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Corso di Laurea

in Economia e
Commercio

Tesi di Laurea

Il surplus
commerciale
tedesco
Conseguenze politico-
economiche del
disequilibrio

Relatore
Ch. Prof. Stefano Magrini

Laureando
Tommaso
Gasparini
Matricola 855928

Anno Accademico
2017 / 2018
RINGRAZIAMENTI

Giunto alla fine della prima parte del mio percorso universitario colgo l’occasione per
ringraziare i miei genitori che sono stati un costante supporto alle mie decisioni e alle mie
ambizioni.

Inoltre ringrazio i miei amici che con la loro vicinanza mi hanno aiutato a superare ogni
scoglio di questa esperienza e continueranno a farlo nei miei prossimi anni in Germania.

Tommaso
INDICE
Introduzione p. 1
Capitolo I. Esportazioni nette p. 3
1.1 Surplus commerciale e deficit commerciale p. 3
1.2 Esportazioni nette, tasso di cambio e tasso d’interesse p. 4
1.2.1 La condizione di Marshall-Lerner p. 5
1.2.2 Come modificare il tasso di cambio reale p. 7
1.3 Esportazioni nette, risparmio e investimenti p. 8

Capitolo II. Possibili cause dello squilibrio commerciale Tedesco p. 11


2.1 Competitività dei prodotti tedeschi p. 11
2.2 Risparmi p. 14
2.3 Investimenti p. 16
2.4 Svalutazione dell’euro p. 18
2.5 Disuguaglianze sociali p. 20

Capitolo III. Conseguenze dello squilibrio commerciale tedesco p. 23


3.1 Squilibri all’interno della Germania p. 23
3.1.1 Deprezzamento della moneta p. 23
3.1.2 Livello di investimenti p. 25
3.2 Squilibri all’interno dell’Unione europea p.26
3.2.1 L’esportazione dei risparmi p. 27
3.2.2 Surplus e crescita p. 28
3.2.3 I rapporti con l’Unione europea p. 29

Capitolo IV. Conclusioni p. 33

Indice delle referenze p. 35


INTRODUZIONE

Come riporta il giornale The Economist, il 29 giugno 2017, Donald Trump, presidente
degli Stati Uniti, mostrava una seria preoccupazione nei confronti del surplus
commerciale tedesco che, nel 2016, raggiunse approssimativamente i 270 miliardi di
euro, l’8,4% del PIL (Germany’s current-account surplus is a problem 2017). La
preoccupazione è condivisa anche in Europa tanto che l’Unione Europea ha deciso di
assoggettare la Germania alla procedura per squilibri macroeconomici.

In questa tesi analizzerò le principali cause di questo fenomeno, le conseguenze che


potrebbero derivare e i loro possibili effetti prendendo in considerazioni le statistiche
delle principali banche dati europee e mondiali, le opinioni di illustri economisti e dei
principali giornali di argomento economico-politico.

Nel primo capitolo esporrò le teorie economiche che stanno alla base del concetto di
surplus commerciale, analizzerò i modelli e li testerò usando i dati raccolti per l’economia
tedesca. Il secondo capitolo invece entrerà maggiormente nella questione. Tratterà le
possibili cause e identificherà quelle che probabilmente hanno influenzato questo
processo. Il terzo capitolo riguarderà le conseguenze di questo processo. Queste
conseguenze possono influenzare il territorio della Germania, l’Unione Europea o le
relazioni con gli altri stati del mondo. Nel quarto capitolo, infine, riassumerò i concetti
principali e trarrò le conclusioni delle analisi fatte nel testo.

1
2
CAPITOLO I
LA BILANCIA COMMERCIALE E I FATTORI CHE LA
INFLUENZANO

1.1 Surplus commerciale e deficit commerciale

Il prodotto interno lordo (PIL) è una delle più importanti misure della ricchezza di un
paese. Esso è composto dalla somma dei valori di 4 variabili: consumi(C), investimenti
(I), spesa pubblica (G) ed esportazioni nette (NX).

𝑌 = 𝐶 + 𝐼 + 𝐺 + 𝑁𝑋 (1.1)

Le esportazioni nette, dette anche bilancia commerciale, sono date dalla differenza tra
l’ammontare delle esportazioni (X) meno le importazioni (IM). Le esportazioni sono il
valore degli acquisti di beni o servizi nazionali da parte di persone, imprese o governi
oltreconfine. Parallelamente, le importazioni possono essere definite come il valore degli
acquisti di beni o servizi prodotti in altri paesi da parte di persone, imprese o del governo
locali. Nel caso in cui le esportazioni superino le importazioni si parla di surplus
commerciale, mentre in caso contrario, siamo in presenza di un deficit commerciale
(Ascari 2011, Blanchard 2010, Treccani 2018).

La Germania attualmente si trova in una posizione di surplus commerciale ma non è


sempre stato così. Come si vede nel Grafico 1.1, fino al 2001 la Germania era in deficit
commerciale per poi passare a surplus commerciali sempre più ampi. Non ho preso dati
che si riferiscono ad epoche precedenti poiché possono essere influenzati dal fatto che
prima del 1991 la Germania era divisa in Germania Est e Germania Ovest. La maggior
parte degli stati non si trovano sempre in surplus o in deficit ma variano la loro posizione
raggiungendo nel lungo periodo il pareggio della bilancia commerciale.

3
Grafico 1.1 Esportazioni nette in Germania in % del PIL (1991-2016)
10

Esportazioni nette Germania - % del PIL


8

0
1995
1991
1992
1993
1994

1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
2013
2014
2015
2016
-2

-4
Anno

Fonte: OECD (2018a)


Contabilmente NX dipende solamente da X e IM che però a loro volta dipendono da vari
fattori come il tasso di cambio. Nei prossimi paragrafi di questo capitolo descriverò come
questi li influenzino e quindi che effetti abbiano su NX. Essendo molti questi fattori,
molto spesso non si riesce a percepire il vero effetto che hanno sulle esportazioni nette
perché possono avere anche effetti contrastanti sulle esportazioni e sulle importazioni.

1.2 Esportazioni nette, tasso di cambio e tasso d’interesse

Uno dei principali elementi che condizionano le esportazioni nette è il tasso di cambio.
Questo influisce in tre modi: cambia il costo delle esportazioni e delle importazioni e
varia il valore delle importazioni.

Le importazioni, quando vengono considerate nel calcolo del PIL, devono avere come
unità di misura la valuta del paese del quale ci stiamo interessando perché, altrimenti, si
compierebbero operazioni con valori non confrontabili. Bisogna quindi prendere il loro
valore in valuta estera e convertirlo attraverso il tasso di cambio. Se siamo in presenza di
un’economia aperta che scambia beni e servizi con un solo stato, si usa il tasso di cambio
bilaterale; in caso gli stati siano più di uno, si usa il tasso di cambio multilaterale che è la
media pesata dei tassi di cambio bilaterali con pesi pari al volume degli scambi con i
diversi paesi. Per evitare di incorrere in errori dovuti all’utilizzo di variabili nominali che
sono influenzate dalle variazioni dei prezzi del mercato userò il tasso di cambio reale
(Ascari 2011, Blanchard 2010).

4
L’Equazione 1.1 quindi diventa:

𝑌 = 𝐶 + 𝐼 + 𝐺 + 𝑋 − 𝐼𝑀/𝜀 (1.2.1)

dove ε è il tasso di cambio multilaterale reale. Il tasso di cambio reale è calcolabile


conoscendo il tasso di cambio nominale, il livello dei prezzi locali e quello dei prezzi
esteri attraverso la formula:

𝑃
𝜀 = 𝐸 ∗ 𝑃′ (1.2.2)

dove E è il tasso di cambio nominale, P è il livello dei prezzi locali e P’ è quello dei prezzi
esteri. Dalle Equazioni 1.2.1 e 1.2.2 possiamo quindi capire che il valore delle
importazioni diminuisce all’aumentare di ε, E e P e aumenta all’aumentare di P’.

