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La dinamica delle integrazioni

regionali latinoamericane
Casi e materiali
a cura di
Michele Carducci e Pablo Riberi

G. Giappichelli Editore – Torino


La dinamica delle integrazioni
regionali latinoamericane
Casi e materiali
La dinamica delle integrazioni
regionali latinoamericane
Casi e materiali

a cura di
Michele Carducci e Pablo Riberi

G. Giappichelli Editore – Torino


© Copyright 2014 - G. GIAPPICHELLI EDITORE - TORINO
VIA PO, 21 - TEL. 011-81.53.111 - FAX: 011-81.25.100
http://www.giappichelli.it

ISBN/EAN 978-88-348-7958-0

Pubblicato nel mese di gennaio 2014


presso la G. Giappichelli Editore – Torino
Indice

pag.
Avvertenza 4

MICHELE CARDUCCI
La tridimensionalità delle integrazioni regionali tra America latina ed Europa. Casi e
problemi 5

1. Il “diritto costituzionale comparato delle integrazioni regionali” 5


2. Sovranazionalità “compensativa” vs. sovranazionalità “sostitutiva” 15
3. “Gerarchie intrecciate” e “verticalizzazione” nella “materia” dei diritti fondamentali 21
4. Il “controllo di convenzionalità” come Kompetenz-Kompetenz delle integrazioni latinoamericane? 29
5. La specificità centroamericana nel suo approccio Pick and Choose 34
6. Dov’è il Judicial Branch nelle integrazioni tridimensionali? 39
6.a. L’“effetto utile” europeo 42
6.b. Judicial Branch e divieto di valutazione dei fatti di causa interni 46
6.c. Judicial Branch ed “effetti di sistema” 48
7. La funzione “costituzionale” della pregiudizialità sovranazionale 52
8. Conclusioni 56

MICHELE CARDUCCI
Schemi riassuntivi di comparazione tra Europa e America latina 59

JORGE ANTONIO GIAMMATTEI AVILÉS


El Tribunal de la Comunidad Centroamericana: su naturaleza, su competencia 64

1. Antecedentes 64
2. La Corte Centroamericana de Justicia 66
3. Naturaleza 69
3.a. Tribunal internacional regional 71
3.b. Tribunal comunitario o de la integración 71
3.c. Tribunal arbitral 72
3.d. Tribunal administrativo interior 72
3.e. Tribunal interno y Tribunal constitucional centroamericano 72
4. Su competencia 75
5. Conclusiones 75

MARÍA VERÓNICA LUETTO


El Mercosur: debilidad institucional y déficit democrático. El caso de las papeleras 79

1. El caso 79
2. Procesos de integración y relaciones interordinamentales tridimensionales 81
3. La debilidad del proceso de integración y la crisis jurídica en el caso de las papeleras 81
4. Alternativas 85
5. Conclusiones 87

Indice 1
pag.
JUAN M. MOCOROA
Justicia transicional, amnistía y Corte Interamericana de Derechos Humanos:
el caso “Gelman” y algunas inquietudes 88

1. Presentación y propósito 88
2. Justicia transicional: algunos (importantes) problemas 89
3. Las amnistías en la jurisprudencia de la Corte Interamericana de Derechos Humanos 90
4. El caso “Gelman vs. Uruguay” 91
4.1. Los hechos del caso 91
4.2. La resolución de la Corte IDH 92
5. Algunas objeciones a los argumentos de la Corte IDH 93
5.1. Democracia 93
5.2. Las amnistías y el rol del Derecho Penal 96
6. Presentación de una estrategia diferenciada y la justificación de los tribunales internacionales 99
7. Coda 102

VINCENZO LORUBBIO
La produzione/imposizione di un “linguaggio regionale comune” da parte della Corte
Interamericana dei Diritti Umani 103

1. Premessa 103
2. Il caso interamericano “Gelman vs. Uruguay” in confronto con la giurisprudenza della Corte di
Giustizia dell’Unione europea 104
3. La conformazione come obbligo interno allo Stato 105
4. La conformazione come garanzia di permanenza delle condizioni di tutela dei diritti e di rimo-
zione degli ostacoli 106
5. La conformazione come concorso congiunto di tutta l’organizzazione interna di uno Stato 106
6. Il diritto all’“ultima parola” sul rispetto di tali obblighi 107
7. Il perseguimento congiunto alla migliore protezione dei diritti 107
8. Spunti della giurisprudenza nazionale: dalla semplice “guida” alla “insostituibile” conformazione 108

LIDIA PATRICIA CASTILLO AMAYA


Conflictos constitucionales e integración regional: la CCJ y El Salvador 109

1. Introducción 109
2. Marco teórico y metodológico 112
2.a. La teoría de los formantes legales 112
2.b. El enfoque figuracional de Norbert Elias 114
3. Las sentencias de la Sala de lo Constitucional 115
3.a. Contenido de las Sentencias 116
4. Los formantes de las decisiones de la Sala 117
4.a. El formante doctrinal 117
4.b. El formante jurisprudencial 118
4.c. El formante normativo 119
5. Análisis crítico de las sentencias 120
6. El debate sobre la interpretación de la Constitución Salvadoreña y la aplicación del Estatuto de la
Corte Centroamericana de Justicia 126
7. El lenguaje en el debate público 127
8. Reflexiones finales 129
9. Conclusiones: el conocimiento como producto del proceso civilizatorio 130

Indice 2
pag.
VALERIO DE OLIVEIRA MAZZUOLI
Teoria geral do controle de convencionalidade no direito brasileiro 133

1. Introdução 133
2. O controle de convencionalidade brasileiro e a teoria da dupla compatibilidade vertical material 133
3. O respeito à Constituição e o consequente controle de constitucionalidade 143
3.1. A obediência aos direitos expressos na Constituição 144
3.2. A obediência aos direitos implícitos na Constituição 145
4. O respeito aos tratados internacionais e os controles de convencionalidade (difuso e concetrado)
e de supralegalidade das normas infraconstitucionais 149
4.1. Os direitos previstos nos tratados de direitos humanos 153
4.2. Os direitos previstos nos tratados comuns 158
5. Conclusão 160

ANNA SILVIA BRUNO


La giurisprudenza della Corte costituzionale italiana nella struttura tridimensiona-
le europea 162

1. Le antinomie tra norme italiane e CEDU, rispetto ai vincoli UE 162


2. La CEDU non è un ordinamento giuridico comparabile con la Unione europea 165
3. Alcune massime della Corte costituzionale 165
3.a. Sulla collocazione della CEDU nell’ordinamento costituzionale italiano. Corte cost. italiana
Sent. n. 348/2007 165
3.b. Sulla esclusione dell’applicabilità diretta della CEDU da parte dei giudici nazionali comuni.
Corte cost. italiana Sent. n. 349/2007 166
3.c. Sul rapporto tra giudici nazionali, Costituzione italiana e Convenzione europea sui diritti
dell’uomo dopo il Trattato europeo di Lisbona. Corte cost. italiana Sent. n. 113/2011 174
3.d. Sul rapporto tra principi fondamentali della Costituzione italiana, obblighi internazionali,
diritti fondamentali dell’Unione europea e discrezionalità del legislatore. Corte cost. italiana
Sent. n. 138/2010 167
3.e. Sul ruolo del giudice comune nazionale di fronte alla violazione della CEDU. Corte cost.
italiana Sent. n. 93/2010 168
3.f. Sui livelli di tutela dei diritti fondamentali tra Costituzione nazionale e CEDU. Corte cost.
italiana Sent. n. 317/2009 168

Gli Autori 169

Indice 3
Avvertenza

Questo volume contiene i risultati dell’attività di formazione e ricerca promossa dall’U-


niversità del Salento nell’ottobre 2012 in Argentina, insieme all’Università Cattolica di Cór-
doba, nel quadro dei programmi finanziati dal CUIA, il Consorzio Universitario Italiano per
l’Argentina.
Anche se i materiali che proponiamo sono stati rielaborati e approfonditi, essi rappresen-
tano fedelmente i contenuti dei temi discussi in classe con gli Allievi che al Corso di specia-
lizzazione hanno partecipato.
Pertanto il ringraziamento va in primo luogo al CUIA, che questa costruttiva esperienza ha
permesso di realizzare, finanziando il progetto e consentendone la pubblicazione dei risultati.
Ma con pari riconoscenza ci vogliamo rivolgere agli Studenti argentini, provenienti da diver-
se Università, che attivamente e partecipativamente hanno frequentato le lezioni e i seminari.
Questa pubblicazione è un tributo alla loro curiosità intellettuale, nella prospettiva di
una cooperazione accademica e scientifica sempre più stretta fra popoli e culture vicini e
complementari

Lecce-Córdoba, 30 dicembre 2012

Michele Carducci
Pablo Riberi

AVVERTENZA 4
MICHELE CARDUCCI

La tridimensionalità delle integrazioni regionali


tra America latina ed Europa.
Casi e problemi

SOMMARIO: 1. Il “diritto costituzionale comparato delle integrazioni regionali”. – 2. Sovranazionalità “com-


pensativa” vs. sovranazionalità “sostitutiva”. – 3. “Gerarchie intrecciate” e “verticalizzazione” nella “mate-
ria” dei diritti fondamentali. – 4. Il “controllo di convenzionalità” come Kompetenz-Kompetenz delle inte-
grazioni latinoamericane? – 5. La specificità centroamericana nel suo approccio Pick and Choose. – 6.
Dov’è il Judicial Branch nelle integrazioni tridimensionali? – 6.a. L’“effetto utile” europeo. – 6.b. Judicial
Branch e divieto di valutazione dei fatti di causa interni. – 6.c. Judicial Branch ed “effetti di sistema”. – 7.
La funzione “costituzionale” della pregiudizialità sovranazionale. – 8. Conclusioni.

1. Il “diritto costituzionale comparato delle integrazioni regionali”

La struttura tridimensionale delle integrazioni regionali rappresenta un fenomeno giuridi-


co definitivamente emerso, in tutta la sua chiarezza e complessità, soltanto in Europa, soprat-
tutto dopo il Trattato di Lisbona del 2009 e la riformulazione dell’art. 6 del Trattato
dell’Unione europea (d’ora in poi TUE) 1.
Infatti, sulla base di quell’articolo, sei caratteristiche sembrano contraddistinguerlo:
1. rapporto contestuale tra Stati, ordinamento sovranazionale di integrazione e sistema
convenzionale di tutela dei diritti;
2. conseguente tutela multilivello dei diritti fondamentali;
3. intreccio normativo e interpretativo fra ordini statali, sistema convenzionale e ordina-
menti sovranazionali di integrazione;
4. dialogo giurisprudenziale tra Corti sovranazionali e statali, con tendenziale equivalenza
di tutela dei diritti fondamentali rispetto alle fonti dei diversi ordinamenti coinvolti;
5. garanzia oggettiva di questi diritti e obbligazione oggettiva dei soggetti infrastatali al
loro rispetto, sulla base non solo delle fonti degli ordinamenti sovranazionali, ma anche del-
l’interpretazione giurisprudenziale prodotta;
6. valorizzazione delle tradizioni costituzionali comuni e delle identità degli Stati.
Il diritto costituzionale comparato delle integrazioni regionali dovrebbe dunque misurarsi
su tutti e sei questi piani, confrontando:
a) fonti;
b) interpretazioni;
c) tradizioni e identità.

1
M. Pedrazza Gorlero (a cura di), Corti costituzionali e Corti europee dopo il Trattato di Lisbona, Napoli,
Esi, 2010.

La tridimensionalità delle integrazioni regionali tra America latina ed Europa 5


Esso, inoltre, dovrebbe porre particolare attenzione al “formante” normativo, per non ac-
comunare i sistemi convenzionali con gli ordinamenti di integrazione; giacché, nei primi, il
“formante” normativo è assente, in quanto i diritti fondamentali ivi contemplati sono “senza
legislazione” e quindi si concretizzano esclusivamente attraverso l’opera della giurisprudenza
e l’interpretazione desumibile dalle sentenze sui casi concerti, mentre, negli ordinamenti re-
gionali di integrazione, un sistema di fonti, anche rudimentale, deve esistere e, di conseguen-
za, deve essere tenuto in debito conto nell’impatto che può produrre o subire sul fronte della
concretizzazione o limitazione dei diritti stessi.
Fuori dell’Europa, questa tridimensionalità così riccamente articolata si presenta solo in
modo parziale rispetto ai sei profili richiamati, a volte arricchendosi di altre dinamiche, come
per esempio la cosiddetta logica del Pick and Choose, altre volte confondendosi con fenomeni
di “Overlapping Jurisdiction”, ossia con conflitti di competenza o di giudicati tra giudici so-
vranazionali 2, altre ancora producendo effetti di “Fragmentation” del diritto internazionale, in
ragione della “pluralità” di fonti e di strumenti di tutela dei diritti umani 3, accomunati tutti da
forme più o meno simili di “Embeddedness”, ossia di “intrusività” interordinamentale degli
effetti delle giurisprudenze sovranazionali in termini di precedente giudiziale verticale – vin-
colante per i giudici nazionali – o di vera e propria fonte normativa di “validità” degli atti in-
terni agli Stati aderenti 4.
Quindi, è solo con la citata disposizione europea che la tridimensionalità risulta scandita
nitidamente nei caratteri richiamati:
“1. L’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fon-
damentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, … che ha lo stesso valore giuridico dei
Trattati. Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione
definite nei Trattati. I diritti, le libertà e i principi della Carta sono interpretati in conformità
delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e
applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che
indicano le fonti di tali disposizioni.

2
È quanto si è verificato in Africa, con l’interessantissima vicenda dell’Unione africana, dove, per elimina-
re i casi di conflitto o competizione tra giudici e giudicati sovranazionali, si è proceduto alla fusione in un’unica
Corte (la African Court of Justice and Human Rights) delle due Corti originariamente esistenti nello stesso ambi-
to regionale: la Corte sui diritti umani e dei popoli e la Corte di giustizia dell’Unione africana. Si vedano sul te-
ma i contributi in P. Pennetta (a cura di), L’evoluzione dei sistemi giurisdizionali regionali ed influenze comuni-
tarie. Atti Seminario Salerno 1-2 ottobre 2009, Bari, Cacucci, 2010. Si v. anche R. Cadin, “We have an African
Dream”: sviluppi istituzionali e giurisprudenziali del sistema africano di protezione dei diritti umani e dei popo-
li, in www.federalismi.it, Focus Human Rights, 3, 2013, nonché L. Cappuccio, A. Lollini, P. Tanzarella (a cura
di), Le Corti regionali tra Stati e diritti. I sistemi di protezione dei diritti fondamentali europeo, americano e
africano a confronto, Napoli, Editoriale Scientifica, 2012.
3
È il fenomeno della coesistenza, nel medesimo spazio di efficacia, di dinamiche di internazionalizzazione,
regionalizzazione sovranazionale e specificazione contenutistica delle tutele dei diritti umani: si vedano T. Buer-
genthal, The Proliferation of International Courts and Tribunals. Is it Good or Bad?, in Leiden J. Int.’l L., 2001,
267 ss., M. Koskenniemi, L. Pani, Fragmentation of International Law? Postmodern Anxieties, in Leiden J. Int.’l
L., 15, 2002, 553 ss., e A. Pisanò, I diritti umani come fenomeno cosmopolita. Internazionalizzazione, regiona-
lizzazione, specificazione, Milano, Giuffrè, 2011.
4
Sul fenomeno, con riguardo al contesto europeo, si v. L.R. Helfer, Redesigning the European Court of
Human Rights: Embeddedness as a Deep Structural Principle of the European Rights Regime, in Eur. J. Int.’l L.,
2008, 135. Ma la sua dinamica investe, come si vedrà nel testo, proprio le integrazioni latinoamericane, con il
cosiddetto “controllo di convenzionalità”. Una comparazione tridimensionale fra contesto europeo e contesto la-
tinoamericano, con particolare attenzione alla identificazione dei “luoghi” della certezza del diritto costituziona-
le, è stata effettuata in Italia da M.P. Larné, La protezione dei diritti umani: disposizioni costituzionali, Trattati
internazionali e giudizi di costituzionalità. Una prospettiva comparata fra ordinamenti europei e latinoamerica-
ni, Livorno, Media Print, 2010.

MICHELE CARDUCCI 6
2. L’Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo
e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell’Unione definite
nei Trattati.
3. I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei di-
ritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni
agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali”.
Per l’America latina, si potrebbe tentare l’invocazione dell’art. 28 della Convenzione ame-
ricana di tutela dei diritti umani del 1969 (o “Pacto de San José de Costa Rica”, d’ora in poi
CADH), contenente la cosiddetta “cláusula federativa”. In particolare, così recita l’art. 28 n. 3:
“Quando due o più Stati parte si accordano e si integrano reciprocamente in una fede-
razione o altro tipo di associazione, dovranno fare in modo che l’accordo comunitario corri-
spondente contenga le disposizioni necessarie affinché si rendano effettive, nel nuovo Stato
così organizzato, le norme della presente Convenzione”.
Qualsiasi processo integrativo/federativo latinoamericano potrebbe essere equiparato a un
“nuovo Stato” 5 e, in ragione di questo, vedersi vincolato, come patto comunitario sovranazio-
nale, alla CADH: e questo non in virtù di specifiche previsioni dei Trattati integrativi, ma
piuttosto per effetto “transitivo” degli Stati, sottoscrittori della Convenzione, e delle loro Co-
stituzioni, contenenti clausole “aperte” verso la CADH 6. L’esito, di riflesso, sarebbe quello di
disegnare una sorta di triangolo con al vertice appunto la CADH.
Si vedrà più oltre come questa ipotesi non superi la prova della prassi e delle interpretazioni.
Sin da subito, però, va chiarito che non è la triangolazione verticalizzante il disegno trac-
ciato dall’art. 6 TUE. La lettura dei suoi tre commi qualifica in modo “circolare” la conforma-
zione tridimensionale dell’integrazione regionale, spiegando che:
a) la tridimensionalità si realizza solo nell’ambito di tutela dei diritti fondamentali;
b) opera nell’intreccio normativo e interpretativo fra ordinamenti statali, presidiati dalle
loro Costituzioni per il tema della tutela di quei diritti, Convenzioni regionali sui diritti umani
(per l’Europa, la Convenzione europea per la salvaguarda dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali del 1950, d’ora in poi CEDU), cui quegli Stati aderiscono, ordinamenti sovrana-
zionali creati da Trattati di integrazione regionale (per l’Europa, l’Unione europea, d’ora in
poi UE) 7, cui sempre quegli stessi Stati partecipano per finalità che finiscono comunque col
coinvolgere diritti (come dimostra proprio la cinquantennale esperienza europea) 8;

5
Non sembri una forzatura il nesso richiamato, quanto meno perché in America latina teorizzazioni ed
esperienze di integrazione/federazione conoscono percorsi originali, non del tutto riconducibili alle classificazio-
ni del costituzionalismo euro-nordamericano. Cfr. in merito, C.J. Bruzón Viltres, Confederación de Estados e
intergacion regional en América latina, 2009, in http://www.eumed.net/libros-gratis/2009c/573/index.htm, e
l’Anuario de la Integracion Regional de América latina y el Gran Caribe, scaricabile dal sito www.cries.org.
6
Tra l’altro, è interessante constatare che, nella Resolución de la Corte Interamericana de Derechos Humanos
del 30 marzo 2006, “Medidas Provisionales Caso de las Penitenciarías de Mendoza”, si è dichiarato che l’assenza
di dialogo tra strutture federative di un Stato non deve costituire ostacolo agli adempimenti previsti dalla CADH,
come già affermato anche in “Garrido y Baigorria vs. Argentina” (Sent. 27 agosto 1998, Serie C, n. 39, par. 46).
Tale giurisprudenza, tuttavia, è riferita sempre e comunque agli Stati, dotati di personalità giuridica internazionale e
formalmente aderenti alla CADH; nulla dice sul fronte del rapporto giuridico tra CADH e integrazioni regionali so-
vrastatali in quanto tali né su quale fondamento giuridico, sovranazionale o internazionale, consenta di predicare la
sottomissione dell’organizzazione regionale alla Convenzione, nonostante il silenzio dei Trattati istitutivi.
7
Come scrive J.H.H. Weiler, Diritti umani, costituzionalismo ed integrazione: iconografia e feticismo, in
Quad. Cost., 2002, 536 ss., sulla Cedu: non una forma di organizzazione dei poteri né di fonti, ma un sistema di
tutela da e per gli Stati, al contrario della UE, che invece identifica una vera e propria “forma di governo”.
8
Pertanto, la tridimensionalità, descrivendo un fenomeno specificamente circoscritto alla tutela dei diritti

La tridimensionalità delle integrazioni regionali tra America latina ed Europa 7


c) in virtù del richiamo che l’art. 6 TUE fa alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea (d’ora in poi “Carta di Nizza”) in termini di fonte primaria della UE (ovvero con lo
“stesso valore giuridico dei Trattati”), essa si allarga ai “diritti riconosciuti dalla giurispru-
denza della Corte di giustizia delle Comunità europee e da quella della Corte europea dei di-
ritti dell’uomo” 9, attivando così il dialogo giudiziale tra due Corti sovranazionali e dunque
presupponendo l’“equivalenza” di tutela fra Convenzioni regionali sui diritti umani e Trattati
di integrazione regionale;
d) in ragione del fatto che la CEDU, diversamente dai Trattati di diritto internazionale di
tipo classico, esorbita dal quadro della semplice reciprocità tra gli Stati contraenti, essa si fon-
da su obbligazioni oggettive che beneficiano di una “garanzia collettiva” attraverso sia il dirit-
to giurisprudenziale regionale (come “diritto costituzionale comune” frutto delle interpreta-
zioni non solo della Corte di Lussemburgo UE, ma anche della Corte di Strasburgo CEDU) 10
sia il diritto ordinamentale regionale (come “diritto costituzionale generale” di tutte le fonti
prodotte dagli organi non giudiziali dell’Unione europea);
e) si inserisce nella demarcazione tra diritto costituzionale “generale” (o “politico”) e di-
ritto costituzionale “comune” (o “culturale” o “giurisprudenziale”) 11;
f) sempre per il richiamo che l’art. 6 TUE fa alle “tradizioni costituzionali comuni agli
Stati membri”, essa si alimenta dell’esperienza costituzionale degli Stati coinvolti dal proces-
so tridimensionale 12;

fondamentali, non coincide con la pura e semplice “triade” dei rapporti tra diritto statale, diritto comunitario e
diritto internazionale pubblico, sui cui invece insiste, in America latina, l’ipotesi interpretativa di E. Biacchi
Gomes, Manual de Direito da Integração Regional, Curitiba, Juruá, 2010, 180.
9
Così il Preambolo della “Carta di Nizza”.
10
Infatti, la giurisprudenza della Corte Cedu, originariamente finalizzata alla soluzione di specifiche con-
troversie relative a casi concreti, si è caratterizzata nel tempo per una evoluzione improntata alla valorizzazione
di una funzione paracostituzionale di tutela dell’interesse generale al rispetto del diritto oggettivo, fornendo indi-
cazioni allo Stato responsabile sui rimedi da adottare per rimuovere il contrasto con la Convenzione e con le sue
interpretazioni giurisprudenziali. Così già la Sent. Corte Cedu 18 gennaio 1978, “Irlanda vs. Regno Unito”, ric.
5310/1971.
11
Va infatti osservato che diritto costituzionale “generale” (come diritto promanato da tutti gli organi di un en-
te e dunque identificato nel sistema delle fonti) e diritto costituzionale “comune” (come diritto spiccatamente giuri-
sprudenziale e dunque interpretativo) sono formule figurative europee, che non insorgono come sinonimi nel costi-
tuzionalismo novecentesco. La prima sostanzialmente appartiene alla stagione del cosiddetto “diritto politico”,
mentre la seconda emerge dal quadro dell’avvento, soprattutto nella seconda metà del Novecento, del cosiddetto
“diritto culturale”‘, consolidatosi a seguito del passaggio dallo Stato di diritto allo Stato costituzionale, conseguen-
temente alla creazione dei sistemi di controllo di costituzionalità delle leggi. L’ideatore della formula “diritto costi-
tuzionale generale” è stato Boris Mirkine-Guetzévitch (Les nouvelles tendances du droit constitutionnel, Paris,
Giard, 1931). Per la formula del “diritto costituzionale comune”, bisogna pensare almeno a Peter Häberle (per il
quale sinteticamente si rinvia a G. Luther, La scienza häberliana delle Costituzioni, in P. Comanducci, R. Guastini
(a cura di), Analisi e diritto 2001, Torino, Giappichelli, 2002, 105 ss., per tutti i necessari dettagli). Invece, per una
rappresentazione chiara ed efficace della contrapposizione tra “diritto politico” e “diritto culturale”, si v. A. Pizzo-
russo, Fonti “politiche” e fonti “culturali” del diritto, in Studi on. Enrico Tullio Liebman, I, Milano, Giuffrè, 1979,
327 ss. Infine, sulla declinazione “culturale”, oltre ovviamente allo stesso P. Häberle, si deve tenere in considera-
zione anche Paul Kahn, Lo studio culturale del diritto (1999), trad. it., Reggio Emilia, Diabasis, 2008. La distinzio-
ne tra le due prospettive di diritto costituzionale riflette, in larga misura, la divergenza che, nella letteratura angloa-
mericana, si riscontra fra costituzionalismo “giuridico” (ossia fondato sull’argomentazione dei giudici) e costituzio-
nalismo “politico” e “Popular” (fondato sulle decisioni della rappresentanza politica). Si vedano, per l’Italia, M.
Goldoni, Il ritorno del costituzionalismo alla politica: il «Political» e il «Popular» Constitutionalism, in Quad.
Cost., 4, 2010, 733 ss., e, per l’America latina, P. Riberi, Derecho y política: tinta y sangre, in R. Gargarella
(coord.), La Constitución en 2020, Buenos Aires, Siglo XXI, 2011, 240 ss., ed ivi bibliografia.
12
Cfr. C. Pinelli, Le tradizioni costituzionali comuni ai popoli europei fra apprendimenti e virtù trasforma-
tive, in Giornale storia cost., 9, 2005, 11 ss. Per una efficace sintesi delle elaborazioni giurisprudenziali sulle

MICHELE CARDUCCI 8
g) infine, in combinato con l’art. 4.2 TUE, essa rispetta anche le identità nazionali degli
Stati.
Quindi, lì dove il tema della tutela dei diritti fondamentali si intreccia con un processo di
integrazione regionale al cui interno opera anche una Convenzione regionale di tutela dei di-
ritti umani, in un dialogo fra Corti sovranazionali e nella considerazione dell’esperienza costi-
tuzionale degli Stati partecipanti al processo integrativo, lì sarà predicabile la tridimensionali-
tà delle integrazioni regionali nei suoi “elementi determinanti”, cioè nelle caratteristiche irri-
nunciabili per la sussistenza del fenomeno stesso 13.
È per questa ragione che, sempre in Europa, si sta sviluppando una metodologia di com-
parazione costituzionale non più semplicemente “inter-statale” (ossia di “Diritto costituziona-
le comparato”) o “inter-regionale” (come avviene per gli studi di “Diritto comunitario com-
parato” presenti tanto in Europa 14 come in America latina) 15, ma anche e soprattutto “inter-
europea” 16 (ovvero di “Diritto europeo comparato” tra UE-Stati-CEDU) 17: una comparazio-
ne anch’essa tridimensionale 18.
Invece, lì dove non tutti e sei gli “elementi determinanti” indicati risultano corrispondenti
a quelli evolutisi in Europa, lì potranno presentarsi connessioni tridimensionali 19, ma sarà

“tradizioni costituzionali comuni” in un quadro di metodologia della comparazione, si v. G. de Vergottini, Dirit-


to costituzionale comparato, vol. I, Padova, Cedam, 20077, 18-23.
13
Sulla rilevanza dell’“elemento determinante” ai fini di una comparazione interordinamentale, si v.
l’importante proposta metodologica di L.-J. Constantinesco, Il metodo comparativo (1972), trad. it., Torino,
Giappichelli, 2000, spec. 160 ss., alla quale si ispira questa ricerca. Sulla sua utilizzabilità nell’analisi giurispru-
denziale e dei modelli di giudizio sui diritti, si veda L. Pegoraro, Elementi determinanti ed elementi fungibili nel-
la costruzione dei modelli di giustizia costituzionale, ora in Derecho constitucional comparado. Itinerarios de
investigación, Bogotá, Universidad Libre, 2011, 307 ss.
14
Si pensi, in Italia, a M. Panebianco, F. Guida, A. Di Stasi, Introduzione al diritto comunitario comparato,
Salerno, Edisud, 1993.
15
Si pensi, per esempio, all’importante manuale di A.M. Soto, F. Floreal González, Derecho de la Integra-
ción, Buenos Aires, La Ley, 2011, e, per l’America centrale, a R. Chamorro Mora, C.F. Molina Dal Pozo
(coords.), Derecho Comunitario Comparado. Unión Europea-Centroamérica, Managua, Imprimatur, 2003.
16
In tale prospettiva, tra l’altro, si può ricordare la proposta di Marta Cartabia di praticare, su questi temi,
un metodo di “comparazione conoscitiva”: cfr. M. Cartabia, L’ora dei diritti fondamentali nell’Unione europea,
in Id. (a cura di), I diritti in azione, Bologna, il Mulino, 2007, 57 ss.
17
Si veda il lavoro pionieristico di O. Pollicino, Allargamento dell’Europa a Est e rapporto tra Corti costi-
tuzionali e Corti europee. Verso una teoria generale dell’impatto interordinamentale del diritto sovranaziona-
le?, Milano, Giuffrè, 2010, 2 ss. e 444 ss.
18
Una recente proposta di analisi comparata della tridimensionalità europea individua come “nucleo logico”
la “legalità sovranazionale” nel suo confronto con la “legalità costituzionale”, rappresentata dalle “riserve di so-
vranità” degli Stati e dalle “riserve di identità costituzionale” espresse dalle Corti costituzionali nazionali: cfr. B.
Guastaferro, Legalità sovranazionale e legalità costituzionale, Torino, Giappichelli, 2013.
19
Il riferimento alla comparazione tra Europa e America latina emerge nei presenti lavori di J.E. Bericeño
Berrù I processi di integrazione economica in America Latina alla luce delle concezioni giuridiche contempora-
nee, in Dir. Comunit. Scambi Internaz., 1999, 391 ss., e Aspetti giuridici dell’integrazione regionale dell’Ame-
rica latina, in G. Sacerdoti, S. Alessandrini (a cura di), Regionalismo economico e sistema globale degli scambi,
Milano, Giuffrè, 1994, 329 ss.; E. Capizzano, I nuovi orizzonti della comparazione giuridica nella prospettiva di
un diritto intercomunitario di fronte allo scenario di nascenti regionalismi nelle diverse aree del mondo e la le-
zione storica di Jean Monnet (e…un pizzico di avvenirismo anche giuridico e politico-culturale lungo la strada
maestra della pace e della sicurezza fra i popoli del mondo), in Id. (a cura di), Il modello comunitario del diritto
agrario di fronte ai nuovi problemi dell’ordine internazionale, Camerino, Univ. Camerino, 1995, IX ss.; M. Ca-
sanova, Réflexions sur les progrès du processus d’intégration et de coopération en Amérique Latine, in Rev. Ins-
titut Belge Dr. Comparé, 1976, 317 ss.; E. Cerexhe, La problématique de phénomènes d’intégration, in M. Pa-
nebianco (a cura di), Europa comunitaria e America latina. Integrazione e cooperazione (Convegno internazio-
nale di studi, 28-30 aprile 1983), Salerno, Ed. Isti. Dir. Pubbl. Università Salerno, 1989, 5 ss.; A. Di Stasi (a cura

La tridimensionalità delle integrazioni regionali tra America latina ed Europa 9


molto più difficile predicare la tridimensionalità dell’integrazione regionale in atto, in modo
paragonabile all’Europa 20.
È questo il caso proprio dell’America latina. Nel subcontinente, la tridimensionalità si
manifesta attraverso l’intreccio fra Stati, CADH, Trattati di integrazione regionale (in partico-
lare, il SICA 21, la CARICOM 22, la CAN 23, il MERCOSUR 24), “identità costituzionali” (co-
me avviene per i rapporti tra Stati centroamericani). In questi luoghi, le dinamiche degli “ele-
menti determinanti” appaiono sovrapponibili fra loro e comparabili con quelle europee solo in
superficie e solo parzialmente, ancorché convergenze su singoli “contesti” o in singoli “casi”
siano comunque riscontrabili 25. Questo fa insorgere l’esigenza euristica di declinare l’emer-
sione metodologica del “Diritto europeo comparato” con un’apertura al suo esterno, come del
resto già avviene in alcuni ambiti al confine tra il diritto comparato e la politica comparata 26,
per arrivare ad un vero e proprio “Diritto costituzionale comparato delle integrazioni regiona-
li”, incentrato sul tema dell’esistenza di differenti tridimensionalità sovranazionali, diversa-
mente funzionali alla tutela dei diritti fondamentali e diversamente incidenti sul ruolo delle
Corti 27.

di), Codice dell’integrazione latino-americana. Il SELA: Sistema economico latino-americano, Salerno, Elea
Press, 1992; gli innumerevoli di Massimo Panebianco, tra cui I modelli di integrazione in America Latina:
l’ALADI ed il SELA, in Dir. Comunit. Scambi Internaz., 1982, 642 ss., Introduzione al diritto comunitario com-
parato (diritto internazionale e diritto dell’integrazione nell’Europa comunitaria e in America latina), Salerno,
Edisud, 1985, L’integrazione europea e latino-americana fra internazionalismo e costituzionalismo, in Dir. So-
cietà, 1979, 5 ss., L’internazionalismo bolivariano e l’integrazione degli Stati in America Latina, in Riv. Studi
Pol. Internaz., 1983, 397 ss.; I. Recavarren (a cura di), América Latina hoy: derecho y economía (Collana Istitu-
to di Studi Latino-Americani dell’Università Bocconi, 2), Milano, Egea, 1995, 183 ss.
20
Sui problemi della comparazione dei fenomeni sovranazionali come metodo, rispetto alle acquisizioni
dogmatiche del diritto internazionale e del diritto costituzionale, cfr. Ph.F. De Lombaerde, L. Sönderbaum, L.
van Langenhove, F. Baert, The Problem of Comparison in Comparative Regionalism, in 9 Jean Monnet/Robert
Schuman Paper Series, 7, Coral Gables (FL), Univ. of Miami, 2009; come nucleo logico e concettuale cfr. inve-
ce B.N. Mamlyuk, U. Mattei, Comparative International Law, in 36 Brook. J. Int.’l L., 2, 2011, 385 ss.; e come
utilizzabilità dello strumentario del costituzionalismo statale, A. von Bogdandy, El constitucionalismo en el de-
recho internacional, in www.juridicas.unam.mx, 2007.
21
SICA sta per Sistema di Integrazione del Centro America. Si v. il sito www.sicanet.org.sv.
22
CARICOM sta per Comunità del Caribe. Si v. il sito www.caricom.org.
23
CAN sta per Comunità Andina. Si v. il sito www.comunidadandina.org.
24
MERCOSUR sta per Mercato Comune del Cono Sud. Si v. il sito www.mercosur.org.uy. Sui processi la-
tinoamericani di integrazione, si v. CESPI (a cura di), I processi di integrazione in America latina, Roma, Osser-
vatorio di politica internazionale del Parlamento italiano, 2010.
25
Come invece, a volte, si propone: cfr. A. Di Stasi, Il diritto all’equo processo nella CEDU e nella Con-
venzione americana sui diritti umani: analogie, dissonanze e profili di convergenza giurisprudenziale, Torino,
Giappichelli, 2012.
26
Si pensi ai seguenti studi: L. Finn (ed.), Comparative Regional Integration: Theoretical Perspectives, in
The International Political Economy for New Regionalism Series, Furnham, Ashgate, 2009; A. Malamud, Latin
American Regionalism and EU Studies, in 32 J. European Integr., 6, 2010, 637 ss. e con G.L. Gardini, Has Re-
gionalism Peaked? The Latin American Quagmire and Its Lessons, in 47 International Spectator, 1, 2012, 116
ss.; la sintesi bibliografica di C. Lenza, Analisi delle esperienze di cooperazione ed integrazione regionale in
America latina, La Paz, Utl, 2009.
27
In tal senso, si rinvia a M. Carducci, O Direito Comparado das Integrações Regionais no Contexto Eu-
roamericano, in R.F. Bacellar Filho, D. Wunder Hachem (coords.), Direito Público no Mercosul: Intervenção
estatal, direitos fundamentais e sustentabilidade (Anais do VI Congresso da Associação de Direito Público do
Mercosul. Homenagem ao Professor Jorge Luis Salomoni), Belo Horizonte, Editora Forum, 2013, 109 ss. Il pro-
blema, quindi, è diverso da quello della “giustiziabilità” a livello nazionale degli atti delle organizzazioni inter-
nazionali, su cui si v. il classico lavoro di A. Reinisch, International Organizations before National Courts,
Cambridge, Cambridge Univ. Press, 2000.

MICHELE CARDUCCI 10
Ma che cosa deve studiare il “Diritto costituzionale comparato delle integrazioni regionali”?
La risposta a questa domanda non è del tutto identica fra Europa e America latina 28. Nel
subcontinente prevale l’espressione “diritto costituzionale transnazionale”, con cui si enfatiz-
za soprattutto il ruolo giurisprudenziale di tutela dei diritti fondamentali a livello sovranazio-
nale 29. Da tale angolo di visuale, l’“elemento determinante” di comparazione sarebbe offerto
dalla traslazione di competenze giurisprudenziali di interpretazione dei diritti, funzionale alla
conversione degli ordinamenti giuridici integrati in un sistema “foráneo” di interpretazioni
prevalenti sul sistema delle fonti interno agli Stati. Tale prospettiva, quindi, escluderebbe dal
proprio campo il diritto costituzionale “generale” degli Stati e delle altre organizzazioni so-
vranazionali: escluderebbe, in altri termini, intrecci non esclusivamente giurisprudenziali e in-
terpretativi 30. Non a caso, essa risulta non applicabile ai processi latinoamericani privi di di-
mensione giurisdizionale, come l’UNASUR o l’ALBA 31.
In Europa, invece, per rispondere a questa domanda, non si può non partire dall’art. 6
TUE. Anche secondo questo articolo, effettivamente l’oggetto di studio del “Diritto costitu-
zionale comparato delle integrazioni regionali” sembra investire esclusivamente la “materia”
dei diritti fondamentali. Però questa “materia” è coinvolta su quattro dimensioni: quella te-
stuale (per l’Europa: Costituzioni, TUE, CEDU); quella interpretativa delle Corti sovranazio-
nali e nazionali (come si desume dalla “Carta di Nizza” richiamata dall’art. 6 TUE); quella
delle “tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri”; quella delle competenze della UE e
del suo sistema di fonti. Quindi: fonti, interpretazioni, identità. L’oggetto, in altri termini, non
solo appartiene ai quattro livelli, ma soprattutto presenta contenuti normativi ricavabili non
unilateralmente, ma da tutte e quattro le dimensioni dell’integrazione regionale. Il che com-
porta sì una trasfigurazione del criterio gerarchico 32, a vantaggio di una comunicazione circo-
lare sui contenuti dei rapporti interordinamentali 33, senza però esaurirsi in una armonizzazio-
ne interpretativa dei soli contenuti 34. L’oggetto detiene pur sempre una componente formale e
strutturale propria, dettata, per l’Europa, dal TUE come fonte stessa che legittima e limita la
tridimensionalità.
Ecco perché è necessario parlare di un “Diritto costituzionale comparato delle integrazio-
ni”: non un solo “Diritto costituzionale”, con le sue regole, le sue fonti, le sue interpretazioni,

28
Tra i primi a cogliere la tridimensionalità come fenomeno delle integrazioni anche latinoamericane, A.A.
Cançado Trindade, Os experimentos de integração e cooperação na América Latina e o sistema interamericano,
in M. Panebianco (a cura di), Europa comunitaria e America latina, cit., 49 ss.
29
Cfr. L. Mezzetti, C. Pizzolo (a cura di), Diritto costituzionale transnazionale, Bologna, Filodiritto, 2013,
per un interessante confronto tra i due contesti, e M. Neves, Transconstitucionalismo con especial referencia a
la experiencia latinoamericana, in A. Von Bogdandy, E. Ferrer Mac-Gregor, M.M. Antoniazzi (Coords.), La
justicia constitucional y su internacionalización. ¿Hacia un ius constitucionale commune en América latina?, T.
I, México DF, UNAM, 2010, 264 ss.
30
Cfr. AA.VV., Los derechos sociales en serio: hacia un dialogo entre derechos y políticas públicas,
Bogotá, ed. Antropos, 2007.
31
È importante ricordare che le matrici delle idee di integrazione in America latina sono molto diverse da
quelle europee, traendo linfa da teorie universaliste e non stataliste del diritto e da visioni unitarie delle identità
ordinamentali: si v. in merito, specificamente, M. Panebianco, Ius gentium e diritto internazionale in Europa e
America Latina, in XIV Congreso Latinoamericano de derecho romano, Buenos Aires (15, 16 y 17 de septiem-
bre de 2004). Si cfr. anche la rivista Geopolitica, 4, 2012, intitolato America Latina: tentativi di unità.
32
Su tale fenomeno, si v. ora D. Messineo, La garanzia del “contenuto essenziale” dei diritti fondamentali,
Torino, Giappichelli, 2012, 38 ss.
33
A. Lazari, La nueva gramática del constitucionalismo judicial europeo, in Rev. Der. Com. Eur., 33, 2009,
501 ss.
34
Su questa complessità, richiamava l’attenzione già A.P. Sereni, Funzione e metodo del diritto comparato,
in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1960, 156 ss.

La tridimensionalità delle integrazioni regionali tra America latina ed Europa 11


le sue dinamiche, le sue gerarchie intorno ad un unico “nucleo logico” (lo Stato e gli Stati) 35;
ma almeno tre diritti costituzionali, perché tre sono gli elementi della struttura tridimensiona-
le dell’integrazione regionale, all’interno di processi di integrazione sovranazionale.
Pertanto, il “diritto costituzionale comparato delle integrazioni regionali” non potrà pre-
scindere dalla comparazione innanzitutto all’interno della struttura tridimensionale di integra-
zione. Con riguardo al contesto europeo, questo significa considerare le caratteristiche anche
strutturali di ciascun ordinamento che si integra con gli altri: Stati; UE; CEDU. Il che com-
porta (lo si verificherà più oltre) la considerazione, per esempio, del meccanismo della pre-
giudizialità o sussidiarietà come raccordo tra i diversi livelli, della primauté, del possibile ri-
parto di competenze (come certifica lo stesso art. 6 TUE), del carattere non propriamente or-
dinamentale della sovranazionalità convenzionale sui diritti umani, e così via.
Questa consapevolezza è ovviamente ben presente in Europa, dove non a caso sono diffu-
se le formule di distinzione tra un “Diritto costituzionale comune” 36 e un “Diritto costituzio-
nale europeo” 37, che mirano precipuamente a delimitare il “campo” di indagine del Diritto
costituzionale. Il “Diritto costituzionale comune” è parte integrante del “Diritto costituzionale
europeo”, ma si distingue da questo, in quanto ne rappresenta il sostrato fondativo prodotto
dalle “identità costituzionali” degli Stati che, nei loro reciproci caratteri comuni, hanno dato
vita alle “tradizioni costituzionali comuni” richiamate dall’art. 6.3 TUE 38. Del resto, di “iden-
tità nazionali” parlava già il Trattato di Maastricht del 1992, mentre l’art. 4.2 TUE del “dopo
Lisbona” chiarisce inequivocabilmente:
“2. L’Unione rispetta l’uguaglianza degli Stati membri davanti ai Trattati e la loro identi-
tà nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il si-
stema delle autonomie locali e regionali …”.
Invece, il “Diritto costituzionale europeo” è dato da tutti i meccanismi procedurali e isti-
tuzionali dell’ordinamento sovranazionale europeo e quindi si riconosce nei primi due commi
dell’art. 6 TUE, quei due commi che “aprono”, come si è visto, anche alla CEDU, per cui la
CEDU, grazie al dialogo tra le due Corti sovranazionali, diventa “parte” del “Diritto costitu-
zionale europeo”, legittimando finalmente e pienamente il “Diritto europeo comparato”.

35
Sul nesso euristico ed epistemologico tra comparazione e “nucleo logico”, si v. A. Marradi, Natura, for-
me e scopi della comparazione, in D. Fisichella (a cura di), Metodo scientifico e ricerca politica, Roma, Nic,
1985, 293 ss.
36
Si veda in sintesi P. Logroscino, Diritto costituzionale comune, in L. Pegoraro (dir.), Glossario di Diritto
pubblico comparato, Roma, Carocci, 2009, 93. Il riferimento “classico” è al pensiero di Peter Häberle, Derecho
constitucional común europeo, in Rev. Estudios Políticos, 79, 1993, 13 ss. Ma si consideri già F. Cocozza, Dirit-
to comune delle libertà in Europa: profili costituzionali della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Torino,
Giappichelli, 1994.
37
Si v. le proposte di E. Castorina: Diritto costituzionale comune e diritto costituzionale europeo: il pro-
blema dell’identità dell’Unione, in Id. (a cura di), Profili attuali e prospettive di Diritto costituzionale europeo,
Torino, Giappichelli, 2007, 26 ss., e Notazioni sul diritto costituzionale europeo come “nuova disciplina”, in
Scritti on. Franco Modugno, I, Napoli, Editoriale Scientifica, 2011, 667 ss.
38
Oltre al già cit. C. Pinelli, Le tradizioni, si v. L. Cozzolino, Le tradizioni costituzionali comuni nella giu-
risprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, in http://archivio.rivistaaic.it/materiali/convegni, e
A. Ianniello Saliceti, Il significato delle tradizioni costituzionali comuni nell’Unione europea, in G. Rolla (a cura
di), Il sistema europeo di protezione dei diritti fondamentali e i rapporti tra le giurisdizioni, Milano, Giuffrè,
2010, 136 ss. È bene ricordare, tra l’altro, che la formula “tradizioni costituzionali comuni”, di origine giurispru-
denziale transitata nei Trattati europei, non è sinonimo di “tradizioni giuridiche europee” nel significato di matri-
ce comune di sistemi e famiglie giuridiche. Su questo secondo tema, assai complesso per l’Europa, si v. B. An-
dò, Sulla tradizione giuridica europea, fra molteplicità e unitarietà, in B. Andò, F. Vecchio (a cura di), Costitu-
zione, globalizzazione e tradizione giuridica europea, Padova, Cedam, 2012, 125 ss.

MICHELE CARDUCCI 12
Si è parlato in proposito di una vera e propria “Forma di Stato dell’Unione europea” 39,
dove l’omogeneità dei rapporti tra autorità e libertà opera sul piano orizzontale sovranazionale
fra UE e CEDU (art. 6.1 e 2 TUE) e sul piano verticale verso gli Stati, nella doppia referenza
alle comuni “tradizioni costituzionali” (art. 6.3 TUE) e al rispetto delle singole “identità costi-
tuzionali” 40 (art. 4.2 TUE), in una dinamica che vede protagonisti attivi i giudici delle diverse
dimensioni coinvolte 41, ma non solo questi 42.
In America latina, questo ricco lessico euristico è quasi sconosciuto. Alcuni approcci si
limitano a descrivere i diversi “modelli”, senza analizzarne le diverse meccaniche rispetto ap-
punto alla tutela dei diritti fondamentali, assumendo come paradigmi di comprensione ora la
UE 43 ora addirittura il GATT 44. Altri, invece, richiamano origini differenti, al confine tra au-
toctone visioni regionalistiche – integrazionistiche ed esperimenti di “federalismo comunita-
rio” 45. Forme di tridimensionalità vengono ipotizzate, assumendo come punto di riferimento

39
È l’importante tesi di F. Palermo, La forma di Stato dell’Unione europea. Per una teoria costituzionale
dell’integrazione sovranazionale, Padova, Cedam, 2005.
40
Del resto, tale doppia referenza giustifica le innumerevoli definizioni “costituzionali” che si sono tentate
della originalità del diritto europeo: diritto costituzionale trans-nazionale (E. Stein, Lawyers, Judges, and the
Making of a Transnational Constitution, in Am. J. Int.’l. L. 1981, 1 ss.); diritto europeo inter-costituzionale (A.
Ruggeri, Sovranità dello Stato e sovranità sovranazionale, attraverso i diritti umani, e prospettive di un diritto
europeo “inter-costituzionale”, in Dir. Pubbl. Comp. Eur., 2001, 544 ss.); spazio costituzionale europeo comune
(P. Häberle, Gemeineuropäisches Verfassungsrecht, in Eur. Grundrechte Zeit., 1991, 261 ss.), ecc.
41
T. Giovanetti, L’Europa dei giudici, la funzione giurisdizionale nell’integrazione comunitaria, Giappi-
chelli, Torino, 2009.
42
Dato che, come si richiamerà nel testo, il meccanismo non opererebbe con efficacia, se non sussistessero
condizioni “strutturali” di intreccio ordinamentale, a partire dal rinvio pregiudiziale per arrivare alla primauté.
Sulla rilevanza di questa dimensione, da non sottovalutare quando si parla di “costituzionalità” della dimensione
sovranazionale europea, si v. molto incisivamente A. Cantaro, F. Losurdo, L’integrazione europea dopo il Trat-
tato di Lisbona, in Dal Trattato costituzionale al Trattato di Lisbona. Nuovi Studi sulla Costituzione europea,
Quaderni della Rass. Dir. Pubbl. Eur., n. 5, Napoli, Esi, 2009, 58 ss.
43
La UE, per quello che N. MacCormick definisce “Suitas”, ossia come “paradigmaticità” dell’esperi-
mento: cfr. N. MacCormick, La sovranità in discussione. Diritto, Stato e nazione nel “Commonwealth” europeo
(1999), trad. it., Bologna, il Mulino, 2003, 195 ss.
44
Il GATT, per essere stato lo strumento di condizionamento sovranazionale trasversale a tutto il subconti-
nente americano: E. Biacchi Gomes, Manual, cit., 63-64.
45
Su questi temi, la letteratura è enorme. Per una sintesi delle matrici culturali e socio-antropologiche di
queste tendenze interpretative, si rinvia a D. Ribeiro, Las Américas y la civilización: proceso de formación y
causas del desarrollo desigual de los pueblos americános, México, Editorial Extemporáneos, 1977, e ai saggi di
L. Obregón Tarazona, Between Civilization and Barbarism: Creole Interventions in International Law, in 27
Third World Quarterly, 5, 2006, 815 ss., Completing Civilization: Creole Consciousness and International Law
in Nineteenth Century Latin America, in A. Orford (ed.), International Law and its Others, Cambridge, Cam-
bridge Univ. Press, 2006, e Construyendo la región americana: Andrés Bello y el derecho internacional, in B.
González, S. e J. Poblete (eds.), Andrés Bello y los estudios latinoamericanos, Serie Criticas, Pittsburgh,
Universidad de Pittsburgh, Instituto Internacional de Literatura Iberoamericana, 2009. La linea attuale di
riflessione costituzionalistica può essere tracciata a partire dai seguenti studi: A.R. Brewer Carias, Los problemas
constitucionales de la integración económica latinoamericana, Caracas, Banco Central de Venezuela, 1968;
E.C. Schaposnik, Estrategias para la Integración Latinoamericana, Bogotá, Universidad Central, 1991; R.
Schembri Carrasquilla, El Neofederalismo Comunitario, in El federalismo en Colombia, Bogotá, Universidad
Externado de Colombia, 1993, 249 ss.; L.H. Carvajal, Integración, pragmatismo y utopía en América Latina,
Bogotá, Universidad Externado de Colombia, Universidad de los Andes, Tercer Mundo Editores, 1993; O.
Arizmendi Posada, Las tres propuestas integracionistas de Bolívar y otros temas bolivarianos, Bogotá,
Publicaciones Univ., 1996; G. Betancur Mejía, La Comunidad Latinoamericana de Naciones, Medellín,
Ediciones Fundación Universitaria CEIPA, 1996; C.F. Molina Del Pozo (comp.), Integración Eurolati-
noamericana, Buenos Aires, Ediciones Ciudad Argentina, 1996. La presenza delle questioni identitarie regionali
e di integrazione emerge anche dalle finalità di alcune specifiche istituzioni sovranazionali, come l’ALADI e il

La tridimensionalità delle integrazioni regionali tra America latina ed Europa 13


la CADH e soprattutto il carattere pervasivo del cosiddetto “controllo di convenzionalità” (di
cui si parlerà più avanti), capace di armonizzare l’azione tanto degli Stati quanto degli ordi-
namenti di integrazione regionale cui essi partecipano 46.
Nella storia recente, solo una importante e originale esperienza, quella centroamericana
(come si vedrà), ha elaborato una propria euristica tridimensionale: il “Diritto costituzionale
centroamericano”, che studiava e studia tutt’ora un precoce processo integrativo fondato su
una persistente, anche se difficoltosa, omogeneità di “identità costituzionali” fra Stati, inte-
grazioni regionali e convenzioni regionali sui diritti umani, cimentandosi tanto sul fronte og-
gettivo del sistema delle fonti di ciascun livello, quanto su quello soggettivo delle tutele ap-
prontabili per i cittadini coinvolti 47.
Nel resto del subcontinente, allorquando si vuole leggere l’intreccio tra Stati, integrazioni
e sovranazionalità convenzionale, partendo dall’angolo di visuale della tutela dei diritti fon-
damentali, prevalgono euristiche diverse sul piano sia “oggettivo” che “soggettivo”. Sul pri-
mo, basti ricordare il già accennato “diritto costituzionale transnazionale”; per il secondo,
valgano le ricorrenti formule, tendenzialmente equivalenti, della “Giustizia costituzionale so-
vranazionale” e del “Diritto processuale costituzionale sovranazionale” 48. In queste ultime,
l’oggetto di confronto, più che sulla trasfigurazione del criterio gerarchico, sulla circolarità
comunicativa dei contenuti dei diritti e sulla struttura ordinamentale dei Trattati sovranaziona-
li, insiste su una “tecnica” di tutela di quei diritti interferente dentro gli Stati: l’Amparo, gene-
ricamente inteso appunto come tutela processuale soggettiva 49. Tant’è che si parla di “Ampa-
ro interamericano” 50 come dato specifico di questa euristica 51.

Parlamento latino. Si v. i siti: www.aladi.org; www.parlatino.org; www.pla.net.py. Sulla rilevanza delle concettua-
lizzazioni latinoamericane ai fini della comparazione, si rinvia a M. Carducci, Le integrazioni latinoamericane nei
“flussi giuridici” fra “prototesto” europeo e “metatesti” locali, in Dir. Pubbl. Comp. Eur., I, 2013, 262 ss.
46
È questa le tesi recentemente proposta da E. Biacchi Gomes, Controle de convencionalidade nos proces-
sos de integração. Democracia e Mercosul (a construção de uma tese), in Rev. A & C de Der. Adm. & Const.,
52, 2013, 231 ss. Va tuttavia osservato che il MERCOSUL è privo di una vera e propria autorità giurisdizionale
regionale sui diritti: solo nel 2009 è stato istituito l’Instituto de Políticas Públicas em Direitos Humanos
(IPPDH), ma in quanto organo “ausiliario” per il coordinamento tecnico scientifico delle politiche regionali sui
diritti umani.
47
Cfr. M. Carducci, L. Castillo Amaya, Comparative Regionalism and Constitutional Imitations in the In-
tegration Process of Central America, in 1 Eunomia, 2, 2012, 7 ss., e L.P. Castillo Amaya, La Identidad Consti-
tucional de Centroamérica. Un estudio del fenómeno de imitación constitucional en las integraciones
regionales, Tesis de Doctorado, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” (Italia), 2013.
48
J.L. Caballero Ochoa, El derecho internacional en la integración constitucional. Elementos para una
hermenéutica de los derechos fundamentales, in Rev. Iberoamericana Der. Procesal Const., 26, 2006, 79 ss. In
Italia, il tema della integrazione attraverso la sola tutela giudiziale dei diritti è ricostruito da L. Azzena, L’inte-
grazione attraverso i diritti, Torino, Giappichelli, 1998.
49
Sulle matrici storiche e semantiche dell’Amparo, mi permetto di rinviare a M. Carducci, L’Amparo mes-
sicano come crittotipo “spinoziano”, in R. Orrú, F. Bonini, A. Ciammariconi (a cura di), La giustizia costituzio-
nale in prospettiva storica: matrici, esperienze e modelli, Napoli, Esi, 2012, 287 ss.
50
C. Ayala Corao, Del amparo nacional al amparo interamericano como institutos para le protección de
los derechos humanos, Caracas-San José, IIDH-EJV, 1998. Ma sulla polisemia della formula “Derecho procesal
constitucional” nel contesto latinoamericano delle integrazioni sovranazionali, si v. le interessanti proposte di
E.A. Velandia Canosa, Teoria constitucional del proceso. Derecho procesal constitucional, Bogotá, Ed.
Doctrina y Ley, 2009, nonché, insieme a D.J. Beltrán Grande, La justicia transnacional y su modelo
transnacional, in E.A. Velandia Canosa (dir.), Derecho procesal constitucional, Tomo III, vol. I, Bogotá, VC
Editores, 2012, 103 ss.
51
Profilo non altrettanto pacifico per il contesto europeo: cfr. B. Randazzo, Il ricorso alla Corte europea
dei diritti dell’uomo come ricorso diretto, in R. Tarchi (a cura di), Patrimonio costituzionale europeo e tutela dei
diritti fondamentali. Il ricorso diretto di costituzionalità, Torino, Giappichelli, 2012, 297 ss. Sul “formalismo”

MICHELE CARDUCCI 14
Ovviamente le ragioni a base di questa diversa prospettiva risiedono nella “diversità” del-
la tridimensionalità delle integrazioni regionali latinoamericane (come si verificherà più ol-
tre). Sin d’ora, tuttavia, è importante constatare che l’euristica del “Diritto processuale costi-
tuzionale sovranazionale” e dell’“Amparo interamericano” presenta, in confronto con quella
europea, tre particolarità:
a) prescinde dall’analisi delle condizioni di omogeneità che, sia sul piano orizzontale so-
vranazionale che su quello verticale verso gli Stati, istituzionalizzano gli “elementi determi-
nanti” della struttura tridimensionale di una integrazione regionale e conformano il “Diritto
costituzionale comune” e il “Diritto costituzionale sovranazionale” di quella integrazione 52;
b) enfatizza il ruolo del ricorrente all’Amparo come soggetto sostitutivo della qualifica-
zione delle relazioni interordinamentali, come se la struttura formale di queste ultime, pur
sempre voluta dagli Stati, fosse irrilevante per la conoscenza e comprensione del fenomeno 53;
c) si concentra sul contenuto normativo dei diritti fondamentali nella sola prospettiva del
rapporto tra Stati e organo giurisdizionale convenzionale americano, la Corte interamericana
dei diritti umani (d’ora in poi CIDH), come se i vari Trattati di integrazione regionale del sub-
continente fossero ontologicamente e logicamente estranei al problema 54.

2. Sovranazionalità “compensativa” vs. sovranazionalità “sostitutiva”

Le tre caratteristiche appena considerate non costituiscono, come si è detto, l’epifeno-


meno di un “atteggiamento culturale” degli operatori giuridici dei due diversi contesti 55. Ri-
flettono piuttosto un effetto consequenziale delle diverse strutture giuridiche europee e lati-
noamericane di integrazione e tridimensionalità.
Si è già constatato che la tridimensionalità opera sì nell’ambito della tutela dei diritti fon-
damentali, ma coinvolge l’intreccio di fonti e interpretazioni necessariamente su tre livelli,
nessuna delle quali può essere occultata: ordinamenti costituzionali degli Stati; convenzioni
sovranazionali sui diritti; ordinamenti di integrazione regionale con organi giurisdizionali al

dell’assimilazione del ricorso CEDU all’Amparo, si v. D. Szymczak, La Convention européenne des droits de
l’homme et le juge constitutionnel national, Bruxelles, Bruylant, 2006, 648 ss.
52
Su questi presupposti di omogeneità, si v. A. Cardone, La tutela multilivello dei diritti fondamentali, Mi-
lano, Giuffrè, 2012.
53
Ma sulla complessità di inquadramento dell’individuo come soggetto di diritto internazionale, si v. F.
Mastromartino, La soggettività degli individui nel diritto internazionale, in Dir. & Quest. Pubbl., 10, 2010, 415
ss. Invece, per avere un’idea della complessità della prospettiva del ricorrente nell’Europa della tutela “multili-
vello” dei diritti fondamentali, dove la tutela dei diritti è processualmente complicata dai meccanismi della pre-
giudizialità europea e del giudizio incidentale di legittimità costituzionale, si considerino i casi davanti alla Corte
di giustizia UE Ruiz Zambrano (8 marzo 2011, in Causa C-34/09) e Melloni (26 febbraio 2012, in Causa C-
399/11): sul caso Melloni, cfr. M. Iacometti, Il caso Melloni e l’interpretazione dell’art. 53 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea tra Corte di giustizia e Tribunale costituzionale spagnolo, in Osservatorio
AIC, ottobre 2013, in www.associazionedeicostituzionalisti.it.
54
Questa attenzione esclusiva è comprovata dal dibattito latinoamericano sulla esistenza di una unica “lega-
lità interamericana”, garantita dalla Corte interamericana come “quarta istanza” dei rimedi giurisdizionali di
ciascuno Stato aderente: cfr. M.C. Londoño Lázaro, El principio de legalidad y el control de convencionalidad
de las leyes: confluencias y perspectivas en el pensamiento de la Corte Interamericana de Derechos Humanos,
in Bol. Mex. Der. Comp., 128, 2010, 761 ss., e J.E. Herrera Pérez, Control judicial internacional de DDHH
sobre la actividad jurisdiccional interna de los Estados: ¿un cuarta instancia?, in Horizontes contemporáneos
del Derecho procesal constitucional. Liber amicorum Néstor Pedro Sagüés, Tomo I, Lima, Adrus, 2011, 765 ss.
55
Come vorrebbero alcune teorie “culturali” della comparazione euroamericana: B. Galindo, Teoría inter-
cultural da Constituição, Porto Alegre, Livraria do Advogado, 2006.

La tridimensionalità delle integrazioni regionali tra America latina ed Europa 15


loro interno. Essa, quindi, presuppone che si voglia comparare la dinamica giuridica non solo
degli Stati e tra singolo Stato e la o le sovranazionalità, ma soprattutto che si debbano compa-
rare i due livelli sovranazionali (quello convenzionale e quello di integrazione) tutt’altro che
simili.
Si provi a partire dal solo diritto convenzionale della CEDU e della CADH 56. Entrambi i
sistemi, operando come diritto giurisprudenziale, esulano dalla morfologia tanto del diritto
comunitario regionale quanto del diritto internazionale tout court: non producono un vero e
proprio ordinamento giuridico ma non fondano semplici relazioni internazionali pattizie. Il di-
ritto convenzionale si fonda sul primato CEDU/CADH verso i diritti statuali nella “materia”
di determinati diritti. Tuttavia, a livello degli Stati, ciascun singolo ordinamento interno, sul
presupposto di una sovranità per nulla “delegata” o parzialmente “ceduta” al sistema conven-
zionale ma semplicemente negozialmente “vincolata” allo stesso, si atteggia secondo regole
proprie e diverse dagli altri. Inoltre, il diritto convenzionale, in quanto diritto essenzialmente
giurisprudenziale, si regge sulla logica del precedente giudiziale della Corte sovranazionale
dei diritti umani, indipendentemente da quale sia lo Stato parte della controversia 57. Esso, pe-
rò, non è semplicemente un Case by Case Law. Si giustifica comunque in ragione del conte-
nuto costituzionale dei beni protetti (i diritti umani) nelle decisioni del giudice, spingendo così
verso la generalizzazione dei suoi effetti. Per conseguenza, non sono le norme convenzionali
ad assumere rilevanza sempre più forte dentro i singoli ordinamenti statali, bensì la loro inter-
pretazione uniforme rispetto alla tutela di un determinato diritto, in termini “compensativi” –
ma non certo “sostitutivi” – del diritto interno: tant’è che quelle interpretazioni possono fun-
gere da precedente anche “esterno” al sistema convenzionale stesso, come dimostrano i ri-
chiami reciproci tra Corti CEDU e CADH 58. Nel contempo, il carattere sussidiario, che tale
tutela internazionale assume, in quanto appunto oltre gli Stati, richiede che il flusso giurispru-
denziale di precedenti sia “autolimitato”, nel senso di doversi comunque misurare con le spe-
cificità dei singoli contesti statali, di cui deve tener comunque conto proprio in virtù
dell’assenza di “deleghe” o “cessioni” di sovranità: ecco perché CEDU e CADH convergono
nella dottrina autolimitante del “margine di apprezzamento” (CEDU) e del “margen de pru-
dencia” (CADH): presupposti, entrambi, di un persistente “dualismo” tra Stati e Convenzioni
internazionali dei diritti umani 59.
Il diritto convenzionale, in definitiva, non incide irreversibilmente sul carattere della
“esclusività” di un ordinamento statale 60; opera comunque in via “residuale” e “compensati-

56
Come finisce col prediligere il “Diritto costituzionale transnazionale”. Si v. N.L. Xavier Baez, R. Luiz
Nery da Silva, G. Smorto (a cura di), Le sfide dei diritti umani fondamentali nell’America latina ed in Europa,
Roma, Aracne, 2013. Ma si cfr. le puntuali distinzioni di C. Pizzolo, Derecho e integración regional, Buenos
Aires, Editora Ediar, 2010.
57
In tal senso, A. Ruggeri, L’“intensità” del vincolo espresso dai precedenti giurisprudenziali, con specifi-
co riguardo al piano dei rapporti tra CEDU e diritto interno e in vista dell’affermazione della Costituzione co-
me “sistema”, in Scritti on. Giuseppe de Vergottini (in stampa).
58
Cfr. T. Groppi, Le citazioni reciproche tra la Corte europea e la Corte interamericana dei diritti dell’uo-
mo: dall’influenza al dialogo?, in www.federalismi.it, 19, 2013.
59
Cfr. J. García Roca, El margen de apreciación nacional en la interpretación del Convenio Europeo de
Derechos Humanos: soberanía e integración”, Madrid, Thomson Reuters-Civitas, Madrid, 2010, e M. Núñez
Poblete, Sobre la doctrina del margen de apreciación nacional. La experiencia latinoamericana confrontada y
el thelos constitucional de una técnica de adjudicación del derecho internacional de los derechos humanos, in
P.A. Alvarado Acosta, Manuel Núñez Poblete, El Margen de apreciación en el sistema Interamericano de
Derechos Humanos. Proyecciones regionales y nacionales, México DF, UNAM, 2012, 32 ss.
60
Sulla centralità del tema della “esclusività” degli ordinamenti giuridici, si v. A. Schillaci, Diritti fonda-
mentali e parametro di giudizio. Per una storia concettuale delle relazioni tra ordinamenti, Napoli, Jovene,

MICHELE CARDUCCI 16
va” verso gli Stati, magari anche con forti interferenze, ma all’interno comunque di un quadro
sostanzialmente dualistico (Stati vs. CEDU o CADH).
Al contrario, gli ordinamenti regionali di integrazione sovranazionale non nascono e non
si atteggiano affatto come “residuali”: essi rompono l’esclusività degli Stati, risultando a ten-
denza inesorabilmente “sostitutiva” e dunque “monistica” 61. A differenziarli saranno sia la
morfologia dei Trattati istitutivi sia le fonti di legittimazione della “rottura” dell’esclusività,
prevalendo ora quelle statali (come succede in America latina, dove sono comunque le clauso-
le costituzionali di “apertura” ad abilitare l’ingresso normativo sovranazionale) ora proprio
quelle sovranazionali regionali (come si verifica in Europa sin dalla giurisprudenza dalla pri-
mauté fino all’intreccio dell’art. 6 TUE).
Nel solco di questa ineludibile divaricazione fra sovranazionalità convenzionale “com-
pensativa” e sovranazionalità regionale “sostitutiva” 62, si possono riscontrare ulteriori ele-
menti di differenziazione, nella comparazione fra le due esperienze.
a) In Europa, la tridimensionalità fra Stati, convenzionalità CEDU e sovranazionalità UE
è l’effetto di esplicite opzioni normative contenute nei Trattati UE e di irreversibili arresti giu-
risprudenziali della Corte di giustizia UE. Al contrario, in America latina, è dalle Costituzioni
degli Stati, con le loro “clausole di apertura”, che si attiva la dinamica interordinamentale tri-
dimensionale 63, con la sola eccezione (come si vedrà in seguito) delle integrazioni del Centro
America, frutto di originali vicende storiche plurisecolari, che hanno lasciato traccia tanto nel
SICA quanto nella CARICOM 64. Per riflesso, sussiste una diversa collocazione della fonte
che orienta l’integrazione omogenea sui diritti 65 e abilita il policentrismo giudiziale (conven-
zionale “compensativo” e regionale “sostitutivo”) a loro tutela 66.
b) La tridimensionalità europea è “nominativa”, nel senso di identificare nominalmente le
fonti legali da coinvolgere e le modalità generali con cui costruirla. Basta leggere gli artt. 6 e
4.2 TUE, dove si parla innanzitutto di CEDU, “Carta di Nizza”, “tradizioni costituzionali co-
muni”, ma anche di “identità nazionali” degli Stati: una tecnica normativa inaugurata dal
Trattato di Maastricht del 1992 67 e ulteriormente affinata con il “Preambolo” della “Carta di

2012. Il principio della “esclusività”, tuttavia, è un apparato concettuale della dogmatica giuspubblicistica euro-
pea, incentrata sulla necessità logica dell’ordinamento giuridico come Stato. Tale combinazione non è del tutto
scontata nel subcontinente americano, anche in ragione delle risalenti influenze della seconda Scolastica spagno-
la. Invece, per un tentativo di comparazione euroamericana sul tema della “residualità”, si v. M.G. Monroy Ca-
bra, El Derecho Internacional como fuente del Derecho Constitucional, in 1 ACDI, Bogotá, 1, 2008, 107 ss.
61
In tale prospettiva, come si osserva in Germania, non è possibile sovrapporre, all’interno degli Stati, le
prospettive di Europafreundlichkeit con quelle di Völkerrechtsfreundlichkeit, in particolare in ragione
dell’affermarsi non più di un Richterrecht, quanto di un vero e proprio Jurisdiktionsstaat: cfr. E.-W. Böckenför-
de, Gesetz und gesetzgebende Gewalt, Berlin, Duncker & Humblot, 19812, 402.
62
L’ipotesi di osservazione dei processi transnazionali e di integrazione sovranazionale secondo la differen-
ziazione tra dinamiche “compensative” e “sostitutive”, si deve a v. A. Peters, Compensatory Constitutionalism:
The Function and Potential of Fundamental International Norms and Structures, in 19 Leiden J. Int.’l L., 2006,
579 ss. Ma v. già P. Sands, Treaty, Custom and the Cross-fertilization of International Law, in 1 Yale Hum.
Rights & Develop. L. J., 1998, 85 ss.
63
Su tale differenza, F. Piovesan, Direitos Humanos e o Direito Constitucional Internacional, São Paulo,
Saraiva, 1997.
64
Cfr. i contributi in tema in P. Pennetta (a cura di), L’evoluzione dei sistemi giurisdizionali regionali, cit.
65
Sulla rilevanza della individuazione della “fonte” della omogeneità nei processi di integrazione, si v. F.
Palermo, La forma di Stato dell’Unione europea, cit., specialmente 132 ss.
66
Sulla rilevanza della fonte di attivazione del policentrismo giudiziale, si v. M.D. Poli, Bundesverfas-
sungsgericht e Landesverfassungsgerichte: un modello “policentrico” di giustizia costituzionale, Milano, Giuf-
frè, 2012, Capitolo I.
67
Trattato sull’Unione europea, firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992 (versione consoldidata), art. 6: “1.

La tridimensionalità delle integrazioni regionali tra America latina ed Europa 17


Nizza”, dove la “nominalizzazione” è arrivata a coinvolgere anche la giurisprudenza delle
Corti europee 68.
In America latina, le schematizzazioni sono difformi. Le tecniche normative a livello di
Trattati regionali seguono un linguaggio e un ordito “generalista”, ad accezione sempre dei
Trattati centroamericani e soprattutto del Protocollo di Tegucigalpa del 1991 69, con le sue
conseguenze Pick and Choose di cui si farà cenno più oltre. Inoltre, questo “generalismo” è
riscontrabile anche a livello di testi costituzionali 70, in cui non sempre risultano chiare le op-
zioni dei singoli Stati al cospetto dei processi di integrazione regionale (“sostitutivo”) e con-
venzionale (“compensativo”) cui partecipare; con la differenza, però, che la convenzionalità
“sostitutiva”, non presupponendo cessioni strutturali di sovranità 71, può anche fare a meno
della chiarezza costituzionale interna, fondandosi sul vincolo internazionale (pacta sunt ser-
vanda), mentre l’integrazione sovranazionale “sostitutiva”, necessita di una qualche previa le-
gittimazione costituzionale di “cessione”.
Alcuni esempi chiarificano la caratteristica, in specie nei riguardi di possibili sovranazio-
nalità “sostitutive”.
La Costituzione di Cuba del 1976, all’art. 12 lett. c) “riafferma la sua volontà di integra-
zione e collaborazione con i paesi dell’America latina e del Caribe, la cui identità comune e
necessità storica di procedere congiunti verso l’integrazione economica e politica per conse-
guire la vera indipendenza, consentirà di assumere il ruolo che ci spetta nel mondo”.
Per la Costituzione della Repubblica Federativa del Brasile, del 1988, all’art. 4: “... La
Repubblica Federativa del Brasile persegue la integrazione economica, politica, sociale e
culturale dei popoli dell’America latina, contribuendo alla formazione di una Comunità lati-
no-americana delle nazioni”, e, all’art. 5, paragrafi 1-3, a seguito dell’Emendamento costitu-
zionale n. 45, “1. Le disposizioni che definiscono diritti e garanzie fondamentali hanno ap-
plicazione immediata. 2. I diritti e le garanzie previste in questa Costituzione non ne esclu-
dono altri … derivanti da Trattati internazionali di cui la Repubblica federativa del Brasile
sia parte. 3. I Trattati e Convenzioni internazionali sui diritti umani, approvati da ciascun
ramo del Congresso nazionale in due turni e per tre quinti dei voti dei rispettivi componenti,
sono equivalenti agli emendamenti costituzionali”.

L’Unione si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali,
e dello Stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati membri. 2. L’Unione rispetta i diritti fondamentali
quali garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali,
firmata a Roma il 4 novembre 1950, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri,
in quanto principi generali del diritto comunitario ... 3. L’Unione rispetta l’identità nazionale dei suoi Stati
membri. 4. L’Unione si dota dei mezzi necessari per conseguire i suoi obiettivi e per portare a compimento le
sue politiche”.
68
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, del 9 dicembre 2000, Preambolo: “… La presente
Carta riafferma, nel rispetto delle competenze e dei compiti della Comunità e dell’Unione e del principio di sus-
sidiarietà, i diritti derivanti in particolare dalle tradizioni costituzionali e degli obblighi internazionali comuni
agli Stati membri, dal Trattato dell’Unione europea e dai Trattati comunitari, dalla Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dalle Carte sociali adottate dalla Comunità e dal
Consiglio d’Europa, nonché i diritti riconosciuti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità
europee e da quella della Corte europea dei diritti dell’uomo”. Sulla complessa portata di queste previsioni, si v.
ora G. de Búrca, After the EU Charter of Fundamental Rights: The Court of Justice as a Human Rights Adjudi-
cator?, in 20 Maastricht J. Eur. Comp. L., 2, 2013.
69
Il Protocollo è stato ratificato nel 1993 da Costa Rica, Guatemala, Honduras, Nicaragua, Panamá, El Sal-
vador e, nel 2000, dal Belize.
70
Un “generalismo” spiegato come congenita esigenza di auto-integrazione dei paesi latinoamericani: cfr.
M.P. Larné, La protezione dei diritti umani, cit., 430 ss.
71
Al massimo, si tratterà di “cessioni” interpretative, se si accede al citato approccio latinoamericano del
“derecho constitucional transnacional”.

MICHELE CARDUCCI 18
Analogamente la Costituzione della Colombia, del 1991, contiene un articolo, il 227, se-
condo il quale “Lo Stato promuoverà l’integrazione economica, sociale e politica con le altre
nazioni e specialmente con i paesi dell’America latina e del Caribe, per mezzo di Trattati
che, in condizioni di reciprocità, equità e uguaglianza, creino organismi sovranazionali, an-
che al fine di promuovere una Comunità latinoamericana delle nazioni”; anche perché, oltre
al Preambolo, un principio fondamentale di quella Costituzione risiede proprio nell’impegno
ad orientare la politica estera “verso l’integrazione latinoamericana e del Caribe” (art. 9).
La Costituzione della Nazione Argentina, dopo la riforma costituzionale del 1994, ha
modificato l’art. 75 con il n. 24: “(Spetta al Congresso): Approvare Trattati di integrazione
che attribuiscano competenze e giurisdizione a organizzazioni sovrastatali in condizioni di
reciprocità ed eguaglianza, e che rispettino l’ordine democratico e i diritti umani. Le norme
conseguentemente adottate acquistano una gerarchia superiore alle leggi ...”; mentre già
nell’art. 31 stabilisce che “la presente Costituzione, le leggi della Nazione … e i Trattati con
le potenze straniere costituiscono la legge suprema della Nazione”, e all’art. 43, nell’ammet-
tere l’azione di tutela diretta dei diritti, fa riferimento anche a quelli “riconosciuti … da un
trattato”, con l’aggiunta, anch’essa figlia della riforma del 1994, dell’art. 74 n. 22, per cui
“la Dichiarazione Americana dei Diritti e dei Doveri dell’Uomo, la Dichiarazione Universa-
le dei Diritti Umani, la Convenzione Americana sui Diritti Umani, …, nelle condizioni di vi-
genza, hanno dignità costituzionale, non derogano alcun articolo della prima parte della
presente Costituzione e sono da considerarsi complementari dei diritti e delle garanzie dalla
stessa Costituzione riconosciuti”.
Come accennato, le eccezioni costituzionali al “generalismo” sono offerte sia dalle Costi-
tuzioni che dai Trattati degli Stati del Centro America, proprio per la singolare esperienza di
“Diritto costituzionale centroamericano” vissuta in quell’area 72.
La Costituzione di El Salvador del 1983, all’art. 89, è strutturata in tre commi: “El Sal-
vador sostiene e promuove l’’integrazione fra i popoli, economica, sociale e culturale con le
Repubbliche americane e soprattutto con quelle dell’istmo centroamericano. L’integrazione
può effettuarsi mediante Trattati o Convenzioni con le Repubbliche interessate, i quali po-
tranno prevedere la creazione di organi o istituzioni con attribuzioni sovranazionali.
Inoltre, favorisce la ricostituzione totale o parziale della Repubblica del Centro America
in forma unitaria, federale o confederale, con piena garanzia del rispetto dei principi demo-
cratici e repubblicani e dei diritti individuali e sociali dei suoi abitanti.
Il progetto e i principi fondamentali dell’Unione devono essere sottoposti a consulta po-
polare”.
La Costituzione del Guatemala, come riformata nel 1993, contiene gli articoli 149, 150 e
151, che rispettivamente prevedono: “Il Guatemala disciplina le sue relazioni con altri Stati
in conformità ai principi, regole e pratiche internazionali con il proposito di contribuire al
mantenimento della pace e della libertà, al rispetto e difesa dei diritti umani, al rafforzamen-
to dei processi democratici e delle istituzioni internazionali che garantiscono il reciproco ed
equo beneficio fra gli Stati”; “Il Guatemala come parte della comunità centroamericana,
mantiene e stringe rapporti di cooperazione e solidarietà con gli altri Stati che hanno costi-
tuito la Federazione di Controamerica; deve adottare le misure adeguate per rendere effetti-
va, in forma parziale o totale, l’Unione politica o economica del Centro America. Le autorità
competenti sono obbligate a rafforzare l’integrazione economica centroamericana sulla base
dell’equità”; “Lo Stato mantiene relazioni di amicizia, solidarietà e cooperazione con quagli
Stati, il cui sviluppo economico, sociale e culturale sia analogo a quello del Guatemala, al
fine di trovare soluzioni appropriate ai loro problemi comuni e di formulare congiuntamente
politiche tendenti al progresso delle rispettive nazioni”.

72
Sulle Costituzioni centroamericane cfr. E. Rozo Acuña, Il costituzionalismo del Messico e dell’America
centrale. Evoluzione politico-costituzionale e carte costituzionali, Torino, Giappichelli, 2008, 132 ss.

