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ROMÀNIA 31

2018

ORIENTALE
DIPARTIMENTO DI STUDI EUROPEI, AMERICANI E INTERCULTURALI

University Press
ROMÀNIA
ORIENTALE
Dipartimento di Studi europei,
americani e interculturali

31, 2018

2018
Rivista fondata da Luisa Valmarin
Direttrice responsabile Angela Tarantino

Comitato scientifico
R. Antonelli (Roma 1), I. Bot (Cluj-Napoca), O. Fotache (Bucarest), A.-M. Gherman (Alba Iulia), K.
Jurczak (Cracovia), M. Mancaş (Bucarest), M. Moraru (Bucarest), L. Renzi (Padova), A. Tudurachi
(Institutul de Lingvistică şi Istorie Literară “Sextil Puşcariu”, Cluj-Napoca), L. Valmarin (Roma 1),
R. Zafiu (Bucarest)

Comitato di redazione
A. Kiss, G. Seminara, G. Stabile, N. Neşu (redattrice responsabile)

Redazione
Dipartimento di Studi europei, americani e interculturali
Sapienza - Università di Roma
P. le A. Moro, 5 00185 Roma
T (06) 4991 3069
romaniaorientale@uniroma1.it

https://web.uniroma1.it/seai/?q=pubblicazioni/rom%C3%A0nia-orientale

Traduzioni dal ceco di Paolo Baiocchi


Traduzioni dal rumeno di Luisa Valmarin (Bot, Constantin) e Jessica Andreoli (Ghyka)

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Sapienza Università Editrice
Piazzale Aldo Moro 5 – 00185 Roma
www.editricesapienza.it
editrice.sapienza@uniroma1.it
ISSN 1121- 4015

Iscrizione Registro Operatori Comunicazione n. 11420 La rivista, di proprietà della


Sapienza - Università di Roma, viene stampata con il contributo dell’Ateneo

La collaborazione è subordinata all’invito da parte della rivista, sulla base di precisi metodi e
criteri di referaggio. La rivista adotta un sistema di valuta-zione dei testi basato sulla revisione
paritaria e anonima (double-blind peer review). I criteri di valutazione adottati riguardano:
l’originalità e la significa-tività del tema proposto; la coerenza teorica e la pertinenza dei rife-
rimenti rispetto agli ambiti di ricerca perseguiti dalla rivista; l’assetto metodologico e il rigore
scientifico degli strumenti utilizzati; la chiarezza dell’esposizione e la compiutezza d’analisi.
Non si restituiscono i contributi ricevuti.

In copertina: La città incantata (C. Udroiu, acquaforte).


CITTÀ STRANE
SGUARDI INSOLITI
SULLO SPAZIO URBANO

a cura di
Angela Tarantino
Indice

Premessa ix
Angela Tarantino

contributi

Alla ricerca della Bucarest perduta 3


Alessandro Zuliani

Un errabondo alla scoperta di Bucarest.


Patrick Leigh Fermor e le meraviglie della capitale romena 17
Alberto Basciani

Dalla natura all’architettura. La piazza negli insediamenti


arumeni dei monti del Pindo 31
Cătălin D. Constantin

Între sterotip și deconstrucţie. Spaţiul urban est-european


(București, Varșovia) din perspectiva poloneză contemporană 53
Kazimierz Jurczak

Most: zona off limits 65


Libuše Heczková-Kateřina Svatoňová

Costruzione e trauma. Le ferite celate delle città 87


Celia Ghyka

Roma (intra)vista da Leopardi 107


Smaranda Bratu Elian
vi Romània Orientale

Dickens e Londra. Una storia di passioni 123


Marisa Sestito

Fin de siècle a Roma: metamorfosi del mito di Roma come città


identitaria per i romeni nell’opera di Duiliu Zamfirescu 139
Alexandra Vrânceanu Pagliardini

La città e il deserto. Prolegomeni a una poetica spaziale


nella lirica di George Bacovia 157
Roberto Merlo

Grattacieli, angoli aerei e superfici in volo. La città corpo


di Chlebnikov. Qualche riflessione dai testi 173
Barbara Ronchetti

L’errance éternelle du destin juif dans Le Mal des fantômes.


Benjamin Fondane: Bucarest-Paris-Auschwitz 189
Emilia David

Ankara. La costruzione letteraria di una capitale 211


Ayşe Saraçgil

La Bucarest di Criterion 231


Giovanni Rotiroti

Trasfigurazioni parallele: Cioran e Michelstaedter,


ossia Sibiu e Gorizia 245
Mattia Luigi Pozzi

(Sotto)testi e sotterranei della città: collezionare Istanbul


da Ahmet Hamdi Tanpınar a Orhan Pamuk 259
Tina Maraucci

Un rinoceronte trascinato per le strade di Praga.


Sogni lucidi, sintomo schizofrenico e dislocazione
nella "capitale del dolore" 277
Josef Vojvodik-Annalisa Cosentino
Indice vii

Ruolo e immagine dello spazio urbano nell’opera


di Ştefan Bănulescu 305
Barbara Pavetto

Il poeta e le città di carta: paesaggi urbani nella poesia


di Mircea Ivănescu 321
Federico Donatiello

La Lupa capitolina e Mathias Rex in Piazza della Libertà.


Trasmissione indiretta 337
Ioana Bot

Orașul lumii de apoi 353


Celestina Fanella

Un libro-città: Praga magica di Angelo Maria Ripellino 371


Annalisa Cosentino

Omniprezența straniului. Imaginea Bucureștiului


în Solenoid de Mircea Cărtărescu 381
Oana Fotache

proposta di lettura
a cura di Luisa Valmarin

Un'avventura a Capri 401


Ana Blandiana

Lindenfeld, il paese che non c'è 415


Luisa Valmarin

Lindenfeld 417
Ioan T. Morar

note e discussioni

Noica e l'esempio di Descartes


Davide Zaffi 443

Biografie degli autori 461


COSTRUZIONE E TRAUMA
LE FERITE CELATE DELLE CITTÀ*

Celia Ghyka

Abstract – Starting from various definitions of violence, the article examines corre-
spondences between violence in general and its spatial manifestations. It discusses
trauma as connected to urban memory and spatial renewal of cities, focusing on the
spatial, political and social conflicts that have affected Bucharest since the major de-
structions of the city in the 1980s (the large construction site for the Civic Center) and
following through the landscape of less concentrated, yet constant spatial and social
violences that have transformed the city after the 1990s. A rereading of Bucharest
through the traumatic ways in which it has continuosly rebuilt its urban identity
may be a useful analysis tool for similar phenomena around the world – cities under
constant pressure, be it political, social, urban or real estate-related.
The study looks at violent manifestations in the city from a pluridisciplinary perspec-
tive, approaching various subjects, such as the destruction of architecture (its causes
and cumulative effects), gentrification and urban segregation, forced evictions, ur-
ban resistance. Given the tragic events that have been happening globally during the
last decades, and especially the urban world of today, a rereading of urban resilience
through the lens of trauma and the concept of spatial violence, destruction and renewal
may prove a useful tool in renegotiating the future of cities.