Questo però non vale per quanto riguarda la quantità delle importazioni. All’aumentare
del tasso di cambio, i beni in valuta estera diventano meno costosi poiché con lo stesso
ammontare di moneta nazionale posso ottenere più valuta estera. Di conseguenza la
quantità di beni importati aumenta e aumenta IM.

Se guardiamo le esportazioni, queste non sono influenzate dal primo effetto che
condiziona le importazioni ma solamente dal secondo. Parallelamente a quanto scritto
prima, se con lo stesso ammontare di valuta estera si può acquistare meno valuta locale
le esportazioni diminuiscono perché il loro prezzo in valuta estera aumenta.

Riassumendo non si può dire con certezza se NX aumenti o diminuisca al crescere del
tasso di cambio perché, se le esportazioni sono sempre correlate negativamente al tasso
di cambio, non si può dire lo stesso per le importazioni che ne sono influenzate sia
positivamente sia negativamente.

1.2.1 La condizione di Marshall-Lerner

La condizione di Marshall-Lerner è la condizione che, se rispettata, fa corrispondere ad


una diminuzione o ad un aumento del tasso di cambio un miglioramento o un
peggioramento della bilancia commerciale (Blanchard 2010). Partendo dall’ipotesi che
NX sia pari a 0, la condizione si può ricavare in questo modo:

5
𝐼𝑀
𝑁𝑋 = 𝑋 − (1.2.1.1)
𝜀

Differenziando rispetto a ε otteniamo l’Equazione 1.2.1.2

𝛥𝑁𝑋 𝛥𝛸 𝛥𝐼𝑀 𝐼𝑀
= − + (1.2.1.2)
𝛥𝜀 𝛥𝜀 𝜀𝛥𝜀 𝜀2

Se vogliamo che le esportazioni nette migliorino dopo una diminuzione del tasso di
cambio dobbiamo porre:

𝛥𝛸 𝛥𝐼𝑀 𝐼𝑀
− + <0 (1.2.1.3)
𝛥𝜀 𝜀𝛥𝜀 𝜀2

Riordinando e dividendo per IM/ε2 otteniamo la 1.2.1.4:

𝛥𝐼𝑀 𝜀 𝛥𝑋 𝜀2
∗ 𝐼𝑀 − 𝛥𝜀 ∗ 𝐼𝑀 > 1 (1.2.1.4)
𝛥𝜀

Moltiplicando e dividendo il sottraendo del primo termine per X otteniamo:

𝛥𝐼𝑀 𝜀 𝛥𝑋 𝜀𝑋 𝜀
∗ 𝐼𝑀 − 𝛥𝜀 ∗ 𝐼𝑀 ∗ 𝑋 > 1 (1.2.1.5)
𝛥𝜀

dove il rapporto tra εX e IM è pari a 1 perché questi due termini rappresentano la stessa
quantità, data l’ipotesi che NX sia pari a 0. Di conseguenza, l’Equazione 1.2.1.5 può
essere riscritta come l’Equazione 1.2.1.6.

𝛥𝐼𝑀 𝜀 𝛥𝑋 𝜀
∗ 𝐼𝑀 − 𝛥𝜀 ∗ 𝑋 > 1 (1.2.1.6)
𝛥𝜀

Il primo termine della differenza rappresenta l’elasticità delle importazioni al tasso di


cambio mentre il secondo è l’elasticità delle esportazioni sempre nei confronti del tasso
di cambio. Perché sia valida la condizione di Marshall-Lerner, la somma del primo
termine e del valore assoluto del secondo deve essere maggiore di 1 altrimenti ad un
aumento del tasso di cambio la bilancia commerciale peggiora.

Si può quindi studiare la validità di questa condizione calcolando le due elasticità. Questo

6
però, nella pratica risulta molto difficile, perché la variazione della bilancia commerciale
è influenzata da moltissimi fattori dove il tasso di cambio è solo uno di questi. Molti
economisti si sono cimentati in questa sfida ma i risultati sono contrastanti. Bahmani,
Harvey e Hegerty raccolgono i risultati di alcuni test (Bahmani et al. 2013). Molti dei test
raccolti affermano che la condizione è soddisfatta ma, in realtà, molti di questi si basano
su risultati non significativi. Per questo motivo, ogni ragionamento o risultato che si basa
su questa condizione, deve essere preso con cautela in quanto non è certa la sua validità.

Dopo aver raccolto i test precedenti, gli autori utilizzano un proprio test per provare la
condizione. Anche con questo nuovo test non riescono nel loro intento, vengono
evidenziati errori di mispecificazione e la somma delle due elasticità non è
significativamente maggiore di 1.

In generale, come dicono molti studiosi, un apprezzamento o un deprezzamento della


valuta non implicano un miglioramento o un peggioramento della bilancia commerciale,
dipende se le elasticità rispetto alle importazioni e alle esportazioni in una determinata
area e in un determinato tempo soddisfano la condizione di Marshall-Lerner. I molti studi
su questo argomento hanno dato risposte diverse, molto spesso hanno usato metodi
statistici inappropriati e hanno dato risultati non significatività dal punto di vista statistico.
(Boyd et al. 2001).

Un esempio di risultati che indicano la validità della condizione in Germania è Boyd et


al. (2001). I dati utilizzati si riferiscono al periodo tra il 1978 e il 1996, quindi secondo
questo studio la condizione è soddisfatta in questo periodo in Germania. Tutto ciò però,
come detto prima, si scontra con il fatto che in letteratura non ci siano prove evidenti e
quindi bisogna trattare con la dovuta attenzione i risultati che si basano sulla validità o
meno di questa condizione.

1.2.2 Come modificare il tasso di cambio reale

Tornando all’Equazione 1.2.2 possiamo affermare che il tasso di cambio reale dipende
sia dal tasso di cambio nominale sia dal rapporto tra i prezzi locali e esteri. Un primo
modo per indurre un deprezzamento reale (cioè, ridurre il tasso di cambio reale) è influire
sui prezzi locali attraverso un processo che possa portarli a crescere meno velocemente

7
rispetto a quelli degli altri paesi. Un secondo modo è agire sul tasso di cambio nominale,
deprezzandolo. La relazione tra tassi di cambio nominale può essere considerata
attraverso la “parità scoperta dei tassi di interesse” rappresentata dall’Equazione 1.2.1.10,
dove i è il tasso di interesse nel paese preso in considerazione, i’ è il tasso di interesse
estero e i valori all’interno delle parentesi quadre sono gli istanti di tempo a cui si
riferiscono i valori dei tassi di cambio (Blanchard 2010).

1+𝑖
𝐸[𝑡] = 1+𝑖’ ∗ 𝐸[𝑡 + 1] (1.2.1.10)

Qualora tale relazione sia verificata, ci dice che la Banca Centrale può indurre un
deprezzamento o un apprezzamento della moneta influenzando il tasso di interesse
attraverso l’acquisto o la vendita di titoli sul mercato aperto, cioè aumentando o
diminuendo l’offerta di moneta.