La tridimensionalità delle integrazioni regionali tra America latina ed Europa 19


La Costituzione dell’Honduras, del 1982, come modificata nel 2003, ha l’art. 17:
“Quando un Trattato internazionale entra in conflitto con una norma costituzionale deve es-
sere approvato con il procedimento previsto per la revisione della Costituzione, al pari della
disposizione costituzionale, che deve essere modificata con lo stesso procedimento prima che
il Trattato sia ratificato dall’Esecutivo”.
La Costituzione del Nicaragua, del 1987, dopo il Preambolo che invoca “Lo spirito
dell’unità centroamericana”, chiarisce all’art. 9: “Il Nicaragua difende fermamente l’unità
centroamericana, appoggia e promuove ogni sforzo per raggiungere l’integrazione politica
ed economica e la cooperazione in America Centrale, così come gli sforzi per stabilire e con-
servare la pace nella regione.
Il Nicaragua aspira all’unità dei popoli dell’America latina e dei Caraibi, ispirata agli
ideali di unità di Bolívar e di Sandino. Di conseguenza, partecipa con gli altri paesi cen-
troamericani e latinoamericani alla creazione o elezione degli organismi necessari a tali fini.
Questo principio è disciplinato dalla legislazione e dai rispettivi Trattati”.
Tra l’altro, gli articoli 90.3 Cost. El Salvador, 24.1 Cost. Honduras, 17 Cost. Nicaragua e
14.2 Cost. Costa Rica riconoscono addirittura lo statuto particolare di acquisizione della citta-
dinanza ai “centroamericani”.
La differenza è nettissima rispetto al tenore delle altre formulazioni latinoamericane.
In verità, anche in Europa, alcune Costituzioni hanno puntualizzato dettagliatamente il lo-
ro rapporto con le dimensioni di integrazione regionale. Il caso più significativo è offerto ov-
viamente dall’“apertura all’Europa” (Europafreundlichkeit) della Costituzione tedesca, sin dal
suo Preambolo, dove si legge:
“Conscio della propria responsabilità dinanzi a Dio e agli uomini, animato dalla volon-
tà di porsi al servizio della pace nel mondo come membro, a parità di diritti, di un’Europa
unita, il popolo tedesco si è dato, in forza del proprio potere costituente, questa Legge Fon-
damentale”.
Inoltre, l’art. 23 (l’“articolo europeo” della Costituzione) non designa semplicemente una
norma facoltizzante (a differenza dell’art. 24), bensì una vera e propria “norma programmati-
ca” (Staatszielbestimmung), espressiva di uno specifico “dovere di provvedere”. Sulla UE, in-
fatti, la citata disposizione dichiara:
“1. Per la realizzazione di un’Europa unita, la Repubblica Federale di Germania colla-
bora allo sviluppo dell’Unione europea, la quale è impegnata al rispetto dei principi demo-
cratici, dello Stato di diritto, sociali e federativi e del principio di sussidiarietà e garantisce
la tutela dei diritti fondamentali sostanzialmente equiparabile a quella contemplata da que-
sta Legge Fondamentale. La Federazione può a questo scopo trasferire dei diritti di sovrani-
tà mediante legge, con l’assenso del Bundesrat. All’istituzione dell’Unione europea, nonché
alle modifiche delle sue basi pattizie e a disposizioni equiparabili, che comportano una modi-
fica o integrazione della Legge Fondamentale secondo il suo contenuto o che rendono possi-
bili tali modifiche o integrazioni, si applicano i commi 2 e 3 dell’art. 79…”.
Al contrario, l’art. 24 si limita a dire:
“La Federazione può trasferire con Legge diritti di sovranità ad organizzazioni interstatali”,
mentre il “nominalismo” ritorna nell’art. 88:
“La Federazione istituisce una Banca valutaria e di emissione, come Banca Federale. I
suoi compiti e poteri possono essere traferiti nell’ambito dell’Unione Europea alla Banca cen-
trale europea, che è impegnata nel fine prioritario della garanzia della stabilità dei prezzi”.
Nessun’altra Costituzione europea è così chiara nel distinguere la sovranazionalità “com-
pensativa” da quella “sostitutiva”.
Forse la Costituzione spagnola all’art. 10.2, quando si dichiara che “le norme relative ai
diritti fondamentali e alla libertà, riconosciute dalla Costituzione, si interpretano in confor-

MICHELE CARDUCCI 20
mità alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e ai Trattati o Accordi internazionali
nelle stesse materie, ratificati dalla Spagna”, orienta in modo inequivoco la funzione “com-
pensativa” del diritto convenzionale dei diritti umani 73.
Non lo stesso può dirsi per l’Italia, dove è stata la giurisprudenza della Corte costituziona-
le a “impostare” la lettura dei riferimenti testuali della Costituzione. Infatti, l’art. 10.1 Cost.
italana sancisce che “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto in-
ternazionale generalmente riconosciute”, mentre l’art. 117.1 Cost., a seguito della riforma co-
stituzionale del 2001, ha puntualizzato che “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e
dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali”. Quindi, non esiste nella Costituzione italiana un
espresso riferimento ai Trattati in “materia” di diritti fondamentali. Nel contempo, si puntua-
lizza la distinzione strutturale tra “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario” e “obbli-
ghi internazionali”, così abilitando a livello costituzionale una differenziata dinamica dello
Stato all’interno della tridimensionalità della sua integrazione con UE e CEDU. Pertanto,
l’assenza di riferimento specifico alla “materia” dei diritti previsti a livello internazionale è
stata colta dalla giurisprudenza costituzionale per utilizzare una “seconda porta di ingresso” al
loro richiamo, attraverso l’art. 2 Cost. che, così operando, li “costituzionalizzerebbe”. La dif-
ferenziazione di cui all’art. 117.1 Cost., invece, è servita, sempre per la Corte costituzionale
italiana, per puntualizzare la non sovrapposizione tra regime giuridico delle norme della UE,
direttamente applicabili grazie alla prima parte dell’art. 117.1 Cost. e alla “cessione di sovra-
nità” legittimata dall’art. 11 Cost., e disposizioni della CEDU, frutto di “obblighi internazio-
nali”, ma non di “cessioni di sovranità” 74.
Tuttavia, ancora una volta lo si ribadisce, è l’art. 6 TUE a dissipare ogni dubbio, verso
tutti gli Stati coinvolti dalla UE e dalla CEDU; e non solo sulla tridimensionalità, ma soprat-
tutto sulla differenziazione tra sovranazionalità “compensativa” (CEDU) e quella (della UE)
“sostitutiva” (dato che la CEDU è inserita come “parte del diritto dell’Unione”) 75.
Inoltre, tale articolo (come si puntualizzerà a breve) mantiene in piedi la più profonda del-
le differenziazioni tra le due sponde dell’Atlantico: la teleologia dei Trattati di sovranazionali-
tà “sostitutiva”, con riguardo alla meccanismo (obbligatorio e vincolante in Europa) della
pregiudizialità e quindi al ruolo preminente del giudice sovranazionale rispetto agli Stati
membri.

3. “Gerarchie intrecciate” e “verticalizzazione” nella “materia” dei diritti fonda-


mentali

Il fenomeno tridimensionale è dunque molto complesso, a cavallo tra dinamica delle fonti
(“formante” dominante nel diritto costituzionale “generale” della sovranazionalità “sostituti-

73
Il riconoscimento “compensativo” è evidenziato da due elementi normativi della disposizione spagnola: il
richiamo ai diritti fondamentali comunque riconosciuti dalla Costituzione (non altri …); l’abilitazione alla “in-
terpretazione conforme a” Trattati o Accordi in materia.
74
Cfr, analiticamente E. Lamarque, Le relazioni tra gli ordinamenti nazionale, sovranazionale e interna-
zionale nella tutela dei diritti, relazione al Seminatio Italo-Hispano-Brasileño, Barcelona, 17-18 ottobre 2013,
11 ss. del paper.
75
Tra l’altro, l’articolo contempla, com’è noto, la prospettiva della UE stessa di aderire direttamente al si-
stema convenzionale della Cedu. Su questo tema, si v. L. De Micco, Adesione dell’Unione europea alla Conven-
zione europea sui diritti dell’uomo: attesa di un finale, in Rivista AIC, 3, 2012, in www.associazionedeico
stituzionalisti.it.

La tridimensionalità delle integrazioni regionali tra America latina ed Europa 21


va”) 76 e dinamica dell’interpretazione (“formante” centrale nel diritto costituzionale “cultura-
le” della sovranazionalità “compensativa” del diritto e della giurisprudenza convenzionale) 77.
La divaricazione che queste due dinamiche possono conoscere, e di fatto conoscono, nella
tridimensionalità dei processi di integrazione, reca con sé due rischi:
a) la produzione di antinomie reali intrecciate fra i tre livelli giuridici coinvolti, non risol-
vibili in nome della esclusività dei canoni interni ad uno solo degli ordinamenti o dei sistemi
interessati;
b) il policentrismo delle giurisdizioni chiamate a risolvere tali antinomie, con possibili ef-
fetti di Overlapping Jurisdiction o di conflitti di “giudicati”.
In Europa, questi due rischi vengono tendenzialmente neutralizzati dal cosiddetto “dialo-
go” tra le giurisdizioni coinvolte 78 e l’accettazione delle “gerarchie intrecciate” tra le fonti
europee (convenzionali e di integrazione) e quelle statali 79, indipendentemente dalle “mate-
rie” coinvolte e in funzione delle competenze attribuite a ciascun livello ordinamentale, con
preminenza “sostitutiva” del diritto della UE 80.
L’approccio europeo non rinnega l’esistenza delle antinomie ma, rinunciando appunto
all’arroccamento sulla “esclusività” di uno solo dei tre ordinamenti (sia esso sovranazionale,
convenzionale o statale), valorizza il policentrismo giurisdizionale come luogo di compensazio-
ne tra elementi “endogeni” ed “esogeni” a ciascuno di essi. Si spiegano così i tre commi dell’art.
6 TUE, nella legittimazione di tutti gli “elementi determinanti” della tridimensionalità.
Si pensi ancora una volta al richiamo della Corte UE alle “tradizioni costituzionali comu-
ni agli Stati membri”, quale dato “esogeno” rispetto all’ordinamento sovranazionale in sé
considerato, ma comunque “endogeno” agli Stati che di quell’ordinamento fanno parte 81. Allo

76
Si v. molto chiaramente A. Predieri, Il diritto europeo come formante di coesione e come strumento di in-
tegrazione, in Dir. Un. Eur., 1996, 40 ss.
77
L’inquadramento del fenomeno tridimensionale fra teoria delle fonti e teoria dell’interpretazione è stato
ampiamente discusso e costantemente aggiornato da Antonio Ruggeri, in innumerevoli scritti, puntualmente rac-
colti ogni anno nei suoi “Itinerari” di una ricerca sul sistema delle fonti, Torino, Giappichelli (giunti al XVI
vol., 2013). Per un riscontro di sintesi, si può v. A. Ruggeri, Corti costituzionali e Corti europee: il modello, le
esperienze, le prospettive, in http://www.europeanrights.eu/public/commenti/Ruggeri.pdf.
78
G. Martinico, L’integrazione silente. La funzione interpretativa della corte di giustizia e il diritto costitu-
zionale europeo, Napoli, Jovene, 2009.
79
Sul tema delle “gerarchie intrecciate” come chiave di lettura dei rapporti interordinamentali, si v. in generale
M. Neves, Transconstitucionalismo, São Paulo, Martins Fontes, 2009, 235-238, il quale collega la tesi letteraria di
D.R. Hofstadter delle “Tangled Hierarchies” alle ipotesi interpretative del diritto europeo come “multilevel constitu-
tionalism”, elaborate da I. Pernice. Ma è interessante osservare che, nel dibattito italiano, si richiamano altre metafore
simili per spiegare il fenomeno, come quella della “teoria del caos” e della “entropia”, da parte soprattutto di R. Bin,
Gli effetti del diritto dell’Unione nell’ordinamento italiano e il principio di entropia, in Scritti on. Franco Modugno, I,
Napoli, Jovene, 2011, 372-373, o della “contaminazione” (C. Aquino, La contaminazione costituzionale dell’Unione
Europea. Aspettative e ostacoli verso la meta, Roma, Aracne, 2009); mentre nella letteratura internazionale si parla di
“Costituzionalismo IKEA” (G. Frankenberg, Autorität und Integration, Frankfurt, Suhrkamp, 2003), “Meta-
Constitutionalism” (N. Walker, The Idea of Constitutional Pluralism, in Modern L. Rev., 2002, 354 ss.), “Cross-
Constitucionalismo” (AA.VV., Revista Brasileira de Estudos Constitucionais, 2010).
80
Si v. in tal senso l’attuale art. 6, n. 3, TUE, dove i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU “fanno parte
dell’Unione in quanto principi generali”. Ma si veda anche l’art. 52 della “Carta di Nizza”, lì dove si chiarisce che: “2.
I diritti riconosciuti dalla presente Carta che trovano fondamento nei Trattati comunitari o nel Trattato dell’Unione
europea si esercitano alle condizioni e nei limiti definiti dai Trattati stessi. 3. Laddove la presente Carta contenga
diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta Convenzione.
La presente disposizione non osta al diritto dell’Unione di concedere una protezione più estesa”.
81
Sottolinea questo profilo L. Cozzolino, op. loc. cit.

MICHELE CARDUCCI 22
stesso modo, il “margine di apprezzamento”, voluto dalla Corte CEDU, appare sicuramente
mirato a considerare elementi “endogeni” a ciascun singolo Stato specificamente coinvolto
nel giudizio sovranazionale 82. Inoltre, la circostanza che questo “circuito” venga fatto proprio
dal TUE (non da una o alcune Costituzioni o dalla CEDU), consente di garantirne l’atti-
vazione in modo uniforme all’interno di tutti gli Stati della UE. In altre parole, anche i diritti
fondamentali dovranno essere concretizzati e applicati, nei modi “intrecciati” dell’art. 6 TUE,
dentro tutta la UE e dunque dentro gli Stati 83.
Nel contesto latinoamericano, non si assiste allo stesso fenomeno.
In primo luogo, non esiste convergenza o univocità di diritti regionali sovranazionali di
integrazione fra gli Stati (conseguenza, questa, anche delle logiche Pick and Choose di cui si
parlerà più avanti), per cui risulta impraticabile l’uniformità di concretizzazione dei diritti in
nome di un determinato processo regionale di integrazione.
In secondo luogo, su questa sponda dell’Atlantico si assiste piuttosto alla “verticalizzazione”
delle gerarchie coinvolte nonché al riconoscimento di una determinata “esclusività” (quella della
CADH), con riguardo ad una determinata “materia”: quella dei diritti fondamentali. Per tale “ma-
teria”, infatti, opera (come si vedrà più oltre) quel meccanismo che risiede nel “controllo di con-
venzionalità” imposto dalla CIDH a tutte le autorità, giurisdizionali e non, degli Stati.
Con simili premesse, la distinzione tra “endogeno” ed “esogeno” tende a sfumare, anche a
causa delle “clausole di apertura” delle Costituzioni degli Stati e della predominanza della
prospettiva interpretativa e processuale (“culturale”) della CIDH rispetto a quella ordinamen-
tale (“generale”) delle diverse fonti degli Stati e delle altre integrazioni regionali 84.
Diverse sono le cause a base di questo scenario.
La maggioranza dei paesi latinoamericani segue il sistema della recezione automatica
della CADH, incorporandola come “norma interna di fonte internazionale”, attraverso ap-
punto la proprie “clausole di apertura” ai Trattati sui diritti umani 85: lo stesso trattamento
non viene riservato alle integrazioni regionali e al loro sistema di fonti. In questo modo, il
sistema convenzionale è declinato come “interno”, legittimando così gli effetti sostanziali
delle interpretazioni della CIDH sulle fonti esclusivamente interne 86. Questa “norma in-

82
Anche se il ricorso al “margine di apprezzamento” ha risposto ad esigenze e argomenti diversi nella giuri-
sprudenza CEDU: ora giustificandosi per l’assenza di “concezioni uniformi” o di un “terreno comune” di con-
fronto fra gli Stati; ora fondandosi sulla presenza, all’interno dello Stato coinvolto, di una “maggioranza politica
e ideologica” che racchiude e interpreta l’identità costituzionale di un paese o le sue “tradizioni nazionali”; ora
riferendosi alla riscontrabile “razionalità” delle scelte legislative nazionali.
83
Il che, in Europa, pone comunque problemi di “impatto” sui singoli sistemi nazionali di controllo di legitti-
mità, giacché potrebbe favorire l’applicazione diretta della “Carta di Nizza” in quanto comunque diritto della UE,
portando così alla disapplicazione della legge interna senza passare dall’annullamento da parte della Corte costitu-
zionale. Su questo problema si v. in Italia G. Bronzini, Il plusvalore giuridico della Carta di Nizza, in R. Crosio, R.
Foglia (a cura di), Il diritto europeo nel dialogo delle Corti, Milano, Giuffrè, 2013, 153 ss., e T. Guarnier, I giudici
italiani e l’applicazione diretta della Carta di Nizza dopo il Trattato di Lisbona, in L. Cappuccio, E. Lamarque (a
cura di), Dove va il sistema italiano accentrato di controllo di costituzionalità?, Napoli, Editoriali Scientifica, 2013,
149 ss. Per un riferimento alla Germania, si v. M. Pacini, Lussemburgo e Karlsruhe a duello sull’applicabilità della
Carta UE, in Osservatorio AIC, settembre 2013, in www.associazionedeicostituzionalisti.it. Cfr. ora L. Trucco,
Carta dei diritti fondamentali e costituzionalizzazione dell’Unione Europea, Torino, Giappichelli, 2013.
84
Prospettiva che invece, in Italia, è salvaguardata dall’art. 117.1. Cost.
85
H. Fix-Zamudio, Protección jurídico constitucional de los derechos humanos de fuente internacional en
los ordenamientos de Latinoamerica, in J. Pérez Royo, J. Martínez Urías, M. Carrasco Durán (coords.), Derecho
constitucional para el Siglo XXI. Acta del VIII Congreso Iberoamericano de Derehco Constitucional, Tomo I,
Pamplona, Thomson Aranzadi, 2006, 1727 ss.
86
E. Jiménez de Aréchaga, La Convención Americana de los Derechos Humanos como derecho interno, in
Boletín da Sociedade Brasileira de Direito Internacional, 69-72, 1987-89, 35 ss.

La tridimensionalità delle integrazioni regionali tra America latina ed Europa 23


terna di fonte internazionale”, di riflesso, presenta dunque le seguenti caratteristiche.
– La prima è appunto sostanziale, perché la CADH diventa una sorta di “Costituzione”
dentro le Costituzioni statali 87, applicabile attraverso il sistema processuale dell’“Amparo in-
teramericano”. Accanto all’effetto di condanna, come “cosa giudicata”, la decisione della
CIDH verso uno Stato definisce, dentro le Costituzioni degli Stati, criteri generali di validità,
come “cosa interpretata”, dei diritti fondamentali scritti in quelle Costituzioni, integrandole
nei contenuti. È dunque l’“Amparo interamericano” a “frammentare” la sovranità statale nella
“materia” della tutela dei diritti, attraverso il soggetto ricorrente che dispone di uno strumento
aggiuntivo ai ricorsi costituzionali interni.
– La sentenza della CIDH assume pertanto “forza normativa” costituzionale interna, non
per propria volontà, ma per “combinato disposto” di una fonte internazionale, e specificamen-
te l’art. 68 CADH 88, con le “clausole di apertura” delle singole Costituzioni nazionali, eleg-
gendo il giudice interamericano a “interprete costituzionale” e di “validità” 89 dell’applica-
zione della CADH per i diritti fondamentali dentro gli Stati.
Invero, anche per la Corte CEDU si può parlare di “cosa interpretata” integrativa dei con-
tenuti dei diritti degli ordinamenti statali, quanto in ragione dell’art. 32 CEDU e delle due
funzioni, riconosciute alla Corte, di interpretare e applicare la Convenzione. Tuttavia,
l’efficacia della “cosa interpretata” CEDU è riferita alla Corte stessa per la sua giurispruden-
za, non pretendendo di vincolare i giudici nazionali 90, né imponendosi come fonte di “validi-
tà” del sistema costituzionale interno: la sua forza normativa rimane quindi “endogena”, non
“esogena”. Essa, inoltre, deve fare i conti con principi costituzionali indisponibili come quello
del “giudice subordinato solo alla legge”, presente, per esempio, nella Costituzione italiana
all’art. 101.2, che di fatto abilita al bilanciamento tra diritti “interpretati” a livello CEDU e
previsioni legali conformi alle Costituzioni nazionali 91.
Tra l’altro, in America latina la forza normativa “endogena” e “verticalizzata” del diritto
convenzionale “interpretato” dalla CIDH appare ora rimarcato persino in termini prescrittivi
dalle Costituzioni più recenti, sul solco del cosiddetto “nuevo constitucionalismo” andino 92.

87
A. Brewer Carías, La aplicación de los tratados internacionales sobre derechos humanos en el orden
interno. Estudio de Derecho constitucional comparado latinoamericano, in Rev. Iberoamericana Der. Pocesal
Const., 26, 2006, 29 ss.
88
Art. 68: “Gli Stati aderenti alla Convenzione si impegnano ad attuare le decisioni della Corte in qualsia-
si caso in cui siano parte”.
89
Così E. Ferrer Mac-Gregor, La Corte Interamericana de Derechos Humanos como intérprete constitucio-
nal (dimensión transnacional del Derecho procesal constitucional), in D. Valadés, R. Gutiérrez Rivas (coords.),
Memoria del IV Congreso Nacional de Derecho constitucional, Tomo III, México DF, IIJ-UNAM, 2001, 209 ss.
90
Anche se, con il Protocollo 14 alla Cedu, è stata introdotta la procedura di adozione della cosiddetta “sen-
tenza pilota” (disciplinata nel dettaglio dall’art. 61 del Regolamento della Corte, in vigore dal 1° aprile 2011),
che sta producendo una significativa trasformazione del meccanismo di tutela europea in termini di “sindacato
oggettivo” sugli ordinamenti nazionali: si veda in prospettiva generale e aggiornata, B. Randazzo, Giustizia co-
stituzionale sovranazionale. La Corte europea dei diritti dell’uomo, Milano, Giuffrè, 2012, 126 ss., nonché A.
Cerri, Corso di giustizia costituzionale plurale, Milano, Giuffrè, 2012. Per una sua prima applicazione come “pa-
rametro” da parte della Corte costituzionale italiana, si v. la Sent. n. 210/2013
91
Per esempio, in Germania si è chiarito che la Costituzione deve essere interpretata evitando conflitti con
la CEDU, ma questo non abilita alcuna “rottura” costituzionale. Cfr. L. Violini, L’indipendenza del giudice e il
rispetto del diritto internazionale secondo una recente decisione del BVerfG: bilanciamento o prevalenza dei
principi costituzionali nazionali?, in Dir. Pubbl. Comp. Eur., 2005, 1014 ss.
92
Cfr. A.C. Wolkmer, M. Petters Melo (orgs.), Constitucionalismo Latino-Americano. Tendências
Contemporâneas, Curitiba, Juruá, 2013, e A. Medici, La Constitución horizontal. Teoría constitucional y giro
decolonial, San Luis Potosí, Fac. Derecho Univ. Aut. San Luis Potosí-Centro Est Jurídicos y Soc. Mispat,. 2012.

MICHELE CARDUCCI 24
Si pensi, per tutti, alla Costituzione dell’Ecuador del 2008, dove la formula “strumenti inter-
nazionali”, piuttosto che “obblighi” o semplicemente “Trattati”, appare addirittura esplicita e
inequivocabile. I “Principi di applicazione dei diritti” degli articoli 10 e 11 della Cost. Ecua-
dor definiscono in modo dettagliato il meccanismo: l’art. 10 stabilisce che le persone, le co-
munità, i popoli, le nazionalità e le collettività sono titolari e godono dei diritti garantiti dalla
Costituzione e dagli “strumenti internazionali”; mentre l’art. 11, al terzo comma, specifica
che i diritti e le garanzie della Costituzione e degli strumenti internazionali sui diritti umani
saranno applicati “in maniera diretta e immediata”, al quinto comma aggiunge che, in materia
di diritti e garanzie costituzionali, si applicheranno le norme o l’interpretazione che favorisca
maggiormente la loro vigenza effettiva, e infine, al settimo comma, si costituzionalizza la
“clausola di non esclusione”, in base alla quale gli strumenti internazionali di tutela dei diritti
non potranno comunque escludere altri diritti umani tutelati in Costituzione. Tutte queste di-
sposizioni fanno intendere che l’intreccio delle antinomie si declina sempre all’interno della
“materia costituzionale” dei diritti fondamentali, indipendentemente dalla sussistenza o meno
di processi di integrazione regionale. Di “integrazione latinoamericana” si parla separatamen-
te e differentemente, nel Capitolo Terzo del Titolo VIII della Costituzione Ecuador: l’art. 423
descrive modalità e finalità dei processi integrativi latinoamericani, esplicitando obiettivi e
strategie, tradotte però in termini di coordinamento di politiche pubbliche, armonizzazione di
legislazioni, creazione di una cittadinanza latinoamericana, consolidamento di organizzazioni
regionali, e facendo pur sempre salva la “prevalenza” verticistica a favore dei diritti umani. Di
conseguenza, l’“ordine gerarchico di applicazione delle norme”, come recita l’art. 425, ri-
chiama Costituzione, Trattati e Convenzioni internazionali, in quanto coinvolgenti la “mate-
ria” dei diritti, nei cui confronti, la “verticalizzazione” è nuovamente ribadita, dall’art. 426,
come direttamente praticabile anche in presenza di lacune o di omissioni legislative dello Sta-
to, indipendentemente dalla dinamica dei processi di integrazione regionale.
Quindi, ancora una volta, si evidenzia il carattere differenziale tra il panorama latinoame-
ricano e quello europeo. La tridimensionalità latinoamericana definisce gli effetti sul piano in-
terno agli Stati, rispetto alle singole Costituzioni degli Stati e al ruolo dei giudici nazionali. La
tridimensionalità europea coinvolge invece il piano sovranazionale e internazionale, oltre a
quello statale. In merito, la “Carta di Nizza”, con l’art. 53, ha formalizzato chiaramente questo
specifico nesso:
“Nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata come limitativa o
lesiva dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di
applicazione, dal diritto dell’Unione, dal diritto internazionale, dalle Convenzioni interna-
zionali delle quali l’Unione, la Comunità o tutti gli Stati membri sono parti contraenti, in
particolare la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e le libertà fon-
damentali, e dalle Costituzioni degli Stati membri”.
Ma esso risulta ora rafforzato dalla possibilità, abilitata dall’art. 47 TUE, che la UE, in
quanto dotata di personalità giuridica, possa essere parte contraente diretta di convenzioni inter-
nazionali incidenti sulle “gerarchie intrecciate”, compresa la stessa CEDU. Inoltre, la tridimen-
sionalità europea coinvolge prioritariamente i giudici sovranazionali, sia la Corte di giustizia
della UE (la Corte di Lussemburgo), sia la Corte della CEDU (la Corte di Strasburgo).
Tuttavia, il coinvolgimento dei due giudici non è paritario: e questo non per volontà delle
Costituzioni nazionali, come sarebbe se ci si imbattesse in disposizioni simili agli artt. 425 e
426 della Costituzione dell’Ecuador, ma per determinazione di uno dei due attori, la Corte di
Lussemburgo. Lo si può cogliere dalle osservazioni formulate dall’Avvocato Generale Poia-

Per un quadro d’insieme del costituzionalismo latinoamericano attuale, si v. la ricognizione di E. Rozo Acuña, Il
costituzionalismo in vigore nei paesi dell’America latina, Torino, Giappichelli, 2012.

La tridimensionalità delle integrazioni regionali tra America latina ed Europa 25


res Maduro nelle sue conclusioni del 18 gennaio 2009 di fronte alla Corte di giustizia
dell’Unione europea, per la soluzione del famoso caso “Kadi” 93. Nei paragrafi 37 e segg., si
puntualizza che
“restano nondimeno notevoli differenze tra le due Corti. Il compito della Corte europea
dei diritti dell’uomo è di garantire il rispetto degli obblighi assunti dagli Stati contraenti in
base alla Convenzione. Sebbene lo scopo della Convenzione sia la salvaguardia e lo sviluppo
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, essa è volta ad operare principalmente qua-
le accordo interstatale, che crea obbligazioni tra le parti contraenti a livello internazionale.
Ciò è dimostrato dal meccanismo intergovernativo di esecuzione della Convenzione. Il Trat-
tato CE, diversamente, ha istituito un ordinamento giuridico autonomo all’interno del quale
sia gli Stati sia gli individui godono di diritti e sono soggetti ad obbligazioni di carattere im-
mediato. Il compito della Corte di giustizia consiste nell’agire alla stregua di un giudice co-
stituzionale dell’ordinamento giuridico interno costituito dalla Comunità. La Corte europea
dei diritti dell’uomo e la Corte di giustizia non possono pertanto essere comparate riguardo
alla loro giurisdizione ratione personae e riguardo alla relazione del loro sistema giuridico
con il diritto internazionale pubblico”.
Tra l’altro, questa conclusione europea 94 permette di focalizzare l’attenzione su una ulte-
riore differenza con l’America latina. La tridimensionalità latinoamericana, come formalizzata
nelle Costituzioni degli Stati del sub-continente, sembra prescindere dalla definizione dei rap-
porti dello Stato verso dimensioni esterne qualificabili in termini di “ordinamento giuridico”.
In altre parole, le “clausole di apertura” latinoamericane non prefigurano specifiche cessioni
di sovranità di natura “strutturale”, ossia a favore di organizzazioni internazionali. Si enfatizza
piuttosto un riconoscimento di comune appartenenza (America latina e Caribe) e nel contem-
po si costituzionalizzano vincoli pattizi in ragione della loro “materia” (tutela dei diritti uma-
ni), così declinando il raccordo sovranazionale come allargamento del parametro costituziona-
le stesso e non come suo “ridimensionamento” a favore di strutture esterne. In tale prospetti-
va, del resto, opera il richiamo al “blocco di costituzionalità” come contenitore di questi rac-
cordi 95. È in questo alveo che trova spiegazione la lettura “processualistica” della sovranazio-
nalità latinoamericana. Essa può essere scandita dai seguenti passaggi concettuali 96:
a) la “materia” dei diritti fondamentali appartiene a un “blocco di costituzionalità” inte-
grato da Costituzioni e Trattati sui diritti umani;
b) questo “blocco” è gerarchicamente superiore a qualsiasi altra fonte interna di qualsiasi
ordinamento statale;
c) non esistono ordinamenti sovranazionali con fonti gerarchicamente prevalenti o co-
munque “intrecciate” con quelle statali al di fuori del “blocco di costituzionalità”;
d) di conseguenza qualsiasi autorità statale deve rispettare questo “blocco di costituziona-
lità”;
e) il garante di questo “blocco” è il giudice costituzionale attraverso gli strumenti proces-
suali previsti dall’ordinamento di appartenenza, compreso l’Amparo;

93
Sent. 3 settembre 2008, in Causa C-402/05.
94
Sulla problematicità di questi temi in Europa, si v. O. Pollicino, Allargamento dell’Europa, cit., 2 e Cap. IV.
95
In tal senso, specificamente si v. E.A. Velandia Canosa, D.J. Beltrán Grande, La justicia constitucional y
su modelo transnacional, in E.A. Velandia Canosa (dir.), Derecho procesal constitucional, Tomo III, vol. I., cit.,
104 ss.
96
Quanto meno per i paesi che formalizzano o riconoscono questo “blocco di costituzionalità”: Argentina,
Bolivia, Cile, Colombia, Costa Rica, Ecuador, México, Perú, Paraguay, Repubblica Dominicana, Venezuela.
Una menzione particolare merita il Costa Rica, per la sua pionieristica elaborazione giurisprudenziale del-
l’argomento, con le decisioni 1147/1990, 3435/1992, 2313/1995 del suo giudice costituzionale.

MICHELE CARDUCCI 26
f) la CADH integra il “blocco di costituzionalità”, perché di “materia” dei diritti parla
esplicitamente il Preambolo della CADH;
g) di conseguenza, la funzione del suo giudice, la CIDH, non può che essere di justicia
constitucional, compensativa, integrativa e orientativa, attraverso la sua interpretazione, di
quella parte del “blocco” costituita appunto dalla Convenzione interamericana sui diritti uma-
ni all’interno di ciascuno Stato;
h) con l’accesso alla CIDH come ultima istanza dopo aver esaurito i rimedi giurisdizionali
interno allo Stato, si realizza di fatto un “Amparo interamericano”, finalizzato alla verifica di
quel “blocco di costituzionalità” nella sua interezza interna ed esterna;
i) il “blocco di costituzionalità”, pertanto, diventa inevitabilmente “transnazionale”, costi-
tutivo di una “comunità regionale di principi” 97;
h) il contrasto con il “blocco di costituzionalità transnazionale” non produce quindi anti-
nomie reali.
Ecco perché, nel contesto latinoamericano, il “controllo di convenzionalità” finisce col
diventare parte del controllo stesso di “costituzionalità”, integrandolo o addirittura sostituen-
dosi ad esso, nel momento in cui fornisce interpretazioni sui diritti umani, non conseguite al
solo livello della costituzionalità interna allo Stato.
E come il controllo di costituzionalità può essere “diffuso”, altrettanto può predicarsi per
quello di “convenzionalità” 98, senza le differenziazioni sperimentate invece in Europa e, in
particolare, in Italia 99. Inoltre, come il controllo di costituzionalità realizza uno strumento di
“politica costituzionale” di verifica di conformità dell’azione dei poteri verso il “blocco di co-
stituzionalità”, così il “controllo di convenzionalità” può promuovere “politica costituziona-
le”, sindacando (come si constaterà nei casi citati più oltre) non solo interpretazioni e applica-
zioni giudiziali, ma persino scelte legislative o amministrative, pretendendo che gli effetti del-
le proprie sentenze vincolino tanto come “cosa giudicata” (inter partes), quanto come “cosa
interpretata” (erga omnes) interna agli Stati aderenti alla CIDH e dunque al “blocco di costi-
tuzionalità transnazionale”.
Tuttavia, questo discorso vale in base alla CIDH, non in forza delle integrazioni regionali
ordinamentali alle quali comunque gli Stati latinoamericani partecipano. La puntualizzazione
non è da poco e le conseguenze che essa produce possono rivelarsi molto rilevanti 100.
Che cosa succede se altri organi sovranazionali si occupano comunque della “materia” dei
diritti fondamentali? Integrano, essi, il “blocco di costituzionalità transnazionale” in virtù del
vincolo pattizio dei Trattati che li prevedono e ai quali aderisce lo Stato latinoamericano? E se
invece sono in contrasto con il “blocco” integrato dalla CIDH? La risposta a queste domande
è ricavabile su tutti e due i fronti.
Da un lato, come affermato in dottrina 101, la “materia” dei diritti fondamentali come
“blocco di costituzionalità transnazionale” può legittimare la prevalenza gerarchica assoluta e
la diretta applicabilità di decisioni internazionali anche di natura non giudiziale, purché rien-

97
Così F. Bosch, La autoridad interpretativa de la Corte Interamericana: en transinción hacia una
comunidad regional de principios, in R. Gargarella (coord.), La Constitución en 2020, cit., 356 ss.
98
Cfr. E. Ferrer Mac-Gregor (coord.), El control difuso de convencionalidad, Santiago de Querétaro,
Fundap, 2012.
99
E. Lamarque, op. cit.
100
Si veda, in tale prospettiva, l’iniziativa di costituzione della Cumbre Judicial Iberoamericana (htttp://
www.cumbrejudicial.org), la quale, tra le prime iniziative, risalenti già al 2001, ha promosso un dichiarazione di
intenti comune su Poder judicial y Tribunales supranacionales.
101
P. Gutiérrez Colantuono, La Administración Pública, juridicidad y derechos humanos, Buenos Aires,
Abeledo Perrot, 2009.

La tridimensionalità delle integrazioni regionali tra America latina ed Europa 27


tranti appunto nella “materia” dei diritti fondamentali. Da tale angolo di visuale, la tridimen-
sionalità oltrepasserebbe l’ambito funzionale del policentrismo giurisdizionale 102: non a caso,
si parla 103 in proposito di “funzioni quasi-giurisdizionali” comunque acquisibili come “fonti
di produzione” sui diritti fondamentali 104.
Dall’altro, la centralità della “materia” dei diritti fondamentali consentirebbe di discutere,
a livello statale, di antinomie e conflitti con organismi sovranazionali che, ancorché privi di
propri organi giurisdizionali, operino in ambiti comunque interferenti con questa “materia”,
magari in nome di un regionalismo “aperto” su più tavoli di concretizzazione dei diritti (in
particolare, dei diritti sociali) 105. Queste integrazioni regionali “altre” non potrebbero comun-
que agire contro il “blocco di costituzionalità transnazionale” costruito dalle clausole costitu-
zionali, se non al prezzo di rimettere in discussione il carattere transnazionale stesso di quel
“blocco”. Una frattura del genere si è verificata di recente per il Venezuela 106, ma potrebbe
investire processi sovranazionali con forti ambizioni di integrazione delle politiche pubbliche
sui diritti. È il caso dell’UNASUR. L’atto costitutivo della “Unione Sudamericana degli Sta-
ti” 107 è stato siglato nel 2008, ponendo le basi per un’ampia visione di integrazione politica e
cooperazione economica all’interno dell’area latinoamericana. Il Trattato non prevede la crea-
zione di organi sovranazionali né di istituzioni giudiziali garanti, ma attiva spazi di discussio-
ne in tema di diritti e democrazia, che mirano a tradursi in strumenti giuridici interni ai singoli
Stati 108, in un’ottica di “dialogo regionale” politico e non solo “giurisdizionale 109.
Com’è facile constatare, lo scenario è ben diverso da quello europeo.
In Europa, esiste un Constitutional Pluralism funzionale all’integrazione regionale della
UE, ma senza subordinazioni alla CEDU 110. Infatti, la “materia” dei diritti fondamentali della
CEDU, ancorché risultante “dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri”, opera

102
Tale approccio è seguito con riguardo alle “raccomandazioni” della Commissione interamericana dei di-
ritti umani: cfr. E. Mac-Gregor, F. Silva García, El control de convencionalidad de la jurisprudencia constitu-
cional, in Parlamento y Constitución, 2010, 54 e nota 26.
103
Cfr. H. Faúndez Ledesma, Administración de justicia y derecho internacional de los derechos humanos,
Caracas, Publicidad Gráfica León, 1992, 20, il quale giustifica l’assunto proprio sulla base dell’argomento che il
diritto dei diritti umani ha come obiettivo quello di limitare i poteri statali di qualsiasi natura, in nome della loro
tutela in qualsiasi forma accertata.
104
La tesi della “fonte di produzione” è richiamata da Néstor P. Sagües, El valor de los pronunciamentos de
la Comisión Interamericana de Derechos Humanos, in Jurisprudencia Argentina, 16033, supplemento del 16
aprile 1997, e da O.A. Gozaíni, Los efectos de las sentencias de la Corte Interamericana de Derechos Humanos
en el derecho interno, in Liber Amicorum Héctor Fix-Zamudio, Tomo II, San José Costa Rica, Secretaría CIDH
1998, 828 ss. Di O.A. Gozaíni si v. anche El proceso transnacional, Buenos Aires, Ediar, 1992.
105
In tal senso, si veda A. Serbin, L. Martínez, H. Ramanzini Júnior (coords.), El regionalismo “post-
liberal” en América Latina y el Gran Caribe: nuevos actores, nuevos temas, nuevos desafíos, in Anuario
Iberoam. de la Integración Regional de América Latina y el Gran Caribe, 2012.
106
In Venezuela, sin dal 2001, la “Sala Plena” (comprensiva quindi della “Sala Constitucional”) del Tribu-
nale Supremo di Giustizia, nell’Acuerdo del 25 luglio 2001, aveva specificato che “le decisioni di questo Tribu-
nale Supremo, nelle sue differenti Salas, non possono essere sottomesse a revisione di qualsiasi istanza interna-
zionale, costituendo esercizio pieno della sovranità …”, mentre, nel settembre 2011, un comunicato ufficiale del-
la Contraloría General de la República rigetta esplicitamente le sentenze della Corte interamericana, per “con-
trarietà ai diritti umani del popolo venezuelano”.
107
Si veda il sito http://www.unasursg.org/.
108
Cfr. E. Narvaja de Arnoux et al., UNASUR y sus discursos, Buenos Aires, Biblos, 2012.
109
Cfr. G. Sanchini, Sguardo a Sud Ovest. Il Sudamerica dell’Unasur tra integrazione e prospettive geopo-
litiche, Reggio Emilia, Aliberti editore, 2010.
110
M. Goldoni, Constitutional Pluralism and the Question of the European Common Good, in 18 Eur. L.J.,
3, 385 ss.

MICHELE CARDUCCI 28
come “parte dell’Unione in quanto principi generali” e non modifica le competenze di
quest’ultima. In Europa, sulla “materia” dei diritti, si realizza un “intreccio” di parametri di
riferimento e di gerarchie, senza “blocchi” precostituiti 111.
In America latina, è l’inverso. Deve prevalere la CADH sulle altre integrazioni regionali,
in quanto parte del “blocco di costituzionalità transnazionale” abilitato dagli Stati aderenti.
La “materia” dei diritti fondamentali verticalizza il parametro dentro gli Stati e fra gli Stati.
In Europa, la “compatibilità” tra Stati, UE e CEDU, nella “materia” dei diritti fondamen-
tali, si esprime come “prossimità sufficiente” tra contenuto di regole e principi di ordinamenti
diversi 112.
In America latina, la “materia” necessariamente indirizza ad un’unica soluzione unitaria
di “blocco di costituzionalità transnazionale” fra Stati e CADH 113.

4. Il “controllo di convenzionalità” come Kompetenz-Kompetenz delle integrazio-


ni latinoamericane?

Come accennato, questo “monopolio” da parte della CIDH sembra suffragato anche dalle
previsioni costituzionali dei singoli paesi aderenti, se si considerano le Costituzioni di Argen-
tina (art. 31 e 75 n. 22), Bolivia (artt. 13 e 410), Brasile (art. 5 paragrafi 1-3), Colombia (artt.
93 e 94), Ecuador (artt. 84, 417, 424), Paraguay (artt. 137 e 142), Perú (IV disp. transitorie e
finali), Venezuela (artt. 23 e 31).
Tuttavia, è anche vero che la legittimazione interna al “monopolio” della CADH/CIDH è
stato interpretato diversamente dai giudici costituzionali che a quelle disposizioni si sono ri-
chiamati. Il Tribunale costituzionale colombiano, nella sentenza C-355/2006 114, legge la Co-
stituzione “alla luce” dei Trattati internazionali sui diritti umani, e, nella sentenza C-
200/2002 115, accetta la “natura vincolante” della giurisprudenza della CIDH rispetto a tutti i
giudici domestici nazionali. La Corte Suprema di Giustizia della Nazione argentina (CSJ) par-
te dall’assunzione della giurisprudenza interamericana come “guida” delle interpretazioni na-
zionali (caso “Giroldi Horacio David y otros vs. Argentina”) 116, per arrivare anche a censura-
re una sentenza del giudice di merito non conforme alla giurisprudenza della CIDH (caso
“Bulacio vs. Argentina”) 117. Il Supremo Tribunal Federale del Brasile (STF) interpreta speci-
fiche disposizioni della Costituzione federale “alla luce” della giurisprudenza della CIDH 118.
Non sembra pacifico, pertanto, se il “monopolio” della CIDH interagisca con i sistemi
statali in termini meramente persuasivi (come tertium comparationis di ispirazione interpreta-

111
Per un quadro d’insieme del ruolo dei giudici nazionali rispetto alla CEDU, cfr. R. Conti, La Convenzio-
ne europea dei diritti dell’uomo. Il ruolo del giudice, Roma, Aracne, 2011.
112
Inducendo a quella logica di “approssimazione”, definitiva “flou” da M. Delmas-Marty, Les forces ima-
ginantes du droit. Le relatif et l’universel, Paris, Seuil, 2004.
113
Sulla idea che questo confine oscilli tra previsioni “esplicite” e “implicite” delle Costituzioni latinoame-
ricane, si v. J. Tupayachi Sotomayor, La interpretación constitucional en el reconocimiento de nuevos derechos
fundamentales, in E.A. Velandia Canosa (dir.), Derecho procesal constitucional, Tomo III, vol. II, cit., 77 ss.
114
Sent. 10 maggio 2006, Causa C-355.
115
Sent. 19 marzo 2002, Causa C-200.
116
Sent. 7 aprile 1995.
117
Sent. 18 settembre 2003, Serie C, n. 100.
118
Cfr. STF RE 466.343, Rel. Min. Cezar Peluso, Pleno DJe 04.06.2009. In merito, i commenti di A.
Maués, La relaciones entre los órdenes nacional, supranacional e internacional en la tutela de los derechos,
relazione al Seminatio Italo-Hispano-Brasileño, Barcelona, 17-18 ottobre 2013, 5 ss. del paper.

La tridimensionalità delle integrazioni regionali tra America latina ed Europa 29


tiva) o effettivamente vincolanti (come vera e propria fonte di “diritto costituzionale transna-
zionale”).
L’articolo 68.1 CADH stabilisce che
“[gli] Stati contraenti si impegnano a rispettare in ogni caso la decisione della Corte In-
teramericana di cui sono parti”,
ma non fa riferimento alla sua giurisprudenza generalmente intesa come elemento integrante
di disposizioni costituzionali interne. Per questo motivo, si contesta l’idea che nella CADH
stessa risiedano le basi di un dovere internazionale di rispetto della giurisprudenza degli orga-
ni del sistema Interamericano 119.
Ma allora da cosa scaturisce la pretesa della CIDH di ergersi a “guardiano ultimo dei diritti
della regione” 120? La risposta teoricamente più significativa sul tema risiede nella dottrina giu-
risprudenziale del “controllo di convenzionalità”. I diritti umani costituirebbero un “corpus iu-
ris” transnazionale e interamericano al quale uniformarsi non tanto per ragioni formali, quanto
per supremazia costituzionale stessa dei diritti umani. In quanto “materia”, da essi scaturirebbe
la Kompetenz-Kompetenz inevitabilmente “interamericana” nella loro interpretazione, anche
quando le Costituzioni non lo chiarificano. In sostanza, di fronte ai diritti umani come corpus
interamericano, tutti gli Stati si atteggiano a “organi” del diritto che li protegge 121; un diritto
non più o non solo costituzionale statale, ma appunto convenzionale sovrastatale.
Il “controllo di convenzionalità” non sarebbe altro che il risvolto operativo di questa ri-
strutturazione dei rapporti internazionali con riferimento alla “materia” dei diritti.
Teorizzata solo nel 2005, con il paragrafo 27 dell’opinione concorrente del Giudice S. Gar-
cía Ramírez nel caso “Myrna Mack Chang vs. Guatemala” 122, la dottrina del “controllo di con-
venzionalità” è stata fatta propria ufficialmente dalla CIDH l’anno successivo, con due casi:
“Almonacid Arellano y otros vs. Chile” 123, del 26 settembre 2006, con i “considerando” 124 e
125 dove si spiega che il fondamento dello strumento del “controllo di convenzionalità” risiede-
rebbe nel principio di buona fede internazionale con riguardo ai diritti umani, e nell’art 27 della
Convenzione di Vienna dei Trattati; “Trabajadores Cesados del congreso (Aguardo Alfaro y
otros) vs. Perú”, del 24 novembre 2006 124, ripreso in “La Cantuta vs. Perú”, del 29 novembre
2006 (“considerando” 173), “Boycé y otros vs. Barbados”, del 20 novembre 2007 (“conside-
rando” 78), e “Fermín Ramírez y Raxcacó Reyes vs. Guatemala” del 9 maggio del 2008.
Il “considerando 63 di “Aguardo Alfaro” e il “considerando 128” di “Fermín Ramírez y
Raxcacó Reyes” precisano dettagliatamente i contorni del “controllo di convenzionalità”, fis-
sandoli su tre elementi: “effetto utile” delle sentenze CIDH sulle disposizioni interne in con-
trasto; parallelismo e analogia tra “controllo di convenzionalità” e controllo di costituzionali-

119
E. Malarino, Acerca de la pretendida obligatoriedad de la jurisprudencia de los órganos intera-
mericanos de protección de Derechos Humanos para los Tribunales Nacionales, in K. Ambos, E. Malarino, G.
Elsner (a cura di), Sistema Interamericano de Protección de los Derechos Humanos y Derecho Penal
Internacional, Tomo II, Göttingen, Konrad Adenauer Stiftung, 2011, 427-428.
120
Così il Tribunale costituzionale peruviano nella Sent. 19 giugno 2009 2007, 00007-2007-PI/TC.
121
Ma sulla complessità della tesi dello Stato come “organo” del diritto internazionale, non può non ricor-
darsi la nota tesi di Leo Gross, States as Organ of International Law and the Problem of Autointerpretation, in
Id., Essays on International Law and Organization, I, Ardsley-on-Hudson (NY), Transnational Publisher, 1984,
382 ss.
122
Sent. 25 novembre 2003, Serie C, n. 101. In tale opinione, il Giudice definisce il “controllo di conven-
zionalità” come riflesso di una “responsabilità globale” dello Stato di fronte alla Convenzione, che non può di-
pendere dalle suddivisioni interne dei poteri dello Stato e non può impedire l’effettivo esercizio della giurisdi-
zione della Corte interamericana.
123
Sent. 26 settembre 2006, Serie C, n. 154.
124
Sent. 24 novembre 2006, Serie C, n. 158.

MICHELE CARDUCCI 30
tà; rilevabilità ex officio, ossia prescindendo dal petitum e dal versus dell’azione promossa dal
ricorrente, del conflitto tra interpretazioni della CIDH e diritto interno.
Ecco dunque che la CIDH assume il “controllo di convenzionalità” come sovranazionalità
“sostitutiva” del diritto interno, nei cui confronti vale l’“effetto utile” delle decisioni giuri-
sprudenziali sovranazionali e il “primato” del diritto internazionale dei diritti umani della re-
gione, come interpretato dalla Corte interamericana 125. Quello che in Europa è “effetto utile”
e “primauté” di un sistema sovranazionale ordinamentale strutturato su fonti “sostitutive” del
diritto interno, come chiarito dalla Corte di Giustizia UE nei famosi casi “Costa” 126 e “Sim-
menthal” 127, in America latina varrebbe per i soli diritti umani e per la loro interpretazione
secondo la CIDH, nonostante l’assenza di un sistema di strutture e fonti sovranazionali “sosti-
tutive” di quelle interne agli Stati.
Il giudice domestico nazionale dovrà comunque procedere ex officio a verificare la “con-
formità tra norme nazionali e Convenzione interamericana”; e la primauté del diritto conven-
zionale interpretato dalla CIDH, dovrà prevalere sul diritto interno come su qualsiasi altro di-
ritto sovranazionale 128. Di conseguenza, l’“effetto utile” interamericano non si tradurrà sem-
plicemente nella “disapplicazione” giudiziale sul caso concreto, ma sarà destinato a sortire ef-
fetti “di sistema” e definitivi erga omnes, sostanzialmente equiparabili all’abrogazione/an-
nullamento di una disposizione nazionale dichiarata incostituzionale 129.
Non a caso, in “Cabrera Garcia y Montiel Flores vs. México”, del 26 novembre 2010, la
CIDH puntualizza, nel “considerando 225”, che “tutti gli organi dello Stato e non solo i giu-
dici” sono tenuti alla rilevazione del controllo di convenzionalità, per poi arrivare a pretende-
re, nel controverso caso “Gelman vs. Uruguay” del 2011 (di cui si parlerà a breve), che lo
stesso legislatore si impegni ad effettuare il “controllo di convenzionalità”, nella modalità del-
la verifica prognostica che le proprie scelte discrezionali non contrastino con il diritto conven-
zionale interpretato dalla CIDH 130.

125
Nel citato caso “Aguardo Alfaro”, si parla testualmente di “effetto utile della Convenzione” che “non può
essere menomato o annullato dall’applicazione di leggi contrarie alle sue disposizioni, al suo oggetto e ai suoi
fini”, per cui il potere giudiziale deve esercitare non solo un “controllo di costituzionalità, ma anche ‘di conven-
zionalità’ ex officio tra le norme interne e la Convenzione”.
126
Caso “Costa vs. Enel”, Sent. 15 luglio 1964, in Causa 6/64: “A differenza dei comuni Trattati
internazionali, il Trattato CEE ha istituito un proprio ordinamento giuridico, integrato nell’ordinamento
giuridico degli Stati membri all’atto dell’entratta in vigore del Trattato e che i giudici sono tenuti ad osservare”.
127
Caso “Amm. Finanze vs. Simmenthal Spa”, Sent. 9 marzo 1978, in Causa 106/77: “L’applicabilità diretta
del diritto comunitario significa che le sue norme devono esplicare pienamente i loro effetti, in maniera uniforme in
tutti gli Stati membri, a partire dalla loro entrata in vigore e per tutta la durata della loro validità. In forza del
principio della preminenza del diritto comunitario, le disposizioni del Trattato e gli atti delle istituzioni, qualora
siano direttamente applicabili, hanno l’effetto, nei loro rapporti con il diritto interno degli Stati membri, non solo
di rendere ipso jure inapplicabile, per il fatto stesso della loro entrata in vigore, qualsiasi disposizione contrastante
della legislazione nazionale preesistente, ma anche...di impedire la valida formazione di nuovi atti legislativi
nazionali, nella misura in cui questi fossero incompatibili con norme comunitarie ... Il giudice nazionale, incaricato
di applicare, nell’ambito della propria competenza, le disposizioni di diritto comunitario, ha l’obbligo di garantire
la piena efficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione
contrastante della legislazione nazionale, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa
o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale”.
128
Come si è chiarito nel citato caso “Almonacid Arellano y otros vs. Chile ”. In merito, si v. H. Nogueira
Alcalá, Los desafíos de la sentencia de la Corte Interamericana en el caso Almonacid Arellano, in 12 Ius et
Praxis, 2, 2006, 297 ss.
129
Così si esprime esplicitamente la nota 103 del “considerando” 44 del caso “Barrios Altos vs. Perù”, del
3 settembre 2001.
130
Per una ripercorrenza attenta del contenuto e delle modalità del “controllo di convenzionalità”, si v. E.
Rey Cantor, Control de convencionalidad de las leyes y derechos humanos, México, Porrúa, 2008, e ora i due

La tridimensionalità delle integrazioni regionali tra America latina ed Europa 31


Insomma, il parametro di convenzionalità finisce col prevalere su quello di costituzionali-
tà, orientando le riserve di legge degli Stati: una Kompetenz-Kompetenz non fungibile. Del re-
sto, nel caso “Radilla Pacheco vs. México” del 23 novembre 2009, la CIDH ritiene di dover
pretendere che tutto il diritto nazionale, compreso quello costituzionale, debba essere interpre-
tato in maniera “conforme al” parametro della “convenzionalità” (“considerando” 338-340) e
che, di conseguenza, anche i giudici costituzionali siano tenuti a “conformarsi” al controllo di
convenzionalità, in quanto “organi”, anch’essi, del sistema interamericano, al pari di tutti gli
altri 131.
Il percorso “sostitutivo” sembra così giungere a compimento. La “conformità” interame-
ricana, infatti, si presenta non tanto come “preferenza” ermeneutica al cospetto di un ventaglio
di interpretazioni sovranazionali possibili ed “equivalenti” rispetto alle prerogative interpreta-
tive del giudice nazionale 132, quanto come “meta criterio” obbligato 133 che detta la gerarchia
alla quale attenersi e “fissa il punto” sulla “materia” dei diritti fondamentali, indipendente-
mente dall’esistenza di altri processi sovranazionali 134. Il ruolo della giurisprudenza regionale
delle varie integrazioni viene escluso a priori, con buona pace per qualsiasi anelito di “dialo-
go” pluralistico nel regionalismo latinoamericano 135.
C’è un “Amparo interamericano” che apre alla “transcostituzionalità” e c’è un diritto
convenzionale interamericano che interpreta e detta quella “transcostituzionalità” 136. Alterna-
tive di metodo o di meccanica non si profilano, se non uscendo dalla “materia” dei diritti fon-
damentali e dunque dal “blocco di costituzionalità transnazionale” comunque voluto dagli
Stati 137.
In occasione dell’“Informe de la CIDH” davanti all’Assemblea generale della OEA a Pa-
namá, il 5 giugno 2007, il Presidente Sergio García Ramírez ha testualmente dichiarato:
“La Corte interamericana non costituisce una terza o quarta istanza di revisione delle
sentenze nazionali. La sua missione consiste nella promozione dell’armonizzazione dell’ordi-

libri di M. Carbonell, Teorías de los derechos humanos y del control de convencionalidad, México, 2013, e
Introducción general al control de convencionalidad, México DF, Porrúa, 2013.
131
Arrivando così al “cotrollo diffuso” di convenzionalità: cfr. E. Ferrer Mac-Gregor, Reflexiones sobre el
control difuso de convencionalidad. A la luz del caso Cabrera García y Montiel Flores vs. México, in Bol. Mex.
Der. Comp., 131, 2011, 917 ss., e R. Gil Rendón, El control difuso de convencionalidad: obligación de todos los
jueces y magistrados latinoamericanos, in E.A. Velandia Canosa (dir.), Derecho procesal constitucional, Tomo
III, vol. III, cit., 179 ss.
132
Sul “principio di equivalenza” come precondizione della “preferenza” nella “interpretazione conforme”,
si v. C. Pinelli, Interpretazione conforme (rispettivamente a Costituzione e al diritto comunitario) e principio di
equivalenza, in Giur. Cost., 2008, 1368 ss.
133
Sul canone della “interpretazione conforme a” come “metacriterio”, si v. G. Laneve, L’interpretazione
conforme a Costituzione: problemi e prospettive di un sistema diffuso di applicazione costituzionale all’interno
di un sindacato (che resta) accentrato, in B. Caravita di Toritto (a cura di), La giustizia costituzionale in tra-
sformazione: la Corte costituzionale tra giudice dei diritti e giudice dei conflitti, Napoli, Jovene, 2012, 3 ss.
134
Diversamente, ancora una volta, da quanto si verifica in Europa: cfr. A. Ruggeri, Interpretazione con-
forme e tutela dei diritti fondamentali, tra internazionalizzazione (ed “europeizzazione”) della Costituzione e
costituzionalizzazione del diritto internazionale e del diritto comunitario, ora in Id., “Itinerari”, vol. XIV, 2011,
cit., 291 ss.
135
Nonostante dal 2006, su iniziativa di UNAM-IIDH-Konrad Adenauer Stiftung, sia promossa la rassegna
semestrale dal rassicurante titolo Dialogo Jurisprudencial. Derecho internacional de los derechos humanos,
Tribunales internacionales, Corte Interamericana de Derechos Humanos.
136
J. Ovalle Favela, La influencia de la jurisprudencia de la Corte interamericana de derechos humanos en
el derecho interno de los Estados latinoamericanos, in Bol. Mex. Der. Comp., 134, 2012, 595 ss.
137
Cfr. in merito le chiavi di lettura proposte in C.R. Fernández Liesa (dir.), Tribunales internacionales y
espacio iberoamericano, Madrid, Civitas-Thomson Reuters, 2009.

MICHELE CARDUCCI 32
ne interamericano dei diritti umani attraverso l’interpretazione delle disposizioni contenute
negli strumenti internazionali che gli Stati hanno adottato. … La vera trascendenza dei pro-
nunciamenti della Corte si radica nell’influenza che essi esercitano nell’orientamento delle
decisioni interne, legislative, giudiziali o amministrative … La recezione interna costituisce
la novità più rilevante dell’attuale cammino …”.
“Armonizzazione”, “influenza”, “recezione”: sono i vocaboli di un diritto sovranazionale
“sostitutivo”.
Ma è possibile mantenere questo meccanismo, senza un dispositivo costituzionale di ces-
sione della sovranità? Ora che la dottrina giurisprudenziale del “controllo di convenzionalità”
è diventata così incisiva e invadente, si comincia a discutere di questo interrogativo, in qual-
che modo rimasto nell’ombra, nella misura in cui le sovranazionalità ordinamentali di inte-
grazione regionale dell’America latina non avevano mai dato prova di minacciare pervicace-
mente le competenze domestiche degli Stati.
In fin dei conti, l’ordito argomentativo della obbligatorietà del “controllo di convenziona-
lità” tradisce una mera tautologia: la giurisprudenza della CIDH è vincolante perché lo dichia-
ra la stessa CIDH. Questo paradosso dell’autoreferenza ha segnato anche la giurisprudenza
della Corte di Giustizia della UE, con riferimento ai “principi generali del diritto europeo” 138.
Ma si è trattato di un’autoreferenza apparente, nella misura in cui il protagonismo della Corte
UE si è fondato su un meccanismo formale, inesistente (come si constaterà) nel contesto lati-
noamericano: la “pregiudizialità sovranazionale” obbligatoria e vincolante. Inoltre, questo
protagonismo si è da subito misurato con le puntualizzazioni della giurisprudenza delle Corti
costituzionali nazionali, aprendo così le porte alla pratica della Cross Fertilization.
Non sono certo queste le premesse dell’autoreferenza interamericana 139. La CIDH si pro-
clama “ultima interprete” del sistema convenzionale interamericano, in quanto le sue senten-
ze, in base all’art. 67 CADH, sono definitive e non riformabili. Ma avere l’“ultima parola” in
materia di interpretazione della Convenzione non è affatto sinonimo di obbligatorietà della
sua giurisprudenza: serve a “chiudere il caso”, non a produrre una fonte erga omnes. Non a
caso le citate sentenze della Corte UE “Costa” e “Simmenthal” escludono questo argomento:
“ultima parola” e “Kompetenz-Kompetenz” restano profili differenti.
È questo il “tallone d’Achille”, come efficacemente stigmatizzato 140, della dottrina del
“controllo di convenzionalità”: un paradosso che, in nome dei diritti umani e dell’“Amparo
interamericano”, pretende di imporsi a tutti gli Stati e tra i cittadini degli Stati, privilegian-
do la posizione e gli interessi processuali del ricorrente, senza alcun contraddittorio e senza
alcun “debido proceso” con gli altri soggetti, cittadini e Stati, costretti a “subire” la pretesa
forza normativa della “cosa interpretata” di quel giudizio; un paradosso che ambisce alla
sovranazionalità “sostitutiva”, senza confrontarsi con le altre dinamiche di integrazione so-
vranazionale 141; un paradosso scongiurabile solo ripristinando il dialogo – e non la dettatu-

138
Si v. J. Neuenschwander Magalhaes, O uso criativo dos paradoxos do direito. A aplicação dos
princípios gerais do direito pela Corte de Justiça Europeia, in AA.VV., Paradoxos da auto-observação,
Curitiba, Juruá, 1997, 245 ss.
139
Non a caso, E. Jinesta Lobo, Control de convenzionalidad ejercido por los Tribunales y Salas
constituconales, in E.A. Velandia Canosa, Derecho procesal constitucional, Tomo III, vol. III, 218 ss., auspica
l’introduzione di una “questione pregiudiziale di convenzionalità” per i giudici costituzionali nazionali, allo sco-
po di consacrare anche formalmente il “primato” strutturale del diritto convenzionale interamericano.
140
Néstor P. Sagües, Dificultades operativas del control de convencionalidad en el sistema interamericano,
en La Ley, 2010, 117 ss.
141
E. Biacchi Gomes, Blocos económicos. Solução de controvérsias, Curitiba, Juruá, 2010, osserva come le
attività interpretative dei giudici sovranazionali “regionali” siano meno incidenti della “cosa interpretata” della
CIDH.

La tridimensionalità delle integrazioni regionali tra America latina ed Europa 33


ra – tra autorità nazionali e strutture sovranazionali, senza imposizioni unilaterali ed esclu-
sioni di sorta 142.

5. La specificità centroamericana nel suo approccio Pick and Choose

Rispetto a questo quadro, sempre l’America latina offre, come si è accennato, un’ulteriore
esperienza singolare e diversa: il processo plurisecolare, perché risalente almeno al 1822 143,
di integrazione costituzionale, e non solo regionale, del Centro America 144; una “transizione”
verso l’unità centroamericana mai raggiunta ma sempre perseguita.
La rilevanza di questa originale e complessa esperienza fu colta con grande intelligenza
da un comparatista attento come Adolfo Posada 145 e ripresa da Ricardo Gallardo 146, sin dalla
prima metà del secolo scorso. In che cosa consiste questa originalità? In due fattori:
– nella precoce legittimazione, a livello sia costituzionale che sovranazionale, di quello
che appunto oggi chiameremmo “Embeddedness”, in ragione della esistenza di un “giudice
sovranazionale” in grado di produrre “intrusione” all’interno agli Stati anche a livello costitu-
zionale, senza alcuna eccezione e non solo sul fronte dei diritti, bensì anche prioritariamente
su quello dei poteri;
– nella valorizzazione della “identità costituzionale” come fattore di integrazione (si po-
trebbe sintetizzare: no “uniti dalla o nella diversità”, bensì “uniti nella e dalla identità”) 147.
Infatti, le caratteristiche del costituzionalismo integrazionista centroamericano possono
essere così schematizzate:
a) precoce istituzione di una Corte sovranazionale di tutela dell’unità della regione;
b) valorizzazione delle identità costituzionali comuni come elemento di unità;
c) garanzia di quelle identità in caso di conflitti costituzionali interni o esterni agli Stati
aderenti.
La formalizzazione di questa triade risale al cosiddetto “sistema Washington” del 20 di-
cembre 1907, ossia all’accordo che fissò, tra gli organi permanenti e fondamentali della
“Oficina Internacional Centroamericana”, la Corte de Justicia Centroamericana (nota anche
come “Corte de Cartago”, dal nome della città costaricense dove avrebbe avuto sede). Defini-
ta nel 1917, dalla World Peace Foundation di Boston, il “più sorprendente organo giurisdi-
zionale del mondo”, essa era effettivamente investita di competenze “costituzionali” sovrana-
zionali: organo esterno che avrebbe giudicato fatti interni in base alle Costituzioni nazionali e
su questioni non riferite solo a diritti delle persone. Infatti, la Convenzione per lo stabilimento

142
Néstor P. Sagües, Obligaciones internacionales y control de convencionalidad, en Estudios Constitu-
cionales, 1, 2010, 117 ss.
143
J.G. Trababino, Documentos de la Unión Centroamericana, Ciudad de Guatemala, Secretaria General de
la Organización de Estados Centroamericanos, 1956.
144
Sulla specificità dell’esperienza centroamericana, si v. J. Delgado Rojas, La especificidad de la inte-
gración centroamericana y su aporte al pensamiento integracionista latinoamericano, in Rev. Aportes para la
integración latinoamericana, 2009, 31 ss. in www.iil.org.ar.
145
A. Posada, Instituciones políticas de los pueblos hispano-americános, Madrid, Reus, 1900.
146
R. Gallardo, Las Constituciones de la Republica Federal de Centro-América, Madrid, Istituto de
estudios politicos, 1958.
147
Il profilo è assai importante in un contesto, come quello latinoamericano, dove il tema delle “identità”
nazionali e istituzionali non ha mai conosciuto pacifici e condivisi riconoscimenti. Cfr., per tutti, O. Ianni, Il la-
birinto latino-americano (1993), trad. it., Padova, Cedam, 2000.

MICHELE CARDUCCI 34
e il funzionamento della Corte, adottata il 25 maggio del 1908, riconoscendo alla Corte di
rappresentare la “coscienza nazionale del Centro America”, stabiliva all’art. 1:
“le Alte Parti Contraenti … si impegnano a sottomettere tutte le controversie o questioni
… di qualsiasi natura”.
Di conseguenza, secondo l’art. 2, la Corte avrebbe conosciuto e deciso con effetti obbli-
gatori interni a ciascuno Stato:
“di ricorsi dei singoli di un paese centroamericano contro atti di altri Governi, in viola-
zione dei Trattati e delle Convenzioni” ma anche “del proprio Governo … una volta esauriti
i rimedi interni … per violazione o denegata giustizia”,
nonché, come recitava esplicitamente l’articolo “anexo”:
“dei conflitti che potrebbero insorgere tra i poteri legislativo, esecutivo e giudiziale, e
quando di fatto non si dà esecuzione alle decisioni giudiziali o alle risoluzioni del Congresso
nazionale del paese”.
Con quelle disposizioni si è attivato un meccanismo, ripreso e confermato ora dall’attuale
Corte Centroamericana de Justicia (CCJ), che ha sede a Managua. In base agli articoli 13 e
35 del Protocollo di Tegucigalpa e dell’art. 3 dello Statuto della CCJ, si è difatti creata una
giurisdizione “superiore” ed “esclusiva” a livello sovranazionale anche in materia costituzio-
nale di conflitti tra organi interni ai singoli Stati: l’art. 22, prima parte inc. f) dello Statuto del-
la Corte stabilisce:
“La competenza (della Corte) sarà: […] f) di conoscere e risolvere su ricorso
dell’interessato, i conflitti che potranno sorgere tra poteri o organi fondamentali degli Stato
e quando di fatto non si rispettano le decisioni giudiziali” 148.
Con questo panorama così singolare, la domanda inevitabile è la seguente: come incidono
queste competenze sul diritto convenzionale della CADH? 149 Vale per il Centro America la
“verticalità” del sistema convenzionale e del “controllo di convenzionalità”, riscontrata negli
altri contesti del subcontinente? La CCJ sembra rispondere escludendo, almeno in via preven-
tiva e astratta, qualsiasi interconnessione tra competenza e giurisprudenza regionale centroa-
mericana e decisioni della CIDH, così aprendo ad una ipotesi di dualità di Kompetenz-
Kompetenz. Infatti, i dati di questa dualità sarebbero formali e risiederebbero nello Statuto
della CCJ e nella sua accettazione da parte degli Stati che vi hanno aderito 150.
– Secondo l’art. 25, la CCJ si “autolimiterebbe” nella “materia” dei diritti umani, renden-
do così “esclusiva” la competenza della CIDH. Per tale ragione, tra l’altro, la CCJ ha sotto-
scritto un’apposita intesa con la CIDH, il 4 ottobre 2007. Del resto, già nel caso “Duarte
Moncada” 151, la CCJ aveva dichiarato la propria “incompetenza” in “materia” di diritti fon-
damentali, senza escludere di conoscere eventuali violazioni di diritti da parte degli organi del
SICA 152.
– In base all’art. 23, inoltre, è affidata alla CCJ la competenza “consultiva” verso gli Stati
sulla interpretazione di “qualsiasi accordo internazionale”. Tale previsione potrebbe astratta-
mente consentire di promuovere un “confronto comparativo multilivello” con la CADH, fon-

148
J.A. Giammattei Avilés, La Corte Centroamericana de Justicia como Tribunal constitucional de la
Comunidad Centroamericana, in Anuario de Derecho constitucional latinoamericano, 2003, 507 ss.
149
A. Gómez Vides, Aportes significativos de la Corte Centroamericana de Justicia al derecho interna-
cional y al derecho comunitario, Managua, Ccj, 2013.
150
Infatti, lo Statuto della CCJ è comunque un accordo internazionale al quale non tutti gli Stati sottoscritto-
ri del SICA hanno aderito: in particolare, non vi partecipa il Costa Rica, pioniere nell’accettazione del “controllo
di convenzionalità”.
151
Sent. 13 gennaio 1995.
152
Caso “Viguer Rodrgio”, Sent. 24 ottobre 2000.

La tridimensionalità delle integrazioni regionali tra America latina ed Europa 35


dato su qualcosa di simile alla “tecnica della equivalenza” elaborata (come si dirà) in Europa
nel “dialogo” tra Corte di Giustizia UE e Corte CEDU (ora codificata appunto dall’art. 6
TUE). Ma lo strumento è stato utilizzato finora in una sola occasione, su richiesta del Nicara-
gua, nella decisione assunta per il caso 27-7 richiesto il 3 marzo 2000 e deciso il 13 marzo
2003. Esso, quindi, resta nella disponibilità “politica” degli Stati e dunque non produce alcun
effetto “dialogante” con la CIDH, rafforzando pertanto la presunzione di separatezza tra le
due dinamiche sovranazionali 153.
– Se la CCJ si trova a dover discutere di diritti fondamentali, in merito soprattutto alla lo-
ro eventuale violazione da parte di organi del SICA, il riferimento ad essi e alla loro interpre-
tazione viene esplicitato al minimo, senza alcuna pretesa di confronto con la giurisprudenza
della CIDH, scongiurando il più possibile confronti, come è stato recentemente confermato
nella decisione n. 12-06-2011 del 21 giugno 2012.
D’altra parte, la stessa struttura interordinamentale del SICA presenta una sua specificità:
quella di funzionare secondo la logica definita del Pick and Choose.
Con la formula “Pick and Choose System” si intende identificare quei contesti interordi-
namentali, in cui gli Stati si vincolano nelle integrazioni reciproche in forma asimmetrica ri-
spetto alle fonti che l’organizzazione sovranazionale produce, a causa non tanto della disponi-
bilità statale ad adempiere a tutti gli obblighi derivanti dai Trattati istitutivi, quanto soprattutto
della morfologia giuridica stessa degli atti costitutivi di quella integrazione, caratterizzati da
pluralità di accordi, che di volta in volta i singoli Stati hanno titolo ad accettare o meno. In
questo modo, la integrazione opera con una pluralità di Trattati e fonti giuridiche, in un modo
non coordinato né a livello verticale, tra dimensione sovranazionale e dimensione statale, né a
livello interstatale, dato che gli Stati non sono tenuti ad aderirvi, ma neppure a livello di sin-
goli Stati, condizionati dall’adesione o meno a tutti i Trattati ragionali.
Il primo documento che imprime questa tendenza centroamericana è il Tratado de Unión
Centro-Americana, celebrato in Guatemala il 15 giugno 1897 e sottoscritto dai rappresentanti
della República Mayor de Centro-América, del Guatemala e della Costa Rica 154. Nell’art. 1
del Trattato si legge che Honduras, Guatemala, El Salvador, Nicargua e Costa Rica intendono
dar vita a una “sola nación”, e che tuttavia ciascuna Repubblica fondativa della “nueva uni-
dad política” conserva in realtà “sua intera libertà e indipendenza, ad eccezione dei punti
espressamente indicati da questo Trattato e con riferimento ai quali [gli Stati] devono essere
considerati come una unica nazionalità” (art. 2). Questa clausola di limitazione inversa della
sovranità statale trova conferma in tutte le altre disposizioni, dove si specifica che l’Unità in-
terstatale opera esclusivamente nella materia delle relazioni internazionali esterne (art. 3), per
le quali l’Unione si doterà di uno specifico potere esecutivo, con a capo il Presidente della
Repubblica Centroamericana (artt. 4-7) affiancato da un Consiglio di delegati statali (artt. 8-
12). Non sono previste forme specifiche di intervento degli organi dell’Unione sugli affari de-
gli Stati, in ragione degli impegni assunti a livello di relazioni esterne. Ci si limita a parlare di
“armonia” tra gli Stati (artt. 13, lett. j, e 18) e di impulso, da parte del Consiglio, a “unificare”
le legislazioni statali (art. 14), mentre si garantisce chiaramente che i Trattati comunque stipu-
lati dall’Unione non sortiranno effetti immediati per i singoli Stati, dovendo, questi ultimi, ve-
rificarne la rispondenza a propri “interessi peculiari” (art. 13, lett. k).
Il sistema di questa Unione, dunque, nasceva asimmetrico e addirittura abilitava alla per-
sistenza dell’asimmetria, tanto da prevedere, negli artt. 19 e 20, che il Trattato non potrà esse-

153
S. Maldonado Jordison, The Central American Court of Justice. Yesterday, Today and Tomorrow?, in
Connecticut J. Int.’l L., 2009, 183 ss.
154
Pubblicato in Tegucigalpa, dalla Tipografia Nacional, nel 1897.

MICHELE CARDUCCI 36
re interpretato nella considerazione retrospettiva delle precedenti esperienze integrative, che
dovrà tener conto della “reciproca convenienza” e che addirittura la stessa Unione potrà co-
munque sopravvivere anche nel caso di fuoriuscita degli Stati contraenti, purché “concorra
più di uno Stato alla sua formazione”, salvo che la dissociazione degli altri non comprometta
l’efficacia degli impegni internazionali assunti dall’Unione 155.
Il grande comparatista Adolfo Posada focalizzò con immediatezza la particolarità di que-
sti esperimenti centroamericani 156. Soprattutto egli fu il primo a sottolineare che la caratteriz-
zazione asimmetrica di tale integrazione, oggi appunto qualificabile secondo la logica Pick
and Choose, trovava fondamento non solo nei contenuti stessi dei Trattati istitutivi 157, come
dimostrano i citati articoli del Trattato del 1897, ma addirittura in esplicite disposizioni costi-
tuzionali dei singoli Stati integrati, espressive non tanto di vincoli “comunitari”, cui orientare
il sistema delle fonti e della organizzazione statale, ma paradossalmente della consapevolezza
opposta di ammettere la disaggregazione reciproca. Così, l’art. 151 della Costituzione di El
Salvador qualifica lo Stato “parte disgregada” della República de Centro-América. Analoga-
mente, l’art. 1 della Costituzione del Nicaragua parla di “sección disgregada”, mentre quella
del Guatemala, nell’art. 2, si limita ad auspicare il favore per la “nacionalidad” centroameri-
cana, e solo il testo dell’Honduras, nel suo primo articolo, dichiara il dovere e la urgente ne-
cessità di riaggregare le “secciones” anche a costo di riformare o addirittura abrogare la pro-
pria Costituzione 158.
Nel secondo Novecento, con la istituzione della ODECA nel 1951, si riaprono i tentativi
di riorganizzazione internazionale interstatale centroamericana. La ODECA è istituita dai cin-
que Stati dell’area, con la “Carta de San Salvador” del 14 ottobre 1951. Essa nasce con il
compito di promuovere la cooperazione e l’integrazione interstatale. Ed in effetti, con
l’entrata in vigore dell’Accordo di Managua del 13 dicembre 1960, si dà vita al Mercado co-
mún centroamericano (MCCA), operante però come semplice unione doganale tra Stati.
È solo a partire dal Protocollo di Tegucigalpa alla Carta dell’ODECA, concluso il 13 di-
cembre 1991 dai cinque Stati centroamericani e da Panama, che si procede alla istituzione del
SICA, entrato in funzione il 1° febbraio 1993. Nel 2000 ad esso ha aderito il Belize, mentre la
Repubblica Dominicana vi si è associata come osservatore dal 2003.
Non è dunque comprensibile quali siano le condizioni identitarie di partecipazione a que-
sti nuovi processi centroamericani di integrazione 159. Fino al Trattato del 1897, i tentativi
sembravano presupporre una identità geografica e costituzionale, chiarificata dall’apparte-
nenza alla “coscienza nazionale del Centro America”. Oggi, i fenomeni di organizzazione re-
gionale dell’America centrale hanno coinvolto anche paesi come Panama, indipendente dalla
Colombia nel 1903, o il Belize, indipendente dal Regno Unito solo dal 1981, già membro di
un’altra organizzazione di integrazione regionale come la CARICOM, nonché infine la Re-
pubblica Dominicana, che geograficamente e storicamente non ha vissuto le precedenti espe-
rienze di “diritto costituzionale centroamericano” 160.

155
Una logica quindi ben diversa dal disegno impresso nella Costituzione della Repubblica Confederale del
Centro-America, del 23 novembre 1824, il cui art. 10 stabiliva invece che “Ciascuno degli Stati che la compon-
gono è libero e indipendente nel suo governo e nella sua amministrazione interna; e ad esso spetta tutto il potere
che dalla Costituzione non viene conferito alle autorità federali”.
156
A. Posada, op. cit., 138 ss.
157
Diacronicamente scandagliati da Posada, da pag. 128 e seg.
158
A. Posada, op. cit., 120-122.
159
Sulla complessità di questo problema, si v. L.P. Castillo Amaya, M. Carducci, op. cit.
160
A. Maldonado Aguirre, El Acta fundacional de la Nacion Centroamericana, in Anuario de Derecho
Constitucional Latinoamericano, 2009, 723 ss. in www.juridicas.unam.mx.

La tridimensionalità delle integrazioni regionali tra America latina ed Europa 37


Se si considera che questi paesi possono interagire nei rapporti esterni del SICA, parteci-
pando addirittura alla Sessione di “Rilancio dell’integrazione regionale”, svoltasi nella città di
San Salvador nel 2009, ed alla “Dichiarazione Speciale sull’Honduras”, rigettata invece da un
componente effettivo del “Sistema” come il Nicaragua 161 (addirittura minacciando la “rottu-
ra” del Trattato istitutivo), si comprende come la logica Pick and Choose persista in quel con-
testo, nonostante l’isomorfismo degli ordinamenti che ne sono stati coinvolti.
Non a caso, nel quadro della cooperazione assicurata dal Protocollo di Tegucigalpa, gli
Stati hanno concluso una serie di altri accordi internazionali, formalmente non integrati con il
Protocollo e quindi giuridicamente indipendenti rispetto ad esso: il Protocollo di Guatemala
del 29 ottobre 1993, modificato nel 2003, volto a realizzare l’“Unione economica centroame-
ricana”, ratificato solo da Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras e Nicaragua; il Trat-
tato di “Integrazione sociale centroamericana” del 30 marzo 1995, ratificato solo da El Sal-
vador, Guatemala e Panama; il Trattato quadro di “sicurezza democratica” del 15 dicembre
1995, ratificato da Belize, El Salvador, Honduras e Nicaragua.
Questa situazione di asimmetria di vincoli di reciprocità internazionale produce effetti di-
rompenti anche sulle clausole costituzionali di apertura all’integrazione e al diritto internazio-
nale. I Trattati rimangono tra loro autonomi e vincolano solo gli Stati che decidono di aderir-
vi, riversando anche all’interno della dinamica costituzionale il fenomeno del “Pick and
Choose System”, e così intralciando un tendenzialmente omogeneo “cammino comunitario”
degli organi costituzionali, a partire dai giudici.
L’unico contesto in cui il quadro sembra comporsi in una forma di tridimensionalità più
prossima a quella europea, è offerto dal Costa Rica.
In questo paese, l’apertura al diritto comunitario del SICA e a quello dei diritti umani del-
la CADH è formalizzato da varie fonti interne e conosce una felice sintesi nell’art. 1 della Ley
de la Jurisdicción Constitucional:
“La presente legge ha come scopo quello di regolare la giurisdizione costituzionale, il
cui obiettivo consiste nel garantire la supremazia delle norme e dei principi costituzionali e
del diritto internazionale e comunitario vigenti nella Repubblica, la loro uniforme interpreta-
zione e applicazione, così come i diritti e le libertà fondamentali consacrate nella Costituzio-
ne e negli strumenti internazionali dei diritti umani”.
Di conseguenza, ancorché il Costa Rica abbia comunque assecondato la logica Pick and
Choose, per esempio non ratificando lo Statuto della CCJ del SICA, la sua giurisprudenza
“dialoga” tanto con la CCJ stessa quanto con la CIDH, riconoscendo a entrambi carattere di
sovranazionalità incidente sull’ordinamento interno in funzione della più ampia garanzia dei
diritti fondamentali 162. È così che la tridimensionalità viene ad essere accolta, come spiegherà
la Sala Constitucional nella sentenza n. 4638-1996 del 6 settembre 1996:
“… la Corte Centroamericana de Justicia è organismo incaricato di dirimere i conflitti
relazionati alle norme di carattere comunitario, e le sue attribuzioni sono state regolate da
un proprio Statuto non approvato dal Costa Rica. In conseguenza di questa scelta, però, il
paese e i suoi abitanti si ritrovano svantaggiati di fronte all’organo chiamato a interpretare e
applicare il diritto comunitario, sicché tale situazione non può non assumere rilevanza costi-
tuzionale, nella misura in cui implica una denegata giustizia per i cittadini costaricensi, che,
al pari dei cittadini degli altri paesi centroamericani, detengono diritti e doveri derivanti dal-
le norme comunitarie, ma si vedono collocati su di un piano diseguale di fronte al Tribunale
comunitario chiamato a decidere su questi diritti e doveri”.