Keywords: Spatial Violence, Resilience, Urban Memory, Trauma, Bucharest

Și dacă asupra acestui nenorocit oraş nu ar fi trecut şi petrecut de o sută


de ori în sus şi în jos sabia, focul, apa şi cutremurul, turci, tătari şi cîrja-
lii… şi mai ales domni vitrigi cu miniştri şi favoriţi ca Veleli, Tzucala şi
Lahana, el nu ar avea nimic de rîvnit nici Vienei, nici Berlinului1.
Ion Ghica, Convorbiri economice, 1879
88 Romània Orientale

Carthaginem esse delendam2


Nella maggior parte dei casi si guarda alla storia delle città come a
una storia di costruzione; tuttavia, quando questa storia si trova sotto
il segno della distruzione, diventa una storia-maestra: come può essere
evitato il disastro, come si può imparare daccapo a costruire e andare
avanti con la propria vita. La lezione che l’umanità ha appreso dalla
distruzione di Cartagine è prima di tutto moralizzatrice: imparare dal-
le lezioni (e dalla presunzione) del passato per permettere alla vita di
fare il suo corso.
Ciononostante, guardando alla storia urbana non dal punto di vista
della costruzione, ma da quello della decostruzione, sia essa il risul-
tato di un cataclisma o di azioni umane di diversa natura, si potrebbe
prospettare un paesaggio antitetico, forse non altrettanto glorioso, ma,
certamente, interessante e esemplificativo della dinamica di sviluppo
urbana. Talvolta, l’accumulo di eventi, apparentemente minori e non
collegati tra loro, può portare a modifiche complesse e inaspettate della
forma urbana e dei sistemi di relazione sociale da essa supportati.
Cercherò quindi di guardare alla città, in particolar modo alla città
di Bucarest, non dal punto di vista della costruzione, ma da quello del-
la distruzione, intesa non solo come fenomeno isolato, che si verifica in
un dato momento e le cui conseguenze lasciano segni che devono poi
essere riparati, risanati, ma anche come forma di continuità differente,
di violenza continua, che modifica ripetutamente la vita sociale e urba-
na considerata “normale”.
Anche se architettura e città vengono osservate soprattutto in termi-
ni di costruzione, positiva, essendo l’architetto-autore un costruttore,
lo si fa sempre più spesso in un contesto edificato sullo sfondo della
distruzione di ciò che esiste per costruire ciò che verrà. C’è, dunque, un
seme di violenza alla base di ogni costruzione: la presa di possesso di
un terreno, la variazione di una condizione territoriale in meglio (nel
caso della costruzione) o in peggio (in seguito a disastri).
Sebbene apparentemente privata del suo originario senso sacrificale3,
la violenza sembra essere diventata un tema centrale del mondo contem-
poraneo, dopo un periodo d’oblio durante la Guerra Fredda: mai dopo
la Seconda guerra mondiale la violenza ha toccato l’intensità, la frequen-
za, l’assurdità, la scala globale degli ultimi anni. Nuovamente presa in
Costruzione e trauma 89

esame4 da diversi punti di vista (filosofia, scienze politiche, antropologia,


geografia, sociologia, medicina, psicanalisi), la violenza è declinata nei
suoi diversi aspetti e forme, tra i quali anche le peculiarità che acquisi-
sce nelle città. La violenza urbana è stata percepita come un fenomeno
caratteristico dell’agglomerazione e della pressione delle città contempo-
ranee, associata a delinquenza, crimine organizzato, vandalismo, sgom-
beri, e, più recentemente, alla migrazione e ai suoi effetti, specialmente
ai fenomeni sociali legati alla vita urbana.
Tuttavia, un’analisi integrativa, che guardi al contempo alla
violenza o all’aggressione sull’architettura e sullo spazio urbano e
all’aggressione nello spazio urbano e ai conflitti che genera l’urbanità
contemporanea, rappresenta un approccio originale, che sottolinea
l’urgenza di prendere in considerazione le minacce che incombono
sulla città; in generale, la violenza, in quanto fatto collettivo, non si
presenta come un mero stato eccezionale, ma si inscrive, continua,
nella forma urbana.
Una prospettiva di questo tipo dovrebbe guardare alla città e all’ar-
chitettura da diverse angolazioni: storia, studi urbani, protezione del
patrimonio, sociologia, filosofia, studi politici, geografia urbana, lette-
ratura. La delimitazione del concetto di violenza spaziale è un territo-
rio di studio nuovo, della cui urgenza, tuttavia, ci rendono consapevoli
gli eventi tragici degli ultimi due decenni (le guerre nella ex-Jugosla-
via, i conflitti in Medio Oriente, la crisi dei rifugiati, la serie di attentati
terroristici senza precedenti che hanno interessato comunità urbane ad
alta densità). L’accumularsi degli studi interessati alla relazione tra ar-
chitettura e violenza, così come la recente pubblicazione di un volume
collettivo curato da Andrew Herscher e Anooradha Siddiqui, con il ti-
tolo, Spatial Violence5 dimostra l’urgenza del tema, così come l’interesse
della comunità internazionale nei suoi confronti.
La violenza delle recenti distruzioni di alcuni siti storici di eccezio-
nale valore in Medio Oriente (Siria, Iraq)6 sembra farsi paradigma del
momento storico che viviamo. In modo ironico e, allo stesso tempo,
tragico, la lunga storia dell’iconoclastia7 torna di nuovo8, con una forza
inaspettata, nel contesto dei dibattiti globali su sostenibilità, sviluppo,
democrazia, patrimonio, ecologia, equità sociale ecc. Le parole-chia-
ve delle discussioni politiche, e la capacità del mondo accademico di
90 Romània Orientale

restare fedele al politicamente corretto sembrano essere più che mai


messe in crisi: l’oggetto della agognata sostenibilità delle città contem-
poranee rischia di scomparire velocemente.

La violenza sull’altro e il lutto dello spazio


La violenza è generalmente intesa come imposizione di una forza
sulla volontà di un altro, il cui risultato è l’alterazione dello stato inizia-
le di quest’ultimo – sia attraverso la forza fisica sia mediante l’intimida-
zione psicologica. Secondo Jean-Luc Nancy9, una definizione minima
della violenza sarebbe quella di effetto di una forza che resta esterna
al sistema dinamico o energetico su cui si impone. Tuttavia, possiamo
parlare anche di una violenza più sottile, invisibile, psicologica, etica,
politica, simbolica, che rimanda alla base strutturale della società e che
è più difficilmente identificabile (e eventualmente mitigabile) rispetto
a manifestazioni evidenti, dirette.
In questo senso, in un saggio dedicato alla violenza nel mondo glo-
bale, Slavoj Žižek10 fa una differenza sostanziale tra ciò che chiama vio-
lenza “soggettiva” e violenza “oggettiva”. Secondo Žižek, la violenza
soggettiva è la forma più visibile, quella che è perpetrata da un “agente
che può essere chiaramente identificato”: atti criminali, minacce, rivol-
te civili, conflitti internazionali ecc.; tuttavia, a sua volta, questa include
altre due forme di violenza che lo studioso definisce violenza ogget-
tiva, più generalizzata e invisibile. La prima è la violenza simbolica
implicita nel linguaggio e legata “all’imposizione di un dato universo
di significato”11 sull’altro. La seconda, la violenza sistemica, si riferisce
alle “conseguenze a volte catastrofiche del funzionamento dei sistemi
politici ed economici”12.
Questi due tipi di violenza, soggettiva e oggettiva, sono di certo in-
timamente legati, ma non possono essere osservati dalla stessa ango-
lazione: la violenza soggettiva (visibile) è da intendersi come scoppio
improvviso, manifesto, generato da uno sfondo di violenza perma-
nente e invisibile (oggettiva, secondo Žižek), stato strutturale, sorta
di “materia oscura sistemica” che potenzia e stabilizza tutti i segni
evidenti di conflitto.
Costruzione e trauma 91