Questo strumento però deve essere utilizzato con molta prudenza perché un aumento
dell’offerta di moneta tende, attraverso la conseguente riduzione del tasso di interesse, a
far aumentare anche l’inflazione. Molto dipende dalle aspettative delle persone: se queste
si aspettano un’inflazione costante, gli effetti della variazione dell’offerta di moneta sono
più facilmente controllabili; invece, se queste si aspettano un aumento del tasso di
inflazione, è possibile che il conseguente aumento interno dell’inflazione (data
l’inflazione estera) sia tale da più che controbilanciare il deprezzamento nominale.

1.3 Esportazioni nette e risparmio

L’Equazione 1.2.1 può essere riscritta in modo da evidenziare le connessioni tra


risparmio, investimento e la bilancia commerciale. In questo modo si può dimostrare che
è vera l’Equazione 1.3.1:

𝑁𝑋 = 𝑆 + (𝑇 − 𝐺) − 𝐼 (1.3.1)

Questa equazione è anche definita come identità contabile poiché deriva dall’Equazione
1.2.1 che è la definizione di PIL. Per passare alla nuova equazione non si fa utilizzo di
teorie economiche ma si riordinano le variabili di un’identità. Le esportazioni nette sono

8
quindi la somma di risparmio privato (S) e pubblico (T-G) meno gli investimenti (I) di un
paese.

Anche i risparmi, come il tasso di cambio, dipendono dal tasso di interesse. Un aumento
del tasso di interesse provoca una diminuzione dei risparmi perché con l’aumentare del
tasso di interesse diminuisce il PIL, diminuendo il PIL diminuisce anche il reddito e così
anche i risparmi privati che sono proporzionali al reddito. Pettis, illustra una ricerca
condotta in Cina che sostiene il ragionamento (Pettis 2013, Mahlar 2011). Mahlar, con la
sua ricerca ha dimostrato che in seguito ad un aumento o ad una diminuzione del tasso di
interesse cinese i risparmi in Cina diminuiscono o aumentano.

L’effetto si può vedere anche dal lato opposto: ad un aumento dei risparmi il tasso di
interesse diminuisce. L’aumento dei risparmi può essere visto come un aumento
dell’offerta di capitali quindi chi è alla ricerca di capitali dovrà affrontare un minor costo
per procurarseli, cioè un minore tasso di interesse.

9
10
CAPITOLO II
POSSIBILI CAUSE DELLO SQUILIBRIO COMMERCIALE
TEDESCO

Dopo aver richiamato alcuni necessari fondamenti di macroeconomia possiamo


analizzare meglio le possibili cause dello squilibrio e capire l’influenza che hanno nel
caso tedesco.

2.1 Competitività dei prodotti tedeschi


Con le riforme Hartz la regolamentazione del lavoro in Germania ha subito molti
cambiamenti negli ultimi anni. Queste riforme, che prendono il nome dal presidente della
commissione che ha raccomandato l’attuazione di queste misure, sono una serie di quattro
interventi che hanno cambiato radicalmente il mondo del lavoro tedesco. Il primo
intervento è del gennaio del 2003 mentre l’ultimo, la cosiddetta riforma Hartz IV è entrata
in vigore nel gennaio 2005 (Jakoby e Kluve 2006).

Prima delle riforme, come scrivono Jacobi e Kluve, il tasso di disoccupazione tedesco era
molto alto, attorno al 9,6% nella Germania Ovest e 18,6% nella Germania dell’Est ed era
dovuto principalmente a fattori strutturali come un generoso sistema di sussidi di
disoccupazione. Le riforme quindi agirono su tre aspetti principali: migliorare l’efficienza
e l’efficacia delle misure a sostegno dei disoccupati, incentivare i disoccupati a rientrare
nel mondo del lavoro e liberalizzare il mercato del lavoro per aumentare la domanda di
lavoro (Jakoby e Kluve 2006).

Il risultato di queste riforme è stato analizzato da molti studiosi, portando a parlare anche
di miracolo economico. Hertweck e Sigrist, analizzano gli effetti delle riforme Hartz
(Hertweck e Sigrist 2006). Questi sono concordi sul fatto che l’efficienza del mercato del
lavoro sia aumentata portando ad una diminuzione del tasso di disoccupazione. Se da un
lato i costi del lavoro sono diminuiti e quindi la disoccupazione è diminuita, dal lato
opposto la deregolamentazione del mercato del lavoro ha portato alla precarietà dei mini
job. I mini job sono dei lavori precari con una paga massima di 450 euro al mese,
caratterizzati da bassissime contribuzioni assicurative sia da parte del lavoratore sia da
parte del datore di lavoro (Federal Ministry of Labour and Social Affairs 2014).

11
Il Grafico 2.1 mostra come è variata la produttività in Germania dal 1992 al 2016. Come
si può vedere, tra il 2004 e il 2008, il tasso di crescita della produttività è maggiore rispetto
a quanto sia cresciuto il costo sostenuto dai datori di lavoro per ora lavorata, rappresentato
dalla Figura 2.1.1. Quando la produttività migliora più velocemente del costo del lavoro,
le aziende trovano meno costoso assumere personale perché a parità di prodotto possono
ridurre il numero di occupati e il risparmio derivato da questa riduzione è maggiore
dell’aumento dei costi dei dipendenti rimasti.

Grafico 2.1 Tasso di crescita della produttività in percentuale in Germania


(1992-2016)
3
Tasso di crescita della produttività (%)

0
1997

2014

2016
1992
1993
1994
1995
1996

1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
2013

2015

-1

-2

-3
Anno

Fonte: OECD (2018b)

12
Figura 2.1.1

Fonte: Brenke 2009

Questa forbice può essere una delle cause dello squilibrio commerciale poiché con il
crollo dei costi del personale, a parità degli altri costi di produzione anche i prezzi dei
prodotti crescono meno velocemente e il loro mercato, anche all’estero aumenta. Inoltre,
una diminuzione dei salari reali fa diminuire la disponibilità economica dei lavoratori e
quindi la loro capacità a comprare prodotti esteri.

Il costo del personale però è solamente una parte del costo di produzione e il reddito dei
lavoratori è solo una parte del reddito totale. Questi fattori non determinano in modo
univoco la competitività dei prodotti tedeschi poiché ci sono altre variabili che influiscono
su di essa come il costo delle materie prime o il livello di tassazione.

Come dice l’Equazione 1.3.1, perché il costo del personale possa effettivamente influire
sulle esportazioni nette, deve portare anche ad un aumento dei risparmi rispetto agli
investimenti attraverso una diminuzione della propensione al consumo. Si potrebbe
ipotizzare che i salariati risparmino meno rispetto ai proprietari di capitale, quindi se
aumenta la percentuale di reddito detenuto da quest’ultimi i risparmi e le esportazioni

13
nette aumentano (Beck e Kotz, 2017).

Ipotizzando che questa teoria sia vera, perché avvenga un aumento dei risparmi dovrebbe
esserci una diminuzione della frazione del reddito detenuto dai lavoratori, però, come
scritto in Ordoliberalism: A German oddity? di Beck e Kotz, e mostrato nella Figura
2.1.2, dal 2007 al 2016, la frazione è aumentata. È vero che tra il 2001 e il 2007 la
percentuale era diminuita a causa della crescente disoccupazione ma è cresciuta durante
il periodo dell’esplosione del surplus (Beck e Kotz, 2017).

Figura 2.1.2

Fonte: Beck e Kotz 2017

Probabilmente la diminuzione del costo del lavoro è stata utile a far crescere la
competitività tedesca ma non è stato il fattore determinante. Un altro importante cofattore
è stato il calo del prezzo del petrolio che ha permesso un calo dei costi di
approvvigionamento delle materie prime e una diminuzione del valore delle importazioni.
Si stima che il calo del prezzo del petrolio abbia contribuito a migliorare la bilancia
commerciale di circa 1,5 punti percentuali (Beck e Kotz, 2017).