161
Dopo il colpo di Stato del giugno del 2009, che ha rovesciato il presidente Zelaya, i paesi del SICA ave-
vano escluso l’Honduras da questo organismo regionale.
162
Sala Constitucional de Costa Rica, Sentencia. 1079-92.

MICHELE CARDUCCI 38
6. Dov’è il Judicial Branch nelle integrazioni tridimensionali?

La riscontrata differenza morfologica e funzionale fra la tridimensionalità europea, quella


latinoamericana e infine quella centroamericana consente di impostare la comparazione costi-
tuzionale dei tre contesti di sovranazionalità regionale con riguardo ai richiamati “elementi
determinanti” dei diritti fondamentali, del ruolo dei giudici e delle loro interpretazioni e di
quello delle fonti.
L’ipotesi, che segue alle premesse descritte, è quella del confronto su due profili:
– quale giudice, di quale livello ordinamentale, abbia l’“ultima parola” sulla interpreta-
zione dei diritti fondamentali;
– quale ruolo giochi il “primato” delle Costituzioni nazionali, in termini di “paradigma ul-
timo” di orientamento dei rapporti tra gli ordinamenti coinvolti dalla tridimensionalità, e se
esista o meno un “monopolio” nella utilizzazione delle Costituzioni nazionali in tale funzione.
Si tratta dei due interrogativi sottesi alla ricerca del Judicial Branch delle integrazioni so-
vranazionali e del suo ruolo, effettivo o meno, di Constitutional Justice degli intrecci interor-
dinamentali 163.
Essi si presentano necessari, perché, come si è visto, la sovranazionalità “compensativa”
del sistema convenzionale interamericano finisce con l’operare, attraverso l’inquadramento
nel “blocco di costituzionalità transnazionale”, come “sostitutiva” o comunque intrusiva sul
sistema delle fonti e dei diritti inserito in ciascun ordinamento statale, imponendosi sulle stes-
se interpretazioni domestiche delle Costituzioni, sui loro giudici costituzionali e su tutti gli al-
tri organi interni; in questo, presentandosi più simile alla sovranazionalità della UE che non a
quella della CEDU. Nel contesto centroamericano, poi, si tenta una sorta di doppio binario tra
intrusività della CADH e quella del SICA.
In Europa, invece, il rapporto tra Costituzioni, UE e CEDU non è così assorbente.
Innanzitutto, le Corti costituzionali agiscono in una prospettiva diversa da quella della
Corte sovranazionale CEDU, proprio perché quest’ultima, facendosi cura del singolo diritto in
gioco rispetto al parametro internazionale, non può che essere semplicemente “compensativa”
della tutela di quel diritto, lì dove i giudici costituzionali, nel discutere qualsiasi questione di
legittimità costituzionale, si devono preoccupare, indipendentemente dagli strumenti di tutela,
dell’intero sistema dei diritti e degli interessi costituzionalmente protetti all’interno di ciascun
singolo ordinamento, nel rispetto del sistema delle fonti domestiche 164. Le Corti nazionali, in
altri termini, attivano una sorta di “strategia di filtro” verso la CEDU e le interpretazioni della
sua Corte: questa “strategia” può consistere in una sorta di “distinguishing” nell’utilizzo dei
precedenti della Corte CEDU, fondato sul presupposto che la Corte CEDU possa vantare un
“monopolio” nella interpretazione della CEDU stessa ma non certo verso le Costituzioni na-
zionali; al richiamo esplicito ai precedenti esterni, allo scopo di reinterpretarli “alla luce” della
Costituzione 165; fino alla considerazione che il rispetto degli obblighi internazionali non possa

163
Secondo la nota ipotesi interpretativa formulata da Mauro Cappelletti e D. Golay, Judicial Branch in the
Federal and Transnational Union, in M. Cappelletti, M. Seccombe, J.H.H. Weiler (eds.), Integration Trough
Law, Berlin-New York, De Gruyter, vol. I, 1986, 327 ss.
164
Sulla rilevanza di questa considerazione, si v. opportunamente A. Ruggeri, La Consulta rimette abilmen-
te a punto la strategia dei suoi rapporti con la Corte EDU e, indossando la maschera della consonanza, cela il
volto di un sostanziale, perdurante dissenso nei riguardi della giurisprudenza convenzionale (“a prima lettura”
di Corte cost. n. 264 del 2012), in Id., “Itinerari”, vol. XVI, cit., 539 ss.
165
Per esempio, la Corte cost. italiana, nelle Sentenze n. 236/2011 e 230/2012, ha adottato una sorta di
“margine di apprezzamento inverso” nei confronti della CEDU, nel senso di ammettere sì l’adeguamento alla
giurisprudenza della Corte CEDU, ma “tenendo conto” delle peculiarità dell’ordinamento giuridico in cui la

La tridimensionalità delle integrazioni regionali tra America latina ed Europa 39


essere causa di diminuzione delle tutele e dei mezzi approntati dall’ordinamento interno 166.
Rispetto poi al sistema sovranazionale UE, le Costituzioni offrono sì i famosi “controlimi-
ti” all’ingresso incondizionato del diritto europeo, ma non disconoscono comunque il suo
“primato” funzionale alla realizzazione del disegno di integrazione 167. Nel contempo, questo
“primato” non arriva ad assorbire nel merito la sostanza delle decisioni domestiche di inter-
pretazione dei diritti: piuttosto le orienta teleologicamente, come dimostra il ricorso alla tec-
nica della “interpretazione conforme a” 168, progressivamente allargata anche alla dimensione
convenzionale della CEDU 169.
Anzi, proprio il richiamo tridimensionale alla “interpretazione conforme a” (Costituzione,
UE, CEDU) opera come logica intersistemica verso tutte le fonti esterne all’ordinamento na-
zionale, impedendo “monopolizzazioni transnazionali” 170, anche a costo di forzature erme-
neutiche nella “tenuta” della tridimensionalità 171 e comunque senza rinnegare il “primato” del
diritto UE, che non può dunque essere “parificato” al diritto convenzionale CEDU: un’ulte-
riore divaricazione dal contesto latinoamericano, dove o è la CIDH a pretendere incondiziona-
te “interpretazioni conformi” alla propria giurisprudenza senza eccezioni di “margine di ap-
prezzamento” o “controlimiti” invocati da autorità interne 172, oppure sono le Costituzioni a
limitare il “dialogo” sulla base di presunzioni di massima garanzia dei diritti formalizzate nel
testo (come si è constatato per la Costituzione dell’Ecuador).
Quindi, nel contesto della Unione europea, dopo il Trattato di Lisbona e la nuova versione
del TUE, sembra consolidarsi un sistema di “duopolio” sulle Costituzioni nazionali, giacché
“controlimiti” costituzionali (attraverso il giudice costituzionale nazionale) e “ultima parola”
europea di integrazione (attraverso la Corte UE) sono dialogici tra Stati e dimensione sovra-
nazionale, con il coinvolgimento ermeneutico del diritto convenzionale: per tale ragione si
parla di “intercostituzionalità” strutturale 173 come anche di “Constitutional Synallagma”, per
rimarcare la reciprocità statale-sovranazionale di tale dinamica 174.
Insomma, tra primauté europea e “controlimiti” nazionali non si incunea alcuna logica
aut-aut, ma et-et; e a questa logica è funzionalizzato il sistema convenzionale della CEDU.
I tratti di questo discorso possono essere così di seguito rappresentati.
Nel quadro della UE, la Corte di giustizia si pone come vero e proprio garante della Rule
of Law europea, in nome dell’art. 19.1 secondo periodo TUE:

norma convenzionale è destinata a inserirsi come vero e proprio “margine di apprezzamento e adeguamento”
interno. Cfr. R. Dickmann, Corte costituzionale e controlimiti al diritto internazionale. Ancora sulle relazioni
tra ordinamento costituzionale e CEDU, in www.federalismi.it, Focus Human Rights, 3, 2013.
166
In Italia, si v. le Sentenze nn. 317/2009 e 264/2012.
167
Cfr. F. Vecchio, Primato del diritto europeo e controlimiti come tecniche di relazione tra gli ordinamen-
ti, in 16 Mediterranean J. Hum. Rights, 2012, 317 ss.
168
Sulla problematicità del canone della “interpretazione conforme a”, cfr. F. Mannella, Giudici comuni e
applicazione della Costituzione, Napoli, Editoriale Scientifica, 2011.
169
A. Celotto, G. Pistorio, Interpretazioni comunitariamente e convenzionalmente conformi, in Giur. It.,
2010, 1980 ss.
170
Cfr. V. Piccone, L’interpretazione conforme nell’ordinamento integrato, in R. Crosio, R. Foglia (a cura
di), Il diritto europeo nel dialogo tra le Corti, cit., 284 ss.
171
G. Pistorio, Interpretazione e giudici. Il caso dell’interpretazione conforme al diritto dell’Unione euro-
pea, Napoli, Editoriale Scientifica, 2012.
172
Come si è verificato con il caso “Gelman”, che si analizzerà più avanti.
173
Per una sintesi, si veda A. Ruggeri, Sovranità dello Stato e sovranità sovranazionale, attraverso i diritti
umani e le prospettive di un diritto europeo “intercostituzionale”, in Dir. Pubbl. Comp. Eur., II, 2002, 544 ss.
174
G. Martinico, Complexity and Cultural Sources of Law in the EU Context: from the Multilevel Constitu-
tionalism to the Constitutional Synallagma, in www.germanlawjournal.com, 2007.

MICHELE CARDUCCI 40
“[La Corte di Giustizia] assicura il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’appli-
cazione dei Trattati” 175;
per rivendicare il suo ruolo, come nel citato caso “Kadi”, anche al cospetto dell’intreccio
gerarchico fra diritto UE e altri Trattati internazionali, esigendo la garanzia dei diritti come
condizione per l’applicazione del diritto internazionale all’interno dei confini dell’Unione eu-
ropea e dunque degli Stati, le cui Costituzioni difendono quei diritti. Essa ha così specificato:
“gli obblighi imposti da un accordo internazionale non possono avere l’effetto di com-
promettere i principi costituzionali dei Trattati comunitari, tra i quali figura il principio se-
condo cui tutti gli atti delle istituzioni europee devono rispettare i diritti fondamentali”.
Nel contempo, però, dopo il Trattato di Lisbona, con il citato art. 4 TUE, diventa pieno il
riconoscimento del rispetto del “monopolio statale” delle identità nazionali costituzionali co-
me limite al diritto europeo 176.
Non a caso, la sentenza del 30 giugno 2009 del Bundesverfassungsgericht, nel giudicare
la costituzionalità della legge di ratifica del Trattato di Lisbona 177, equipara il rispetto della
identità costituzionale alla “clausola di eternità” dell’art. 79, paragrafo 3, del Grundgesetz
(“Non è ammissibile una revisione di questa Legge Fondamentale che tocchi l’articolazione
dello Stato federale in Länder, il principio della partecipazione dei Länder alla legislazione o
i principi sanciti dagli artt. 1 e 20”): spetta allora al giudice costituzionale nazionale la verifi-
ca di tale “rispetto” da parte degli atti delle istituzioni della Unione europea, in combinato con
il principio di attribuzione, in quanto principio generale del diritto europeo (ex artt. 5.1. e 5.2
TUE: “1. La delimitazione delle competenze dell’Unione si fonda sul principio di attribuzione
… 2. In virtù del principio di attribuzione, l’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle
competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei Trattati per realizzare gli obiettivi da
questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all’Unione dai Trattati appartiene agli
Stati membri”), e gli artt. 6.3 e 4.2 TUE.
Parallelamente, poi, la Corte di giustizia sempre più spesso invoca principi fondamentali
desumibili dalle Costituzioni nazionali, per giudicare la validità degli atti europei. Così, per
esempio, nel caso “Omega” 178, il principio della dignità della persona, riconosciuto dalla Co-
stituzione tedesca, viene considerato prevalente rispetto al principio comunitario della libera
circolazione delle merci, bilanciando precedenti orientamenti giurisprudenziali della stessa
Corte di giustizia, dove ad essere disapplicata, come nel famoso caso “Kreil” 179, è stata addi-
rittura una disposizione costituzionale.
In questo quadro, e a chiusura della tridimensionalità, le previsioni di tutela della CEDU
assumono solo una funzione “equivalente” e “concorrente”, ma non prevalente di fronte al di-
ritto sovranazionale della UE: confermano il quadro, ma non lo derogano né lo sostituiscono.

175
Sulla rilevanza di questo profilo nella dinamica storica della Comunità europea-UE, si v. F. Palermo, La
forma di Stato dell’Unione europea, cit., 86 ss.
176
Si è parlato in proposito di “primato invertito” e di “controlimiti europeizzati”: cfr. A. Celotto, La pri-
mauté nel Trattato di Lisbona, in Dal Trattato costituzionale al Trattato di Lisbona, cit., 371 ss., e B. Guastafer-
ro, Il rispetto delle identità nazionali nel Trattato di Lisbona: tra riserva di competenze e “controlimiti europeiz-
zati”, in Quad. Cost., 2012, 154 ss.
177
BVerfG, 2 BvE 2/08.
178
Sent. 14 ottobre 2004, in Causa C-36/02.
179
Caso “Tanja Kreil vs. Repubblica Federale di Germania”, Sent. 11 gennaio 2000, in Causa C-285/98:
“La parità di trattamento tra gli uomini e le donne, di cui alla direttiva CEE 76/207, osta all’applicazione del
diritto nazionale tedesco, anche se di espressione costituzionale con il perentorio divieto dell’art. 12-a GG che
esclude tutte le donne dagli incarichi comportanti l’uso di armi, sicché la disposizione costituzionale nazionale
risulta incompatibile con il principio comunitario”.

La tridimensionalità delle integrazioni regionali tra America latina ed Europa 41


Ecco allora che la Corte di Giustizia UE, ad esempio nel caso “ETR” 180, richiama la CEDU e
si conforma alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Ma anche la Corte CEDU, nel si-
gnificativo caso “Bosphorus Hava Yollary Turizim vs. Ireland” 181, si astiene dal pronunciarsi
su un regolamento comunitario in violazione di un diritto, quello di proprietà, tutelato dalla
CEDU, sulla base della presunzione che il livello di protezione di quel diritto sia appunto
“equivalente” (e quindi “comparabile”, anche se non identico), a quello previsto dalla CEDU,
sia in termini formali di enunciati dei due ordinamenti (CEDU e UE), sia in termini contenuti-
stici di pronunciamenti giurisprudenziali sovranazionali, come si preciserà nel successivo ca-
so “Cooperatieve Producentenorganisatie vs. Netherlands” 182.
Non sorprende, a questo punto, il nuovo art. 6 n. 1 TUE, nella parte in cui codifica che i
diritti della “Carta di Nizza” sono “interpretati in conformità delle disposizioni generali del
Titolo VII della Carta …” e quindi anche di quell’art. 52 n. 3 “Carta di Nizza”, che sancisce
appunto l’equivalenza di tutela tra CEDU e Trattati UE.
Del resto, anche le Corti costituzionali nazionali hanno contribuito a questo ordito, attra-
verso il loro Self Restraint di fronte al ruolo di giudice della costituzionalità europea della
Corte di Lussemburgo.
Si pensi alla Corte costituzionale italiana, con la elaborazione del criterio della cosiddetta
“doppia pregiudizialità”. Essa ha sostenuto che non compete al giudice costituzionale
“fornire l’interpretazione della normativa comunitaria che non risulti di per sé di chiara
evidenza né tanto meno le spetta di risolvere i contrasti interpretativi insorti … in ordine a
tale normativa, essendone demandata alla Corte di giustizia la interpretazione con forza vin-
colante per tutti gli Stati membti… [in quanto] è il giudice remittente, il quale alleghi una
norma comunitaria a presupposto di censura di costituzionalità, a doversi far carico – in
mancanza di precedenti puntuali pronunce della Corte di giustizia – di adire quest’ultima per
provocare quella interpretazione certa ed affidabile che assicuri l’effettiva … rilevanza e non
manifesta infondatezza del dubbio di legittimità costituzionale circa una disposizione interna
che, nel raffronto con un parametro di costituzionalità, risenta, direttamente o indirettamen-
te, della portata della disposizione comunitaria” 183.
Più recentemente, con la Ord. n. 207/2013, la Corte costituzionale italiana è arrivata fi-
nalmente a sollevare essa stessa rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia nell’ambito di un
giudizio in via incidentale, in modo da interloquire direttamente con il giudice UE nella “ma-
teria” della tutela dei diritti e mantenere in vita il “duopolio” eurounitario.

6.a. L’“effetto utile” europeo

Insomma, è l’“effetto utile” comunitario ad operare come valvola di raccordo e funziona-


mento dei canali tridimensionali, rispetto all’intreccio delle antinomie tra le diverse gerarchie:
quell’“effetto utile” che, in America latina, è richiesto per il “controllo di convenzionalità”.
Se ne ricava conferma da tutto il percorso della giurisprudenza della Corte di giustizia
della Comunità/Unione europea. Nel caso “Van Gend en Loos”, si legge:
“La Comunità Economica Europea costituisce un ordinamento giuridico di nuovo gene-
re nel campo del diritto internazionale a favore del quale gli Stati membri hanno rinunziato,

180
In Causa 260/1989.
181
Sent. 30 giugno 2005, Ricorso 45036/98.
182
Sent. 20 gennaio 2009, III, Ricorso 13645/05.
183
Corte Costituzionale italiana, Ordinanza n. 536/1995.

MICHELE CARDUCCI 42
sia pure in settori limitati, ai loro poteri sovrani ed al quale sono soggetti non solo gli Stati
membri, ma pure i loro cittadini. Il diritto comunitario, indipendentemente dalle norme ema-
nate dagli Stati membri, nello stesso modo in cui impone ai singoli degli obblighi, attribuisce
loro dei diritti soggettivi ...” 184.
Un anno dopo, abbandonato ogni riferimento al diritto internazionale, la Corte di giustizia
inequivocabilmente già parla di “ordinamento giuridico a sé stante integrato nell’ordina-
mento giuridico degli Stati membri”, per cui i giudici nazionali sono tenuti ad osservarlo 185. E
l’idea di “integrazione”, formalmente presente solo nel primo Trattato europeo, quello di Pa-
rigi del 1951 di istituzione della Comunità economica del Carbone e dell’Acciaio (CECA) 186,
viene estesa anche ai “diritti fondamentali quali risultano dalle tradizioni comuni degli Stati
membri” 187, anticipando così quanto verrà poi formalizzato solo con il Trattato di Maastricht
del 1992. Anche perché
“... La tutela dei diritti fondamentali costituisce parte integrante dei principi giuridici
generali di cui la Corte di Giustizia garantisce l’osservanza. La salvaguardia di questi diritti,
pur essendo informata alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, va garantita
entro l’ambito della struttura e delle finalità della Comunità” 188.
Nel caso “Les Verts”, si arriva addirittura ad affermare che la Comunità europea identifica
“una comunità di diritto nel senso che né gli Stati che ne fanno parte né le sue istituzioni
sono sottratti al controllo della conformità dei loro atti alla carta costituzionale di base co-
stituita dal Trattato” 189,
per cui solo alla Corte di Lussemburgo spetta
“ogni possibile giudizio in tema di delimitazione delle sfere di competenza fra comunità
e Stati” 190,
così legittimando non solo la primauté del diritto europeo su quello nazionale, ma anche la
“pre-emption”, ossia la preclusione di qualsiasi intervento statale in aree su cui la Comuni-
tà/Unione abbia esercitato la sua competenza 191.
La primauté, tuttavia, non coincide con il giudizio di validità costituzionale interna agli
Stati, nel senso che non può sostituirsi ad esso. Pertanto, la validità comunitaria permane di-
stinta, anche se intrecciata, da quella statale. Ecco perché
“... Qualsiasi regolamento posto in vigore conformemente al Trattato, deve presumersi
valido finché il giudice competente non ne abbia dichiarato l’invalidità; questa presunzione è
basata...sull’art. 177 (del Trattato), il quale attribuisce alla stessa Corte la competenza a
pronunciarsi in ultima istanza sulla validità dei regolamenti ...” 192.
Di conseguenza, un’eventuale antinomia tra fonte europea e fonti interne si presenta solo
ed esclusivamente come “reale”, perché esterna all’ordinamento nazionale e risolvibile fuori

184
Caso “Van Gend en Loos vs. Amm.ne Olandese delle imposte”: Sent. 5 febbraio 1963, in Causa 26/62.
185
Cfr. il cit. caso “Costa vs. Enel”.
186
Si tratta dell’art. 92.
187
Caso “Stauder”, Sent. 12 dicembre 1969, in Causa C-29/69.
188
Caso “Int. Handelsgesellschaft vs. Einführ ecc.”: Sent. 17 dicembre 1970, in Causa C-11/70.
189
Sent. 23 aprile 1986, in Causa C-294/83.
190
Caso “Fotofrost-Haptzollamt Lübeck-Ost”, Sent. 22 ottobre 1987, in Causa C-314/85, giacché non spetta
ai giudici nazionali ritenere invalida una disposizione comunitaria.
191
Caso “Commissione vs. Regno Unito”, Sent. 5 maggio 1991, in Causa C-804/90.
192
Caso “Granaria vs. Hoodfproduktschaft ecc...”, Sent. 13 febbraio 1979, in Causa C-101/78.

La tridimensionalità delle integrazioni regionali tra America latina ed Europa 43


dei criteri domestici delle fonti appartenenti a quell’ordinamento. Del resto sempre la Corte
UE, allo scopo di scongiurare prognosticamene tale situazione e facendo leva sull’art. 10 del
Trattato CE, con il quale è fatto obbligo agli Stati membri di adottare tutte le misure idonee ad
assicurare l’esecuzione di impegni derivanti dal Trattato e dagli atti comunitari, ha introdotto
l’obbligo di interpretare il diritto nazionale in modo tale da assicurare il rispetto del diritto
comunitario, ivi compresa la giurisprudenza della stessa Corte di Giustizia UE 193.
Questo obbligo di interpretazione adeguatrice oggettivizza il rapporto tra i due ordina-
menti, senza lasciare spazio a margini soggettivi di valutazione di opportunità, come invece
succede nella logica Pick and Choose. Ecco allora che
“La trasposizione nel diritto nazionale di una direttiva non implica necessariamente la
riproduzione precisa e testuale delle sue disposizioni in una norma espressa e specifica: può
bastare il contesto giuridico generale, purché questo garantisca effettivamente la piena ap-
plicazione della direttiva in modo chiaro e specifico ...” 194,
e possa rispondere anche a pretese soggettive di “adeguamento” comunitario, giacché
“... in tutti i casi in cui alcune disposizioni di una direttiva appaiono, dal punto di vista so-
stanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere dinanzi ai
giudici nazionali nei confronti dello Stato, sia che questo non abbia tempestivamente recepito
la direttiva, sia che l’abbia recepita in modo inadeguato ...” 195. “Quando una direttiva è volta
ad attribuire diritti ai singoli, i provvedimenti adottati per la sua trasposizione devono non solo
vincolare le pubbliche autorità, ma anche consentire ai destinatari di conoscere la piena porta-
ta dei loro diritti ed eventualmente di avvalersene dinanzi ai giudici nazionali ...” 196.
L’esito diventa allora che
“Qualora uno Stato membro violi l’obbligo, ad esso incombente in forza dell’art. 189,
terzo comma, del Trattato, di prendere tutti i provvedimenti necessari a conseguire il risulta-
to prescritto da una direttiva, la piena efficacia di questa norma di diritto comunitario esige
che sia riconosciuto un diritto al risarcimento ove ricorrano le tre seguenti condizioni: 1) il
risultato prescritto dalla direttiva deve implicare l’attribuzione di un diritto a favore dei sin-
goli; 2) il contenuto di tali diritti deve potersi individuare sulla base delle disposizioni della
direttiva; 3) deve esistere un nesso di causalità tra la violazione dell’obbligo a carico dello
Stato e il danno subito dai soggetti lesi” 197.
La clausola della primauté del diritto europeo, contenuta nell’originario “Trattato costitu-
zionale” del 2005, non è stata ripresa dal novellato art. 6 TUE. Essa, però, è enunciata nella
Dichiarazione finale n. 17 allegata all’Atto finale del Trattato di Lisbona e rimane scandita
secondo quella distinzione:
“ … i Trattati e il diritto adottato dall’Unione sulla base dei Trattati prevalgono sul di-
ritto degli Stati membri …”.
Questa scansione è stata poi fatta propria dalle Corti costituzionali nazionali, costituendo
anche la base della cosiddetta dottrina giurisprudenziale dei “controlimiti”, ovvero delle so-
glie di validità resistenti alla primauté, in nome di “principi fondamentali” degli Stati inciden-

193
Caso “Faccini Dori vs. Recreb Srl ”, Sent. 14 luglio 1994, in Causa C-91/92.
194
Caso “Commissione vs. Italia”, Sent. 8 luglio 1987, in Causa C-262/85.
195
Caso “F.lli Costanzo vs. Italia”, Sent. 22 Giugno 1989, in Causa C-103/88.
196
Caso “Commissione vs. Grecia”, Sent. 10 Febbraio 1991, in Causa C-306/89.
197
Caso “Francovich vs. Rep. Italiana”, Sent. 19 novembre 1991, in Causa C-69/90.

MICHELE CARDUCCI 44
ti sugli atti comunitari da applicare 198. La Corte costituzionale italiana l’ha così di seguito ar-
gomentato nella storica Sentenza “Granital”:
“... Quando vi sia irriducibile incompatibilità fra la norma interna e quella comunitaria,
è quest’ultima, in ogni caso, a prevalere … Le norme comunitarie, in forza dell’art. 11 Cost.,
vengono a ricevere diretta applicazione nel territorio italiano, ma rimangono estranee al si-
stema delle fonti interne: e se così è, esse non possono, a rigor di logica, essere valutate se-
condo gli schemi predisposti per la soluzione dei conflitti tra le norme del nostro ordinamen-
to ... In ogni caso, il fenomeno in parola va distinto dall’abrogazione o da alcun altro effetto
estintivo o derogatorio, che investe le norme all’interno dello stesso ordinamento statuale ...
Diversamente accadrebbe, se l’ordinamento della Comunità e quello dello Stato – ed i rispet-
tivi processi di produzione normativa – fossero composti ad unità. Ad avviso della Corte, tut-
tavia, essi, per quanto coordinati, sono distinti e reciprocamente autonomi ... Fuori dell’am-
bito materiale e dei limiti temporali, in cui vige la disciplina comunitaria così configurata, la
regola nazionale serba intatto il proprio valore e spiega la sua efficacia...” 199.
Nei riguardi del diritto della CEDU, invece, non si pongono gli stessi problemi, non es-
sendo, quello convenzionale, in diritto sovranazionale di fonti “sostitutive” ma solo di “inter-
pretazioni” che “influiscono” sul diritto interno. Ecco allora che la Corte costituzionale italia-
na, come ha fatto con l’Ord. n. 150/2012, può anche assumere l’Overruling della Corte CEDU
come ius superveniens, di cui il giudice comune, nel sollevare questioni di legittimità costitu-
zionale, deve tener conto 200, ma non altera il sistema delle “precedenze” nella scelta dei pa-
rametri alla stregua dei quali il giudice costituzionale decide 201.
Del resto, sempre la Corte costituzionale italiana, in una pronuncia più recente 202, di fron-
te alla discussione se inglobare nel concetto di «legalità» in “materia” di diritti fondamentali
non solo il diritto di produzione legislativa, ma anche quello di derivazione giurisprudenziale,
ha ribadito che il “vero diritto” non può che essere rappresentato da quello legislativo e non
da quello giurisprudenziale, con ridimensionamento di qualsiasi preminenza della matrice so-
vranazionale convenzionale.
Pertanto, se davvero dev’essere ricercato un Judicial Branch delle integrazioni, nel conte-
sto europeo, esso sembra avere una sorta di composizione una e trina: tra giudici in dialogo
per la costruzione di un unico discorso di tutele dei diritti fondamentali. Un fenomeno in
qualche modo inedito, felicemente definito di Verfassungsgerichtsverbund 203 e probabilmente

198
Per una rassegna, si v. P. Mengozzi, Corte di giustizia, giudici nazionali e tutela dei principi fondamen-
tali degli Stati membri, in Dir. Un. Eur., 2012, 561 ss.
199
Sent. Corte Cost. italiana, 8 giugno 1984, n. 170.
200
Cfr. I. Pellizzone, Sentenza della Corte europea sopravvenuta e giudizio di legittimità costituzionale:
perché la restituzione degli atti non convince. Considerazioni a margine dell’Ord. n. 150 del 2012 della Corte
costituzionale, in Rivista AIC, 3, 2012, in www.associazionedeicostituzionalisti.it.
201
Cfr. però criticamente A. Ruggeri, La Corte costituzionale, i parametri «consequenziari» e la tecnica
dell’assorbimento dei vizi rovesciata (a margine di Corte cost., n. 150 del 2012 e dell’anomala restituzione degli
atti da essa operata con riguardo alle questioni di costituzionalità relative alla legge sulla procreazione medi-
calmente assistita), in www.giurcost.it.
202
Sent. 12 ottobre 2012 n. 230, su cui cfr. A. Ruggeri, Penelope alla Consulta: tesse e sfila la tela dei suoi
rapporti con la Corte EDU, con significativi richiami ai tratti identificativi della struttura dell’ordine interno e
distintivi rispetto alla struttura dell’ordine convenzionale (“a prima lettura” di Corte cost. n. 230 del 2012), in
Id., “Itinerari”, vol. XVI, cit., 460.
203
A. Voβkuhle, Multilevel Cooperation of the European Constitutional Courts: der Europäische Verfas-
sungsgerichtsverbund, in 6 Eur. Const. L. R., 2, 2010, 175 ss. Per un esplicito richiamo alle tesi di questo autore
come chiave di lettura di qualsiasi “dialogo” tra Corti, si v. R. Caponi, Dialogo tra Corti: alcune ragioni di un
successo, in Barsotti, V. Varano (a cura di), Il nuovo ruolo delle Corti supreme nell’ordine politico e istituziona-
le, Napoli, Esi, 2012, 121 ss.

La tridimensionalità delle integrazioni regionali tra America latina ed Europa 45


confermato dalla mancata formalizzazione, nel Trattato di Lisbona, del principio della pri-
mauté, consegnata invece all’allegato della citata “Dichiarazione finale n. 17” 204.

6.b. Judicial Branch e divieto di valutazione dei fatti di causa interni

Grazie a questo intreccio “dialogante”, nessun giudice interferisce sulle decisioni e valu-
tazioni dei fatti di causa delle autorità giurisdizionali degli altri livelli coinvolte.
È interessante constatare che tale divieto risulti codificato proprio a livello di sovranazio-
nalità “sostitutiva”. L’art. 267 TFUE stabilisce che la Corte di giustizia “non può risolvere
controversie” che rientrino nella competenza dei giudizi nazionali e “deve astenersi” da qual-
siasi valutazione dei fatti della causa 205.
Lo stesso non può dirsi per il contesto latinoamericano.
Il diritto convenzionale CADH, innestandosi nel “blocco di costituzionalità transnaziona-
le” interno agli Stati, non può non interferire nelle controversie interne, persino se di natura
non giurisdizionale 206, in nome, come si è visto, del “controllo di convenzionalità”. Diventa,
come è stato scritto, una sorta di strumento di “politica costituzionale” sui diritti e la demo-
crazia nel subcontinente 207.
Nell’America centrale, poi, l’intromissione è addirittura prevista. La Corte CARICOM
giudica “sulla base” delle Costituzioni nazionali 208. La CCJ SICA (in base all’art. 22 lett. f
del suo Statuto) è una specie di Corte costituzionale di appello in tema di conflitti tra poteri
costituzionali interni agli Stati o di incumplimiento di sentenze nazionali, da risolvere secondo
il diritto pubblico nazionale (anche se la Corte Suprema del Costa Rica ha dichiarato tale pre-
visione contraria alla sua Costituzione).
Dunque, mentre l’art. 267 TFUE proibisce l’interferenza, in questi casi le disposizioni
l’ammettono: ma ammettere una facoltà significa poi interpretarne l’utilizzo; e basta che non
ci si trovi sulla interpretazione di quell’utilizzo, perché il conflitto interordinamentale assuma
contorni costituzionali irrisolvibili.
È successo proprio in America centrale, dove più radicata, come si è detto, è la memoria
di un “diritto costituzionale centroamericano”.
Nell’estate del 2012, Sala Constitucional del Salvador e CCJ del SICA non si ritrovano
più intorno al tema dell’“ultima parola” e del “monopolio”. Due Sentenze nn. 19 e 23 del 5
giugno 2012 della Sala de lo Constitucional de la Corte Suprema de Justicia, del San Salva-
dor, dichiarano la incostituzionalità della elezione di alcuni giudici della Corte Suprema da
parte dell’Assemblea legislativa dello Stato, sulla base di un richiamo generale ai principi co-
stituzionali di democrazia. A queste decisioni ha fatto seguito l’Expediente n. 9 del 20 giugno
2012 della CCJ, che sospende gli effetti di tali dichiarazioni di incostituzionalità, in quanto la
CCJ interviene nell’esercizio della sua giurisdizione esclusiva sui conflitti costituzionali tra

204
Così dispone questo allegato: “La Conferenza ricorda che, per giurisprudenza costante della Corte di
giustizia dell’Unione europea, i Trattati e il diritto adottato dall’Unione prevalgono sul diritto degli Stati mem-
bri alle condizioni stabilite dalla summenzionata giurisprudenza”.
205
Così la Corte UE già nella Sent. 15 novembre 1979, caso “Denkavit”, Causa C-36/1979.
206
M. Rodrigues Bertoldi, K. Batista Sposato, O direito internacional dos direitos humanos: espaço
transnacional para reinvindicação de injustiças?, in 12 Rev. Direitos Fundamentais & Democracia, 12, 2012, 75 ss.
207
Si tratta della suggestiva, ma non chiara, tesi di E.A. Velandia Canosa, nei citati studi: Teoria constitu-
cional del proceso. Derecho procesal constitucional, nonché, insieme a D.J. Beltrán Grande, La justicia
transnacional y su modelo transnacional, cit.
208
Cfr. caso “Pratt and Morgan”, 2 novembre 1993 con riguardo all’art. 17 Cost. Giamaica.

MICHELE CARDUCCI 46
poteri degli Stati aderenti al SICA, secondo quanto disposto dai Trattati cui lo stesso San Sal-
vador aderisce. Il principale fondamento dell’intervento intromissivo della CCJ è dato
dall’art. 35 del Protocollo di Tegucigalpa:
“Questo Protocollo e i suoi strumenti complementari e derivati prevarranno su qualsiasi
Convenzione, Accordo o Protocollo sottoscritto tra gli Stati membri, oppure bilateralmente o
multilateralmente sulle materie riguardanti la integrazione centroamericana. … Qualsiasi
controversia sull’applicazione o interpretazione delle disposizioni contenute nel presente
Protocollo o negli ulteriori strumenti … dovrà essere sottomessa alla Corte Centroamerica-
na de Justicia”.
Ma il conflitto è sollevato assumendo come parametro di riferimento per la sua soluzione
tanto la normativa del diritto comunitario del Centroamerica, in particolare il Protocollo di
Tegucigalpa e il Trattato quadro sulla sicurezza democratica in Centroamerica, quanto le “di-
sposiciones constitucionales” del Salvador. Nonostante questa decisione “sovranazionale”, la
Sala de lo Constitucional procede alla dichiarazione di Inaplicación della decisione della
CCJ, ritenendo di aver titolo a intervenire allo scopo di
“delimitare funzioni e competenze della giurisdizione costituzionale in uno Stato di dirit-
to; … rappresentare i profili costituzionali che sono alla base dell’attuazione delle sentenza
della Sala de lo Constitucional in quanto Corte costituzionale nazionale; … fare riferimento
ai conflitti tra organi, in una prospettiva processuale e dal punto di vista del controllo giuri-
dico di costituzionalità delle leggi, aspetti argomentativi tutti che si rapportano al riparto di
competenze ammesso dall’art. 89 della Costituzione nazionale in un processo di integrazio-
ne; e, alla fine, … perseguire la costituzionalità dell’attuazione della CCJ, allo scopo di veri-
ficare se trova riscontro nel quadro delle competenze del diritto della integrazione abilitato
da detta disposizione costituzionale”.
La Corte Centroamericana interviene rivendicando il proprio “monopolio” costituzionale
sui conflitti costituzionali tra poteri dello Stato, alla luce della specifica struttura del processo
di integrazione regionale centroamericano, fondato, come si è detto, sulla risalente competen-
za “costituzionale” del giudice sovranazionale; e, a tale scopo, interpreta da sé la Costituzione
salvadoregna. La Sala de lo Constitucional, dal canto suo, nega l’effetto utile della decisione
giudiziale sovranazionale, in nome di una propria interpretazione delle disposizioni pattizie a
fondamento di quel processo di integrazione.
La conseguenza è la persistenza di una situazione di stallo costituzionale, alimentata, tra
l’altro, da evocazioni di principi costituzionali di cui ogni singola parte contendente si ritiene
depositaria dell’“ultima parola” 209.
Qui viene meno qualsiasi “ultima fortezza” a presidio del rispetto dei ruoli tra giudici, po-
teri statali e organismi sovranazionali, trasformando un conflitto interorganico in un conflitto
interpretativo sui Trattati di integrazione regionale 210. Il conflitto nazionale tra poteri nasce da
fattori endogeni (l’interpretazione della Costituzione salvadoregna), ma viene come “sovrana-
zionalizzato” per poi essere nuovamente “nazionalizzato” in sede di controllo di legittimità
costituzionale, a differenza di quello che avviene in Europea dove si verifica semmai il con-
trario, ossia il conflitto tra poteri nasce da fattori esogeni (sovranazionali), ma rimane tutto in-
terno ai rimedi giurisdizionali e costituzionali dello Stato 211.

209
Si v. in questo libro il saggio di L.P. Castillo Amaya.
210
Sui rischi della sovrapposizione semantica tra conflitti costituzionali e conflitti interpretativi, si v. R.
Bin, L’ultima fortezza. Teoria della Costituzione e conflitti di attribuzione, Milano, Giuffrè, 1996, 79 ss.
211
Si v., con riferimento alla Germania, M. Bonini, Il BVergG, giudice costituzionale o «signore dei Tratta-
ti»?, in Rivista AIC, 4, 2012, in www.associazionedeicostituzionalisti.it.

La tridimensionalità delle integrazioni regionali tra America latina ed Europa 47


La disputa sul “monopolio”, inoltre, ignora la “materia” della tutela dei diritti fondamen-
tali, unico reale “elemento determinante” delle costruzioni tridimensionali, per scadere sul
fronte politico dei rapporti tra poteri (nazionali e sovranazionali) e sulla loro reciproca
(de)legittimazione.

6.c. Judicial Branch ed “effetti di sistema”

Ma quali sono gli “effetti di sistema” della tridimensionalità? In altre parole, quali altera-
zioni di valore sulle strutture degli Stati produce questo processo? Incide, esso, sulla dinamica
interna della democrazia? Interferisce sulla rigidità costituzionale nella misura in cui, am-
pliando lo spettro dei diritti fondamentali, modifica limiti o possibilità di revisione costituzio-
nale e allarga l’area della discrezionalità giudiziale nella costruzione del linguaggio costitu-
zionale 212? Qual è il Judicial Branch che risolve eventuali conflitti interpretativi e decisionali
su questi interrogativi 213?
Anche da questo angolo di analisi, emergono distinzioni tra Europa e America latina.
Certamente la Corte CEDU non sembra assumere le vesti del titolare dell’“ultima parola”
sui conflitti di “sistema” 214. Nella sua giurisprudenza, come si è verificato nel caso “Zielinski,
Pradal, Gonzalez et autres vs. France” 215, si può arrivare a considerare una legge, non censu-
rata per incostituzionalità dal Conseil Constitutionnel, contraria alla CEDU. Ma non si entra
nel merito delle discussioni domestiche sulle scelte costituzionali perseguite.
La CIDH invece lo ha fatto, e su due fronti:
– arrivando a richiedere esplicitamente modifiche non solo di natura legislativa, ma persi-
no di carattere costituzionale, come nei casi “Castillo Petruzzi vs. Perú” 216 e soprattutto in
“L’ultima tentazione di Cristo-Olmedo-Bustos vs. Chile” 217;
– sindacando non solo il contenuto delle Costituzioni nazionali, ma anche la giurispru-
denza costituzionale degli Stati con riguardo alla sua conformità alla giurisprudenza conven-
zionale sovranazionale e al controllo di convenzionalità, come nel caso “Castañeda Gutman
vs. Estados Unidos Mexicanos” 218.
Si è trattato di un “cammino convenzionale” (per emulare la formula del “cammino comu-
nitario” delle Corti europee rispetto alla CE/UE), che ha visto la CIDH trasformarsi da “giudice

212
Sulla rilevanza di questo interrogativo nella prospettiva analitica del linguaggio costituzionale e nel suo
utilizzo giurisprudenziale, si v. l’efficace sintesi di P. Chiassoni, Positivismo giuridico. Una investigazione ana-
litica, Modena, Mucchi, 2013, spec. 58 ss.
213
Sulla rilevanza di questi interrogativi nella prospettiva del transcostituzionalismo, si v. P. de Vega Gar-
cía, Giuspositivismo e positivismo giurisprudenziale, trad. it., Lecce-Cavallino, Pensa, 2005, e M. Kumm, Costi-
tuzionalismo democratico e diritto internazionale: termini del rapporto, in Ars Interpretandi, XIII, 2008, 101 ss.
214
In merito, si può richiamare la ricostruzione di F. Sudre, Droit européen et international des droits de
l’homme, Paris, PUF, 20099, sul ruolo della Cedu all’interno dei paesi aderenti e al suo rapporto con la rigidità
costituzionale dei singoli ordinamenti.
215
1999-VII 28.10.99.
216
Sent. 30 maggio 1999, Serie C, n. 52
217
Sent. 5 febbraio 2005, Serie C, n. 73. A. Gomez-Robledo, Caso “La última tentación de Cristo”
(Olmedo Bustos y Otros) vs. Chile. Sentencia del 5 de frebrero de 2001, in Cuestiones Constitucionales, 25,
2011, 333 ss.
218
Excepciones preliminares, Fondo, Reparaciones y Costas, 6 agosto 2008: cfr. J.U. Carmona Tinoco, El
caso Jorge Castañeda Gutman vs. Estados Unidos Mexicanos ante la Corte Interamericana de Derechos
Humanos, in Anuario Mex. Der. Int., IX, 2009, 775 ss.

MICHELE CARDUCCI 48
del diritto costituzionale” dei rapporti sovranazionali in “giudice costituzionale” vero e proprio.
Lo si poteva constatare sin dalle “opinioni consultive” della CIDH degli anni ottanta, in
merito al concetto di “legge”, di cui parla la Convenzione, non come semplice atto formale
emesso dal potere legislativo nei modi stabiliti dalle Costituzioni nazionali, bensì come voca-
bolo di senso storico e logico di limitazione del potere di fronte ai diritti 219: tutto è sindacabile
da parte della CIDH in quanto tutto rappresenta un “potere” che può nuocere ai diritti. Ecco
allora che, se nel caso “Boycé y otros vs. Barbados” 220 si affermava la necessità del “controllo
di convenzionalità” anche delle disposizioni costituzionali interne del paese membro (nel caso
di specie della Costituzione delle Barbados), lasciando però alla giurisdizione interna (nel ca-
so di specie, la Corte de Justicia del Caribe) il compito di accertare “logicità” e “coerenza”
delle disposizioni costituzionali rispetto ai contenuti della CADH, nel caso “Castañeda Gut-
man vs. Estados Unidos Mexicanos” si arriva al controllo della giurisprudenza costituzionale
domestica di uno Stato senza passare da alcun filtro di pregiudizialità: come se la CIDH fosse
di fatto il tribunale costituzionale sovranazionale della regione; il Judical Branch del sistema,
cui spetta non la ricerca di una “standard comune” tra gli Stati membri (come avviene per le
“tradizioni costituzionali comuni” all’interno della UE), ma la fissazione unilaterale dello
“standard essenziale” per agire in conformità con la CADH e la sua giurisprudenza 221.
Non sbaglia allora chi osserva che non tanto di un “cammino” si sia trattato, quanto di una
“metamorfosi” delle sentenze della CIDH 222, in funzione della edificazione di un “monologo”
interamericano.
In questo “monologo”, la CIDH arriva addirittura a fissare veri e propri “Political Crite-
ria” sugli assetti procedimentali delle democrazie degli Stati.
È successo nel caso “Gelman vs. Uruguay” 223. Ecco che cosa si legge:
“Il fatto che la Ley de Caducidad sia stata approvata in un regime democratico e persi-
no ratificata e confermata dai cittadini in due occasioni non le conferisce, di per sé sola, le-
gittimità di fronte al Diritto internazionale” 224,
giacché
“La legittimazione democratica di determinati fatti o atti in una società è comunque li-
mitata dalle norme e dalle obbligazioni internazionali di protezione dei diritti umani, ricono-
sciute in Trattati come la [CADH], di modo che l’esistenza di un vero e proprio regime de-
mocratico è determinato dalle sue caratteristiche tanto formali quanto sostanziali, sicché,
soprattutto o in caso di gravi violazioni delle norme di Diritto internazionale dei diritti, la
protezione dei diritti umani costituisce un limite infrangibile rispetto a qualsiasi regola di
maggioranza, vale a dire, dall’essere “suscettibile di essere deciso” da maggioranze demo-
cratiche, nelle quali anche deve prevalere un “controllo di convenzionalità” […], che costi-
tuisce funzione e ruolo di qualsiasi autorità pubblica e non solo del potere giudiziale” 225.

219
Opinioni consultive OC-5/1985 e OC-6/1986.
220
20 settembre 2007, Serie C, 169.
221
Sulla plausibilità o meno di questa prospettiva in Europa, con riguardo alla Cedu e alla eventualità di un
conflitto tra interpretazioni conformi a Costituzione e quelle conformi alla giurisprudenza sovranazionale, si v.
B. Randazzo, Giustizia costituzionale sovranazionale, cit., 227.
222
J.E. Herrera Perez, Control judicial internacional de DDHH sobre la actividad jurisdiccional interna de
los Estados. ¿Una cuarta Instancia?, in Horizontes contemporáneos del Derecho procesal constitucional. Liber
amicorum Néstor Pedro Sagüés, Tomo II, cit., 773.
223
Sent. 24 febbraio 2011, Serie C, n. 221.
224
“Gelman vs. Uruguay”, par. 238.
225
“Gelman vs. Uruguay”, par. 239.

La tridimensionalità delle integrazioni regionali tra America latina ed Europa 49


Così facendo, però, la “Embeddedness” della sovranazionalità convenzionale assume si-
gnificato prescrittivo verso la conformazione stessa dei poteri statali, con rischiosi effetti di
“Disaggregation” 226 dell’architettura costituzionale degli Stati membri.
Non a caso, la Corte suprema dell’Uruguay si è ribellata a questa interferenza sovranazio-
nale consumata con la decisione “Gelman” e, nella Sent. n. 20 del 22 febbraio 2013, ha ritenu-
to di smantellare proprio l’aderenza costituzionale dell’apparato argomentativo della CIDH
sulla portata costituzionale del “controllo di convenzionalità”.
Due i punti salienti evidenziati dal giudice nazionale:
1. se è fuori ogni discussione che la CIDH è l’interprete della CADH, è altrettanto indubi-
tabile che l’interprete della Costituzione della Repubblica orientale dell’Uruguay non possa
che essere la Corte suprema di giustizia;
2. il giudice costituzionale interno non rivendica un “controlimite”, ma semplicemente
constata l’assenza di qualsiasi disposizione costituzionale che obblighi le autorità domestiche
a sottomettersi ai dettami di un giudice sovranazionale 227.
In fin dei conti, la sentenza della Corte dell’Uruguay denuncia l’esigenza di una Emded-
dedness aperta nella dinamica convenzionale dei diritti umani in America latina: quel-
l’apertura tra rispetto del livello politico interno e argomentazione sovranazionale, che si ri-
scontra in Europa 228, con il Majoritarian Approach della Corte di giustizia UE ispirato dalle
“tradizioni costituzionali comuni”. L’apertura, infatti, permette di elaborare interpretazioni
non contro gli Stati, bensì nel consenso degli Stati, in termini di condivisione di esperienze
legislative e giurisprudenziali interne agli stessi, alle quali non si sottrae neppure la Corte
CEDU 229.
La CIDH, invece, sembra ritenersi legittimata a sottrarsi a qualsiasi ricerca di “bilancia-
mento” con e tra le identità costituzionali degli Stati membri come anche alla stessa compara-
zione dei bilanciamenti effettuati dalle giurisprudenze costituzionali domestiche, per il solo
fatto di operare nella “materia” dei diritti umani 230. D’altronde, se si adotta una visione della

226
L.R. Helfer, A.-M. Slaughter, Toward a Theory of Effective Supranational Adjudication, in Yale L. J.,
1997, 273 ss.
227
Ma i medesimi profili sono stati richiamati dalla dottrina: cfr. D.E. Ochs Olazábal, El fallo de la Corte
Interamericana de Derechos Humanos Gelman con Uruguay, in IV La Ley Uruguay, 7, 2011, M. Blengio Val-
dés, Corte Interamericana de Derechos Humanos. Caso Gelman vs. Uruguay, in Rev. Der. Público F.C.U. Mon-
tevideo, 39, 2011.
228
N. Kirsch, The Open Architecture of European Human Rights Law, in Modern L. Rev., 2008, 183 ss.
229
Come l’armamentario argomentativo del “margine di apprezzamento” della Corte CEDU, nonostante le
ambiguità di questo approccio e i suoi “lati oscuri”, dove talvolta sembrano prevalere, in capo alla Corte di Stra-
sburgo, atteggiamenti di opportunismo politico piuttosto che di riconoscimento argomentato di specificità costi-
tuzionali statali. Su questi problemi, si vedano: T.A. O’Donnel, The Margin of Appreciation Doctrine: Standards
in the Jurisprudence of the European Court of Human Rights, in 4 Human Rights Quart., 4, 1981, 478 ss.; S.
Greer, The Interpretation of the European Convention on Human Rights: Universal Principle or Margin of Ap-
preciation?, in 3 UCL Human Rights Rev., 2010, 1 ss.; M.R. Hutschinson, The Margin of Appreciation Doctrine
in the European Court of Human Rights, in 48 Int.’l Comp. L. Quart., 1999, 643 ss.; M. Delmas-Marty, M.L.
Izorche, Marge nationale d’appréciation et internationalisation du droit. Réflexions sur la validité formelle d’un
droit commun pluraliste, in RIDC, 4, 2000, 766 ss.; G. Letsas, Two Concepts of the Margin of Appreciation, in
26 Oxford J. Legal St., 4, 2006, 711 ss.; J. Gerards, Pluralism, Deference and the Margin of Appreciation Doc-
trine, in Eur. L. J., 2011, 113 ss.
230
E su questo problema, si veda il saggio di Mazzuoli in questo libro, dedicato al tema del “bilanciamento”
brasiliano tra “controllo di convenzionalità” ex CADH e controllo di costituzionalità, da un lato, e adeguamento ad
altri vincoli internazionali pattizi incidenti su “materie costituzionali” e dunque sul controllo di costituzionalità me-
desimo. Sulla particolare impostazione di Mazzuoli, si v. C.G. Teixeira, O controle da convencionalidade das leis
pelo poder judiciário, in 1 RIDB, 2, 2012, 1127 ss. Sul rapporto tra “controllo di convenzionalità” e altri vincoli in-
ternazionali, si v. pure Néstor P. Sagües, Obligaciones internacionales y control de convencionalidad, cit.

MICHELE CARDUCCI 50
sovranazionalità come disponibilità soggettiva dell’“Amparo interamericano”, non si può ne-
gare a qualsiasi singolo cittadino la possibilità di rivendicare, come petitum sovranazionale,
modifiche normative anche di carattere costituzionale, filtrando la proceduralità democratica
attraverso il semplice contenzioso giurisdizionale.
Questo “costituzionalismo solitario”, molto prossimo alle visioni del neo-costituziona-
lismo 231, vede nel giudice, soprattutto se “sovranazionale”, il motore di accelerazione della
diffusione del diritto alla democrazia.
Nell’ambito della tridimensionalità europea, la problematica della legittimazione demo-
cratica delle scelte di ciascun livello coinvolto non costituisce affatto oggetto di contesa né
tantomeno di rivendicazioni di “primati” o “monopoli”.
Non lo fanno le Corti costituzionali nazionali, come dimostra la sentenza tedesca sul Trat-
tato di Maastricht, dove si dichiara:
“È inammissibile la contestazione del ricorrente che i suoi diritti fondamentali sarebbe-
ro lesi perché non più garantiti dagli organi tedeschi come diritti fondamentali europei …
L’apertura verso l’integrazione europea…ha come conseguenza che violazioni di importanti
diritti fondamentali potrebbero derivare anche da organi europei e, corrispondentemente,
una tutela dei diritti fondamentali deve essere garantita per l’intero ambito della loro appli-
cazione …
Il Tribunale costituzionale tedesco esercita la sua giurisdizione sulla applicabilità, in
Germania, del diritto comunitario derivato in un ‘rapporto di cooperazione’ con la Corte di
Giustizia Europea, all’interno del quale la Corte di Giustizia garantisce la tutela dei diritti
fondamentali in ogni singolo caso per l’intero territorio della Comunità europea, sicché il
Tribunale costituzionale tedesco si può limitare ad una garanzia generale degli standards ir-
rinunciabili di difesa dei diritti fondamentali in Germania…” 232.
Né lo consentono i Trattati.
Il Trattato di Amsterdam fissa i nuovi “standard costituzionali comuni” dell’Europa come
“Political Criteria” dell’integrazione:
art. 2 “L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della
democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i
diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri
in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dal-
la giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra uomini e donne”.
art. 49 “Ogni Stato europeo che rispetti i valori di cui all’articolo 2 e si impegni a pro-
muoverli può domandare di diventare membro dell’Unione. Il Parlamento europeo e i par-
lamenti nazionali sono informati di tale domanda. Lo Stato richiedente trasmette la sua do-
manda al Consiglio, che si pronuncia all’unanimità, previa consultazione della Commissione

231
Si tratta, in altri termini, delle linee emergenti dal dibattito tra “neocostituzionalismo” (articolatamente dif-
fuso in America latina: cfr. M. Petters Melo, Neocostituzonalismo e “Nuevo Constitucionalismo” in America lati-
na, in Dir. Pubbl. Comp. Eur., II, 2012, 342 ss.) e costituzionalismo “politico” o “Political”/“Popular” Constitu-
tionalism (anch’esso presente non solo nel contesto euro-nordamericano, ma in quello latinoamericano). Per il con-
testo euro-nordamericano sul tema del costituzionalismo “politico”, i riferimenti obbligati partono dal lavoro di J.
Griffith, The Political Constitution, in Modern L. Rev., 1979, 1 ss., per poi approdare nelle teorie inglesi del “Politi-
cal Constitutionalism” (in sintesi: R. Bellamy, Political Constitutionalism, Cambridge, Cambridge Univ. Press,
2007) e in quelle statunitensi del “Popular Constitutionalism”, per la verità, queste ultime, meno attente al fenome-
no della normatività sovranazionale (specialmente con L. Kramer, The People Themselves. Popular Constitutional-
ism and Judicial Review, Oxford, Oxford Univ. Press, 2004) e trovare traccia anche nel dibattito sulla sovrana-
zionalità europea (con E. Stein, Lawyers, Judges and the Making of a Transnational Constitution, in 75 Am. J.
Comp. L., 1981, 1 ss. Per l’America latina, si v. P. Riberi, Derecho y política: tinta y sangre, cit.
232
Sent. del 12 ottobre 1993, BVerfGE., 89, 115.

La tridimensionalità delle integrazioni regionali tra America latina ed Europa 51


e previa approvazione del Parlamento europeo, che si pronuncia a maggioranza dei membri
che lo compongono”.
art. 8 “1. L’Unione sviluppa con i paesi limitrofi relazioni privilegiate al fine di creare
uno spazio di prosperità e buon vicinato, fondato sui valori dell’Unione e caratterizzato da
relazioni strette e pacifiche basate sulla cooperazione. 2. Ai fini del paragrafo 1, l’Unione
può concludere accordi specifici con i paesi interessati …”.
Ma non lo permette neppure la Corte UE, ancorata alla considerazione delle “tradizioni
costituzionali comuni” e alle “identità” degli Stati 233.
E la stessa Corte CEDU, infine, si è fatta promotrice di una diffusione di metodi di “de-
mocrazia deliberativa” come premessa di verifica della effettività dei diritti 234.

7. La funzione “costituzionale” della pregiudizialità sovranazionale

Un ulteriore elemento di distinzione che contraddistingue le due realtà tridimensionali eu-


roamericane risiede nella esistenza e nel funzionamento del meccanismo della “pregiudiziali-
tà” tra ordinamenti nazionali e ordinamenti sovranazionali.
Nelle integrazioni regionali latinoamericane, la morfologia dei Trattati non milita a favore
della inequivoca funzione di questo meccanismo.
Un esempio utile è offerto dal MERCOSUR. Il Trattato di Asunción, del 26 marzo 1991,
prevede:
“La Repubblica Argentina, la Repubblica Federativa del Brasile, la Repubblica del Pa-
raguay e la Repubblica Orientale dell’Uruguay, considerando che l’espansione delle attuali
dimensioni dei loro mercati nazionali, attraverso la loro integrazione, costituisce una condi-
zione fondamentale per accelerare i loro processi di sviluppo economico nella giustizia so-
ciale ... si accordano …”, i cui fini consistono nella “libera circolazione dei beni, servizi e
fattori di produzione tra i paesi, attraverso la eliminazione dei diritti doganali e le restrizioni
non tariffarie alla circolazione delle merci o di qualunque altro mezzo equivalente; definizio-
ne di una tariffa esterna comune e l’adozione di una politica commerciale comune...; impe-
gno degli Stati ad armonizzare le loro legislazioni nelle aree pertinenti, per conseguire il raf-
forzamento del processo di integrazione”.
Il Protocollo di Ouro Preto, del 17 dicembre 1994, aggiunge, all’art. 38, che
“Gli Stati membri si impegnano ad assumere tutte le misure necessarie per assicurare,
nei loro rispettivi territori, la conformità con le decisioni adottate degli organi del Mercosur,
in base all’art. 2 di questo Protocollo ...”,
per concludere, all’art. 40, che,
“Al fine di assicurare la simultanea entrata in vigore negli Stati membri delle decisioni
adottate dagli organi del Mercosur..., le procedure da seguire dovranno essere le seguenti:
1) una volta assunte le decisioni, gli Stati membri prenderanno le necessarie misure per il lo-
ro recepimento nei rispettivi ordinamenti nazionali ...”.
Nulla viene dunque esplicitato.
L’art. 42 del Protocollo di Ouro Preto sancisce formalmente la “sovranazionalità”, mentre

233
Cfr. S. Ninatti, Giudicare la democrazia? Processo politico e ideale democratico nella giurisprudenza
della Corte di giustizia europea, Milano, Giuffrè, 2004.
234
Cfr. M. Starita, Democrazia deliberativa e Convenzione europea dei diritti umani, in Dir. Umani e Dir.
Int., 2, 2010, 275 ss.

MICHELE CARDUCCI 52
solo le Costituzioni di Argentina (art. 75 n. 24) e Paraguay (artt. 103, 143, 145) accettano
esplicitamente l’ingresso dello Stato nelle integrazioni sovranazionali e specificamene nel
MERCOSUR.
Come questo “ingresso” si realizzi non è disciplinato in modo chiaro da nessuna fonte,
salvo alcuni tentativi di dottrina e giurisprudenza di rintracciarlo altrove. Infatti, una originale
dottrina ritiene di dover chiamare in causa direttamente la CADH, specificamente nell’art. 24
(uguaglianza davanti alla legge) e nel citato 28.3 (la ricordata “cláusula federativa”), per af-
fermare la necessità “convenzionale” dell’adeguamento del diritto regionale MERCOSUR al-
la CADH e, di conseguenza, la primauté del primo sugli Stati inadempienti, con la conse-
guenza che la “pregiudizialità” diventerebbe di fatto necessaria, e dunque obbligatoria e vin-
colante, nella prospettiva dell’armonizzazione interna e regionale degli ordinamenti giuridici
integrati 235. Nel contempo, sul fronte giurisprudenziale, una recente presa di posizione del
Tribunal Permanente de Revisión del MERCOSUR (TPR), in merito alla decisione della so-
spensione del Paraguay dal MERCOSUR e all’ingresso del Venezuela 236, ha indotto a riven-
dicare la competenza “preventiva” del TPR e la sua “prevalenza” su qualsiasi autorità nazio-
nale 237.
In Europa, al contrario, sia i Trattati 238 che la giurisprudenza 239 mettono in chiaro tre ca-
ratteristiche su questo come:
a) il giudice nazionale è obbligato ad applicare nei propri casi il diritto comunita-
rio/europeo;
b) la Corte di giustizia UE è l’unica ad assicurare l’interpretazione uniforme europea del
diritto comunitario;
c) il giudice nazionale di ultime istanza, in persistenza di dubbi interpretativi o di validità
del diritto comunitario, deve rivolgersi alla Corte di giustizia UE.
In America latina, invece, la pregiudizialità sovranazionale, quando accennata o praticata,
si presenta in tre versioni:
a) di contenuto “consultivo”, come avviene nel MERCOSUR per via degli artt. 1 e 2 del
Regolamento del Protocolo de Olivos, giudicati dallo stesso TPR “non conformi” ai Trattati
MERCOSUR 240 e persino causa di “danno istituzionale” alla integrazione stessa 241;

235
È stata questa la tesi di Jorge Luis Salomoni, Procedimiento administrativo y Mercosur. Una aproxi-
mación a los principios emergentes de los distintos ordenamientos aplicables, in Actualidad en el Derecho
Público, vol. 8, Buenos Aires, Ad-Hoc, 1998, 95 ss.
236
Si tratta del Laudo 1/2012.
237
Cfr. anche M. Di Filippo (a cura di), Organizzazioni regionali, modello sovranazionale e metodo inter-
governativo: i casi dell’Unione europea e del Mercosur, Torino, Giappichelli, 2012.
238
Art. 267 TFUE: “La Corte di giustizia dell’Unione europea è competente a pronunciarsi, in via pregiu-
diziale: a) sull’interpretazione dei Trattati; b) sulla validità e l’interpretazione degli atti compiuti dalle istituzio-
ni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione.
Quando una questione del genere è sollevata dinanzi ad un organo giurisdizionale di uno degli Stati mem-
bri, tale organo giurisdizionale può, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su
questo punto, domandare alla Corte di pronunciarsi sulla questione.
Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a un organo giurisdizionale
nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale organo
giurisdizionale è tenuto a rivolgersi alla Corte. Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pen-
dente davanti a un organo giurisdizionale nazionale e riguardante una persona in stato di detenzione, la Corte
statuisce il più rapidamente possibile”.
239
A partire dal caso “Fotofrost-Haptzollamt Lübeck-Ost”, Sent. 22 ottobre 1987, in Causa C-314/85
240
Laudo 1/2007, paragrafi B3-B4.
241
Ma si tratta pur sempre di una“opinión consultiva”: cfr. C. Tuosto, L’evoluzione del sistema di risoluzio-

La tridimensionalità delle integrazioni regionali tra America latina ed Europa 53


b) di contenuto obbligatorio, ma non sanzionato in caso di inadempimento, come succede
per SICA, CARICOM, e CAN 242;
c) di mera consultazione “condizionata”, in base all’art. 2020 del NAFTA, secondo cui un
organo giurisdizionale di un paese aderente “può consultare” la Commissione NAFTA e chie-
dere un “Response”, ma solo attraverso la “interposizione” dei tre Stati contraenti, ognuno dei
quali può opporsi con un veto.
Riemerge, anche su questo fronte, la dimensione Pick and Choose. In particolare, nel SI-
CA il rinvio di pregiudizialità è “facoltativo e non obbligatorio” e opera senza fare distinzione
tra giudici di ultima istanza o meno. Esiste un “Accordo quadro” di cooperazione tra CCJ e
Corti supreme nazionali, del 3 ottobre 2007, relativo solo agli Stati di El Salvador, Honduras e
Nicaragua (ossia i tre Stati parte dello Statuto della CCJ), che, all’art. 3, disciplina la recipro-
ca collaborazione attraverso l’utilizzo della “consulta prejudicial”, al fine di uniformare il di-
ritto comunitario. Tuttavia, ancora una volta, il meccanismo è condizionato da alcune con-
traddizioni normative. L’art. 37 dello Statuto CCJ stabilisce che le sentenze della CCJ “sono
obbligatorie unicamente tra le parti rispetto al caso deciso”. L’art. 22 lett. c) sempre dello
Statuto aggiunge che la Corte ha il compito di pronunciarsi, su richiesta di “qualsiasi soggetto
interessato”, sulle disposizioni di uno Stato in contrasto con il Trattato o qualsiasi altra nor-
mativa del diritto comunitario centroamericano. Ma la lett. d) sempre dello Statuto chiarisce
che la CCJ sarebbe anche “Tribunal de consulta permanente” delle Corti supreme degli Stati
parte. Tutto questo parrebbe favorire la “pregiudizialità” obbligatoria da parte dei giudici di
ultima istanza. Invece, non è così.
Solo una volta, nel 1995, la Corte de Justicia dell’Honduras si è avvalsa della possibilità
dell’art. 22 lett. d). Al contrario, nel caso “Coto Ugarte” 243, la CCJ ha dichiarato che la veri-
fica della violazione interna del diritto comunitario si attiverebbe solo dopo l’esaurimento dei
ricorsi interni. In tal modo, però, non è più la “consulta prejudicial” ad operare, bensì una
“inedita” – perché non prevista – via “sussidiaria” alla CCJ, come se fosse una Corte interna-
zionale simile alla CIDH.
Nella “materia” dei diritti fondamentali, poi, la dinamica europea della pregiudizialità
assume contorni ancora più particolari. Nel caso “Kücükdeveci” 244, in “materia” di divieto
di discriminazione in base all’età, si arriva ad affermare che il giudice nazionale deve co-
munque
“garantire il rispetto del principio di non discriminazione in base all’età, … disappli-
cando, se necessario, qualsiasi disposizione contraria della normativa nazionale, indipen-
dentemente dall’esercizio della facoltà di cui dispone … di sottoporre alla Corte una que-
stione pregiudiziale sull’interpretazione di tale principio”.
Nei riguardi della CEDU, a fronte di una domanda pregiudiziale sollevata dal Tribunale
di Bolzano circa l’obbligo o meno che l’art. 6 TUE imporrebbe ai giudici nazionali di disap-

ne delle controversie del Mercosur e “influenze” comunitarie, in P. Pennetta (a cura di), L’evoluzione dei sistemi
giurisdizionali, cit., 51 ss.
242
Lo si desume da: art. 22 lett. k) Statuto della CCJ del SICA; art. 211 del Trattato CARICOM e artt. XII e
XIV dell’Accordo istitutivo della Corte della CARICOM; art. 33.2 del Protocollo del TJ-CA, anche se il Tribu-
nal de Justicia della CAN, nella Causa 106/2009, ha argomentato la responsabilità “per omissione dello Stato” in
caso di mancato rispetto delle decisioni adottate in via pregiudiziale, assumendo come fondamento della decisio-
ne l’art.. 36 del Protocollo di Cochabamba che impone ai giudici di adattarsi alle disposizioni degli atti sovrana-
zionali.
243
Sentenza 5 marzo 1998.
244
Caso “Seda Kücükdeveci vs. Swedex GmbH & Co. KG”, in Causa C-555/07.

MICHELE CARDUCCI 54
plicazione delle norme di diritto interno in conflitto con la CEDU, la Corte di giustizia UE ha
stabilito, nel caso “Kamberaj” 245, che,
“quando la questione è qualificabile come di ‘diritto dell’Unione’, il giudice comune na-
zionale non ha l’obbligo di disapplicare la norma interna … nell’ipotesi di conflitto tra i di-
ritti garantiti da tale Convenzione [la CEDU] e una norma di diritto nazionale. Ed invero
l’art. 6 del Trattato non disciplina il rapporto tra diritto dell’Unione ed ordinamenti interni,
pur rendendo i diritti della Cedu principi generali del diritto dell’Unione, né stabilisce il ri-
lievo che la giurisprudenza di Strasburgo ha negli ordinamenti interni”.
E questo perché, anche in presenza di congiunte violazioni di norme della UE e della
CEDU, la integrazione regionale della UE opera su tutti i fronti per la costruzione di un ordi-
namento sovranazionale di competenze, riconducibili anche alla “materia” dei diritti fonda-
mentali 246.
Questo ovviamente rende estremamente articolate e potenzialmente complesse le capacità
integrative del rinvio pregiudiziale 247, come dimostra anche un recente caso italiano del Con-
siglio di Stato che ricorre al rinvio pregiudiziale per chiedere una sorta di “interpretazione au-
tentica” degli effetti interni della decisione pregiudiziale stessa 248.
Ma in tutti i modi, l’unità di integrazione identifica il fine principale delle azioni sovrana-
zionali da realizzare, anche attraverso il conseguimento di certi obiettivi predeterminati da
parte dei singoli Stati, con propri strumenti interni.
In tal modo, la supremazia funzionale della integrazione europea opera sulle differenze
per produrre sostituzioni e garantire finalità comuni. Le tecniche europee di concretizzazione
di tutto questo sono in definitiva tre:
a) della “riduzione”;
b) della “neutralizzazione”;
c) della “condivisione”.
Il meccanismo della supremazia/primauté del diritto europeo su quello nazionale ha per-
messo e permette tuttora di “ridurre” differenze, in primo luogo sul piano normativo perché si
eliminano “antinomie reali”. Si tratta del più antico dei meccanismi.
Ma accanto ad esso, la CE/UE ha sperimentato altri percorsi, come per esempio il cosid-
detto “giudizio di equivalenza tra ordinamenti statuali”, finalizzato alla “neutralizzazione”
delle differenze. A uno Stato membro è proibito di ostacolare la circolazione di beni e servizi,
allorquando interessi e tutele di quello Stato conoscano metodi e tecniche sostanzialmente

245
Sentenza 24 aprile 2012, caso “Servet Kamberaj vs. Istituto per l’Edilizia Sociale della Provincia auto-
noma di Bolzano”, in Causa C-571/10. Sulla complessità di questa vicenda, si v. A. Ruggeri, La Corte di giusti-
zia marca la distanza tra il diritto dell’Unione e la CEDU e offre un puntello alla giurisprudenza costituzionale
in tema di (non) applicazione diretta della Convenzione (a margine di Corte giust., Grande Sez., 24 aprile
2012), in Id., “Itinerari”, vol. XVI, cit., 284 ss., e A.E. Basilico, Disapplicazione di leggi interne contrastanti
con la CEDU? Il punto di vista della Corte di giustizia, in Rivista AIC, 3, 2012, in www.associazione
deicostituzionalisti.it.
246
Sul problema, ancora A. Ruggeri, Il rinvio pregiudiziale alla Corte dell’Unione: risorsa o problema?
(nota minima su una questione controversa), in Dir. Un. Eur., 1, 2012, 95 ss.
247
Nella letteratura in lingua italiana, cfr. S. Foà, Giustizia amministrativa e pregiudizialità costituzionale,
comunitaria e internazionale. I confini dell’interpretazione conforme, Napoli, Jovene, 2011, R. Ciccone, Il rin-
vio pregiudiziale e le basi del sistema giuridico comunitario, Napoli, Editoriale Scientifica, 2011, A. D’Ales-
sandro, Il procedimento pregiudiziale interpretativo dinanzi alla Corte di giustizia. Oggetto ed efficacia della
pronunzia, Torino, Giappichelli, 2012.
248
Ci si riferisce a Cons. Stato 5 marzo 2012 n. 4584, su cui si v. A. Ruggeri, Il Consiglio di Stato e il “me-
tarinvio” pregiudiziale (a margine di Cons. St. n. 4584 del 2012), in Id., “Itinerari”, vol. XVI, cit., 138 ss.

La tridimensionalità delle integrazioni regionali tra America latina ed Europa 55


analoghe (equivalenti) anche nello Stato di provenienza. Questa tecnica mira a scongiurare
inutili duplicazioni di regole interne agli Stati membri, senza procedere alla loro diretta sosti-
tuzione da parte dell’ordinamento sovranazionale. Per tale ragione, si parla anche di “concor-
renza” tra ordinamenti giuridici statuali, in quanto l’integrazione non deriva da una decisione
“calata dall’alto”, ma è piuttosto il frutto dell’equilibrio di questo confronto orizzontale tra
Stati 249.
Infine la “condivisione” è perseguita attraverso il Verwaltungsverbund, riconducibile
all’art. 197 del Trattato di funzionamento della UE (TFUE), ed operante collegando la dina-
mica di integrazione interordinamentale agli strumenti del “coordinamento funzionale Sta-
ti/UE”, tramite organi amministrativi (agenzie ecc.).
Queste tre modalità di integrazione europea sono poi sostenute dalle tre garanzie interne
alla organizzazione CE/UE:
a) la morfologia dei Trattati a fondamento della tridimensionalità, come si è già visto re-
tro;
b) il meccanismo obbligatorio, vincolante e sanzionato della pregiudizialità (artt. 258, 259
e 267 TFUE);
c) il principio di sussidiarietà, risalente al Trattato di Maastricht 250.
In America Latina, non solo non si praticano le tre modalità di integrazione, ma eviden-
temente neppure funzionano – come in Europa – le tre garanzie interne ai diversi sistemi re-
gionali esistenti.
Questo spiega, tra l’altro, perché la “cosa interpretata” del giudice convenzionale intera-
mericano prevalga, come “Embeddedness” interna agli Stati, a fronte di qualsiasi integrazione
regionale di appartenenza.
Del resto, ancorché il “controllo di convenzionalità” non sia codificato da alcun ordina-
mento, è anche vero che né i Trattati regionali né le Costituzioni nazionali imprimono reali
tecniche simili a quelle formalizzate in Europea.

8. Conclusioni

Il confronto fra le due realtà tridimensionali lascia dunque aperto il problema se si possa
parlare, per entrambi i contesti interordinamentali, di insorgenza di uno ius commune attraver-
so le interrelazioni dinamiche dei diversi livelli di tutela da parte dei giudici, all’interno di cir-
cuiti di legittimazione condivisa. Nella stessa Europa multilevel, si discute della necessità o
meno di non affidare alla sola creazione giurisprudenziale il diritto dell’integrazione tridimen-
sionale.
Alcuni formulano l’invito a “rifuggire … i rischi di un costituzionalismo irenico che si
limiti a celebrare i trionfi dei diritti fondamentali grazie … alle giurisdizioni” e alla comuni-
cazione degli argomenti giudiziali all’interno di una specie di “supermercato dei diritti” 251.

249
Cfr. A. Plaia (a cura di), La competizione tra ordinamenti giuridici, Milano, Giuffrè, 2007.
250
Art. 3 B: “La Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le
sono assegnati dal presente Trattato. Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza, la Comunità inter-
viene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista
non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o
degli effetti dell’azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario. L’azione della Comunità non
va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del presente Trattato”.
251
In Italia, è la tesi di Massimo Luciani, di cui si v.: Costituzionalismo irenico e costituzionalismo polemi-

MICHELE CARDUCCI 56
Altri sostengono l’idea che ormai la sovranità appartenga ai valori nella loro oggettività
argomentativa e discorsiva, svincolati dall’imperium dei luoghi, delle autorità e della gerar-
chia degli atti: la circolazione dei valori di per sé neutralizzerebbe i conflitti tra sistemi e in-
centiverebbe l’armonia tra gli ordinamenti 252.
Altri ancora sottolineano l’importanza sistemica dei conflitti interordinamentali (ossia i
conflitti fra il primato del diritto europeo, di integrazione e/o convenzionale, e la supremazia
delle Costituzioni nazionali), in funzione dello sviluppo dei principi di un diritto costituziona-
le “transnazionale” 253 o “cosmopolitico” 254.
La concorrenza interpretativa diventerebbe insomma il motore virtuoso delle “gerarchie
intrecciate” dei vari ordinamenti coinvolti dal processo integrativo sovranazionale, contri-
buendo a delineare, quanto meno in via tendenziale, le risposte condivise sull’“ultima parola”
intorno ai diritti e al “monopolio” delle Costituzioni.
È verosimile che queste letture conoscano possibili riscontri reali. È pur vero, però, che si
tratta – per tutte – di teorie riferite all’Europa, dunque da testare empiricamente altrove, prima
di proclamarne la “universalità” 255.
Fuori dell’Europa, le perplessità sulle visioni “ireniche” della convivenza tridimensionale
permangono, sia perché le riscontrate asimmetrie non solidificano la struttura giuridica della
tridimensionalità stessa 256, sia perché è difficile pensare che una “diplomazia costituzionale”
affidata ai giudici 257 possa fare a meno di una “diplomazia cittadina” 258 capace di “Embed-
dedness” in realtà dove l’esclusione sociale è radicata e diffusa.
L’“oscillazione” tra “sistema integrato delle fonti” e “sistema integrato delle interpreta-
zioni”, ormai congenita all’Europa 259, non è così pacifica in America latina. L’asse su cui
poggiano i due piatti di questa “oscillazione” risiede ovviamente negli Stati. Ma, nel subcon-

co, in Giur. Cost., 2006, 1652 ss., ma anche Costituzione, integrazione europea, globalizzazione, in Quest.
Giust., 6, 2008, 65 ss., e L’antisovrano e la crisi delle Costituzioni, in AA.VV., Scritti in onore di Giuseppe
Guarino, II, Padova 1998, 731 ss., spec. 780.
252
In Italia, è la tesi di Gaetano Silvestri, di cui si v.: La parabola della sovranità. Ascesa, declino e trasfi-
gurazione di un concetto, in Riv. Dir. Cost., 1996; Lo Stato senza principe. La sovranità dei valori nelle demo-
crazie pluraliste, Torino, Giappichelli, 2005, 69 ss.; Verso uno ius commune europeo dei diritti fondamentali, in
Quad. Cost., 2006, 7 ss.
253
In Italia, è la tesi di Giuseppe Martinico: Lo spirito polemico del diritto europeo. Studio sulle ambizioni
costituzionali dell’Unione, Roma, Aracne, 2011, e il già cit. L’integrazione silente. La funzione interpretativa
della Corte di giustizia e il diritto costituzionale europeo.
254
Q. Camerlengo, Contributo ad una teoria del diritto costituzionale cosmopolitico, Milano, Giuffrè,
2007.
255
Si v. il recente saggio di D. Kapiszewski, M.M. Taylor, Compliance: Conceptualizing, Measuring, and
Explaining Adherence to Judicial Rulings, in 38 L. & Social Inquiry, 4, 2013, 803 ss., sulle possibilità di rileva-
zione della effettività del rapporto costruttivo tra interventi giudiziari e politica.
256
Si pensi alle importanti comparazioni di A. Malamud, a partire dal cit. Latin American Regionalism and
EU Studies.
257
Per utilizzare la formula di Michael J. Glennon, Constitutional Diplomacy, Princeton, Princeton Univ.
Press, 1991.
258
Su tale ipotesi, cfr. A. Serbin (comp.), Entre la confrontación y el diálogo. Integración regional y diplo-
macia ciudadana, Buenos Aires, Siglo XXI, 2003. Tra l’altro, accanto alla “diplomazia cittadina”, esiste anche
una “diplomazia accademica” attenta ai temi della integrazione e che fa sentire la sua voce su limiti e possibilità
del diritto costituzionale transnazionale, come dimostrano le iniziative degli “Encuentros de las Asociaciones de
Derecho constitucional de América del Sur”.
259
L’idea di una “oscillazione” tra un “polo d’ispirazione formale-astratta” e un “polo assiologico-
sostanziale” è di A. Ruggeri, recentemente ripresa in Sistema integrato di fonti e sistema integrato di interpreta-
zioni, nella prospettiva di un’Europa unita, in “Itinerari”, vol. XIV, cit., 207 ss.