Se osserviamo l’ambito dell’architettura, questo si trova in una po-


sizione ambivalente, oltremodo paradossale: da una parte agente di
una violenza fondatrice (prendere possesso di un terreno, costruire al
posto di qualcosa che già esiste, a volte strumento politico), ma anche
vittima di questa violenza, oggetto della distruzione per la ricostruzio-
ne o semplicemente vittima di circostanze catastrofiche. Nel discutere
il caso di Bucarest, tornerò su questa duplice funzione dell’architettura.
Al di là degli studi culturali e sociali o filosofici, che cercano se non
di dare senso, almeno di comprendere il fenomeno nelle sue molteplici
manifestazioni, le organizzazioni internazionali come l’Organizzazio-
ne Mondiale della Sanità o la Croce Rossa Internazionale tentano di
trovare metodi di prevenzione o riduzione degli effetti della violenza.
Gli ampi documenti come il Rapporto dell’Organizzazione Mondia-
le della Sanità13 circa la violenza in generale e il Rapporto della Cro-
ce Rossa Internazionale14 sulla violenza urbana provano a convertire
questi fenomeni in concetti operazionali, in vista dell’elaborazione di
strumenti atti a combatterla. Per quanto riguarda aggressioni a città e
ambiente, documenti analoghi di ICOMOS o UNESCO15 condannano
severamente la distruzione del patrimonio, in alcuni paesi già inqua-
drata nella categoria di crimine (Gran Bretagna).
Nel Rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (346 pa-
gine), per esempio, la violenza è definita “utilizzo intenzionale della
forza fisica o del potere, minacciato o reale, contro se stessi, un’altra
persona, o contro un gruppo o una comunità, che determini o che abbia
un elevato grado di probabilità di determinare lesioni, morte, danno
psicologico, cattivo sviluppo o privazione”16. L’accostamento della pa-
rola “potere” alla forza fisica amplifica i “confini della natura di un
atto violento ed espande la nozione convenzionale di violenza fino a
comprendere quegli atti che rappresentano il risultato di una relazione
di potere, ossia anche le minacce e l’intimidazione”17. L’utilizzo della
forza o “del potere quindi comprende l’incuria e tutti i tipi di abuso
fisico, sessuale e psicologico”18.
Traslando queste definizioni nell’ambito del costruito, le azioni vio-
lente e i loro effetti potrebbero essere tradotti in azioni su edifici e spazi:
traumatismo/ decadimento fisico (parziale o totale) o mutilazione; morte/
sparizione totale (demolizione), privazione/mancanza di manutenzione
92 Romània Orientale

(negligenza o azione volontaria), abbandono. Le manifestazioni spaziali


della violenza potrebbero, quindi, trovare un equivalente immediato in
questa definizione.
Per quanto riguarda la violenza nelle città, ciò che viene definito come
violenza urbana è generalmente associato alla violenza stradale, ai movi-
menti di rivolta, alla criminalità, alle bande organizzate, al vandalismo,
alle evacuazioni forzate, alle aggressioni dirette nello spazio urbano.
Sebbene accada nello spazio, la violenza urbana si riferisce prima di tut-
to all’azione degli uomini e alle conseguenze circonstanziate delle loro
azioni, sui loro simili. Le città sono, per eccellenza, i luoghi del conflitto,
soprattutto a causa della crescita globale e senza precedenti della popo-
lazione urbana. Secondo un recente studio delle Nazioni Unite19, il 55%
della popolazione mondiale, al momento, vive in città, la proiezione pre-
vede che si toccherà il 68% nel 2050, dunque, nel XXI secolo assisteremo a
un vero e proprio “millennio urbano” (urban millenium).
Nel definire la violenza spaziale, l’azione sullo spazio fisico della
città è una delle componenti essenziali. Quando consideriamo la vio-
lenza in relazione allo spazio e all’azione su di esso compiuta, questa è
sempre accompagnata da un rimodellamento spaziale, nella maggior
parte dei casi radicale, delle qualità topografiche o morfologiche dello
spazio. Con violenza spaziale si intendono quindi, in prima istanza,
gli effetti sullo spazio, ma anche le azioni che avvengono nello spazio,
essendo questi due fenomeni spesso legati.
Le conseguenze delle azioni violente hanno mostrato che il trau-
ma colpisce non solo gli esseri umani, ma anche, in modo diretto, lo
spazio, che viene aggredito e le cui coordinate fisiche vengono radical-
mente alterate, a volte fino alla completa distruzione del costruito. Lo
spazio è un contenitore di memorie, spaziali, pubbliche, comuni e un
garante della loro continuità. La modifica radicale dello spazio porta
con sé un mutamento delle memorie serbate nel luogo fisico. Nel caso
di alcuni eventi estremi, questa memoria spaziale può diventare a sua
volta traumatica e, perché lo spazio “guarisca”, è necessario elaborare
il lutto. In termini freudiani, la funzione del lutto è di consentire che
la sofferenza venga superata, integrata nella vita che ricomincia e che
deve proseguire. In un testo che commenta gli eventi traumatici dell’11
settembre, Edward Casey20 parla di un vero e proprio lutto del luogo:
Costruzione e trauma 93

Cominciava il lutto, non solo per le vittime umane, ma anche per le


costruzioni; non solo per le costruzioni in sé, ma anche per il luogo sim-
bolico e reale ricoperto nelle vite della gente. Il trauma era, contempo-
raneamente, tanto del luogo, quanto delle persone21.

Quindi, molto più che un memento fisico, lo spazio gioca un ruo-


lo essenziale nella conservazione della memoria collettiva. In effetti, la
distruzione delle città è stata spesso equiparata alla distruzione della
memoria, o persino alla sua cancellazione dalla storia.

Le ferite di Bucarest
Riferendosi agli ingenti danni subiti da molte città contemporanee,
Karen E.Till22 usa il termine “città ferita” (wounded city), per definire
non solo l’alterazione fisica subita dall’architettura urbana in un certo
momento, conseguenza di uno specifico disastro, quanto piuttosto il
risultato di una catena di eventi, che determinano la struttura fisica e
sociale della città. In casi di questo tipo, le città integrano in forme con-
tinue di violenza (sistemica, se facciamo di nuovo riferimento a Žižek)
episodi ripetuti, durante i quali la struttura urbana e sociale è stata
colpita, “ferita” (anche dalla propria amministrazione), episodi che di-
vengono definitori per la vita urbana in questione.
Anziché influenzate da un solo evento esteriore, queste forme di violenza
si protraggono spesso per lunghi periodi, di anni – a volte decenni – e
continuano a definire le relazioni spaziali e sociali correnti, e in questo
modo a determinare le aspettative considerate “normali”23.

