari di giurisprudenza (1838), mostrò predilezione
per gli studi storici ed economici. Alcune sue giovanili Osservazioni sopra il presente
stato della gente beneventana (Napoli, 1839) con le quali deplorò le misere condizioni
in cui versava quel possesso pontificio privo di industrie e di commercio, vennero
particolarmente segnalate dal Delegato Apo stolico   c , il futuro papa
, al segretario di Stato cardinal   il quale le ritenne di ispirazione
del ministro di Polizia  che trattava per ordine del suo re  
Borbone, la cessione di Benevento al Regno di Napoli. E' certo che il Nisco il quale "si
esercitava in qualità di apprendista presso il Ministero degli Affari Esteri napoletano" ed
era guardia di onore del Re, non dimostrò allora palese avversione al regime borbonico
e sulle sue mutate opinioni dovette influire l'amicizia che lo legò al  a c!
 "  e sopra tutto a c  che fu poi suo compagno di catena. Con
l'esaltazione al pontificato di Pio IX e con l'ondata di entusiasmo che suscitarono le sue
prime riforme, il Nisco si fece promotore di manifestazioni liberali (novembre e
dicembre 1847) e arditamente esortò Ferdinando II a concedere la Costituzione.
Scampò, pertanto, più volte all'arresto, anche per intercessione della sua energica e
affettuosa consorte, Adele de Stedingk di nobile famiglia bavarese. Concessa la
Costituzione (29 gennaio 1848), il Nisco collaborò al coraggioso periodico "Il Nazionale"
fondato da  # $# e si fece sostenitore della partecipazione napoletana alla
prima guerra d'Indipende nza. Gli avvenimenti del 15 maggio 1848 non lo disanimarono
e tentò un'estrema difesa della conculcata libertà progettando una spedizione armata
su Napoli. Venuto meno il tentativo, con sicuro ardimento pubblicava sul giornale
"l'Unione" la sua professione di fede: sovranità del popolo e indipendenza italiana. Due
giorni dopo, il 13 novembre, era arrestato e rinchiuso nelle prigioni napoletane della
Vicaria. La sconfitta di Novara poneva termine alla prima guerra d'Indipendenza e
disperdeva le speranze dei liberali, ma fin dal 12 marzo Ferdinando II aveva sciolto il
Parlamento, iniziando l'ultima sua dura reazione. Dopo 18 mesi di prigionia, il Nisco
comparve dinanzi alla Gran Corte Criminale di Napoli (l ° giugno 1850) fra i rei del
famoso processo dell'Unità italiana. La causa che non mancò di suscitare anche
l'attenzione di paesi stranieri, ebbe dopo otto mesi (31 gennaio 1851) il suo epilogo. La
sentenza letta agli imputati il giorno seguente, condannava il Nisco a tret'anni di ferri.
Appaiato con la pesante catena a quattro maglie a un condannato, Gaetano Errichiello,
fu inviato nelle carceri di Nisida, in quelle di Ischia e infine nelle orribili segrete di
Montefusco, sogetto con i suoi compagni a continue sofferenze fisiche e morali. Il 28
maggio 1855, dopo il clamore sucitato in Europa dalle "Lettere a Lord Aberdeen"
pubblicate dall'eminente statista Gladstone sul trattamento usato ai detenuti politici,
questi fra essi il Nisco, furono in parte trasferiti nel castello di Montesarchio dove le
loro sofferenze furono in parte mitigate. La preoccupante situazione politica dopo gli
accordi di Plombiéres, indussero Ferdinando II a una meditata concessione di grazia:
l'invio in esilio, negli Stati Uniti d'America, dei condannati politici. Il Nisco che aveva
chiesto di essere inviato in Baviera, nell'attesa del beneplacito di quel governo, rimase
chiuso nelle carceri di Avellino. Ma quel Governo non volle saperne di un esule cosi
pericoloso e il Nisco fu allora inviato a Malta M10maggio 1859). Nel luglio seguente
nella libera Firenze incontrò molti esuli napoletani e fra essi il c , Silvio Spaventa, il
Settembrini, Enrico Pessina, collaborò al periodico "La Nazione" diretto da Alessandro
d'Ancona.Scrisse in questo periodo, m
  
(Firenze, Le Monnier, 1859)
e nominato dal   professore di Economia politica in quel Real Istituto di
perfezionamento, pubblicò la    al suo corso (Firenze, Le Monnier, 1859) e in
seguito !  
 
  
      (Firenze,
Guarrera, 1860). Dopo lo sbarco di Garibaldi a Marsala, il Cavour si avvalse della sua
attività per affrettare la fine della monarchia borbonica e venuto a Napoli, il Nisco
strinse rapporti con l'ambasciatore sardo marchese di    , con l'ammiraglio
c e col ministro borbonico  . Fu per suggerimento del Nisco che
lo zio del Re, Leopoldo conte di Siracusa scrisse la nota lettera a Francesco II Borbone
invitandolo a rinunziare al trono perché l'unità d'Italia potesse av ere compimento.
L'operosità politica del Nisco in questo cruciale periodo fu quanto mai intensa e riuscì
fra l'altro a far guadagnare alla causa nazionale la flotta napoletana che rimase
ancorata nel porto di Napoli quando Francesco II il 6 settembre 1860 si imbarcò per
salvare in Gaeta con un raggio di gloria militare la sua caduta. Chiamato a dirigere il
dicastero dell'Agricoltura, Industria e Commercio, il Nisco fu poi deputato (7 aprile
1861) e collaborò col Cavour al progetto di riforma del credito ban cario nel
Mezzogiorno d'Italia. Nel 1866 ebbe la direzione del Banco di Napoli nella sede di
Firenze, ufficio che non tenne a lungo per discordi vedute con quella Direzione
generale. A Roma, divenuta capitale d'Italia, continuò la sua attiva opera parlamen tare
che contò quattro legislature (VIII-XI). Con la caduta del Ministero " % , e
l'avvento del Trasformismo, egli si ritirò dalla vita politica per dedicarsi ai suoi studi
prediletti. Per volere di Umberto I, scrisse in sei volumi la
    "
 
 #$%$ #$&'(Napoli, Morano, 1885-1892). Tra il 1884 e il 1887 si dedicò a scrivere
le vicende dei regni di Francesco I Borbone (Napoli, Morano, 1888), di Ferdinando II (Id.
Id. 1884) e di Francesco II (Id. id., 1887), vicende ristamp ate col titolo
  "
   #$(% #$)' (5 ed., Napoli, Lanciano e Veraldi, 1908). Nel 1893 aveva
ricordato        i  
 (Napoli, Morano, 1893) e precedentemente
e dopo, vari furono i suoi saggi di argomento econom ico e finanziario

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