La tridimensionalità delle integrazioni regionali tra America latina ed Europa 57


tinente, gli Stati sono ancora molto giovani nella loro conformazione di ordinamenti giuridici
democratico-costituzionali. Hanno quindi bisogno, in primo luogo, di definire una via duratu-
ra di concretizzazione interna dell’inclusione politico-sociale. Non possono, e in larga misura
non vogliono, accontentarsi della sola “inclusione giurisprudenziale” 260.

260
In tal senso, M. Neves, A concepção do Estado de direito e sua vigência prática na América do Sul, com
especial referência à força normativa de um direito supranacional, in 2 Rev. Bras. Est. Const., 8, 2008.

MICHELE CARDUCCI 58
MICHELE CARDUCCI

Schemi riassuntivi di comparazione


tra Europa e America latina

Alla luce del quadro comparativo emerso, è possibile sintetizzare e schematizzare le dif-
ferenze tra Europa e America latina, con riguardo alla tridimensionalità delle integrazioni
regionali.
Per l’Europa, i fondamenti della dinamica risiedono negli artt. 4.2 e 6 TUE e nella stes-
sa “Carta di Nizza”, all’art. 53, in qualche modo ispiratrice del Verfassungsgerichtsver-
bund europeo e della Cross Fertilization tra interpretazioni statali, convenzionali sulla
CEDU e di integrazione dell’Unione. La tridimensionalità, pertanto, si presenta “dialogan-
te” e “cooperante” e, per questo, può essere raffigurata come un insieme di tre cerchi ina-
nellati tra i due livelli orizzontali (UE e CEDU) e il livello verticale verso gli Stati, con la
preminenza del cerchio della UE, perché gli altri due sono comunque direzionati (quello
statale) o condizionati (quello CEDU) dal meccanismo (obbligatorio e vincolante) della
pregiudizialità comunitaria. Nel contempo, il cerchio della CEDU incide sulla sfera delle
Costituzioni degli Stati.
Viceversa, la riscontrata “verticalità” latinoamericana può essere raffigurata con un trian-
golo, con al vertice la CADH e le interpretazioni della CIDH, sulla base sia del “blocco di co-
stituzionalità transnazionale” previsto dagli Stati sia, secondo alcuni, degli artt. 24, 28.3, 67 e
68 della CADH. L’impressione, pertanto, è quella di una tridimensionalità “monopolizzata”
dalla CIDH, con il suo “controllo di convenzionalità” non cooperante con le altre sfere ordi-
namentali, ma cionondimeno molto più incisivo delle integrazioni regionali, per l’assenza,
all’interno di queste ultime, di un efficace meccanismo di pregiudizialità. Una qualche forma
di cooperazione orizzontale si riscontra solo tra CCJ e CIDH, grazie alle previsioni degli artt.
3, 23 e 25 dello Statuto della CCJ.

Schemi riassuntivi di comparazione tra Europa e America latina 59


TUE E CARTA
DI NIZZA

COSTITUZIONI CEDU
NAZIONALI

CADH e CIDH

Costituzioni nazionali Integrazioni sovranazionali regionali

MICHELE CARDUCCI 60
UNIONE EUROPEA: ARTT. 4.2 E 6 TUE CON ART. 53 CARTA DI NIZZA
(VERFASSUNGSGERICHTSVERBUND)

CORTE UE
Si Judicial Dialogue:
criterio di equivalenza
CORTE CEDU

Si Judicial Dialogue: tradizioni co-


stituzionali comuni e identità nazio-
nali

Si Embeddedness, ma:
“margine di apprezza-
mento”

“Controlimiti”

Si Embeddedness: pregiudi-
zialità con Primauté; effetto
utile; Pre-emption

CORTI COSTITUZIONALI

“Sentenze
pilota”

GIUDICI NAZIONALI COMUNI

ALTRI POTERI (LEGISLATIVO, ESECUTIVO)

Schemi riassuntivi di comparazione tra Europa e America latina 61


AMERICA LATINA: ARTT. 24, 28.3, 67 E 68 CADH CON COSTITUZIONI DEGLI STATI
(BLOCCO DI COSTITUZIONALITÀ TRANSNAZIONALE)

GIUDICI DI INTEGRAZIONE
CIDH No Judicial Dialogue REGIONALE (CAN; MERCOSUR;
CARICOM)

Si Embeddedness: No Embeddedness:
“controllo di convenzionalità” pregiudizialità
non vincolante

“Controlimiti”?

CORTI COSTITUZIONALI ALTRI POTERI

GIUDICI NAZIONALI COMUNI

MICHELE CARDUCCI 62
CENTRO AMERICA: ARTT. 3, 23 E 25 STATUTO CCJ CON ART. 28.3 CADH E CON
COSTITUZIONI DEGLI STATI (“COSCIENZA CENTROAMERICANA”)

Judicial Dialogue su
CIDH DH? CCJ

Si Embeddedness: “controllo
di convenzionalità” Si Embeddedness: controllo sui conflitti
costituzionali, ma “Pick and Choose
System”

CORTI COSTITUZIONALI

No Embeddedness:
pregiudizialità non
vincolante

ALTRI POTERI (LEGISLATIVO,


ESECUTIVO)
GIUDICI NAZIONALI

Schemi riassuntivi di comparazione tra Europa e America latina 63


JORGE ANTONIO GIAMMATTEI AVILÉS

El Tribunal de la Comunidad Centroamericana:


su naturaleza, su competencia

SUMARIO: 1. Antecedentes. – 2. La Corte Centroamericana de Justicia. – 3. Naturaleza. – 3.a. Tribunal


internacional regional. – 3.b. Tribunal comunitario o de la integración. – 3.c. Tribunal arbitral. – 3.d.
Tribunal administrativo interior. – 3e. Tribunal interno y Tribunal constitucional centroamericano. – 4. Su
competencia. – 5. Conclusiones.

1. Antecedentes

La historia centroamericana es rica en intentos integracionistas que, desafortunadamente,


no han coronado los objetivos propuestos, aunque siempre ha sido manifiesta la voluntad in-
destructible de los pueblos centroamericanos por lograr su integración y ser considerados co-
mo una sola Nación. Un común denominador de todos estos intentos ha sido el anhelo de
establecer un tribunal ya fuere federal o regional 1.
En 1823, se instaló el Primer Congreso Centroamericano y decretó en 1824 la Consti-
tución Federal, la cual en su Título VIII organizó al Poder Judicial en la Suprema Corte de
Justicia con “jurisdicción en controversias de ciudadanos o habitantes de diferentes Estados”
(artículo 136) y para controversias en las que “sea parte toda la República uno o más Esta-
dos, con alguno o algunos otros, o con extranjeros o habitantes de la República” (artículo
137). El limitante de esta Corte era de estar restringida su función jurisdiccional por el Con-
greso y el Senado.
Después de concluir la Federación en 1838, El Salvador, Honduras y Nicaragua suscriben
en 1897 el Pacto de Amapala por el cual fue conformada la República Mayor de Centroaméri-
ca y en 1898 la Asamblea Constituyente proclamó la Constitución Política para los Estados
Unidos de Centroamérica, estableciendo que “El Poder Judicial será ejercido por la Suprema
Corte de Justicia Federal y por los demás Tribunales que establezcan las leyes” (artículo
124).
A este Tribunal Federal le correspondía conocer de todas las controversias suscitadas en
aplicación de las leyes federales, derecho marítimo, controversias por contratos entre el go-
bierno federal con los Estados o los particulares, asuntos contenciosos (artículo 128) y todas
las cuestiones surgidas entre Estados o entre alguno de ellos y el gobierno federal, delitos co-
munes y oficiales cometidos por el Presidente de la Unión, Ministros, Magistrados, Di-
plomáticos, Senadores y Diputados. Dirimía también conflictos de competencia entre Tribu-
nales Federales, recursos de amparo y contra abusos cometidos por empleados federales
(artículo129). Este intento finaliza en el año de 1898 por la separación del Estado de El Sal-
vador de esa Unión de Estados.
A raíz de que en 1907 surgió un conflicto entre Honduras y El Salvador de un lado y Ni-

1
R. Chamorro Mora, La Corte de Justicia de la Comunidad Centroamericana, Managua, Artes Gráficas
Imprimatur, 2000.

JORGE ANTONIO GIAMMATTEI AVILÉS 64


caragua del otro, los Presidentes de Estados Unidos de Norte América y de México convoca-
ron a los gobernantes centroamericanos a una conferencia que tendría por finalidad buscar una
solución pacífica a tantas diferencias. Fue así que en el mes de noviembre de 1907 se reunie-
ron las delegaciones centroamericanas en Washington y firmaron el denominado Tratado de
Paz y Amistad y seis Convenciones, una de las cuales era la Convención para el estableci-
miento de una Corte de Justicia Centroamericana. Es de particular interés el artículo 1 del Re-
glamento de la Corte de 1907 ya que proporciona una clara definición del Tribunal y de sus
funciones. Dice el Artículo: “La Corte de Justicia Centroamericana tiene por objeto garanti-
zar con su autoridad, basada en el honor de los Estados y dentro de los límites de la inter-
vención que le ha sido concedida, los derechos de cada uno de ellos en sus recíprocas rela-
ciones, así como mantener en éstas la paz y la armonía, y es por su naturaleza, por sus atri-
buciones y por el carácter de su jurisdicción, un Tribunal Permanente de Justicia Internacio-
nal, con potestad para juzgar y resolver a petición de parte, todos los asuntos comprendidos
en su ley constitutiva y para sostener y administrar, conforme a la misma, la oficina de su de-
spacho y los intereses de ésta”.
La duración de esta Corte fue muy corta, ya que debido al fallo de un caso derivado del
Tratado Chamorro-Bryan, Nicaragua se negó a obedecer lo resuelto y denunció la Convención
el 9 de marzo de 1917.
El 15 de Septiembre de 1921, Guatemala, El Salvador y Honduras en su anhelo de recons-
truir la Federación decretaron la Constitución Política de la República de Centroamérica la
cual en su artículo 120 establecía que el Poder Judicial se ejercerá por una Corte Suprema de
Justicia y por los Tribunales inferiores que establezca la ley pudiendo conocer de todas
aquellas controversias en las que hubiere sido parte la Federación o que se suscitaran entre
dos o más Estados de la misma, conflictos entre Poderes de un mismo Estado o de la
Federación y todos aquellos conflictos de competencia entre los tribunales de los Estados y la
Federación (artículo 126).
Este nuevo intento integracionista se vio frustrado por un golpe de Estado en Guatemala.
En 1923 fue firmado el Tratado General de Paz y Amistad entre las Repúblicas Centroameri-
canas y nueve Convenciones, una de las cuales creó el Tribunal Internacional Centroamerica-
no, el cual tuvo competencias muy limitadas y gran intervención por parte del gobierno nor-
teamericano.
Ya en la década de los 50´s nos encontramos con la firma del Acta Final para establecer
una nueva Organización Centroamericana, la que no se sabría si constituiría una “Unión Polí-
tica de Centroamérica” como era la moción nicaragüense y que así quedó reflejada en el
Preámbulo de la primera Carta de la Organización de Estados Centroamericanos (ODECA)
denominada Carta de San Salvador, o una Organización parecida a la OEA y a la ONU pues
se cambia la óptica de la integración centroamericana: los anteriores intentos unionistas falli-
dos como los citados, consistieron básicamente en declarar la Unión por medio de “mandatos
constitucionales regionales” y por ello es que se decide proceder con más ponderación y en
lugar de “proclamarla La Unión oficialmente” una vez más, se establece una organización in-
ternacional regional como medio para alcanzar el fin de la unión política en la región. Así es
como en la Carta de la Organización de Estados Centroamericanos (ODECA) de 1951 la inte-
gración pasa a ser un objetivo preciso y definido de la organización que se había creado.
La primera estructura institucional regional quedó plasmada en la Carta de San Salvador
de 1951 en su artículo 4 de la siguiente manera: 1) La Reunión Eventual de Presidentes (Ór-
gano Supremo de la Organización cuando se reuniera); 2) La Reunión de Ministros de Rela-
ciones Exteriores (Órgano Principal y Permanente de la Organización); 3) La Reunión Even-
tual de Ministros de otros Ramos; 4) La Oficina Centroamericana que sería la Secretaría Ge-
neral de la Organización; y 5) El Consejo Económico.

El Tribunal de la Comunidad Centroamericana 65


Esta primera Carta tuvo una vida meramente formal y en nada influyó en la integración de
la región dado los siguientes motivos: 1) la extremada vaguedad de sus principios impidió
establecer políticas definidas para la reunificación; 2) no prestó atención al desarrollo
económico, un factor sumamente importante, no obstante haber creado un Consejo Económi-
co; 3) los Estados continuaron actuando individualmente en el plano internacional atendiendo
exclusivamente sus intereses sectoriales; 4) no se establecieron en la Carta competencias ni
atribuciones específicas; 5) no existió una verdadera estrategia de reunificación, y 6) sobre to-
do hubo inexistencia ideológica e institucional que dinamizara el proceso de integración.
Ante el desacierto de ese nuevo intento, es que se anunció en Guatemala una nueva
ODECA dotada de Órganos Legislativo, Ejecutivo y Judicial claramente establecidos de cara
a una Federación y, es así como se reforma la primera Carta en 1962 y en ella se establecen
determinados fines (artículo 1) para los cuales fue necesario establecer los siguientes Órganos
(artículo 8): 1) La Reunión de Jefes de Estados; 2) La Conferencia de Ministros de Relaciones
Exteriores; 3) El Consejo Ejecutivo; 4) El Consejo Legislativo; 5) La Corte de Justicia Cen-
troamericana; 6)El Consejo Económico Centroamericano; 7) El Consejo Cultural y Educati-
vo; y 8) El Consejo de Defensa Centroamericano 2.
En cuanto a la Corte de Justicia Centroamericana, la segunda Carta circunscribió sus atri-
buciones a dos: a) a conocer de conflictos de orden jurídico que surgieran entre los Estados
Miembros y que estos convencionalmente le sometieran; y b) elaborar y emitir opiniones so-
bre proyectos de unificación de la legislación centroamericana cuando así se lo solicitare la
Conferencia de Ministros de Relaciones Exteriores o el Consejo Ejecutivo.
De esta nueva Corte de Justicia Centroamericana hay que destacar dos aspectos: el prime-
ro, este Tribunal solamente podría conocer de las controversias surgidas entre los Estados
Centroamericanos si éstos voluntariamente se las sometieran; y el segundo, su composición
no coincide con la Corte de Cartago ya que la integran los Presidentes de los Poderes Judicia-
les del Istmo y no Magistrados electos al efecto de constituirla.

2. La Corte Centroamericana de Justicia

Con motivo de la XI Cumbre de Presidentes Centroamericanos, celebrada en Tegucigal-


pa, el día 13 de diciembre de 1991, los Estados de Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Hon-
duras, Nicaragua y Panamá, suscribieron el “Protocolo de Tegucigalpa a la Carta de la Or-
ganización de Estados Centroamericanos (ODECA)” en donde se definen que son “una co-
munidad económica-política” y crearon el “Sistema de la Integración Centroamericana (SI-
CA)”, que tiene como objetivo fundamental la realización de la integración de Centroamérica,
para constituirla como Región de paz, libertad, democracia y desarrollo 3.
En el artículo 12 de dicho Protocolo, para la realización de sus fines, se establecen como
parte del Sistema, además de “La Reunión de Presidentes”, “El Consejo de Ministros”, “El
Comité Ejecutivo”, “La Secretaría General”, “La Reunión de Vicepresidentes y Designados a
la Presidencia de la República”, el “Parlamento Centroamericano” (PARLACEN), “La Corte
Centroamericana de Justicia” y el “Comité Consultivo”.
Sobre la Corte Centroamericana de Justicia, se establece que “garantizará el respeto del
derecho en la interpretación y ejecución del presente Protocolo y sus instrumentos comple-
mentarios o actos derivados del mismo”. Además, se dispuso que “la integración, funciona-
miento y atribuciones de La Corte Centroamericana de Justicia deberán regularse en el esta-

2
Artículo 15 de la Carta de San Salvador del 12 de diciembre de 1962.
3
Belice depositó su instrumento de ratificación el 27 de noviembre del 2000.

JORGE ANTONIO GIAMMATTEI AVILÉS 66


tuto de la misma, el cual deberá ser negociado y suscrito por los Estados Miembros dentro de
los noventa días posteriores a la entrada en vigor del presente protocolo”; se estableció,
asimismo, que “toda controversia sobre la aplicación o interpretación de las disposiciones
contenidas en el presente protocolo y demás instrumentos a que se refiere el párrafo anterior,
(que eran el protocolo y sus instrumentos complementarios y derivados), deberá someterse a
La Corte Centroamericana de Justicia”; y, el artículo 3 de las disposiciones transitorias del
referido protocolo estableció “para los efectos de lo establecido en el párrafo 2 del artículo
35 y en tanto no esté integrada la Corte Centroamericana de Justicia, las controversias sobre
la aplicación o interpretación de las disposiciones contenidas en el presente protocolo, de-
berá conocerlas el Consejo Judicial Centroamericano”.
El Consejo Judicial Centroamericano fue creado durante la Primera Reunión de Cortes
Supremas de Justicia de los países de Centroamérica, congregada en la República de Guate-
mala los días 29, 30 y 31 de marzo de 1989. En la Resolución I, por la que se acordó crear al
Consejo Judicial Centroamericano, integrado por los Presidentes de las Cortes Supremas de
Justicia de los Estados Centroamericanos, se determinó que sus objetivos principales serían
tres, a) establecer un vínculo permanente entre las Cortes Supremas de Centroamérica, a efec-
to de buscar soluciones a problemas comunes; b) promover el desarrollo de cada una de las
legislaciones; y c) propiciar reformas tendientes a unificar códigos y leyes.
La suscripción del Protocolo de Tegucigalpa en la forma anteriormente señalada, impulsó
a las Cortes Supremas de Justicia de Centroamérica a cambiar el plan de trabajo que se habían
impuesto para la elaboración del Convenio de Estatuto de La Corte Centroamericana de Justi-
cia y decidió trabajar en forma paralela en dos sentidos:
En organizar el Consejo Judicial Centroamericano, como Corte Centroamericana de Justi-
cia ad interim y en elaborar su Ordenanza de Procedimientos: y, Trabajar en la elaboración
del Convenio de Estatuto de la Corte Centroamericana de Justicia y ofrecérselos como un
aporte a la próxima Reunión de Presidentes Centroamericanos.
Ambos estudios se realizaron por comisiones de los países de El Salvador, Honduras y
Nicaragua, que trabajaron a marchas forzadas, en las que también existió colaboración de las
Cortes Supremas de Justicia de Panamá y Guatemala, materializándose los mismos en la IV
reunión de Cortes Supremas de Justicia de Centroamérica, celebrada en Managua del 9 al 11
de septiembre de 1992, en donde en su Resolución II se aprobó el proyecto de Convenio de
Estatuto de La Corte Centroamericana de Justicia y se acordó, también, “Remitirlo a las
autoridades y organismos competentes del Sistema de Integración Centroamericana (SICA),
a efecto de que sean considerados en su totalidad por quienes suscribirán y ratificarán el
Convenio respectivo, ya que el presente expresa el espíritu que ha animado la creación de esa
institución por parte de las Cortes Supremas de Justicia de los Estados de Centroamérica”.
En su Resolución III las Cortes Supremas de Justicia de Centroamérica, acordaron delegar
al Consejo Judicial Centroamericano la facultad de elaborar sus propias Ordenanzas de Pro-
cedimientos y Normas Reglamentarias y, ese mismo día once de septiembre de 1992, como
consecuencia de lo previsto en el Protocolo de Tegucigalpa, el Consejo Judicial Centroameri-
cano acordó denominarse Corte Centroamericana de Justicia ad-interim, se dio sus propias
normas procedimentales y se eligió como Presidente de dicho tribunal al Doctor Orlando Tre-
jos Somarriba y como Secretario del mismo al Doctor Rafael Chamorro Mora; y, además, se
procedió a su instalación, siendo juramentados los integrantes del mismo, por el Abogado
Don Roberto Ramírez, por Delegación de la IV Reunión de Cortes Supremas de Justicia de
Centroamérica, en la siguiente forma: “¿Juráis solemnemente por la Patria Centroamericana
cumplir el cargo de Magistrado de La Corte Centroamericana de Justicia ad-interim, con
honestidad, esfuerzo, diligencia, imparcialidad e independencia? Habiendo respondido cada
uno de ellos: “Sí juramos”, por lo que les dijo a continuación: “Si así lo hicieres la Patria

El Tribunal de la Comunidad Centroamericana 67


Centroamericana os premie y si no, ella os lo demande”. Con esta emotiva ceremonia inició
su vida institucional la Corte Centroamericana de Justicia ad interim, mientras se suscribía, se
ratificaba, depositaba y entraba en vigencia el Convenio de Estatuto de la Corte Centroameri-
cana de Justicia, lo que sucedió el 2 de febrero de 1994. Como se dice en la exposición de
motivos del Convenio de Estatuto de la Corte, debe destacarse la intervención que se confirió
al Consejo Judicial Centroamericano en la etapa previa a la integración e instalación de la
Corte, en cuanto se le dieron facultades de aplicación, interpretación y ejecución de las dispo-
siciones contenidas en el Estatuto, así como de tomar todas las medidas pertinentes y hacer
cuanta gestión fuese necesaria para asegurar su pronta instalación y funcionamiento.
Las facultades están conferidas en los artículos 10, 45 y 46 del Convenio de Estatuto y se
concretizan en lo siguiente: Aplicar, interpretar y ejecutar las disposiciones contenidas en el
Estatuto mientras no se integrara e instalara La Corte; fijar la fecha de instalación solemne e
inicio de funciones de La Corte Centroamericana de Justicia;Elaborar los proyectos de: Re-
glamento General de la Corte Centroamericana de Justicia, Ordenanza de Procedimientos,
Presupuesto y fijar el numero inicial de Magistrados.
El Consejo, en acatamiento a lo señalado elaboró los siguientes proyectos: Acuerdo de
Sede entre la CCJ y la República de Nicaragua; Convenio de Inmunidades y Privilegios; Pre-
supuesto; Reglamento; Reglamento de Adquisiciones; y Ordenanza de Procedimientos.
En su reunión de Managua del 10 de diciembre de 1993, acordó, como ya se mencionó,
establecer en dos el número de Magistrados Titulares y sus respectivos Suplentes por cada
Estado y elegirlos dentro de los noventa días a partir de esa fecha, una vez que entrare en vi-
gencia el Estatuto.
El Consejo obró con celeridad y eficiencia en el cumplimiento de las obligaciones señala-
das en el Estatuto, habiendo acordado además, como fecha de instalación el 12 de octubre de
1994, con motivo de la XVI Reunión Cumbre de Presidentes Centroamericanos o Cumbre
Ecológica Centroamericana, celebrada en Managua, Nicaragua, fecha desde la cual La Corte
se encuentra instalada en su sede, la ciudad de Managua, desempeñando sus funciones.
Haciéndole justicia a la Corte Centroamericana de Justicia ad interim, puede afirmarse
que las Ordenanzas de Procedimientos le permitieron resolver las consultas que le fueron
planteadas y que, no obstante su limitada competencia, las controversias sobre la aplicación o
interpretación de las disposiciones contenidas en el Protocolo de Tegucigalpa y sus instru-
mentos derivados, las decidió con solvencia, determinando su competencia, aplicando los
principios de derecho internacional y de derecho de integración, dictando normas de procedi-
mientos en lo no previsto, manteniendo la objetividad de los derechos y la salvaguarda de los
propósitos y principios del Sistema de la Integración Centroamericana, la igualdad de las par-
tes y la garantía del debido proceso (artículos 14, 15 y 16 de las Ordenanzas de Procedimien-
tos de la Corte Centroamericana de Justicia ad interim).
Para evacuar las consultas, el Consejo Judicial Centroamericano, como Corte Centroame-
ricana de Justicia ad interim, fue convocado por su Presidente a diferentes reuniones en las
distintas capitales de Centroamérica, habiendo concurrido todos con excepción de Costa Rica,
ya sea por los Presidentes o sus Delegados, quienes formaron resolución sobre las consultas
planteadas. En uno de sus casos, ante la imposibilidad material de reunirse, se hizo uso de los
medios más modernos de comunicación, entre ellos el facsímil y así pudo lograrse resolución
con la mitad más uno de sus integrantes (artículo 4).
Los casos que fueron planteados a este Tribunal son los siguientes: uno, sobre el régimen
de jurisdicción, competencia, inmunidades y privilegios de la Organización de Estados Cen-
troamericanos (ODECA); otro, sobre el estado de los bienes de esta última; el tercero, sobre
un dictamen técnico del proyecto de Protocolo del Tratado General de la Integración
Económica Centroamericana; el cuarto, en el que como ya se refirió se emplearon los medios

JORGE ANTONIO GIAMMATTEI AVILÉS 68


más modernos de comunicación ante la imposibilidad de reunirse, sobre la inclusión de la
opinión vertida anteriormente por la Corte en el proyecto definitivo del Protocolo del Tratado
General de Integración antes mencionado; y, el último, referido a la vigencia del Convenio de
Estatuto de la Corte Centroamericana de Justicia.
Se ha hecho referencia a la actividad de la Corte Centroamericana de Justicia ad interim,
porque tal como fue concebida en el Protocolo de Tegucigalpa, es la precursora inmediata de
la Corte Centroamericana de Justicia, y sus integrantes, en un mismo espíritu centroamerica-
nista, participaron en la elaboración de las Ordenanzas de Procedimientos de ésta, en la reso-
lución de las consultas efectuadas y en la formulación del proyecto de Convenio de Estatuto
de la Corte Centroamericana de Justicia.
Habiendo entrado en vigencia el Protocolo de Tegucigalpa en julio de 1992, al haber sido
ratificado por El Salvador, Guatemala, Honduras y Nicaragua, aún cuando de conformidad a
lo estatuido para su vigencia sólo sería necesaria la ratificación de tres países, la próxima reu-
nión de Presidentes Centroamericanos estaba convocada para el mes de diciembre de ese año
en Panamá, por lo que se decidió remitir a los señores Cancilleres el Proyecto de Convenio de
Estatuto de La Corte Centroamericana de Justicia, a efecto de que lo incluyeran en su agenda
de esa reunión y concurrir a la misma con el fin de gestionar que se suscribiera. Dicho
Proyecto se remitió tal como se aprobó en Managua en septiembre de ese mismo año, con dos
observaciones que se consideraron de tipo político y que no debían ser resueltas por las Cortes
Supremas de Justicia de Centroamérica o por el Consejo Judicial Centroamericano; éstas eran:
su sede y el que para conocer de las controversias fronterizas, territoriales o marítimas fuera
necesario la solicitud de todas las partes concernidas, esta última a petición de la Delegación
de Honduras. Como era de esperarse, teniendo como testigos de solemnidad a los Presidentes
de las Cortes Supremas de Justicia de Centroamérica, el “Estatuto de La Corte Centroameri-
cana de Justicia” fue aprobado tal como lo habían elaborado las Cortes Supremas de Justicia,
y las observaciones resueltas así: la sede sería Managua, capital de la República de Nicaragua,
y fueron aceptadas las observaciones de Honduras en lo referente a las controversias fronteri-
zas, territoriales y marítimas. Este Convenio de Estatuto de la Corte Centroamericana de
Justicia, ha sido ratificado, en el orden cronológico, por El Salvador, Honduras y Nicaragua, y
efectuado el depósito correspondiente por los tres países, siendo el último, el día 24 de enero
por Honduras que faltaba que lo hiciera, por lo que esta vigente a partir del día 2 de febrero de
1994 4.

3. Naturaleza

Se llega a establecer la naturaleza jurídica de una Organización o de algunos de sus Órga-


nos o Instituciones en función de las características que presentan, de las funciones que de-
sempeñan o de las competencias que se le otorgan. No obstante que la competencia de la Cor-
te Centroamericana de Justicia está determinada en el Artículo 22 de su Convenio de Estatuto
y de que en el artículo 12 del Protocolo de Tegucigalpa se le otorga la competencia general de
garantizar el respeto del derecho en la interpretación y ejecución del referido Protocolo y de
sus instrumentos complementarios y actos derivados del mismo, deseamos referirnos a lo que
el mismo Tribunal ha considerado al respecto. Veamos.
1) Se trata de un “Órgano Judicial Principal y Permanente del Sistema de la Integración

4
Para Costa Rica entró en vigencia el día 26 de junio de 1995, para Panamá el 26 de marzo de1996 y para
Belice el 8 de diciembre del año 2000.

El Tribunal de la Comunidad Centroamericana 69


Centroamericana, cuya jurisdicción y competencias regionales son de carácter obligatorio
para los Estados de Centroamérica” 5.
2) Su competencia “está expresamente consignada en su Convenio de Estatuto y tiene
como objetivo pronunciarse sobre la correcta interpretación y aplicación del Protocolo de
Tegucigalpa a la Carta de la Organización de Estados Centroamericanos (ODECA), y de los
instrumentos complementarios y actos derivados del mismo, dictamen que, sobre la materia
de Integración, será obligatorio para los Estados Miembros, así como para los Órganos y
Organismos Regionales, lo mismo que para particulares, tal y como lo dispone el artículo 24
del Convenio de Estatuto“ 6.
3) Las resoluciones de la Corte Centroamericana de Justicia, incluyendo las opiniones
consultivas que emita sobre la materia de integración, son obligatorias para los Estados
miembros así como para los Órganos y Organismos Regionales, lo mismo que para particula-
res, por la siguiente razón: porque éste es un Tribunal que fue concebido como un Tribunal
Regional, de jurisdicción privativa para los Estados del Istmo. Su competencia se establece
como una competencia de atribución, con exclusión de cualquier otro Tribunal y constituye la
principal garantía para que Centroamérica viva integrada mediante el respeto al derecho ya
que “la Corte Centroamericana de Justicia es el Órgano Judicial Principal y Permanente del
Sistema de la Integración Centroamericana, cuya jurisdicción y competencias regionales son
de carácter obligatorio para los Estados” (párrafo 2º, del artículo 1º. del Convenio de Estatu-
to de la Corte Centroamericana de Justicia) 7.
4) La Corte Centroamericana de Justicia reúne los requerimientos necesarios para funcio-
nar como Tribunal arbitral institucional, como ser: Tribunal de funcionamiento permanente,
creado para servir al Sistema de la Integración Centroamericana; con jueces profesionalizados
y dedicación exclusiva; de servicio gratuito, lo que evita el mayor coste por honorarios del ar-
bitraje ad-hoc; y, flexibilidad del procedimiento, conforme al artículo Sexto de la Ordenanza
de Procedimientos 8.
5) La Corte Centroamericana de Justicia, como Tribunal Comunitario, procura, a través
de sus resoluciones, el mayor bienestar y seguridad jurídica para la Región 9.
Si tomamos en consideración las características señaladas y las armonizamos con lo que
establece el artículo 12 de que “la Corte Centroamericana de Justicia garantizará el respeto del
derecho, en la interpretación y ejecución del presente Protocolo y sus instrumentos comple-
mentarios y actos derivados del mismo”, llegamos rápidamente a la conclusión de que ni el
ordenamiento jurídico comunitario ni su institucionalidad podrían mantenerse en pie si es que
no existiese un órgano jurisdiccional permanente que garantice la legalidad de los actos co-
munitarios.
La Corte Centroamericana de Justicia tal y como se manifiesta en la exposición de motivos
de su Convenio de Estatuto, “... se concibe como un tribunal regional, de jurisdicción privativa
para los Estados del Istmo (esto es exclusivo y excluyente) ...” y su competencia se establece
como una competencia de atribución, con exclusión de cualquier otro tribunal y, además, de los
conflictos entre los Estados, puede conocer de los litigios entre las personas naturales o jurídicas
residentes en el área y los gobiernos, Estados u Organismos del Sistema de la Integración Cen-
troamericana, lo que nos confirma que nuestro Tribunal Regional es el Órgano Judicial Supre-
mo y exclusivo para la resolución de toda controversia de índole comunitaria.

5
Resolución del 11 de abril de 1997.
6
Sentencia del 13 de marzo del 2002.
7
Sentencia del 5 de agosto de 1997.
8
Resolución del 12 de noviembre del 2002.
9
Resolución del 13 de marzo del 2002

JORGE ANTONIO GIAMMATTEI AVILÉS 70


Cuando en el Protocolo de Tegucigalpa leemos que “La Corte Centroamericana de Justi-
cia garantizará el respeto del derecho, en la interpretación y ejecución del presente Protoco-
lo y sus instrumentos complementarios y actos derivados del mismo” nos encontramos que su
misión se extiende a los más variados ámbitos regionales. Así nos encontramos con los si-
guientes aspectos de la Corte.

3.a. Tribunal internacional regional

Al conocer obligatoriamente de las controversias que se susciten entre los Estados


miembros, y a solicitud de las partes concernidas si el conflicto es territorial, fronterizo o
marítimo (artículo 22-a); igualmente actúa como tribunal internacional, pero con jurisdicción
voluntaria, al conocer y resolver las controversias o cuestiones que surjan entre un Estado
Centroamericano y otro que no lo sea, cuando de común acuerdo le sean sometidas (artículo
22-h); por último, tiene una función consultiva propia de un tribunal Internacional, ya que
“Los Estados podrán formular consultas con carácter ilustrativo a La Corte sobre la
interpretación de cualquier tratado o convención internacional vigente; también respecto a
los conflictos de los tratados entre si o con el Derecho Interno de cada Estado” (artículo 23).

3.b. Tribunal comunitario o de la integración

A la Corte al establecer el Protocolo de Tegucigalpa que le corresponde garantizar el res-


peto al Derecho, tanto en la interpretación como en la ejecución de dicho Protocolo y de sus
instrumentos complementarios y actos derivados, le atañe:
a) conocer de las acciones de nulidad y de incumplimiento de los Acuerdos de los Organi-
smos del Sistema de la Integración Centroamericana (artículo 22-b);
b) conocer, a solicitud de cualquier interesado, acerca de las disposiciones legales, regla-
mentarias, administrativas o de cualquier otra clase dictadas por un Estado, cuando afecten los
convenios, tratados y de cualquier otra Normativa del Derecho de la Integración Centroameri-
cana, o de los acuerdos o resoluciones de sus Órganos u Organismos (artículo 22-c);
c) actuar como Órgano de Consulta de los Órganos u Organismos del Sistema de la Inte-
gración Centroamericana, en la interpretación y aplicación del Protocolo de Tegucigalpa a la
Carta de la Organización de Estados Centroamericanos (ODECA) y de los instrumentos com-
plementarios y actos derivados de los mismos (artículo 22-c);
d) resolver toda consulta prejudicial requerida por todo juez o tribunal judicial que estuviere
conociendo de un caso pendiente de fallo encaminado a obtener la aplicación o interpretación
uniforme de las normas que informan el ordenamiento jurídico del SICA (artículo 22-k) y,
e) conocer de los asuntos que someta directa e individualmente cualquier afectado por los
acuerdos de Órganos u Organismos del SICA. Tiene además, como Tribunal Comunitario,
esta atribución: hacer estudios comparativos de las Legislaciones de Centroamérica para lo-
grar su armonización y elaborar proyectos de leyes uniformes para realizar la Integración Ju-
rídica de Centroamérica. Esta labor la realizará en forma directa o por medio de Institutos o de
Organismos especializados, como el Consejo Judicial Centroamericano o el Instituto Cen-
troamericano de Derecho de Integración (artículo 22-i).

El Tribunal de la Comunidad Centroamericana 71


3.c. Tribunal arbitral

Establece el artículo 22 literal ch) del Convenio de Estatuto: “Conocer y fallar, si así lo
decide, como árbitro de los asuntos en que las partes la hubieren solicitado como tribunal
competente. También podrá decidir, conocer y resolver un litigio ex aequo et bono, si los in-
teresados lo convienen” 10.

3.d. Tribunal administrativo interior

Conocer en última instancia, en apelación, de las resoluciones administrativas de los Ór-


ganos u Organismos del Sistema de la Integración Centroamericana, que afecten directamente
a un miembro del personal del mismo y cuya reposición haya sido denegada (artículo 22-j).

3.e. Tribunal interno y Tribunal constitucional centroamericano

La Corte Centroamericana de Justicia adquiere esta naturaleza cuando ejercita la facultad


de actuar como Tribunal de Consulta Permanente de las Cortes Supremas de Justicia de los
Estados con carácter ilustrativo (artículo 22-d); cuando conoce y resuelve, a solicitud del
agraviado, de los conflictos entre los poderes de un mismo Estado, y cuando de hecho no se
respetan los fallos judiciales (artículo 22-f) 11.
Queremos referirnos brevemente a la primera hipótesis del literal f del artículo 22, el cual
le da a la Corte el carácter de Tribunal Constitucional Centroamericano. Veamos: La idea de
constituir una Corte Regional como Tribunal Constitucional de Centroamérica hay que re-
montarla a la Convención para el establecimiento de una Corte de Justicia Centroamericana,
suscrita en Washington el 20 de diciembre de mil novecientos siete. Dicha Convención in-
cluía un “artículo anexo” con el texto siguiente: “La Corte de Justicia Centroamericana co-
nocerá también de los conflictos que pueda haber entre los poderes ejecutivo, legislativo y
judicial y cuando, de hecho, no se respeten los fallos judiciales o las resoluciones del Con-
greso Nacional”.
Este Tribunal, que en palabras de la World Peace Foundation “podía incluso tener juris-
dicción en asuntos que involucraran las ramas principales de uno de los gobiernos si dicha
legislatura decidía presentar el asunto”, fue considerada por esa razón, entre otras, como el
más sorprendente órgano judicial del mundo” 12.
Si bien debe destacarse que aún no se concebía el Derecho de Integración y el Derecho
Comunitario, la creación de ese Tribunal puede considerarse como un preanuncio de lo que se
desarrollaría en Europa con posterioridad a la Segunda Guerra Mundial.
No obstante la dificultad formal de hacer referencia como Tribunal Constitucional a la

10
El 27 de febrero del 2002 se suscribió en la República de Nicaragua la “enmienda al Protocolo de Tegu-
cigalpa a la Carta de la Organización de Estados Centroamericanos (ODECA)”, por medio de la cual se modificó
el Artículo 35 del Protocolo de Tegucigalpa,en el cual se suprime la competencia arbitral de La Corte para la so-
lución de diferencias surgidas “de las relaciones comerciales interregionales” las que serán sometidas al nuevo
“mecanismo” que establezca el Consejo de Ministros de Integración Económica, en el que se incluye el arbitraje.
De acuerdo a información de la Secretaría General del Sistema de la Integración Centroamericana, dicha en-
mienda entró en vigencia a partir del 18 de enero del año 2003.
11
A. León Gómez, La Corte de Managua. Defensa de su Constitucionalidad, Managua, 1ª Edición, Edito-
rial Somarriba, 1997.
12
World Peace Foundation, Pamphlet Series, VII, Boston, 1917, 29.

JORGE ANTONIO GIAMMATTEI AVILÉS 72


Corte Centroamericana de Justicia, en cuanto no existe una Constitución formal de Centroa-
mérica o Constitución Centroamericana o Carta Fundamental Centroamericana, sí se puede
afirmar que en la Comunidad Centroamericana se da el contenido básico de lo que se deno-
mina Estado Constitucional de Derecho, referido a la estabilidad del Sistema que se ha esta-
blecido en el Protocolo de Tegucigalpa, el cual exige un mecanismo de control que asegure
que la Comunidad misma, los Estados Miembros, los Órganos, Organismos e Instituciones de
la Comunidad, se mantendrán dentro de los límites de la normativa comunitaria que los rige,
la cual toma algunos principios básicos de la integración como son el de atribución, subsidia-
riedad, proporcionalidad o lealtad por citar algunos, neutralizando las desviaciones de su fun-
cionamiento y haciendo volver las cosas al nivel de su competencia. Siendo confiado este me-
canismo de control a la Corte Centroamericana de Justicia como lo establecen los artículos 12
y 35 del aludido Protocolo de Tegucigalpa y artículo 3 del Convenio de Estatuto de la Corte
Centroamericana de Justicia 13, creándose así una jurisdicción “suprema” que, junto a las fun-
ciones de justiciabilidad que caracterizan a los tribunales constitucionales y que se dan en la
Corte Centroamericana de Justicia, hacen de ésta un auténtico Tribunal Constitucional.
En efecto, no actúa por iniciativa propia o de oficio, sino solamente a solicitud departes
legitimadas y ejerce autorrestricción 14 en los asuntos que permitan sus competencias 15. Los
jueces de conformidad al origen de su nombramiento 16, mantienen su neutralidad frente a las
partes y frente al objeto de litigio.
Están dotados de independencia 17 interna frente a sus propias convicciones e intereses así
como de los de sus países de origen y de independencia externa frente a la Comunidad, Estados
Miembros, los Órganos, Organismos e Instituciones de la Comunidad, así como de los medios
de comunicación social, organismos internacionales y Estados o Comunidades de Estados ex-
trarregionales, para lo cual están provistos de las suficientes garantías de independencia e ina-
movilidad por un término que les asegure tranquilidad en el desempeño de su cargo 18.
A este respecto son muy ilustradores los siguientes párrafos de la Exposición de Motivos
del “Convenio de Estatuto de la Corte Centroamericana de Justicia”:
“Se estima que para que la paz del Istmo sea duradera y permanente es necesaria la exi-
stencia de un control jurisdiccional que impida que los Estados puedan arrogarse derechos
que no tienen, o convertirse en poderes arbitrarios nugatorios de toda justicia ... Las faculta-
des que se le atribuyan con carácter excluyente, son jurisdiccionales. Se crea así un Órgano
Supranacional que permitirá resolver los problemas propios del “Sistema de la Integración
Centroamericana” 19 en forma pacífica y civilizada ... La soberanía estatal, queda limitada
por el sometimiento a la jurisdicción de la Corte, lo que implica que los Estados acaten sus
decisiones ... La independencia y autonomía de la Corte, nace de la delegación de poderes

13
Artículos 12 y 35 del Protocolo de Tegucigalpa a la Carta de la Organización de Estados Centroamerica-
nos, y 3 del Convenio de Estatuto de la Corte Centroamericana.
14
Es decir que determina su competencia en cada caso concreto, interpretando los tratados o convenios per-
tinentes al asunto.
15
Artículos 30 del Convenio de Estatuto de la Corte Centroamericana de Justicia y 4 de la Ordenanza de
Procedimientos de la Corte Centroamericana de Justicia.
16
Es de tener en cuenta que los Magistrados en su actuación jurisdiccional no tienen en consideración niel
origen de sus nombramientos ni sus respectivas nacionalidades.
17
Resuelven los asuntos que conocen con imparcialidad, basándose en hechos en consonancia con el dere-
cho, sin influencias de nadie, sin presiones, sin intromisiones de ningún sector ni por ningún motivo.
18
Artículos 6, 10, 12, 13, 14 y 15 del Convenio de Estatuto de la Corte Centroamericana de Justicia.
19
Como controversias entre sus Estados Miembros; entre los Poderes internos de sus Estados Miembros;
entre particulares y algunos de los Poderes internos de sus Miembros; entre un particular y algún órgano u orga-
nismo del sistema; entre sus organismos o entre un órgano y algún organismo del mismo.

El Tribunal de la Comunidad Centroamericana 73


que hacen los propios Estados 20;y, en ejercicio de sus funciones jurisdiccionales revisa y
controla,mediante procedimiento judicial, los actos que ejecuten los Estados Miembros y los
Órganos del Sistema de la Integración Centroamericana, que afectan los Convenios y Trata-
dos Vigentes entre ellos ...Desde luego también tienen acceso a esta jurisdicción, las perso-
nas naturales 21 o jurídicas afectadas en sus derechos, por actos de algunos de los Estados o
de los Órganos del Sistema de la Integración Centroamericana”.
Con base en los criterios o funciones de justiciabilidad y que caracterizan a los Tribunales
Constitucionales, la Corte Centroamericana de Justicia, desde el inicio de sus funciones y
dentro del límite de sus competencias, ha actuado como Tribunal Constitucional, al determi-
nar la jerarquía que corresponde al Protocolo de Tegucigalpa, con respecto al conjunto de Tra-
tados, Convenios, Protocolos, Acuerdos y otros actos vinculatorios, anteriores y posteriores a
la entrada en vigencia del referido Protocolo y a la relación normativa de los instrumentos
complementarios o actos derivados, con respecto al mismo.
Lo mismo puede afirmarse, con relación a la consulta con carácter ilustrativo que a solici-
tud de la Honorable Corte Suprema de Justicia de Honduras, cuando resolvió sobre cuál es el
instrumento jurídico aplicable para establecer causas de incapacidad o incompatibilidad de los
diputados al Parlamento Centroamericano.
En igual forma pueden señalarse los casos n. 5-1-8-95 y n. 1-4-2-96 relativos a determinar
la validez y forma de la publicidad de los actos normativos del Sistema de la Integración Cen-
troamericana (SICA) y sobre a quién, de conformidad con el Tratado Constitutivo del Parla-
mento Centroamericano y Otras Instancias Políticas y su Reglamento, como Ex presidentes o
Ex vicepresidentes de los Estados Miembros, debían ocupar el cargo de Diputados al Parla-
mento Centroamericano.
Finalmente, refiero los casos n. 2-1-7-96, 4-1-12-96 y n. 5-29-11-99, en los que respecti-
vamente se conoció sobre el Anteproyecto de Reglamento Centroamericano para Resolver
Controversias Intrarregionales; a solicitud del Parlamento Centroamericano, sobre la compe-
tencia de la Corte de Constitucionalidad de la República de Guatemala en torno al artículo 27
del Tratado Constitutivo del Parlamento Centroamericano y Otras Instancias Políticas; y, so-
bre el contencioso entre los Estados de Nicaragua y Honduras por violación a la normativa y a
los principios comunitarios centroamericanos.
En todos estos casos y otros, la Corte Centroamericana de Justicia, ejerciendo una real juri-
sdicción constitucional, ha delimitado y defendido las competencias de los Estados Miembros y
de la Comunidad Centroamericana, y la de los Órganos de ésta última, preservando así el equi-
librio de poder necesario para la normal convivencia en la Comunidad Centroamericana.
También ha desarrollado una función de complemento del ordenamiento comunitario, a
través de la doble función de enunciar los principios que se encuentran dentro del ordena-
miento jurídico comunitario, llenando también las lagunas que inadvertidamente fueron de-
jadas en el ordenamiento antes referido.
En síntesis, en la Corte Centroamericana de Justicia se han cumplido a cabalidad los supues-
tos que se estiman son propios de un Tribunal Constitucional y que en la Unión Europea des-
empeña el Tribunal de Justicia de la Unión Europea, por lo que puede considerarse a la primera
como el legítimo Tribunal Constitucional de la Comunidad Centroamericana.

20
Los Estados Miembros comprendieron que si no era “sacrificada” parcialmente, en aras del bien común,
el concepto clásico de soberanía personalista, estática y recelosa del poder estatal, no se llegaría a integrar la re-
gión en una Centroamérica unidad.
21
La “Corte de Cartago” hizo que Centroamérica se distinguiera por integrar el primer tribunal internacio-
nal permanente y obligatorio del mundo, en donde los particulares fueron considerados, por primera vez como
sujetos activos procesales frente a los Estados.

JORGE ANTONIO GIAMMATTEI AVILÉS 74


4. Su competencia

A lo expresado en el acápite anterior referido a la competencia de la Corte, debemos


agregar que el artículo 24 establece que las consultas evacuadas por la Corte, con arreglo al
Estatuto, Ordenanzas y Reglamentos, relativos al Sistema de la Integración Centroamericana,
serán obligatorios para los Estados que la integran.
En cambio, en el artículo 25 del mismo, expresamente se excluye de la competencia de la
Corte, la materia de derechos humanos, la cual corresponde exclusivamente a la Corte Intera-
mericana de Derechos Humanos 22.
Hay, por otra parte, algunas disposiciones que requieren especial comentario, ya que este
sistema judicial se encuentra institucionalizado tanto por el Protocolo de Tegucigalpa como
por el Convenio de Estatuto de la Corte. Así, según el artículo 10 del Estatuto, la Corte se
constituye en un ámbito directamente independiente de la política de los partidos políticos, ya
que los Magistrados son electos por las Cortes Supremas de Justicia y no por los Poderes Le-
gislativos o Ejecutivos. El artículo 35 del Protocolo de Tegucigalpa, en su párrafo final expre-
sa que toda controversia sobre la aplicación o interpretación del mismo y demás instrumentos
derivados deberán someterse a la Corte Centroamericana de Justicia. El artículo 1, párrafo 2
del Estatuto, establece que, La Corte es el Órgano Judicial principal y permanente del Sistema
de la Integración Centroamericana, cuya jurisdicción y competencia regionales son de ca-
rácter obligatorio para los Estados contratantes ya que los Estados Centroamericanos decidie-
ron su competencia como una “competencia de atribución” con exclusión de cualquier otro
Tribunal 23. El artículo 3 del Estatuto dice que la Corte tendrá competencia y jurisdicción pro-
pias con potestad para juzgar a petición de parte y resolver con autoridad de cosa juzgada, y
su doctrina tendrá efectos vinculantes para todos los Estados, Órganos y Organizaciones que
formen parte o participen en el Sistema de la Integración Centroamericana y también para los
sujetos de derecho privado.
Este último artículo se complementa con el artículo 39 del mismo Estatuto, adquiriendo
mayor fortaleza al disponer que las resoluciones interlocutorias, laudos y sentencias definiti-
vas que dicte la Corte, no admitirán recurso alguno, son vinculantes para los Estados o para
los Órganos y Organismos del Sistema de la Integración Centroamericana y para las personas

22
Según doctrina de la Corte Centroamericana de Justicia en resolución del 24 de octubre del 2000 en el ca-
so de José Viguer Rodrigo, estó debe entenderse cuando la violación a los Derechos Fundamentales sea por parte
de algún Estado Miembro, sujetos a la competencia de la Corte Interamericana de Derechos Humanos, mas no
así cuando la violación proceda de Órganos, Organismos o Instituciones del Sistema de la Integración Centroa-
mericana SICA, porque éstos no están sometidos a la competencia de la Corte Interamericana de Derechos Hu-
manos. En este último caso sí podría ser del conocimiento de la Corte Centroamericana de Justicia de acuerdo a
los objetivos, propósitos y principios (artículo 3 letra a): “El Sistema de la Integración Centroamericana tiene
por objetivo fundamental la realización de la integración de Centroamérica, para constituirla como Región de
Paz, Libertad, Democracia y Desarrollo. En ese sentido, se reafirman los siguientes propósitos: – a) Consolidar
la democracia y fortalecer sus Instituciones sobre la base de la existencia de Gobiernos electos por sufragio
universal, libre y secreto, y del irrestricto respeto a los Derechos Humanos”; 4 letra a): Artículo 4. “Para la rea-
lización de los propósitos citados, el Sistema de la Integración Centroamericana y sus Miembros procederán de
acuerdo a los principios fundamentales siguientes: a) La tutela, respeto y promoción de los Derechos Humanos
constituyen la base fundamental del Sistema de la Integración Centroamericana”; 9: “Los Órganos e Institucio-
nes del Sistema de la Integración Centroamericana, deberán guiarse por los propósitos y principios de este Pro-
tocolo e inspirarse en ellos tanto en sus decisiones, estudios y análisis como en la preparación de todas sus reu-
niones”; y 10: “Los Órganos e Instituciones del Sistema de la Integración Centroamericana deberán contribuir
a la efectiva observancia y ejecución de los propósitos y principios de este Protocolo. Esta obligación es impe-
rativa y primaria en sus ordenamientos complementarios o derivados, en los cuales deberán garantizar siempre
la publicidad de sus resoluciones y el procedimiento abierto al acceso de las personas según la naturaleza de
cada Órgano o Institución y de los asuntos a tratar” (tomado del Protocolo de Tegucigalpa, en el que se funda-
menta el proceso de integración de Centroamérica).
23
Exposición de Motivos del Convenio de Estatuto, Segundo Acápite, párrafo tercero.

El Tribunal de la Comunidad Centroamericana 75


naturales o jurídicas y se ejecutarán como si se tratara de cumplir una resolución laudo o sen-
tencia de un tribunal nacional del respectivo Estado, para lo cual bastará una certificación ex-
tendida por el Secretario General de la Corte. En caso de incumplimiento de los fallos y reso-
luciones por parte de un Estado, la Corte lo hará saber a los otros Estados para que, utilizando
los medios pertinentes, aseguren su ejecución.
Esta norma funda así un sistema armónico de estrecha colaboración y funcionamiento en-
tre los Tribunales de Justicia de los Estados Miembros y la propia Corte Centroamericana de
Justicia. Debe enfatizarse, además, que los Tribunales de Justicia, de los Estados Miembros,
son los “tribunales naturales” de la normativa comunitaria, en cuanto serán los primeros que
conozcan de los diferendos suscitados por la aplicación e interpretación de la normativa co-
munitaria. Debiendo, para preservar una interpretación uniforme de la misma, realizar la con-
sulta prejudicial a que se refiere el artículo 22 literal k de su Convenio de Estatuto.
El artículo 33 elimina todo procedimiento de homologación o de exequátur, de modo tal
que las sentencias, resoluciones o cualquier otro mandato proveniente de la Corte, deberá ser
considerado como si se dictara en el propio territorio en donde deben ejecutarse.
Por otra parte, si la Corte dicta sentencia en apelación, la Institución, el Organismo o el
Órgano de la integración que la haya pronunciado en primera instancia ejecutarán la pronun-
ciada por la Corte. Las normas y los presupuestos en que deben descansar los procesos lo de-
termina el artículo 5 del Estatuto, al afirmar, que los procedimientos previstos en el mismo y
los que establezcan los Reglamentos y Ordenanzas, tendrán por finalidad la salvaguarda de
los propósitos y principios del Sistema de la Integración Centroamericana, la objetividad de
los derechos, la igualdad de las partes y la garantía del debido proceso.
De igual forma, los Órganos, Organismos e Instituciones del Sistema de la Integración
Centroamericana SICA deberán guiarse por los Propósitos y Principios consagrados en el Pro-
tocolo de Tegucigalpa, e inspirarse en ellos en sus reuniones, estudios, análisis y decisiones 24.
Finalmente, el artículo 35 del Estatuto le confiere plena libertad a la Corte para apreciar
en su conjunto las pruebas de los casos que se le sometan, razonando en su fallo los criterios
de valoración que hubiere aplicado, así podrá, en sus actuaciones y resoluciones hacer uso de
cualesquiera de los métodos de investigación, interpretación y aplicación del derecho para
evitar caer en el sistema tradicional silogístico de las sentencias.

5. Conclusiones

Puede afirmarse que la vigencia de la Corte Centroamericana de Justicia revistió y reviste


excepcional importancia tanto por razón del momento político que caracteriza a Centroaméri-
ca, como por su labor de facilitador y catalizador de su integración, ya que la existencia de un
órgano jurisdiccional que sea controlador de la legalidad y así proveedor de la seguridad ju-
rídica impedirá a los Estados arrogarse derechos que no les corresponden o que estos puedan
convertirse en poderes arbitrarios nugatorios de toda justicia; permitiendo en esta forma que
el Istmo sea una región de paz, libertad, democracia y desarrollo, que son los objetivos de su
integración, señalados en el Protocolo de Tegucigalpa; y que, además, hacen que desde su ini-
cio se establezcan las bases del Estado de Derecho para toda Centroamérica, al ejercer la so-
beranía estatal en forma conjunta en ese campo y someterse, en esa forma, a la jurisdicción de
la Corte, lo que implica que los Estados acaten sus decisiones.
La independencia y autonomía de la Corte, nace tanto del ejercicio conjunto de su sobera-
nía que hacen los propios Estados en la forma señalada, como de la obligación que asumen de

24
Artículo 9, Protocolo de Tegucigalpa.

JORGE ANTONIO GIAMMATTEI AVILÉS 76


establecer una partida específica dentro de su Presupuesto Nacional respectivo, destinada al
sostenimiento de ella, así como de entregarla en forma completa dentro de los tres meses ante-
riores al inicio del año calendario presupuestado.
Al igual que el Protocolo de Tegucigalpa, el Estatuto de la Corte no admite reservas ni
prevé denuncias por los Estados Miembro, con lo que se ha querido evitar, vistas las expe-
riencias históricas, que se desnaturalice o distorsione su función de Órgano Judicial principal
y permanente de Centroamérica.
Es de tener presente que el nacimiento de la Corte se encuentra en un tratado
internacional, y que además se le ha dotado de una estructura sólida y funcional, con su propia
personalidad jurídica, con total autonomía en sus actuaciones, con la facultad de darse su
propia normativa y presupuesto, que tiene su finalidad propia, que se origina cuando los
Estados Miembros decidieron o expresaron su voluntad de constituirla en el Protocolo de
Tegucigalpa, despojándose y atribuyendo parte de sus facultades soberanas, se deduce que es
también lo que la doctrina denomina “ente supranacional”.
La Comunidad Centroamericana cuya existencia se reconoce en el artículo 1 del Protoco-
lo de Tegucigalpa, se encuentra garantizada en el respeto al derecho de su normativa comuni-
taria con la Corte Centroamericana de Justicia, ya que en los 8 años y medio de funciona-
miento conoció de 61 casos, lo que le permite destacarse como uno de los Tribunales de
mayor actividad en comparación con otros de similar naturaleza 25.
Ya para concluir deseamos referirnos al examen de lo que establece el artículo 6 del Con-
venio de Estatuto de La Corte, el cual en su texto reza: “La Corte representa la conciencia
nacional de Centroamérica y se considera, además, depositaria y custodia delos valores que
constituyen la nacionalidad centroamericana. En tal virtud, los Magistrados que la integran
no podrán considerarse inhibidos del ejercicio de sus funciones por el interés que puedan te-
ner, en algún caso o cuestión, los Estados de donde proceda su nombramiento” 26.
Esta disposición, que contiene uno de los más valiosos legados de la Corte de Cartago, ha
sido interpretada de diversas maneras a través de los años 27. Nosotros no hemos sido
invencibles a tal deseo y hoy, ante los nuevos giros que el fenómeno globalizador está
imprimiendo a la humanidad, interpretamos tan inestimable precepto de la siguiente manera,
como si la misma Conciencia de Centroamericanos llamara al oído: “Así como una noble
conciencia de sí mismo, y una consecuente e inflexible seriedad para consigo mismo, es la
actitud interior necesaria cuando se quiere servir a los demás, así Centroamérica debe
convencerse de que ceder en beneficio de todos, y cuando tal cesión es verdadera, el
progreso y el bienestar están asegurados”. “Sólo los Pueblos unidos son fuertes. Sólo los
Pueblos fuertes hacen Pueblos grandes. Solamente cuando los Pueblos y los Estados deciden
renunciar parcialmente a sus soberanías y unirlas en aras del bien común y a favor de la
Comunidad que constituyen, y cuando dicha renuncia es voluntaria como la operada, el ejer-
cicio conjunto del poder es lícito y beneficia a todos. Cuando todos renunciamos a algo y lo
unimos a algo nuevo, nadie se disminuye, todo redunda en ventajas, aunque al principio nos
parezca difícil”. “Yo, Conciencia, prescribo poner todas nuestras energías al servicio de los
demás y obrar reflexivamente para no dañar al Hermano. Sólo donde exista ésta delicada
consideración podrán brindarse incondicionalmente y sin vacilación unos a otros, cumpliendo
así el precepto divino de ver en nuestros hermanos al Dios Creador de todas las naciones”.

25
El total de casos al mes de mayo del 2003 son 61: 41 contenciosos y 20 consultas. Dentro de las consultas
algunas han incluido hasta 14 puntos a evacuar.
26
V. J.A. Giammattei Avilés, Conciencia Centroamericana, Managua, Editorial Somarriba, 1996, y
Conciencia Centroamericana II, Managua, Talleres Gráficos de Universidad Centroamericana, 2000.
27
M. Castro Ramírez, Cinco años en la Corte Centroamericana de Justicia, San José, Costa Rica, Imprenta
Lehman, 1918.

El Tribunal de la Comunidad Centroamericana 77


Si como centroamericanos no estamos dispuestos a ceder facultades de nuestra discutida
soberanía nacional, estamos condenados a naufragar en las aguas turbulentas de la globali-
zación.
En estos días en donde el capital financiero se ha vuelto más efervescente y sube como
espuma que se derrama causando corrosión, hay que ser firmes y no permitir que los intereses
del dios mercado (neoliberalismo y globalización), socaven lentamente, como lo ha venido
haciendo, nuestro proceso de integración, que tanto nos ha costado, para verlo derrumbarse
una vez más. Estamos ante inauditas condiciones temporales, ante nuevas leyes no propuestas
sino impuestas por el dios mercado (neoliberalismo y globalización), que marcan el cambio
de la estabilidad al desequilibrio, de la tranquilidad a la zozobra, de la paz al dolor. Sabemos
que solos no es posible obrar en contra de semejantes condiciones. La alternativa es una e in-
discutible: integrarnos.
La Conciencia de Centroamérica nos previene: desintegrarse es perecer. Como tal, la Cor-
te Centroamericana de Justicia, en cumplimiento de sus atribuciones y competencias contri-
buye a lograr el objetivo fundamental de integrar a Centroamérica como unidad de destino,
mediante la “anfictionía”, esto es garantizando el respeto al derecho entre pueblos vecinos so-
bre la base de una participación común del mismo destino, valores y expectativas.
Mientras más vasta sea la base sobre la que se apoye el Sistema de la Integración Cen-
troamericana con sus subsistemas económico, político, social, cultural y ambiental, tanto me-
nos quedará expuesto a los embates de la mundialización y podrá concretar su ideal de una
Centroamérica Comunitaria regida por las normas del Estado de Derecho Social y Constitu-
cional, por una plena economía social de mercado y en donde además imperen la solidaridad
y el espíritu de cohesión social, subsidiariedad y una cultura cristiano-humanística que permi-
tan la mejor de las convivencias, de todos sus habitantes en plena paz, libertad, democracia y
desarrollo, y, ser así considerados como hijos de un mismo Padre.

JORGE ANTONIO GIAMMATTEI AVILÉS 78


MARÍA VERÓNICA LUETTO *

El Mercosur: debilidad institucional y


déficit democrático.
El caso de las papeleras

SUMARIO: 1. El caso. – 2. Procesos de integración y relaciones interordinamentales tridimensionales. – 3.


La debilidad del proceso de integración y la crisis jurídica en el caso de las papeleras. – 4. Alternati-
vas. – 5. Concluciones.

1. El caso

En octubre de dos mil tres Uruguay autoriza a la Empresa Nacional de Celulosas de


España (ENCE) la construcción de una planta celulosa en la ciudad de Fray Bentos, que se
encuentra sobre el margen izquierdo del río Uruguay. En 1975 Argentina y Uruguay acorda-
ron las pautas para el “óptimo y racional aprovechamiento del Río Uruguay” 1, que constituye
el límite entre ambos países.
El Estatuto del Río Uruguay fija en su art. 7 que “La parte que proyecte la construcción
de nuevos canales, la modificación o alteración significativa de los ya existentes o la reali-
zación de cualesquiera otras obras de entidad suficiente para afectar la navegación, el régi-
men del río o la calidad de sus aguas, deberá comunicarlo a la Comisión” 2. Dado que Uru-
guay no cumplió con el proceso de información a la CARU, Argentina solicita una reunión
extraordinaria que se lleva a cabo finalmente el día veintisiete de octubre de dos mil tres sin
que diera resultados positivos. Esta situación se ve agravada por la circunstancia de que el ca-
torce de febrero de dos mil cuatro Uruguay autoriza otra planta celulosa en el mismo lugar,
planta perteneciente a la empresa Botnia (hoy UPM).
Es importante remarcar, que este actuar unilateral, implicaba no sólo el cuestiona-
miento del cumplimiento de cuestiones procedimentales del Estatuto del Río Uruguay, si-
no también de cuestiones de fondo fundamentales como es el cuidado y protección del
medio ambiente.
El agravamiento del conflicto bilateral llevó a las partes a formar un Grupo Técnico Bila-


He contado con la colaboración y aportes de Josefina Ferreyra, estudiante de derecho de la Universi-
dad Nacional de Córdoba, ayudante alumno del Profesor Pablo Riberi en la cátedra A de Derecho Constitu-
cional en la Facultad de Derecho y Ciencias Sociales de la Universidad Nacional de Córdoba (Argentina).
1
Artículo 1º Estatuto del Río Uruguay: “Las partes acuerdan el presente estatuto, en cumplimiento de lo
dispuesto en el art. 7º del Tratado de Límites en el Río Uruguay de 7 de abril de 1961, con el fin de establecer
los mecanismos comunes necesarios para el óptimo y racional aprovechamiento del Río Uruguay, y en estricta
observancia de los derechos y obligaciones emergentes de los tratados y demás compromisos internacionales
vigentes para cualquiera de las partes”.
2
Por comisión se entiende la Comisión Administradora del Río Uruguay (CARU) según lo prescripto por el
art. 2 inc. e del Estatuto del Río Uruguay. Esta comisión es creada por el Estatuto y su naturaleza jurídica y com-
petencias están determinadas en los arts. 49 a 57 del mencionado marco legal.

El Mercosur: debilidad institucional y déficit democrático 79


teral de Alto Nivel 3, que tenía como misión llevar a cabo negociaciones para la resolución di-
plomática del conflicto. Las acciones del Grupo Técnico resultaron infructuosas razón por la
cual se solicitó al Rey de España que actuara como facilitador en el conflicto, siendo designa-
do el embajador español ante Naciones Unidas en dicha labor. Esta vía también resultó infruc-
tuosa.
Al mismo tiempo, vecinos de la ciudad argentina de Gualeguaychú como medio de protesta
y de manifestación de su oposición a la instalación de las pasteras, que entendían afectaban su
derecho a un medio ambiente sano, cortaron los puentes internacionales Gral. San Martín y
Gral. Artigas, que unen Argentina y Uruguay. La protesta llevó a Uruguay a demandar en
abril de dos mil seis a Argentina a través del sistema de resolución de controversias del Mer-
cosur, solicitando entonces la conformación de un tribunal arbitral ad hoc.
Por su parte, Argentina el cuatro de mayo de dos mil seis demanda a Uruguay ante la Cor-
te Internacional de Justicia (CIJ). Asimismo, “desde Argentina se presentaron denuncias ante
la Corte Interamericana de Derechos Humanos para frenar por vía judicial el emprendimien-
to” 4. La organización no gubernamental CEDHA (Centro de Derechos Humanos y Ambien-
te), en nombre del gobernador y vicegobernador de la provincia de Entre Ríos, en su calidad
de afectados, presenta una demanda contra Uruguay ante la Comisión en septiembre de dos
mil cinco, pidiendo que “la Comisión declare que el Estado uruguayo violó la Legalidad Su-
pranacional Americana al autorizar y aprobar dos emprendimientos industriales en razón de
sus altos componentes contaminantes, de las evidentes carencias de control ambiental y del
probado riesgo de vida para alrededor de 300 mil personas que habitan en la ribera argenti-
no-uruguaya” 5.
Por otra parte, dada la magnitud del conflicto la empresa ENCE decidió trasladarse a
Conchillas 6; en cambio la empresa Botnia decidió continuar con la construcción de la planta,
la que finalmente comenzó a funcionar el ocho de noviembre de dos mil siete, estando por en-
tonces, pendiente de resolución la causa ante la CIJ.
En el ámbito interno, en Argentina se hicieron tres demandas 7 diferentes que llegaron an-
te la CSJN, la cual desestimó las tres causas por cuestiones formales, no resolviendo en
ningún caso el fondo de la cuestión.

3
Este grupo estaba conformado por expertos medioambientales y representantes diplomáticos de Argentina
y Uruguay.
4
Nuevo Digital, Capital español: el conflicto Uruguay-Argentina por la instalación de las papeleras pone
en jaque el sueño de un bloque izquierdista latinoamericano (18 enero 2006) en http://www.nuevo
digital.com/2006/01/18/conflicto-uruguay-argentina-por-instalac, acceso 10 de diciembre 2012.
5
Infobae, La Argentina tiene listo el texto contra las papeleras (10 mayo 2005) en http://www.info
bae.com/notas/nota.php?Idx=209573&idxSeccion=0, acceso 10 de diciembre 2012.
6
ENCE vende finalmente su proyecto en el año dos mil nueve.
7
Las demandas que se presentaron son: a) “Basigaluz Sáez, Laura Ema c/ Provincia de Entre Ríos s/ acción
de amparo” del 09/04/2008 (la actora incoa una acción de amparo por violación al derecho de libre circulación.
La CSJN rechaza in límine la presentación por su generalización e imprecisión), b)”Iannuzzi, Mario c/ Provincia
de Entre Ríos y otro (Estado Nacional) s/ medida cautelar autónoma” del 21/10/2008 (se solicitaba que la presi-
dente y el gobernador de Entre Ríos dispusieran el desbloqueo de la ruta 136 y el libre tránsito del puente inter-
nacional Gral. San Martín. La CSJN decidió desestimar in límine la petición por no existir causa, ya que al tra-
tarse de una medida autosatisfactiva, no existía controversia, es decir, derecho debatido entre partes adversas); y
c) “Busti, Jorge Pedro y otros s/ denuncia art. 55 ley 24051, en grado de tentativa”, del 21/02/2006 (la denuncia
es presentada el día 19/01/2005 ante el Juzgado Federal de Concepción de Uruguay, donde el juez declina su
competencia a favor de la originaria de la CSJN, ya que una provincia era parte y porque podía llegar a haber
afectación de las relaciones con potencias extranjeras. La CSJN indica la devolución de la causa al Juzgado Fe-
deral, y nuevamente evita la resolución sobre el fondo de la cuestión).

MARÍA VERÓNICA LUETTO 80


2. Procesos de integración y relaciones interordinamentales tridimensionales

Michele Carducci plantea que en los procesos de integración supranacionales existen re-
laciones interordinamentales tridimensionales, que en el caso de América Latina pueden iden-
tificarse de la siguiente manera:
1. La dimensión de la integración, por ejemplo, Mercosur, Sistema de Integración Cen-
troamericano (SICA) y Comunidad Andina;
2. La dimensión de la internacionalización de los derechos humanos o sistema de DDHH
(caso de la Corte Interamericana de DDHH);
3. Los derechos fundamentales reconocidos por cada constitución nacional 8.
El mismo autor explica que “la integración latinoamericana es formalmente y estructu-
ralmente diversa de la de Europa y que esa diversidad produce una dinámica interordina-
mental inexistente en Europa” 9, y esto es evidente en el caso de las papeleras ya que se puede
observar una mayor complejidad que desembocaría en cuatro dimensiones a saber:
– dimensión de la integración: demanda de Uruguay contra Argentina en el sistema de so-
lución de controversias del MERCOSUR;
– sistema de DDHH-Corte Interamericana: denuncia Argentina ante la Comisión Intera-
mericana de Derechos Humanos;
– dimensión de los derechos fundamentales reconocidos por cada constitución nacional:
la CSJN rechazó entender en la cuestión dando fundamentos formales, en los tres casos que
llegaron a esta instancia;
– y la cuarta dimensión que se observa en el caso es la de la Corte Internacional de Justicia: a
la que recurrió Argentina en virtud de lo estatuido por el art. 60 del Estatuto del Río Uruguay 10.

3. La debilidad del proceso de integración y la crisis jurídica en el caso de las


papeleras

El caso en análisis evidencia ante todo la debilidad de la integración del Mercosur y


además una crisis jurídica 11 de envergadura, ya que existen relaciones inteordinamentales te-
tradimensionales, que implican la existencia de diversidad de normas tanto internacionales
como de derecho interno que entran en conflicto, y diferentes derechos y obligaciones tanto
de los Estados como de sus ciudadanos 12 que se presentan como irreconciliables.

8
Michele Carducci, Procesos de integración supranacionales y relaciones interordinamentales tridimen-
sionales en Europa y Latinoamérica (Curso Intensivo Interuniversitario Argentino-Italiano, Córdoba, UCC, oc-
tubre de 2012).
9
Michele Carducci, Il diritto comparato delle integrazioni regionali nel contesto euroamericano, en Anais
de la V Jornada de la Asociación de Derecho Público del Mercosur, Belo Horizonte, 2012.
10
Veáse: Zlata Drnas de Clément, La crisis jurídica generada por las pasteras uruguayas, en 3 Revista Le-
xis Nexis, 2007 en http://www.google.com.ar/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=2&sqi=2&ved=
0CDgQFjAB&url=http%3A%2F%2Fwww.acaderc.org.ar%2Fdoctrina%2Farticulos%2Fartcrisisjuridicaorgan
izadaporpasteras%2Fat_download%2Ffile&ei=DBvGUI7OIIbe8ATVs4HIDw&usg=AFQjCNHhm4TpERAVw
Ut8t-XRdHNr7uSnZg&sig2=epWRHqoHqOvhmCcB6rZzOw.
11
Zlata Drnas de Clément explica que “se ha producido una crisis jurídica ya que a pesar de que a la fecha
varios tribunales del ámbito nacional, regional e internacional han tenido oportunidad de pronunciarse, el con-
flicto no ha alcanzado a dibujar un perfil claro, menos aún, ha encontrado canalización hacia una solución de-
finitiva” (Zlata Drnas de Clément, La crisis jurídica generada por las pasteras uruguayas, cit.).
12
“Esos tribunales consideraron multiplicidad de cuestiones. Así, i.a. se ocuparon de contaminación, daños
transfronterizos, violación de tratados internacionales, violación de normas consuetudinarias y principios gene-

El Mercosur: debilidad institucional y déficit democrático 81


El primer análisis del caso pone de manifiesto la ausencia de una base de teoría jurídica
común en los cimientos del Mercosur a diferencia de lo que ocurre con la Unión Europea. Como
bien dice Carducci 13 los autores cuando hablan de un espacio iberoamericano, utilizan al elemen-
to cultural como el factor aglutinante, elemento constituido por la historia común de la indepen-
dencia, de la comunidad de lengua, la identidad común post colonial, pero no pueden asociar el
proceso con una teoría jurídica del Estado o una teoría jurídica específica de la integración.
América Latina suele utilizar el ideal tipo europeo desconociendo las diferencias trascen-
dentales que posee con ese modelo en sus procesos de integración, lo que conduce a la
búsqueda de soluciones en la integración regional ajenas a este contexto particular. Estas dife-
rencias, son fundamentales a la hora de analizar el caso de las papeleras y en especial, la debi-
lidad institucional del Mercosur.
Ante todo el proceso de integración del Mercosur se asienta en la negación del criterio de
subsidiariedad multinivel, es decir, en la negación de la sujeción del derecho internacional
tanto público como privado al derecho de la integración, razón por la cual, entran en conflicto
las normas jurídicas de la integración y del derecho internacional.
Otro dato fundamental, es el olvido por parte de los Estados partes de las asimetrías cons-
titucionales existentes entre ellos. Esta situación es fácilmente observable en el Mercosur en
relación con dos temáticas centrales: la jerarquía constitucional o legal de las normas de inte-
gración y la posibilidad de conformar o no organismos supranacionales. “Por una parte, Ar-
gentina 14 y Paraguay 15 reconocen expresamente la posibilidad de adherirse a organismos
dotados de supranacionalidad, mientras que, por otra, Brasil 16 y Uruguay 17 proponen una
actuación en materia de integración a nivel latinoamericano pero sin las precisiones de las
dos primeras en materia de entidades supraestatales” 18. Además Argentina y Paraguay con-
templan en “sus leyes fundamentales … la supremacía de los tratados sobre las leyes nacio-
nales” 19, algo tampoco previsto por las constituciones de Brasil y Uruguay.

rales del derecho, impedimento a la libre circulación, violación de derechos humanos, violación de derechos de
soberanía, etc.” (Zlata Drnas de Clément, La crisis jurídica generada por las pasteras uruguayas, cit.)
13
Michele Carducci, Il diritto comparato, cit.
14
Art. 75 inc. 24 de la Constitución de la República Argentina: “Corresponde al Congreso: 24. Aprobar
tratados de integración que deleguen competencias y jurisdicción a organizaciones supraestatales en condicio-
nes de reciprocidad e igualdad, y que respeten el orden democrático y los derechos humanos. Las normas dicta-
das en su consecuencia tienen jerarquía superior a las leyes …”.
15
Art. 145 de la Constitución de la República de Paraguay: “La República del Paraguay, en condiciones de
igualdad con otros Estados, admite un orden jurídico supranacional que garantice la vigencia de los derechos
humanos, de la paz, de la justicia, de la cooperación y del desarrollo, en lo político, económico, social y cultu-
ral. Dichas decisiones sólo podrán adoptarse por mayoría absoluta de cada Cámara del Congreso”.
16
Art. 4 Constitución de la República Federativa de Brasil: “A República Federativa do Brasil rege-se nas
suas relações internacionais pelos seguintes princípios: I– independência nacional; II– prevalencia dos direitos
humanos; III– autodeterminação dos povos; IV– não-intervenção; V– igualdade entre os Estados; V– defesa da
paz; VII– solução pacífica dos conflitos; VIII repúdio ao terrorismo e ao racismo; IX– cooperação entre os po-
vos para o progresso da humanidade; X– concessão de asilo político. Parágrafo único: A República Federativa
do Brasil buscará a integração econômica, política, social e cultural dos povos da América Latina, visando à
formação de uma comunidade latino-americana de nações”.
17
Art. 6 Constitución de la República Oriental del Uruguay: “En los tratados internacionales que celebre la
República propondrá la cláusula de que todas las diferencias que surjan entre las partes contratantes, serán de-
cididas por el arbitraje u otros medios pacíficos. La República procurará la integración social y económica de
los Estados Latinoamericanos, especialmente en lo que se refiere a la defensa común de sus productos y mate-
rias primas. Asimismo, propenderá a la efectiva complementación de sus servicios públicos”.
18
Antonio Martínez Puñal, Sistema institucional del Mercosur: de la intergubernamentalidad hacia la su-
pranacionalidad, Santiago de Compostela,Tórculo Ediciones, 2005.
19
Daniel Sabsay, Integración y supranacionalidad sin considerar los desarrollos europeos recientes, bases
constitucionales y límites. La experiencia del Mercosur, en Simposio Process of European and Global
Constiutionalization, Berlín, mayo de 1999.

MARÍA VERÓNICA LUETTO 82


También debe resaltarse la existencia de cláusulas en los tratados que conforman el proceso
de integración que deslegitiman el proceso. Es dable mencionar, en el caso del Mercosur el art. 1
del Protocolo de Olivos para la solución de controversias que permite someter los conflictos ante
la Organización Mundial del Comercio, que claramente es un órgano extraño al Mercosur 20.
Otra cuestión asimismo importante es el déficit democrático que pesa sobre el Mercosur
El problema del llamado “déficit democrático” es causado, según los especialistas, por la falta
de participación del poder legislativo en el proceso de toma de decisiones, esto es, la ausencia
de mecanismos propios de control y de creación de normas 21. El caso de las papeleras es un
claro ejemplo de este déficit., ya que esta problemática “ha estado ausente del debate parla-
mentario regional. La insistencia del gobierno argentino sobre la ‘bilateralidad’del conflicto
en contra de cualquier intento de ‘multilateralización’ quedó fielmente reflejada en la cons-
tante oposición de los diputados argentinos oficialistas a discutir la cuestión en el recinto
pese a constantes pedidos por parte de legisladores uruguayos, quienes consideran a los
cortes como una trasgresión al Tratado de Asunción” 22.
Finalmente cabe mencionar que el Mercosur, al igual que otros procesos de integración en
América Latina, carece de las técnicas de integración 23 y de la garantía de unión interna de la
Unión Europea.
La unión interna de la Unión Europea se asienta sobre la morfología su tratado de consti-
tución, el carácter vinculante y sancionatorio de la prejudicialidad 24, y la subsidiariedad mul-
tinivel. En confrontación con ello el Mercosur se cimienta sobre un marco jurídico no vincu-
lante, la inexistencia de un órgano que represente únicamente los intereses comunitarios y la
ausencia de la regla de la mayoría 25 para tomar decisiones, lo que indudablemente entorpece
su funcionamiento.
Estas diferencias fundamentales con la Unión Europea conducen a que la configuración
institucional del Mercosur sufra de una debilidad de origen que genera conflictos y crisis ju-
rídicas como el del caso en análisis.
En relación con la crisis jurídica que generó el caso de las papeleras y que puso en evi-
dencia la complejidad del proceso de integración, resulta necesario resaltar algunas cuestiones
que conducen a confirmar la debilidad institucional antes detallada.

20
Art. 1 Protocolo de Olivos: “Las controversias que surjan entre los Estados Partes sobre la interpretación,
aplicación o incumplimiento del Tratado de Asunción, del Protocolo de Ouro Preto, de los protocolos y acuerdos
celebrados en el marco del Tratado de Asunción, de las Decisiones del Consejo del Mercado Común, de las
Resoluciones del Grupo Mercado Común y de las Directivas de la Comisión de Comercio del Mercosur, serán
sometidas a los procedimientos establecidos en el presente Protocolo. 2. Las controversias comprendidas en el ámbito
de aplicación del presente Protocolo que puedan también ser sometidas al sistema de solución de controversias de la
Organización Mundial del Comercio o de otros esquemas preferenciales de comercio de que sean parte
individualmente los Estados Partes del Mercosur, podrán someterse a uno u otro foro a elección de la parte
demandante. Sin perjuicio de ello, las partes en la controversia podrán, de común acuerdo, convenir el foro …”.
21
Mariana Vázquez, Sobre la dimensión parlamentaria de los procesos de integración regional. El Mercosur y
la Unión Europea en perspectiva comparada a la luz de los desafíos del Área de Libre Comercio de las Améri-
cas, en Revista de Ciencia Política, 5/6, 2002, 147.
22
María Victoria Álvarez, El Parlamento del Mercosur: ¿hacia un proceso de integración más democráti-
co?’, Temas y debates, 2008, 49.
23
Se pueden mencionar tres técnicas de integración: reducción (reduce las diferencias en el nivel normativo,
y elimina las antinomias reales), neutralización (implica la neutralización del derecho local, de manera que por
ejemplo si existe un problema de libre circulación como el del caso en análisis, el país que debe decidir aplica la
ley del país de origen por equivalencia) y coordinación (se refiere a la coordinación de funciones entre los
Estados y la Unión Europea, que se lleva a cabo a través de agencias administrativas que reemplazan al Estado)
[Michele Carducci, Procesos de integración supranacionales y relaciones interordinamentales tridimensionales
en Europa y Latinoamérica, cit.].
24
Es dable recordar que las opiniones consultivas que puede emitir el Tribunal Permanente de Revisión del
Mercosur no tienen carácter vinculante ni obligatorio.
25
En el Mercosur las decisiones se toman por consenso y con la presencia de todos los Estados partes.