Da questa prospettiva, possiamo guardare a Bucarest come a una


“città ferita”, aggredita innumerevoli volte nel corso della sua storia,
una città il cui sviluppo, negli ultimi duecento anni, è stato accompa-
gnato da una successione di eventi traumatici.
Il ritmo delle demolizioni e delle modifiche parziali degli ultimi due
decenni si inscrive nella continuità della violenza spaziale, sempre pre-
sente nella storia urbana, ma esacerbata dalle massicce demolizioni de-
gli anni ‘70-’80, con il grande cantiere del Centru Civic [Centro Civico].
La continuità delle distruzioni, i cui autori diretti sono di certo ancor più
difficilmente identificabili, è meno visibile, poiché distribuita all’interno
del territorio cittadino. Tuttavia, le azioni di costruzione, ricostruzione
94 Romània Orientale

(nella maggior parte dei casi, in nome del progresso e della moderniz-
zazione) degli ultimi decenni hanno avuto un effetto molto importante
sul costruito e sulla struttura sociale della città.
La Bucarest moderna sembra essere stata eretta sotto il segno di
disastri, tanto naturali quanto provocati. Il XIX secolo è segnato da in-
cendi e terremoti di eccezionale intensità, che sono passati alla storia,
testimonianza di distruzioni di grande proporzione del costruito: cu-
tremurul cel mare [il grande terremoto] del 180224; il forte terremoto del
1838, che ha danneggiato Hanul lui Manuc25; seguito dal più importante
incendio documentato, Focul cel mare [il grande incendio] del 184726,
che ha distrutto 12 chiese, 2.000 importanti edifici residenziali.
Nel secolo successivo, il terremoto del 1940 è considerato un mo-
mento traumatico di riferimento, definito dallo spettacolare crollo del
palazzo Carlton, a quel tempo la più alta costruzione in cemento arma-
to realizzata in Romania e, implicitamente, un simbolo del moderni-
smo. Poco tempo dopo, i bombardamenti alleati dell’aprile dello stesso
anno, poi, quelli tedeschi dell’agosto 1944, si sono lasciati alle spalle
un desolante paesaggio di rovine. Tra gli edifici colpiti si contavano la
stazione Gara de Nord, il Teatro Nazionale (successivamente demolito,
lasciando così per più di 40 anni un vuoto nel cuore della capitale),
l’Università, il Palazzo Reale e l’Atheneu Român27.
Tuttavia, a essere percepito come la più importante catastrofe na-
turale del secolo, con significati simbolici e implicazioni psicologiche
immense, è stato il terremoto del 4 marzo 1977. Il sisma ha distrutto
gran parte del centro di Bucarest, un importante patrimonio di edifici
rappresentativi per l’identità moderna della città, con 1.500 vittime a
Bucarest (ma i danni non sono stati limitati alla sola capitale).
Non poche volte nella storia, i disastri naturali hanno contribuito
alla creazione di un quadro psicologico e materiale, che ha dato a poli-
tici e immobiliaristi un pretesto per promuovere le loro priorità, e una
giustificazione per introdurre disposizioni tali da permettere la rico-
struzione della città dopo il trauma.
A questo punto è importante fare riferimento a un concetto relati-
vamente nuovo, legato all’idea di sostenibilità, ovvero alla cosiddetta
resilienza urbana. Per resilienza urbana si intende la capacità delle cit-
tà di riprendersi in seguito a disastri che mettono in pericolo tanto la
Costruzione e trauma 95

forma fisica quanto, e soprattutto, la vita urbana. Inserito, a sua volta,


come strumento quantificabile in documenti e rapporti di alcuni orga-
nismi internazionali (Organizzazione delle Nazioni Unite), il concetto
di resilienza si riferisce alla
capacità misurabile di ogni sistema urbano e dei suoi abitanti di mante-
nere la propria continuità dopo shock o tensioni, adattandosi in modo
positivo e trasformandosi in direzione della sostenibilità28.

Tuttavia, la domanda che si pongono i ricercatori interessati alla


resilienza urbana29 è in che misura questa caratteristica non si applichi
a tutte le città moderne (tranne in casi eccezionali di estinzione totale)
che sempre più spesso si confrontano30 con disastri di diversa natura
(colpite perlopiù da episodi estremi, determinati da fenomeni natura-
li: incendi, siccità, inondazioni, uragani, terremoti), e, ferma restando
questa considerazione, cosa fa sì che alcune città siano più “resilienti”
di altre, come possono essere identificati gli schemi ricorrenti che tra-
sformano questo concetto in uno strumento operativo?
Lawrence J. Vale e Thomas J. Campanella rimettono in discussione
il concetto di resilienza a partire da un ampio studio31, realizzato negli
anni ‘70 negli Stati Uniti, che analizza nello specifico la resilienza urba-
na di fronte ai disastri naturali, proponendo un modello di risposta in
quattro fasi adottato dalle città traumatizzate:
1. stato di urgenza (subito dopo la catastrofe tutti gli sforzi sono rivol-
ti a salvare vite umane);
2. fase di ripristino (sono riattivati servizi e utilità urbane essenziali:
trasporti, energia, risorse di cibo, vengono rimosse le macerie);
3. fase di ricostruzione (sostituzione delle risorse colpite con alcune
nuove e ritorno a una situazione simile o migliore di quella prece-
dente il disastro, con l’introduzione di nuovi regolamenti di costru-
zione e nuove politiche urbane ecc.);
4. ricostruzione simbolica e commemorazione; la fase più lunga, a
volte nell’ordine di decenni, e che, di fatto, segna la fine del lutto e
la possibilità di commemorazione/rimemorazione.
Se questo è lo schema tipico di risposta (con variazioni circa dura-
ta e intensità o interessi – politici e economici – che mettono in moto i
meccanismi urbani), è, di certo, interessante considerare le variazioni
locali e il modo particolare in cui queste variazioni si articolano. Quindi,
96 Romània Orientale