2.2 Risparmi
Come abbiamo visto nell’Equazione 1.3.1 un eccesso di risparmi rispetto agli
investimenti implica avere dei valori positivi di esportazioni nette, quindi, è importante
conoscere le dinamiche del risparmio.

14
Grafico 2.2 Tasso di risparmio in percentuale della Germania e
dell’Unione Europea (1991-2016)
30

25

20

15

10

0
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997

2008
2009
2010
2011
2012
2013
2014
2015
2016
Germania Unione Europea

Fonte: The World Bank 2018a

In Germania il tasso di risparmio non è sempre stato costante ma ha subito molte


variazioni negli ultimi anni. Il Grafico 2.2 mostra come si è evoluto dal 1975
comparandolo con il tasso osservato nell’Unione europea nel suo complesso. Negli ultimi
anni c’è stato un sensibile aumento che ha portato il tasso tedesco a superare la media dei
tassi dell’Unione europea.

Secondo Felbermayr, Fuest e Wollmershäuser, l’aumento dei risparmi è uno dei principali
motivi del surplus (Beck e Kotz, 2017). Nel libro scompongono i risparmi tedeschi in tre
macro categorie e osservano come variano nel corso degli anni i valori associati a queste.
Le tre macro categorie sono: compagnie non finanziarie, settore pubblico e famiglie. Dal
2001 i risparmi delle famiglie è rimasto costante mentre si è visto una crescita in entrambe
le altre due categorie. Le società non finanziarie sono passate da avere risparmi prossimi
a zero ad accumulare costantemente risparmi, mentre il settore pubblico ha trasformato i
deficit di bilancio in surplus.

Gli autori poi continuano spiegando le ragioni dei surplus primari del settore pubblico.
La Germania è una delle nazioni più interessate dal problema dell’invecchiamento della
popolazione che porta come conseguenza una maggiore vulnerabilità del sistema
pensionistico. Lo stato così decise di incentivare i risparmi privati a fini pensionistici e di
ridurre la spesa pubblica per le pensioni. Queste misure non hanno portato ad un aumento

15
dei risparmi delle famiglie come sperato ma i successivi dibattiti hanno costituito la base
per l’introduzione di un freno al debito pubblico nella costituzione. La loro stima è che
metà dell’aumento dei risparmi sia spiegabile attraverso la diminuzione dei deficit
pubblici (Beck e Kotz, 2017).

La seconda componente secondo loro è aumentata grazie a una serie di misure sulla
tassazione. Dal 2006 la corrispondente tassa tedesca dell’IVA italiana è stata aumentata
di tre punti percentuali mentre, nel primo decennio del XXI secolo, è stato diminuito il
peso fiscale sulle imprese ma allargata la base imponibile. Queste riforme hanno reso più
conveniente la produzione per l’export rispetto a quella per il mercato interno aumentando
anche i profitti e risparmi delle imprese (Beck e Kotz, 2017).

In conclusione, possiamo affermare che i risparmi sono una componente fondamentale


del surplus, prima di tutto perché non può esserci un surplus se i risparmi non superano
gli investimenti ma anche perché nel caso tedesco il livello dei risparmi è molto alto.
L’aumento è dovuto principalmente ai surplus primari e ai profitti delle imprese ma come
abbiamo visto nel precedente paragrafo questi ultimi non sembrano collegati ad una
diminuzione della quota del reddito dei lavoratori.

Perché un aumento dei risparmi possa avere un effetto sulla bilancia commerciale non
deve essere dovuto ad un aumento del reddito ma ad una modificazione del tasso di
risparmio. Se fosse dovuto ad un aumento del reddito (i risparmi secondo la teoria
tradizionale sono proporzionali al reddito) ci creerebbe anche un aumento dei consumi.
Aumentando i consumi aumentano anche le importazioni e il risultato sulla bilancia
commerciale è incerto. Invece, se l’aumento è dovuto ad un innalzamento del tasso di
risparmio, la bilancia commerciale migliora.

Nel prossimo capitolo saranno analizzate più in profondità le conseguenze di risparmi


così elevati sia per quanto riguarda la bilancia commerciale sia per quanto riguarda
l’equilibrio macroeconomico.

2.3 Investimenti
Se dei risparmi eccessivi possono essere causa di un surplus commerciale, allo stesso
modo, tornando all’Equazione 1.3.1, lo possono essere degli esigui investimenti.

16
Il Grafico 2.3 mostra l’andamento degli investimenti in Germania in rapporto al PIL.
Partendo da un livello di 24% nel 1990 si è passati al 19% del 2005, valore che si è
stabilizzato negli anni successivi attorno al 20%. Questo tasso è uno tra i più bassi in
Europa e come scrisse Jacoby, è principalmente dovuto a scelte politico-fiscali del
governo con la finalità di ridurre l’imposizione fiscale sulla produzione e quindi favorire
l’esportazione (Jacoby 2017). Inoltre, questo calo è stato influenzato anche dalla crescita
dell’età della popolazione tedesca. Tra le maggiori economie, solo Giappone e Italia
hanno una demografia simile (Jacoby 2017).

Si ritiene che gli investimenti in Germania abbiano raggiunto un livello soddisfacente


perché non ci sono prove che dimostrino possibilità di investimento non sfruttate (Beck e
Kotz, 2017). Inoltre gli investimenti non possono essere la causa del surplus poiché tra il
2001 e il 2016 il loro valore è rimasto pressoché costante, mentre, tra gli altri paesi indicati
dagli autori (Francia, Italia, Regno Unito e Stati Uniti), nei quali non è avvenuta
un’esplosione del surplus commerciale, solamente in Francia non si è assistito ad una
diminuzione degli investimenti (Beck e Kotz, 2017).

Al contrario sono aumentati gli investimenti all’estero. Attualmente risulta più


conveniente investire all’estero a causa delle prospettive di invecchiamento della
popolazione tedesca. Gli investimenti all’estero sono diventati talmente elevati da essere

Grafico 2.3 Investimenti in Germania come percentuale del PIL (1990-2016)


30%
Investimenti in percentuale del PIL

25%

20%

15%

10%

5%

0%
1996

2008
1990
1991
1992
1993
1994
1995

1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007

2009
2010
2011
2012
2013
2014
2015
2016

Anno

Fonte: OECD 2018c

17
una parte importante del surplus commerciale, il reddito derivante ha raggiunto nel 2016
l’1,7% del PIL (Beck e Kotz, 2017).

Nonostante gli investimenti siano parte fondamentale per la presenza di un surplus ritengo
che in questo caso la situazione della Germania non sia dovuta a bassi investimenti. Nel
prossimo capitolo riporterò alcune opinioni riguardo a dove la Germania potrebbe
investire di più ma è innegabile che negli ultimi anni il livello degli investimenti sia
rimasto costante nonostante sia aumentato considerevolmente il divario tra importazioni
ed esportazioni.

2.4 Tasso di cambio reale


Nel Paragrafo 1.2 ho descritto la condizione di Marshall-Lerner ma non ci sono prove che
questa sia valida (Bahmani et al. 2013). Questo però non significa che non si possa
ragionare come se lo fosse perché le elasticità delle importazioni e delle esportazioni
variano nel tempo e da paese a paese. D’altro canto, ci sono altri autori che ritengono
soddisfatta la condizione (Boyd et al. 2001). Questi autori hanno trovato dei risultati
significativi che mostrano la validità della condizione nel lungo periodo, risultati che non
sono stati presi in considerazione nell’articolo precedentemente citato. Nella mia tesi
alcune assunzioni si baseranno sull’idea che questa possa essere ritenuta vera ma queste
affermazioni dovranno essere prese con cautela.