El Mercosur: debilidad institucional y déficit democrático 83


Ante todo, debe indicarse que el conflicto “se configura como político y jurídico, centra-
do en la disputa entre gobiernos en relación a: por un lado, cómo se interpreta jurídicamente
el Estatuto del Río Uruguay; y por el otro, si es o no ilegal la protesta mediante cortes de ru-
ta por parte de ciertos sectores de la población” 26.
El foco del problema fue puesto por las partes en diversas temáticas: a. problema ambien-
tal; b. problema económico: relacionado con la libre circulación de bienes, personas y servi-
cios; c. problema de derechos fundamentales tales como libertad de expresión y reunión, de-
recho a la vida. Esta situación revela el déficit democrático, ya que puede observarse un deba-
te político donde se enfrentan instituciones políticas formales con la opinión pública, o mejor
dicho con los ciudadanos, que reclaman un accountability social y una participación activa
inexistente en el ámbito del Mercosur. Y también pone de manifiesto la ausencia de voluntad
política de los Estados de encontrar una solución diplomática, ya que cada país decidió cen-
trarse en las obligaciones incumplidas por la otra parte 27, y omitir todo análisis de su propio
accionar.
Dado que cada parte enfocó el conflicto en diversas temáticas y recurrió a diversas vías,
cada instancia (Tribunal Arbtiral Ad Hoc del Mercosur y CIJ, especialmente) hizo hincapié en
temáticas y cuerpos normativos diferentes, lo cual demuestra la fragmentación que la ausencia
de las técnicas de integración y de las garantías de unión interna generan en los procesos de
integración regional.
Las resoluciones de los tribunales intervinientes hacen responsable de manera distinta a
los Estados involucrados, dependiendo siempre de la normativa aplicable y de la manera en
que las partes trabaron la litis en cada instancia.
Así el Tribunal Ad Hoc del Mercosur sostuvo que Argentina incumplió obligaciones
asumidas en el Tratado de Asunción y la CIJ entendió que Uruguay omitió el procedimiento
ante la CARU estatuido por el Estatuto del Río Uruguay.
Específicamente el Tribunal Ad Hoc el Mercosur sostuvo que 28: a) la libre circulación del
art. 1 del Tratado de Asunción constituye un objetivo esencial del acuerdo; b) el estado
argentino no debe responder por el hecho ajeno sino por la omisión de la “conducta
debida” 29, y se aclara que “la elección de la conducta debida no depende del propósito de la
parte (buena o mala fe) sino de la efectividad de las medidas adoptadas para obtener el
resultado exigido”; c) aceptar que el incumplimiento de la obligación internacional asumida

26
Jorgelina Sannazzaro, Controversia científico-públicos, El caso del conflicto por las papeleras entre Ar-
gentina y Uruguay y la participación ciudadana, en 17 Revista CTS, 2001, 6, 213.
27
Uruguay solicita al Tribunal Arbitral Ad Hoc del Mercosur que decida sobre la omisión del Estado Argenti-
no en adoptar medidas para prevenir y/o hacer cesar los impedimentos a la libre circulación derivados de los cortes,
en territorio argentino de vías de acceso a los puentes internacionales Gral. San Martín y Gral. Artigas, en violación
del Tratado de Asunción, del Protocolo de Montevideo sobre comercio de servicios, de normas de la Organización
Mundial del Comercio, de tratados internacionales sobre derechos humanos y normas del derecho interno argenti-
no. Por su parte, Argentina denuncia a Uruguay ante la CIJ por el incumplimiento de las siguientes obligaciones: a)
obligación de comunicar cualquier acción a realizarse sobre el río Uruguay (arts. 7 a 12 del Estatuto del Río Uru-
guay); y b) incumplimiento de los arts. 36 y 41 de preservación y cuidado del medio ambiente. Uruguay solicita al
Tribunal Arbitral Ad Hoc que decida sobre la omisión del Estado Argentino en adoptar medidas para prevenir y/o
hacer cesar los impedimentos a la libre circulación derivados de los cortes, en territorio argentino de vías de acceso
a los puentes internacionales Gral. San Martín y Gral. Artigas, en violación del Tratado de Asunción, del Protocolo
de Montevideo sobre comercio de servicios, de normas de la Organización Mundial del Comercio, de tratados
internacionales sobre derechos humanos y normas del derecho interno argentino (Tribunal Arbitral Ad Hoc del
Mercosur, 06/09/2006 República Oriental del Uruguay c/ República Argentina, en http://www.tprmercosur. org/es/
docum/laudos/Laudo_arb_omision_estado_arg.pdf, acceso 11 de diciembre 2012).
28
Tribunal Arbitral Ad Hoc del Mercosur, 06/09/2006, cit.
29
La debida diligencia en el derecho internacional es entendida como la obligación de los Estados de vigilar
y adoptar previsiones referidas a los bienes y personas bajo su jurisdicción con el propósito de asegurarse de que
en, condiciones normales, no causen un perjuicio a otros estados.

MARÍA VERÓNICA LUETTO 84


por el tratado de Asunción consistente en mantener la libre circulación, dependa de las
posibilidades del propio derecho interno, se contrapone con el principio de que los Estados no
pueden eludir sus compromisos internacionales invocando normas de su derecho interno que
surge del art. 27 de la Convención sobre el Derecho de los Tratados de Viena de 1969 y
derecho interno comprende leyes nacionales como normas constitucionales 30; d) Las normas
del Mercosur no obligan a una parte incumplidora a reparar el eventual daño causado por su
medida ilícita; e) La determinación de una conducta futura a la cual debería someterse uno de
los Estados implicaría que el Tribunal se arrogara facultades legiferantes y tropieza con
inconveniente que dicha obligación vincularía a una sola parte y no a los restantes miembros
del Mercosur y atentaría contra el principio de reciprocidad del Tratado de Asunción.
Y por su parte la CIJ estableció que Uruguay incumplió las obligaciones estatuidas por
los arts. 7 a 12 del Estatuto del Río Uruguay, pero no las que surgen de los arts. 36 a 41 de di-
cho cuerpo legal 31.
Otro dato fundamental en el análisis de la crisis jurídica generada por el caso de las pape-
leras, es la omisión por parte de Argentina de recurrir a las vías de resolución de conflictos del
Mercosur, dado que prefirió las vías de la Comisión Interamericana de Derechos Humanos y
de la CIJ, siendo ello posible por la no vigencia del principio de subsidiariedad multinivel.
Finalmente, cabe mencionar que el conflicto también se presentó ante la Corte Suprema
de Justicia de Argentina, donde particulares afectados por los cortes de los puentes interna-
cionales Gral. San Martín y Gral. Artigas decidieron reclamar por la vigencia de su derecho a
la libre circulación. El máximo tribunal decidió no inmiscuirse en el tema, dejando abierta la
puerta para reflexionar sobre el rol que deben cumplir los máximos tribunales de cada país en
los procesos de integración, dada su fuerte influencia en el proceso de implementación de
normas de la integración, y si los tribunales nacionales son capaces de proveer soluciones al-
ternativas a las propuestas por los mecanismos de solución de controversias de los procesos
de integración.

4. Alternativas

El caso de las papeleras alerta sobre los cimientos mismos del Mercosur, y permite anali-
zar dos interrogantes trascendentales:
¿La crisis jurídica que generó el caso de las papeleras tiene su solución en medios jurídi-
cos o en medios políticos?
¿Una corte del Mercosur podría haber evitado esta crisis jurídica?
Sin lugar a dudas, la ausencia de una base común en la integración unido a las marcadas
asimetrías constitucionales, las falencias del marco jurídico de la integración (evidenciado en
su carácter no vinculante, en la ausencia de reglas de la mayoría para la toma de decisiones,
etc.), la omisión del criterio de subsidiariedad, y el grave déficit democrático, ponen de mani-
fiesto que la solución de este caso se encuentra en los medios políticos o mejor dicho en la vo-
luntad política de los Estados partes, y en la democratización del proceso de integración, con
verdadera participación ciudadana y con un adecuado accountability social.

30
Al analizar el argumento que la política de tolerancia de los cortes de ruta del gobierno argentino está basada en
la existencia de derechos humanos –especialmente los de expresión y reunión, amparados por la Constitución Argenti-
na y diversos tratados internacionales– el Tribunal consideró que tales derechos “no son absolutos y que su ejercicio es
susceptible de limitaciones en cuanto afectare los derechos subjetivos de los demás, pues el mismo no puede exceder
el margen de lo razonable, destruyendo o alterando el derecho de otros integrantes de la sociedad”.
31
Corte Internacional de Justicia, 20/04/2010, Case Concerning Pulp Mills on the River Uruguay
(Argentina v. Uruguay), en www.icj-cij.org/docket/files/135/15877.pdf, acceso 11 de diciembre 2012

El Mercosur: debilidad institucional y déficit democrático 85


En palabras de Matínez Puñal 32 “está claramente comprendido que los marcos jurídicos
e institucionales no definirán ni el futuro ni las potencialidades de un proceso básicamente
político y con predominantes consecuencias económicas y comerciales”.
De todas maneras, debe entenderse que los marcos jurídicos e institucionales son la base
concreta para otorgarle estabilidad y seguridad jurídica al proceso de integración, pero pre-
viamente es necesaria “la reconstrucción de una matriz de intereses comunes que recupere la
confianza entre los socios y restablezca la percepción de ganancias mutuas” 33.
Ante todo es necesario superar la definida configuración intergubernamental del Merco-
sur, y la marcada preponderancia de los poderes ejecutivos sobre los poderes legislativos y
judiciales, que este proceso de integración hereda de la realidad de los estados partes que la
conforman.
Al igual que lo que sucede en los regímenes presidencialistas de la región, la “organi-
zación institucional del Mercosur, de carácter intergubernamental, ha concentrado toda la
capacidad de decisión en los representantes de los Poderes Ejecutivos ante los órganos del
Mercosur (Consejo del Mercado Común, Grupo Mercado Común, Comisión de Comercio),
de manera que no existe instancia donde otros actores político-institucionales puedan actuar
con capacidad de influencia. Esa concentración de facultades genera la noción de déficit
democrático en el funcionamiento del proceso de integración, considerando una acumulación
de capacidad decisional de tal entidad en manos de un poder del Estado, que lo que empieza
siendo una pretendida delegación o transferencia de atribuciones se convierte en una trans-
formación esencial, por inspirarse en principios distintos, del equilibrio que los sistemas
democráticos resguardan, ya sea por equilibrar en la co-decisión o controlar la legitimidad
en la actuación de quien posee la facultad de dictar las normas obligatorias para el conjunto
de los ciudadanos” 34.
A esta característica debe adicionarse que la “ausencia de instancias institucionales ante
las cuales se deba responder por los incumplimientos” 35 por los Estados partes de los com-
promisos asumidos en virtud del proceso de integración, conduce a que la actuación unilateral
de los Estados se torne una regla cuando debiera ser una excepción.
Esta vista institucional del Mercosur pone de relieve otra característica que lo diferencia
de la Unión Europea, la falta de confianza legítima, que implica que los diversos actores polí-
ticos, sociales y económicos pueden prever que la acción de los Estados responderá a los
compromisos asumidos en el proceso de integración. “El concepto de confianza legítima, en
el marco de la integración europea, se ha convertido en un principio de protección de los in-
tereses de particulares y estados signatarios, en virtud de que es el corolario del principio de
seguridad jurídica, que exige que las normas de derecho sean claras y precisas, y tiene por
finalidad garantizar la previsibilidad de las situaciones y de las relaciones jurídicas que en-
tran en el ámbito del derecho comunitario” 36.
El caso de las papeleras es un caso concreto que pone de manifiesto la ausencia de con-
fianza legítima en el marco del Mercosur, lo que indudablemente repercute en las posibilida-
des de democratización del proceso de integración, al alejar el interés del ciudadano, o mejor
dicho toda expectativa del mismo en el proceso de integración.

32
Antonio Martínez Puñal, Sistema institucional del Mercosur: de la intergubernamentalidad hacia la su-
pranacionalidad, cit.
33
Antonio Martínez Puñal, Sistema institucional del Mercosur: de la intergubernamentalidad hacia la su-
pranacionalidad, cit.
34
Rodolfo Geneyro, El parlamento ante la vulnerabilidad, en Gerardo Caetano y Rubén Perina (eds.), La
encrucijada política del Mercosur. Parlamentos y nueva institucionalidad, Motevideo, Claeh-UPD OEA, 2003.
35
Rodolfo Geneyro, El parlamento ante la vulnerabilidad, cit.
36
Rodolfo Geneyro, El parlamento ante la vulnerabilidad, cit.

MARÍA VERÓNICA LUETTO 86


Todo lo expuesto conduce a reafirmar que ante todo para superar casos como el analizado
y para convertir al Mercosur en un proyecto sustentable y a largo plazo se requiere voluntad
política que principalmente esté dispuesta a superar la carencia de legitimidad democrática y
de representatividad ciudadana que poseen los Estados partes y por extensión, el Mercosur.
Finalmente, cabe responder a la segunda pregunta generada a partir del análisis de este
caso, es decir, si en esta instancia es indispensable contar con una corte del Mercosur.
Se entiende que dado este contexto tan particular del Mercosur, la existencia de un órgano
permanente con funciones jurisdiccionales, no hubiera evitado la crisis política, dado que el
carácter intergubernamental del Mercosur es una traba directa a su adecuado funcionamiento.
De nada serviría un órgano especializado de tal magnitud si el Mercosur continúa mantenien-
do su carácter intergubernamental y de preponderancia de los ejecutivos sobre los restantes
poderes, típico de los procesos de integración estilo asociación y cooperación entre países y
no asume el carácter supranacional propio de los procesos de integración propiamente dichos.

5. Conclusiones

El conflicto que enfrentó a Argentina y Uruguay por la instalaciones de las empresas


celulosas en la ciudad de Fray Bentos sobre el Río Uruguay, ha sido objeto de variados análi-
sis, ya que hay multiplicidad de temáticas involucradas; sin embargo, todavía resulta trascen-
dente su análisis porque permite ahondar en el proceso mismo de integración, en sus falen-
cias, en sus marcadas diferencias con la Unión Europea, y además permite cuestionar si la
existencia de nuevos órganos en el Mercosur, como una Corte de Justicia, en este contexto
son la verdadera solución como sostienen diversos especialistas.
Puede evidenciarse en el presente trabajo una mirada especialmente crítica, pero la misma
se asienta en la creencia de que para que el Mercosur sea un proyecto duradero debe madurar,
y para ello debe superar déficits fundacionales, tales como, su configuración institucional in-
tergubernamental, que desemboca en las falencias del marco jurídico de la integración (ca-
rácter no vinculante, ausencia de reglas de la mayoría para la toma de decisiones, etc.), la
omisión del criterio de subsidiariedad unido a la ausencia de garantías de unión interna, la
inexistencia de medios institucionales para dar firmeza a los compromisos asumidos por los
Estados partes con el objeto de limitar su acción unilateral, y fundamentalmente, el grave dé-
ficit democrático.
Para comenzar a andar en este camino se requiere ante todo de voluntad política y de ins-
tancias de democratización del proceso; elementos sin los cuales esta integración está sujeta a
las mismas críticas que las democracias de los países que la conforman.
Es indudable que la forma en que se toman decisiones en la región escapan muchas veces
del control democrático y el Mercosur parece no poder alejarse de esta misma problemática.
Como lo expresa Geneyro 37 “únicamente la clara convicción de quienes construyen el
proceso de integración, respecto de la necesidad de que el esquema subregional supere las
limitaciones que le presentan las realidades nacionales, permitirá consolidar el proceso en el
futuro”.

37
Rodolfo Geneyro, El parlamento ante la vulnerabilidad, cit.

El Mercosur: debilidad institucional y déficit democrático 87


JUAN M. MOCOROA

Justicia transicional, amnistía y Corte


Interamericana de Derechos Humanos:
el caso “Gelman” y algunas inquietudes

No se puede construir el futuro,


si no se elabora, con y en el recuerdo,
el luto del pasado
Bernard Henry Levy

SUMARIO: 1. Presentación y propósito. – 2. Justicia transicional: algunos (importantes) problemas. – 3. Las


amnistías en la jurisprudencia de la Corte Interamericana de Derechos Humanos. – 4. El caso “German vs.
Uruguay”. – 4.1. Los hechos del caso. – 4.2. La resolución de la Corte IDH. – 5. Algunas objeciones a los
argumentos de la Corte IDH. – 5.1. Democracia. – 5.2. Las amnistías y el rol del Derecho Penal. – 6. Pre-
sentación de una estrategia diferenciada y la justificación de los tribunales internacionales. – 7. Coda.

1. Presentación y propósito

La Convención Americana de Derechos Humanos 1 intenta ser una lingua franca respecto
a cómo concebir los derechos más básicos de los individuos. En algún sentido, se trata de un
core compartido sobre cómo las relaciones entre el Estado y los individuos; y de cómo ese
vínculo es mediatizado por una noción robusta de derechos. Aquel instrumento, además, di-
spone una institución específica destinada a interpretarlo, aplicarlo y custodiarlo: la Corte In-
teramericana de Derechos Humanos 2.
Debido, quizás, a una comprensión expansiva e “invasiva” de la CADH, las materias so-
bre las que se expidió este Tribunal son bien trascendentes e importantes. En particular, me
interesa analizar aquí un aspecto de esto: el tratamiento efectuado a las medidas de justicia
transicional. En especial, sobre la validez de las disposiciones de amnistía dispuestas por
regímenes democráticos de la región, luego de las dictaduras que azotaron al continente en la
década de los años setenta y principios de los ochenta. En este ámbito, su jurisprudencia es
objeto, básicamente, de dos objeciones diferentes.
Por un lado, se le reprocha una concepción panpunitivista. Se entiende que sus decisiones
son representativas de una ideología que no se conjuga adecuadamente con una concepción
limitada y restringida del Derecho Penal. Se critica, por tanto, la adjudicación de un supuesto
“derecho al castigo” en cabeza de las víctimas; inferido de la llamada “tutela judicial efecti-
va” 3. Esto iría contra de arraigadas concepciones liberales e ilustradas, en tanto no avizora

1
En adelante “CADH”.
2
En adelante “Corte IDH”.
3
Por todos, véase D.R. Pastor (dir.), N. Guzmán (coord.), El sistema penal en las sentencias recientes de
los órganos interamericanos de protección de los derechos humanos, Buenos Aires, Editorial Ad Hoc, 2009.

JUAN M. MOCOROA 88
ninguna solución no punitiva. Por otro, se le achaca cierta “prepotencia” internacional. En
este trabajo, me interesa específicamente una variante de este argumento. En puridad, se trata
de objeciones clásicas en el ámbito de la teoría del Derecho Internacional. Estas discusiones
ponen de resalto que elementos y personas foráneas, no deben ser quienes decidan cómo lle-
var las cuentas en el interior de los Estados Nacionales. Esto es, una interrogación sobre la au-
toridad y legitimidad de estos tribunales internacionales para la resolución de problemas que
se conciben como principalmente internos. No es un punto centrado exclusivamente en una
especie de chauvinismo. Por el contrario, una variante de esta objeción pone atención en ar-
gumentos democráticos que cuestionan que la última palabra en temas de justicia transicional
sea depositada en tribunales internacionales.
Puestas así las cosas, mi argumentación será como sigue. Primero, haré un repaso concep-
tual sobre la “justicia transicional”. También resaltaré ciertos problemas que debe afrontar un
régimen naciente. Luego, emplearé un caso resuelto por la Corte IDH que servirá para cue-
stionar cómo piensa su rol y cuán consistente es el argumento de la “prepotencia” en su va-
riante democrática. A partir de esto, haré algunas observaciones críticas a los argumentos em-
pleados por el Tribunal; señalaré sus deficiencias y llamaré la atención sobre un modo alterna-
tivo de pensar las circunstancias de justicia transicional. Mi objetivo, al menos, sería postular
que estas cuestiones han ser evaluadas en el seno de la comunidad política fracturada por he-
chos atroces. De esto, también, debería surgir que no es en el seno de tribunales internaciones
en que debieran dirimirse estas cuestiones; por razones democráticas y contextuales.

2. Justicia transicional: algunos (importantes) problemas

El juzgamiento de las violaciones masivas a los derechos humanos cometidas por un


régimen autocrático anterior, es un aspecto esencial de la denominada “justicia transicional” 4.
Básicamente, debe decidirse qué califica como delito y cómo sancionar a los responsables. Se
trata, entonces, de “la variedad de procesos y mecanismos asociados con los intentos de una
sociedad por resolver los problemas derivados de un pasado de abusos a gran escala” 5. En
este marco, los problemas a encarar son políticos, jurídicos y morales.
Lo primero, por cuanto las circunstancias contextuales no siempre son ideales para
proceder de esa manera. En efecto, suele ser el caso que los gobiernos emergentes sean
débiles y que sus políticas estén signadas por la necesidad de brindar estabilidad al régimen
recién instaurado. De modo tal, las tensiones se generan por no poder cumplir, al mismo
tiempo, dos objetivos. El juzgamiento a los responsables y el establecimiento de instituciones
estables. Pues, prima facie, lo primero puede poner en riesgo lo segundo. De este modo, los
gobiernos democráticos deben realizar costosas evaluaciones, consecuenciales y políticas,
sobre cuál de esos compromisos cumplir. Ambas cuestiones, parecería, en forma conjunta no
pueden lograrse. Vale decir, surge el siguiente problema: pese a la existencia de un
compromiso sostenido y reflexivo en relación a la protección de los derechos humanos, el
juzgamiento de los hechos pasados puede ser, empero, contrario al aseguramiento prospectivo
de esos mismos derechos.
Los problemas jurídicos tampoco son menores. Es habitual que gobiernos autocráticos en
retirada empleen normas jurídicas para imponer un manto de olvido y perdón. Es decir, so

4
Véase, J. Elster, Rendición de cuentas. La justicia transicional en perspectiva histórica, Ezequiel
Zaidenberwerg (trad.), Buenos Aires, Katz, 2006.
5
Conf. M. Capella i Roig, Represión política y derecho internacional: perspectiva comparada (1936–
2006), en M. Capella i Roig, D. Ginard, Represión política, justicia y reparación, Palma de Mallorca, Ediciones
Documenta Balear, 2009, 163.

Justicia transicional, amnistía y Corte Interamericana de Derechos Humanos 89


pretexto de soluciones reconciliadoras dispensan futuros castigos. Esto, en conjunción con
principios fundamentales del Derecho Penal liberal –i.e. benignidad e irretroactividad– es un
serio obstáculo para el procesamiento y castigo de los culpables. Finalmente, existen
problemas de índole moral. Por ejemplo, la utilidad explicativa del concepto de “mal radical”
y su relevancia para analizar calamidades que ofenden la conciencia moral de la humanidad.
Relacionado con esto, cómo se vincula, normativamente, esta cuestión con el castigo y el
perdón. ¿Es posible perdonar hechos que rompen nuestros esquemas categoriales sobre la
moralidad? ¿Cuál es la respuesta que merece “El Mal”? ¿Cómo podemos enfrentar un
accionar que escapa a nuestra posibilidad de comprensión?
Con estas complejidades y problemas convive un régimen de transición. Ahora bien, las
evaluaciones de cómo resolverlos no deben ser definidas desde fuera de la comunidad política
que, en principio, fue víctima de los hechos horrendos que jalonan su propia comprensión.
Además, no puede hacérselo al margen de las circunstancias contextuales que afronta. Antes
de detenerme en esto, de todos modos, debo comentar cómo la Corte IDH interpretó un
instituto usado en las “circunstancias de la transición” por los gobiernos nacientes en América
Latina: la amnistía.

3. Las amnistías en la jurisprudencia de la Corte Interamericana de Derechos


Humanos

La Corte IDH, en los últimos años, analizó de modo particularizado algunas instituciones
de la justicia transicional. En particular, enfrentó un conjunto de normas que, velada o direc-
tamente, tenían una clara finalidad: dispensar el castigo a los responsables de hechos califica-
bles, en principio, como “delitos de lesa humanidad”. Se trata de casos en los que se expidió,
a la luz de la CADH, sobre el status normativo de disposiciones normativas que establecían
amnistías más o menos amplias. Me refiero a las decisiones recogidas en “Barrios Altos” 6,
“La Cantuta” 7, “Almonacid Arellano” 8, “Gomez Lund” 9 y, finalmente, “Gelman” 10.
Estas decisiones impusieron un conjunto de prohibiciones y obligaciones. En particular,
que no es facultativa la persecución de las graves y masivas violaciones a los derechos huma-
nos. De modo tal, toda medida, aun cuando ella sea democrática, cuyos efectos sean el otor-
gamiento de un respuesta no punitiva a estos hechos se encontraría prohibida. La única re-
spuesta admitida por la CADH sería, entonces, la pena. En efecto, afirmó la Corte IDH que
“[…] son inadmisibles las disposiciones de amnistía, las disposiciones de prescripción y el
establecimiento de excluyentes de responsabilidad que pretendan impedir la investigación y
sanción de los responsables de las violaciones graves de los derechos humanos tales como la
tortura, las ejecuciones sumarias, extralegales o arbitrarias y las desapariciones forzadas,
todas ellas prohibidas por contravenir derechos inderogables reconocidos por el Derecho In-
ternacional de los Derechos Humanos” 11.
Al menos dos consecuencias normativas se siguen de esto. Por un lado, los Estados tienen

6
Corte IDH Caso “Barrios Altos vs. Perú”, Sentencia de 14/03/2001. Serie C n. 75.
7
Corte IDH Caso “La Cantuta vs. Perú”, Sentencia de 29/11/2006. Serie C, n. 162.
8
Corte IDH Caso “Almonacid Arellano y otros vs. Chile”, Sentencia del 26/09/ 2006. Serie C n. 154.
9
Corte IDH Caso “Gomes Lund y Otros (Guerrilha do Araguaia) vs. Brasil”. Sentencia de 24/11/2010. Se-
rie C n. 219. Véase, J.S. Elias, Justicia transicional y justicia internacional (a propósito del caso `Gomes
Lund´), en Revista de Derecho Comparado, n. 19, Santa Fe, Rubinzal-Culzoni, 2011.
10
Corte IDH Caso “Gelman vs. Uruguay”. Sentencia del 24/02/2011. Serie C n. 221.
11
Corte IDH, Caso “Barrios Altos vs. Perú”, Serie C n. 75, parr. 41.

JUAN M. MOCOROA 90
prohibido recurrir a ciertas medidas – las amnistías, en particular – que “impid[an] la investi-
gación y sanción de los responsables”. Por otro, dichos estados están obligados a recurrir al
derecho penal en casos de “violaciones masivas de derechos humanos”. Esto implica relegar
cualquier consideración que determine una respuesta comunitaria no punitiva a esos hechos.
Ha identificado una obligación convencional de investigar y sancionar a quienes han cometi-
do “violaciones graves de los derechos humanos”; y, a su vez, una prohibición absoluta de
amnistiar o indultar a los autores de esos hechos.
Como es obvio, estas consideraciones son problemáticas. En primer lugar, es difícil iden-
tificar – sino imposible – una norma expresa en la CADH que disponga esa regla. Luego, y en
todo caso, es cuestionable la autoridad y legitimidad de la Corte IDH para su adjudicación.
Más aún cuando, lo infiere de un supuesto derecho de las victimas al castigo. Los interrogan-
tes, por tanto, pueden multiplicarse: ¿Están jurídicamente justificadas las decisiones aludidas?
Por otra parte, ¿No existe resquicio para una decisión democrática? ¿Es correcto que una co-
munidad política no pueda decidir sobre estos? ¿Es deseable que esta decisión sea resuelta por
no miembros de esa comunidad?
Las respuestas a estas preguntas dependen de cuál sea la posición correcta respecto a
diversos problemas teóricos – conceptuales y normativos – tanto en el ámbito moral como en
el propiamente jurídico, que ellas presuponen. Por ejemplo, ¿con qué alcances debe definirse
el concepto de “víctima”? ¿Sólo debe considerarse al particular ofendido por la acción? ¿Es
posible considerar ofendida a la comunidad política toda? Esta cuestión se vincula de un mo-
do estrecho con la posibilidad de ejercer el perdón. Y, por ende, la validez de un curso de ac-
ción adoptado por una comunidad tendiente a, considerados otros valores, dispensar de casti-
go a los responsables por esos hechos.
Ahora, aún supuesto que estos hechos fueran perdonables, los problemas no se aquietan.
Debe determinarse quién tendría capacidad para concederlo. Pues este último término es relati-
vo a un determinado ofendido. Su núcleo conceptual radica en la disposición a no castigar, pu-
diéndolo hacer. De esta manera, si el ofendido es la comunidad internacional solo a ella le cor-
responde disponer el no castigo. Se trata de determinar si es posible perdonar aquellos hechos
que, por sus características atroces, rompen nuestros esquemas conceptuales de índole moral. Y
si esto debe ser definido por no miembros de la especifica comunidad lesionada. Asimismo, si
esto debe ser efectuado más allá de las condiciones de posibilidad de una comunidad.
De un modo dramático estas cuestiones se presentan en el caso “Gelman vs. Uruguay”.
En el próximo apartado, describo someramente sus propiedades fácticas y los argumentos re-
levantes usados por la Corte IDH; para, luego, analizarlos críticamente.

4. El caso “Gelman vs. Uruguay”

4.1. Los hechos del caso

Los hechos del caso “Gelman”, lamentablemente, no se caracterizan por su naturaleza ex-
cepcional. Son una muestra clara de un proceder contrario al respeto mínimo a la dignidad
personal que, durante la década del setenta, fue moneda corriente. En aquellos años, existieron
señores de la vida y la libertad de los individuos. Las particularidades de este caso, no
obstante, son las siguientes.
María Claudia García Iruretagoyena Casinelli y su esposo, Marcelo Ariel Gelman Schu-
baroff, fueron privados ilegalmente de su libertad por comandos militares uruguayos y argen-
tinos el 24 de agosto de 1976 en Buenos Aires. Eran los comienzos, y un acto paradigmático,
de la llamada “Operación Cóndor”. En ella, las dictaduras sudamericanas acordaron dar tra-

Justicia transicional, amnistía y Corte Interamericana de Derechos Humanos 91


tamiento paritario a lo que consideraban elementos “subversivos” – un eufemismo para refe-
rirse a opositores a la dictadura –; serían todos castigados, sin consideración de fronteras.
Marcelo Gelman fue ejecutado en octubre de 1976. Su esposa fue trasladada a Montevideo en
forma clandestina en avanzado estado de gravidez. Luego, el horror engrandeció. Dio a luz, a
en el Hospital Militar de Uruguay a su hija María Macarena. Y nunca más se supo nada de el-
la. Su beba inmediatamente fue entregada a un policía uruguayo; quien la registró ilegalmente
como hija propia. Con el paso de los años, la lucha por la memoria, la verdad y justicia, hizo
que, finalmente, María Macarena se sometiera a una prueba de ADN; este test demostró el pa-
rentesco con la familia Gelman.
Por otra parte, el 22 de diciembre de 1986 el Congreso uruguayo aprobó la llamada “Ley
de Caducidad” que estableció una amnistía por todos los crímenes cometidos por las fuerzas
de seguridad. En 1988 la Suprema Corte se pronunció sobre el estatus normativo de esa legi-
slación. En esa oportunidad, sostuvo su constitucionalidad. Sin embargo, ni las aguas no se
aquietaron ni los reclamos de justicia se acallaron con esta decisión. Debido a ello, un año de-
spués, se interpuso un recurso de referéndum contra la Ley de Caducidad. El objetivo de esta
propuesta era lograr su derogación. Empero, no fue aprobado por la ciudadanía; sólo el 42.4%
de los votantes se pronunció a favor. Ahora bien, el 19 de octubre de 2009 la Suprema Corte
de Justicia en la causa “Sabalsagaray Curutchet”, contradijo su jurisprudencia anterior y, por
tanto, declaró la inconstitucionalidad de la amnistía. Para esto tuvo especialmente en cuenta las
decisiones de la Corte IDH 12. No obstante, las objeciones y debates no se detuvieron. Por eso,
posteriormente, se sometió a “iniciativa popular” un proyecto de reforma constitucional para
introducir en la Constitución una disposición que declare la nulidad de la Ley de Amnistía. Sin
embargo, la propuesta no fue aprobada porque no alcanzó el número de votos necesarios 13.
A esta altura, el proceso en procura de la identificación y adjudicación de responsabilidad
penal por estos hechos se encontraba estancado. Los efectos de la Ley de Caducidad eran ex-
tensibles a los pedidos de Gelman para la reapertura de la investigación de lo sucedido y, por
tanto, no era ello posible 14. De tal modo, en el ámbito interno no hubo posibilidades de identi-
ficar quienes fueron los responsables de los hechos acaecidos, cuál era el paradero de María
Claudia García y, como es obvio, no hubo en modo alguno sanción para nadie. Los hechos,
así, quedarían impunes. Para evitar esto, Gelman, junto a la Comisión Interamericana de De-
rechos Humanos, llevó el caso ante la Corte IDH.

4.2. La resolución de la Corte IDH

La Corte IDH, ordenó la reanudación de la investigación y juicio penal por las violaciones
ocurridas. Con un claro objetivo: el Estado debe realizar eficazmente la investigación de los he-
chos con respecto a la familia Gelman, esclarecerlos, determinar las responsabilidades penales y
administrativas y aplicar las sanciones que la ley prevea. Impuso, también, la obligación de con-
tinuar y acelerar la búsqueda y localización de María Claudia García Iruretagoyena, o de sus re-
stos mortales y, en su caso entregarlos a sus familiares. Además de otras medidas de reparación.

12
En particular, el caso “Barrios Altos” ya citado.
13
Conf. S.A. Rey, Derechos humanos, soberanía estatal y legitimidad democrática de los tribunales
internacionales. ¿Tres conceptos incompatibles?, en Revista de Derechos Humanos, 1, 2012, 74-75.
14
Rey da cuenta de algunos hechos que no figuran en el relato efectuado por la Corte IDH. Según refiere,
Gelman logró la reapertura de la investigación, pero el Ministerio Público entendió que el caso estaba compren-
dido por la Ley de Caducidad. Finalmente, en 2008 se reabrió la causa aunque no tuvo avances significativos; ni
se acusó a alguien ni se sancionó ni se logró determinar el paradero de María Claudia García. Conf. S.A. Rey,
op. cit., 75.

JUAN M. MOCOROA 92
Del mismo modo, declaró la inconvencionalidad de la Ley de Caducidad 15. En tanto im-
pedía la investigación y sanción de graves violaciones a los derechos humanos. Por ello, or-
deno que se garantizara que ella no represente más un obstáculo para la investigación y de-
terminación de las responsabilidades penales correspondientes.

5. Algunas objeciones a los argumentos de la Corte IDH

Las consecuencias de la decisión de la Corte IDH no se limitan al caso de Uruguay. Por el


contrario, implica un rechazo generalizado a una estrategia común seguida por los países de la
región para enfrentar los hechos del pasado. Este es un leit motiv loable; pero equivocado. El
defecto de decisiones como esta, es que se basan en un análisis universalista que no se vincula
con el cúmulo de dificultades que un gobierno naciente debe afrontar. Además, no efectúa un
adecuado balance de las razones que justifican, generalmente, el castigo en estos casos.
Me interesa resaltar algunas notas de la argumentación de la Corte IDH. Con respecto al
problema analizado desarrolla tres puntos importantes para observar: 1. La noción de demo-
cracia; 2. El concepto de amnistía; y, 3. El rol que debe cumplir el derecho penal en los proce-
sos transicionales.
Todos ellos están anudados en el fallo y, sin embargo, no de un modo adecuado.

5.1. Democracia

Con respecto a la concepción de la democracia que subyace a este pronunciamiento, la


Corte IDH se expide, así: “El hecho de que la Ley de Caducidad haya sido aprobada en un
régimen democrático y aun ratificada o respaldada por la ciudadanía en dos ocasiones no le
concede, automáticamente ni por sí sola, legitimidad ante el Derecho Internacional” 16.
Esto parece un truismo. Es obvio que, para el Derecho Internacional, el carácter democrático
de una decisión estatal no le otorga a un conjunto normativo per se validez; los criterios para ello
son independientes la legitimidad de origen de una autoridad para el dictado de una decisión nor-
mativa. A menos que pretenda desconocer la democracia como sistema de gobierno. Sin embargo,
es criticable que ese rasgo carezca de relevancia para establecer cómo debe ejercerse el control
por los jueces. Aun más cuando de jueces internacionales se trata 17. Debe reprocharse, en general,
que las decisiones democráticas de una comunidad de cómo enfrentar su pasado sean irrelevantes.
En especial, porque el valor de las decisiones mayoritarias se encuentra en que el principio de
mayoría posee un valor intrínseco asentado en su calidad moral 18. De este modo, si bien puede ser
cierto que frente al “derecho internacional” no le concede una legitimidad especial, no lo es me-
nos que debería concederle una especial dignidad. Y que, por tanto, debiera ser tratada con defe-
rencia. Los juicios a realizar por un Tribunal internacional al ejecutar el llamado “control de

15
Desde el caso “Almonacid Arellano”, desarrolló una jurisprudencia que ordena un “control de convencio-
nalidad ex officio”. Asimismo Corte IDH, “Caso Cabrera García y Montiel Flores vs. México”, Sentencia del
26/11/2010, Serie C n. 220, párr. 225.
16
Corte IDH Caso “Gelman vs. Uruguay” (Fondo y Reparaciones). Sentencia de 24 de febrero de 2011. Se-
rie C n. 221, parr. 238.
17
Aquí valen objeciones contramayoritarias. Vid. J.A. Elias, op. cit., 170/171.
18
Como dice Bayón, el principio de la mayoría se fundamenta en “la idea de que la participación de todos
y en pie de igualdad en la toma de decisiones públicas esta revestida de una especial calidad moral, al margen
del tipo de resultados a los que conduzca”: conf. J.C. Bayon, Democracia y derechos: problemas de
fundamentación del constitucionalismo, 439.

Justicia transicional, amnistía y Corte Interamericana de Derechos Humanos 93


convencionalidad”, debieran ser particularmente prudentes para respetar ese especial valor.
Por supuesto, una forma de disolver este punto sería recurrir a la noción de “derechos”.
Esto es, podría sostener que, por más democrática y mayoritaria que sea una decisión, no pue-
de afectar derechos fundamentales. Ellos implicarían un límite infranqueable a las decisiones
mayoritarias. Para esta posición, el respeto a los derechos es un aspecto esencial del propio
concepto de democracia; es un aspecto de su definición que esté limitada por restricciones que
son vistas como “cartas de triunfo” frente a las mayoritaria 19.
Esta última posición parece asumir la Corte IDH, cuando agrega que “La legitimación
democrática de determinados hechos o actos en una sociedad está limitada por las normas y
obligaciones internacionales de protección de los derechos humanos reconocidos en tratados
como la [CADH], de modo que la existencia de un verdadero régimen democrático está de-
terminada por sus características tanto formales como sustanciales, por lo que, particular-
mente en casos de graves violaciones a las normas del Derecho Internacional de los Dere-
chos, la protección de los derechos humanos constituye un límite infranqueable a la regla de
mayorías, es decir, a la esfera de lo `susceptible de ser decidido´ por parte de las mayorías
en instancias democráticas, en las cuales también debe primar un `control de convencionali-
dad´ […], que es función y tarea de cualquier autoridad pública y no sólo del Poder Judi-
cial” 20.
De este modo, asume la Corte IDH la concepción que, someramente, esbocé. Ahora bien,
no se justifica esta posición sin premisas adicionales. En especial, como afirma Gargarella,
“vincula la regla de la mayoría con una tendencia a la toma de decisiones irracionales e ir-
razonables; y [por el contrario] vincula al Poder Judicial con la toma de decisiones raciona-
les y razonables” 21. Este tratamiento asimétrico y desconfiado, necesita de un fundamento in-
dependiente para poder extraer de él las consecuencias que se intenta. Al menos, si no se
asienta sobre una posición elitista y antidemocrática.
No obstante, no lo brinda el Tribunal. Tampoco puede hacerlo el apoyo teórico en el que
se funda; la obra de Luigi Ferrajoli. Según él los derechos no representan una autolimitación
revocable del poder soberano; por el contrario, consisten en un “sistema de límites y de víncu-
los supraordenado a él”. A partir de ello, deduce que son ejercidos “contra los poderes públi-
cos aunque sean democráticos o de mayoría” 22. Los derechos dan forma a una connotación
sustancial de la “democracia constitucional”. En oposición a una visión de esta puramente
formal; según la cual el principio de la mayoría carece de limitaciones. La visión sustanciali-
sta impone limitaciones no solo referidas al quién y al cómo decidir, sino a qué es lícito deci-
dir y qué no es lícito no decidir 23.
Aquí, no obstante, se agazapan serios problemas. José Luis Martí, desde una visión repu-
blicana y deliberativa, sometió a esta posición a una crítica devastadora 24. Por eso, en lo que
sigue, reconstruiré su objeciones. Debe quedar en claro que si la construcción teórica de Fer-

19
Conf. R. Dworkin, La lectura moral y la premisa mayoritarista, en H.H. Koh y R. Slyle (Comps.),
Democracia Deliberativa y Derechos Humanos, Barcelona, Gedisa, 2004.
20
Corte IDH Caso “Gelman vs. Uruguay” (Fondo y Reparaciones). Sentencia de 24 de febrero de 2011. Se-
rie C n. 221, parr. 239.
21
Conf. R. Gargarella, Sin lugar para la soberanía popular. Democracia, derechos y castigo en el caso
Gelman, in Mimeo, 2012, 9.
22
Conf. L. Ferrajoli, Derechos Fundamentales, en Derechos y garantías. La ley del más débil, Perfecto An-
drés Ibáñez y Andrea Greppi (trads.), Madrid, Trotta, 2004, 53.
23
Conf. L. Ferrajoli, op. cit., 51.
24
Me refiero a J.L. Marti Marmol, El fundamentalismo de Luigi Ferrajoli: un análisis crítico de su teoría
de los derechos fundamentales, en M. Carbonell, P. Salazar, Garantismo. Estudios sobre el pensamiento de Lui-
gi Ferrajoli, Madrid, Trotta-Instituto de Investigaciones Jurídicas, UNAM, 2005.

JUAN M. MOCOROA 94
rajoli no puede salir airosa de estas objeciones, tampoco podrá hacerlo la propia concepción
de la Corte IDH. De ahí el interés en recurrir a ella.
Advierte Martí que, en la obra de Ferrajoli, los derechos fundamentales son un límite in-
terno a la existencia del procedimiento democrático; por eso serían una condición necesaria,
aunque no suficiente, del procedimiento democrático. Ahora bien, esta posición – y, por ende,
la de la Corte IDH – tiende, más que a limitar, a la opresión de la democracia 25. Tres motivos
identifica como generador de estos indeseables efectos: 1. El problema de la paradoja de pre-
condiciones de la democracia; 2. El problema del precompromiso irreversible; y, 3. El pro-
blema de la indeterminación de los derechos fundamentales y el control de constitucionalidad
de las leyes 26.
En referencia a lo primero, si los derechos imponen limitaciones al procedimiento demo-
crático la entidad de estos límites depende de cómo se conciban estos derechos y, en especial,
cuáles sean ellos. Puede ser el caso que los derechos que se consideran limitaciones sean
aquellos que es fácil identificar como “derechos procedimentales”, entonces, los límites serán
internos al procedimiento democrático. Ahora bien, si son independientes de ese procedimien-
to se tratarían de un límite externo. Por último, si estamos en presencia de ambos clases de de-
rechos, el procedimiento, como es obvio, tendrá límites internos o externos, según el tipo de
derechos de que se trate 27. Admitido que sea que ciertos temas deben estar al margen de las
decisiones políticas, y que esto se realiza en pos de la protección de ciertos derechos, deviene
necesario determinar por qué es que tienen ese carácter. Convincentemente, Martí identifica
dos estrategias 28. 1. Las “precondiciones de la democracia” (la garantía de determinados de-
rechos es conceptualmente necesaria para que exista, o para otorgar valor, al propio procedi-
miento democrático); y, 2. La “justicia sustantiva” (según la cual se protegen ciertos valores
sustantivos porque toda decisión democrática que los vulnere es claramente injusta). Con re-
specto a la primera, es posible que estemos en presencia ante la llamada “paradoja de las pre-
condiciones de la democracia” 29. Esta se puede entender del siguiente modo: el ideal demo-
crático tiene un conjunto de precondiciones sin las cuales el propio procedimiento o no existe
o carece de valor alguno. Sin la protección de estos derechos, carece de sentido decir que
estamos en presencia de una democracia constitucional. Ahora bien, depende de cuán extensi-
vas sean consideradas esas condiciones para no caer en un regreso al infinito y en las garras
de la paradoja. Pues, si estos derechos deben protegerse, garantizarse y aplicarse y si ellos im-
plican o incluyen desde la más básica libertad de expresión, por ejemplo, hasta los conflicti-
vos derechos sociales, puede ser el caso que ya no queda nada que deba ser decidido por el
procedimiento democrático. La estrategia sustantiva, tampoco carece de objeciones. Según
esta, los derechos se consagran en tanto exigencias de una concepción de justicia. Esto es, son
ideales de cómo debemos concebir la justicia para que las instituciones estén moralmente
justificadas; lo que determina la necesidad de consagrar un conjunto de derechos como indi-
sponibles y más allá de las decisiones mayoritarias. Sin embargo, aquí también existen pro-
blemas. Estos surgen por el “hecho del desacuerdo” 30; algo que la Corte IDH menosprecia de
modo absoluto. Esto es: ¿Cuáles derechos merecen dicha calificación? ¿Cuál es la concepción

25
Conf. J.L. Marti Marmol, op. cit., 382.
26
En lo que aquí interesa, debiéramos hablar de “control de convencionalidad”.
27
Conf. J.L. Marti Mamol, op. cit., 382.
28
Conf. J.L. Marti Marmol, op. cit., 386.
29
El autor que, quizás, más claramente enfatizó este aspecto fue Carlos Nino. Conf. C.S. Nino, La
constitución de la democracia deliberativa, Roberto P. Saba (trad.), Barcelona, Gedisa, 1997, 193.
30
Conf. J. Walrdon, Derecho y desacuerdos. Gargarella puso de manifiesto este punto con respecto a la in-
terpretación de la Corte IDH. Conf. R. Gargarella, op. cit.

Justicia transicional, amnistía y Corte Interamericana de Derechos Humanos 95


de la justicia correcta para determinar estos derechos? ¿Quién y cómo se va a encargar de de-
terminar el contenido de los derechos fundamentales 31?
Este argumento fue destacado por Waldron; resaltó el desacuerdo sobre los derechos y las
“circunstancias de la política”. Esto es, tenemos desacuerdos razonables sobre la existencia,
alcance y contenido de los derechos más básicos; y la necesidad, pese a esto, de establecer
cursos de acción común. De continuar siendo participes, diría, de una comunidad política. No
parece que la Corte IDH asuma este “hecho”. Por el contrario, de su decisión se deduce que
las cuestiones vinculadas a aquellos no son controvertibles. No obstante, si se acepta lo dicho,
debería aceptarse que en sociedades políticas pluralistas el desacuerdo no solo esta presente
sino que, es más, es inerradicable. Ahora, constatar esta propiedad fáctica debería tener alguna
consecuencia para el establecimiento de un procedimiento referido a ellos. Por esto, no exi-
stirían razones para seleccionar aquel que atribuye esta decisión a individuos que desacuerdan
del mismo modo, énfasis y fortaleza que el resto de los ciudadanos y que, sin embargo, no son
ni elegidos ni controlados por el pueblo mismo. Incluso, las cosas aquí se complican: los inte-
grantes de la Corte IDH carecen de vínculo político con la comunidad sobre la que resuelven.
Para peor, deciden sobre uno de los hechos más trágicos de su historia.
Tengo para mí que habría que distinguir casos claros y marginales. Me parece que a partir
de ciertos casos paradigmáticos podríamos avanzar en comprensión y claridad. Por ejemplo,
no estaríamos en desacuerdo acerca de que el abuso sexual de un menor es una violación de
un derecho. No obstante, podríamos en otros supuestos desacordar. Como, me parece, ocurre
en este caso. Es difícil, desde un punto meramente textual identificar el derecho que adjudica
la Corte IDH 32. Tampoco es para nada claro que una teoría moral de los derechos debería
comprender una noción tal como la de un “derecho al castigo”. Es más, tengo intuiciones
justamente en sentido inverso. Adviértase que no se trata de cuestionar uno de los elementos
de la justicia transicional: la protección de la memoria colectiva. Sino que, en todo caso, mis
argumentos se dirigen a poner en duda la imposibilidad de que comunitaria y democrática-
mente no pueda decidirse otro medio que no sea, exclusivamente, el castigo y el reproche pe-
nal 33. Pues, no creo que exista un derecho al castigo penal, tal y como lo entiende el Tribunal.

5.2. Las amnistías y el rol del Derecho Penal

Con respecto al concepto de “leyes de amnistía”, la Corte IDH postula que son las que
“… impiden la investigación y sanción de los responsables de las violaciones graves de los
derechos humanos y, consecuentemente, el acceso de las víctimas y sus familiares a la verdad
de lo ocurrido y a las reparaciones correspondientes, obstaculizando así el pleno, oportuno y
efectivo imperio de la justicia en los casos pertinentes, además, seriamente el estado de
derecho, motivos por los que se ha declarado que, a la luz del Derecho Internacional, ellas
carecen de efectos jurídicos” 34. Parecería ser que esta definición es teleológica. Esto es, el
concepto esta dado por su finalidad: “imped[ir] la investigación y sanción de los
responsables”. Y, por esto, “carecen de efectos para jurídicos”.
Ahora bien, una regla determinada en estos términos tiene obvios problemas. Uno de los
avances más promisorios en teoría del derecho para la compresión de la estructura de las de

31
Conf. J.L. Marti Marmol. op. cit., 387.
32
Resalta este déficit R. Gargarella, op. cit.
33
Insisten sobre esta distinción R. Gargarella, op. cit. y L. Filippini, op. cit.
34
Corte IDH Caso “Gelman vs. Uruguay”. Sentencia del 24/02/2011. Serie C n. 221, parr. 226.

JUAN M. MOCOROA 96
reglas que implican generalizaciones, es la propuesta de Frederick Schauer. Este autor sostie-
ne que, por lo general, el predicado fáctico de una regla es una generalización probabilística
respecto de alguna justificación. Analizar las reglas en el tándem generalización probabilísti-
ca/justificación subyacente hace patente situaciones recalcitrantes que emergen fácilmente.
Este es un defecto congénito a un determinado modo de concebir el derecho. Si, y solo si,
empleamos reglas destinadas a calificar deónticamente las conductas y, además, esas normas
deben ser aplicadas (o seguidas) según las razones que las fundamentan el problema es obvio.
Dos cuestiones, por lo común, hacen aparición: los fenómenos llamados “infrainclusión” y
“sobreinclusión”; casos en los que la generalización del predicado fáctico es sobre o infrain-
cluyente respecto de la justificación de la regla. En otros términos, supuestos que están inclui-
dos (o excluidos) de la aplicación de la regla y que, según su fundamento, debieran ser ex-
cluidos (sobreinclusión) o incluidos (infrainclusión) 35. Un ejemplo, que es de manual en
teoría del derecho, servirá para aclarar esta cuestión. En algunos restaurantes existe una regla
como la siguiente: “Está prohibido entrar con animales”. Si analizamos su propiedad fáctica
vinculada a su justificación surgirán los casos de infra y sobreinclusión. Si convenimos que
aquella es salvaguardar la tranquilidad de los comensales, existirán casos que debieron ser
previstos por la regla aunque de hecho no hayan sido previstos; y casos que no debieron serlo
y que, sin embargo, quedan incluidos en ella. Por ejemplo, un lazarillo bien educado no
debería estar incluido – aunque de hecho lo está – y, por tanto, a su respecto la norma es
sobreincluyente. Por el contrario, un niño de unos pocos años de edad que no esta tan bien
educado debió haber sido incluido.
Con una definición laxa de amnistía quedarán incluidos casos que, por las razones que
justifican el establecimiento de la regla, no deberían ser incluidos. O, al menos, en una posible
interpretación de cual puede ser la razón de su establecimiento. Una justificación plausible
debería encontrarse, si se aceptan las objeciones que se hicieron antes, en el escaso compro-
miso democrático de una legislación de amnistía. De tal modo, podríamos considerar, como
creo, que esa regla estaría destinada a cuestionar todas las amnistías arrancadas a gobiernos
democráticamente elegidos y débiles institucionalmente; normas que no podrían superar un
test de democraticidad. Como es lógico, si esta fuera la justificación, muchas normas de este
tipo deberían ser declaradas contrarias a la CADH 36. Sin embargo, algunas deberían soportar
su convencionalidad. En tanto son respetuosas de la justificaron subyacente de la norma tal y
como fue delineada. Esto, creo, es lo que ocurre en el caso “Gelman”. Las diversas y sosteni-
das decisiones democráticas del pueblo uruguayo determinan que debería ser aceptada y que,
en verdad, ella superaría ese test 37. Del mismo modo, por ejemplo, existen normas que, en ri-
gor, no se dirigen a impedir la sanción pero que la laxitud de una regla así determinada, in-
cluye. El más obvio, es el caso del instituto de la prescripción. Si esto se empleara como ob-
jeción, la contrarreplica pondría en evidencia que, por lo general, las “graves violaciones de
derechos humanos” constituyen casos de “delitos de lesa humanidad”. Y que, por lo tanto,
son imprescriptibles. Sin embargo, debe notarse, de la propia jurisprudencia de la Corte IDH
puede colegirse que este concepto no es subsumible de un modo tajante en la noción de deli-

35
Conf. F. Schauer, Las reglas en juego, Jorge Rodriguez y Claudina Oronesu (trad.), Madrid, Marcial
Pons, 2004, 90-91.
36
Por ejemplo, estaría absolutamente justificada la resolución en el caso “Barrios Altos”. Pues, en rigor, en
ese caso se trataba de una verdadera “autoamnistía” y, también, lo estaría una posible declaración de
inconvencionalidad del Decreto Ley dictado en Argentina al que me refiero en la nota 8.
37
Los casos de infrainclusión con la regla delineada por la Corte IDH es más bien una pesquisa de interés
puramente teórico. No es posible, o al menos a mi no se me representa, qué normas no quedarían incluidas y que,
por el contrario, deberían ser parte de la exclusión dispuesta por la CADH en su visión.

Justicia transicional, amnistía y Corte Interamericana de Derechos Humanos 97


tos de lesa humanidad 38. El primero es más amplio que el segundo. Puede darse el caso en
que un hecho no sea un delito de lesa humanidad y, pese a ello, deba considerarse un supuesto
de “grave violación”. Incluso si el argumento se lleva al absurdo podrían plantearse escena-
rios inaceptables. Un Estado, podría ser condenado por no asegurar el “derecho de la víctima”
cuando, en virtud de normas procesales, exige estándares de prueba rigurosos para tener por
confirmada la hipótesis de la participación criminal de un individuo en un hecho.
Más alla de todo esto, si la definición de amnistía tiene un carácter teleológico, debemos
determinar cuál es la finalidad de esas normas para que puedan tener ese carácter y, por lo
tanto, aplicar la consecuencia normativa: la inconvencionalidad. Esa telesis es descripta del
siguiente modo impiden “el acceso de las victimas y sus familiares a la verdad de lo ocurrido
y a las reparaciones correspondientes” 39. Es posible aquí identificar dos vicios. Por un lado,
un non sequitur; del hecho que un Estado amnistíe los hechos atroces cometidos por un régi-
men anterior no se sigue, de ningún modo, que no sea posible que las victimas y sus familia-
res accedan “a la verdad de lo ocurrido”. Son imaginables, y así se utilizaron, medios alterna-
tivos al castigo penal con esta finalidad: conocer la verdad. El caso paradigmático aquí es la
Comisión por la Verdad y la Reconciliación sudafricana; que intentó – con ciertas particulari-
dades – trocar verdad por libertad. Estas soluciones negociadas son de importancia cuando el
valor con el que covaría la pena no es sólo el hecho realizado sino que, también, están presen-
tes aspectos prospectivos de cómo convivir en una comunidad política.
Sí sostengo que, por el contrario, pueden ser consideradas respetuosas de los estándares
internacionales vigentes. Más aún cuando entiendo que puede ser el caso en que no sea ni
conveniente políticamente ni moralmente obligatorio ni jurídicamente necesario que, en todos
los casos, se recurra de un modo excluyente al derecho penal. Es necesario comprender, como
sostiene Gargarella, que “una comunidad democrática debiera tener márgenes de acción más
amplios, para decidir de qué manera quiere vivir, de qué modo quiere organizarse, de qué
forma quiere premiar o reprochar determinadas conductas que por alguna razón considere
especialmente relevantes” 40.
Creo que, en definitiva, existen posibilidades aun de realizar el mito del positivismo ju-
rídico. Podemos, metodológicamente, separar el derecho de la moral. Y, entonces, entender
que el derecho, en algunos casos, ha concluido en sus esfuerzos; que el reproche jurídico pue-
de no ser conveniente y que, vis a vis otras consideraciones, concluyamos como comunidad
que no debemos recurrir a él. Sin embargo, en lo moral, deberíamos hacerle saber a los perpe-
tradores de estos hechos que, enfáticamente, no estamos dispuestos a convivir con ellos. No
pueden compartir con nosotros nuestra comunidad, ni siquiera, quizás, sea posible ya conside-
rarlos parte integrante del demos político de esta comunidad. Sin embargo, ello no empece a
que distingamos el castigo penal del reproche y, por ende, que decidamos reprochar moral-
mente pero no penalmente su accionar.
Por otro lado, como dije, se trata de un razonamiento entimemático. Este argumento se
caracteriza porque alguna de sus premisas está oculta. Entonces, al momento de efectuar una
crítica la cuestión se complica; porque es necesario identificar cuál es la que está oculta. Para
demostrar esto, entonces, será necesario recordar el argumento de la Corte IDH:

38
La Argentina fue condenada en dos oportunidades por decisiones de la Corte IDH que son una
consecuencia de la laxitud a la que me refiero. Véase, “Bulacio vs. Argentina”. Sentencia del 18/09/2003. Serie
C No. 100 y “Bueno Alves vs. Argentina”. Sentencia de 11/05/2007, Serie C n. 164.
39
La compresión de la Corte IDH, no es solitaria. Como sugiere Fletcher: “[L]a tendencia de Occidente
[es] suponer que la respuesta adecuada a la criminalidad sostenida por el Estado es la persecución y el castigo
criminal de los transgresores. [La] fe en la persecución penal es cada vez más intensa”. Conf. G. Fletcher, Pro-
logo, en J. Malamud Goti, Terror y justicia en la Argentina, Buenos Aires, Ediciones de La Flor, 2000, 9.
40
Conf. R. Gargarella, op. cit., 11.

JUAN M. MOCOROA 98
Premisa 1: Toda legislación que dispense, por cualquier razón que fuere, de castigo a los
perpetradores de graves violaciones masivas a los derechos humanos, está prohibida por la
CADH.
Premisa 2: Las amnistías dispensan castigo porque impiden “el acceso de las victimas y
sus familiares a la verdad de lo ocurrido y a las reparaciones correspondientes”.
Conclusión: Las amnistías están prohibidas por la CADH.
Pero aquí hay una premisa implícita. Hay un argumento que sostiene toda la fuerza per-
suasiva de la construcción jurisprudencial de la Corte IDH y que, pese a ello, no fue suficien-
temente justificada. Esta premisa, podría sostenerse, es algo como lo que sigue:
Premisa 1´: Si, y solo si, un Estado recurre al reproche de los responsables de violaciones
masivas por medio del Derecho Penal, las víctimas y sus familiares acceden a la verdad de lo
ocurrido y a las reparaciones correspondientes.
Ahora bien, esto es cuestionable. Y ya dije algo sobre por qué es así. Existen, repito, ex-
periencias comparadas en las que no se ha recurrido al derecho penal en estos casos. Y, sin
embargo, no por ello dieron la espalda al pasado e impidieron el acceso a la verdad por parte
de las víctimas. Mi intuición es que a esta conclusión se puede arribar por dos vías. Puede so-
stenerse que la práctica latinoamericana en si misma demuestra que esto no es correcto. Por
ejemplo, Roberto Gargarella piensa que un problema concreto de la Corte IDH es que no pre-
sta atención a la experiencia vivida por los países de la región. Para él esta postura contradice
que “[l]atinoamérica tiene una larga historia de amnistías y perdón. Y esa historia se tornó
especialmente densa y poblada en las últimas décadas” 41. No me parece un argumento pode-
roso. En todo caso, cuando auscultamos una práctica, por más extendida y desarrollada que se
encuentre, su justificación no puede surgir de su propia existencia. De lo contrario, el argu-
mento es circular; y lo es, de un modo palmario. En virtud de ello, es menester buscar razones
externas a ella que, en última instancia, brinden razones morales para determinar que ella go-
za de legitimidad. En otros términos, a partir del hecho – constatable – de que una práctica
está arraigada no podemos concluir por ello su justificación.
Creo que, no obstante, existe una posibilidad distinta e independiente de justificar algunas
– no todas – de estas experiencias. Esta forma de verlas, debería asentarse sobre consideracio-
nes contextuales. En el próximo apartado me ocupo de esta variante.

6. Presentación de una estrategia diferenciada y la justificación de los tribunales


internacionales

En términos generales, no creo que pueda darse una respuesta general al problema que
subyace al caso “Gelman”. Esto es, elegir entre alternativas que parecen disyuntivas: perdón
vs. castigo; olvido vs. memoria. En todo caso, deben recordarse los crímenes cometidos por
un régimen autocrático. Porque fracturan la autopercepción política de la comunidad, elimina
la individualidad y dignidad de las victimas y, en fin, corroe las posibilidades de estableci-
miento de una comunidad basada en el respeto de los derechos individuales. El olvido, en
cualquiera de sus formas, revictimiza a las victimas, hace que su dolor parezca no ser conside-
rado y, en definitiva, parecería que su sufrimiento fue merecido. Por eso, el respeto por la
“memoria colectiva” debe ser una virtud cívica.
Ahora bien, destacaría la oportunidad en la que, por lo general, una comunidad debe to-
mar esta decisión. Se trata de verdaderos “momentos fundacionales”. Circunstancias políticas

41
Conf. R. Gargarella, op, cit.

Justicia transicional, amnistía y Corte Interamericana de Derechos Humanos 99


en las que no cualquier decisión puede ser adoptada. Los caracteres contextuales, como lo
demuestra la experiencia comparada en la materia indican que, por lo general, esto es una
consecuencia del modelo de transición que se haya adoptado. Podríamos hablar de una espe-
cie de “circunstancias de la transición” signadas por dos elementos: 1. La necesidad de fun-
dar una comunidad política basada en derechos y duradera o perdurable; y, 2. Los condicio-
namientos políticos que limitan la posibilidad de llevar a cabo esa necesidad 42.
Teóricamente, existen dos justificaciones o valores al momento de pensar cómo enfrentar
el pasado y qué hacer con él – siempre y cuando, como creo, se piense que algo debe hacerse.
Estas son prospectivas y retrospectivas. Por un lado, debemos reprochar – penalmente o no –
ciertos hechos paradigmáticos en su carácter de indignos. De este modo, se pretende devolver
a ellos la dignidad que, en algún sentido, les fue expropiada por la acción de los perpetradores
de los peores crímenes. Sin embargo, la justificación no debería concluir allí. También in-
tuimos que deben castigarse porque es la mejor forma de fundar una comunidad. Para que ese
oprobio no se repita, como forma de demostrar un “Nunca Más” colectivo. Y, pensamos, esta
debe ser perdurable. Esto es, castigamos no solo por los hechos cometidos sino, también, para
fundar definitivamente una comunidad basada en derechos; que, notablemente, los crímenes
perpetrados pusieron en jaque.
Quien se comprometa seriamente con esta empresa debería recurrir al Derecho Penal para
reprochar estos hechos 43. Sin embargo, esto no necesariamente debiera así en todas las cir-
cunstancias y en cualquier caso. Vale decir, es posible pensar en medidas alternativas para re-
cordar, procesar y enfrentar esos crímenes. En especial, si se demuestra que su uso puede ser
inconveniente para fundar una comunidad en derechos. Esto es, si se demostrase que las justi-
ficaciones identificadas colapsan mutuamente.
En diversas circunstancias políticas, me parece, esta idea prospectiva puede verse derrui-
da. En fin, la perdurabilidad ansiada puede no verse asegurada. Básicamente, aquellas “cir-
cunstancias de la transición” son las que dominan los cursos de acción a seguir. Por eso, asi-
mismo, limitan las posibilidades de adoptar decisiones más radicales. Aquí surge a las claras
el vínculo con el modelo de transición de que se trate. Es obvio que en transiciones dirigidas
por los integrantes del régimen depuesto o tuteladas o vigiladas por ellos la pretensión de re-
prochar penalmente a todos los responsables carece de sentido. La finalidad primigenia del
castigo a los responsables, podría verse ella misma destruida y, como resultado, obtener un
escenario todas las cosas consideradas peor. Esto es, y en términos simples, poner en juego la
propia democracia y, así, los derechos con los que estamos fuertemente comprometidos. Pien-
so que, en todo caso, debería estarse a las “circunstancias de la transición”; efectuar un ba-
lance adecuado de las finalidades-valores que están en juego: lo retrospectivo y lo prospecti-
vo. El resultado de esta ponderación con criterios políticos (y siempre democrática y refle-
xivamente) podrían determinar el curso de las acciones a seguir. A partir de esto, habría que
pensar en casos en los que los gobiernos democráticos son débiles o extremadamente débiles.
En estos supuestos, podría justificarse que se adopten medidas de una gravedad o riesgo de-
scendente. Así, descartaría – y podría estar justificado – no recurrir al Derecho Penal en
aquellos supuestos en los que se trata de un gobierno democrático notablemente débil. Este
régimen naciente, no debería por consideraciones únicamente retrospectivas derruir prospec-
tivamente la fundación de una comunidad basada en derechos y perdurable. Podría, de lo con-
trario, poner a la propia democracia en peligro. También, quizás, por esas mismas circunstan-

42
Creo que esto es una consecuencia de aceptar que “… la complejidad y la gran variedad de los procesos
transicionales habidos, en curso o aun pendientes no han permitido hasta ahora establecer un modelo único y
perfecto de justicia transicional”. Conf. M. Capella i Roig, op. cit., 164.
43
C. Santiago Nino, Juicio al mal absoluto, cit.

JUAN M. MOCOROA 100


cias sea posible justificar que no se castigue a todos los responsables; sino que se lo haga re-
specto de algunos de ellos; o bien que no se castigue a nadie teniendo en cuenta otras conside-
raciones. Más allá de esto, en modo alguno implica que no puedan adoptarse otras medidas a
las que hice referencia. Esto es, que no se emplee castigos penales impuestos por jueces, no
implica que esto solo importe un manto de perdón y olvido.
De tal suerte, podría sostenerse un modelo de justificación para las distintas alternativas a
emplear. Lo que nunca justificaría, al menos esta propuesta, sería la inactividad y el olvido.
Pues, no se me ocurren circunstancias políticas transicionales en las que, al menos, no pueda
pensarse que el régimen naciente pueda ofrecer reparaciones simbólicas – i.e. pedidos de
disculpas – y materiales – i.e. indemnizaciones patrimoniales. Ahora, en casos en los que la
debilidad del gobierno no este de ningún modo presente, no podría no recurrir al Derecho Pe-
nal. Tal y como exige la Corte IDH. Sin que ello implique que sea la única alternativa a utili-
zar. Pues, en todo caso, el resto de las medidas a las que hice referencia también deben ser
llevadas a cabo. Debido a ello, no hubiese estado justificada una estrategia de perdón y olvi-
do. No obstante, por el balance al que me referí, no era exigible el castigo en contra de todos
los participantes del régimen.
En todo caso, lo que no justifica esta estrategia de balance es que el Derecho Penal deba
ser la única alternativa en todos estos casos, y más allá de todas las circunstancias. Aun cuan-
do pueda poner en peligro a la propia democracia. En conclusión, justificaría no recurrir al re-
proche penal por razones contextuales; en ciertos casos, como es obvio. Y, sin embargo, im-
poner medidas de reaparición económica y simbólica.
Ninguna de estas consideraciones tuvo en cuenta la Corte IDH al momento de fallar. Por
eso, sus palabras se parecen a “ideas fuera de lugar”. Se trata, como dije, de una estrategia
universalista que yerra el foco de análisis, por cuanto ofrece una receta única y generalista,
todas las cosas consideradas, y más allá de las circunstancias y probabilidades posibilistas de
cada comunidad. Desconoce, en definitiva que “… la complejidad y la gran variedad de los
procesos transicionales habidos, en curso o aun pendientes no han permitido hasta ahora
establecer un modelo único y perfecto de justicia transicional” 44.
Quizás, una explicación de este accionar descontextualizado no es difícil de encontrar.
Malamud Goti analizó las consideraciones morales presentes en la justicia transicional; en
particular cuando de justicia internacional se trata. En lo que aquí interesa, enfatiza dos cue-
stiones. Primero, los diferentes auditorios a los que se dirigen los tribunales. Así, es dable
identificar a la comunidad nacional y, de otro costado, a la comunidad internacional. Segun-
do, las consideraciones que deben efectuarse para que un tribunal esté dotado de autoridad. Y,
de esta forma, entender que sus resoluciones son verdaderos actos de justicia y no, por el con-
trario, imposición de una decisión adoptada de antemano a partir de cierto rechazo moral para
con ciertas conductas. Las cuestiones respecto a los juicios desde afuera, por el auditorio al
que se dirigen y por las consideraciones que debe cumplir un tribunal para el dictado de una
decisión imparcial, se verían comprometidas. El autor pone énfasis en que un grave problema
de los juicios desde afuera es que son vulnerables a no considerar las dificultades propias de
los procesos políticos que una determinada comunidad política debe afrontar para resolver su
propio pasado y “al que pertenecen victimas y perpetradores” 45.
Y esto, es claro en el caso “Gelman”. La Corte IDH, por el transcurso del tiempo y por la
falta de membresía a la comunidad política de que se trataba, no podía, y no pudo, actuar con
empatía. De allí que, también por esto, la decisión este injustificada.

44
Conf. M. Capella i Roig, op. cit., 164.
45
Conf. J. Malamud Goti, Los dilemas morales de juzgar a Pinochet en España, cit., 39.

Justicia transicional, amnistía y Corte Interamericana de Derechos Humanos 101


7. Coda

De lo dicho hasta aquí, deberían quedar en claro algunas cuestiones. La Corte IDH se
equivoca al no asumir, al momento de analizar los diversos tipos de respuestas dadas por par-
ticulares comunidades políticas, el modo en que ha operado la transición hacia la democracia.
Y este déficit es palmario porque no tiene en cuenta la situación contextual sufrida por las
democracias nacientes del continente. Como se ha dicho, en América Latina la pregunta
común era: “¿cómo afrontar el pasado en unas democracias débiles, en la mayoría de los ca-
sos operando con la oposición o la vigilancia de las fuerzas armadas, con un poder judicial
desmantelado o con poca autonomía y con otros puntos prioritarios en la agenda políti-
ca?” 46. Sin embargo, cuando analiza la Corte IDH nada de esto parecería ser cierto. Asimi-
smo, menosprecia decisiones colectivas conscientes en las que se ha efectuado un adecuado
balance de las consideraciones retrospectivas y prospectivas que estaban comprometidas en
estos asuntos. Al menos para mí esto es lo que ocurrió en el caso de Uruguay. Y, con esto,
también da por tierra el ejercicio comunitario y democrático en la forma en que deben enfren-
tarse los crímenes del pasado por los gobiernos nacientes.
Finalizo este texto como lo inicio; recuerdo, por eso, las palabras que le sirven de pórtico.
Para construir el futuro, debe elaborarse el pasado. El desafío que Bernard Henry Levy nos
convida a efectuar, me parece, es la construcción colectiva de una memoria, también, colecti-
va. Esto es, aquellos hechos que jalonan un pasado común, que lo marcan y que, por qué no,
lo agrietan, no deben quedar impávidos ante el paso de los años. En todo caso, una comunidad
política debe colectivamente reparar y resguardar esa memoria.
La Corte IDH tiene conciencia de esto. No obstante, yerra en el medio empleado. Impone
una obligación a los estados que, en ciertas circunstancias, no están en condiciones de cum-
plir. Y no es deseable que, todas las cosas consideradas, intenten llevar a cabo. O, al menos,
las razones que debiera desarrollar para fundar una respuesta diferente, en la que la vía del re-
proche penal a aquellos hechos se presente como necesaria y obligatoria, no deben ser las que
ha brindado. Se entienden, comparten y comprenden los temores del Tribunal. Es necesario
dejar bien en claro, por si aun no lo ha sido, que estos hechos no pueden ser aceptados; que se
merecen el mayor reproche concebible. Ahora, también, debería quedar en claro que no siem-
pre será un medio eficaz el derecho penal y, en particular, que no siempre la autoridad para la
evaluación de las decisiones adoptadas comunitariamente será un tribunal internacional. En
todos los casos, deberíamos exigir que democrática, política y colectivamente se efectúen re-
flexivos juicios que involucren el balance de razones retrospectivas y prospectivas al que me
he referido. Quizás, la Corte IDH podría arrogarse el papel de escudriñar la existencia, verda-
deramente, de esas. Aunque justificar esto sería motivo de otro trabajo.

46
M. Capella i Roig, Represión política y derecho internacional: perspectiva comparada (1936-2006), cit., 178.

JUAN M. MOCOROA 102


VINCENZO LORUBBIO

La produzione/imposizione di un “linguaggio
regionale comune” da parte della Corte
Interamericana dei Diritti Umani

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Il caso interamericano “Gelman vs. Uruguay” in confronto con la giurispru-
denza della Corte di Giustizia dell’Unione europea. – 3. La conformazione come obbligo interno allo
Stato. – 4. La conformazione come garanzia di permanenza delle condizioni di tutela dei diritti e di ri-
mozione degli ostacoli. – 5. La conformazione come concorso congiunto di tutta l’organizzazione in-
terna di uno Stato. – 6. Il diritto all’“ultima parola” sul rispetto di tali obblighi. – 7. Il perseguimento
congiunto della migliore protezione dei diritti. – 8. Spunti della giurisprudenza nazionale: dalla sem-
plice “guida” alla “insostituibile” conformazione.

1. Premessa

La Corte interamericana dei diritti dell’uomo è ormai fautrice di una giurisprudenza so-
vranazionale, produttiva di un “linguaggio comune” dei diritti (esplicitamente si v. da ultimo
il caso “Atala Riffo y niñas vs. Chile” del 24 febbraio 2012) da diffondere, per mezzo della
propria giurisprudenza, in tutti i paesi latinoamericani aderenti alla Convenzione.
Tale produzione, tuttavia, non deriva da un processo ermeneutico di sintesi delle caratteri-
stiche costituzionali dei singoli Stati membri. Sembra, invece, rappresentare l’effetto di una
preoccupazione autoreferenziale, motivata da una necessità e da una preoccupazione:
– la necessità di restringere la discrezionalità dei poteri nazionali, indipendentemente dai
parametri costituzionali di legittimazione del loro operato, in quanto parzialmente privi di una
“tradizione” di tutela effettiva dei diritti e di pratica democratica;
– la preoccupazione di “frammentare” il panorama regionale latinoamericano di prassi co-
stituzionali di concretizzazione dei diritti.
Si spiegano in quest’ottica quelle decisioni che “abrogano leggi” (in quanto anche la semplice
“promulgazione di una legge contraria agli obblighi assunti da uno Stato parte costituisce di per
sé violazione della Convenzione”, per cui “la sentenza che dichiara questa violazione, pronuncia-
ta in relazione alla legge messa in discussione, determina effetti generali”: casi “Barrios Altos vs.
Perù”, del 3 settembre 2001, par. 18, e “La Cantuta vs. Perù”, del 29 novembre 2006, par. 188), e
invitano persino a “riforme costituzionali, come nel famoso caso “L’ultima tentazione di Cristo”
(“L’ultima tentazione di Cristo-Omleto-Bustos vs. Cile”, del 5 febbraio 2005).
Pertanto, da tale angolo di visuale, l’approccio della Corte interamericana non solo appare
diverso da quello della Corte europea dei diritti dell’uomo, notoriamente sorretto dal paradigma
del “margine di apprezzamento” 1 riferito alle specificità costituzionali dei singoli Stati 2 (anche

1
Per un quadro aggiornato sul tema, si v. i contributi in L. Mezzetti, A. Morrone (a cura di), Lo strumento
costituzionale dell’ordine pubblico europeo, Torino, Giappichelli, 2011.
2
Talvolta la Corte interamericana utilizza la formula del “margen de prudencia”, che tuttavia assume rile-

La produzione/imposizione di un “linguaggio regionale comune” 103


se la Corte europea dei diritti dell’uomo ha comunque affermato che l’organizzazione politica e
istituzionale degli Stati membri deve armonizzarsi con i diritti e i principi consacrati nella Con-
venzione, come nel caso “Partito comunista di Turchia e altri vs. Turchia”, del 30 gennaio
1998), ma soprattutto si dimostra distante sia dal parametro delle “tradizioni costituzionali co-
muni” utilizzato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea 3, sia dal pa-
radigma dell’art. 38 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia, laddove il rinvio, fra i
criteri di decisione, ai principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili è stato inteso
come autorizzazione all’esame dell’atteggiamento “degli Stati che possono essere ritenuti rap-
presentativi delle varie concezioni giuridiche” 4.

2. Il caso interamericano “Gelman vs. Uruguay” in confronto con la giurispru-


denza della Corte di Giustizia dell’Unione europea

Emblematico, in proposito, è il recente caso “Gelman” (Sent. 24 febbraio 2011, Serie C n.


221), dove la Corte interamericana arriva a discutere di comparazione tra il “linguaggio co-
mune” della propria giurisprudenza (“linguaggio comune” che, per la Corte interamericana
assume forza normativa di “cosa interpretata”, ossia di “criterios generales de validez” persi-
no delle stesse disposizioni costituzionali di uno Stato aderente) 5 e le scelte di partecipazione
democratica promosse all’interno di uno Stato e conformi alla sua Costituzione. Tale compa-
razione viene effettuata dal giudice americano dei diritti umani in una unilaterale prospettiva
ermeneutica di carattere ipotetico e di principio, ossia prescindendo da qualsiasi verifica con-
creta del nesso causale tra violazione di obblighi internazionali e disposizioni o atti costitu-
zionali interni (come invece era occorso nella vicenda del caso “L’ultima tentazione di Cri-
sto”). Infatti, nel caso “Gelman”, la Corte puntualizza in via generale non solo che la “la legit-
timazione democratica di determinati fatti o atti è limitata dalle norme e dai vincoli interna-
zionali di protezione dei diritti umani”, ma che spetterà comunque al giudice internazionale
sancire la sussistenza di un “vero regime democratico nelle sue caratteristiche formali e so-
stanziali”, dovendo qualsiasi istanza democratica nazionale, sia rappresentativa che partecipa-
tiva e diretta, sottostare comunque alla condizione del “controllo di convenzionalità …, fun-
zione e compito di qualsiasi autorità pubblica, non solo giudiziale”.
Pertanto, in nome del “controllo di convenzionalità”, tutte le modalità e i contenuti delle
procedure democratiche interne ad uno Stato sono passibili di sindacato “ex se” da parte del
giudice regionale dei diritti umani, in una dimensione argomentativa di principio che enuclei
il “vero regime democratico”.
Con questa pronuncia, la Corte ridimensiona l’ipotesi interpretativa, in altre vicende tra-
pelata, della cosiddetta “experiencia nacional”: ossia della condizione che le proprie pronunce

vanza esclusivamente unilaterale, nel senso di rappresentare l’effetto di un Self Restraint del giudice sovranazio-
nale e non invece il risultato di una considerazione delle specificità costituzionali dell’ordinamento statale cui ci
si riferisce.
3
A. Ianniello Saliceti, Il significato delle tradizioni costituzionali comuni nell’Unione europea, in G. Rolla
(a cura di), Il sistema europeo di protezione dei diritti fondamentali e i rapporti tra le giurisdizioni, Milano,
Giuffrè, 2010, 136 ss., e anche O. Pollicino, Allargamento dell’Europa a Est e rapporto tra Corti costituzionali e
Corti europee. Verso una teoria generale dell’impatto interordinamentale del diritto sovranazionale?, Milano,
Giuffrè, 2010, 464 ss.
4
Ma ponendo anche problemi di raccordo proprio con norme internazionali pattizie poste a tutela dei diritti
dell’uomo: cfr. A. Bianchi, L’immunité des Etats et les violations graves des droits de l’homme: la fonction de
l’interprète dans la détermination du droit international, in Revue générale de droit int. public, 2004, 63 ss.
5
Si v. in merito, E. Ferrer Mac-Gregor, F. Silva García, El control de convencionalidad de la Jurispruden-
cia constitucional, in Parlamento y Constitución, 2010, 45 ss.