se all’indomani del terremoto del 1802, il principe Constantin Ipsilanti


ha ricostruito la città gravemente distrutta, migliorando la qualità delle
costruzioni (anche introducendo un controllo dei prezzi di materiale e
manodopera per arginare gli abusi), e dopo il crollo del palazzo Carlton
nel 1940 sono state imposte le prime norme anti-sismiche in ambito edi-
lizio (1943), dopo il terremoto del 1977 si è proceduto in senso inverso.
La fase di ripristino (riattivazione delle funzioni vitali) e, specialmente,
quella della ricostruzione (ricostruzione effettiva e nuovi regolamenti
per prevenire ulteriori disastri) sono stati sospese e deviate verso l’idea
di trasformare radicalmente Bucarest attraverso la costruzione di un
centro monumentale, simbolo del potere politico: il colossale progetto
del Centru Civic e della Casă a Republicii [Casa della Repubblica].
Possiamo qui fare riferimento a ciò che Naomi Klein chiama “dot-
trina dello shock”32: approfittando dello shock che segue un disastro e
della debole, se non assente, resistenza dell’opinione pubblica, concen-
trata sulle necessità immediate, il potere politico o gli interessi econo-
mici hanno la possibilità di imporre le loro priorità.
Sebbene inizialmente Ceaușescu si fosse dichiarato contrario agli
interventi demolitivi a Bucarest33 (un’eccezione di fronte ai grandi pia-
ni di sistematizzazione e costruzione di nuovi centri cittadini in molte
città della Romania e di demolizione dei villaggi), la crisi provocata dal
terremoto gli offre la possibilità di sfruttare la congiuntura: l’8 marzo,
a pochi giorni di distanza dal sisma, Ceaușescu convoca alcuni dei più
importanti architetti del tempo e chiede loro delle proposte per un nuo-
vo centro politico-amministrativo, in un primo momento da situare su
un terreno non edificato, il Centro Militare di Equitazione. Il 22 mar-
zo, però, durante la riunione successiva, i piani cambiano e la nuova
proposta di collocazione è Dealul Arsenalului (sito definitivo, ampliato
nelle fasi successive del progetto)34.
Mentre i centri di progettazione e le squadre di architetti di Buca-
rest erano concentrati sull’impellente riparazione dei danni causati dal
terremoto e sulla necessità di trovare metodi di progettazione e co-
struzione per migliorare la resistenza sismica degli edifici, Ceaușescu
sposta la loro attenzione sul suo nuovo progetto, che presupponeva la
costruzione di un nuovo centro monumentale del potere e l’abbandono
dell’impegno prioritario di trovare nuove soluzioni anti-sismiche.
Costruzione e trauma 97

La conclusione di questa vicenda ormai è storia35: dopo molte pro-


poste (15 team hanno partecipato al cosiddetto concorso, alla fine è sta-
ta scelta l’équipe di giovani professionisti guidata da Anca Petrescu) e
ulteriori modifiche al progetto in corso d’opera, un quinto (6 chilometri
quadrati) della superficie del centro storico della città è stato demolito
dopo evacuazioni forzate e arbitrarie. L’intero progetto comprendeva,
oltre alla Casă a Republicii (informalmente Casa Poporului), un monumen-
tale asse urbano est-ovest, lungo 3,5 km, che partiva dalla Casă, luogo
del Potere, e finiva in Piazza Alba Iulia. Ripetutamente messa in discus-
sione in quanto mostro36 architetturale e urbanistico, un’anomalia frutto
della mania di grandezza e delle deliranti aspirazioni di Ceaușescu, la
costruzione ha agito in questo caso come agente della violenza, le cui
vittime sono state l’architettura della città e i suoi abitanti.
Le campagne di demolizione si sono lasciate alle spalle un immen-
so paesaggio lacerato, dietro i rivestimenti monumentali di Bulevardul
Victoriei Socialismului [Boulevard della Vittoria del Socialismo] (come
si chiamava inizialmente), i resti di un tessuto urbano sfilacciato, con
abitazioni di piccole e medie dimensioni, chiese e strade continuano a
cercare di ritrovare un modus vivendi urbano.
Quanto all’ultima tappa della resilienza, quella della commemora-
zione, sembra tanto più complessa quanto più il reinvestimento della
Casă a Republicii come sede del potere, attualmente Palazzo del Parla-
mento37, e la recente costruzione della cattedrale Mântuirea Neamului
[Salvezza del Popolo] nello spazio adiacente, non fanno che riaffermar-
ne la continuità simbolica come luogo del potere.
Gli effetti del terremoto del 1977 si sono fusi e ampliati attraverso le
distruzioni che sono seguite, rendendo più complicato l’intero proces-
so di ricostruzione, prima fisica e poi simbolica.
Tutti questi eventi rappresentano un’ombra per chiunque guardi
alla storia di Bucarest con l’intenzione di identificare uno sviluppo ur-
bano positivo, continuo. Sebbene di carattere radicalmente politico, i
cambiamenti avvenuti nel 1989 non sembrano aver modificato altret-
tanto radicalmente le aggressioni a cui è sottoposta la città.
Gli ultimi due decenni e mezzo sono stati segnati a loro volta da una
sottile, ma costante violenza, evidente nella dinamica delle modifiche
spaziali della città. La situazione è dovuta, da una parte, alle difficoltà
98 Romània Orientale

della transizione tra sistemi, che si esprimono anche con la gentrifica-


zione seguita alla restituzione ai proprietari originari dei terreni e degli
immobili su di essi edificati, con conseguenze visibili sul paesaggio ur-
bano. Dall’altra, la definizione e l’implementazione della legislazione
sulla protezione del patrimonio immobiliare è stato un processo lento,
non chiaro, scarsamente applicato, nel contesto di una scarsa attenzio-
ne delle istituzioni e dell’opinione pubblica ai valori patrimoniali della
città. Queste circostanze sono state aggravate dallo stato precario di
numerosi edifici storici, associato a un’ondata di intensa speculazione,
soprattutto dopo la metà degli anni ‘90.
Il processo di restituzione delle case nazionalizzate negli anni ‘5038
ha generato una infinità di situazioni conflittuali, dimostrandosi estre-
mamente complesso tanto per gli ex proprietari (che aspettavano, a
ragione, un risarcimento per i traumi subiti durante il comunismo),
ma anche per gli attuali proprietari o inquilini dell’immobile, a loro
volta in una difficile situazione, talora senza via d’uscita. Di frequente
gli ex proprietari, nell’impossibilità di mantenere o riparare gli immo-
bili recuperati, spesso beni culturali o storici, hanno venduto le loro
proprietà a investitori interessati soprattutto al valore dei terreni e alle
speculazioni immobiliari. Detto altrimenti, una misura riparatoria il
cui scopo era di sanzionare la violenza e di permettere una riparazione
morale per gli abusi commessi nella seconda metà del secolo scorso ha
finito per avere l’effetto opposto, stimolare il conflitto.
Questo paesaggio si intensifica negli anni 2000, quando entrano sul-
la scena immobiliare le grandi società e diventa esplosiva sul finire del
2010 quando rientra in gioco la Municipalità39, che si pone più come
un agente di gentrificazione che come mediatore dei conflitti, con l’av-
vio di progetti costosi e discutibili, come nel caso dell’allargamento del
Bulevard Buzești-Berzei (2010-2014), in occasione del quale sono stati
espropriati 83 edifici, di cui 13 monumenti storici e evacuate approssi-
mativamente 1.000 persone40.
Lo stato conflittuale latente della città è stato ulteriormente accen-
tuato da un fenomeno che ha accompagnato di frequente le restituzioni
degli immobili nazionalizzati: le evacuazioni. I conflitti tra gli ex af-
fittuari/inquilini di alcuni immobili interessati dai processi di restitu-
zione si sono accentuati ulteriormente dopo il 2005. In precedenza, la
Costruzione e trauma 99