Grafico 2.4.1 Tasso di cambio reale tedesco, 2010=100 (1991-2016)


140

120
Tasso di cambio reale

100

80

60

40

20

0
1993

2013
1991
1992

1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012

2014
2015
2016

Anno

Fonte: The World Bank 2018b

18
Il Grafico 2.4.1 mostra l’andamento del tasso di cambio reale tra il 1991 e il 2016. Dopo
un picco raggiunto nel 1995, il tasso è diminuito raggiungendo i minimi degli ultimi anni
anche se negli ultimi anni questo è rimasto abbastanza costante. Attualmente, secondo le
ricerche di Sinn, è molto sottovalutato minando le possibilità concorrenziali degli altri
paesi (Sinn 2014). L’Equazione 1.2.2 indica le possibili cause di questo minimo: il tasso
di cambio nominale e il rapporto tra i livelli dei prezzi. Il primo ha influenzato solamente
i rapporti con gli stati all’esterno dell’unione monetaria mentre il secondo anche tutto il
resto del mondo.

Come mostra la Figura 2.4.1, il tasso di cambio nominale ha subito un percorso molto
volatile: dai primi anni 2000 fino al 2009 è aumentato fino a che un sempre maggior
intervento della BCE ha portato ad un sostanzioso calo. Si crede che l’intervento della
BCE sia un fattore fondamentale perché sostiene le esportazioni verso i paesi che non
fanno parte dell’area euro mentre frena le importazioni da questi stati (Beck e Kotz 2017).

Figura 2.4.1 Tasso di cambio nominale multilaterale dell’euro

Fonte: European Central Bank 2018

19
Per quanto riguarda il secondo fattore, Sinn dà una chiara spiegazione di quello che è
successo (Sinn 2014). Con l’unione monetaria i tassi di interesse europei si sono allineati
ad un livello comune, per molti stati più basso dei precedenti. I bassi tassi di interesse
hanno portato, nei paesi dove sono diminuiti e quindi non in Germania, a grandi quantità
di credito a basso costo e ad un aumento dei prezzi più veloce di quello tedesco (Sinn
2014). Per esempio come si può vedere dal Grafico 2.4.2., tra il 1999 e il 2013 il tasso di
inflazione spagnolo è stato praticamente sempre superiore al tasso di inflazione tedesco.

Grafico 2.4.2 Tasso di inflazione percentuale in Germania e Spagna (1999-2013)

Fonte: OECD 2018d

Tutto ciò, insieme al processo descritto nel Paragrafo 2.1, modificò il tasso di cambio
reale tedesco. Questo diminuì soprattutto tra il 1995 e il 2000, però dopo rimase pressoché
costante. Nonostante il tasso di cambio non sia diminuito ancora si è assestato su un livello
tale da essere fortemente sottovalutato rispetto al resto dell’eurozona (Springford e
Tilford 2013).

2.5 Disuguaglianze sociali


L’attitudine al risparmio varia con il variare dell’età ma allo stesso modo non sembra
essere costante all’interno della società (Skinner 1988). Inoltre ci sono fasce di
popolazione più inclini al risparmio e fasce meno. I ricchi sembrerebbero risparmiare di
più dei più poveri, un maggiore livello di reddito nella loro fascia significherebbe
maggiori risparmi (Skidelsky 2013).

20
La Germania, come moltissimi altri stati sta affrontando la crescita delle disuguaglianze.
Come scrive Pettis, le disuguaglianze, oltre ad aumentare i risparmi, hanno il potere di
aumentare la disoccupazione attraverso una riduzione dei consumi (Pettis 2013). La
Germania affrontando uno dei maggiori problemi economici mondiali potrebbe allo
stesso tempo portare ad un riequilibrio nella sua bilancia commerciale. Secondo la mia
opinione però, l’impatto delle disuguaglianze è minore rispetto a quello delle altre
possibili cause affrontate nel capitolo perché il fenomeno della crescita delle
disuguaglianze è un fenomeno mondiale, non solamente tedesco.

Tra le cause discusse in questo capitolo le principali ritengo siano state l’ascesa del livello
dei risparmi dovuto ad un aumento del tasso di risparmio e se la relazione di Marshall-
Lerner è valida il basso tasso di cambio reale. Per quanto riguarda gli altri fattori abbiamo
visto come questi abbiano mantenuto dei valori pressoché costanti nel periodo di
esplosione del surplus e quindi sembrano averlo influenzato marginalmente.

21
22
CAPITOLO III
CONSEGUENZE DELLO SQUILIBRIO COMMERCIALE
TEDESCO

3.1 Squilibri all’interno della Germania


Il dibattito sulle conseguenze del surplus commerciale deve partire dall’analisi dei
possibili danni all’economia tedesca. Se questo non crea danni all’interno della Germania,
questa potrebbe avere pochi incentivi ad intervenire per ridurlo. In questo paragrafo
cercherò di analizzare i possibili squilibri all’interno della Germania per capire se possano
essere sufficienti a spiegare un possibile intervento.

3.1.1 Deprezzamento della moneta


Uno dei primi problemi è il tasso di cambio reale molto basso (Springford e Tilford 2013).
Se da un lato questo favorisce le esportazioni e le imprese esportatrici, dall’altro
sfavorisce i consumatori e le imprese importatrici. Mentre i beni esportati costano sempre
meno, tutta la produzione che dipende dalle importazioni di fattori esterni diventa sempre
più costosa e meno conveniente. Allo stesso modo, i consumatori si trovano in una
condizione di minore ricchezza perché subiscono il rincaro dei beni importati e di
conseguenza si riduce il loro potere di acquisto.

Inoltre, la riduzione del tasso di cambio reale, se la condizione di Marshall-Lerner è


soddisfatta e a parità di altre condizioni porta ad un miglioramento della bilancia
commerciale con importanti ripercussioni nei rapporti con gli altri stati. Infatti un
miglioramento della bilancia commerciale tedesca comporta necessariamente il
peggioramento di quella degli altri paesi.

La svalutazione è sempre stata uno dei principali metodi per poter dare spinta alle
esportazioni ed è usato attualmente anche da altri stati tra i quali la Cina. Dare spinta alle
esportazioni significa offrire più posti di lavoro nel mercato nazionale perché la
produzione viene spostata dai paesi dove il prodotto viene consumato al paese esportatore.

Normalmente, gli stati che hanno il controllo della propria politica monetaria controllano
il tasso di cambio nominale attraverso l’acquisto e la vendita di titoli esteri. Dal 1999 però

23
la Germania si è unita al progetto di un’unione monetaria europea legando il tasso di
cambio e la politica monetaria agli altri paesi appartenenti all’euro.

Uno dei più famosi esempi di stati più coinvolti nella compravendita di titoli esteri per il
controllo del tasso di cambio è la Cina che attualmente detiene gran parte del debito
pubblico statunitense. Come spiega Pettis, quando lo Stato cinese vuole mantenere basso
il tasso di cambio, si impegna a scambiare il Renminbi ad un tasso di cambio minore del
suo valore. Se questo tasso è basso, significa che ci saranno molti che vorranno acquistare
il Renminbi perché il suo costo in moneta straniera, che per semplicità chiamerò dollari,
è minore del suo valore reale. Di conseguenza, la Cina avrà nelle sue casse molti dollari
ma questa moneta non ha corso in Cina e viene utilizzata nel paese da dove proviene
attraverso investimenti in titoli azionari, di debito o anche immobili (Pettis 2013).