VINCENZO LORUBBIO 104


debbano “armonizzarsi” (come ha ritenuto la Corte EDU in Europa), nella forma e nei termini
propri del diritto interno, con le leggi nazionali, con i criteri giurisdizionali domestici e con le
azioni quotidiane che lo Stato pone in essere in materia di diritti umani (Tibi vs. Ecuador,
7/09/2004, voto razonado del juez Garcìa Ramirez, par. 6).
Per tale ragione, il nuovo ordito argomentativo interamericano, tutto “principiologico”,
“assolutizzante” e “autoreferenziale”, appare completamente opposto a quello seguito in Eu-
ropa proprio agli albori della elaborazione giurisprudenziale delle “tradizioni costituzionali
comuni agli Stati membri”, viceversa estremamente “contestualizzante”, “concreto” e “pru-
dente”. Lo si coglie già dalla Sent. della Corte di Giustizia del 13 dicembre 1979, nel caso
“Hauer vs. Land Rheinland-Pfalz”: richiamando la precedente Sentenza del 17 dicembre
1970, nel caso “Internationale Handelsgesellschaft”, la Corte dichiara che le questioni relati-
ve alla violazione dei diritti fondamentali devono essere valutate sì alla stregua del diritto co-
munitario, ma alla condizione di “ispirarsi a” (e non di “sostituirsi a”) le “tradizioni costitu-
zionali comuni agli Stati membri”, oltre che ai trattati internazionali in materia di diritti umani
cui gli Stati membri hanno cooperato o aderito. E lo si comprende ancor più chiaramente dalla
Sentenza della Corte del 29 maggio 1997, nel caso “Kremzow vs. Repubblica d’Austria” (in
Causa C-299/95). In tale vicenda, un cittadino austriaco, di nome Kremzow, condannato per
omicidio a conclusione di un processo dichiarato incompatibile con l’art. 6 della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti umani (CEDU) dalla relativa Corte europea dei diritti
dell’uomo, chiedeva al Giudice comunitario, in un ricorso per via pregiudiziale, di verificare
se il giudice nazionale fosse vincolato dalla sentenza emanata in ragione del diritto fondamen-
tale alla libera circolazione delle persone, garantito dai Trattati comunitari. Più precisamente,
l’istante sosteneva che ogni cittadino, in quanto europeo, dovesse circolare liberamente nel
territorio degli Stati membri senza poter essere limitato da una pena detentiva illegale, per di
più adottata in violazione della CEDU. La Corte di Giustizia rigetta la fondatezza di questo
argomentare, proprio sulla base di un ordito inverso a quello del caso “Gelman”, in quanto
“anche se ogni privazione di libertà è tale da ostacolare l’esercizio da parte dell’interessato
del suo diritto alla libera circolazione” non si può discutere di queste violazioni in “prospetti-
va puramente ipotetica” pur di “giustificare l’applicazione delle disposizioni comunitarie”.
Ecco allora che questo “linguaggio comune” interamericano, invece di nutrirsi della specifici-
tà dei casi prodotti dalle singole vicende condotte innanzi al giudice regionale e impegnarsi a
individuare il comune denominatore di un possibile “patrimonio costituzionale comune” lati-
noamericano 6, si consolida e diffonde come “obbligazione di principio”, unilateralmente ad-
dotta a livello sovranazionale.
Del resto, gli ulteriori casi che si riportano aprono esattamente verso questo cammino
unidirezionale della Corte interamericana.

3. La conformazione come obbligo interno allo Stato

L’art. 1 della Convenzione Americana obbliga gli Stati parte non solo a rispettare i diritti
e le libertà riconosciute nella Convenzione, ma anche a garantire il libero e pieno esercizio a
tutti gli individui soggetti alla propria giurisdizione, la qual cosa amplia il dovere iniziale di
non adottare condotte che limitino la necessaria adozione di misure di contenuto positivo.
“Garantire implica l’obbligo per lo Stato di adottare tutti i mezzi necessari per rimuovere gli

6
Al pari di quello che è il “patrimonio costituzionale comune europeo”, frutto del dialogo reciproco tra Sta-
ti e istituzioni comunitarie europee (cfr. A. Pizzorusso, Il patrimonio costituzionale europeo, Bologna, il Mulino,
2002).

La produzione/imposizione di un “linguaggio regionale comune” 105


ostacoli che possono presentarsi affinché gli individui possano beneficiare dei diritti che la
Convenzione riconosce” (CIDH, OC-6/86, su “L’espressione ‘Leyes’nell’art. 30 della Con-
venzione Interamericana sui diritti dell’uomo”, 9 maggio 1986, par. 2).
Anche la semplice tolleranza dello Stato rispetto a circostanze o condizioni che impedi-
scono agli individui di aver accesso al godimento dei diritti deve essere considerata come una
violazione dell’art.1.1 della Convenzione (CIDH, OC-11/90, sulle eccezioni all’esaurimento
dei ricorsi interni, 11 ottobre 1990, par. 34; “Cinco Pensionistas vs. Perù”, del 28 febbraio
2003, par. 163).
“Tali diritti, in virtù del dovere di rispetto, non possono essere violati direttamente dallo
Stato, sebbene questo non li abbia riconosciuti nel suo diritto interno; ed in virtù del dovere
di garanzia, non può nemmeno violarli indirettamente, negando ai suoi titolari la protezione
giurisdizionale e governativa necessaria per il loro rispetto, sia di fronte alle autorità pubbli-
che che tra i privati, nemmeno con il pretesto che tali protezioni non sono state previste dal
proprio diritto interno. In altre parole il solo mancato rispetto di tali diritti o la sola negazio-
ne della loro protezione, governativa o giurisdizionale, costituirà violazione diretta degli
stessi, in funzione del dovere di rispetto e di garanzia stabilito dall’art. 1.1 della Convenzio-
ne” (CIDH, OC-7/86,29/08/1986, opinion separada del giudice Piza Escalante, par. 30).

4. La conformazione come garanzia di permanenza delle condizioni di tutela dei


diritti e di rimozione degli ostacoli

Nel caso “Velasquez Rodriguez vs. Honduras” del 29 luglio 1988, la CIDH si spinge fino
ad affermare che allo Stato “è richiesto il disegno e l’esecuzione di una condotta governativa
permanente che assicuri l’esistenza, nei fatti, di una efficace garanzia del libero e pieno eser-
cizio dei diritti umani” (par. 167). Il dovere di adottare i mezzi necessari è una diretta conse-
guenza del dovere di garantire il libero e pieno esercizio dei diritti, i quali indubbiamente non
sono condizionati, ai fini della loro esigibilità, all’esistenza di norme interne che rendano pos-
sibile il loro godimento. Nel caso in cui questi mezzi non fossero adottati, non solo si incorre-
rebbe nella violazione del dovere di garanzia previsto dall’art.1 della Convenzione, ma anche
dello specifico obbligo previsto dall’art. 2. Si tratta insomma di un “obbligo addizionale” di-
retto a rendere ancor più categorico e certo il rispetto dei diritti e delle libertà che la Conven-
zione riconosce. Per questo l’obbligo che deriva dall’art. 2 completa, ma in nessun modo so-
stituisce o supplisce all’obbligo generale e non condizionato che risulta dall’art.1. (CIDH,
OC-7/86,29/08/1986, opinion separada del giudice Gros Espiell, par. 6.).
La rimozione degli ostacoli attraverso azioni positive in tutte le istituzioni statali, le mo-
dalità dei processi decisionali amministrativi, le attività giudiziali e tutti gli aspetti inerenti al-
le pratiche governative dovrebbero mirare a compiere questo mandato, ossia il rispetto dei di-
ritti umani. (Corte IDH, “Caballero Delgado y Santana vs. Colombia”, 8/12/1995, voto disi-
dente del giudice Cançado Trindade, par. 3).

5. La conformazione come consorso congiunto di tutta l’organizzazione interna di


uno Stato

Il principale requisito imposto allo Stato per mantenersi dentro i confini degli artt. 1.1 e 2
della Convenzione interamericana consiste nel fatto che i mezzi interni per assicurare il godi-
mento dei diritti siano effettivi e questo è possibile solamente con l’azione congiunta di tutte le

VINCENZO LORUBBIO 106


componenti dell’organizzazione statale, perché solo in questo modo la comunità può adattare
coerentemente la propria condotta alle regole stabilite dalla Convenzione (decisione “Garrido y
Baigorria vs. Argentina”, emessa dalla Corte IDH in data 27 agosto 1998, par. 69).
Il primo passo nel compimento degli obblighi internazionali risiede nel dovere di preven-
zione delle violazioni dei diritti umani, che “ricomprende tutti quei mezzi di carattere giuridi-
co, politico, amministrativo e culturale che promuovono la salvaguardia dei diritti umani e
che assicurano che eventuali violazioni degli stessi siano effettivamente considerate e trattate
come ‘atti illeciti’...”. (“El Amparo vs. Venezuela” del 14 settembre 1996, voto disidente del
giudice Cançado Trindade, par. 6).
Inizialmente, l’impegno primario opera sul piano nazionale, lì dove gli Stati devono dare
attuazione ai propri obblighi e, nel caso si verifichino violazioni, devono indennizzare le vit-
time e sanzionare i responsabili. Il secondo livello del sistema opera solo quando il primo non
ha adempiuto il suo compito e risulta, quindi, rispetto a questo, sussidiario e coadiuvante: “Il
sistema interamericano è quindi coadiuvante, sussidiario e complementare rispetto alla pro-
tezione che deve offrire il diritto interno degli Stati parte” (Corte IDH, “Rìos y otros vs. Vene-
zuela”, del 28 gennaio 2009, par. 37).

6. Il diritto all’“ultima parola” sul rispetto di tali obblighi

In ogni caso, l’“ultima parola” in merito alla compatibilità o meno con la Convenzione
interamericana di atti, pratiche amministrative, leggi nazionali, disposizioni costituzionali, de-
cisioni di tribunali nazionali dello Stato imputato, spetta esclusivamente alla Corte interameri-
cana (Corte IDH, “Las Palmeras vs. Colombia”, del 6 dicembre 2001, par. 33).
Del resto, la Corte interamericana ha esplicitato, nella Sentenza “Hilaire vs. Trindad y
Tobago” del 1° settembre 2001, che l’osservanza delle disposizioni della Convenzione non
può essere in alcun modo sottoposta alla discrezionalità dello Stato interno, dal momento che
una tale situazione determinerebbe una intollerabile “frammentazione” dell’ordine giuridico
regionale di protezione dei diritti umani e renderebbe illusorio l’oggetto e il fine della Con-
venzione.
Pertanto, anche “quando la supposta violazione di un diritto umano o di una libertà fon-
damentale non proviene dall’azione di un organo riconducibile al Potere esecutivo di uno
Stato ma da azioni o omissioni di un altro potere dello Stato, che ugualmente mettono in gio-
co la sua responsabilità internazionale, l’unica forma di riparazione possibile è l’emanazione
di una nuova sentenza da parte dell’organo giudiziale competente o l’emanazione di una
nuova legge da parte del Potere legislativo” (Corte IDH, OC-15/97, Informes de la Comision
Interamericana de Derechos Humanos, del 14 novembre 1997, voto disidente del giudice Pa-
checo Gomez).

7. Il perseguimento congiunto della migliore protezione dei diritti

Ecco allora che, “in conformità con l’art. 29 b) della Convenzione, se una legge dello Sta-
to parte o di un altro trattato internazionale del quale sia parte detto Stato, accorda una
maggiore protezione o regola con maggior ampiezza il godimento e l’esercizio di determinati
diritti o libertà, dovrà essere applicata la norma più favorevole alla tutela dei diritti
dell’uomo”. (Corte IDH, “Ricardo Canese vs. Paraguay”, del 31 agosto 2004, par. 180).
Infatti, l’art 29 della Convenzione interamericana opera come “clausola di chiusura” per

La produzione/imposizione di un “linguaggio regionale comune” 107


l’interprete e impedisce il formarsi di lacune nell’ordinamento americano di protezione dei di-
ritti umani: “la redazione di questa disposizione ha come criterio centrale il ribadire che in
nessun modo i diritti e le libertà della persona possono essere soppressi o limitati, in partico-
lare quelli previamente riconosciuti dallo Stato” (Corte IDH, OC-4/84, del 19 gennaio 1984,
par. 20).
Nella decisione OC-1/82 del 24/09/1982 (par. 40) si legge: “l’unità della natura dell’esse-
re umano e il carattere universale dei diritti e delle libertà che meritano di essere garantite
costituiscono la base di tutto il regime della protezione internazionale. Di conseguenza risul-
terebbe inopportuno effettuare distinzioni sull’applicabilità del sistema di protezione a se-
conda che gli obblighi internazionali contratti dallo Stato scaturiscano o meno da una fonte
regionale”.
Pertanto, la funzione protettiva della Convenzione resta aperta all’evoluzione del diritto
umanitario consuetudinario e all’ampliamento dello ius cogens, evitando un approccio statico
alle proprie disposizioni e permettendo l’ampliamento del catalogo dei diritti protetti ogni
qualvolta si verifichi una nuova classificazione di un diritto o di una garanzia inerente
all’essere umano: “I diritti sono esigibili, progressivi ed espansivi, caratteri questi che im-
pongono un’attitudine interpretativa conseguente, e, quindi, la necessità di considerare caso
per caso, non solo il significato e la portata delle proprie norme interpretate in senso lettera-
le, ma anche le loro potenzialità di sviluppo.” (Corte IDH, OC-4/84 del 19 gennaio 1984, voto
separado del giudice Piza Escalante, par. 3).

8. Spunti della giurisprudenza nazionale: dalla semplice “guida” alla “insostituibi-


le” conformazione

Nella giurisprudenza degli Stati membri, questo complesso di argomenti ha permesso di


sostenere che l’ultima istanza giurisdizionale in materia di diritti umani appartiene alla Corte
interamericana dei diritti dell’uomo (Corte IDH, “Baena, Ricardo y otros vs. Panamà” del 2
febbraio 2001; CSJN, “Astorga Bracht”, 2004, decisione 327:4185).
Del resto, nel caso “Giroldi” (Sent. 7 aprile 1995), la Corte Suprema Argentina aveva af-
fermato che le istituzioni nazionali, “nell’applicare la Convenzione, dovranno considerare il
modo in cui essa effettivamente è disciplinata in ambito internazionale e dovranno avere ri-
guardo in primo luogo alla sua applicazione giurisprudenziale da parte dei tribunali interna-
zionali competenti”, non potendosi limitare ad una semplice ispirazione come “guida” (così
invece CSJN, caso “Ekmedkjian”, 1992, decisione 315:1492, cons. 21). Tant’è che, nel caso
“Mazzeo” (CSJN, 2007, decisione 330:3248, cons. 20 e 21), si passa dal considerare la giuri-
sprudenza della Corte Interamericana come una semplice “guida” a definirla come un “inso-
stituibile modello interpretativo per i poteri costituiti argentini”.

VINCENZO LORUBBIO 108


LIDIA PATRICIA CASTILLO AMAYA

Conflictos constitucionales e integración regional:


la CCJ y El Salvador

SUMARIO: 1. Introducción. – 2. Marco teórico y metodológico. – 2.a. La teoría de los formantes legales. – 2.b.
El enfoque figuracional de Norbert Elias. – 3. Las sentencias de la Sala de lo Constitucional. – 3.a. Conteni-
do de las Sentencias. – 4. Los formantes de las decisiones de la Sala. – 4.a. El formante doctrinal. – 4.b. El
formante jurisprudencial. – 4.c. El formante normativo. – 5. Análisis crítico de las sentencias. – 6. El debate
sobre la interpretación de la Constitución Salvadoreña y la aplicación del Estatuto de la Corte Centroameri-
cana de Justicia. – 7. El lenguaje en el debate público. – 8. Reflexiones finales. – 9. Conclusiones: el cono-
cimiento como producto del proceso civilizatorio.

1. Introducción

Recientemente la Sala de lo Constitucional de la Corte Suprema de Justicia de El


Salvador emitió un conjunto de sentencias que han generado una intensa controversia política
en el país. Una de ellas 1 declarando la inconstitucionalidad de los nombramientos de los ma-
gistrados elegidos por la Asamblea Legislativa en virtud de que dichos nombramientos vio-
lentaban el principio de la democracia representativa establecido en la Constitución salva-
doreña; y otra declarando la inaplicabilidad de la medida cautelar de suspensión de los efectos
de la sentencia de inconstitucionalidad anterior 2, que fue emitida por la Corte Centro-
americana de Justicia, como consecuencia de la demanda presentada por la Asamblea Le-
gislativa de El Salvador ante dicha autoridad regional 3, argumentando que violaba el prin-
cipio de supremacía judicial de la Corte Suprema de Justicia, caso que fue resuelto por el Tri-
bunal regional a favor de la Asamblea Legislativa de El Salvador 4.
En ambos casos la Sala de lo Constitucional salvadoreña hace uso de la doctrina de la
supremacía constitucional, en su versión más enérgica, respecto a la interpretación de las nor-
mas constitucionales pertenecientes al ordenamiento nacional salvadoreño que aplica a los ca-
sos de inconstitucionalidad y para juzgar la legitimidad de las normas de derecho comunitario
centroamericano. Lo hace de manera implícita en su fallo de inconstitucionalidad y de manera
explícita en su fallo de inaplicación.

1
Sentencia CSJ de las 15:00 horas 5/06/2012 (Inc.19-2012), y Sentencia CSJ de las 15:00 horas 5/06/2012
(Inc-23-2012), declarando inconstitucionales las elecciones de Magistrados de la referida Cortes. Estimamos que
la segunda de las sentencias sustancialmente se basa en un argumento similar a primera por lo que nos
referiremos para efectos del presente trabajo al criterio jurisprudencial sentado por la Sala en ambas y no a las
sentencias individualmente.
2
Sentencia CSJ de las 15:30 horas 25/06/2012 relacionada con el Proceso de Inconstitucionalidad Inc. 19-
2012; y Sentencia CSJ de las 15:40 horas del 25/06/2012 relacionada con el proceso de Inconstitucionalidad Inc.
23-2012, ambas declarando la Inaplicabilidad de la Medida Cautelar emitida por la CCJ.
3
Sentencia CCJ de las 18:20 horas 21/06/2012 Exp. No. 9-20-06-2012.
4
Sentencia CCJ de las 12:40 horas 15/08/2012 Exp. 9-20-06-2012, cuyo texto puede ser descargado del
sitio Web de la CCJ: http://portal.ccj.org.ni/Ccj2/LinkClick.aspx?fileticket=C%2BEbYiyCJmo%3D&tabid=61.

Conflictos constitucionales e integración regional: la CCJ y El Salvador 109


El impacto que estas dos decisiones ha tenido en la situación política del país ha sido de
gran magnitud debido al particular contexto político, institucional y cultural salvadoreño en
cual dichas sentencias han sido pronunciadas.
La primera reacción a estas sentencias fue de la Asamblea Legislativa que vio en la
anulación de sus actos institucionales (para diferenciarlos de los actos normativos), una inje-
rencia de la Sala en el ejercicio de sus competencias constitucionalmente asignadas, negán-
dose así al cumplimiento de las mismas. A partir de ahí, se inició una acalorada contrapo-
sición de opiniones en cuanto a la legitimidad de los argumentos esgrimidos por las decisio-
nes de la Sala, por un lado, y por otro respecto a la negativa actitud de la Asamblea. Dichas
opiniones han sido expresadas en los medios de comunicación escrita y televisiva por miem-
bros de la comunidad académica salvadoreña, entre ellos abogados y juristas, politólogos,
sociólogos y periodistas investigativos, y la sociedad civil en general (algunos llegaron a ma-
nifestarse públicamente en las calles).
Sin embargo, una particular característica de esta contraposición de opiniones es que, a
nuestro juicio, no constituye estructuralmente un verdadero debate que pueda ser calificable
como académico o jurídico, ni siquiera en razón de la profesión y trayectoria de los muchos
de los intervinientes 5.
La cuestión constitucional sobre la que supuestamente se debate, a pesar de tener conse-
cuencias políticas inherentes a la misma, es esencialmente un asunto jurídico que no fue – en
su momento, y continua hasta hoy – sin ser abordado a nivel científico en foros académicos
escritos y serios 6, más bien súbitamente luego de hacerse públicas las decisiones, el tono de
rivalidad entre aquellos con opiniones diversas se elevó a niveles discursivos de agresión ge-
nerando la polarización y la confrontación política.
Por tanto, es pertinente en estos momentos que vive la sociedad salvadoreña preguntarse
si existe una relación directa entre cómo las sociedades democráticamente jóvenes (y que
teóricamente buscan la pacificación de sus relaciones sociales) escogen las herramientas de
construcción de sus ideas, valores y conocimientos y la manera en que enfrentan los ine-
vitables conflictos de una sociedad plural.
En el presente caso de estudio el “debate” público y las decisiones de la Sala muestran
reflejan características peculiares que podrían ser calificadas como confusiones sobre la
naturaleza, contenido y aplicación de las normas y principios constitucionales evocados pues
se fundamenta en argumentos débilmente construidos, faltos de rigor científico-metodológico,
que reflejan, a la vez que lo alimentan, uno de los aspectos más tristes de la construcción del
conocimiento y de la cultura jurídica salvadoreña: la desestima por – y la eventual manipula-
ción 7 – del método jurídico.

5
Incluso una prestigiosa institución de educación superior emitió un comunicado donde expresa su opinión
la cual sigue la línea de construcción del debate público no académico: http://www.uca.edu.sv/noticias/
nota.php?texto=586566258.
6
La Fundación para la Aplicación del Derecho (FESPAD), organismo salvadoreño no-gubernamental, ha
publicado una opinión, la cual aun cuando pretende ser un texto más serio, mantiene una calidad científica
mínima, pues cuenta con tan sólo una cita a pie de página para referirse a un concepto doctrinario y ningún otra
referencia a estudios o casos ya tratados por la doctrina constitucional aplicables a los varias incongruencias
encontradas en las sentencias de la Sala de lo Constitucional en cuestión. El documento puede encontrarse en:
http://www.fespad.org.sv/documentos/actualidad-resoluciones-csj.pdf.
7
El profesor argentino Roberto Gargarella ha ya comentado sobre este tipo de situaciones en cuanto a los
trasplantes jurídicos en la cultura jurídica latinoamericana: “El mal caso o caso de la manipulación viene junto
con otros casos, como los de abuso de autoridad o citas ad hominem que revelan, otra vez, actitudes abusivas
del poder por parte de las autoridades jurídicas locales. Aquí, las teorías importadas son utilizadas no para
desarrollar o expandir una discusión en curso, sino para poner fin a ella. El expositor de la misma aprovecha
entonces su conocimiento (normalmente muy parcial) de la teoría del caso, para abusar de su (parcializado)
saber y acallar así a sus ocasionales opositores, o simplemente imponer su supuesta autoridad intelectual sobre

LIDIA PATRICIA CASTILLO AMAYA 110


Para verificar esta premisa proponemos estudiar las actuaciones, condensadas en los
documentos escritos y de conocimiento público, de los intervinientes en el debate jurídico: la
Sala de lo Constitucional y la opinión de la comunidad académica, pues ellos en su calidad de
intérpretes de la Constitución contribuyen con sus opiniones a la formación de la cultura jurí-
dica e institucional salvadoreña.
Y es que en contextos de debilidad democrática y con poco desarrollo de doctrina y
jurisprudencia constitucionales propias (como es el caso salvadoreño) las decisiones aparen-
temente innovadoras construidas sin el debido respaldo de un método riguroso y un debate
académico que permita confrontar las posiciones encontradas, en lugar de respaldar el cambio
y la reforma política, paradójicamente siembran la incertidumbre jurídica y el desgobierno.
Y estos efectos son especialmente peligrosos para la consolidación de la democracia
constitucional y el estado de derecho (que tan ansiosamente los operadores jurídicos y demás
intervinientes en la controversia dicen pretender defender), además de tener efectos especial-
mente perjudiciales en la legitimación de las mismas instituciones de gobierno que intervien-
en en el conflicto y sobre todo en la cimentación de la propia identidad constitucional y
cultural en El Salvador.
A pesar de que en este trabajo se registren los efectos antes mencionados, es necesario
aclarar que el mismo no tiene por objeto sustentar dichas afirmaciones por vía de análisis
empírico de tipo político o sociológico, ni mucho menos pretende presentar un estudio que
relacione nuestro análisis jurídico con aspectos específicos de la coyuntura política de fondo.
El nuestro será un análisis jurídico crítico-comparativo, que sin ser exhaustivo en cuanto
al examen de las técnicas de interpretación constitucional y la argumentación jurídica usadas
por los jueces en la construcción de sus fallos, se centrará en analizar la estructura de las
decisiones mediante el uso de la Teoría de los Formantes Jurídicos que ofrece el Derecho
Comparado, para luego analizar algunos argumentos esgrimidos en ellas por la Sala,
confrontándolos con doctrinas y teorías constitucionales que se manejan con consistencia
científica y académica en los sistemas y tradiciones jurídicas occidentales.
Nuestro objetivo específico, es por tanto intentar conectar el caso salvadoreño bajo
estudio, con algunos problemas del llamado “neo-constitucionalismo reformista” latinoameri-
cano, como el de las confusiones o contradicciones constitucionales 8 que surgen de las
“malas” interpretaciones” 9resultantes de los trasplantes legales y Constitutional Borrowings,
de doctrinas y principios constitucionales, pertenecientes a otros contextos (Estados Unidos y
Europa) con larga tradición constitucional propia, democráticamente maduros y basados en
una fuerte institucionalidad.
Así, nuestro análisis se enfocará específicamente sobre dos puntos o temas de la contro-
versia constitucional salvadoreña que consideramos reflejan dichas confusiones: a) el desa-
cuerdo sobre la interpretación de la norma constitucional que otorga al órgano legislativo la
competencia de nombramiento de magistrados de la Corte Suprema de Justicia; y b) el
cuestionamiento de la constitucionalidad de las competencias jurisdiccionales de la Corte

ellos ... casos como los malos casos son bastante habituales en Latinoamérica, y ello nos daría razón para
mantener muy en alto la guardia crítica”. Ver: http://seminariogargarella.blogspot.it/2009/12/sobre-la-teoria-
impura-de-dlm.html.
8
Ver R. Gargarella, La Justicia frente al gobierno. Sobre el carácter contramayoritario del poder judicial,
Barcelona, Ariel, 2003, yInjertos y rechazos: Radicalismo político y transplantes constitucionales en América,
en R. Gargarella (coord), Teoría y Crítica del Derecho Constitucional, Buenos Aires, Abeledo Perrot, Tomo I,
2008.
9
El profesor colombiano López Medina ha estudiado los modos en que se produce, recepta, circula o
cambia la teoría jurídica en Latinoamérica y ha advertido sobre el riesgo de emplear teorías jurídicas
norteamericanas y europeas sin considerar el contexto en el cual nacieron y su función dentro de esas culturas
jurídicas. D.E. López Medina, Teoría impura del Derecho, Bogotá, Legis, 2004.

Conflictos constitucionales e integración regional: la CCJ y El Salvador 111


Centroamericana de Justicia para conocer sobre conflictos entre Poderes de los Estados
Miembro del SICA.
Dichos puntos son asimismo los más relevantes sobre las que versa el desacuerdo, mal
llamado “crisis constitucional” por los medios de comunicación, ya que los mismos están ínti-
mamente relacionados con dos aspectos cruciales para la consolidación de la paz social y el
desarrollo en El Salvador: el papel del órgano judicial en la construcción de la democracia
constitucional y el avance y desarrollo de la integración centroamericana.
Nuestro examen iniciará con la descripción de cada uno de los formantes jurídicos con-
tenidos en las decisiones bajo estudio, lo cual nos permitirá conocer la dinámica que existe
entre ellos y así poder caracterizar la estructura jurídica de las mismas y su relación con el de-
recho (entendido como ciencia) y con los pretendidos efectos de corrección y control de la
constitucionalidad de los actos de los demás órganos del Estado.
Continuaremos con la determinación de aquellos argumentos jurídicos que consideramos
hipotéticamente contradictorios(y que reflejan la ya mencionada confusión) que se encuentran
cristalizados en las decisiones bajo estudio y que inmediatamente procederemos a confrontar
con: a) las teorías y doctrinas que han dado nacimiento y desarrollo a los principios e institutos
jurídicos que la Sala invoca o utiliza implícitamente en sus fallos; y b) los referentes jurispruden-
ciales y doctrinarios extranjeros científicamente consolidados sobre cuestiones constitucionales
similares que han sido previamente conocidas (pero no necesariamente resueltas), algunas de
ellas desde hace muchas décadas atrás, en otros países tanto europeos como latinoamericanos.
Este estudio usará el método comparativo estructuralista de la Teoría de los Formantes
Legales y la Teoría de los Trasplantes Jurídicos, específicamente los llamados Constitutional
Borrowings, y otros que nos ofrece el Derecho Constitucional Comparado. A través del
examen comparativo de las sentencias detectaremos las contradicciones y confusiones con-
ceptuales contenidas en las decisiones de la Sala y de los argumentos que transitan en el deba-
te público, para poder proceder luego a calificar su calidad, pertinencia y legitimidad. Nuestro
análisis crítico final, por su parte se informará de los fundamentos teóricos de la sociología
figuracional de Norbert Elias y de sus teorizaciones acerca del conocimiento como producto
civilizatorio.
Con el presente trabajo intentaremos introducir argumentos con bases científicas sólidas
que sobrepasen la mera opinión que usualmente se basa en creencias, o análisis simplistas, espe-
rando con ello dar un aporte más honesto y autocrítico de la realidad jurídica salvadoreña, y en
definitiva, más respetuoso del derecho como forma de regulación equitativa de las relaciones de
poder en el contexto democrático que muchos anhelamos construir en El Salvador.

2. Marco teórico y metodológico

2.a. La teoría de los formantes legales

La comparación jurídica, inicialmente desarrollada en la rama del derecho privado,


recibió un impulso considerable en el ámbito del derecho público, más específicamente del
derecho constitucional, gracias a la construcción de la Unión Europea y la necesidad de legi-
timación de su ordenamiento jurídico supranacional sobre una base constitucional común a
todos los Estados miembros. Innumerables estudios comparativos de derecho constitucional
fueron realizados con el objeto de verificar si en realidad dichas similitudes entre los
ordenamientos constitucionales de los Estados miembros existían.
Los resultados de los estudios permitieron a la comunidad académica deliberar y llegar a
un consenso sobre las posibilidades teóricas y prácticas de la existencia de una nueva y

LIDIA PATRICIA CASTILLO AMAYA 112


homogénea realidad jurídica europea, sobre la base de la existencia comprobada de
similitudes en conceptos, instituciones, principios y valores que, efectiva y comprobadamente,
eran compartidos por todos los sistemas que fueron estudiados a través de una rigurosa
metodología científica de la comparación jurídico constitucional.
Los Estados miembros de la UE han desarrollado un consenso en muchos aspectos del
ordenamiento jurídico europeo. Términos como “acquiscommunautaire”, acuñado por el
desarrollo del derecho europeo para referirse a la legislación, actos, decisiones judiciales, do-
ctrinas, principios y valores que constituyen el cuerpo del derecho europeo, reflejan la natu-
raleza consensual que caracterizó el nacimiento de este derecho, pues acquis significa “aquel-
lo sobre lo que se ha acordado” y communautaire “perteneciente a la comunidad”.
Pero lo que nos interesa resaltar, es que el sistema jurídico comunitario supranacional, in-
cluidas sus instituciones, se vieron legitimadas por vía de los estudios realizados por juristas
que conformaban la comunidad académica en Europa en los primeros años de su evolución y
a que usaron un método jurídico (en este caso una ciencia jurídica autónoma: el Derecho
Comparado) para dar forma y vida al nuevo Derecho Comunitario Europeo 10.
Como hemos visto, el derecho público comparado ha probado ser un instrumento de gran
valor para el conocimiento objetivo de las realidades jurídicas en Europa y sobre todo para el
desarrollo de nuevas áreas del derecho, como el derecho europeo, sin embargo una de sus
principales funciones es la de proporcionar un conocimiento detallado de las realidades
jurídicas que estudia.
Así, la metodología más acreditada a nivel mundial para realizar una comparación entre
dos realidades jurídicas, es la Teoría los Formantes Legales 11, desarrollada por la escuela ita-
liana de la comparación jurídica a partir del trabajo seminal de Rodolfo Sacco. Los formantes
jurídicos son tres: a) el formante legislativo, el cual se refiere al conjunto de normas jurídicas
escritas creadas por el legislador y que conforman el derecho positivo de un determinado
Estado, b) el formante jurisprudencial, el cual se refiere al conjunto decisiones o sentencias
que los jueces emiten en el ejercicio de su función jurisdiccional, y c) el formante doctrinal,
que se refiere a los estudios e investigaciones que realizan los académicos o estudiosos del
derecho y que construyen las teorías que explican e interpretan el derecho vigente.
Estos formantes estrictamente jurídicos, registran dentro de toda realidad jurídica – sea
esta una tradición (por ej. el sistema del Common Law), un ordenamiento (por ej. el interna-
cional) o un acto (por ej. una sentencia judicial) – una determinada dinámica o interrelación
entre ellos, la cual caracterizará a esa realidad bajo estudio y permitirá definirla, según sea
mayor o menor el peso que cada uno de los formantes tenga dentro de las consideraciones que
los agentes jurídicos toman en cuenta cuando realizan sus operaciones de creación, aplicación
o interpretación del derecho.
A esta dinámica estructural debemos agregar la influencia que dentro de ese proceso de
interrelación de los formantes, pueden tener los “criptotipos” 12, es decir, las consideraciones
que no son expresas y que la doctrina comparatista ha denominado también como meta-for-
mantes, las cuales pueden responder a una determinada cultura jurídica, incluso a una deter-
minada “mentalidad” y a otras circunstancias que conforman el contexto, sea histórico, social
y/o económico sobre el cual actúan los agentes jurídicos.

10
Ver: F. Palermo, La forma di Stato dell’Unione europea. Per una teoria costituzionale dell’integrazione
sovranazionale, Padova, Cedam, 2005.
11
Ver: R. Sacco, Legal Formants: A Dynamic Approach to Comparative Law (Installment I) y (Installment
II of II), en 39 American Journal of Comparative Law, nn. 1 y 2, 1991, 1-34 y 343-401.
12
Ver: R. Sacco, Crittotipo, en Digesto delle Discipline Privatistiche, Torino, Utet, 1993, 723; y en en
Digesto, cuarta edición, Torino, Utet, 1989, 39-40.

Conflictos constitucionales e integración regional: la CCJ y El Salvador 113


Una vez descrito el acto jurídico a través de la reconstrucción del papel que cada formante
jurídico juega en la construcción del mismo, será posible intentar una caracterización que se
desprenda a partir de la evidencia que refleja esa primera etapa descriptiva con respecto a la
mayor incidencia o menor incidencia que cada uno de ellos haya tenido sobre el acto, y que
conformará su “elemento determinante”.
Este análisis nos permitirá ofrecer una hipótesis más o menos estructurada que sirva de
base para la discusión crítica de las sentencias, ya que la estructura básica de un determinado
sistema jurídico determina en gran proporción sus instrumentos jurídicos o incluso aquellos
no jurídicos 13.
La teoría de los formantes legales y los “criptotipos”, si bien brinda una clara visión del
sistema en su dinámica interna, por sí sola no es suficiente para esclarecer algunas de las razo-
nes por las cuales el desacuerdo constitucional salvadoreño se ha generado, y posteriormente
se ha degenerado, creando una situación de inestabilidad política en el país, es decir, que
luego de operada nuestra comparación aún quedarán interrogantes acerca del funcionamiento
de esta realidad jurídica en su dinámica externa, por lo que es prudente que informemos sus
resultados aplicando una teoría que nos permita separar a los formantes y su influencia en las
sentencias, de la ejercida por los meta-formantes.
Por tanto, a los resultados del análisis de la dinámica de formantes jurídicos dentro de las
decisiones de la Sala de lo Constitucional, se unirá la consideración de los factores de la rea-
lidad socio-histórica específica salvadoreña que delinean la cultura jurídica dentro de la cual
estas decisiones nacen (a la vez que la construyen y perpetúan), aunque aclaramos nuevamen-
te, que no pretendemos con ello llevar a cabo una investigación empírica sobre la realidad ju-
rídico-social salvadoreña, sino separar metodológicamente los elementos jurídicos de aquellos
extra-jurídicos, y determinando la influencia de los mismos en la producción jurídica bajo
estudio.
Una vez se haya realizado esta etapa, se está preparado para comparar el objeto jurídico
con otro sobre el cual se debe tener un igual nivel de conocimiento estructural. La compara-
ción, por tanto, exige un nivel de conocimiento detallado de los objetos bajo comparación
para evitar “ver” similitudes y diferencias que pudieran ser sólo aparentes.

2.b. El enfoque figuracional de Norbert Elias

La comparación jurídica es un método que puede producir información valiosa acerca de


la estructura de los objetos o fenómenos jurídicos, pero la significación de tales resultados
puede ser conocida solamente si los elementos aislados se vuelven a integrar en su conjunto,
es decir, en el cuadro dinámico de sus interrelaciones, a partir del cual los formantes (estric-
tamente jurídicos y extra-jurídicos) han sido aislados artificialmente.
Por tanto un enfoque interdisciplinario ofrece al jurista-comparatista las herramientas
conceptuales que le permiten, en un primer momento, delimitar los elementos de su examen
reconstructivo, y en un segundo, permite la creación de un modelo explicativo más amplio
(usando los aportes de la sociología, la historia y las ciencias políticas, entre otras) para una
mejor comprensión de la realidad jurídica.

13
R. Sacco, Mute Law, en 43 American Journal of Comparative Law, n. 3, 1995, 455-467. El Autor indica
que: “Incluso los sistemas jurídicos que poseen tanto los legisladores y profesionales del derecho contener
algunos elementos residuales de las etapas más primitivas. Por supuesto, estos elementos pueden subsistir como
aberraciones o simplemente encontrarse fuera del orden jurídico (como las venganzas ritualistas de Cerdeña o
Sicilia, típicas de las sociedades con poderes distribuidos, y que quedan fuera de los límites de la ley en Italia).
Sin embargo, pueden ser incorporados en la estructura oficial del sistema” (la traducción es nuestra).

LIDIA PATRICIA CASTILLO AMAYA 114


Y es aquí donde el aporte teórico del sociólogo alemán NorbertElias sobre las llamadas
“figuraciones” nos ofrece un marco conceptual que individualiza aquellos elementos o circun-
stancias (no jurídicas) que influyen en la actividad de la producción jurídica y en la dinámica
interna y externa del sistema.
Elías define el término “figuración” 14 como: “un término general para designar la estru-
ctura formada por personas interdependientes, bien como grupos, bien como individuos”. Las
figuraciones son en este sentido construcciones de la ínter subjetividad, tanto a nivel colectivo
como individual, que configuran lo social.
Mediante su investigación sobre el proceso civilizador europeo, Elías explica el proceso
de transición de momento histórico a otro, que califica como un continuum histórico, a partir
del conocimiento de las figuraciones que anteceden a otras. Así, el proceso histórico hacia la
civilización, es visible a través de las transformaciones que se dan en las figuraciones y que
resultan determinadas, por las fluctuaciones de poder entre ellas, en ocasiones favoreciendo a
unas y en ocasiones a otras. Elías demás apunta que la transformación de las figuraciones va
acompañada por la transformación de las estructuras de poder, como expresión de las rela-
ciones entre los individuos.
La dinámica de las figuraciones humanas con sus interdependencias funcionales, sus dife-
renciales de poder y sus demás características irreductibles, reconstruidos por el modelo de
explicación sociológico elisiano, pueden ser utilizados por el jurista para interpretar la presen-
cia e influencia de “elementos determinantes” 15 en la estructura jurídica del objeto de su estu-
dio, pero que no cumplen con los requisitos para poder ser insertados en las categoría de los
tres formantes estrictamente jurídicos.
Por tanto, al separar los formantes jurídicos y su dinámica estructural de las figuraciones
que influyen en ella, es posible tener un panorama mucho más claro que permita explicar las
ambigüedades, confusiones y disfuncionalidades que un acto, sistema o institución jurídica
puedan presentar.

3. Las sentencias de la Sala de lo Constitucional

Como hemos mencionado con anterioridad, nuestro examen se enfocará en dos sentencias
que a nuestro criterio reflejan el criterio jurisprudencial de la Sala de lo Constitucional con
suficiente extensión y que establecen el inicio del debate jurídico-constitucional objeto de
nuestro estudio:
a) Las sentencias de inconstitucionalidad 16 de los Decretos Legislativos de nombramiento
de Magistrados y suplentes de la Corte Suprema de Justicia 17, en la cual la Sala de lo

14
Para un análisis detallado sobre la obra seminal de Elías y de sus conceptos básicos ver: R. Montensino,
G. Martínez, Los usos sociológicos de Norbert Elias, in 19 Estudios Sociológicos, 19, n. 57, 2001, 823-842, El
Colegio De México: http://www.jstor.org/stable/40420691.
15
L.-J. Constantinesco, Il metodo comparativo (1972), trad. it., Torino, Giappichelli, 2000, 160 ss.
16
Nos referimos a las sentencias de las quince horas del cinco de junio de dos mil doce (Inc.19-2012) y de
las quince horas con cuarenta minutos del día cinco de junio de dos mil doce (Inc-23-2012).
17
Las sentencias Inc.19-2012 y Inc. 23-2012 contienen consideraciones sustancialmente similares por lo
que se analizan en cuanto al criterio jurisprudencial que en se construye en la primera y que reproduce en la
segunda, aunque cada una tiene por objeto el examen de Decretos distintos así: La primera declara
inconstitucionales, de un modo general y obligatorio, los Decretos Legislativos del año 2012 por medio de los
cuales la legislatura 2009-2012 eligió por segunda ocasión a Magistrados propietarios y suplentes de la Corte
Suprema de Justicia; y la segunda declara inconstitucional el Decreto Legislativo n. 1041, de 30-IV-2006,
publicado en el Diario Oficial n. 82, tomo 371, de 5-V-2006, por medio del cual la legislatura 2003-2006 eligió
por segunda ocasión a Magistrados propietarios y suplentes de la Corte Suprema de Justicia.

Conflictos constitucionales e integración regional: la CCJ y El Salvador 115


Constitucional realiza una interpretación de la norma que establece la potestad de nombra-
miento de Magistrados por parte de la Asamblea Legislativa (art. 186 de la Constitución de El
Salvador) y mediante la cual establece una “norma derivada” que limita el ejercicio de la
atribución constitucional del Órgano Legislativo.
b) La Sentencia de Inaplicabilidad emitida por la misma Sala, mediante la cual opina
acerca de la jurisdicción de la Corte Centroamericana de Justicia en cuanto a la competencia
específica de conocer sobre controversias que impliquen conflictos entre Poderes al interno de
los Estados Miembros del Sistema de Integración Centroamericana (SICA) que han ratificado
el Protocolo de Tegucigalpa y el Estatuto de la Corte mencionada.

3.a. Contenido de las Sentencias

1)
Las resoluciones de la Sala de lo Constitucional, resuelven tres demandas de inconstitu-
cionalidad presentadas por varios ciudadanos: una referida a la elección realizada en 2006
(proceso 23-2012), otra referida a la elección de 2009 (proceso 32-2012) y una sobre la elec-
ción de 2012 (19-2012). Las demandas de las elecciones del 2006 y 2012 centran su argumen-
to de inconstitucionalidad en que consideran que el hecho que una misma legislatura haya
participado en dos procesos de elección viola el denominado “principio de legitimación
popular indirecta” de la elección de los Magistrados de la CSJ, considerado previsto en el art.
186 inc. 2° de la Constitución salvadoreña. La demanda contra las elecciones del 2009 centró
sus motivos en que la Asamblea Legislativa no verificó, mediante la documentación perti-
nente, la concurrencia de los requisitos relativos a la “moralidad y competencia notorias”, con
lo cual violo el art. 176 de la Constitución salvadoreña.
Nos interesa resaltar que la Sala de lo Constitucional mediante sus sentencias crea “la
regla derivada del art. 186 18, inc. 2º., en relación con los arts. 83 y 85 de la Constitución,
consistente en que una misma legislatura no puede elegir en más de una ocasión una tercera
parte de la CSJ”.
Y establece además que dicha violación tuvo como efectos:
– Impedir a la siguiente legislatura ejercer sus competencias relacionadas con la elec-
ción de Magistrados de la CSJ, con la consiguiente renovación de las más relevantes cor-
rientes del pensamiento jurídico, exigida por el art. 186 inc. 3º Const. nacional; y
– No permitir a la legislatura siguiente, verificar que en los candidatos concurrieran los
requisitos de moralidad y competencia notorias exigidos por el art. 176 Const. nacional, para
su nombramiento.
Y por tanto, procede a ordenar a la legislatura instituida al momento de la decisión, la
anulación de los nombramientos y que proceda ésta a realizar un nuevo procedimiento de
selección y nombramiento de Magistrados, aunque permite a los Magistrados elegidos para el
período 2006-2015 continuar fungiendo en tanto los nuevos no sean nombrados.
Además, establece que su fallo no afectará en modo alguno los actos jurisdiccionales, nor-
mativos y administrativos, emitidos por tales Magistrados, durante el período en que desem-

18
El artículo 186 de la Constitución salvadoreña dice literalmente: “Los Magistrados de la Corte Suprema
de Justicia serán elegidos por la Asamblea Legislativa para un periodo de nueve años, podrán ser reelegidos y
se renovarán por terceras partes cada tres años. Podrán ser destituuidos por la Asamblea Legisaltiva por
causas específicas, previamente establecidas por la ley. Tanto para la elección como para le destitución deberá
tomarse con el voto favorable de por lo menos los dos tercios de los diputados electos”.

LIDIA PATRICIA CASTILLO AMAYA 116


peñaron sus cargos. Tampoco se verán afectadas las actuaciones que los citados funcionarios
judiciales emitan después de la fecha de la presente sentencia y hasta que sean sustituidos o
nuevamente electos, si fuera el caso.
2)
En el caso de la resolución de las seis horas y veinte minutos de la tarde del día 21-VI-
2012, emitida por la Corte Centroamericana de Justicia, mediante la cual pretende suspender
la eficacia de la sentencia emitida en el presente proceso constitucional, por violación al art.
89 Constitución salvadoreña, la Sala considera que la Corte Centroamericana “se auto-
atribuye una competencia que no respeta el orden constitucional y excede el ámbito material
del Derecho de Integración; y por violación al art. 183 Constitución nacional, en tanto de-
sconoce el carácter jurídicamente vinculante de la sentencia que esta Sala emitió en el pre-
sente proceso”.
Así la Sala de lo Constitución desconoce el Derecho de Integración Centroamericano, y
las obligaciones jurídicas del Estado salvadoreño dentro de un sistema jurídico del cual es un
Estado miembro. La Sala de lo Constitucional toma una posición anti-integracionista pero
sobre todo considera que ella puede establecer los límites materiales del Derecho de Integra-
ción y las competencias de la Corte Centroamericana, sin considerar la fuerza vinculante del
Protocolo de Tegicugalpa y del Estatuto de la Corte Centroamericana, ambos tratados interna-
cionales cuyo contenido fue aceptado y ratificado por el Estado Salvadoreño.

4. Los formantes de las decisiones de la Sala

De acuerdo a la Teoría de los Formantes Legales el examen de estos dos criterios juri-
sprudenciales tendrá por finalidad verificar cómo interactúan los formantes (normativo,
jurisprudencial y doctrinario) así como los “criptotipos”, en la formación del acto jurídico de
decisión de Sala de lo Constitucional la Corte Suprema de Justicia salvadoreña, dinámica que
se refleja y cristaliza en las sentencias antes mencionadas. La mayor o menor preponderancia
que cualquiera de estos formantes legales, criptotipos o incluso figuraciones, nos indicará cual
es el “elemento determinante” del sistema, y que le impregna su característica jurídica propia.

4.a. El formante doctrinal

Toda decisión de un juez está, al menos teóricamente, legitimada y justificada en cuanto a


su razonabilidad, pues el juez está obligado a fundamentar su decisión, en tanto que la misma
no es el reflejo de una voluntad política sino del conocimiento que éste tiene sobre el derecho.
Es éste conocimiento y experticia que le hacen, además de consideraciones éticas, idóneo para
el ejercicio de su cargo.
Si bien, dichos elementos de idoneidad son considerados por la entidad que lo elije y
nombra, los mismos deben mantenerse durante el ejercicio de sus funciones y por tanto demos-
trarse en la producción de las decisiones judiciales.
El conocimiento especializado y experticia, al menos en el área del derecho en la cual se
desempeñarán las funciones jurisdiccionales, no es sólo deseable sino un imperativo para
aquellos jueces 19 que componen un Tribunal especializado e independiente. Esto es especial-

19
También llamados magistrados en razón de su alta posición dentro del sistema judicial p.ej. juez

Conflictos constitucionales e integración regional: la CCJ y El Salvador 117


mente aplicable a los jueces que compondrán un Tribunal Constitucional en sentido estricto –
como aquellos de España, Italia o Alemania– y por tanto aplicable también a los magistrados
de la Sala de lo Constitucional, la cual aunque siendo parte de la Corte Suprema salvadoreña
ejerce la jurisdicción material constitucional de manera especial y separada 20.
La referencia a autores estudiosos del derecho, quienes son “autoridad” en su campo, y en
especial de la materia que atañe directamente a la cuestión que se somete a decisión de un
juez no sólo es una práctica común realizada entre los jueces de países europeos pues, aunque
no sea una exigencia formal, brinda soporte y fundamentación a la decisión demostrando y
garantizando su imparcialidad y experticia.
Dado que se presume que el juez es conocedor experto de su materia, éste debería al
menos conocer algunas fuentes doctrinarias de las cuales ha estudiado, y que le deberían
ofrecer las herramientas teóricas que le guían para mejor realizar su función de interpretación
y aplicación del derecho.
Por tanto, hacer referencia a la doctrina (estudios, investigaciones y teorizaciones) en la
fundamentación teórica de su decisión, refleja la posición teórico-doctrinal del juez y el nivel
de manejo que éste tiene de ella, a la vez que constituye una práctica que permite a los
ciudadanos ejercer un control sobre la función jurisdiccional, por vía de la validación de la
comunidad científica que reconoce la teoría citada.
Por el contrario, la ausencia de referentes doctrinales en una sentencia o decisión judicial
revelaría, como primer punto, una escasez de conocimiento teórico (sino una deficiente edu-
cación jurídica del juez) que pone en duda las cualidades de experticia en la materia que le
son exigidas constitucionalmente para el ejercicio de su función; y como segundo y tal vez
más importante punto, ella representaría ausencia de razones jurídicas, es decir de razones
estrictamente circunscritas a la función imparcial e independiente de procurar el respeto al
Derecho, lo que genera, naturalmente, dudas acerca de la naturaleza de los intereses (ajenos a
la función) que hayan podido motivar al juez a decidir en ese sentido.
En el caso de las sentencias emitidas por la Sala de lo Constitucional (todas sin excep-
ción) no se cita doctrina de derecho constitucional alguna, ni siquiera aquella relativa a las
ciencias políticas, ni de autores nacionales o extranjeros, que hubiesen podido esclarecer el
contenido de las razones jurídicas sobre las cuales los jueces dicen basar su decisión. Tampo-
co se expresa o explica el método de interpretación utilizado y mucho menos se justifica su
uso en el caso de la laguna que dicen haber detectado y mucho menos se citan autores que ha-
yan doctrinariamente aceptado el uso de ese método para el tipo de laguna.
Como consecuencia de la ausencia total de referencias a la doctrina, la sentencia presenta
una primera debilidad en cuanto a su legitimación, tanto frente a la comunidad científico-ju-
rídica como frente a la sociedad en general.

4.b. El formante jurisprudencial

En la mayoría de las tradiciones jurídicas occidentales (principalmente la estadounidense


y la europea) el apego del juez a los instrumentos y métodos jurídicos convierte su labor en
una profesión alejándolo del uso arbitrario del poder de decisión en el ejercicio del cargo
jurisdiccional. Por tanto, es importante reconocer al método judicial como un método de reso-
lución de conflictos bajo la forma de deliberación institucionalizada y por ello es una exigen-

integrante del Tribunal superior nacional.


20
Ver: C. Nuñez Rivero, M. Montesinos Giralt, La Sala de lo Constitucional de la Corte Suprema de
Justicia de El Salvador: Concepto y Composición, en Teoría y Realidad Constitucional, 14, 2004, 359-573, en
http://www.juridicas.unam.mx/publica/librev/rev/trcons/cont/14/not/not14.pdf.

LIDIA PATRICIA CASTILLO AMAYA 118


cia común en países de cultura jurídica sólida que las decisiones de los jueces sean justifi-
cadas.
Esta exigencia de justificación se expresa de manera especialmente clara en el principio
de staredecisisen el sistema de Common Law 21, el cual exige a un juez respetar la decisión ya
realizada con anterioridad por otro juez en un caso anterior, pero no en razón de una perfecta
relación lógica o moral entre ambos casos, sino por su relación institucional, es decir, porque
la decisión del juez debe insertarse dentro del sistema legal y por tanto debe dar cuenta del por
qué decide o no con relación a las normas, principios usados en casos anteriores.
Así, si un juez decide no reconocer una solución anterior deberá justificarlo, cuestión que
puede llevar a verdaderas dificultades pues significa algunas veces oponerse a la opinión de lo
que un grupo de profesionales altamente competentes han considerado como la mejor solución.
Como vemos, este principio exige legítimamente del juez que este piense en el caso de
manera racional y que siga un determinado diseño institucional, pues no es un “artista” sino
un “profesional del derecho”. Por otro lado, el principio de stare decisis es la aplicación de la
expectativa de uniformidad (expresada en el uso de ciertos estándares que delimitan la
decisión del juez) como fuente de predictibilidad y de certeza jurídica.
Si bien en la tradición jurídica europea continental (también llamado Civil Law o tradi-
ción romanística) donde la legislación escrita tiene predominancia, el uso del precedente no
tiene la misma preponderancia que en el sistema de Common Law, esto no significa que la
práctica de citar jurisprudencia precedente esté ausente. Y es que la citación de precedentes
judiciales cumple una función estabilizadora y uniformadora de las interpretaciones que del
derecho hacen los jueces y promueve la predictibilidad y la certeza jurídica. Y es por ello que
las decisiones de los jueces (también llamada jurisprudencia) son consideradas como uno de
los tres formantes jurídicos del derecho y de todo fenómeno jurídico, por lo que se le ha llega-
do a llamar “el Derecho vivo” 22.
Sin tener en cuenta esta fundamental consideración, la Sala tampoco hace ninguna refe-
rencia a jurisprudencia nacional precedente, ni a la abundante jurisprudencia extranjera (como
por ejemplo aquella referida a las political questions en el sistema norteamericano) en casos
de similar naturaleza.

4.c. El formante normativo

Probablemente sea éste el único formante al cual se hace referencia en la sentencia, pero
incluso al construir la decisión, la Sala no procede de manera directa a aplicar una norma con-
stitucional existente en el texto de la Constitución salvadoreña y que reglara la situación bajo
controversia, sino que procede a construir una regla “a partir” de una conjunción de prin-
cipios y normas mediante un proceso aparente de interpretación y argumentación jurídica. De-
cimos aparente, porque siendo que tanto la interpretación como la argumentación jurídica, se
basan en métodos dotados de reglas y procedimientos definidos (aunque no exentas de cierta
flexibilidad en la construcción de la decisión, en tanto que afronta siempre un caso concreto
con especificidades irreducibles).
La Sala hace un análisis falso sobre la invasión de una legislatura sobre la competencia de
otra para elegir magistrados, como si se tratase de dos entes diferentes, como si las conforma-
ciones políticas al interno de la Asamblea crearan entes distintos.

21
Ver: S. Shuman, Justification of Judicial Decisions, en 59 California Law Review, 1971, 715 ss.
22
Ver: M. Cavino (a cura di), Esperienze di diritto vivente. La giurisprudenza negli ordinamenti di diritto
legislativo, Milano, Giuffrè, 2009.

Conflictos constitucionales e integración regional: la CCJ y El Salvador 119


Si bien la norma, considerada “oscura” por la Sala, no establecía literalmente ninguna re-
stricción al número de veces que la Asamblea puede ejercer esta atribución respecto a cada
una de las posibles conformaciones políticas que la misma pueda tener a su interior en el
tiempo, a partir de un juego de normas, que la Sala de lo Constitucional considera informan
sobre la que la elección de los Magistrados Propietarios y Suplentes, y del cual crea “la regla
derivada” del Art. 186 inc. 2° en relación con los arts. 83 y 85 Constitución nacional, que pro-
cede a formular así: “Una misma legislatura no puede elegir en más de una ocasión una ter-
cera parte de la Corte Suprema de Justicia”.
La argumentación es aparentemente racional y no arbitraria en tanto que dice sustentarse
en los artículos de la Constitución, sin embargo es tautológica, pues la argumentación gira en
torno a una regla que no existe, pues no hay manera de “extraerla” a partir de una verdadera
integración sistemática, sin que se recurra siempre a la opinión de la Sala sobre la preexi-
stencia de la regla, la cual dice “encontrar” a través del uso de un pretendido originalismo, en
tanto que dice tomar en cuenta el sentido original y “fiel” a la intención del Constituyente del
año 1983 en cuanto al contenido de la cláusula constitucional referida al sistema de gobierno.
Sin embargo, este supuesto ejercicio de profundización no tiene sustento en una doctrina
política expresada por el constituyente que pueda ser extendida en su alcance hasta donde la
Sala “supone” que lo es.
Tampoco en el caso de su resolución de inaplicación de la sentencia de la Corte Centro-
americana citada anteriormente, la Sala no hace referencia a los documentos fundacionales del
SICA (como el Protocolo de Tegucigalpa) o los de organización de sus instituciones (como el
Estatuto de la Corte Centroamericana). Es posible que una Sala de lo Constitucional emita
una decisión sin analizar si quiera el Derecho de integración vigente y aplicable dentro del
Estado Salvadoreño?

5. Análisis crítico de las sentencias

Fundamentalmente esta cuestión constitucional puede ser reconducida a los grandes pro-
blemas doctrinales sobre los cuales se debate en casi todas las tradiciones jurídicas occidentales:
1. Los límites de la función jurisdiccional en la revisión constitucional de los actos del le-
gislativo.
2. La última palabra del Órgano jurisdiccional de más alta jerarquía en la interpretación
de la Constitución.
3. Las mutaciones de las normas orgánicas constitucionales por vía de control abstracto
de constitucionalidad con ausencia total de violaciones a derechos fundamentales subjetivos.
4. La fuerza normativa de los principios políticos constitucionales y del desarrollo de re-
glas derivadas por vía interpretativa en sede judicial.
Reconocer que estos temas están fuertemente estudiados y que continúan a ser fuente de
debate científico-jurídico constitucional (e incluso dentro de las Ciencias Políticas) significa
reconocer la pluralidad de posiciones respecto a ellos, y cuanta dificultad existe en encontrar
una solución satisfactoria a todos los agentes jurídicos, políticos y sociales. Ignorarlos por
otro lado, es una actitud de arrogancia y de poca honestidad profesional, que naturalmente
fomentan la duda y la desconfianza en las motivaciones de los jueces.
A continuación procedemos a explicar cómo algunos de estos debates se proyectan en las
decisiones de la Sala y cómo ésta, al prescindir de los formantes jurídicos que podrían haber
iluminado sus argumentaciones, procede discrecionalmente a crear normas y concepciones ju-
rídicas que producen confusión y ambigüedad.

LIDIA PATRICIA CASTILLO AMAYA 120


a) Tratar el caso sustancialmente como si se tratase de una controversia constitucional sobre
la base de un conflicto inter-orgánico de competencias, sin que existan dos órganos en
conflicto.
En Europa, a los Tribunales constitucionales, en virtud de su connotación de órgano ter-
ciario e imparcial, le han sido atribuidas, de acuerdo con las Constituciones europeas de post-
guerra, funciones ulteriores al control de la constitucionalidad y atribuciones de naturaleza
arbitral, como lo son la resolución de conflictos de competencias intersubjetivas típicas de los
ordenamientos descentralizados (entre Estado y Regiones, en Italia; entre Bund y Länderen
Alemania; entre Estado y Comunidades Autónomas en España) y la decisión de conflictos
entre órganos o poderes del Estado (conflictos inter-orgánicos).
En El Salvador, es importante resaltar que la “acción de inconstitucionalidad”, tal como
ha sido definida en la Constitución y en la Ley de Procedimientos Constitucionales (arts. 1, 2
y 6) contra “las leyes, decretos y reglamentos”, es un sistema de control abstracto que, debido
a la falta de mayores detalles en cuanto a sus límites o alcances en ambos textos normativos,
da lugar a un proceso constitucional susceptible de ampliarse a criterio del juez constitucional
y que hacen que nuestra Corte tenga más discrecionalidad al fallar. Cualquier ciudadano pue-
de ejercer la “acción de inconstitucionalidad”, y las reglas procesales son las más laxas que
pueden encontrarse en el país.
Sin embargo, el control de constitucionalidad “en abstracto” se ha entendido por la doctri-
na como aquel que se ejerce contra actos jurídicos con efectos erga omnes como es el caso de
leyes y decretos de aplicación general, es decir, sin que haya una controversia concreta acerca
de la aplicación de la Ley en un caso específico, ni un debate pleno entre voceros de las
diferentes tesis.
b) La Supremacía Judicial en la Interpretación Constitucional y el Trasplante del Judicial
Review.
En un afán por construir una sociedad más justa y democrática los nuevos miembros de
Sala de lo Constitucional de la Corte Suprema de Justicia de El Salvador, tomaron posesión de
sus cargos decididos a cambiar el papel que en el pasado había jugado la Corte. Uno de los
principales objetivos de estos nuevos miembros fue intentar la recuperación de la legitimidad
perdida por la institución judicial para lo cual procedieron a trasplantar la doctrina de la
supremacía constitucional del Órgano Judicial, el cual ha sido aplicado emulando al instituto del
Judicial Review, derivado de la tradición del Common Law, en su manera más pura y radical.
La interpretación judicial es la única susceptible de tener efectos jurídicos por estar reali-
zada por el órgano constitucionalmente facultado para ello. No obstante, el principio de Su-
premacía Judicial, es decir, el poder de imposición de la decisión judicial que interpreta la
norma constitucional, es un principio cuya legitimidad democrática aún se debate. Es decir
que no es posible argumentar que existe un reconocimiento jurídico-doctrinal homogéneo en
la comunidad jurídica internacional, y si bien, en algunos países, como los Estados Unidos, el
principio se aplica de facto, en tanto que el poder ejecutivo y el legislativo han tendido en la
actualidad a aceptar que sea la Corte Federal la que tenga “la última palabra”, se debe a una
práctica del sistema político, la cual no siempre ha sido así, ni tampoco significa que no tenga
arduas críticas.
De hecho, los límites a la interpretación judicial no son un asunto ajeno a las largas
tradiciones democráticas en países con procesos civilizadores avanzados y con instituciona-
lidades legitimadas fuertemente. Así vemos que en la historia del constitucionalismo
estadounidense se fue desarrollando una práctica que apelaba a la prudencia del juez en el
ejercicio de su poder de decisión, y que es llamada la doctrina del “self-restraint”. Esta doc-

Conflictos constitucionales e integración regional: la CCJ y El Salvador 121


trina se basa en la idea de que el juez deber ser responsable y debe ponderar las consecuencias
sociales y políticas de sus decisiones, pues la decisión no se limita a determinar derechos o
inconstitucionalidades, sino que tiene una finalidad de utilidad práctica: la de proveer
solución a los conflictos de manera justa y racional evitando agudizar el conflicto o abrir otros
nuevos 23.
La doctrina del judicial restraint está unida a la idea de “reparar y no resolver” y ha sido
defendida por Burt, quien ha expresado que la supremacía judicial en cuanto a la interpre-
tación constitucional es inapropiada y una concepción diferente de autoridad judicial, en la
cual la Corte Suprema, sea igual y no jerárquicamente superior a los otros poderes del Estado,
es preferible tanto en principio como en práctica, pues la coerción (o en este caso la impo-
sición de la decisión), en cualquiera de sus formas, es el enemigo de la vida democrática 24.
En una línea aún más crítica, se encuentra la propuesta doctrinaria de Mark Tushnet y los
Critical Legal Studies. Tushnet ha sostenido que la autoridad sobre la interpretación constitu-
cional debe ser “arrebatada” de las Cortes 25 y devuelta al legislativo y al pueblo, pues son los
partidos políticos, no la Corte Suprema de Justicia, los verdaderos motores del cambio cons-
titucional en el sistema americano y son por tanto los ciudadanos quienes deben usar acciones
políticas directas para definir y proteger sus derechos y libertades. Por ello en su propuesta, el
Profesor de Yale se enfoca en que las reformas a la Constitución pueden servir como base
para el debate político. Tushnet considera que es más democrático, que los argumentos acerca
de las normas y doctrinas constitucionales, que ha sido típicamente decidido por los jueces, se
transformen en discusiones acerca de policy choices que deberán ser resultas por los ciudada-
nos y sus representantes.
También, usando la misma idea, se ha criticado el uso excesivo de la labor judicial de la
Corte Suprema colombiana: “quizás no sea aventurado decir que si para crear o modificar la
Constitución se requieren procedimientos que reflejen amplios y estables consensos sociales,
para interpretarla debería haber, también, procedimientos semejantes. Y que la bondad de
las interpretaciones constitucionales dependería del grado en que ellas reflejaran, gracias a
los procedimientos adecuados, la sustancia de los consensos sociales más amplios, los que,
por su misma naturaleza, no se forman de un día para otro, sino que están llamados a per-
manecer por décadas o por centurias” 26 ... El control constitucional, entonces, sufre de
hipertrofia, cuando permite que las decisiones legislativas de la Corte, positivas o negativas,
no reflejen consensos sociales amplios ... En las actuales circunstancias, todo indica que los
procedimientos que sigue la Corte para adoptar sus decisiones permiten que estas no sean la
expresión de amplios consensos sociales, sino, por el contrario, de “agendas” interesadas de
sus miembros o, lo que es peor, de la fuerza de “grupos de presión”.
Análisis críticos contra un uso de la actividad judicial de las Cortes Supremas o Tribu-
nales Constitucionales semejante, como el caso de la Corte Colombiana 27, la Venezolana 28 o

23
J. Kloppenberg, Deliberative Democracy and Judicial Supremacy: A Review of Robert A. Burt,The Con-
stitution in Conflict and Cass R. Sunstein, The Partial Constitution, en 13 Law and History Review, 2, 1995,
393-411.
24
Ver: R. Burt, Constitution in Conflict, Cambridge, The Belknap Press of Harvard Univ. Press. I992, 46,
25
Ver: M. Tushnet, Weak Courts, Strong Rights: Judicial Review and Social Welfare Rights in Comparative
Constitutional Law, Princeton NJ, Princeton, 2007.
26
H. Palacios Mejia, El control constitucional en el trópico, en Precedente, 2006, 3-19, in
http://hdl.handle.net/10906/413.
27
H. Palacios Mejía, El control constitucional en el trópico, cit.
28
A.R. Brewer-Carías, La Ilegítima Mutación de la Constitución por el Juez Constitucional yla Demolición
del Estado se Derecho en Venezuela, en Revista de Derecho Político, 75-76, 2009, 291-325.

LIDIA PATRICIA CASTILLO AMAYA 122


la Española 29, incluso llegan a catalogar el ejercicio extralimitado de sus funciones como
“agresivo” e incluso hasta “inconstitucionales y fraudulentos.
c) La supremacía de la Constitución Salvadoreña
En El Salvador, la supremacía de la Constitución está asegurada mediante la previsión en
el mismo texto constitucional salvadoreño que tiene un carácter semi-rígido al disponerse en
el art. 248 que el procedimiento de reforma “podrá acordarse por la Asamblea Legislativa,
con el voto de la mitad más uno de los Diputados electos. Para que tal reforma pueda decre-
tarse deberá ser ratificada por la siguiente Asamblea Legislativa con el voto de los dos ter-
cios de los Diputados electos. La reforma únicamente puede ser propuesta por los Diputados
en un número no menor de diez”. Pero que finaliza con las llamadas cláusulas pétreas: “No
podrán reformarse en ningún caso los artículos de esta Constitución que se refieren a la
forma y sistema de Gobierno, al territorio de la República y a la alternabilidad en el ejercicio
de la Presidencia de la República”.
Es también consecuencia del principio de supremacía y rigidez constitucional, que la
misma ha establecido todo un sistema de justicia constitucional de carácter mixto que com-
bina el llamado método difuso con el método concentrado de control de constitucionalidad.
Así el control difuso se da mediante la asignación a todos los jueces de la República, en el
ámbito de sus respectivas competencias y conforme a lo previsto en la Constitución y en la
ley, de la potestad de “declarar la inaplicabilidad de cualquier ley o disposición de los
otros Órganos, contraria a los preceptos constitucionales” (art. 185). El control concen-
trado se da, por otro lado, mediante la asignación a la Sala de lo Constitucional de la Corte
Suprema de Justicia como “único Tribunal competente para declarar la inconstitucionali-
dad de las leyes, decretos y reglamentos, en su forma y contenido, de un modo general y ob-
ligatorio” (art. 183).
Si la misma Constitución prescribe un proceso especial de reforma es otro elemento que
refleja que la misma acepta modificaciones para adecuarla a las nuevas exigencias sociales
que dicha facultad modificadora y adaptadora es atribuida al órgano legislativo. El intérprete
judicial no estaría facultado para sustituir la labor del legislador ordinario creando normas
dentro del ordenamiento jurídico invadiendo un ámbito de competencia legislativa que la
propia Constitución le ha otorgado a otro órgano constitucional.
d) La utilización de la interpretación extensiva como si se tratase de un caso de violación de
derechos humanos.
La primera de las sentencias es de las que pueden calificarse como interpretativas y que
ha tenido como efecto una mutación constitucional 30 o reforma implícita de la Constitución,
sin embargo, este cambio no pertenece a aquellos casos previstos por la doctrina como “muta-
ciones de la Constitución” que, según Jellinek 31, son el resultados de situaciones que respon-
den a la práctica del derecho, como cuando una legislación contraria a la constitución es sin
embargo aplicada, o cuando las mismas normas constitucionales caen en desuso, o cuando el
cambio lo impone “la fuerza de lo fáctico”.

29
S. Sánchez González, Reforma, Mutación y ... Quiebra Constitucionales, en Teoría y Realidad Consti-
tucional, 19, 2007, 295-310.
30
Entendidas las mutaciones como los cambios implícitos o no formales a la Constitución por medio de los
cuales las disposiciones constitucionales se adaptan a la realidad, sin sufrir alteración alguna en su texto pero sí
en su contenido o comprensión: ver. M. Carducci (a cura di), I mutamenti costizionali informali come oggetto di
comparazione, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, IV, 2009, 1643 ss.
31
Georg Jellinek, Verfassungsänderungund Verfassungswandlung, O. Häring, Berlín, 1906 (Reforma y
mutación de la Constitución, Madrid, Cepc, 1991), y Pedro de Vega García, La reforma constitucional y la
problemática del poder constituyente, Madrid, Editorial Tecnos, 1991.

Conflictos constitucionales e integración regional: la CCJ y El Salvador 123


Pero también es importante establecer que no estamos ante la presencia de sentencias
interpretativas, sino, más bien, ante una extralimitación de las competencias constitucional-
mente asignada a la Sala de lo Constitucional. En el Derecho alemán se utiliza la expresión
Umgehung des Gesetzes para describir la acción de rodeo, más que de vulneración directa de
una norma.
En español hablamos de fraude de ley para tipificar ese tipo de comportamientos; y en el
caso concreto que nos ocupa, el fraude de Constitución ha consistido en hacer ver como “acti-
vismo judicial” lo que en realidad es una reforma constitucional eludiendo los pasos previstos
en la Constitución para tal fin 32.
La doctrina reconoce las reformas (también llamadas revisiones) a la Constitución como
“aquella actividad normativa tendente a modificar, parcial o totalmente, una Constitución a
través de órganos especiales, o procedimientos particulares diversos de los establecidos para
la legislación ordinaria, y que, en la medida en que por ella se colman lagunas o se com-
plementan y derogan determinados preceptos, producirá siempre una alteración, expresa o
tácita, del documento constitucional” 33. Dichos procedimientos especiales de reforma consti-
tucional son generalmente más difíciles y complejos en razón del carácter y rango de la con-
stitución y sobre todo por ser ésta la organizadora de la vida de la comunidad política, la cual
debe obedecer a los principios de estabilidad y permanencia.
La mutación constitucional, producto de la interpretación extensiva de ciertos derechos y
principios permitió mejorar la tutela de derechos fundamentales que habían sido violados
sistemáticamente en los regímenes antidemocráticos que se establecieron en toda Latino-
américa por muchos años.
Mucho se debe a los jueces, como en el caso de la Corte Interamericana de Derechos
Humanos (CIDH), el haber garantizado la efectiva defensa de los derechos humanos a nivel
jurisdiccional contribuyendo con ello su progresiva constitucionalización. Sin embargo, este
proceso fue progresivo y sobre todo sistemático. La CIDH citaba jurisprudencia de otros
Tribunales con una tradición democrática más madura y por tanto de mayor “prestigio”, con
la idea de encontrar en sentencias extranjeras elementos que permitieran reafirmar sus deci-
siones. Recurrir a la doctrina de reconocidos juristas de diversa nacionalidad permitió fortale-
cer los argumentos.
Los tribunales constitucionales empezaron a incorporar jurisprudencia de la Corte Intera-
mericana de Derechos Humanos en cuanto que la interpretación del contenido de esos dere-
chos dio a los jueces argumentos jurídicos para invocar ciertos principios en sus interpretacio-
nes a nivel nacional. Así, la interpretación extensiva no se basaba en la idea u opinión que hu-
biesen tenido los jueces (o en su alta moralidad) sobre la conveniencia de tutelar derechos hu-
manos por vía constitucional, sino en todo un bagaje doctrinal y jurisprudencial, y en que el
uso de reglas de argumentación jurídica rigurosamente utilizadas, constituyeron las columnas
sobre las que se basaron sus decisiones.
La labor jurisprudencial de la Corte Interamericana de Derechos Humanos no habría
llegado a ser tomada “en serio” si no hubiese escogido el lento, pero seguro, proceso de con-
struir verdaderas interpretaciones que luego serían aceptadas y utilizadas por las demás Cortes
y Salas Constitucionales de los distintos países latinoamericanos comprometidos con el respe-
to de la dignidad humana como base del ejercicio del poder estatal.
Su éxito radica en haber construido paralelamente a su jurisprudencia, la propia legitimi-
dad.

32
M. Carducci, Il lessico comparato della “frode” alla Costituzione, in Diritto Pubblico Comparato ed Eu-
ropeo, IV, 2007, 1237 ss.
33
P. De Vega, La reforma constitucional, cit., 162.

LIDIA PATRICIA CASTILLO AMAYA 124


e) Decidir sobre la forma y límites del ejercicio de la potestad del Poder Legislativo para
realizar el nombramiento de Jueces en las Cortes Constitucionales
En un estudio comparado realizado por investigadores y profesores de varias Universida-
des Italianas, cuyas conclusiones fueron publicadas el año pasado 34, con relación a la Compo-
sición, Estructura y de las Cortes Constitucionales como base para su legitimación democrá-
tica, reveló que la forma escogida por las constituciones de cada país es muy variada y di-
ferente. Los investigadores analizaron las peculiaridades de cada estructura y sobre todo en la
forma en la que son elegidos los miembros de las Cortes y como esta incide en la independen-
cia de los jueces y la legitimidad democrática del órgano judicial.
Este estudio hubiese podido iluminar a la Sala de lo Constitucional sobre un dato impor-
tante: que no existe unanimidad de criterios sobre cual es la “mejor” manera mediante la cual
los jueces deban ser designados para que el proceso sea considerado como respetuoso de la
democracia representativa. Así, en los Estados Unidos, los magistrados son designados de por
vida por el órgano ejecutivo (el Presidente) y esta designación ratificada por el Senado. La
designación de por vida trae como consecuencia que un Presidente ejercerá su atribución de
nombrar nuevos “justices” sólo a medida que éstos se retiren en razón de su ancianidad o por
destitución. Es así que algunos Presidentes no llegan nunca a ejercer esta atribución (como
fue el caso de Nixon) y algunos (como Bush) llegan a designar a casi un tercio de la Corte
Suprema quienes muchas veces han llegado a permanecer en sus cargos hasta por 26 años.
A la luz del contenido del principio de democracia representativa que la Sala de lo Consti-
tucional Salvadoreña ha desarrollado, el proceso de elección de magistrados en los Estados
Unidos es antidemocrático en todos sus aspectos. ¿Por qué la democracia más fuerte al mundo
acepta elecciones de magistrados de este tipo, que violentan los sagrados corolarios de plu-
ralidad atrás de la elección de las preferencias políticas y de la independencia judicial a través
de la renovación periódica? La respuesta es obvia: porque ni el principio es entendido en esas
dimensiones, ni existe un consenso de que el principio excluya, por antonomasia, métodos
que impidan a los poderes que eligen magistrados hacerlo con o sin cierta periodicidad, dado
que no está probado que estos incidan directamente con la independencia judicial ni que
atentan contra el pluralismo democrático.
Cualquiera que sea la forma en que los distintos Estados de larga tradición democrática
hayan convenido conformar sus Cortes Constitucionales, algunas las han organizado a nivel
legislativo, otras a nivel constitucional. Esto refleja que, debido a que se trata de una decisión
que tiene por objeto la consideración de elementos políticos importantes, estas decisiones
sobre organización, requisitos y alternancias de jueces constitucionales, deben estar sujetos a
procesos de deliberación democrática que solo pueden darse al seno de un órgano legislativo
y no pueden ser objeto de decisión de unos cuantos jueces.
Por tanto, la mutación constitucional no sería aceptable en este caso, más no solo porque lo
que se está determinando es la limitación de atribuciones de un poder soberano estatal, sino
porque la misma Corte, por su estructura y composición, no constituye la plataforma deliberativa
que propicie un debate lo suficientemente amplio y pluralista con capacidad de decidir sobre la
forma en la que el pueblo concibe el sistema democrático que ha elegido para gobernarse, a pesar
de hacer referencia a varios otros artículos de la constitución como intentando hacer ver que ha
realizado una interpretación sistemática considerando otras normas relacionadas.

34
Ver: M. Calamo Specchia (a cura di), Le Corti costituzionali. Composizione, indipendenza, legittimazio-
ne, Torino, Giappichelli, 2011.

Conflictos constitucionales e integración regional: la CCJ y El Salvador 125


6. El debate sobre la interpretación de la Constitución Salvadoreña y la aplicación
del Estatuto de la Corta Centroamericana de Justicia

Es importante dejar claro que el debate público objeto de nuestro estudio versa sobre dos
objetos estrictamente jurídicos: 1) la interpretación y la aplicación de la Constitución salva-
doreña; y 2) la aplicación del Estatuto de la Corte Centroamericana de Justicia. El primero es
objeto de una rama del derecho que se dedica a su especial estudio: El Derecho Constitu-
cional, y el segundo es objeto de otra rama del derecho dedicada igualmente a su estudio espe-
cífico: el Derecho de la Integración Centroamericana 35. Este último sin embargo, se encuentra
íntimamente relacionado con el Derecho interno de los Estados Miembros de la Comunidad
en cuanto a su aplicación, por lo que es al mismo tiempo también objeto del Derecho Consti-
tucional.
Es claro que en el proceso de interpretación y aplicación de toda norma jurídica, sea de
derecho constitucional o de derecho comunitario centroamericano, puede producirse un desa-
cuerdo entre los distintos actores jurídicos. Este desacuerdo en cuanto al sentido de una norma
es una consecuencia normal y esperable, en tanto que el Derecho se auxilia de las palabras
para concretarse en la realidad y estas palabras tendrán un significado cuyo alcance y límites
deben ser acordados por una comunidad de intérpretes de las cuales la comunidad científica
ejerce un papel especial.
Los debates sobre la interpretación de la constitución, conciernen a todos aquellos que
“vivimos la constitución” en palabras del profesor alemán de Derecho Constitucional, Peter
Häberle, quien en sus propuestas sobre la “sociedad abierta de los intérpretes constituciona-
les” 36 considera que, siendo la constitución una construcción cultural e histórica que cristaliza
las normas consensuadas que regirán a toda una comunidad, todos sus miembros están le-
gitimados a interpretarla y por tanto a colaborar a la mejor aplicación de sus preceptos y logro
de sus objetivos.
Sin embargo, para que el debate sobre asuntos jurídico-constitucionales (de consecuente
alcance político) sea verdaderamente serio y contribuya efectivamente a la construcción de las
bases una sociedad democrática y pacífica, el mismo debe estar basado en conocimientos
jurídico-constitucionales sólidos avalados por estudios igualmente serios, es decir que los
participantes en el debate, sean académicos, juristas especializados, representantes políticos, o
la sociedad civil en general, deben tener a su disposición un cúmulo considerable de fuentes
de conocimiento sobre el objeto de la controversia, los cuales deben servir para justificar las
posturas y los argumentos que se expongan. Así, las decisiones judiciales deben basarse en la
deliberación, no sólo política, sino también académica, para crear decisiones legítimas,
fuertemente fundamentadas.
Así, el desacuerdo en lugar de ser elemento “negativo” que incentiva el conflicto y la
confrontación debe ser manejado a un nivel de debate, dentro del cual se exponen las dife-
rentes propuestas permitiendo la fundamentación y la profundización en los elementos en
conflicto con el fin de entablar un acuerdo mediante la deliberación. La propuesta que mejor
este fundamentada debería ser en principio la estimada como la “mejor”. Esta calidad sin
embargo no deriva de que la misma resuelva definitivamente la cuestión o presente una única

35
El cual puede ser definido como “las normas que determinan la organización, las competencias y
funcionamiento de la Comunidad de estados centroamericanos, y que han creadas por un ordenamiento jurídico
autónomo, independiente del derecho interno de los Estados Miembros de la Comunidad y del Derecho
Internacional”. Ver C.E. SalazarGrande, E. Ulate Chacón, Manual de Derecho Comunitario Centroamericano, ,
San Salvador, ed. Orbi Iure2009, 199.
36
Métodos y principios de la interpretación constitucional: un Catálogo de Problemas, en http://www.ugr.es
/~redce/REDCE13/articulos/Haeberle.htm.