vendita diretta delle proprietà – restituite o nazionalizzate – si poteva


effettuare solo mediante complessi artifici legali, messi in atto da agenti
immobiliari o avvocati specializzati in restituzioni. Dopo il 2005, i pro-
cessi sono stati semplificati e la vendita diretta è diventata possibile;
per questo i procedimenti di evacuazione forzata di affittuari/inquilini
e l’intera riorganizzazione sociale dei residenti hanno acquisito toni
molto più violenti.
Gli edifici recuperati (che nella maggior parte dei casi fanno parte
di beni immobili storici) hanno cominciato a essere sgomberati, sebbe-
ne spesso la parte economicamente più interessante fosse il terreno e
non la costruzione. Quando le costruzioni storiche non potevano essere
agevolmente demolite, un metodo spesso adottato per liberare il terre-
no era l’abbandono della costruzione a stessa fino al raggiungimento
di un elevato stato di degradazione così da demolirla per ragioni di
sicurezza. Questa strategia è stata usata in modo ricorrente dai vecchi
proprietari o dagli immobiliaristi che hanno comprato edifici storici,
a volte anche la Municipalità se ne è servita per demolire costruzioni
storiche in suo possesso.
Le evacuazioni forzate sono uno degli aspetti più visibili della vio-
lenza spaziale e generano una catena di conseguenze. La popolazione
evacuata si trova di solito in una situazione materiale e sociale molto
precaria, dal momento che viveva in quegli immobili a causa delle di-
slocazioni coatte degli anni ‘80 e non aveva soluzioni locative alternati-
ve. Inoltre, lo Stato non prevede nessun tipo di soluzioni in questi casi.
La situazione tipica è quella dei recuperi di terreni e edifici espropriati
a seguito della nazionalizzazione, la vendita a promotori che desidera-
no investire in campo immobiliare, quindi l’evacuazione forzata degli
affittuari. Come anticipato, i proprietari sono a loro volta spesso vitti-
me di ingiustizie precedenti che aspettano di essere compensate. Dal
momento che lo Stato non si è assunto il ruolo di mediatore o di cusci-
netto sociale, tutti questi fenomeni descrivono un paesaggio conflittua-
le, a volte di grande intensità, che contribuisce a ciò che ho definito in
precedenza violenza spaziale.
L’intensità e la ricorrenza dei fenomeni descritti (abbandono, eva-
cuazione, degradazione, demolizione) fa sì che essi possano essere in-
clusi nella categoria della violenza spaziale. La loro specificità, ovvero
100 Romània Orientale

la gentrificazione attivata tanto da attori locali quanto da progetti co-


munali, ha contribuito alla scomparsa accelerata di una parte impor-
tante del costruito, supporto per la coesione urbana e sociale.
L’erosione permanente e diffusa del patrimonio immobiliare, associa-
ta a episodi di intensa violenza spaziale possono essere letti come una
combinazione di violenza oggettiva (generalizzata, continua), e sogget-
tiva (scoppi improvvisi), per usare i termini di Žižek. Di nuovo, l’archi-
tettura è contemporaneamente vittima della violenza (le demolizioni per
costruire il nuovo Centro, le distruzioni patrimoniali intervenute dopo il
1990) o suo agente (il progetto della Casa della Repubblica o nel periodo
post-socialista, i progetti di costruzione gestiti da grandi società, i progetti
urbani di rigenerazione portati avanti dalla Municipalità).

Un mondo comune
La necessità della durevolezza, ovvero di uno sviluppo che rispon-
da ai bisogni del presente senza compromettere la capacità delle ge-
nerazioni future di rispondere ai propri, è un tema che si è fatto spa-
zio nell’agenda pubblica internazionale in seguito al noto Rapporto
Brundtland41 del 1987. Nel 1999, il Summit della Terra di Rio, svoltosi
sotto l’egida delle Nazioni Unite, ha ufficializzato la nozione di svi-
luppo, definendolo, sulla base di tre componenti di base (economica,
ecologica, sociale), uno sviluppo economicamente efficace, socialmente
equo e sostenibile. La dichiarazione di Toledo è il documento politi-
co più citato in relazione al tema dello sviluppo. Adottata nel giugno
del 2010 dai ministri dello Sviluppo Urbano dell’Unione Europea, la
dichiarazione sottolinea esplicitamente la necessità di promuovere tra-
sporti e efficienti (scoraggiando quindi il trasporto privato nei grandi
agglomerati urbani).
Nel caso di progetti di grandi dimensioni e, soprattutto, di proget-
ti di riqualificazione urbana (così com’è stato per il Bulevard Buzești-
Berzei, progetto i cui effetti sulla città continuano a vedersi), le contrad-
dizioni tra le definizioni e l’attuale modo di intendere l’idea di sviluppo
durevole saltano agli occhi. Il modello europeo (sempre più globale)
di una città durevole si riferisce alla rigenerazione (non all’alterazio-
ne o alla modifica radicale) del tessuto urbano e sociale, alla priorità
Costruzione e trauma 101

dei trasporti in comune su quelli privati, all’organizzazione di dibattiti


pubblici, all’informazione data a cittadini su benefici e sacrifici imposti
dallo sviluppo urbano, e, non ultimo, sulla consapevolezza dei costi
sociali di evacuazione, ricollocazione e espropriazione.
In Europa, oggi, l’approccio alla sostenibilità è prima di tutto orien-
tato alla conservazione del patrimonio inteso come risorsa di sviluppo
ma anche alla mescolanza e all’inclusione sociale che sono garanzia di
continuità storica e urbana.
Proprio come ricordavo prima, al concetto di sostenibilità urbana
si sono associati quelli di vulnerabilità e resilienza. Una città resiliente
è una città capace di fare fronte alla crisi (al contrario di una città vul-
nerabile) e di adattarsi ai cambiamenti. La resistenza in caso di crisi e
shock è tanto più elevata quanto più l’urbano nella sua interezza (tes-
suto, infrastrutture, reti urbane, architettura, ma anche struttura socia-
le) risulta vulnerabile. Gli studi sociali42 hanno già evidenziato come la
continuità urbana sia garantita dalla continuità sociale. Se la struttura
sociale crolla con il trasferimento degli abitanti, il quartiere e lo spazio
di prossimità abbandonato hanno molte meno possibilità di ricrearsi,
di recuperare la coesione, e da ultimo, l’urbanità perduta.
Attualmente la questione della resilienza si trova al centro dell’in-
teresse pubblico anche per il modo in cui è continuamente discussa e
rinegoziata, messa in crisi e recuperata. Soggetto e oggetto dello spazio
pubblico, la città (insieme alle persone che vi abitano) è una forma di
memoria collettiva, la sola in grado di impedirci di diventare irricono-
scibili. O, per citare Vita activa. La condizione umana di Hannah Arendt,
L’organizzazione della polis, garantita fisicamente dalle mura attorno
alla città, e formata in base alle sue leggi – affinché il succedersi delle
generazioni non la trasformasse fino a renderne irriconoscibile l’identi-
tà – è una specie di organizzazione della memoria.
Il mondo comune (…) è ciò che noi abbiamo in comune non solo con
quelli che vivono con noi, ma anche con quelli che c’erano prima e con
quelli che verranno dopo di noi43.