Altrimenti, il controllo del valore della propria moneta può essere visto in un altro modo.
Se si vuole abbassare il valore della propria moneta, si deve comprare titoli esteri così da
aumentare la domanda di moneta estera e aumentarne il valore.

Alla Germania però, queste manovre sono impossibili per i suoi impegni presi con i
trattati di adesione alla moneta unica. In alternativa può agire sul tasso di inflazione in
modo da far crescere i propri prezzi meno dei propri concorrenti. Questa è stata la
direzione intrapresa per deprezzare. Con alcuni accordi tra imprese, lavoratori e lo stato
la crescita dei salari è stata limitata in modo tale da bloccare l’inflazione. Anche questa
politica però ha avuto effetti negativi: il potere di acquisto dei lavoratori è diminuito e
sono aumentate le disuguaglianze.

Il processo di deprezzamento oltre ad avere le conseguenze interne appena descritte


influenza soprattutto gli stati esteri con conseguenze nel mercato dei capitali. Queste
conseguenze verranno discusse nel Paragrafo 3.2.

Per porre fine a questi problemi i salari dovrebbero essere liberi di aumentare facendo
crescere anche l’inflazione. Attualmente, secondo Sinn, il tasso di cambio reale tedesco è
sottovalutato del 20%, così tanto che per raggiungere il valore normale ci sarebbe bisogno
di un tasso di inflazione pari al 4,1% per 10 anni (Sinn 2014). I calcoli tengono conto
anche del riallineamento degli altri paesi dell’eurozona i quali in alcuni casi dovrebbero

24
avere un’inflazione negativa per periodo altrettanto lungo. Se non si ricorresse a misure
deflazionistiche l’inflazione in Germania dovrebbe essere del 5,5% mentre nell’eurozona
del 3,6% un valore molto più alto dell’attuale obiettivo del 2%. Tutto questo sembra
impossibile possa succedere perché il compito della BCE è di mantenere la stabilità dei
prezzi (Sinn 2014).

Inoltre, c’è un secondo motivo che rende molto difficile l’attuazione di queste politiche:
la storica avversione dei tedeschi a lunghi periodi di inflazione. Nonostante siano passati
parecchi anni dal periodo dell’iperinflazione della repubblica di Weimar, i suoi danni al
tessuto economico e politico sono ancora vividi e renderebbero molto difficile la
concretizzazione di tali livelli di inflazione con i quali le famiglie tedesche perderebbero
buona parte dei risparmi accumulati in tutti questi anni.

Secondo alcuni economisti un sostegno ai salari sarebbe controproducente. In


Ordoliberalism: A German oddity? viene spiegato che un aumento generale dei salari da
parte del governo è impossibile poiché questo non ha il diretto controllo degli stipendi
(Beck e Kotz 2017). Potrebbe intervenire aumentando il salario minimo ma aumenterebbe
la disoccupazione soprattutto tra i lavoratori più qualificati. Sinn afferma che se
l’inflazione derivasse da un sostegno sia diretto sia indiretto da parte del governo ai
lavoratori si creerebbe uno shock dal lato dell’offerta aggregata che farebbe schizzare i
prezzi, ridurre l’occupazione e le importazioni (Sinn 2014).

3.1.2 Livello di investimenti


Un altro problema legato allo squilibrio tedesco è quello del livello di investimenti.

Nel 2016 il Fondo Monetario Internazionale insisteva affinché in Germania venisse


approvato un piano di investimenti più ambizioso e affermava che le recenti azioni per
promuovere gli investimenti privati, soprattutto nella rete internet, erano benvenute e
dovevano essere implementate. Bisognerebbe aumentare gli investimenti pubblici a
livello locale e quelli nelle infrastrutture dei trasporti che molto spesso sono bloccati dalla
burocrazia federale ed europea (International Monetary Fund 2016).

Non è però di questo avviso il ministero delle finanze tedesco che ritiene che sia stato
raggiunto un soddisfacente livello di investimenti e che bisogna porre molta attenzione

25
all’equilibrio del bilancio federale (International Monetary Fund 2016). Le dichiarazioni
di Fuest, sono in linea con quelle del ministro. Dal 2005 al 2016 gli investimenti sono
rimasti costanti al 20% del PIL anche a causa dell’invecchiamento della popolazione
tedesca, fatto che rende molto meno profittevole l’investimento in Germania e più
conveniente quello all’estero, nelle economie emergenti (Beck e Kotz 2017). Il surplus è
passato dal 2,4% al 7,3% in questo periodo quindi non sembra esserci un grande legame
tra investimenti e surplus. In secondo luogo, secondo Fuest, non sarebbero facili da
realizzare degli investimenti pubblici nelle infrastrutture poiché l’industria tedesca sta
viaggiando a piena capacità (Fuest 2017).

Le dichiarazioni del ministro però stridono con i fatti. Dal 2014 la Germania registra
avanzi di bilancio sempre maggiori, di sicuro ci sarebbero i fondi per un piano di
investimenti più sostanzioso. È vero che il rapporto debito/PIL nel 2016 era superiore a
quello stabilito dai criteri di Maastricht ma la situazione delle finanze tedesche è solida e
sono necessari investimenti soprattutto per aumentare la produttività. Come avverte il
FMI, la produttività nel settore dei servizi è bassa e servono misure per favorirne la
crescita (International Monetary Fund 2016).

Riassumendo sembra non esserci una grave ragione affinché ci sia un intervento tedesco
per ridurre il surplus. Il surplus permette di mantenere un basso livello di disoccupazione
anche se il potere d’acquisto dei salari è più basso. Il livello degli investimenti, come ho
scritto nel Capitolo 2, non sembra essere la causa principale dello squilibrio

3.2 Squilibri all’interno dell’Unione europea e nel mondo


Il problema tedesco è anche un problema che affligge tutto il mondo. L’economia
mondiale e soprattutto europea è molto integrata poiché siamo in un’epoca nella quale le
barriere commerciali stanno scomparendo ma allo stesso tempo la concorrenza diventa
sempre più pressante. Per esempio, se la Germania si trova in una posizione di surplus
deve esserci per forza almeno un altro paese che sia in deficit. Il mondo deve essere
globalmente in equilibrio perché è un sistema isolato nel suo complesso, cioè non
avvengono scambi con ciò che c’è all’esterno del mondo.

A livello mondiale, tra i paesi con i più grandi deficit spiccano gli Stati Uniti d’America.
Da molti anni ormai sono in deficit commerciale ma, con la nuova amministrazione

26
Trump, questa situazione ha portato a scontri internazionali. La Germania, assieme alla
Cina, è spesso accusata di attuare pratiche mercantilistiche e di danneggiare l’economia
statunitense. Trump ritiene che le esportazioni di questi paesi rovinino i corrispondenti
settori economici statunitensi in modo tale da convincerlo ad aumentare i dazi sulle
importazioni.

Attraverso le esportazioni ci si appropria di una fetta di mercato estero, molte volte si


arricchisce il mercato offrendo prodotti diversi da quelli offerti dalle imprese nazionali
ma principalmente si importa domanda di lavoro. Se uno stato esporta di più di quanto
importa, sta riducendo la disoccupazione nel proprio territorio sfruttando la domanda
estera, viceversa uno stato che importa di più di quanto esporta avrà, a parità di altre
condizioni, un tasso di disoccupazione più alto perché parte della domanda è soddisfatta
da imprese che svolgono la produzione all’estero. La Germania in pratica sta tenendo
bassa la disoccupazione a discapito dei suoi concorrenti (Pettis 2013).