LIDIA PATRICIA CASTILLO AMAYA 126


solución verdadera o perfecta, sino que dependerá de la calidad de su fundamentación y
justificación; es decir en cuanto a su razonabilidad y racionalidad. Estos elementos son mejor
garantizados cuando se hace uso de un riguroso método jurídico.
Es por tanto la comunidad de especialistas, de estudios del Derecho, la cual se encuentra
en la mejor posición para guiar el debate y evitar así la confusión o la manipulación de los
significados y métodos sobre los cuales ella posee “experticia” y conocimientos especializa-
dos. Si bien el Derecho Constitucional es una rama jurídica “límite” entre las ciencias jurídi-
cas y las ciencias políticas, pues ambas tienen por objeto de estudio la Constitución, es impor-
tante reconocer que cada una estudia procesos distintos y usa una terminología propia que
responde a un desarrollo doctrinal igualmente propio y no siempre los términos serán equiva-
lentes entre sí.
En un Estado de Derecho maduro, se presume que los jueces son “expertos” en el De-
recho y que sus conocimientos son prioritariamente desarrollados para realizar una actividad
eminentemente jurídica, la cual es la resolución de controversias a través de la interpretación
y la aplicación de las normas jurídicas en un determinado orden jurídico nacional o interna-
cional, función que llevará a cabo haciendo uso de una cantidad de instrumentos y mediante el
uso de métodos desarrollados al efecto por las ciencias jurídicas.
A este desacuerdo, en cuanto al sentido original de la norma jurídica constitucional o de
alcances constitucionales, la doctrina usa diferentes términos para referirse a ella, depen-
diendo de su trascendencia. Así pueden ser llamadas: “cuestiones constitucionales” o “contro-
versias constitucionales”. Por tanto, como vemos el uso de ciertas palabras o términos tienen
una significación técnica desarrollada en el campo de determinada área del conocimiento
específico, sea el derecho, las ciencias políticas, la sociología, etc. Por tanto cada palabra
usada en el debate responde a un concepto desarrollado dentro de esa ciencia, y no debería ser
la representación de conocimiento común o lego o de una simple opinión.
Queremos dejar claro que el en debate público, no han sido usadas estas dos denomina-
ciones, más bien se ha enfatizado el carácter político del desacuerdo y se ha usado repetida-
mente el término “Crisis Constitucional”, la cual exacerba la gravedad del mismo.

7. El lenguaje en el debate público

Debido al uso muchas veces de lenguaje técnico jurídico que hacen referencia a catego-
rías y principios político-constitucionales, pareciera que se discute sobre las posturas o inter-
pretaciones constitucionales posibles sobre las cuales podría o deberían resolverse las contro-
versias en cuestión, sin embargo, los argumentos lejos de ser el fruto de estudios serios vali-
dados por una comunidad académica consolidada o por referencias a jurisprudencia de casos
similares u otra fuente de conocimiento jurídico sobre los temas, no son más que simples opi-
niones personales (expresiones de una amplia gama de intereses, creencias y hasta de deseos)
sin ningún valor para el debate democrático serio.
Esta contraposición de opiniones evidencia características que nos permite calificarla de
poco científica, antagónica e intrínsecamente violenta. Ella refleja una particular forma de
cultura jurídica basada en la prevalencia de la opinión por medio de la fuerza (aunque ésta
esté reconocida y legitimada constitucionalmente), dentro de cuya lógica el órgano dotado de
poder por el ordenamiento jurídico lo ejercita sin consideración de las consecuencias que su
actuación tendrá sobre la cultura institucional del país.
Incluso más allá de la ausencia de elementos de peso científico que permitan legitimar las
decisiones, todos los intervinientes en el desacuerdo interpretativo relacionado con el nombra-
miento de los magistrados de la Corte Suprema, en lugar de proceder a debatir (o no debatir

Conflictos constitucionales e integración regional: la CCJ y El Salvador 127


incluso) conforme a la razón y buscando conocer aquellos principios del derecho constitucio-
nal que podrían dar una solución razonada y pacifica que fortaleciera la gobernabilidad en el
país, han preferido echar mano de argumentos superficiales con un alto grado de violencia
ideológica disfrazada de teoría, para intentar imponer sus ideas, por la fuerza y no por la
razón, sobre las de aquellos que considera sus rivales políticos, e intencionalmente invocando
una crisis constitucional con consecuencias lamentables sobre el respeto a la supremacía del
derecho sobre la fuerza y debilitando aún más la ya golpeada institucionalidad en el país.
Una característica de la discusión o el debate es la de la manipulación de las palabras con
fines exacerbar las diferencias y exagerar los efectos. Esto conlleva el peligro inmediato de
provocar la inestabilidad política y social.
El uso de palabras como “crisis constitucional” cuando en realidad de estaba en presencia
de una “controversia constitucional” en cuanto a la interpretación del contenido de la norma
constitucional que establece atribuciones de la Asamblea Legislativa, o las alusiones a “golpe
de estado” cuando se estaba en presencia de un “conflicto entre poderes” respecto a dos inter-
pretaciones diversas de ambos órganos respecto a la norma constitucional en cuestión, son el
reflejo de ese uso manipulativo de las conceptos. Este tema ha sido ampliamente desarrollado
en Italia 37.
Este comportamiento de los funcionarios estatales involucrados, los medios de comu-
nicación y de las elites intelectuales salvadoreñas, conforman dinámicas de contraposición y
de abuso del poder que fomentan una cultura maniqueísta que obliga a los ciudadanos a tomar
partido por posiciones extremas y sin fundamento, una cultura basada en la violencia a través
de la palabras donde el conflicto es inevitable.
Es más bien sintomática de una cultura que adolece de una particular debilidad en la
manera en las que los actores sociales construyen su conocimiento y por consiguiente la
legitimación de sus instituciones y su propia identidad cultural.
Este “opinionismo” auto-referente y egocéntrico, es reflejo de figuraciones y de actitudes
inconscientes que durante siglos de historia han ido conformando la mentalidad y la cultura
salvadoreña, la cual ha permeado en todos los ámbitos institucionales –incluida la Sala de los
Constitucional – y sociales – incluida la comunidad científica y los medios de opinión pú-
blica, prescinde de toda especie de deliberación y debate científico.
Los medios de comunicación se prestan dentro de este mismo esquema a reproducir los
discursos violentos y sin argumentación sólida, y a usar lenguaje violento y estigmatizante,
haciendo análisis ligeros y tendenciosos, abusando así de su poder para influenciar a la opi-
nión pública e impidiendo a las masas estar mejor informadas sobre sus opciones, propiciando
un consenso político que estabilice las relaciones dentro de una sociedad que aspira a
construirse sobre la base de una democracia plural y participativa. Por ejemplo, en el debate
público pasean adjetivos como “autoritario”, “antidemocrático” o “traidores de la patria”.
Por ejemplo, un artículo de opinión del editorial de un periódico electrónico salvadoreño,
estimado por la calidad de su periodismo investigativo y su imparcialidad, es muy perspicaz
al observar este esquema de imposición de ideas y opiniones utilizando el poder que ofrecen
los cargos de gobierno, reproducido en las actitudes de los diputados del partido de izquierda
denominado FMLN, más falla en lo limitado del alcance de sus consideraciones.
Este esquema actitudinal que se atribuye a los funcionarios adeptos al partido mencio-
nado, que dicho periódico llama “autoritario” y que parangona a la actitud de los pasados
gobernantes, de preferencia política de derecha, es un esquema actitudinal que se refleja en

37
Ver: R. Bin, L’“ultima fortezza”. Teoria della Costituzione e conflitti di attribuzione, Milano, Giuffrè,
1996; P. Veronesi, I poteri davanti alla Corte. “Cattivo uso” del potere e sindacato costituzionale, Milano,
Giuffrè, 1999, y M. Perini, Il seguito e l’efficacia delle decisioni costituzionali nei conflitti tra poteri dello Stato,
Milano, Giuffrè, 2003.

LIDIA PATRICIA CASTILLO AMAYA 128


todos los participantes del debate público. Así como estos grupos políticos hacen un uso de su
poder de decisión para intentar imponer sus intereses y preferencias políticas, no están menos
legitimados que la misma Sala de lo Constitucional que ha emitido sus sentencias haciendo
uso de un poder de decisión equitativo y quizá mayor al que los diputados de izquierda
puedan tener para imponerse al interior de la Asamblea.
La discusión está plagada de adjetivos despectivos y muchas veces hasta demonizantes para
referirse a aquellos que expresan una opinión o una preferencia política diversa, que no son
fruto de apasionamiento intelectual, como habría de esperarse en contextos de cambio social,
sino expresiones de un discurso con una alta carga de violencia “por medio de la palabra”.
Un análisis lingüístico, o análisis de discurso, nos permite determinar que ciertas palabras
aluden a conceptos con contenidos que aún no están fuera del debate académico y cuyo con-
tenido debe ser construido sobre la base de una práctica continua que permita legitimarlo y
por tanto, ser reputado como correcto por consenso de los intervinientes en el debate.

8. Reflexiones finales

¿Es posible declarar la inconstitucionalidad de un acto sobre la idea de una regla que no
existía al momento de realizarse el acto?
El órgano legislativo no podía conocer esta norma creada por vía interpretativa, pues ha
sido creada hasta este momento. No hay evidencia de que el principio y la regla derivada
fueran previsibles, pues ni siquiera la misma Sala pudo encontrar antecedentes en su jurispru-
dencia, ni en la jurisprudencia extranjera, ni en el derecho comparado. ¿Cómo podía entonces
el órgano legislativo haber podido cumplir con la constitución sino era del conocimiento
previo de que la misma estaba regulando sus atribuciones por vía indirecta de un principio de
contenido no precisado?
Por otro lado, el contenido dado al referido principio, es un contenido que responde a la
idea que los jueces personalmente tienen del significado de democracia representativa. Y con
esta nueva norma constitucional procede a restringir las atribuciones del órgano legislativo y a
invalidar las actuaciones que (sin vicios en su procedimiento) realizó el órgano legislativo en
dos ocasiones por haber sido tomadas sin consideración de este principio.
La Sala de la Corte Suprema Salvadoreña prescinde como hemos ya verificado, de cual-
quier fuente metodológica, como las utilizadas por Cortes de fuerte legitimidad institucional,
y procede a dar su opinión sobre lo que cree debería ser la manera como el sistema de gobier-
no salvadoreño debe funcionar creando en consecuencia una norma constitucional donde ella
considera existía una laguna del constituyente, cuya voluntad asegura conocer. Sin embargo,
su decisión, al carecer de ninguno de los métodos aceptados por la ciencia de la interpretación
originaria como la seguida por los jueces estadunidenses carece de previsibilidad y legitimidad.
El primer fallo implica una abierta e injustificada aceptación de una lectura contradictoria
de la idea de democracia inscrita en la Constitución, que además omite la obvia posibilidad de
optar por otras igualmente posibles, incluso hasta más justificadas y constitucionalmente
menos irritantes. Desconoce visiones más robustas de la democracia, que toman a la crítica
política y a la participación ciudadana como elementos constitutivos de la misma, como es el
caso de la democracia deliberativa.
Usando el argumento de la violación de un principio deducido de la interpretación de la
voluntad del constituyente y que según la Sala debe regir la manera en la que el Legislativo
puede ejercer su competencia o atribución de elegir jueces y magistrados, para el caso el
ejercicio de su atribución no queda al arbitrio del órgano legislativo, sino que está plenamente
determinado y limitado por inferencia de este principio.

Conflictos constitucionales e integración regional: la CCJ y El Salvador 129


Los magistrados de la Sala parecen estar guiados por el nuevo paradigma del Estado
Constitucional y Democrático de Derecho, el cual consiste básicamente en que toda norma
constitucional – independientemente de su estructura o contenido normativo – es una norma
genuina, vinculante y susceptible de producir efectos jurídicos.
Sin embargo, aunque dicho paradigma nos ofrezca toda una gama de posibilidades de
realizar cambios estructurales urgentes en la organización de sociedades que han sufrido la
injusticia y la exclusión de las mayorías empobrecidas, debemos hacer uso de este nuevo
“poder creativo”, que los órganos jurisdiccionales derivan de su atribución para decidir cual-
quier controversia, conforme a la Constitución y sus principios: “Nada hay más distorsio-
nador para el funcionamiento del Estado de Derecho que el hecho de que las decisiones judi-
ciales se interpreten como motivadas por razones extrañas al Derecho y las argumentaciones
que tratan de justificarlas como puras racionalizaciones”.
Son varios los autores latinoamericanos que ya advierten sobre como las indeterminacio-
nes normativas y el uso de principios constitucionales “conllevan el peligro de la utilización
de los criterios propios del juez” y que proponen una metodología que aporte al razonamiento
jurídico de los elementos necesarios y exigir a los jueces una mayor justificación de sus
decisiones 38.

9. Conclusiones: el conocimiento como producto del proceso civilizatorio

Pero ¿es posible que en un determinado sistema jurídico, el elemento determinante que
influye sobre la creación del acto jurídico no sea ninguno de los formantes jurídicos
analizados ni siquiera una práctica o un criptotipo?
¿Ante qué clase de acto jurídico y por consiguiente ante qué tipo de sistema jurídico nos
encontramos si existe la posibilidad de que una decisión judicial de una Corte Suprema pueda
prescindir de utilizar la norma escrita (en la Constitución o en las leyes) o de la jurisprudencia
precedente sobre casos similares de la Corte misma o de la extranjera, o de la doctrina
esclarecedora nacional o extranjera que aporta los elementos teóricos para la creación de deci-
siones mejor argumentadas?
¿Cuáles son entonces los elementos que ejercen una influencia determinante en el sistema
jurídico salvadoreño sino es ninguno de sus elementos integrantes esenciales, ni el reflejo de
una praxis consolidada que coadyuva a informar a dichos elementos?
¿Se trata tal vez de elementos no jurídicos externos al sistema, que influencian a los agen-
tes jurídicos encargados de interpretar y aplicar el derecho al punto de hacer desplazar el cará-
cter jurídico del sistema?
Si esto fuera así, ¿ qué clase de influencias son estas? ¿Cuáles son sus orígenes y cuáles
objetivos persiguen?
La manera en que las decisiones de la Sala de lo Constitucional han sido construidas, es
decir el método, o la ausencia de éste, utilizado por los jueces, nos ofrece la respuesta y nos
indicará sobre las posibles influencias no jurídicas ejercidas sobre éstas.
Lo cual nos lleva a hacernos una pregunta más: ¿Puede considerarse válidamente como
un acto “jurídico”, aquel que prescinda de los formantes jurídicos o legales y que para su for-
mación utilice elementos ajenos al derecho?
Y una vez nacido a la vida jurídica, ¿puede este acto ser legitimado en cuanto a su
construcción por el sistema jurídico, o más bien es legitimado solo formalmente por la acep-

38
J. Aguiló Regla, Independencia e imparcialidad de los jueces y argumentación jurídica, en Isonomía, 6,
1997, 71-83.

LIDIA PATRICIA CASTILLO AMAYA 130


tación de la sociedad que considera a los actos jurídicos válidos sólo en razón de la autoridad
formal del órgano que lo ha emitido, más no por su configuración jurídica interna?
¿Ante qué clase de sociedad nos encontramos entonces, cuando actos desprovistos de un
contenido jurídico válido son reputados como tales y pretenden ejercer una influencia sobre la
organización política y jurídica de la misma y sobre el curso de sus procesos democráticos?
La opinión es una idea sin fundamentos metodológicos, está basada no en el conoci-
miento del objeto sobre el cual nos expresamos, sino sobre suposiciones, intuiciones, incluso
deseos de lo que quisiéramos este determinado objeto fuese, y por tanto está íntimamente
relacionada con nuestros sentimientos, nuestras pasiones, y es ahí donde radica una de sus
más peligrosas debilidades: es fácilmente susceptible de ser modificada e influenciada pues
no se basa en un proceso racional.
A la sociedad salvadoreña parecen aplicarse fielmente las consideraciones generales que
realiza Elias en cuanto a la escasez general del conocimiento científico para la explicación de
conflictos humanos, en los cuales todos participamos en mayor o menor medida, el cual
requiere un nivel de autocontrol que los agentes salvadoreños no han alcanzado.
Elias distingue tres tipos de controles básicos que señalan el grado de desarrollo y com-
plejidad de una sociedad 39: 1) el control de los hombres sobre la naturaleza a través del
desarrollo de la ciencia y la tecnología; 2) el control sobre las relaciones de los hombres entre
sí mediante la organización social tanto a nivel nacional como internacional; y 3) el nivel de
autocontrol que cada uno de los individuos ha llegado a alcanzar sobre sí mismo y que
corresponde al proceso de la civilización.
La sociedad salvadoreña refleja un nivel muy bajo de control sobre estos tres aspectos y
consecuentemente su nivel de desarrollo y complejidad quedan automáticamente al descu-
bierto. La actual “crisis constitucional” que llevó a la paralización temporal de las institucio-
nes de gobierno en El Salvador, como es el caso de la Corte Suprema de Justicia, son un fiel
reflejo del bajo control que la sociedad salvadoreña tiene sobre su organización y específica-
mente en el caso que nos ocupa, sobre la organización política y el funcionamiento de sus in-
stituciones, así como del bajo nivel de autocontrol de los actores sociales intervinientes en el
debate jurídico apuntado.
Elias da la respuesta para este tipo de contextos explicando que “la percepción selectiva
de los seres humanos tiende a no prestar atención a explicaciones en términos de expli-
caciones científicas de los procesos sociales de largo plazo porque a pesar de que quizás son
más realistas, emocionalmente son indiferentes y no sirven como objetos de descarga de in-
tensos afectos” 40.
Así, muchas de las expectativas sociales como el logro de la paz, desarrollo y la instau-
ración de la democracia, por ejemplo, “tienen más su origen en anhelos y deseos soñados que
en una evaluación acertada de la capacidad de los hombres de controlar los efectos no
planeados de los procesos sociales de largo plazo (…) expresan los propios deseos y, en este
sentido, representan una satisfacción emocional, pero son tan poco efectivas como ‘otras
prácticas mágicas’. Hay pocos intentos, incluso a nivel del conocimiento, de llegar a la raíz
del asunto…”. Y concluye afirmando que el control sobre las relaciones sociales “depende de
aquellas agencias establecidas que cuentan con las oportunidades de poder para hacer uso
de estas predicciones y ponerlas en práctica. Con frecuencia esas agencias son ciegas. Fre-
cuentemente son incapaces de aceptar un conocimiento que parece amenazar sus fuentes de
poder y que parece socavar su estatus y prestigio”.

39
N. Elias, El proceso de la Civilización, México DF, Fce, 1979.
40
N.Elias, ¿Cómo pueden las utopías científicas y literarias influir sobre el futuro? en V. Weiler (comp.),
Figuraciones en proceso, Santafé de Bogotá, Utópica Ediciones, 1998, 15-44.

Conflictos constitucionales e integración regional: la CCJ y El Salvador 131


Es nuestra tesis que la Sala de lo Constitucional, como agencia con la oportunidad para
hacer uso del conocimiento jurídico-científico, ha actuado con un nivel de auto-control muy
bajo con relación a la decisión tomada en las sentencias de inconstitucionalidad.
De los resultados de la comparación hemos verificado nuestra hipótesis sobre la manera
en que tanto la labor técnico-jurídica de los magistrados la Sala de Constitucional de El Sal-
vador que emitieron las sentencias, como de la estructura del “debate” público sobre las mis-
mas, reproducen y fomentan la cultura del “decisionismo”, del “opinionismo” y el uso abu-
sivo del poder, en tanto que ambos carecen de un elemento esencial para la construcción de
sociedades justas: fundamentación en un conocimiento científico sólido, verificable y que
pudiera dejar al descubierto el uso tergiversado de argumentos a primera vista convincentes;
situación especialmente peligrosa para la consolidación de la paz, el estado de derecho y la
gobernabilidad en El Salvador.
Privados de la capacidad de auto-reflexión y auto-contención, que están reservados solo a
aquellas sociedades democráticas maduras donde el conocimiento es tomado en serio, la
sociedad salvadoreña está inmersa en una cultura donde el conocimiento científico es escaso y
débil, y por tanto fácilmente manipulable por aquellos con la capacidad de influenciar la
opinión pública.

LIDIA PATRICIA CASTILLO AMAYA 132


VALERIO DE OLIVEIRA MAZZUOLI

Teoria geral do controle de convencionalidade


no direito brasileiro

SUMÁRIO: 1. Introdução. – 2. O controle de convencionalidade brasileiro e a teoria da dupla compatibilida-


de vertical material. – 3. O respeito à Constituição e o consequente controle de constitucionalidade. – 3.1.
A obediência aos direitos expressos na Constituição. – 3.2. A obediência aos direitos implícitos na
Constituição. – 4. O respeito aos tratados internacionais e os controles de convencionalidade (difuso e
concetrado) e de supralegalidade das normas infraconstitucionais. – 4.1. Os direitos previstos nos
tratados de direitos humanos. – 4.2. Os direitos previstos nos tratados comuns. – 5. Conclusão.

1. Introdução

A finalidade deste ensaio è apresentar a teoria geral do modelo brasileiro de controle da


convencionalidade das leis, tema que apenas recentemente ganhou adequado desenvolvimento
no Brasil 1.
Como teoria geral que pretende ser, há de aplicar-se a todos os casos em que um tratado
internacional de direitos humanos for afrontado por uma norma doméstica menos benéfica.
Quer seja um tratado sobre direitos civis e políticos, sobre direitos econômicos, sociais e cul-
turais, ou ainda sobre direitos de grupos e coletividades (como, v.g., um tratado de proteção
do meio ambiente), o certo è que deve servir como paradigma à produção normativa domésti-
ca e de meio de controle dessa mesma produção. Por fim, este ensaio versará ainda o caso dos
tratados internacionais comuns, que servem como parâmetro para o controle não de conven-
cionalidade, mas de supralegalidade das normas do ordenamento interno.
Em suma, o que se demonstrará nas linhas que seguem è que o modelo brasileiro atual de
controle das normas domésticas exige que se proceda à compatibilização vertical das leis (ou
dos atos normativos do Poder Público) não só tendo como paradigma a Constituição, mas
também os tratados internacionais (notadamente os de direitos humanos, mas não só eles) ra-
tificados pelo governo e em vigor no país.

2. O controle de convencionalidade brasileiro e a teoria da dupla compatibilidade


vertical material

É bem sabido que a EC 45/2004, que acrescentou o § 3.º ao art. 5.º da CF/1988, trouxe a
possibilidade dos tratados internacionais de direitos humanos serem aprovados com um quo-

1
A primeira obra publicada no Brasil especificamente sobre o tema è de nossa lavra: Mazzuoli, Valerio de
Oliveira, O controle jurisdicional da convencionalidade das leis, 2a ed. rev., atual. e ampl. São Paulo: RT, 2011
(Coleção “Direito e Ciências Afins”, vol. 4) [a 1ª edição desta obra è de 2009, baseada no Cap. II, Seção II, da
nossa Tese de Doutorado da UFRGS, defendida em 4/nov./2008; para a leitura completa da Tese, v. Mazzuoli,
Valerio de Oliveira, Tratados internacionais de direitos humanos e direito interno, São Paulo: Saraiva, 2010].

Teoria geral do controle de convencionalidade no direito brasileiro 133


rum qualificado, a fim de passarem (desde que ratificados e em vigor no plano internacional)
de um status materialmente constitucional para a condição (formal) de tratados “equivalentes
às emendas constitucionais” 2. Tal acréscimo constitucional trouxe ao direito brasileiro um no-
vo tipo de controle à produção normativa doméstica, até hoje desconhecido entre nós: o con-
trole de convencionalidade das leis. À medida que os tratados de direitos humanos ou são ma-
terialmente constitucionais (art. 5.º, § 2.º, CF) ou material e formalmente constitucionais (art.
5.º, § 3.º, CF) 3, è lícito entender que, para além do clássico controle de constitucionalidade,
deve ainda existir (doravante) um controle de convencionalidade das leis, que è a compatibi-
lização da produção normativa doméstica com os tratados de direitos humanos ratificados pe-
lo governo e em vigor no país.
Em outras palavras, se os tratados de direitos humanos têm “status de norma constitucio-
nal”, nos termos do art. 5.º, § 2.º, da CF/1988, ou se são “equivalentes às emendas constitu-
cionais”, pois aprovados pela maioria qualificada prevista no art. 5.º, § 3.º, da mesma Carta,
significa que podem eles ser paradigma de controle das normas infraconstitucionais no Bra-
sil 4. Ocorre que os tratados internacionais comuns (que versam temas alheios aos direitos
humanos) também têm status superior ao das leis internas. 5 Se bem que não equiparados às
normas constitucionais, os instrumentos convencionais comuns têm status supralegal no Bra-
sil, por não poderem ser revogados por lei interna posterior, como estão a demonstrar vários
dispositivos da própria legislação infraconstitucional brasileira, dentre eles o art. 98 do CTN 6.
Neste último caso, tais tratados (comuns) também servem de paradigma ao controle das nor-
mas infraconstitucionais, por estarem situados acima delas, com a única diferença (em relação
aos tratados de direitos humanos) que não servirão de paradigma do controle de convencion-
alidade (expressão reservada aos tratados com nível constitucional), mas do controle de su-
pralegalidade das normas infraconstitucionais 7.

2
Para um estudo aprofundado do significado do art. 5.º, § 3.º, da CF/1988, Mazzuoli, Valerio de Oliveira, O novo
§ 3.º do art. 5.º da Constituição e sua eficácia. RF 378/89-109, ano 101. Rio de Janeiro: Forense, mar.-abr. 2005.
3
Sobre essa distinção entre tratados materialmente constitucionais e material e formalmente constitucionais, bem
como para o seu melhor entendimento, veja-se o nosso estudo citado na nota anterior. Sobre o conceito materialmente
aberto de direitos fundamentais no direito constitucional positivo brasileiro, v. Sarlet, Ingo Wolfgang, A eficácia dos
direitos fundamentais, 6a ed. rev. atual. e ampl. Porto Alegre: Livraria do Advogado, 2006, 92-164.
4
Cf. Mendes, Gilmar Ferreira. Jurisdição constitucional: o controle abstrato de normas no Brasil e na
Alemanha, 5 a ed. São Paulo: Saraiva, 2005, 239.
5
V. a comprovação dessa assertiva em Mazzuoli, Valerio de Oliveira, Curso de direito internacional públi-
co, 6 a ed. rev., atual. e ampl. São Paulo: Ed. RT, 2012, 267-268; 384-385; e, especialmente, 386-391.
6
Para uma análise do art. 98 do CTN à luz da supremacia do direito internacional, v. Mazzuoli, Valerio de
Oliveira, Curso de direito internacional público, cit., 399-408.
7
È evidente que se poderia pensar (e tal raciocínio não estaria equivocado) que qualquer controle a envol-
ver a compatibilização de uma norma doméstica com um tratado internacional (qualquer que seja este, de direi-
tos humanos, ou não) seria um controle de convencionalidade. Tal è mesmo verdade, não havendo qualquer
problema neste raciocínio; toda convenção internacional (utilizando-se a nomenclatura “convenção” apenas
genericamente, podendo ser um “tratado”, “acordo”, etc.) è paradigma do controle de convencionalidade lato
sensu. Apenas preferimos nominar de controle de convencionalidade o exercido exclusivamente em relação aos
tratados de direitos humanos (que, no Brasil, podem ter status ou “equivalência” de emenda constitucional), ten-
do em vista que à luz da jurisprudência das cortes internacionais não se utiliza esta expressão quando se trata de
compatibilizar as obrigações do Estado relativamente aos tratados comuns. Outro motivo pelo qual preferimos
reservar a expressão “controle de convencionalidade” para a compatibilização das normas internas com os trata-
dos (apenas) de direitos humanos è o de não perder de vista que esses tratados igualam-se em hierarquia às nor-
mas constitucionais (daí a proximidade do neologismo “convencionalidade” com “constitucionalidade”); nesse
sentido, a expressão “controle de convencionalidade” andaria lado a lado à expressão “controle de constituciona-
lidade”. Assim, pareceu-nos melhor diferenciar a nomenclatura do controle que tem como paradigma os tratados
comuns (“controle de supralegalidade”) daquela relativa aos tratados de direitos humanos (“controle de conven-
cionalidade”). Mas, repita-se, não è tecnicamente incorreto nominar de “controle de convencionalidade” a com-
patibilização vertical das normas internas com quaisquer tratados internacionais (de direitos humanos, ou não)
ratificados pelo governo e em vigor no Estado.

VALERIO DE OLIVEIRA MAZZUOLI 134


Isto tudo somado demonstra que, doravante, todas as normas infraconstitucionais que vie-
rem a ser produzidas no país devem, para a análise de sua compatibilidade com o sistema do
atual Estado Constitucional e Humanista de Direito, passar por dois níveis de aprovação: (1) a
Constituição e os tratados de direitos humanos (material ou formalmente constitucionais) ra-
tificados pelo Estado; e (2) os tratados internacionais comuns também ratificados e em vigor
no país. No primeiro caso, tem-se o controle de convencionalidade das leis; e no segundo, o
seu controle de supralegalidade.
O estudo doravante realizado tem por finalidade analisar esta nova teoria, segundo a qual
as normas domésticas brasileiras também se sujeitam a um controle de convencionalidade
(compatibilidade vertical do direito doméstico com os tratados de direitos humanos em vigor
no país) e de supralegalidade (compatibilidade vertical do direito doméstico com os tratados
comuns em vigor no país), para além do clássico e já bem conhecido controle de constitucio-
nalidade. Frise-se que ênfase especial será dada ao primeiro novo tipo de controle referido: o
controle de convencionalidade das leis.
A primeira ideia a fixar-se, para o correto entendimento do que doravante será exposto, è
a de que a compatibilidade da lei com o texto constitucional não mais lhe garante validade no
plano do direito interno. Para tal, deve a lei ser compatível com a Constituição e com os trata-
dos internacionais (de direitos humanos e comuns) ratificados pelo governo. Caso a norma
esteja de acordo com a Constituição, mas não com eventual tratado já ratificado e em vigor no
plano interno, poderá ela ser até considerada vigente (pois, repita-se, está de acordo com o
texto constitucional e não poderia ser de outra forma) – e ainda continuará perambulando nos
compêndios legislativos publicados –, mas não poderá ser tida como válida, por não ter pas-
sado imune a um dos limites verticais materiais agora existentes: os tratados internacionais
em vigor no plano interno. Ou seja, a incompatibilidade da produção normativa doméstica
com os tratados internacionais em vigor no plano interno (ainda que tudo seja compatível com
a Constituição) torna inválidas 8 as normas jurídicas de direito interno.
Como se sabe, a dogmática positivista clássica confundia vigência com a validade da
norma jurídica. Kelsen já dizia que uma norma vigente è válida e aceitava o mesmo reverso,
de que uma norma válida è também vigente: em certo momento falava em “uma ‘norma váli-
da’ (‘vigente’)” e, em outro, na “vigência (validade) de uma norma” 9. Porém, na perspectiva
do Estado Constitucional e Humanista de Direito esse panorama muda, e nem toda norma vi-
gente deverá ser tida como válida. Não são poucos os autores atuais que rechaçam a con-
cepção positivista legalista de vigência e validade das normas jurídicas (v. infra) 10.
De nossa parte, também entendemos que não se poderá mais confundir vigência com va-
lidade (e a consequente eficácia) das normas jurídicas. Devemos seguir, a partir de agora, a

8
Cf., em paralelo, Bobbio, Norberto, O positivismo jurídico: lições de filosofia do direito, Trad. Márcio Pu-
gliesi; Edson Bini; Carlos E. Rodrigues. São Paulo: Ícone, 1995, 137-138.
9
V. o trecho ao qual aludimos: “Então, e só então, o dever-ser, como dever-ser ‘objetivo’, è uma ‘norma
válida’ (‘vigente’), vinculando os destinatários. è sempre este o caso quando ao ato de vontade, cujo sentido sub-
jetivo è um dever-ser, è emprestado esse sentido objetivo por uma norma, quando uma norma, que por isso vale
como norma ‘superior’, atribui a alguém competência (ou poder) para esse ato”. E mais à frente, leciona: “Se,
como acima propusemos, empregarmos a palavra ‘dever-ser’ num sentido que abranja todas estas significações,
podemos exprimir a vigência (validade) de uma norma dizendo que certa coisa deve ou não deve ser, deve ou
não ser feita” (grifos nossos) (Kelsen, Hans. Teoria pura do direito, 7a ed. Trad. João Baptista Machado. São
Paulo: Martins Fontes, 2006, 11).
10
Cf. Ferrajoli, Luigi, Derechos y garantías: la ley del más débil, Trad. Perfecto Andrés Ibáñez e Andrea
Greppi. Madrid: Trotta, 1999, 20; Gomes, Luiz Flávio, Estado constitucional de direito e a nova pirâmide
jurídica, São Paulo: Premier Máxima, 2008, 75; e Gomes, Luiz Flávio e Vigo, Rodolfo Luis, Do Estado de
direito constitucional e transnacional: riscos e precauções (navegando pelas ondas evolutivas do Estado, do
direito e da justiça), São Paulo: Premier Máxima, 2008, 19.

Teoria geral do controle de convencionalidade no direito brasileiro 135


lição de Ferrajoli, que bem diferencia ambas as situações 11. Para Ferrajoli, a identificação da
validade de uma norma com a sua existência (determinada pelo fato de se pertencer a certo
ordenamento e estar conforme as normas que regulam sua produção) è fruto “de uma simpli-
ficação, que deriva, por sua vez, de uma incompreensão da complexidade da legalidade no
Estado constitucional de direito que se acaba de ilustrar” 12. Com efeito, continua Ferrajoli, “o
sistema das normas sobre a produção de normas – habitualmente estabelecido, em nossos or-
denamentos, com nível constitucional – não se compõe somente de normas formais sobre a
competência ou sobre os procedimentos de formação das leis”, incluindo também “normas
substanciais, como o princípio da igualdade e os direitos fundamentais, que de modo diverso
limitam e vinculam o Poder Legislativo, excluindo ou impondo-lhe determinados conteúdos”,
o que faz com que “uma norma – por exemplo, uma lei que viola o princípio constitucional da
igualdade – por mais que tenha existência formal ou vigência, possa muito bem ser inválida e,
como tal, suscetível de anulação por contrastar com uma norma substancial sobre sua pro-
dução” (trad. livre) 13.
Com efeito, a existência de normas inválidas, ainda segundo Ferrajoli, “pode ser facil-
mente explicada distinguindo-se duas dimensões da regularidade ou legitimidade das normas:
a que se pode chamar ‘vigência’ ou ‘existência’, que faz referência à forma dos atos normati-
vos e que depende da conformidade ou correspondência com as normas formais sobre sua
formação; e a ‘validade’ propriamente dita ou, em se tratando de leis, a ‘constitucionalidade’
[e, podemos acrescentar, também a convencionalidade], que, pelo contrário, têm que ver com
seu significado ou conteúdo e que depende da coerência com as normas substanciais sobre
sua produção” (trad. livre) 14. Nesse sentido, a vigência de determinada norma guardaria re-
lação com a forma dos atos normativos, enquanto que a sua validade seria uma questão de
coerência ou de compatibilidade das normas produzidas pelo direito doméstico com aquelas
de caráter substancial (a Constituição e/ou os tratados internacionais em vigor no país) sobre
sua produção 15.
Em nosso país, è certo que toda lei vigora formalmente até que seja revogada por outra ou
até alcançar o seu termo final de vigência (no caso das leis excepcionais ou temporárias). A
vigência pressupõe a publicação da lei na imprensa oficial e seu eventual período de vacatio
legis; se não houver vacatio segue-se a regra do art. 1.º da LIDB da entrada em vigor após 45
dias. Então, tendo sido aprovada pelo Parlamento e sancionada pelo Presidente da República
(com promulgação e publicação posteriores) a lei è vigente 16 (ou seja, existente) 17 em territó-

11
Cf. Ferrajoli, Luigi, op. cit., 20-22. A dificuldade de precisão desses conceitos já foi objeto dos comentá-
rios de Kelsen, nestes termos: “A determinação correta desta relação è um dos problemas mais importantes e ao
mesmo tempo mais difíceis de uma teoria jurídica positivista. è apenas um caso especial da relação entre o de-
ver-ser da norma jurídica e o ser da realidade natural. Com efeito, também o ato com o qual è posta uma norma
jurídica positiva è – tal como a eficácia da norma jurídica – um fato da ordem do ser. Uma teoria jurídica positi-
vista è posta perante a tarefa de encontrar entre os dois extremos, ambos insustentáveis, o meio-termo correto”.
(op. cit., 235).
12
Ferrajoli, Luigi, op. cit., 20.
13
Idem, 20-21.
14
Idem, 21.
15
Idem, 21-22.
16
Perceba-se o conceito de vigência do ordenamento jurídico formulado por Alf Ross: “O ponto de que par-
timos è a hipótese de que um sistema de normas será vigente se for capaz de servir como um esquema interpreta-
tivo de um conjunto correspondente de ações sociais, de tal maneira que se torne possível para nós compreender
esse conjunto de ações como um todo coerente de significado e motivação e, dentro de certos limites, predizê-
las. Esta capacidade do sistema se baseia no fato das normas serem efetivamente acatadas porque são sentidas
como socialmente obrigatórias. (…) Conclui-se disso que os fenômenos jurídicos que constituem a contrapartida
das normas têm que ser as decisões dos tribunais. è aqui que temos que procurar a efetividade que constitui a
vigência do direito”. Perceba-se que, em tal conceito, se está a vincular a vigência da norma à sua capacidade de

VALERIO DE OLIVEIRA MAZZUOLI 136


rio nacional (podendo ter de respeitar, repita-se, eventual período de vacatio legis) 18, o que
não significa que será materialmente válida (e, tampouco, eficaz) 19. Perceba-se a própria re-
dação da Lei de Introdução às Normas do Direito Brasileiro, segundo a qual (art. 1.º): “Salvo
disposição contrária, a lei começa a vigorar em todo o país 45 (quarenta e cinco) dias depois
de oficialmente publicada” (grifo nosso). Portanto, ser vigente è ser existente no plano legisla-
tivo. Lei vigente è aquela que já existe, 20 por ter sido elaborada pelo parlamento e sancionada
pelo Presidente da República 21, promulgada e publicada no Diário Oficial da União.
Depois de verificada a existência (vigência) da lei è que se vai aferir sua validade, para,
em último lugar, perquirir sobre sua eficácia 22. Esta última (a eficácia legislativa) está ligada
à realidade social que a norma almeja regular; conota também um meio de se dar “aos jurisdi-
cionados a confiança de que o Estado exige o cumprimento da norma, dispõe para isso de me-
canismos e força, e os tribunais vão aplicá-las” 23. Mas vigência e eficácia não coincidem cro-
nologicamente, uma vez que a lei que existe (que è vigente) e que também è válida (pois de
acordo com a Constituição e com os tratados – de direitos humanos ou comuns – em vigor no
país), já pode ser aplicada pelo Poder Judiciário, o que não significa que possa vir a ter
eficácia 24. Não há como dissociar a eficácia das normas à realidade social ou à produção de

ser socialmente obrigatória, no que se poderia dizer ter Alf Ross estabelecido um conceito de vigência social do
ordenamento jurídico. E assim conclui Ross: “Em conformidade com isso, um ordenamento jurídico nacional,
considerado como um sistema vigente de normas, pode ser definido como o conjunto de normas que efetivamen-
te operam na mente do juiz, porque ele as sente como socialmente obrigatórias e por isso as acata”. V. Ross, Alf,
Direito e justiça, Trad. Edson Bini. Bauru: Edipro, 2000, 59.
17
Para nós, existência (formal) e vigência têm o mesmo significado. Cf., nesse exato sentido, Ferrajoli, Lui-
gi, op. cit., 21.
18
Para um panorama das discussões quanto ao início de vigência da lei, v. Telles Júnior, Goffredo, Ini-
ciação na ciência do direito, São Paulo: Saraiva, 2001, 193-197.
19
A esse respeito, assim (e corretamente) leciona Artur Cortez Bonifácio: “Válida è a norma de lei ordinária
cuja produção e conteúdo material se conforma à Constituição [e, para nós, também aos tratados em vigor no
país], à legitimidade conferida pelos princípios constitucionais [e internacionais] político ou ético-filosóficos.
Afora isso, a norma terá uma validade eminentemente formal, de relação de pertinência com o sistema jurídico.
Vigente è a norma que existe [perceba-se a equiparação entre vigência e existência, como querendo significar a
mesma coisa, concepção com a qual também concordamos], em função da qual se pode exigir algum compor-
tamento: è a norma promulgada e ainda não derrogada, respeitadas questões como a vacatio legis. è de se
perceber que toda norma vigente, assim tratada, tem validade formal; a sua validade material repousará no
quantum de legitimidade que venha a expressar” (O direito constitucional internacional e a proteção dos
direitos fundamentais, São Paulo: Método, 2008, 121).
20
Perceba-se que o próprio Kelsen aceita esta assertiva, quando leciona: “Com a palavra ‘vigência’ desi-
gnamos a existência específica de uma norma. Quando descrevemos o sentido ou o significado de um ato
normativo dizemos que, com o ato em questão, uma qualquer conduta humana è preceituada, ordenada, prescrita,
exigida, proibida; ou então consentida, permitida ou facultada” (op. cit., 11).
21
Em caso de veto do Presidente, pode o Congresso derrubá-lo em sessão conjunta e por maioria absoluta
de votos (art. 66, § 4.º, da CF/1988), devendo ser novamente enviado ao Presidente da República, agora para
promulgação (art. 66, § 5.º, da CF/1988). Se a lei não for promulgada dentro de 48 horas pelo Presidente da Re-
pública, nos casos dos §§ 3.º e 5.º, o Presidente do Senado a promulgará, e, se este não o fizer em igual prazo,
caberá ao Vice-Presidente do Senado fazê-lo (art. 66, § 7.º, da CF/1988). Após a promulgação, a lei è publicada,
devendo entrar em vigência a partir desse momento, se assim dispuser expressamente. Se não o fizer e não hou-
ver período de vacatio legis, entrará vigor em 45 dias (art. 1.º da LIDB).
22
Cf. Telles Júnior, Goffredo, op. cit., 193.
23
Schnaid, David, Filosofia do direito e interpretação, 2a ed. rev. e atual. São Paulo: Ed. RT, 2004, 62-63.
O mesmo autor, páginas à frente, conclui: “A eficácia de uma norma está na sua obrigatoriedade, tanto para os
sujeitos passivos como para os órgãos estatais, que devem aplicá-la efetivamente” (Idem, 93).
24
Nesse sentido, v. a posição coincidente de Kelsen, Hans, op. cit., 12, nestes termos: “Um tribunal que
aplica uma lei num caso concreto imediatamente após a sua promulgação – portanto, antes que tenha podido
tornar-se eficaz – aplica uma norma jurídica válida [para nós, uma norma vigente, que poderá não ser válida, a
depender da conformidade com o texto constitucional e com os tratados internacionais (de direitos humanos ou
comuns) em vigor no país]. Porém, uma norma jurídica deixará de ser considerada válida quando permanece du-
radouramente ineficaz”. Depois, contudo, Kelsen afirma: “A eficácia é, nesta medida, condição da vigência, vi-

Teoria geral do controle de convencionalidade no direito brasileiro 137


efeitos concretos no seio da vida social. O distanciamento (ou inadequação) da eficácia das leis
com as realidades sociais e com os valores vigentes na sociedade gera a falta de produção de
efeitos concretos, levando à falta de efetividade da norma e ao seu consequente desuso social.
Deve ser afastada, doravante, a confusão que ainda faz o positivismo clássico (legalista,
do modelo kelseniano), que atribui validade à lei vigente 25, desde que tenha seguido o proce-
dimento formal da sua elaboração. Como explica Luiz Flávio Gomes, o positivismo legalista
ainda não compreendia “a complexidade do sistema constitucional e humanista de direito, que
conta com uma pluralidade de fontes normativas hierarquicamente distintas (Constituição, Di-
reito Internacional dos Diretos Humanos e Direito ordinário). As normas que condicionam a
produção da legislação ordinária não são só formais (maneira de aprovação de uma lei, com-
petência para editá-la, quorum de aprovação etc.), senão também, e sobretudo, substanciais
(princípio da igualdade, da intervenção mínima, preponderância dos direitos fundamentais,
respeito ao núcleo essencial de cada direito etc.)” 26. Deve-se afastar, também, os conceitos de
“vigência”, “validade” e “eficácia” do positivismo (legalista) civilista, que confunde a valida-
de (formal) com vigência (em sentido amplo) 27.
Doravante, para que uma norma seja eficaz, dependerá ela de também ser válida, sendo
certo que para ser válida deverá ser ainda vigente. A recíproca, contudo, não è verdadeira,
como pensava o positivismo clássico, que confundia lei vigente com lei válida. Em outras pa-
lavras, a vigência não depende da validade, mas esta depende daquela, assim como a eficácia
depende da validade 28 (trata-se de uma escala de valores onde, em primeiro lugar, encontra-se
a vigência, depois a validade e, por último, a eficácia) 29. Por isso, não aceitamos os conceitos
de validade e vigência de Tercio Sampaio Ferraz Jr., para quem norma válida è aquela que
cumpriu o processo de formação ou de produção normativa 30 (que, para nós, è a lei vigente), e
vigente a que já foi publicada 31. O autor conceitua vigência como “um termo com o qual se

sto ao estabelecimento de uma norma se ter de seguir a sua eficácia para que ela não perca a sua vigência”. Per-
ceba-se, nesta parte final, a confusão kelseniana mais uma vez estampada. Trataremos de esclarecer as diferenças
atuais entre vigência, validade e eficácia logo mais à frente.
25
Cf. Kelsen, Hans, op. cit., 9.
26
Gomes, Luiz Flávio, Estado constitucional de direito e a nova pirâmide jurídica, cit., 75.
27
Cf. Diniz, Maria Helena, Lei de introdução ao Código Civil brasileiro interpretada, 13a ed. rev. e atual.
São Paulo: Saraiva, 2007, 51.
28
Daí a afirmação de Miguel Reale, de que quando se declara “que uma norma jurídica tem eficácia, esta só
è jurídica na medida em que pressupõe a validez [ou validade] da norma que a insere no mundo jurídico, por não
estar em contradição com outras normas do sistema, sob pena de tornar-se inconsistente” (Fontes e modelos do
direito: para um novo paradigma hermenêutico. São Paulo: Saraiva, 1994, 4). Em outro momento, contudo,
Reale coloca a expressão vigência entre parênteses depois de falar em validade, no seguinte trecho: “A exigência
trina de validade (vigência) de eficácia (efetividade) e de fundamento (motivação axiológica) milita em favor da
compreensão da vida jurídica em termos de modelos jurídicos, desde a instauração da fonte normativa até a sua
aplicação, passando pelo momento de interpretação, pois o ato hermenêutico è o laço de comunicação ou de
mediação entre validade e eficácia” (Idem, 33).
29
Cf., por tudo, Ferrajoli, Luigi, op. cit., 20-22. V., também, Gomes, Luiz Flávio e García-Pablos de Moli-
na, Antonio, Direito penal: parte geral, São Paulo: Ed. RT, 2007. vol. 2, para quem: “A lei ordinária incompa-
tível com o tratado não possui validade”.
30
Goffredo Telles Júnior elenca duas condições de validade das leis: (a) o seu correto domínio; e (b) a
sua correta elaboração. Quanto à primeira “condição de validade, assinale-se que o domínio das leis com-
preende seu domínio geográfico e seu domínio de competência”, e quanto “à segunda condição de validade,
cumpre observar que, da correta elaboração das leis, depende, não só a validade delas, mas, também, funda-
mentalmente, a própria qualidade de lei, alcançada pela norma jurídica. De fato, não è lei a norma jurídica
que não tenha sido elaborada em conformidade com o processo instituído para a produção delas” (grifos do
original) (op. cit., 162).
31
Idêntica lição è encontrada em Diniz, Maria Helena, op. cit., 51-52. Neste caso, a autora nomina a vigên-
cia de vigência em sentido estrito, para diferenciar da vigência em sentido amplo, que (segundo ela) se confunde
com a validade formal. Em outra passagem, a mesma autora diz que mesmo a vigência em sentido estrito pode se

VALERIO DE OLIVEIRA MAZZUOLI 138


demarca o tempo de validade de uma norma” ou, em outros termos, como “a norma válida
(pertencente ao ordenamento) cuja autoridade já pode ser considerada imunizada, sendo
exigíveis os comportamentos prescritos”, arrematando que uma norma “pode ser válida sem
ser vigente, embora a norma vigente seja sempre válida” 32. Não concordamos (também com
base em Ferrajoli) 33 com essa construção segundo a qual uma norma “pode ser válida sem ser
vigente”, e de que “a norma vigente seja sempre válida” 34.
Para nós, lei formalmente vigente è aquela elaborada pelo Parlamento, de acordo com as re-
gras do processo legislativo estabelecidas pela Constituição 35, que já tem condições de estar em
vigor; lei válida è a lei vigente compatível com o texto constitucional 36 e com os tratados (de di-
reitos humanos ou não) ratificados pelo governo, ou seja, è a lei que tem sua autoridade respeitada
e protegida contra qualquer ataque (porque compatível com a Constituição e com os tratados em
vigor no país). Daí não ser errôneo dizer que a norma válida è a que respeita o princípio da hierar-
quia. 37 Apenas havendo compatibilidade vertical material com ambas as normas – a Constituição
e os tratados – è que a norma infraconstitucional em questão será vigente e válida (e, consequen-
temente, eficaz). Caso contrário, não passando a lei pelo exame da compatibilidade vertical mate-
rial com os tratados (segunda análise de compatibilidade), ela não terá qualquer validade (e
eficácia) no plano do direito interno brasileiro, devendo ser rechaçada pelo juiz no caso concreto.
Muito antes de qualquer discussão sobre o tema entre nós, Miguel Reale já havia alertado
– no exato sentido do que agora acabamos de propor, embora sem se referir aos tratados in-
ternacionais comuns – “que todas as fontes operam no quadro de validade traçado pela Con-
stituição de cada país, e já agora nos limites permitidos por certos valores jurídicos transna-
cionais, universalmente reconhecidos como invariantes jurídico-axiológicas, como a Decla-
ração Universal dos Direitos do Homem” 38, à qual se pode aditar todos os tratados de direitos
humanos, tal como acabamos de expor. De qualquer forma, o que pretendeu o professor Reale
mostrar è que a validade de certa fonte do direito è auferida pela sua compatibilidade com o
texto constitucional e com as normas internacionais, as quais ele alberga sob a rubrica dos
“valores jurídicos transnacionais, universalmente reconhecidos (…)” 39.
Daí o equívoco, no nosso entender, da afirmação de Kelsen segundo a qual a “norma
criada com ‘violação’ do Direito internacional permanece válida, mesmo do ponto de vista do
Direito Internacional”, uma vez que “este não prevê qualquer processo através do qual a nor-
ma da ordem jurídica estadual ‘contrária ao Direito internacional’possa ser anulada [o que não
è verdade atualmente e, tampouco, quando Kelsen escreveu a 2. edição de sua Teoria pura do
direito, em 1960]” 40.

confundir com a validade formal, à exceção do caso da vacatio legis do art. 1.º da LIDB, onde embora válida, “a
norma não vigorará durante aqueles quarenta e cinco dias, só entrando em vigor posteriormente” (Idem, 52).
32
V. Ferraz Jr., Tercio Sampaio, Introdução ao estudo do direito: técnica, decisão, dominação, 4a ed. rev. e
ampl, São Paulo: Atlas, 2003, 198.
33
V. Ferrajoli, Luigi, op. cit., 20-22.
34
Leia-se, a propósito, Luiz Flávio Gomes, para quem: “(…) nem toda lei vigente è válida” (Estado consti-
tucional de direito e a nova pirâmide jurídica, cit., 75).
35
Assim também, Ross, Alf, op. cit., 128, nestes termos: “Geralmente admite-se como ponto pacífico que
uma lei que foi devidamente sancionada e promulgada é, por si mesma, direito vigente, isto é, independentemen-
te de sua ulterior aplicação nos tribunais” (grifo nosso).
36
V. Kelsen, Hans, op. cit., 218, para quem: “Esta norma [a Constituição], pressuposta como norma
fundamental, fornece não só o fundamento de validade como o conteúdo de validade das normas dela deduzidas
através de uma operação lógica”.
37
Cf. Schnaid, David, op. cit., 123.
38
Reale, Miguel, op. cit., 13.
39
Idem, ibidem.
40
Kelsen, Hans, op. cit., 367-368.

Teoria geral do controle de convencionalidade no direito brasileiro 139


Segundo Luiz Flávio Gomes, o modelo kelseniano (ou positivista legalista, ou positivista
clássico) de ensino do direito, “confunde a vigência com a validade da lei, a democracia for-
mal com a substancial, não ensina a verdadeira função do juiz no Estado constitucional e ga-
rantista de Direito (que deve se posicionar como garante dos direitos fundamentais), não de-
sperta nenhum sentido crítico no jurista e, além de tudo, não evidencia com toda profundidade
necessária o sistema de controle de constitucionalidade das leis” 41. Ainda para Gomes, o
“equívoco metodológico-científico [do modelo kelseniano] decorre do pensamento do Estado
Moderno, da Revolução Francesa, do Código napoleônico, onde reside a origem da confusão
entre lei e Direito; os direitos e a vida dos direitos valeriam pelo que está escrito (exclusiva-
mente) na lei, quando o correto è reconhecer que a lei è só o ponto de partida de toda interpre-
tação (que deve sempre ser conforme a Constituição). Deriva também da doutrina positivista
legalista (Kelsen, Schmitt etc.) o entendimento de que toda lei vigente é, automaticamente, lei
válida. A lei pode até ser, na atividade interpretativa, o ponto de chegada, mas sempre que
conflita com a Carta Magna ou com o Direito humanitário internacional perde sua relevância
e primazia, porque, nesse caso, devem ter incidência (prioritária) as normas e os princípios
constitucionais ou internacionais” 42.
Mais à frente, na mesma obra, o citado jurista conclui: “De acordo com a lógica positivi-
sta clássica (Kelsen, Hart etc.), lei vigente è lei válida, e mesmo quando incompatível com a
Constituição ela (lei vigente) continuaria válida até que fosse revogada por outra. O esquema
positivista clássico não transcendia o plano da legalidade (e da revogação). Confundia-se in-
validade com revogação da lei e concebia-se uma presunção de validade de todas as leis vi-
gentes. Não se reconhecia a tríplice dimensão normativa do Direito, composta de normas con-
stitucionais, internacionais e infraconstitucionais. Pouca relevância se dava para os limites
(substanciais) relacionados com o próprio conteúdo da produção do Direito. A revogação de
uma lei, diante de tudo quanto foi exposto, è instituto coligado com o plano da ‘legalidade’ e
da ‘vigência’. Ou seja: acontece no plano formal e ocorre quando uma lei nova elimina a ante-
rior do ordenamento jurídico. A revogação, como se vê, exige uma sucessão de leis (sendo
certo que a posterior revoga a anterior expressamente ou quando com ela è incompatível – re-
vogação tácita). A declaração de invalidade de uma lei, por seu turno, que não se confunde
com sua revogação, è instituto vinculado com a nova pirâmide normativa do Direito (acima
das leis ordinárias acham-se a Constituição Federal assim como o DIDH), ou seja, deriva de
uma relação (antinomia ou incoerência) entre a lei e a Constituição ou entre a lei e o Direito
Internacional dos Direitos Humanos e relaciona-se com o plano do conteúdo substancial de-
sta lei” 43.
Certo avanço do STF relativamente ao tema do conflito entre tratados e normas internas
se deu com o voto do Min. Sepúlveda Pertence, em 29.03.2000, no RHC 79.785/RJ, no qual
entendeu ser possível considerar os tratados de direitos humanos como documentos de caráter
supralegal. Mas a tese da supralegalidade dos tratados de direitos humanos ficou ainda mais
clara, no STF, com o voto-vista do Min. Gilmar Mendes, na sessão plenária do dia
22.11.2006, no julgamento do RE 466.343-1/SP, na qual se discutia a questão da prisão civil

41
Gomes, Luiz Flávio, Estado constitucional de direito e a nova pirâmide jurídica, cit., 27.
42
Idem, ibidem.
43
Idem, 76-77. Ainda segundo Luiz Flávio Gomes, deve-se admitir, contudo, uma hipótese excepcional,
que ocorre quando a lei è declarada inconstitucional em seu aspecto formal. Neste caso, diz ele, “não há como
negar que essa declaração de inconstitucionalidade afeta (desde logo) o plano da validade da norma, mas, além
disso, também o da vigência. Uma lei que não tenha seguido o procedimento legislativo correto, após a decla-
ração da sua inconstitucionalidade formal (embora publicada no Diário Oficial), deixa de possuir vigência. Se è
certo que a declaração de inconstitucionalidade material não toca nesse aspecto formal (vigência), não se pode
dizer a mesma coisa em relação à inconstitucionalidade formal” (Idem, 77).

VALERIO DE OLIVEIRA MAZZUOLI 140


por dívida nos contratos de alienação fiduciária em garantia 44. Apesar de continuar entenden-
do que os tratados internacionais comuns ainda guardam relação de paridade normativa com o
ordenamento jurídico doméstico, defendeu o Min. Gilmar Mendes a tese de que os tratados
internacionais de direitos humanos estariam num nível hierárquico intermediário: abaixo da
Constituição, mas acima de toda a legislação infraconstitucional. Segundo o seu entendimen-
to, “parece mais consistente a interpretação que atribui a característica de supralegalidade aos
tratados e convenções de direitos humanos”, segundo a qual “os tratados sobre direitos huma-
nos seriam infraconstitucionais, porém, diante de seu caráter especial em relação aos demais
atos normativos internacionais, também seriam dotados de um atributo de supralegalidade”.
E continua: “Em outros termos, os tratados sobre direitos humanos não poderiam afrontar a
supremacia da Constituição, mas teriam lugar especial reservado no ordenamento jurídico.
Equipara-los à legislação ordinária seria subestimar o seu valor especial no contexto do siste-
ma de proteção da pessoa humana” 45.
Ocorre que mesmo essa posição de vanguarda do STF, expressa no voto-vista do Min.
Gilmar Mendes acima comentado, ainda é, a nosso ver, insuficiente. No nosso entender, os
tratados internacionais comuns ratificados pelo Estado brasileiro è que se situam num nível
hierárquico intermediário, estando abaixo da Constituição, mas acima da legislação infracon-
stitucional, não podendo ser revogados por lei posterior (por não se encontrarem em situação
de paridade normativa com as demais leis nacionais). Quanto aos tratados de direitos huma-
nos, entendemos que estes ostentam o status de norma constitucional, independentemente do
seu eventual quorum qualificado de aprovação 46. A um resultado similar se pode chegar apli-
cando o princípio – hoje cada vez mais difundido na jurisprudência interna de outros países, e
consagrado em sua plenitude pelas instâncias internacionais – da supremacia do direito inter-
nacional e da prevalência de suas normas em relação a toda normatividade interna, seja ela
anterior ou posterior 47.
Na Alemanha, este è também o critério adotado para a generalidade dos tratados ratifica-
dos por este país (art. 59 da Lei Fundamental: “os tratados que regulem as relações políticas
da Federação ou se referem a matérias da legislação federal requerem a aprovação ou a parti-
cipação, sob a forma de uma lei federal, dos órgãos competentes na respectiva matéria da le-
gislação federal”), que passam a prevalecer (inclusive com aplicação imediata, se eles contêm
direitos individuais) sobre toda a normatividade inferior ao direito federal, a exemplo das
normas provenientes dos Estados Federados e dos decretos expedidos pelo governo. Este en-
tendimento vale, na Alemanha, inclusive para os tratados de direitos humanos, o que è cri-
ticável, por permitir a aplicação do brocardo lex posterior derogat legi priori ao caso de con-
flito entre tratado e lei federal posterior; mas è bom fique nítido que, naquele país, também se
encontram correntes doutrinárias tendentes a atribuir nível constitucional ao menos à Con-
venção Europeia de Direitos Humanos 48.

44
O julgamento do RE 466.343/SP (rel. Min. Cezar Peluso) foi encerrado na sessão plenária de 03.12.2008,
data em que se considera extinto no Brasil o instituto da prisão civil por dívida de depositário infiel. Frise-se que
a tese da impossibilidade de prisão civil por dívida por infidelidade depositária, com fulcro nos tratados interna-
cionais de direitos humanos, foi pioneiramente defendida por Mazzuoli, Valerio de Oliveira. Prisão civil por
dívida e o Pacto de San José da Costa Rica: especial enfoque para os contratos de alienação fiduciária em ga-
rantia. Rio de Janeiro: Forense, 2002, especialmente 109-181. Antes da publicação deste livro citado o que exi-
stiam eram apenas pequenos trabalhos (artigos, comentários etc.) sem muita amplitude.
45
V., o voto-vista do Min. Gilmar Mendes do STF, RE 466.343-1/SP, j. 03.12.2008, rel. Min. Cezar Peluso, 21.
46
V., por tudo, Mazzuoli, Valerio de Oliveira, Curso de direito internacional público, cit., 852-863.
47
Cf. Vignali, Heber Arbuet e Arrighi, Jean Michel, Os vínculos entre o direito internacional público e os
sistemas internos, in Revista de informação legislativa, 115, ano 29, Brasília: Senado Federal, jul.-set. 1992, 420.
48
V., por tudo, Bank, Roland, Tratados internacionales de derechos humanos bajo el ordenamiento jurídico
alemán, in Anuario de derecho constitucional latinoamericano. 10 año, t. II, Montevidéo: Konrad-Adenauer-

Teoria geral do controle de convencionalidade no direito brasileiro 141


Sob esse ponto de vista – de que, em geral, os tratados internacionais têm superioridade
hierárquica em relação às demais normas de estatura infraconstitucional, quer seja tal superio-
ridade constitucional, como no caso dos tratados de direitos humanos, quer supralegal, como
no caso dos demais tratados, chamados de comuns – è lícito concluir que a produção normati-
va estatal deve contar não somente com limites formais (ou procedimentais), senão também
com dois limites verticais materiais, quais sejam: (a) a Constituição e os tratados de direitos
humanos alçados ao nível constitucional; e (b) os tratados internacionais comuns de estatura
supralegal. Assim, uma determinada lei interna poderá ser até considerada vigente por estar de
acordo com o texto constitucional, mas não será válida se estiver em desacordo ou com os tra-
tados de direitos humanos (que têm estatura constitucional) ou com os demais tratados dos
quais a República Federativa do Brasil è parte (que têm status supralegal) 49.
Para que exista a vigência e a concomitante validade das leis, necessário será respeitar-se
uma dupla compatibilidade vertical material, qual seja, a compatibilidade da lei (a) com a
Constituição e os tratados de direitos humanos em vigor no país e (b) com os demais instru-
mentos internacionais ratificados pelo Estado brasileiro. Portanto, a inexistência de decisão
definitiva do STF, em controle tanto concentrado quanto difuso de constitucionalidade (nesse
último caso, com a possibilidade de comunicação ao Senado Federal para que este – nos ter-
mos do art. 52, X, da CF/1988 – suspenda, no todo ou em parte, os efeitos da lei declarada in-
constitucional pelo STF), mantém a vigência das leis no país, as quais, contudo, não permane-
cerão válidas se incompatíveis com os tratados internacionais (de direitos humanos ou co-
muns) de que o Brasil è parte 50.

Stiftung, 2004, 721-734. Sobre o tema, v. ainda gros Espiell, Hector, La Convention américaine et la Convention
européenne des droit de l’homme: analyse comparative, in Recueil des Cours, vol. 218 (1989-VI), 167-412; e
Facchin, Roberto, L’interpretazione giudiziaria della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Padova: Ce-
dam, 1990. Para um estudo do papel da União Europeia em matéria de direitos humanos, v. Rideau, Joel, Le rôle
de l’Union européenne en matière de protection des droits de l’homme, in Recueil des Cours, vol. 265 (1997), 9-
480.
49
Cf. Gomes, Luiz Flávio. Estado constitucional de direito e a nova pirâmide jurídica, cit., 34. Este autor,
contudo, não obstante aceitar o status constitucional dos tratados de direitos humanos (cf. idem, 32), ainda
entende que a discussão sobre o status hierárquico dos tratados internacionais comuns “è uma questão aberta”,
uma vez tratar-se “de uma zona do Direito (ainda) indefinida” (idem, 36). Este mesmo criminalista cita um caso
da Suprema Corte Mexicana, no qual se reconheceu o status supralegal dos tratados relativos à matéria tributária
(os quais, pelo art. 98 do CTN, no Brasil, já têm esse mesmo nível, por expressa disposição legal). Eis trecho da
explicação do caso (por Priscyla Costa, Consultor Jurídico 15.02.2007) citado por Luiz Flávio Gomes:
“Tratados internacionais são mais importantes no México de que as leis federais. O entendimento è da Suprema
Corte de Justiça do país, que acolheu o pedido de 14 empresas que se recusavam a pagar taxas fixadas por legi-
slações nacionais. (...) As empresas alegaram que com base em algumas dessas leis federais è que se cobram os
direitos alfandegários, contrários ao que determina o Tratado de Livre Comércio da América do Norte, o Nafta,
segundo a sigla em inglês. O entendimento da Suprema Corte, por seis votos a cinco, foi de que as normas inter-
nacionais só estão abaixo da Constituição. O Min. Salvador Aguirre afirmou que no mundo globalizado atual há
‘mais proximidade’ das normas e que devido a isso a colaboração e a solidariedade internacionais são cada vez
mais necessárias para permitir a convivência, ‘em particular o tráfico mercantil’” (Idem, ibidem).
50
Segundo Luiz Flávio Gomes: “Uma vez declarada inválida uma lei (no sistema concentrado), já não pode
ser aplicada (perde sua eficácia prática). A lei declarada inválida, neste caso, continua vigente (formalmente), até
que o Senado a retire do ordenamento jurídico (art. 52, X, da CF/1988), mas não tem nenhuma validade (já não
pode ter nenhuma aplicação concreta, ou seja, cessou sua eficácia). (…) No plano sociológico, uma lei vigente e
válida pode não ter eficácia quando não tem incidência prática. Quando, entretanto, a lei vigente è declarada in-
válida pelo STF, naturalmente perde sua eficácia (jurídica e prática), isto é, não pode mais ser aplicada. Sua
vigência, entretanto, perdura, até que o Senado Federal elimine tal norma do ordenamento jurídico (a única ex-
ceção reside na declaração de inconstitucionalidade formal, posto que, nesse caso, è a própria vigência da lei que
è afetada). (…) A partir dessa declaração em ação concentrada, ou quando o tema è discutido em tese pelo Pleno,
de eficácia prática (da lei) já não se pode falar. Ela continua vigente no plano formal, mas substancialmente per-
deu sua validade (e, na prática, cessou sua eficácia). O efeito erga omnes da decisão definitiva do STF è indi-
scutível em relação ao controle concentrado. (…) Para que não paire dúvida, logo após a declaração de invalida-
de de uma lei (pelo Pleno), deveria o STF: (a) comunicar o Senado (para o efeito do art. 52, X [no caso apenas

VALERIO DE OLIVEIRA MAZZUOLI 142


Doravante, è imperioso deixar claras quatro situações que podem vir a existir em nosso
direito interno, segundo a tese que aqui estamos a demonstrar: (a) se a lei conflitante è ante-
rior à Constituição, o fenômeno jurídico que surge è o da não-recepção, com a consequente
invalidade material da norma a partir daí; (b) se a lei antinômica è posterior à Constituição,
nasce uma inconstitucionalidade, que pode ser combatida pela via do controle difuso de con-
stitucionalidade (caso em que o controle è realizado num processo subjetivo entre partes sub
judice) ou pela via do controle concentrado (com a propositura de uma ação direta de incon-
stitucionalidade no STF pelos legitimados do art. 103 da CF/1988); (c) quando a lei anterior
conflita com um tratado (comum – com status supralegal – ou de direitos humanos – com sta-
tus de norma constitucional) ratificado pelo Brasil e já em vigor no país, ela è revogada (der-
rogada ou ab-rogada) de forma imediata (uma vez que o tratado que lhe è posterior, e a ela
também è superior); e (d) quando a lei è posterior ao tratado e incompatível com ele (não
obstante ser eventualmente compatível com a Constituição) tem-se que tal norma è inválida
(apesar de vigente) e, consequentemente, totalmente ineficaz 51.
Do exposto, vê-se que a produção normativa doméstica depende, para sua validade e con-
sequente eficácia, em estar de acordo tanto com a Constituição como com os tratados interna-
cionais (de direitos humanos ou não) ratificados pelo governo. Mas, para a melhor compreensão
desta dupla compatibilidade vertical material, faz-se necessário, primeiro, entender como se dá
(a) o respeito à Constituição (e aos seus direitos expressos e implícitos) e (b) aos tratados inter-
nacionais (em matéria de direitos humanos ou não) ratificados e em vigor no país.
O respeito à Constituição faz-se por meio do que se chama de controle de constituciona-
lidade das leis; o respeito aos tratados que sejam de direitos humanos faz-se pelo até agora
pouco conhecido (pelo menos no Brasil) controle de convencionalidade das leis; e o respeito
aos tratados que sejam comuns faz-se por meio do controle de supralegalidade das leis, con-
forme abaixo veremos com detalhes.

3. O respeito à Constituição e o consequente controle de constitucionalidade

Primeiramente, para a vigência e validade da produção doméstica de um direito, faz-se


necessária a sua compatibilidade com o texto constitucional em vigor, sob pena de incorrer
em vício de inconstitucionalidade, o qual pode ser combatido pela via difusa (de exceção ou
defesa) ou pela via concentrada (ou abstrata) de controle, a primeira podendo ser realizada
por qualquer cidadão (sempre quando se fizer presente um caso concreto) em qualquer juízo
ou tribunal do país, e a segunda, por meio de ação direta de inconstitucionalidade perante o
STF, por um dos legitimados do art. 103 da CF/1988 52.
Então, a primeira ideia a fixar-se aqui è a de que a produção normativa doméstica deve

da decisão ter sido em sede de controle difuso]) e, sempre que possível, (b) emitir uma súmula vinculante (recor-
de-se que a súmula vinculante exige quorum qualificado de 2/3 dos Ministros do STF)” (Estado constitucional
de direito e a nova pirâmide jurídica, cit., 85-86).
51
V., nesse sentido, o HC 88.420/SP do STF, rel. Min. Ricardo Lewandowski; e, ainda, o HC 90.172/SP do
STF, rel. Min. Gilmar Mendes, onde fica expresso o novo entendimento da Suprema Corte que agora atribui aos
tratados de direitos humanos (e somente a estes, por enquanto) o status de supralegalidade dentro do ordenamen-
to jurídico brasileiro.
52
Assim dispõe a referida norma: “Art. 103. Podem propor a ação direta de inconstitucionalidade e a ação
declaratória de constitucionalidade: I – o Presidente da República; II – a Mesa do Senado Federal; III – a Mesa
da Câmara dos Deputados; IV – a Mesa de Assembleia Legislativa ou da Câmara Legislativa do Distrito Federal;
V – o Governador de Estado ou do Distrito Federal; VI – o Procurador-Geral da República; VII – o Conselho
Federal da Ordem dos Advogados do Brasil; VIII – partido político com representação no Congresso Nacional;
IX – confederação sindical ou entidade de classe de âmbito nacional”.

Teoria geral do controle de convencionalidade no direito brasileiro 143


ser compatível, em primeiro lugar, com a Constituição do Estado. Contudo, como explica
Luiz Flávio Gomes, “não se deve observar exclusivamente limites formais, senão também
materiais, que são constituídos, sobretudo, pelos conteúdos essenciais de cada direito positi-
vado. A lei que conflita com a Constituição è inconstitucional e inválida; se se trata de lei an-
tinômica anterior à Constituição de 1988 fala-se em não-recepção (ou invalidade); a lei que
conflita com o DIDH [Direito Internacional dos Direitos Humanos], pouco importando se an-
terior ou posterior, também è inválida. Como se vê, qualquer que seja a antinomia entre a lei e
as ordens jurídicas superiores (Constituição ou DIDH), tudo se conduz para a invalidade”. E o
mesmo jurista arremata: “Na era do ED [Estado de Direito] a produção da legislação ordinária
(da lei) achava-se cercada tão-somente de limites formais (legitimidade para legislar, quorum
mínimo de aprovação de uma lei, procedimento para sua edição, forma de publicação etc.).
De acordo com o novo paradigma do ECD [Estado Constitucional de Direito] a produção le-
gislativa (agora) encontra limites formais e materiais, ou seja, não pode violar o núcleo essen-
cial de cada direito, não pode fazer restrições desarrazoadas aos direitos fundamentais etc.” 53.
A compatibilidade das leis com a Constituição deve ser aferida em dois âmbitos: (a) rela-
tivamente aos direitos expressos no texto constitucional e (b) também em relação aos direitos
implícitos na Constituição. Vejamos cada um deles.

3.1. A obediência aos direitos expressos na Constituição

Existe dispositivo na Constituição de 1988 que demonstra claramente existir três vertentes
dos direitos e garantias fundamentais na ordem jurídica brasileira. Trata-se do art. 5.º, § 2.º, da
CF/1988, segundo o qual “os direitos e garantias expressos nesta Constituição [1.ª vertente]
não excluem outros decorrentes do regime e dos princípios por ela adotados [2.ª vertente], ou
dos tratados internacionais em que a República Federativa do Brasil seja parte [3.ª vertente]”.
Assim, desmembrando este dispositivo, o que dele se extrai è que, além dos direitos expressos
na Constituição (primeira vertente), existem também os direitos nela implícitos (segunda ver-
tente), que decorrem do regime (primeira subdivisão da segunda vertente) e dos princípios
(segunda subdivisão da segunda vertente) por ela adotados, e os direitos provenientes de tra-
tados (terceira vertente), que não estão nem expressa nem implicitamente previstos na Consti-
tuição, mas provém ou podem vir a provir dos instrumentos internacionais de proteção dos di-
reitos humanos ratificados pelo Brasil 54.
A primeira das três vertentes dos direitos e garantias fundamentais diz respeito àqueles di-
reitos expressos na Constituição. Efetivamente, são tais direitos os primeiros que devem ser
respeitados pela produção normativa doméstica, até mesmo pelo princípio segundo o qual as
leis devem respeito à sua criadora, que è a Constituição.
Os direitos e garantias constitucionais fazem parte do núcleo intangível da Constituição,
protegidos pelas cláusulas pétreas do art. 60, § 4.º, IV, da CF/1988, segundo o qual “[n]ão
será objeto de deliberação a proposta de emenda tendente a abolir: (...) os direitos e garantias
individuais”. Perceba-se a referência aos “direitos e garantias individuais” pelo dispositivo ci-
tado, o que deixa entrever, a priori, que a respectiva cláusula não alcança os demais direitos
fundamentais não-individuais (v.g., os sociais, os econômicos e os culturais) e todos os outros
de cunho coletivo. Contudo, a dúvida plantada pelo texto constitucional de 1988, sobre a in-
clusão de outros direitos ao rol das chamadas cláusulas pétreas, não obteve o necessário

53
Gomes, Luiz Flávio, Estado constitucional de direito e a nova pirâmide jurídica, cit., 65.
54
Sobre essas três vertentes dos direitos e garantias fundamentais no direito brasileiro, v. Mazzuoli, Valerio
de Oliveira, Curso de direito internacional público, cit., 838-840.

VALERIO DE OLIVEIRA MAZZUOLI 144


esclarecimento da doutrina até o momento. Para nós – seguindo-se a lição de Ingo Sarlet –,
não è aceitável que os direitos não-individuais (v.g., uma direito trabalhista) e toda a gama de
direitos coletivos prevista pelo texto constitucional fiquem excluídos da proteção outorgada
pela norma do art. 60, § 4.º, IV, da CF/1988 55. Uma interpretação sistemática e teleológica da
Constituição, em contraposição à interpretação literal do referido dispositivo, indica ser mais
que sustentável a tese segundo a qual a Constituição (no art. 60, § 4.º, IV) disse menos do que
pretendia (lex minus dixit quam voluit). Ao se ler o citado dispositivo constitucional deve-se
substituir a expressão “direitos e garantias individuais” pela expressão “direitos e garantias
fundamentais”, subtraindo a expressão-espécie para inserir a expressão-gênero.
Seja como for, o que aqui se pretende dizer è que a produção normativa doméstica, para
aferir a validade necessária à sua posterior eficácia, deve primeiramente ser compatível com
os direitos expressos no texto constitucional, sendo este o primeiro limite (em verdade, a pri-
meira parte desse primeiro limite) vertical material do qual estamos a tratar.
Contudo, não è aqui o lugar de dissertar sobre os efeitos do desrespeito (formal ou mate-
rial) da lei à Constituição, que enseja o chamado controle de constitucionalidade 56. Apenas
cumpre aqui informar que neste primeiro momento de compatibilidade das leis com o Texto
Magno, a falta de validade normativa daquelas e sua expulsão do ordenamento jurídico con-
tribui para o diálogo das fontes, na medida em que se retira da conversa normativa a lei que
não tem argumentos válidos que a autorizem a continuar no diálogo (pois ela è inconstitucio-
nal e, portanto, inválida). Assim, retira-se da lei a possibilidade de continuar conversando e
dialogando com as outras fontes jurídicas, autorizando-se a participação nessa conversa ape-
nas fontes válidas e eficazes.
Somente a declaração de inconstitucionalidade formal afeta (desde logo) o plano de
vigência da norma (e, consequentemente, os da validade e eficácia), como já se falou ante-
riormente 57. Salvo essa hipótese excepcional, quando se trata do caso de declaração de incon-
stitucionalidade do “programa abstrato de aplicação” da norma, ela continua vigente, mas será
inválida (porque inconstitucional), deixando de contar com qualquer incidência concreta 58.

3.2. A obediência aos direitos implícitos na Constituição

Nos termos do citado art. 5.º, § 2.º, segunda parte, os direitos implícitos são aqueles que
provêm ou podem vir a provir “do regime e dos princípios por ela [Constituição] adotados”.
Trata-se – segundo os autores constitucionalistas – de direitos de difícil caracterização a
priori 59.

55
V., por tudo, Sarlet, Ingo Wolfgang, A eficácia dos direitos fundamentais, cit., 422-428.
56
Sobre o tema, v. Kelsen, Hans, op. cit., 300-306. Na doutrina brasileira, v. especialmente Mendes, Gilmar
Ferreira. Jurisdição constitucional …, cit., 64-94 e146-250, respectivamente; e Barroso, Luís Roberto, O contro-
le de constitucionalidade no direito brasileiro, 2a ed. rev. e atual, São Paulo: Saraiva, 2007, 333. Para um estudo
clássico do controle jurisdicional de constitucionalidade no Brasil, v. ainda Bittencourt, Carlos Alberto Lúcio, O
controle jurisdicional da constitucionalidade das leis, 2a ed. Rio de Janeiro: Forense, 1968, 164.
57
Cf. Gomes, Luiz Flávio, Estado constitucional de direito e a nova pirâmide jurídica, cit., 77.
58
Não è outra a lição de Luiz Flávio Gomes, nestes termos: “(...) toda norma, que tem como fonte um texto
legal, conta com seu ‘programa abstrato de aplicação’. Mas isso não se confunde com o seu programa concreto
de incidência. Quando uma lei è julgada inconstitucional (totalmente inconstitucional) seu ‘programa normativo’
desaparece, ou seja, passa a não contar com nenhuma incidência concreta. O § 1.º do art. 1.º [sic] da Lei
8.072/1990 proibia a progressão de regime nos crimes hediondos. Esse era o programa abstrato da norma. De-
pois de declarada pelo STF a invalidade (inconstitucionalidade) do dispositivo legal citado (HC 82.959), nenhu-
ma incidência prática (eficácia) podia ter tal norma (mesmo antes da Lei 11.464/2007)” (Idem, 77).
59
V. Ferreira Filho, Manoel Gonçalves, Direitos humanos fundamentais, São Paulo: Saraiva, 1995, 88; e

Teoria geral do controle de convencionalidade no direito brasileiro 145


A legislação infraconstitucional, quando da primeira compatibilidade vertical material
(compatibilidade da norma com a Constituição), deverá observar, além dos direitos expressos
na Constituição, também os direitos que nela se encontram implícitos. Tais direitos implícitos,
não obstante de difícil visualização apriorística, também limitam a produção do direito neste
desdobramento da primeira etapa da compatibilização vertical material.
Os direitos implícitos no texto constitucional, também chamados de direitos decorrentes,
provêm ou podem vir a provir do regime ou dos princípios adotados pela Constituição. E,
aqui, teríamos então mais uma subdivisão: (a) a obediência ao direito implícito proveniente
do regime adotado pela Carta; e (b) a obediência ao direito implícito decorrente dos princípios
constitucionais por ela adotados.
Deve-se perquirir, neste momento, se não está o princípio internacional pro homine a in-
tegrar os princípios adotados pela Constituição. Segundo entendemos, quer no plano do direi-
to interno, quer no plano internacional, o princípio internacional pro homine pode ser conside-
rado um princípio geral de direito. Seu conteúdo expansivo atribui primazia à norma que, no
caso concreto, mais proteja os interesses da pessoa em causa. Em outras palavras, por meio
dele fica assegurada ao ser humano a aplicação da norma mais protetiva e mais garantidora
dos seus direitos, encontrada como resultado do diálogo travado entre as fontes no quadro de
uma situação jurídica real. Esse exercício, capaz de encontrar um princípio geral que albergue
os elementos normativos antitéticos, è papel que compete ao aplicador do direito 60.
Antes de verificarmos a consagração do princípio internacional pro homine pelo texto
constitucional brasileiro, duas palavras devem ser ditas sobre alguns dos princípios regentes
do nosso sistema constitucional 61.