L’ideatore del concetto di memoria collettiva, Maurice Halbwachs44


avvertiva più di settanta anni fa che la memoria collettiva si può con-
servare solo quando può essere ricostruita, ri-portata alla superficie
percepibile, riconosciuta. Anche la discussione sulla città come locus
102 Romània Orientale

della memoria collettiva non è nuova: già negli anni ‘60, Aldo Rossi45
metteva in discussione i famosi luoghi della storia della città europea
per discutere la loro continuità nel tempo. Se intendiamo leggere la
città in chiave di memoria collettiva (garantita da visibilità e possibi-
lità di accadimento), la sua continuità sociale e culturale è conservata
e tutelata dalla resistenza di forme urbane, dalla possibilità della sua
comparsa in strati sovrapposti della città e dal suo condensamento in
frammenti di architettura e città.
Per Bucarest, la parola sostenibilità (che include la resilienza) è
ancora priva di contenuto e significato: serve soprattutto alla retorica
usata per l’accesso ai fondi (europei e governativi) e meno per l’appli-
cazione di una strategia di conservazione della città. Sebbene ancora
non sufficientemente visibili, le modifiche del costruito sono ampie, e
il pericolo della scomparsa di intere aree è incombente.
Ritornando a Convorbirile economice di Ion Ghica (1879), anche se
scritto quasi 150 anni fa, l’attualità del paesaggio descritto è suggestiva:
corruzione, interessi meschini, incapacità amministrativa e infine indif-
ferenza di fronte allo spazio comune della città
Ce să facem? îmi zicea mai deunăzi cineva, nu este remediu la aceasta;
fiindcă unul sub pretext că își schimbă ușile și ferestrele, își rezidește
bucată cu bucată casa care cădea, așezând-o tot pe temeliile cele vechi;
deși aceasta este în contra prescripțiunilor foarte precise ale legii pentru
alinierea și lărgirea stradelor.
Poliția vede și tace, pentru că proprietarul este deputat din majoritate
și trebuie cruțat; altfel domnia sa se mânie, și te pomenești că votează
în contra voințelor ministeriului. Un altul, sub cuvânt că are să spoiască
și să zugrăvească, trage o predea de scânduri, din dosul căreia își face
casă nouă. Municipalitatea vede și tace. Ce să facă? Proprietarul este
alegător, și de nu i s-ar face pe plac, te pomenești că la alegeri se duce
de-și dă votul candidatului opozițiunei. Altul, deși zidește din temelie,
mai scoate o burtă în uliță, căci el este rudă, amic, asociatul vreunui
ministru, sau al vreunui Camerist și caută să profite de împrejurări46.
[Cosa fare? Qualcuno mi ha detto una volta che non c’è un rimedio a
questo; perché uno con il pretesto di cambiare porte e finestre, ricostru-
isce un pezzo dopo l’altro la casa che cadeva a pezzi, sulle vecchie fon-
damenta; sebbene questa non risponda alle prescrizioni molto precise
delle leggi per la sistematizzazione e l’ampliamento delle strade.
La polizia vede e tace, perché il proprietario è un deputato di maggio-
ranza e deve essere lasciato in pace; altrimenti sua eminenza si inalbera
e forse potrebbe votare contro il volere del ministero. Un altro, dicendo
Costruzione e trauma 103

che deve intonacare e dipingere, porta una quantità di legna tale da poter
costruire un’altra casa. La Municipalità vede e tace. Che fare? Il proprie-
tario è un elettore e a infastidirlo probabilmente alle elezioni darebbe
il voto al candidato dell’opposizione. Un altro, sebbene stia costruendo
dalle fondamenta, visto che è parente, amico, conoscente di un ministro
o di un membro della Camera, cerca di approfittare delle circostanze].
104 Romània Orientale

Note di chiusura
* Parti di questo testo sono parzialmente riprese dal volume București. O cartografie
a violenței spațiale elaborato nell’ambito del progetto “Cultura română şi modele
culturale europene – cercetare, sincronizare, durabilitate”, cofinanziato dal Fondo
Sociale Europeo tramite il Programma Operazionale Settoriale per lo Sviluppo
delle Risorse Umane 2007 – 2013, Contratto nr. POSDRU/159/1.5/S/136077,
programma dell’Accademia di Romania.

1
“Se su questa sfortunata città non fossero passati e non si fossero abbattuti centinaia
di volte la spada, il fuoco, l’acqua e il terremoto, i turchi, i tatari e i bulgari… e
soprattutto principi legati a ministri e raccomandati come Veleli, Tzucala e Lahana,
non avrebbe avuto nulla da invidiare né a Vienna, né a Berlino”, Ion Ghica,
Convorbiri economice, Editura Librăriei Socecu & Comp., Bucureşci 1879, p. 557.

2
Citazione integrale Ceterum censeo Carthaginem esse delendam. Quest’affermazione,
attribuita a Catone il Vecchio (234-149 a.C.), sarebbe stata pronunciata nel Senato di
Roma, durante la seduta in cui si dovevano decidere le sorti della città di Cartagine
(effettivamente distrutta, come risultato della terza guerra punica, 149-146 a.C.).
L’autenticità della celebre asserzione è stata esaminata da Ch. E. Little, The Classical
Journal, 29, 6, 1934, pp. 429-435.

3
In un celebre saggio, René Girard analizza la profonda relazione tra sacrificio e
vittima a partire dallo studio delle tragedie antiche e dei miti fondatori, costruiti
sempre a partire da una violenza originaria. René Girard, La violence et le sacré,
Grasset, Paris 1972.

4
A un secolo di distanza dalla pubblicazione del testo di Freud Totem und Tabu
(1913) e a circa cinquant’anni da quando René Girard rimetteva in discussione
il problema della violenza dal punto di vista ritualistico (vedi sopra), l’interesse
per questo tema torna in primo piano tra i ricercatori nell’ambito delle scienze
umanistiche.

5
Spatial Violence. Studies in Architecture, coordinato da A. Herscher, A.I. Siddiqi,
Routledge, Oxford, 2017. Nel 2014-2015, quando ho tentato di definire la violenza
spaziale nell’ambito del progetto post-dottorale finanziato dall’Accademia di
Romania già citato, non ero ancora a conoscenza delle preoccupazioni espresse
in merito dai due ricercatori americani; i risultati della ricerca, pubblicati due
anni più tardi nel volume sopra menzionato, hanno confermato la necessità di
uno studio di questo tipo. Di seguito i rimandi ad altre ricerche incentrate su
particolari manifestazioni di violenza e sul loro legame con città e architettura:
B. Kenzari (coord.), Architecture and Violence, ACTAR, Barcelona/New York 2011;
Andrew Herscher, Violence Taking Place: The Architecture of the Kosovo Conflict,
Stanford University Press, Stanford 2010; Joan Oackman (ed.), Out of Ground Zero:
Case Studies in Urban Reinvention, Prestel Pub, New York 2002; Mike Davis, Ecology
of Fear: Los Angeles and the Imagination of Disaster, Vintage Books, New York 1999;
Nan Ellin, Architecture of Fear, Princeton Architectural Press, New York 1997.