3.2.1 L’esportazione dei risparmi


Parallelo ai fenomeni delle esportazioni e delle importazioni di domanda c’è quello
dell’esportazione dei risparmi. Ad un surplus commerciale corrisponde un deflusso di
capitali dovuto a risparmi superiori agli investimenti. Questo lo dice l’Equazione 1.3.1,
che afferma che quando la somma di risparmi pubblici e privati superano gli investimenti
NX è positivo.

I risparmi in eccesso vengono mandati all’estero attraverso un processo descritto


approfonditamente da Hobson. Hobson descrive i centri imperiali nei quali erano presenti
grandi risparmi dovuti a bassi consumi e dove la ricchezza era concentrata nelle mani dei
più ricchi. Questi risparmi potevano essere utilizzati per speculazione o spediti all’estero
nelle colonie. I risparmi spediti all’estero avevano un tasso di rendimento molto
profittevole e c’era la sicurezza che venissero ripagati poiché le colonie erano sotto il
controllo della madrepatria (Kruger 1955, Pettis 2013).

Non sempre però ai surplus commerciali è legato lo sfruttamento coloniale. L’esempio


più famoso è quello degli Stati Uniti nel XIX secolo. In quel periodo erano una nazione
giovane in piena espansione e avevano un grande bisogno di capitali per poter finanziare
gli innumerevoli investimenti essenziali. I risparmi del paese non erano sufficienti ed

27
erano necessari finanziamenti dall’estero. Poiché la ricchezza creata da questi
investimenti era superiore al costo dei finanziamenti, gli Stati Uniti crebbero molto
velocemente e gli stati europei che li finanziavano ebbero un rendimento superiore a
quello domestico (Pettis 2013).

Attualmente gli Stati uniti e tutti i paesi avanzati non hanno bisogno di afflussi di capitale
perché non si trovano nella medesima situazione. Al contrario questi possono essere
molto dannosi, aumentando l’indebitamento e riducendo i risparmi con aumenti dei
consumi.

L’afflusso di capitali dall’estero provoca un calo del tasso di interesse a causa


dell’aumento dell’offerta di capitale. Tassi molto bassi rendono più vantaggioso ottenere
dei prestiti e spingono il consumo e l’acquisto degli immobili. Il prezzo delle case cresce
sempre di più fino a che non scoppia la bolla, come successe in Spagna e in Irlanda negli
anni precedenti alla recente crisi con conseguenze che le portarono molto vicine al
fallimento (Conefrey e Fitz Gerald 2011).

Le decisioni che influiscono sui risparmi di un paese hanno ripercussioni anche sugli altri
paesi poiché influenzano i corrispondenti tassi di risparmio. Come scrive Pettis, non è
vero che il tasso di risparmio di un paese è dato dall’attitudine dei cittadini al risparmio,
è dato dalle politiche prese a livello centrale, per esempio quelle sulla tassazione dei
risparmi, dei consumi e del lavoro (Pettis 2013). Come ho scritto nel Paragrafo 2.2, sono
importanti anche altri fattori come la demografia della società o il contesto socio-culturale
ma non sono la parte predominante, altrimenti non si potrebbe spiegare come in periodi
diversi i paesi si trovino prima in surplus commerciale e poi in deficit o il contrario. Fuest
sostiene che i risparmi tedeschi siano dovuti all’invecchiamento della società e quindi alle
aspettative di una riduzione delle pensioni (Fuest 2017). Probabilmente questo influisce
ma non è la ragione principale perché in tutta Europa e nel mondo occidentale la società
sta invecchiando però non si assiste in molti altri paesi ad un tasso di risparmio così
elevato.

3.2.2 Surplus e crescita


Delle politiche per la spinta dei consumi come un aumento di salario dei ceti meno
abbienti, porterebbero ad una riduzione del surplus con conseguente appianamento delle

28
frizioni internazionali (International Monetary Fund 2016). Queste farebbero aumentare
le importazioni e migliorare la situazione economica internazionale. Riguardo a
quest’ultima affermazione ci sono opinioni molto contrastanti. Se da un lato Fuest afferma
che una riduzione del surplus tedesco porterebbe pochissimo aiuto alla domanda mondiale
e che maggiori importazioni potrebbero arrecare un danno agli altri paesi dell’Unione
europea (Fuest 2017), dall’altro Springford e Tilford asseriscono che un calo del surplus
porterebbe gli altri paesi dell’Europa a riappropriarsi delle quote di mercato perse dalla
Germania (Springford e Tilford 2013).

Fuest scrive che una riduzione del surplus di 2,5 punti percentuali e quindi un aumento
della domanda di 2,5 punti percentuali porterebbe ad un aumento della domanda globale
di solamente 0,1 punti visto che il PIL della Germania è solamente il 4,4% del PIL
mondiale (Pettis 2017). Per lui la Germania è un capro espiatorio. Se questo forse è vero,
come dice Pettis, non si può dire che la Germania sia un motore dell’economia mondiale.
Secondo lui gli stati motori sono quelli che contribuiscono a creare la domanda, cosa che
la Germania non sta facendo. La Germania sta assorbendo domanda a causa del suo
surplus, potrebbe diventare un contributore solamente aumentando i consumi,
diminuendo i risparmi e quindi il surplus (Pettis 2013).

3.2.3 I rapporti con l’Unione europea


Per quanto riguarda i rapporti con l’Unione europea, come dicono Springford e Tilford,
una riduzione del surplus non porterebbe solamente ad una riduzione della competitività
tedesca, ma grazie agli effetti dell’apprezzamento reale, i prodotti degli altri stati
d’Europa potrebbero rioccupare le fasce di mercato che sono state prese dai beni tedeschi
resi artificialmente meno costosi. In questo modo le economie d’Europa potrebbero
riprendersi più velocemente e il rischio di deflazione diminuirebbe (Springford e Tilford
2013).

Secondo Fuest però, con una riduzione del surplus, ci sarebbe il rischio che il tasso di
interesse aumenti e quindi il debito accumulato da questi stati diventi insostenibile (Fuest
2017). Probabilmente il tasso di interesse aumenterebbe a causa dell’aumento della
domanda aggregata ma aumenterebbe anche il loro PIL aumentando i proventi derivanti
dalle tasse. È vero che il tasso di interesse farebbe aumentare gli interessi legati al debito,
ma aumenterebbero i mezzi con cui ripagare il debito. In secondo luogo, un aumento

29
dell’inflazione farebbe diminuire il valore reale del debito e lo renderebbe più sostenibile.

Altri ritengono che il surplus non comporti alcun problema all’interno dell’Unione
europea. Secondo i dati pubblicati nel report del 2017 della Commissione europea sulla
Germania che fanno riferimento agli anni tra il 2013 e il 2016 solo il 20% del surplus è
rivolto agli altri paesi dell’area Euro mentre prima della crisi era il 60% (European
Commission 2017). In realtà, come scrivono Springford e Tilford, la quota è diminuita
principalmente a causa della diminuzione delle esportazioni verso i paesi colpiti dalla
crisi e quindi è destinata a tornare agli alti valori precedenti. Questa diminuzione non è
dovuta ad un aumento delle importazioni tedesche ed è solamente una variazione ciclica
(Springford e Tilford 2013).

Se il surplus è dannoso per l’Europa risulta importante sottolineare una differenza tra i
paesi dell’Unione europea e gli Stati Uniti: non ci possono essere barriere commerciali o
limitazioni alla circolazione dei capitali tra paesi dell’Unione europea e la Germania. Se
gli Stati Uniti vogliono limitare il deficit hanno la possibilità di imporre dazi e quote o
bloccare l’arrivo di capitali esteri, gli stati d’Europa non possono farlo. Un’importante
conseguenza è che solo gli Stati Uniti possono dare il via ad una guerra commerciale con
la Germania, gli stati europei possono solamente cercare di convincere la Germania a
cambiare politica o altrimenti cambiare politica loro stessi. Al momento la prima ipotesi
non sembra sia possibile viste le dichiarazioni del ministro delle finanze tedesche
(International Monetary Fund 2016).