6
Il comitato del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO elenca 54 siti protetti in
pericolo, cfr. https://whc.unesco.org/en/danger/ (sito consultato il 30 luglio 2018).

7
Per una pregevole storia sull’argomento cfr. Alain Besançon, L’image interdite.
Une histoire intelectuelle de l’iconoclasme, Fayard, Paris 1994.
Costruzione e trauma 105

8
Dario Gamboni esamina la relazione tra arte e distruzione nella modernità
nel volume The Destruction of Art: Iconoclasm and Vandalism since the French
Revolution, Reaktion Books, Londra 1997. Nell’introduzione, lo storico dell’arte
si chiede in che misura l’affermazione fatta nel 1973 da Martin Warnke, secondo
la quale “le condizioni che hanno legittimato l’iconoclastia per millenni sono
oggi superate”, possa ancora essere valida, specialmente alla luce di una nuova
ondata iconoclasta seguita ai grandi cambiamenti globali post ‘89. Secondo
Gamboni, l’aggressione contro l’arte può acquisire un valore euristico, nella
misura in cui l’autonomia artistica è una costruzione storica e storiografica,
sottoposta a cambiamenti di senso e valore.
9
J.-L. Nancy, Image et violence, in Le portique, 6, 2000, testo disponibile al sito http://
leportique.revues.org/451 [consultato il 30 luglio 2018].
10
Slavoj Žižek, Violence. Six Sideways Reflections, Picador, New York 2008.
11
Ivi, p. 2.
12
Ibidem.
13
World report on violence and health, E. Krug et al (coord.), World Health
Organization, Geneva 2002; tr. it. Quaderni di sanità pubblica, Violenza e salute
nel mondo. Rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Parte prima),
traduzione a cura di Elena Fossati, CIS Editore, Milano 2002. Le citazioni sono
riprese dalla versione italiana [NdT].
14
Urban violence, in International Review of the Red Cross, 878, 2010, disponibile al
sito: https://www.icrc.org/en/international-review/urban-violence, [consultato
il 30 luglio 2018].
15
Il Comitato che si occupa del Patrimonio mondiale dell’UNESCO.
16
Quaderni di sanità pubblica…, p.21.
17
Ibidem.
18
Ibidem.
19
World Urbanization Prospects. The 2018 Revision, United Nations, testo disponibile
al sito: https://esa.un.org/unpd/wup/Publications/Files/WUP2018-KeyFacts.pdf,
[consultato il 30 luglio 2018].
20
Edward Casey, Public Memory in Place and Time, in Kendall R. Phillips (ed.),
Framing Public Memory, University of Alabama Press, Tuscaloosa, pp. 17-44.
21
Ivi, p. 40.
22
Karen E.Till, Wounded cities: Memory-work and a place-based ethics of care, in Political
Geography, 31, 2012, pp. 3-14.
23
Ivi, p.6.
24
In base ai calcoli successivi alla ricostruzione, sembra si sia trattato del più forte
terremoto avvenuto a Bucarest (7,5/7,8° della scala Richter). Cfr. Gheorghe
Parusi, Cronica Bucureștilor, Compania, București 2005, p. 110.
25
La locanda di Manuc. Si tratta della più antica locanda di Bucarest [NdT].
26
Gh. Parusi, Cronica…, p.167-175.
27
Ivi, pp. 225-228.
28
Testo disponibile al sito: http://urbanresiliencehub.org/what-is-urban-resilience/,
[consultato il 30 luglio 2018].
29
Lawrence J. Vale-Thomas J. Campanella (eds), The Resilient City. How Modern
Cities Recover from Disaster, Oxford University Press, Oxford 2005.
106 Romània Orientale

30
Un recente rapporto dell’ONU sull’habitat (UN-Habitat) indica che solo nel
2016 metà del pianeta è stato colpito da calamità naturali (108 paesi e territori),
cfr. Annual Statistics Disaster Review, 2016, testo disponibile al sito: http://
urbanresiliencehub.org/facts-and-figures/, [consultato il 30 luglio 2018].
31
J. Eugene Haas-Robert W. Kates-Martyn J. Bowden (eds), Reconstruction following
Disaster, MIT Press, Cambridge (Massachussets) 1977.
32
Naomi Klein, The Shock Doctrine. The Rise of Disaster Capitalism, Knopf Canada,
Toronto 2007.
33
Nelle sue memorie, l’architetto Constantin Jugurică racconta che nel 1975
Ceaușescu si oppose alle proposte di sistematizzazione del sindaco Gheorghe
Cioară, dimostrando un atteggiamento inaspettatamente protettivo nei confronti
del patrimonio. Cfr. Constantin Jugurică, Memoria carnetelor cu însemnări.
Bucureștiul cutremurat 1977-1989, Arhilibra, București 2012, p. 36.
34
Ivi, p. 38-39. Constantin Jugurică rimarca come tra i due momenti sembra che sia
stata suggerita a Ceaușescu l’idea di un’operazione urbana che investisse Dealul
Arsenalului di una dimensione civico-monumentale, a partire da alcuni principi
urbanistici presenti già nel piano di sistematizzazione della capitale del 1935.
35
La letteratura relativa alla distruzione di Bucarest durante le operazioni di
costruzione del Centro Civico è molto ricca e continua ad aumentare. Vorrei
ricordare, oltre le già citate memorie dell’architetto Jugurică, coinvolto di
persona nell’intero progetto, il volume di Ioana Iosa, Bucarest. L’emblème d’une
nation, Presses universitaires de Rennes, Rennes 2011, una delle sintesi più
complete su questo tema.
36
Doina Petrescu, The People’s House, or the voluptuous violence of an architectural
paradox, in N. Leach (ed.), Architecture and Revolution. Contemporary perspectives
of Central and Eastern Europe, Routledge, New York & Londra 1999.
37
Camera dei Deputati dal 1994 e Senato dal 2004.
38
La prima legge relativa alla restituzione delle case nazionalizzate negli anni ‘50
(112/1995) è stata un compromesso: nel promettere ai vecchi proprietari rimborsi
economici, permetteva agli attuali occupanti di comprare le abitazioni in cui
vivevano direttamente dallo Stato.
39
Riservata o direttamente assente nel periodo precedente.
40
Cfr. Mirela Duculescu (coord.), Cui i-e frică de cartierul Matache? Simetria,
București 2012.
41
Commissione Mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo, istituita per iniziativa del
ministro norvegese Gro Harlem Brundtland.
42
Tra i primi sociologi a occuparsi della questione, Jane Jacobs, The Death and Life
of Great American Cities (1961), Vintage Books, New York 1992.
43
Hannah Arendt, Vita activa. La condizione umana, Bompiani, Milano 2005, p. 145.
44
Maurice Halbwachs, La mémoire collective (1950), Albin Michel, Paris 1997.
45
Aldo Rossi, L’architettura della città (1966), Quodlibet, Macerata 2011.
46
Ion Ghica, Convorbiri economice…, p. 420.

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