Con l’arrivo dei risparmi tedeschi negli stati dell’Europa meridionali questi sono stati
costretti a scegliere tra le poche alternative menzionate da Pettis: lasciar crescere gli
investimenti portando ad una bolla immobiliare, lasciar crescere i consumi, lasciar
crescere il tasso di disoccupazione o intervenire nel commercio. Se prima della crisi
hanno potuto scegliere le prime due opzioni dopo il 2008 la scelta si è fatta più limitata a
causa del debito e della crescita dei tassi di interesse. Così, per poter essere competitivi
con la Germania sono costretti ad attuare le politiche di austerità applicate in Germania
portando ad un’ascesa della disoccupazione e calo del tasso di cambio reale. Le
conseguenze però sono peggiori per tutti poiché si afferma un equilibrio con un livello di
risparmi maggiore e un livello di consumi minore portando a maggiore disoccupazione a
livello europeo (Pettis 2013).

30
In aggiunta, Sinn scrive che gli aiuti finanziari dai paesi del Nord verso i paesi del Sud
devono finire perché, se sono stati utili ad evitare il fallimento di alcuni di essi, finanziano
gli attuali disequilibri delle bilance commerciali (Sinn 2014). Se da un lato il periodo di
austerità aiuterebbe gli stati a diventare più competitivi, potrebbe anche creare gravi danni
se non correttamente bilanciato con un processo inflazionistico al Nord. L’austerità
rischia di aggravare la probabilità di fallimento attraverso un calo dell’inflazione. Un calo
significherebbe un costo maggiore per quanto riguarda la spesa per interessi sul debito
pubblico perché diminuirebbe il potere dell’inflazione di erodere il valore del debito in
termini reali. Altri rischi poi sarebbero il calo dei consumi, dei redditi e aumento della
disoccupazione.

Un’altra ipotesi che si sta profilando con l’emergere di partiti antieuropeisti è quella
dell’uscita dall’unione europea in modo così da riacquistare la sovranità monetaria e
commerciale. In questo modo il tasso di cambio reale tedesco sarebbe forzato dal mercato
ad allinearsi con quello degli altri paesi, infatti, salvo un loro intervento nei mercati
monetari, la sua moneta andrebbe incontro ad una rivalutazione nei confronti di quella
degli altri stati europei erodendo l’artificiale competitività dei suoi prodotti (Pettis 2013).
Il danno però in questo caso sarebbe maggiore perché oltre ad un brusco calo
dell’occupazione dovuto al calo delle esportazioni ci sarebbero da sommare gli effetti
dell’uscita dall’Unione europea e dal mercato unico.

Un aumento del tasso di cambio reale si potrebbe ottenere anche rivalutando l’euro. È
quello che in parte sembra voler fare la Germania opponendosi fin dall’inizio all’utilizzo
da parte della BCE del quantitative easing, una delle cause che ha portato al
deprezzamento dell’euro (Jacoby 2017).

Il basso valore dell’euro è legato anche ad una delle accuse rivolte dagli Stati Uniti alla
Germania. Questa viene accusata di sfruttare il basso valore dell’euro per esportare in
modo massiccio (Jacoby 2017). Come ho scritto però si è opposta a questo processo che
è stato usato principalmente per far rilanciare l’inflazione in Europa. Come affermano
Springford e Tilford, un aumento del valore dell’euro non risolverebbe di molto le cose,
diminuirebbe il surplus nei confronti degli Stati Uniti ma lascerebbe intatto il problema
all’interno dell’Unione. Inoltre, gli stati dell’unione monetaria vedrebbero le loro

31
esportazioni ridursi creando gravi preoccupazioni a quelli con importanti problemi di
bilancio (Springford e Tilford 2013).

32
CAPITOLO IV
CONCLUSIONI

Come abbiamo visto, il surplus commerciale tedesco è un argomento molto recente che
suscita opinioni molto contrastanti. Risulta molto difficile anche farsi un’idea se sia
veramente un problema dal punto di vista economico o meno. La classe politica tedesca
tende a non riconoscerlo come problema mentre crea molte preoccupazioni tra gli studiosi
e i politici di altri paesi. È comprensibile che in Germania il peso di questo argomento sia
minore in quanto il bassissimo tasso di disoccupazione è legato al suo permanere e sono
minimi i danni che può creare nel paese nel breve periodo. Il motivo di questo non
riconoscimento però potrebbe essere anche politico, non sempre è facile rinunciare agli
effetti positivi di breve periodo anche se ciò comporta migliori risultati nel lungo periodo.
Altre forze politiche potrebbero trarre vantaggio di risultati ai quali non hanno contribuito.

Nel lungo periodo però, come afferma Pettis, i danni si vedranno anche in Germania
quando le bilance dei pagamenti si riequilibreranno. Per questo motivo è importante
intervenire quanto prima per ridurre i danni al minimo. Una riduzione del surplus
attraverso un aumento dei consumi farebbe aumentare la disoccupazione ma se ottenuto
attraverso una riduzione delle tasse alle classi meno abbienti, porterebbe ad un aumento
del reddito dei lavoratori (Pettis 2013).

Non significa però che la Germania debba essere il capro espiatorio di tutti i problemi
dell’economia. In Europa anche i paesi con pesanti debiti di bilancio devono attuare delle
politiche per aumentare la competitività nei confronti della Germania. Non sarà una
riduzione del surplus a far sparire tutti i debiti.

Poiché gli effetti negativi sono fondamentalmente di lungo periodo, i motivi che
determineranno il riequilibrio saranno politici. Sarà difficile per la Germania insistere
affinché gli altri stati rispettino i trattati europei se lei stessa continuerà ad essere
sottoposta ad esami approfonditi per squilibri macroeconomici. Inoltre i paesi dell’Europa
meridionale troveranno enormi difficoltà a ripagare i loro debiti se non aumenteranno le
esportazioni e se i prodotti tedeschi non lasceranno più spazio ai prodotti di questi stati.

33
Il modello di crescita basata solamente sulle esportazioni non è un modello sostenibile
nel lungo periodo. È un modello di crescita che risulta debole perché dipende dalle
performance delle altre economie e aumenta le disuguaglianze all’interno del paese e nel
mondo nel suo complesso (Jones 2009).

34
INDICE DELLE REFERENZE

Ascari, G. (2011) Lezione 19, Il mercato dei beni in economia aperta: moltiplicatore
politica fiscale e deprezzamento, disponibile:
http://economia.unipv.it/pagp/pagine_personali/gascari/macro/lezione_19.pdf
[accesso 14 Giu 2018]
Bahmani, M., Harvey, H. e Hegerty, S., W. (2013) ‘Empirical tests of the Marshall‐
Lerner condition: a literature review’, Journal of Economic Studies, 40 (3), 411-
443, disponibile: https://doi.org/10.1108/01443581311283989 [accesso 01 Feb
2018].
Beck, T. e Kotz, H. (2017) Ordoliberalism: A German oddity?, CEPR Press,
disponibile: http://carnegieendowment.org/files/Ordoliberalism_Nov22.pdf
[accesso 21 Mar 2018].
Blanchard, J., Amighini, A. e Giavazzi, F. (2010) Macroeconomics: A European
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Blankenburg, S. (2012) ‘'Mini-jobs' don't work in Germany, and they won't work in
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