Silva, José Afonso da, Curso de direito constitucional positivo. 26a ed. rev. e atual, São Paulo: Malheiros, 2006,
194.
60
Cf. Diniz, Maria Helena, Conflito de normas. 6a ed. atual. de acordo com o novo Código Civil (Lei
10.406/2002), São Paulo: Saraiva, 2005, 58-59. Sobre os princípios gerais de direito, assim leciona Diniz: “Os
princípios gerais de direito são normas de valor genérico que orientam a aplicação jurídica, por isso se impõem
com validez normativa onde houver inconsistência de normas. Esses princípios gerais de direito têm natureza
múltipla, pois são: a) decorrentes das normas do ordenamento jurídico, ou seja, da análise dos subsistemas nor-
mativos. Princípios e normas não funcionam separadamente, ambos têm caráter prescritivo. Atuam os princípios,
diante das normas como fundamento de atuação do sistema normativo e como fundamento criteriológico, isto é,
como limite da atividade jurisdicional; b) derivados das ideias políticas, sociais e jurídicas vigentes, ou melhor,
devem corresponder aos subconjuntos axiológico e fático que compõem o sistema jurídico, constituindo um pon-
to de união entre consenso social, valores predominantes, aspirações de uma sociedade com o sistema jurídico,
apresentando uma certa conexão com a ideologia imperante que condiciona até sua dogmática: daí serem prin-
cípios informadores; de maneira que a supracitada relação entre norma e princípio è lógico-valorativa. Apóiam-
se estas valorações em critérios de valor objetivo; e c) reconhecidos pelas nações civilizadas [sobre esse conceito
de nações civilizadas e as críticas que lhe faz a doutrina contemporânea, v. Mazzuoli, Valerio de Oliveira. Curso
de direito internacional público, cit., 131-132] se tiverem substractum comum a todos os povos ou a alguns de-
les em dadas épocas históricas, não como pretendem os jusnaturalistas, que neles vislumbram princípios jurídi-
cos de validade absolutamente geral” (Idem, 59).
61
Para um panorama geral dos valores e princípios constitucionais fundamentais da Constituição brasileira,
v. Bonifácio, Artur Cortez, op. cit., 131-180. Merece destaque, contudo, a seguinte passagem: “Os princípios
passaram, com efeito, ao grau de norma constitucional, modelando e conduzindo a interpretação e aplicação das
demais normas e atos normativos, conferindo a fundamentação material imprescindível à ordem jurídica. De sua
força normativa decorre o seu caráter diretivo e a eficácia derrogatória e invalidatória das demais normas para
além de sua função informadora. O conjunto desses predicados confere aos princípios um caráter de fonte das
fontes do direito, disposições normativas que qualificam o sistema, dando-lhe especial feição. Se a Constituição
è o fundamento superior da unidade de um sistema jurídico, e a observância dos seus valores e princípios são os
fatores possibilitadores do equilíbrio constitucional, infere-se por transitividade que os princípios são fatores de-
cisivos à manutenção do sistema de direito. O direito não é, pois, um conjunto de regras tomadas aleatoriamente:
estas têm uma conexão de sentidos, uma lógica, uma coerência e uma adequação de valores e princípios que o
alimentam, e lhe dão a sua dinamicidade e consistência, fazendo-o subsistir. Quando existe um hiato entre esses
fatores, è possível a implantação de uma nova estrutura política no Estado, refratária dos valores e princípios dis-
sociados da compreensão do tecido social. Os princípios, dessa forma, são disposições nas quais se radicam a

VALERIO DE OLIVEIRA MAZZUOLI 146


Primeiramente, è necessário dizer que a Constituição brasileira de 1988 representou a
abertura do sistema jurídico nacional à consagração dos direitos humanos, rompendo com a
lógica totalitária que imperava no Brasil até então, implementando o valor dos direitos huma-
nos junto à redemocratização do Estado. Assim, logo depois de 1988, pareceu “haver um con-
senso sobre o valor positivo da democracia e sobre o valor positivo dos direitos humanos”,
não obstante, na prática, ser ele “mais aparente do que real” 62. De qualquer forma, a partir
dessa abertura, ao menos no plano do desejável, o texto constitucional passou a consagrar va-
lores e princípios até então inexistentes no sistema jurídico nacional.
No direito interno, o princípio internacional pro homine compõe-se de dois conhecidos
princípios jurídicos de proteção de direitos: o da dignidade da pessoa humana e o da pre-
valência dos direitos humanos.
O princípio constitucional da dignidade da pessoa humana è o primeiro pilar (junto à pre-
valência dos direitos humanos) da primazia da norma mais favorável 63. Por dignidade da
pessoa humana pode-se considerar, segundo Maria Garcia, a “compreensão do ser humano na
sua integridade física e psíquica, como autodeterminação consciente, garantida moral e juridi-
camente” 64.
Trata-se de um bem soberano e essencial a todos os direitos fundamentais do homem, que
atrai todos os demais valores constitucionais para si. Considerando ser a Constituição uma or-
dem sistêmica de valores, que são sopesados pelo legislador constituinte na medida e para o
fim de preservar sua força normativa, pode-se afirmar que o texto constitucional brasileiro
erigiu a dignidade da pessoa humana a valor fundante da ordem normativa doméstica, impac-
to certo do movimento expansionista dos direitos humanos iniciado no período pós-Segunda
Guerra e em plena desenvoltura até hoje 65. Daí a consideração de ser este princípio um prin-
cípio aberto, que chama para si toda a gama dos direitos fundamentais, servindo, ainda, de
parâmetro à interpretação de todo o sistema constitucional 66. Por isso, pode-se dizer que os
direitos fundamentais são conditio sine qua non do Estado Constitucional e Humanista de Di-
reito, ocupando o grau superior da ordem jurídica.
A Lei Fundamental alemã (Grundgesetz) deu ao princípio da dignidade humana significa-
do tão importante, que o colocou no topo da Constituição, em seu primeiro artigo. Segundo
este dispositivo, inserido no Capítulo 1.º da Carta alemã, intitulado Os Direitos Fundamen-
tais, “a dignidade do homem è inviolável”, estando os Poderes Públicos “obrigados a respeitá-
la e a protegê-la” (art. 1.º, n. 1). Assim estatuindo, passa a dignidade humana a ser declarada

origem dos enunciados normativos; são pontos de partida para a assimilação do sistema jurídico e seus desígnios
de justiça. Ostentam um maior grau de indeterminação, abstração e um baixo grau de concretização, apresentan-
do-se como standards, padrões de observância obrigatória no sistema de direito” (Idem, 133-134).
62
Cf. Lopes, José Reinaldo de Lima, Da efetividade dos direitos econômicos, culturais e sociais, in Direitos
humanos: visões contemporâneas, São Paulo: Associação juízes para a democracia, 2001, 92.
63
Cf. HENDERSON, Humberto, Los tratados internacionales de derechos humanos en el orden interno: la
importancia del principio pro homine, in Revista IIDH 39/92-96, San José: IIDH, 2004.
64
Garcia, Maria, Limites da ciência: a dignidade da pessoa humana, a ética da responsabilidade, São
Paulo: Ed. RT, 2004, 211. Aceito o conceito exposto, diz Artur Cortez Bonifácio, “importa reforçar um conteúdo
ético que è anterior e inerente ao ser humano, e que faz da dignidade da pessoa humana um supravalor, um
predicado da personalidade, ao lado de um componente normativo, jurídico-constitucional e de direito interna-
cional público, a reclamar a sua concretização internamente e no espaço público internacional” (op. cit., 174).
65
Cf. González Perez, Jesus, La dignidad de la persona, Madrid: Civitas, 1986, 200-203.
66
Como anota Artur Cortez Bonifácio, o princípio da dignidade da pessoa humana “é um dos princípios de
maior grau de indeterminação e também uma das fontes mais recorridas da Constituição, especialmente por:
justificar as ações do Estado Democrático de Direito em favor dos direitos fundamentais, consolidando um
encadeamento lógico-jurídico de um modelo de democracia voltada para a justiça social; conferir um sentido
unitário à Constituição; ou realizar uma ponderação de valores tendo em conta as normas e valores
constitucionais” (op. cit., 174-175).

Teoria geral do controle de convencionalidade no direito brasileiro 147


como o pressuposto último e o fundamento mais ético da realização da missão constitucional.
Esse fundamento ético è “anterior ao direito e à sua positivação na ordem jurídica, representa-
do no valor do homem em si e na sua existência, esta afirmada com autonomia e respeito à
natureza humana, mas, sobretudo, plantada na consciência do reconhecimento de que todos
são iguais” 67.
Dessa forma, com base na própria Carta da República de 1988, è de se entender que, em
se tratando de direitos humanos provenientes de tratados internacionais em que a República
Federativa do Brasil seja parte, há de ser sempre aplicado, no caso de conflito entre o produto
normativo convencional e a Lei Magna Fundamental, o princípio (de hermenêutica interna-
cional) pro homine, expressamente assegurado pelo art. 4.º, II, da CF/1988.
Não se pode esquecer a lição de Peter Häberle, para quem se tem que caracterizar a Con-
stituição como um “sistema de valores”, impedindo-se entender os “valores” no sentido de um
firmamento abstrato de valores. Segundo Häberle, os valores não são “impuestos desde fuera,
o por encima, de la Constitución y el ordenamiento jurídico. No imponen ninguna pretensión
de validez apriorística, que esté por encima del espacio y el tiempo. Ello contradiría el espíritu
de la Constitución, que es una amplia ordenación de la vida del presente, que debe fundarse
en la ‘singular índole’ de este presente y coordinar las fuerzas vitales de una época a fin de
lograr una unidad. Si se impusiera un reino de valores desde arriba, se desconocería también
el valor intrínseco y la autonomía de lo jurídico” 68. Em outras palavras, como leciona Bidart
Campos, num sistema de normas “que comparten una misma jerarquía jamás puede interpre-
tarse en el sentido de que unas deroguen, cancelen, neutralicen, excluyan o dejen sin efecto a
otras, porque todas se integran coherentemente, y deben mantener su significado y su alcance
en armonía recíproca y en compatibilidad dentro del conjunto” 69.
O outro princípio a complementar a garantia pro homine è o da prevalência dos direitos
humanos, consagrado expressamente pelo art. 4.º, II, da CF/1988. Este princípio faz comuni-
car a ordem jurídica internacional com a ordem interna, estabelecendo um critério herme-
nêutico de solução de antinomias que è a consagração do próprio princípio da norma mais fa-
vorável, a determinar que, em caso de conflito entre a ordem internacional e a ordem interna,
a “prevalência” – ou seja, a norma que terá primazia – deve ser sempre do ordenamento que
melhor proteja os direitos humanos 70.

67
Bonifácio, Artur Cortez, op. cit., 175. Ainda segundo Bonifácio: “Mais do que isso, a dignidade da pessoa
humana è o valor que conduz ao caráter universal dos direitos fundamentais, o elo e o sentido de toda uma con-
strução dogmática histórica que vem ganhando força e efetividade nos processos de afirmação do constituciona-
lismo e do direito internacional público recente” (Idem, ibidem).
68
Häberle, Peter, La garantía del contenido esencial de los derechos fundamentales, Trad. Joaquín Brage
Camazano, Madrid: Dykinson, 2003, 9-10.
69
Bidart Campos, German J., Tratado elemental de derecho constitucional argentino (El derecho
internacional de los derechos humanos y la reforma constitucional de 1994). Buenos Aires, Ediar, 1995, t. III, 277.
70
Como leciona Artur Cortez Bonifácio, o art. 4.º da CF/1988 “pontua um elo entre o direito constitucional
internacional e o direito internacional e deve ser interpretado sob a ótica consensual que aproxima os sistemas,
mas devemos admitir uma leve prevalência em favor do direito internacional público”, posto que nele temos “a
declaração de vários princípios de direito internacional geral, verdadeiras normas de jus cogens, tais como o
princípio da independência nacional, a prevalência dos direitos humanos, a autodeterminação dos povos, a não-
intervenção, a igualdade entre os Estados, a defesa da paz, a solução pacífica dos conflitos, o repúdio ao
terrorismo, a concessão de asilo político e a integração” e, assim sendo, todos eles compõem “um conjunto
normativo e axiológico que o Constituinte brasileiro tratou de assegurar, diante da fragilidade das instituições
democráticas do Estado brasileiro recém-saído do arbítrio” (op. cit., 201). Daí se entender, junto a Otto Bachof,
que um Estado até poderá desrespeitar tais princípios, ou mesmo fazer passar também por “direito” as
prescrições e os atos estaduais que os desrespeitem, podendo impor a observância destes pela força, porém “um
tal direito aparente nunca terá o suporte do consenso da maioria dos seus cidadãos e não pode, por conseguinte,
reivindicar a obrigatoriedade que o legitimaria” (Normas constitucionais inconstitucionais?, Trad. José Manuel
M. Cardoso da Costa, Coimbra: Almedina, 1994, 2).

VALERIO DE OLIVEIRA MAZZUOLI 148


Percebe-se, portanto, que o princípio internacional pro homine tem autorização constitu-
cional para ser aplicado entre nós como resultado do diálogo entre fontes internacionais (tra-
tados de direitos humanos) e de direito interno.

4. O respeito aos tratados internacionais e os controles de convencionalidade (difu-


so e concentrado) e de supralegalidade das normas infraconstitucionais

Como já se falou anteriormente, não basta que a norma de direito doméstico seja compa-
tível apenas com a Constituição Federal, devendo também estar apta para integrar a ordem ju-
rídica internacional sem violação de qualquer dos seus preceitos. A contrario sensu, não basta
a norma infraconstitucional ser compatível com a Constituição e incompatível com um tratado
ratificado pelo Brasil (seja de direitos humanos, que tem a mesma hierarquia do texto consti-
tucional, seja um tratado comum, cujo status è de norma supralegal), pois, nesse caso, operar-
se-á de imediato a terminação da validade da norma (que, no entanto, continuará vigente, por
não ter sido expressamente revogada por outro diploma congênere de direito interno).
A compatibilidade do direito doméstico com os tratados internacionais de direitos huma-
nos em vigor no país faz-se por meio do controle de convencionalidade, que è complementar
e coadjuvante do conhecido controle de constitucionalidade 71. A expressão “controle de con-
vencionalidade” ainda è pouco conhecida no Brasil, não tendo havido quem, antes de nós, te-
nha estudado sistemáticamente o tema 72. O controle de convencionalidade tem por finalidade
compatibilizar verticalmente as normas domésticas (as espécies de leis, lato sensu, vigentes
no país) com os tratados internacionais de direitos humanos ratificados pelo Estado e em vi-
gor no território nacional.
Nesse sentido, entende-se que o controle de convencionalidade deve ser exercido pelos
órgãos da justiça nacional relativamente aos tratados aos quais o país se encontra vinculado.
Trata-se de adaptar ou conformar os atos ou leis internas aos compromissos internacionais
assumidos pelo Estado, que criam para este deveres no plano internacional com reflexos
práticos no plano do seu direito interno 73. Doravante, não somente os tribunais internos de-
vem realizar o controle de convencionalidade (para além do clássico controle de constitucio-
nalidade), mas também os tribunais internacionais (ou supranacionais) 74 criados por con-

71
Para um paralelo entre os controles de convencionalidade e de constitucionalidade na França, v. Silva
Irarrazaval, Luis Alejandro, El control de constitucionalidad de los actos administrativos en Francia y el control
indirecto de constitucionalidad de la ley: la teoría de la ley pantalla, in Ius et Praxis, vol. 12, n. 2, 2006, 201-219.
72
V. Mazzuoli, Valerio de Oliveira. Tratados internacionais de direitos humanos e direito interno, cit., 178-226.
73
V., assim, a lição de Alcalá, Humberto Nogueira, Reforma constitucional de 2005 y control de constitu-
cionalidad de tratados internacionales, in Estudios constitucionales, n. 1, año 5, Universidad de Talda, 2007, 87:
“Los órganos que ejercen jurisdicción constitucional e interpretan el texto constitucional, Tribunal Constitu-
cional, Corte Suprema de Justicia y Cortes de Apelaciones, deben realizar sus mejores esfuerzos en armonizar el
derecho interno con el derecho internacional de los derechos humanos. Asimismo, ellos tienen el deber de
aplicar preferentemente el derecho internacional sobre las normas de derecho interno, ello exige desarrollar un
control de convencionalidad sobre los preceptos legales y administrativos en los casos respectivos, como ya lo ha
sostenido la Corte Interamericana de Derechos Humanos en el caso Almonacid”.
74
Para um estudo do papel dos três mais importantes tribunais internacionais existentes (Corte Internacional
de Justiça, Corte Interamericana de Direitos Humanos e Corte Europeia de Direitos Humanos), no que tange aos
direitos humanos, v. respectivamente, Goy, Raymond, La cour internationale de justice et les droits de l’homme,
Bruxelles: Bruylant, 2002; Tigroudja, Hélène, La cour interaméricaine des droits de l’homme: analyse de la
jurisprudence consultative et contentieuse, Bruxelles: Bruylant, 2003; Mazzuoli, Valerio de Oliveira,
Comentários à Convenção Americana sobre Direitos Humanos – Pacto de San José da Costa Rica (com Luiz
Flávio Gomes), São Paulo: Ed. RT, 2008, 239-296; e Marguenaud, Jean-Pierre, La cour européenne des droits
de l’homme. 3a ed. Paris: Dalloz, 2005.

Teoria geral do controle de convencionalidade no direito brasileiro 149


venções entre Estados, nas quais estes (os Estados) se comprometem, no pleno e livre exer-
cício de sua soberania, a cumprir tudo o que ali fora decidido e a dar sequência, no plano do
seu direito interno, ao cumprimento de suas obrigações estabelecidas na sentença, sob pena de
responsabilidade internacional 75. O fato de serem os tratados internacionais (notadamente os
de direitos humanos) imediatamente aplicáveis no âmbito doméstico, garante a legitimidade
dos controles de convencionalidade e de supralegalidade das leis e dos atos normativos do
Poder Público 76.
Para realizar o controle de convencionalidade ou de supralegalidade das normas infraconsti-
tucionais os tribunais locais não requerem qualquer autorização internacional. Tal controle pas-
sa, doravante, a ter também caráter difuso, a exemplo do controle difuso de constitucionalidade,
no qual qualquer juiz ou tribunal pode se manifestar a respeito. À medida que os tratados forem
sendo incorporados ao direito pátrio os tribunais locais – estando tais tratados em vigor no plano
internacional – podem, desde já e independentemente de qualquer condição ulterior, compatibi-
lizar as leis domésticas com o conteúdo dos tratados (de direitos humanos ou comuns) vigentes
no país 77. Em outras palavras, os tratados internacionais incorporados ao direito brasileiro pas-
sam a ter eficácia paralisante (para além de derrogatória) das demais espécies normativas domé-
sticas, cabendo ao juiz coordenar essas fontes (internacionais e internas) e escutar o que elas
dizem 78. Mas, também, pode ainda existir o controle de convencionalidade concentrado no
STF, como abaixo se dirá, na hipótese dos tratados de direitos humanos (e somente destes)
aprovados pelo rito do art. 5.º, § 3.º, da CF/1988 79 (uma vez ratificados pelo Presidente, após
esta aprovação qualificada). Tal demonstra que, de agora em diante, os parâmetros de controle
concentrado (de constitucionalidade/convencionalidade) no Brasil são a Constituição e os trata-
dos internacionais de direitos humanos ratificados pelo governo e em vigor no país.
Assim, è bom deixar claro que o controle de convencionalidade difuso existe entre nós
desde a promulgação da Constituição, em 05.10.1988, e desde a entrada em vigor dos tratados
de direitos humanos ratificados pelo Brasil após esse período, não obstante jamais qualquer
doutrina no Brasil ter feito referência a esta terminologia. Já o controle de convencionalidade
concentrado, este sim, nascera apenas em 08.12.2004, com a promulgação da EC 45/2004.
Antes, porém, de nos debruçarmos sobre o tema, è necessário mencionar que os autores
que, antes de nós, fizeram referência à expressão “controle de convencionalidade”, versaram o
assunto sob outro ângulo, notadamente o da responsabilidade internacional do Estado por vio-
lação de direitos humanos em razão de ato do Poder Legislativo 80. Nesse sentido, o controle

75
Sobre o tema da responsabilidade internacional dos Estados por violação dos direitos humanos, v. Ramos,
André de Carvalho, Responsabilidade internacional por violação de direitos humanos: seus elementos, a
reparação devida e sanções possíveis, Rio de Janeiro: Renovar, 2004, 439.
76
Cf. CIDH, Caso dos trabalhadores demitidos do Congresso vs. Peru, de 24.11.2006, voto apartado do
Juiz Sergio García Ramírez, parágrafos 1-13.
77
A esse respeito, assim se expressou o Juiz Sergio García Ramírez, no seu voto citado: “Si existe esa
conexión clara y rotunda – o al menos suficiente, inteligible, que no naufrague en la duda o la diversidad de
interpretaciones –, y en tal virtud los instrumentos internacionales son inmediatamente aplicables en el ámbito
interno, los tribunales nacionales pueden y deben llevar a cabo su propio ‘control de convencionalidad’. Así lo
han hecho diversos órganos de la justicia interna, despejando el horizonte que se hallaba ensombrecido,
inaugurando una nueva etapa de mejor protección de los seres humanos y acreditando la idea – que he reiterado
– de que la gran batalla por los derechos humanos se ganará en el ámbito interno, del que es coadyuvante o
complemento, pero no sustituto, el internacional” (CIDH, Caso dos trabalhadores demitidos do Congresso vs.
Peru, de 24.11.2006, voto apartado do Juiz Sergio García Ramírez, parágrafo 11).
78
V. Jayme, Erik, Identité culturelle et intégration: le droit international privé postmoderne, in Recueil des
Cours, vol. 251, 1995, 259.
79
Cf. Mendes, Gilmar Ferreira. Jurisdição constitucional …, cit., 239.
80
Nesse sentido, v. Ramos, André de Carvalho, Responsabilidade internacional do Estado por violação de
direitos humanos, in Revista CEJ 29/56. Brasília, abr.-jun. 2005, 56. A utilização da expressão controle de con-

VALERIO DE OLIVEIRA MAZZUOLI 150


de convencionalidade seria o método a impedir o Parlamento local de adotar uma lei que viole
(mesmo que abstratamente) direitos humanos previstos em tratados internacionais já ratifica-
dos pelo Estado. Em outras palavras, seria a técnica legislativa pela qual o parlamento, tendo
em conta um tratado de direitos humanos em vigor no país, deixaria de adotar uma lei que
com dito tratado conflitasse, a fim de não dar causa à responsabilidade internacional do Esta-
do por ato do Poder Legislativo 81. Também já se empregou a expressão “controle de conven-
cionalidade” para aferir a compatibilidade das normas locais diante das normas internacionais,
não pela via judiciária interna (tal como estamos a desenvolver aqui), mas pelos mecanismos
internacionais (unilaterais ou coletivos) de apuração do respeito por parte de um Estado de
suas obrigações internacionais 82.
Nunca na doutrina brasileira fez-se referência à possibilidade de um juiz ou tribunal na-
cional controlar essa convencionalidade das leis, e tampouco ao fato de poderem os legitima-
dos do art. 103 da CF/1988 propor, no Pretório Excelso, uma das ações do controle abstrato
de constitucionalidade (v.g., ação direta de inconstitucionalidade, ação declaratória de consti-
tucionalidade, ação de descumprimento de preceito fundamental etc.). Em outras palavras, a
doutrina em geral (anterior à nossa) chama de “controle de convencionalidade” o exercício de
compatibilidade normativa realizado pelas instâncias internacionais de proteção dos direitos
humanos, ou as medidas legislativas de compatibilização das leis em elaboração com os tra-
tados internacionais, não comparando tal controle (como estamos a fazer neste estudo) com o
“controle de constitucionalidade” existente no plano do nosso direito interno. Assim, a utili-
zação da expressão em comento, na doutrina citada, nada tem que ver com o problema que
ora nos ocupa, que è o estudo do controle jurisdicional interno da convencionalidade das leis
no Brasil.
Como se pode perceber, não obstante a expressão controle de convencionalidade já ter si-
do empregada anteriormente no Brasil – seguindo sempre, è certo, o posicionamento adotado
no sistema interamericano de direitos humanos –, o certo è que jamais se explicou “como fun-
ciona” esse controle no Brasil e quais são os meios de se exercer essa advocacia a ele voltada.
Assim, a teoria do controle de convencionalidade que estamos a apresentar aqui è inédita
no Brasil, não tendo sido desenvolvida por qualquer jurista (constitucionalista ou internacio-
nalista) antes de nós. Não se trata de técnica legislativa de compatibilização dos trabalhos do
Parlamento com os instrumentos de direitos humanos ratificados pelo governo, nem de meca-
nismo internacional de apuração dos atos do Estado em relação ao cumprimento de suas obri-
gações internacionais, mas sim de meio judicial de declaração de invalidade de leis incompa-
tíveis com tais tratados, tanto por via de exceção (controle difuso ou concreto) como por meio

vencionalidade por este autor è baseada pura e simplesmente na adoção que faz do termo a Corte Interamericana
de Direitos Humanos.
81
Cf. Ramos, André de Carvalho, Responsabilidade internacional por violação de direitos humanos: seus
elementos, a reparação devida e sanções possíveis, cit., 169-170.
82
V. Ramos, André de Carvalho, Tratados internacionais: novos espaços de atuação do Ministério Público,
in Boletim científico – Escola Superior do Ministério Público da União, n. 7, ano 2, Brasília, abr.-jun. 2003, 86-
88. Nesse exato sentido, v. Cantor, Ernesto Rey, Controles de convencionalidad de las leyes, in Mac-Gregor,
Eduardo Ferrer e Lello de Larrea, Arturo Zaldívar (coords.), La ciencia del derecho procesal constitucional:
estudios en homenaje a Héctor Fix-Zamudio en sus cincuenta años como investigador del derecho, México:
Instituto de Investigaciones Jurídicas de la Unam/Marcial Pons, 2008, 225-262. V. também, CIDH, Caso dos
trabalhadores demitidos do Congresso vs. Peru, voto fundamentado do juiz Sergio García Ramírez, de
24.11.2006, parágrafo 5, nestes termos: “De manera semejante a la descrita en el párrafo anterior, existe un
‘control de convencionalidad’depositado en tribunales internacionales – o supranacionales –, creados por
convenciones de aquella naturaleza, que encomienda a tales órganos de la nueva justicia regional de los derechos
humanos interpretar y aplicar los tratados de esta materia y pronunciarse sobre hechos supuestamente violatorios
de las obligaciones estipuladas en esos convenios, que generan responsabilidad internacional para el Estado que
ratificó la convención o adhirió a ella”.

Teoria geral do controle de convencionalidade no direito brasileiro 151


de ação direta (controle concentrado ou abstrato). Na doutrina brasileira, fomos nós o primei-
ro a empregar as expressões “controle difuso de convencionalidade”, “controle concentrado
de convencionalidade” e “controle de supralegalidade” no plano da mecânica de incorporação
dos tratados no Brasil, compreendendo como se dá e como funciona essa mecânica: se incor-
porados com nível constitucional, serão paradigma do controle difuso de convencionalidade;
se incorporados com equivalência de emenda constitucional, serão paradigma do controle
concentrado de convencionalidade (para além do controle difuso); e se incorporados com sta-
tus supralegal, serão paradigma do controle de supralegalidade (é o caso dos tratados comuns
no Brasil) 83. Também não vimos na doutrina estrangeira qualquer utilização, ainda que simi-
lar, destas expressões, bem assim no sentido com que as propusemos.
Frise-se, por fim, que o controle nacional (pelos juízes e tribunais internos) da convencio-
nalidade das normas domésticas è o que por primeiro deve ser realizado, antes de qualquer
manifestação de um tribunal internacional a respeito. As cortes internacionais somente contro-
larão a convencionalidade de uma norma interna caso o Poder Judiciário de origem não tenha
controlado essa mesma convencionalidade, ou a tenha realizado de maneira insuficiente. As-
sim, não è correto dizer que apenas o controle internacional da convencionalidade das leis
(realizado pelas instâncias internacionais de direitos humanos) seria o verdadeiro controle de
convencionalidade, uma vez que tal raciocínio guarda a insuperável incongruência de não re-
conhecer que è dos próprios tribunais internacionais (v.g., da Corte Interamericana) que de-
corre a exigência de os juízes e tribunais internos controlarem (em primeira mão, antes de
qualquer manifestação internacional sobre o tema) a convencionalidade de suas normas do-
mésticas 84. O controle de convencionalidade internacional è apenas coadjuvante ou comple-
mentar do controle oferecido pelo direito interno, como destaca inclusive o segundo conside-
rando da Convenção Americana, que dispõe ser a proteção internacional convencional “coad-
juvante ou complementar da que oferece o direito interno dos Estados americanos”.
Dada esta explicação preliminar, è chegado o momento de entender como será realizada,
no Brasil, a compatibilidade das normas de direito interno com os tratados internacionais (de
direitos humanos ou comuns) ratificados pelo Estado e em vigor no país. Esta compatibilidade
do direito doméstico com os tratados em vigor no Brasil, da mesma forma que no caso da
compatibilidade com a Constituição, também deve ser realizada, simultaneamente, em dois
âmbitos: (a) relativamente aos direitos previstos nos tratados de direitos humanos pelo Brasil
ratificados e (b) em relação àqueles direitos previstos nos tratados comuns em vigor no país,

83
O emprego pioneiro dessas expressões, no sentido veiculado no texto, ocorreu originalmente em nossa
Tese de Doutorado em Direito Internacional da UFRGS. Para o texto original, v. Mazzuoli, Valerio de Oliveira,
Tratados internacionais de direitos humanos e direito interno, cit., 178-226. Posteriormente, desenvolvemos a
mesma ideia (e utilizamos a mesma terminologia) em um texto menor, publicado em veículo de maior acesso
público. V. Mazzuoli, Valerio de Oliveira, O controle de convencionalidade das leis, in Revista Jurídica
Consulex. 290, ano 8. São Paulo, fev. 2009, 42-43. A ideia foi também incorporada em nossos Comentários à
Convenção Americana sobre Direitos Humanos, cit., 17-18. O certo è que, antes dessas publicações, nenhum au-
tor brasileiro (e, de nosso conhecimento, tampouco um autor estrangeiro) havia feito menção aos controles difuso
e concentrado de convencionalidade, bem assim ao que chamamos de controle de supralegalidade, no que tange à
mecânica de incorporação interna dos tratados; também não havia nada na doutrina brasileira que teorizasse sobre
o modelo nacional de controle jurisdicional da convencionalidade das leis.
84
V. Síntese do Relatório Anual da Corte Interamericana de Direitos Humanos referente ao Exercício de
2006 (Washington, D.C., 29 de março de 2007), reproduzido no documento da Assembleia-Geral da OEA
(AG/doc.4761/07) de 2 de junho de 2007 (Observações e Recomendações dos Estados Membros sobre o Relató-
rio Anual da Corte Interamericana de Direitos Humanos), 12, nestes termos: “No que diz respeito a deveres ju-
diciais e meios de proteção, cabe mencionar: impugnabilidade dos efeitos da interpretação ou aplicação de uma
norma; ‘controle de convencionalidade’ por parte dos tribunais internos; leis que excluem o processo penal de
crimes de lesa-humanidade” [grifo nosso]. V. ainda, nesse exato sentido, CIDH, Caso Cabrera García e Montiel
Flores Vs. México, Exceção Preliminar, Mérito, Reparações e Custas, sentença de 26 de novembro de 2010, Sé-
rie C, n. 220, parágrafos 225-233.

VALERIO DE OLIVEIRA MAZZUOLI 152


tratados estes que se encontram abaixo da Constituição, mas acima de toda a normatividade
infraconstitucional. Vejamos, então, cada qual das duas hipóteses.

4.1. Os direitos previstos nos tratados de direitos humanos

Como se disse, deve haver dupla compatibilidade vertical material para que a produção do
direito doméstico seja vigente e válida dentro da ordem jurídica brasileira. A primeira compati-
bilidade vertical se desdobra em duas: a da Constituição e a dos tratados de direitos humanos
ratificados pelo Brasil. A compatibilidade com a Constituição (com seus direitos expressos e
implícitos) já estudamos. Resta agora verificar a compatibilidade das leis com os tratados de di-
reitos humanos em vigor no país. Esta segunda parte da primeira compatibilidade vertical mate-
rial diz respeito somente aos tratados de direitos humanos, sem a qual nenhuma lei na pós-
modernidade sobrevive. Versaremos, aqui, a compatibilidade que têm de ter as leis relativamen-
te aos direitos expressos nos tratados de direitos humanos ratificados pelo Brasil.
São de fácil visualização os direitos expressos nos tratados dos quais a República Federa-
tiva do Brasil è parte. Todos se encontram publicados no Dário Oficial da União desde sua
promulgação pelo Presidente da República, após ratificados e após terem sido seus instrumen-
tos respectivos depositados no Secretariado das Nações Unidas ONU 85.
A falta de compatibilização do direito infraconstitucional com os direitos previstos nos
tratados de que o Brasil è parte invalida a produção normativa doméstica, fazendo-a cessar de
operar no mundo jurídico. Frise-se que tais normas domésticas infraconstitucionais, que não
passaram incólumes à segunda etapa da primeira compatibilização vertical material, deixam
de ser válidas no plano jurídico, mas ainda continuam vigentes nesse mesmo plano, uma vez
que sobreviveram ao primeiro momento da primeira compatibilidade vertical material (a
compatibilidade com a Constituição). Por isso, a partir de agora, dever-se-á ter em conta que
nem toda lei vigente è uma lei válida 86, e o juiz estará obrigado a deixar de aplicar a lei in-
válida (contrária a um direito previsto em tratado de direitos humanos em vigor no país), não
obstante ainda vigente (porque de acordo com a Constituição).
Esse exercício que o juiz doravante deverá fazer na aplicação (ou inaplicação) de uma lei in-
fraconstitucional deverá basear-se no diálogo das fontes já estudado, uma vez que para se chegar
à justiça da decisão deverá o magistrado compreender a lógica (logos) da dupla (dia) compatibili-
dade vertical material, a fim de dar ao caso concreto a melhor solução. Esta tese foi aceita pelo
Min. Celso de Mello em antológico voto (HC 87.585-8/TO) lido no plenário do STF dia
03.12.2008, no qual reconheceu o valor constitucional dos tratados de direitos humanos na ordem
jurídica brasileira, independentemente da aprovação legislativa qualificada (pelo § 3.º do art. 5.º
da CF/1988). Ficou ali assentado, pelo Min. Celso de Mello, que as fontes internas e internacio-
nais devem “dialogar” entre si a fim de resolver a questão antinômica entre o tratado e a lei inter-
na brasileira. Nas suas palavras: “Posta a questão nesses termos, a controvérsia jurídica remeter-
se-á ao exame do conflito entre as fontes internas e internacionais (ou, mais adequadamente, ao
diálogo entre essas mesmas fontes), de modo a se permitir que, tratando-se de convenções inter-
nacionais de direitos humanos, estas guardem primazia hierárquica em face da legislação comum
do Estado brasileiro, sempre que se registre situação de antinomia entre o direito interno nacional
e as cláusulas decorrentes de referidos tratados internacionais” (grifo nosso) 87.
O que se nota com clareza meridiana no voto do ilustre Ministro è que o seu novo enten-

85
V. o art. 102 da Carta das Nações Unidas.
86
Cf. Ferrajoli, Luigi, op. cit., 20-22.
87
V. STF, HC 87.585-8/TO, voto-vista do Min. Celso de Mello, de 3.12.2008, 19.

Teoria geral do controle de convencionalidade no direito brasileiro 153


dimento – que revogara sua própria orientação anterior, que era no sentido de atribuir aos tra-
tados de direitos humanos status de lei ordinária (v. HC 77.631-5/SC, DJU 158-E,
19.08.1998, Seção I, p. 35) – aceita agora a tese do “diálogo das fontes” e a aplicação do prin-
cípio internacional pro homine. Referido princípio è um dos mais notáveis frutos da pós-
modernidade jurídica, que representa a fluidez e a dinâmica que devem existir no âmago da
questão relativa aos conflitos normativos.
É alentador perceber o avanço da jurisprudência brasileira no que tange à aplicação do
diálogo das fontes e do princípio internacional pro homine. Tudo isto somado nos leva a con-
cluir que a recente jurisprudência brasileira dá mostras de que já aceita as soluções pós-
modernas para o problema das antinomias entre o direito internacional dos direitos humanos e
o direito interno. Dá mostras, também, de que tais problemas devem ser encarados não como
uma via de mão única, mas como uma rota de várias vias possíveis. Essa nova concepção ju-
rídica atribui à força expansiva dos direitos humanos um especial realce: o de servir ao direito
como instrumento da paz. Esse valor paz reconhecido pela força expansiva dos princípios em
geral e, em especial, dos direitos humanos, è sempre anterior às normas jurídicas que o ab-
sorvem, além de sempre mais amplo que elas.
Como se percebe, a aplicação desse critério não exclui mutuamente uma ou outra ordem
jurídica, mas antes as complementa, fazendo com que a produção do direito doméstico tam-
bém “escute” o diálogo entre a Constituição e os tratados de direitos humanos, que se encon-
tram em mesmo pé de igualdade que ela. Em outras palavras, a Constituição não exclui a apli-
cação dos tratados e nem estes excluem a aplicação dela, mas ambas as normas (Constituição
e tratados) se unem para servir de obstáculo à produção normativa doméstica infraconstitu-
cional que viole os preceitos ou a Constituição ou dos tratados de direitos humanos em que a
República Federativa do Brasil è parte. As normas infraconstitucionais, doravante, para serem
vigentes e válidas, deverão submeter-se a este novo exame de compatibilidade vertical mate-
rial, solução esta mais fluida (e, portanto, capaz de melhor favorecer a “evolução do direi-
to”) 88 e mais consentânea com os ditames da pós-modernidade jurídica.
Por meio dessa solução que se acaba de expor, repita-se, não será a Constituição que ex-
cluirá a aplicação de um tratado ou vice versa, mas ambas essas supernormas (Constituição e
tratados) è que irão se unir em prol da construção de um direito infraconstitucional compa-
tível com ambas, sendo certo que a incompatibilidade desse mesmo direito infraconstitucional
com apenas uma das supernormas já o invalida por completo. Com isto, possibilita-se a
criação de um Estado Constitucional e Humanista de Direito em que todo o direito doméstico
guarde total compatibilidade tanto com a Constituição quanto com os tratados internacionais
de direitos humanos ratificados pelo Estado, chegando-se, assim, a uma ordem jurídica inter-
na perfeita, que tem no valor dos direitos humanos sua maior racionalidade, principiologia e
sentido.
No que tange ao respeito que deve ter o direito doméstico aos tratados de direitos huma-
nos, surge, ainda, uma questão a ser versada. Trata-se daquela relativa aos tratados de direitos
humanos aprovados por três quintos dos votos dos membros de cada Casa do Congresso Na-
cional, em dois turnos de votação, tal como estabelece o art. 5.º, § 3.º, da CF/1988. Neste ca-
so, ter-se-á no direito brasileiro o controle de convencionalidade concentrado, como passare-
mos a expor. Antes disso, porém, merece ser citada – para fins de críticas – a lição de José
Afonso da Silva, para quem somente haverá inconstitucionalidade (inconvencionalidade…) se
as normas infraconstitucionais “violarem as normas internacionais acolhidas na forma daquele
§ 3.º”, ficando então “sujeitas ao sistema de controle de constitucionalidade na via incidente

88
Carnelutti, Francesco, Teoria geral do direito, Trad. de A. Rodrigues Queiró e Artur Anselmo de Castro.
Rio de Janeiro: Âmbito Cultural, 2006, 188.

VALERIO DE OLIVEIRA MAZZUOLI 154


[controle difuso] como na via direta [controle concentrado]”. Quanto às demais normas que
não forem acolhidas pelo art. 5.º, § 3.º, segundo o mesmo José Afonso da Silva, elas “ingres-
sam no ordenamento interno no nível da lei ordinária, e eventual conflito com as demais nor-
mas infraconstitucionais se resolverá pelo modo de apreciação da colidência entre lei especial
e lei geral [que são os clássicos critérios de solução de antinomias]” 89.
No raciocínio do professor José Afonso da Silva, apenas os tratados de direitos humanos
acolhidos na forma do art. 5.º, § 3.º, seriam paradigma de controle de constitucionalidade (pa-
ra nós, de convencionalidade), tanto na via incidente (controle difuso) como na via direta
(controle concentrado). Os demais tratados (de direitos humanos ou não) que forem incorpo-
rados sem a aprovação qualificada não valeriam como paradigma de compatibilização verti-
cal, caso em que o conflito de normas seria resolvido pela aplicação dos critérios clássicos de
solução de antinomias (segundo o autor, “pelo modo de apreciação da colidência entre lei
especial e lei geral”) 90.
Contrariamente a essa posição, da qual também outros autores já divergiram 91, podemos
lançar algumas observações.
A primeira delas è a de que se sabe que não è necessária a aprovação dos tratados de di-
reitos humanos pelo quorum qualificado do art. 5.º, § 3.º, da CF/1988, para que tais instru-
mentos tenham nível de normas constitucionais. O que o art. 5.º, § 3.º, do texto constitucional
fez foi tão-somente atribuir equivalência de emenda a tais tratados, e não o status de normas
constitucionais que eles já detêm pelo art. 5.º, § 2.º, da CF/1988. Portanto, dizer que os trata-
dos são “equivalentes às emendas” não è a mesma coisa que dizer que eles “têm status de
norma constitucional” 92. Sem retomar esta discussão, a qual não tem lugar neste momento,
importa dizer que, uma vez aprovado determinado tratado de direitos humanos pelo quorum
qualificado do art. 5.º, § 3.º, da CF/1988, tal tratado será formalmente constitucional, o que
significa que ele passa a ser paradigma de controle da legislação infraconstitucional 93. Assim,
à medida que estes tratados passam a ser equivalentes às emendas constitucionais, fica autori-
zada a propositura (no STF) de todas as ações constitucionais existentes para garantir a esta-
bilidade da Constituição e das normas a ela equiparadas, a exemplo dos tratados de direitos
humanos formalmente constitucionais.
Em outras palavras, o que se está aqui a defender è o seguinte: quando o texto constitu-
cional (no art. 102, I, a, CF/1988) diz competir precipuamente ao STF a “guarda da Consti-
tuição”, cabendo-lhe julgar originariamente as ações diretas de inconstitucionalidade de lei ou
ato normativo federal ou estadual ou a ação declaratória de constitucionalidade de lei ou ato
normativo federal, está autorizando que os legitimados próprios para a propositura de tais
ações (constantes do art. 103 da CF/1988) ingressem com essas medidas sempre que a Consti-
tuição ou quaisquer normas a ela equivalentes (v.g., os tratados de direitos humanos interna-
lizados com quorum qualificado) estiverem sendo violadas por quaisquer normas infraconsti-
tucionais. A partir da EC 45/2004, è necessário entender que a expressão “guarda da Consti-

89
V., por tudo, Silva, José Afonso da, Comentário contextual à Constituição, 2a ed. São Paulo: Malheiros, 2006,
179. Cf. repetição da mesma lição em Silva, José Afonso da. Curso de direito constitucional positivo, cit., 183.
90
Silva, José Afonso da, Comentário contextual à Constituição, cit., 179; e idem, Curso de direito
constitucional positivo, cit., 183.
91
V. as críticas de Bonifácio, Artur Cortez, op. cit., 211-214, a esse pensamento de José Afonso da Silva,
mas com fundamentos diferentes dos nossos.
92
V. explicação detalhada em Mazzuoli, Valerio de Oliveira, Curso de direito internacional público, cit.,
835-866. V. ainda, idem, O novo § 3.º do art. 5.º da CF/1988 e sua eficácia, cit., 89-109.
93
Cf. Barroso, Luís Roberto, Constituição e tratados internacionais: alguns aspectos da relação entre
direito internacional e direito interno, in Menezes Direito, Carlos Alberto; Cançado Trindade, Antonio Augusto
e Pereira, Antonio Celso Alves, Novas perspectivas do direito internacional contemporâneo: estudos em
homenagem ao Professor Celso D. de Albuquerque Mello, Rio de Janeiro: Renovar, 2008, 207.

Teoria geral do controle de convencionalidade no direito brasileiro 155


tuição”, utilizada pelo art. 102, I, alberga, além do texto da Constituição propriamente dito,
também as normas constitucionais por equiparação. Assim, ainda que a Constituição silencie
a respeito de um determinado direito, mas estando este mesmo direito previsto em tratado de
direitos humanos constitucionalizado pelo rito do art. 5.º, § 3.º, passa a caber, no STF, o con-
trole concentrado de constitucionalidade (v.g., uma ação direta de inconstitucionalidade) para
compatibilizar a norma infraconstitucional com os preceitos do tratado constitucionalizado 94.
A rigor, não se estaria, aqui, diante de controle de constitucionalidade propriamente dito
(porque, no exemplo dado, a lei infraconstitucional è compatível com a Constituição, que si-
lencia a respeito de determinado assunto), mas sim diante do controle de convencionalidade
das leis, o qual se operacionaliza tomando-se por empréstimo uma ação do controle concen-
trado de constitucionalidade (v.g., uma ação direta de inconstitucionalidade ou uma ação de
descumprimento de preceito fundamental), na medida em que o tratado-paradigma em causa è
equivalente a uma norma constitucional.
Ora, se a Constituição possibilita sejam os tratados de direitos humanos alçados ao pata-
mar constitucional, com equivalência de emenda, por questão de lógica deve também garan-
tir-lhes os meios que garante a qualquer norma constitucional ou emenda de se protegerem
contra investidas não autorizadas do direito infraconstitucional. Nesse sentido, è plenamente
possível defender a possibilidade de ação direta de inconstitucionalidade (para eivar a norma
infraconstitucional de inconvencionalidade), de ação declaratória de constitucionalidade (para
garantir à norma infraconstitucional a compatibilidade vertical com um tratado de direitos
humanos formalmente constitucional), ou até mesmo de arguição de descumprimento de pre-
ceito fundamental para exigir o cumprimento de um “preceito fundamental” encontrado em
tratado de direitos humanos formalmente constitucional.
Então, pode-se dizer que os tratados de direitos humanos internalizados pelo rito qualifi-
cado do art. 5.º, § 3.º, da CF/1988, passam a servir de meio de controle concentrado (agora de
convencionalidade) da produção normativa doméstica, para além de servirem como paradig-
ma para o controle difuso.
Quanto aos tratados de direitos humanos não internalizados pelo quorum qualificado, pas-
sam eles a ser paradigma apenas do controle difuso de convencionalidade. Portanto, para nós
– contrariamente ao que pensa o ilustrado José Afonso da Silva – não se pode dizer que as an-
tinomias entre os tratados de direitos humanos não incorporados pelo referido rito qualificado
e as normas infraconstitucionais somente poderão ser resolvidas “pelo modo de apreciação da
colidência entre lei especial e lei geral” 95. Os tratados internacionais de direitos humanos ra-
tificados pelo Brasil – independentemente de aprovação com quorum qualificado – têm nível
de normas constitucionais e servem de paradigma ao controle de constitucionalidade/conven-
cionalidade, sendo a única diferença a de que os tratados aprovados pela maioria qualificada
do § 3.º do art. 5.º da CF/1988 servirão de paradigma ao controle concentrado (para além,
evidentemente, do difuso), enquanto que os demais (tratados de direitos humanos não interna-
lizados com aprovação congressual qualificada) apenas servirão de padrão interpretativo ao
controle difuso (via de exceção ou defesa) de constitucionalidade/convencionalidade.
Em suma, todos os tratados que formam o corpus juris convencional dos direitos huma-
nos de que um Estado è parte devem servir de paradigma ao controle de convencionalidade,
com as especificações que se fez acima: (a) tratados de direitos humanos internalizados com

94
V., nesse exato sentido, Mendes, Gilmar Ferreira. Jurisdição constitucional …, cit., 239, que diz:
“Independentemente de qualquer outra discussão sobre o tema, afigura-se inequívoco que o Tratado de Direitos
Humanos que vier a ser submetido a esse procedimento especial de aprovação [nos termos do § 3.º do art. 5.º da
CF/1988] configurará, para todos os efeitos, parâmetro de controle das normas infraconstitucionais” .
95
Silva, José Afonso da, Comentário contextual à Constituição, cit., 179; e Idem, Curso de direito constitu-
cional positivo, cit., 183.

VALERIO DE OLIVEIRA MAZZUOLI 156


quorum qualificado são paradigma do controle concentrado (para além, obviamente, do con-
trole difuso), cabendo ação direta de inconstitucionalidade no STF a fim de nulificar a norma
infraconstitucional incompatível com o respectivo tratado equivalente à emenda constitucio-
nal; (b) tratados de direitos humanos que têm apenas “status de norma constitucional” (não
sendo “equivalentes às emendas constitucionais”, uma vez que não foram aprovados pela
maioria qualificada do art. 5.º, § 3.º, da CF/1988) são paradigma apenas do controle difuso de
convencionalidade.
Questão interessante, no que toca ao controle difuso de convencionalidade, diz respeito
ao cabimento de recurso extraordinário perante o STF sempre que a decisão recorrida contra-
riar dispositivo constitucional ou de qualquer tratado de direitos humanos em vigor no Brasil.
A essa solução se chega interpretando o art. 102, III, a, da Constituição – que diz caber ao
STF “julgar, mediante recurso extraordinário, as causas decididas em única ou última instân-
cia, quando a decisão recorrida contrariar dispositivo desta Constituição” – junto com o art.
5.º, § 2.º, da mesma Carta, segundo o qual “os direitos e garantias expressos nesta Consti-
tuição não excluem outros decorrentes (…) dos tratados internacionais [de direitos humanos]
em que a República Federativa do Brasil seja parte”. Ora, como o recurso extraordinário è in-
strumento do controle difuso de constitucionalidade, e como os direitos e garantias expressos
na Constituição não excluem outros decorrentes dos tratados de direitos humanos em vigor no
Brasil, parece certo que a referência prevista no art. 102, III, a, da Constituição, sobre o cabi-
mento do recurso extraordinário “quando a decisão recorrida contrariar dispositivo desta Con-
stituição”, há de ser ampliada (no que tange à proteção dos direitos humanos e fundamentais)
com a integração do conteúdo daqueles tratados ao bloco de constitucionalidade, quer tenham
tais instrumentos status de norma constitucional (art. 5.º, § 2.º) ou, mais ainda, equivalência
de emenda constitucional (art. 5.º, § 3.º). Assim, è imperioso entender que quaisquer tratados
internacionais de direitos humanos em vigor no Brasil (tenham sido ou não aprovados por
maioria qualificada no Congresso Nacional) são paradigma à propositura do recurso extraor-
dinário no STF, sempre que um direito neles previsto tenha sido contrariado por decisão de
outro tribunal da qual se pretende recorrer. O mesmo não ocorre com os instrumentos do con-
trole concentrado de constitucionalidade, a exemplo da ADI ou da ADPF, que somente po-
dem ser manejados relativamente aos tratados internalizados pelo rito do art. 5.º, § 3.º, da
Constituição, não se admitindo sua utilização tendo como fundamento um tratado de apenas
status constitucional (nos termos do art. 5.º, § 2.º).
Por fim, frise-se que os tratados contemporâneos de direitos humanos, como já se demon-
strou em outro lugar, já prevêem certas “cláusulas de diálogo” 96 (v.g., o art. 29, b, da Con-
venção Americana sobre Direitos Humanos) que possibilitam a intercomunicação e a retroa-
limentação entre o direito internacional dos direitos humanos e o direito interno. Na medida
em que tais tratados se internalizam no Brasil com nível de normas constitucionais (materiais
ou formais), tais “cláusulas de diálogo” passam a também deter o mesmo status normativo no
direito interno, garantindo o diálogo das fontes no sistema jurídico interno como garantia de
índole e nível constitucionais. Assim, pode-se então dizer que o critério dialógico 97 de so-
lução de antinomias entre o sistema internacional de proteção dos direitos humanos e a ordem
interna (que Erik Jayme chamou de diálogo das fontes) 98 passa a ficar constitucionalizado em
nosso país à medida que os tratados de direitos humanos são ratificados pelo governo, inde-

96
A expressão è de nossa autoria. Sobre tais “cláusulas de diálogo”, v. Mazzuoli, Valerio de Oliveira,
Tratados internacionais de direitos humanos e direito interno, cit., 116-128.
97
Para a nossa concepção de dialógica jurídica, em oposição à conhecida dialética jurídica, v. Mazzuoli,
Valerio de Oliveira, Tratados internacionais de direitos humanos e direito interno, cit., 130-132.
98
Jayme, Erik, op. cit., 259.

Teoria geral do controle de convencionalidade no direito brasileiro 157


pendentemente de quorum qualificado de aprovação e de promulgação executiva suplementar.
E nem se diga, por absoluta aberratio juris, que a internalização das “cláusulas de diálogo”
dos tratados de direitos humanos (e, consequentemente, do diálogo das fontes) dá-se em pa-
tamar inferior à nossa ordem constitucional e, por isso, não poderia ter aplicação imediata.
Reconhecer a superioridade da ordem interna sobre o direito internacional dos direitos huma-
nos, dando prevalência àquela, mesmo quando protege menos o ser humano sujeito de direi-
tos, è admitir “a desvinculação [do Estado] do movimento internacional de direitos humanos
reconhecidos regional e universalmente”’ 99.
A integração do método dialógico de Erik Jayme no Brasil passa a ter caráter de norma de
ordre public nacional, para além do caráter internacional também reconhecido de jus cogens,
à medida que os tratados de direitos humanos que consagram as chamadas “cláusulas de diá-
logo” são normas aceitas e reconhecidas pela sociedade internacional dos Estados em seu con-
junto, como normas das quais nenhuma derrogação è permitida e que só podem ser modifica-
das por outras da mesma natureza, fazendo eco à regra do art. 53 da Convenção de Viena so-
bre o Direito dos Tratados de 1969.
Tudo o que acima foi dito, relativamente ao respeito que deve ter o direito doméstico aos
direitos expressos nos tratados de direitos humanos em que o Brasil è parte, para que só assim
possam ser vigentes e válidos na ordem jurídica interna, também deve ser aplicado em relação
aos direitos implícitos nesses mesmos tratados de direitos humanos. Os chamados direitos im-
plícitos são encontrados, assim como na Constituição, também nos tratados internacionais. Não
obstante serem direitos de difícil caracterização (e enumeração) apriorística, o certo è que eles
também compõem os direitos previstos nos tratados no âmbito do segundo momento da primei-
ra compatibilização vertical material, sendo um desdobramento dos direitos expressos pelos
quais também tem de passar o direito doméstico para que, somente assim, este sobreviva.

4.2. Os direitos previstos nos tratados comuns

Para que a produção do direito doméstico crie norma jurídica hábil a valer no plano do direito
interno, será necessária, para além da primeira compatibilização vertical material – (a) da Consti-
tuição e (b) dos tratados de direitos humanos dos quais o Brasil è parte –, uma segunda conformi-
dade vertical, dessa vez da norma infraconstitucional com os tratados internacionais comuns em
vigor no país. Esta segunda conformidade das leis com os tratados comuns deve existir pelo fato
de estarem tais instrumentos internacionais alçados ao nível supralegal no direito brasileiro 100.
Norma supralegal è aquela que está acima das leis e abaixo da Constituição. Trata-se, justamente,
da posição em que se encontram tais instrumentos (comuns) no nosso direito interno.
A compatibilização das normas infraconstitucionais com os tratados internacionais co-
muns faz-se por meio do chamado controle de supralegalidade. Não se trata de controle de
convencionalidade pelo fato de se reservar esta última expressão à compatibilidade vertical
que devem ter as normas infraconstitucionais com aos tratados de direitos humanos, que têm
índole e nível constitucionais. Também não se trata de controle de legalidade, pelo fato de
não estar em jogo a compatibilidade de norma infralegal com uma lei ordinária (v.g., a com-
patibilidade de um decreto com uma lei). No caso dos tratados internacionais comuns, estes
estão abaixo da Constituição, mas acima das leis internas. Assim, eles passam a servir de pa-
radigma de supralegalidade das normas domésticas, as quais também serão inválidas se vio-
larem suas disposições.

99
Weis, Carlos, Direitos humanos contemporaneous, São Paulo: Malheiros, 1999, 34.
100
Para detalhes, v. Mazzuoli, Valerio de Oliveira, Curso de direito internacional público, cit., 386-391.

VALERIO DE OLIVEIRA MAZZUOLI 158


Infelizmente, não há na Constituição brasileira de 1988 qualquer menção ao nível hierár-
quico dos tratados internacionais comuns. Os únicos dispositivos que existem no texto consti-
tucional de 1988 a consagrar uma prevalência hierárquica a tratado internacional são os §§ 2.º
e 3.º do art. 5.º, aos quais já nos referimos. De resto, a Constituição brasileira fica no silêncio,
não obstante consagrar a declaração de inconstitucionalidade de tratados (art. 102, III, b, CF).
Pelo fato de não existir na Constituição qualquer menção expressa sobre o grau hierárquico
dos tratados internacionais comuns, a outra solução não se pode chegar senão atribuir valor
infraconstitucional (mas supralegal) a tais instrumentos. Assim, em relação aos tratados co-
muns o entendimento passa a ser o de que a lei interna não sucumbe ao tratado por ser ele po-
sterior ou especial em relação a ela (pela aplicação daqueles critérios clássicos de solução de
antinomias), mas sim em decorrência do status de supralegalidade desses tratados no plano
doméstico. Nesta ordem de ideias, a lei posterior seria inválida (e, consequentemente, inefi-
caz) em relação ao tratado internacional, que não obstante anterior è hierarquicamente supe-
rior a ela 101.
São vários os dispositivos da legislação brasileira que garantem a autenticidade da afir-
mação de estarem os tratados comuns alçados ao nível supralegal no Brasil. Tomemos como
exemplo o art. 98 do CTN, que assim dispõe:
“Os tratados e as convenções internacionais revogam ou modificam a legislação tributária
interna, e serão observados pela que lhes sobrevenha” 102.
Na redação do art. 98 do CTN os tratados em matéria tributária revogam ou modificam a
legislação tributária interna, mas não poderão ser revogados por legislação tributária posterior,
devendo ser observados por aquela (legislação tributária) que lhes sobrevenha. A disposição
versa sobre tratados em matéria tributária, que são tratados comuns, salvo o evidente caso de
o instrumento internacional em matéria tributária ampliar uma garantia do contribuinte, quan-
do então poderão (mas esta hipótese è excepcional) ser considerados como tratados veiculado-
res de direitos fundamentais.
De qualquer forma, o certo è que os tratados internacionais ratificados e em vigor no Bra-
sil têm hierarquia superior às leis (sejam elas ordinárias ou complementares): (a) os tratados
de direitos humanos têm nível de normas constitucionais (podendo ser apenas materialmente
constitucionais – art. 5.º, § 2.º – ou material e formalmente constitucionais – art. 5.º, § 3.º); e
(b) os tratados comuns têm nível supralegal por estarem abaixo da Constituição, mas acima
de toda a legislação infraconstitucional.
O problema que visualizamos, em relação aos tratados comuns, diz respeito à falta de
“cláusulas de diálogo” em seus textos, à diferença do que ocorre com os tratados de direitos
humanos, que sempre trazem dispositivos no sentido de não excluir a aplicação do direito
doméstico (ainda que em detrimento do próprio tratado) quando a norma interna for mais be-
néfica aos direitos da pessoa em causa, em consagração ao princípio internacional pro homi-
ne. Neste caso, parece certo que os critérios tradicionais de solução de antinomias (o hierár-
quico, o da especialidade e o cronológico) não têm aptidão para resolver os conflitos entre
normas internacionais de direitos humanos e as normas de direito interno veiculadoras de di-
reitos fundamentais, devendo eles serem resolvidos pela aplicação do diálogo das fontes,
quando o juiz escuta o que as fontes (internacionais e internas) dizem e as coordena para

101
V., por tudo, Pereira, André Gonçalves e Quadros, Fausto de, Manual de direito internacional público. 3.
ed. rev., e aum. (reimpressão), Coimbra: Almedina, 2001, 121-123.
102
Para uma análise detalhada deste dispositivo, no que tange à questão das isenções de tributos estaduais e
municipais pela via dos tratados, v. Mazzuoli, Valerio de Oliveira, Curso de direito internacional público, cit.,
405-408. Cf., ainda, Mazzuoli, Valerio de Oliveira, Eficácia e aplicabilidade dos tratados em matéria tributária
no direito brasileiro, in RF 390/583-590, ano 103, Rio de Janeiro: mar.-abr. 2007.

Teoria geral do controle de convencionalidade no direito brasileiro 159


aplicá-las (com coerência) ao caso concreto 103. E esta conversa entre as fontes internacionais
de direitos humanos e as fontes internas sobre direitos fundamentais è veiculada por meio dos
próprios vasos comunicantes (ou cláusulas de diálogo) previstos tanto nas normas internacio-
nais (v.g., o art. 29, b, da Convenção Americana sobre Direitos Humanos) quanto nas normas
internas (v.g., o art. 5.º, § 2.º, c/c art. 4, II, da CF/1988).
Portanto, de volta ao caso dos tratados comuns, pensamos que os conflitos entre eles e as
normas infraconstitucionais do direito interno devem ser resolvidos pelo critério hierárqui-
co 104. Dessa forma, havendo conflito entre tratados comuns (que têm nível supralegal no Bra-
sil) e leis internas, os juízes e tribunais nacionais deverão recusar-se a aplicar a norma infra-
constitucional violadora do tratado enquanto este vincular o Estado 105. Eis aqui a aplicação do
controle de supralegalidade das normas de direitos domésticos em relação aos tratados inter-
nacionais comuns.
A solução para este caso è encontrada no art. 27 da Convenção de Viena sobre o Direito
dos Tratados de 1969, segundo o qual uma parte “não pode invocar as disposições de seu di-
reito interno para justificar o inadimplemento de um tratado” 106. O “direito interno” referido
pela Convenção de Viena de 1969 é, evidentemente, todo o direito interno (inclusive a Consti-
tuição) do Estado 107. Contudo, à medida que se entende que os tratados comuns cedem ante a
Constituição, tal dispositivo passa a ser interpretado como os temperamentos que o Direito
Constitucional lhe impõe 108.

5. Conclusão

O que se pode concluir, ao fim e ao cabo desta exposição teórica, è que o direito brasileiro
está integrado com um novo tipo de controle das normas infraconstitucionais, que è o controle
de convencionalidade das leis, tema que antes da EC 45/2004 era totalmente desconhecido
entre nós.
Pode-se também concluir que, doravante, a produção normativa doméstica conta com um
duplo limite vertical material: (a) a Constituição e os tratados de direitos humanos (1.º limite)
e (b) os tratados internacionais comuns (2.º limite) em vigor no país. No caso do primeiro li-

103
Cf. Jayme, Erik, op. cit., 259.
104
Muitos autores que versaram a teoria geral do direito não cuidaram desse problema quando do estudo da
hierarquia das fontes jurídicas. Assim, com nenhuma palavra sequer a esse respeito, Carnelutti, Francesco, op.
cit., 162-167.
105
Cf. Pereira, André Gonçalves e Quadros, Fausto de, op. cit., 123.
106
Não cabe aqui um estudo deste dispositivo. Para tal, v. Mazzuoli, Valerio de Oliveira, Direito dos
tratados, São Paulo: Ed. RT, 2011, 190-197.
107
Cf. Pereira, André Gonçalves e Quadros, Fausto de, op. cit., 120.
108
Sobre tais temperamentos, já escrevemos em outra obra: “(…) salvo a hipótese de violação formal mani-
festa de norma interna (constitucional) de fundamental importância para concluir tratados, uma parte não poderá
jamais invocar disposições (materiais) do seu Direito interno (quaisquer delas, inclusive as da Constituição) co-
mo justificativa para descumprir o acordo internacional (art. 27). (…) A Constituição brasileira de 1988 aceita
esta construção, ainda que por fundamentos diferentes, no que tange ao Direito Internacional convencional rela-
tivo a direitos humanos (art. 5.º, §§ 2.º e 3.º). Quanto aos demais tratados, pensamos que eles cedem perante a
Constituição, por força do preceito constitucional que sujeita os tratados à fiscalização de constitucionalidade
(art. 102, III, b). Somente na falta desse comando constitucional è que a norma pacta sunt servanda, bem como o
art. 27 da Convenção de Viena, imporiam a prevalência de todos os tratados internacionais sobre a nossa Consti-
tuição. Pelo fato de a Constituição brasileira consagrar a declaração de inconstitucionalidade de tratados, e dado
que não há no nosso texto constitucional menção expressa sobre o grau hierárquico a ser atribuído aos tratados
internacionais comuns, parece não restar outra saída senão atribuir valor infraconstitucional a tais tratados, ainda
que supralegal” (Mazzuoli, Valerio de Oliveira, Direito dos tratados, cit., 192-195).

VALERIO DE OLIVEIRA MAZZUOLI 160


mite, no que toca aos tratados de direitos humanos, estes podem ter sido ou não aprovados
com o quorum qualificado que o art. 5.º, § 3.º, da CF/1988 prevê. Caso não tenham sido apro-
vados com essa maioria qualificada, seu status será de norma (apenas) materialmente consti-
tucional, o que lhes garante serem paradigma de controle somente difuso de convencionalida-
de; caso tenham sido aprovados (e entrado em vigor no plano interno, após sua ratificação)
pela sistemática do art. 5.º, § 3.º, tais tratados servirão também de paradigma do controle con-
centrado (para além, è claro, do difuso) de convencionalidade.
Os tratados de direitos humanos paradigma do controle concentrado autorizam que os le-
gitimados para a ação direita de inconstitucionalidade previstos no art. 103 da CF/1988 pro-
ponham tal medida no STF como meio de retirar a validade de norma interna (ainda que com-
patível com a Constituição) que viole um tratado internacional de direitos humanos em vigor
no país.
Quanto aos tratados internacionais comuns, temos como certo que eles servem de para-
digma de controle de supralegalidade das normas infraconstitucionais, de sorte que a incom-
patibilidade destas com os preceitos contidos naqueles invalida a disposição legislativa em
causa em benefício da aplicação do tratado.

Teoria geral do controle de convencionalidade no direito brasileiro 161


ANNA SILVIA BRUNO

La giurisprudenza della Corte costituzionale italiana


nella struttura tridimensionale europea

SOMMARIO: 1. Le antinomie tra norme italiane e CEDU, rispetto ai vincoli UE. – 2. La CEDU non è un
ordinamento giuridico comparabile con la Unione europea. – 3. Alcune massime della Corte costitu-
zionale. – 3.a. Sulla collocazione della CEDU nell’ordinamento costituzionale italiano. Corte cost. ita-
liana Sent. n. 348/2007. – 3.b. Sulla esclusione dell’applicabilità diretta della CEDU da parte dei giu-
dici nazionali comuni. Corte cost. italiana Sent. n. 349/2007. – 3.c. Sul rapporto tra giudici nazionali,
Costituzione italiana e Convenzione europea sui diritti dell’uomo dopo il Trattato europeo di Lisbona.
Corte cost. italiana Sent. n. 113/2011. – 3.d. Sul rapporto tra principi fondamentali della Costituzione
italiana, obblighi internazionali, diritti fondamentali dell’Unione europea e discrezionalità del legisla-
tore. Corte cost. italiana Sent. n. 138/2010. – 3.e. Sul ruolo del giudice comune nazionale di fronte alla
violazione della CEDU. Corte cost. italiana Sent. n. 93/2010. – 3.f. Sui livelli di tutela dei diritti fon-
damentali tra Costituzione nazionale e CEDU. Corte cost. italiana Sent. n. 317/2009.

1. Le antinomie tra norme italiane e CEDU, rispetto ai vincoli UE

L’adattamento del diritto italiano alla CEDU si è realizzato con legge ordinaria, la n. 848
del 1955, come avvenuto anche per i Trattati istitutivi delle Comunità Europee e dell’Unione
europea.
Con riferimento alla CEDU, la Corte Costituzionale ha percorso un doppio itinerario1. Da
un lato, ha inquadrato la Convenzione come semplice legge ordinaria, subordinata alla legge
(Sentenza n. 188/1990) anche se resistente alle successive disposizioni legislative e quindi non
abrogabile (Sentenza n. 10/1993); dall’altro, ha osservato, con la Sentenza n. 388/1999, che il
contenuto della CEDU spesso coincide con disposizioni costituzionali oppure le integra, offren-
do così una più ampia tutela dei diritti fondamentali riconosciuti in Costituzione soprattutto at-
traverso la clausola dell’art. 2 (sulla tutela dei diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo che
nelle formazioni sociali), sicché l’interpretazione delle leggi italiane deve essere orientata al ri-
spetto dei diritti sanciti dalla CEDU (sulla collocazione delle norme della CEDU allo stesso li-
vello della legge ordinaria di autorizzazione alla ratifica della Convenzione, v. le Sentenze nn.
1/1961, 98/1965, 7 e 120/1967, 123/1970, 315/1990, 505/1995, 310/1996, 288/1997, 399/1998,
342, 388/1999, 376/2000, 445/2002, 29/2003, 154 e 231/2004, 299/2005; ordinanza n. 305/
2001. Sulla qualificazione delle medesime norme come “fonti riconducibili a una competenza
atipica”, v. la Sentenza n. 10/1993).
Pertanto, nel corso del tempo, la Corte costituzionale ha valorizzato sempre di più la CE-
DU rispetto a qualsiasi altro documento internazionale sui diritti umani, arrivando a richiama-
re, quanto meno a partire dal 2004, non solo il testo della Convenzione, ma anche la sua inter-
pretazione per opera della Corte di Strasburgo (Sentenze nn. 154/2004, 299/2005, 61/2006).

1
Per un riferimento esaustivo al tema in questa sede sintetizzato, si rinvia all’importante lavoro di B. Ran-
dazzo, Giustizia costituzionale sovranazionale. La Corte europea dei diritti dell’uomo, Milano, Giuffrè, 2012.

ANNA SILVIA BRUNO 162


D’altra parte, l’orientamento della Corte ha trovato una qualche conferma con la riforma
del Titolo V della Parte seconda della Costituzione italiana, nel 2001, e più precisamente con
il nuovo art. 117 comma 1: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel
rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli
obblighi internazionali”. Tale disposizione, infatti, arricchisce il quadro costituzionale di rife-
rimento dell’Italia rispetto sia ai rapporti con la Unione europea (fino a quel momento presi-
diati dal solo richiamo all’art. 11 Cost.: “L’Italia … consente, in condizioni di parità con gli
altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la
giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale
scopo”) sia ai rapporti internazionali (cui la Costituzione italiana faceva riferimento solo
all’art. 10 primo comma: “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto
internazionale generalmente riconosciute”).
Non parla esplicitamente di Trattati per la tutela dei diritti umani (come avviene per
esempio nell’art. 10 della Costituzione spagnola). Ma la disposizione, letta in combinato di-
sposto con il citato art. 2 Cost., come la Corte ha continuato a fare (Sentt. n. 445/2002 e
245/2011), contribuisce a orientare il giudice di legittimità sul ruolo da attribuire alla CEDU.
Rispetto a questo nuovo parametro costituzionale, la Corte chiarisce anche le differenze
delle relazioni interordinamentali tra Stato italiano e Unione europea, da un lato, e Stato ita-
liano e CEDU, dall’altro.
In particolare con le due famose “Sentenze gemelle” nn. 348 e 349/2007, seguite dalla
Sentenza n. 39/2008, la Corte costituzionale nega l’efficacia diretta a livello interno delle di-
sposizioni della CEDU, a differenza di quanto avviene per le norme di diritto comunitario, e
di conseguenza impedisce che il giudice nazionale possa autonomamente disapplicare la nor-
mativa nazionale contrastante con le disposizioni CEDU. Al contrario, nella maggior parte
degli Stati dell’Unione europea che aderiscono al Consiglio d’Europa e quindi alla CEDU, la
giurisprudenza della Corte di Strasburgo è immediatamente applicabile dal giudice interno,
non solo in termini di interpretazione conforme2. L’approccio italiano, invece, comporta co-
munque un dovere per il giudice italiano di porre la questione di legittimità costituzionale del-
la norma interna, giacché le antinomie tra leggi italiane e CEDU devono essere risolte solo
con il giudizio di costituzionalità sollevato davanti alla Corte costituzionale (del resto, sul-
l’ampiezza del sindacato di costituzionalità sulle norme pattizie che fungono da norme inter-
poste nel giudizio di costituzionalità, v. le Sentenze n. 30 e n. 31/1971, n. 12 e n. 195/1972, n.
175 e n. 183/1973, n. 170/1984, n. 1/1977, n. 16/1978, n. 16 e n. 18/1982, n. 168/1991, n.
203/1989, n. 73/2001 e ordinanza n. 454/2006).
La Corte, tuttavia, puntualizza anche che il giudice italiano, in presenza di tale antinomia,
prima di porre la questione di incostituzionalità, deve comunque tentare una soluzione in via
interpretativa, proponendo un significato della norma interna orientato e conforme al testo
della CEDU e ai significati elaborati dalla Corte Europea dei diritti umani di Strasburgo. Solo
nel caso in cui l’antinomia fra norma interna e CEDU non sia componibile per via interpreta-
tiva, si dovrà esperire la questione di costituzionalità della disciplina interna in raffronto al pa-
rametro costituzionale dell’art. 117, del quale la CEDU è a tal fine “norma interposta” (così
anche le Sentenze del 2009 nn. 239, 311 e 317).
L’ipotesi di “interpretazione conforme”, d’altra parte, è stata richiesta ai giudici anche nei
confronti del diritto dell’Unione europea, sotto pena di inammissibilità della questione di le-
gittimità costituzionale (Sent. n. 227/2010).

2
Ma cfr. O. Pollicino, Allargamento dell’Europa a Est e rapporto tra Corti costituzionali e Corti europee.
Verso una teoria generale dell’impatto interordinamentale del diritto sovranazionale?, Milano, Giuffrè, 2010,
334 ss., e A. Gardino Carli, Stati e Corte europea di Strasburgo nel sistema di protezione dei diritti dell’uomo.
Principi processuali, Milano, Giuffrè, 2006.

La giurisprudenza della Corte costituzionale italiana nella struttura tridimensionale europea 163
In questo modo, la Corte responsabilizza i giudici, ma non affida esclusivamente a loro la
possibilità di “disapplicare” il diritto interno ritenuto in contrasto con la CEDU e le sue inter-
pretazioni giurisprudenziali3.
L’idea della CEDU come “norma interposta” tra Costituzione e leggi ordinarie consente
dunque di assumere la CEDU come parametro “differenziato” rispetto alla legge ordinaria ma
comunque non equiparabile alla Costituzione (sulla integrazione da parte delle norme della
CEDU, quali “norme interposte”, dell’art. 117, primo comma, Cost., nella parte in cui impone la
conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli “obblighi internazionali”, v.
le Sentenze n. 1/2011; n. 196, n. 187 e n. 138/2010; n. 317 e n. 311/2009; n. 39/2008; n. 348 e
349/2007. Per la perdurante validità di tale ricostruzione anche dopo l’entrata in vigore del Trat-
tato di Lisbona del 13 dicembre 2007, v. la Sentenza n. 80/2011).
Inoltre, la Corte ha altresì ribadito che il confronto con la CEDU non può legittimare una
interferenza con la discrezionalità del legislatore interno, quando questa opera comunque
nell’alveo della Costituzione (Sent. n. 138/2010). Tant’è che, nelle Sentenze nn. 236/2011,
303/2011, 15/2012, 230/2012, si riconosce che la stessa Corte costituzionale possa avvalersi
di una valutazione interna della giurisprudenza di Strasburgo, come vero e proprio “margine
di apprezzamento e di adeguamento” che consideri le specificità dell’ordinamento italiano e
che consenta, pur nel rispetto “sostanziale” della giurisprudenza CEDU, un suo “riadattamen-
to” per la migliore integrazione delle tutela dei diritti.
Infatti, nella Sent. n. 264/2012, la Corte costituzionale chiaramente precisa che la CEDU “nel
momento in cui va a integrare il comma 1 dell’art. 117 Cost., come norma interposta, diviene
oggetto di bilanciamento, secondo le ordinarie operazioni cui questa Corte è chiamata in tutti i
suoi giudizi di sua competenza”; operazioni finalizzate “non già all’affermazione della primazia
dell’ordinamento nazionale, ma alla integrazione delle tutele”. Di conseguenza, come si legge
nelle Sentenze nn. 170/2013 e 202/2013, il ruolo della Corte in queste operazioni di “bilancia-
mento” e “integrazione” delle tutele nazionali e sovranazionali dei diritti è “infungibile”.
Il nesso, poi, tra art.117.1 e 2 Cost. ha consentito alla Corte, nella recente Sent. n. 7/2013,
di assumere come parametro di legittimità anche altri strumenti internazionali di tutela dei di-
ritti umani (nel caso di specie: la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo del 1989 e la
Convenzione europea sui diritti del fanciullo del 1996).
L’ipotesi italiana sembra ora ulteriormente rafforzata da due dati giurisprudenziali molto
recenti:
a) l’Ordinanza della Corte costituzionale n. 150/2012, dove una sentenza della Corte CE-
DU, sopravvenuta rispetto ad una questione di legittimità costituzionale già sollevata dal giudi-
ce ordinario secondo lo schema delle “Sentenze gemelle”, è considerata dal Corte costituzionale
addirittura alla stregua dello jus supervneniens, imponendo così la restituzione degli atti al giu-
dice a quo per la “reinterpretazione” della vicenda alla luce dell’ “overruling” CEDU;
b) la Sentenza della Corte di Giustizia nel caso “Kamberaj” (Sent. 24 aprile 2012, in Cau-
sa C-571/10), in cui si legge, quasi come obiter dictum, che “il Trattato dell’Unione europea
non impone al giudice della controversia, in caso di conflitto tra una norma nazionale e la
CEDU, di applicare direttamente le disposizioni di quest’ultima, disapplicando la prima”.
Pertanto, si dovrebbe concludere che la prospettiva italiana appare ammissibile anche alla luce
del nuovo art. 6 TUE e non solo dell’art. 117 comma 1 della Cost. italiana.

3
Cfr. D. Tega, I diritti in crisi. Tra Corti nazionali e Corte europea di Strasburgo, Milano, Giuffrè, 2012.

ANNA SILVIA BRUNO 164


2. La CEDU non è un ordinamento giuridico comparabile con la Unione europea

Con le “Sentenze gemelle”, la Corte costituzionale italiana, a differenza di altri orienta-


menti giurisprudenziali europei, giustifica le proprie decisioni sulla base anche della diversa
“natura giuridica” della CEDU rispetto alla UE.
La Corte, in altri termini, ha evidenziato le profonde differenze tra l’ordinamento comuni-
tario, l’adesione al quale trova fondamento costituzionale nell’art. 11 Cost., e la CEDU, che
“non crea un ordinamento giuridico sopranazionale e non produce quindi norme giuridiche
direttamente applicabili negli Stati contraenti” (Sentenza n. 348/2007, punto 3.3 del conside-
rato in diritto).
Per la Corte, le norme CEDU sono “norme internazionali pattizie, che vincolano lo Stato,
ma non producono effetti diretti nell’ordinamento, tali da affermare la competenza dei giudici
nazionali a darvi applicazione nelle controversie ad essi sottoposte, non applicando nello
stesso tempo le norme interne in eventuale contrasto” (Ibidem).
Di conseguenza, non esiste un “obbligo” di disapplicazione a favore della “convenzionali-
tà” della CEDU. L’unico “vincolo” ammesso dalla Corte costituzionale italiana è quello che il
giudice, compreso lo stesso giudice costituzionale, debba attenersi, nell’interpretare la CEDU,
alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, perché a ciò vincolato dal rapporto pattizio in-
terstatale (Sentenza n. 311/2009).
È importante osservare che la Corte assume tale affermazione nonostante il nuovo art. 6
del Trattato dell’Unione europea contempli la CEDU in una doppia prospettiva, indiretta e di-
retta: in via indiretta, in quanto gli artt. 6 § 1 TUE e 52 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea (Carta di Nizza), letti congiuntamente, riconoscono alla CEDU la fun-
zione di fissare il significato e la portata dei corrispondenti diritti enunciati dalla Carta,
nell’attribuzione alla Carta stessa del valore giuridico dei trattati Ue, ossia di fonte di diritto
primario dell’Unione; in via diretta, perché i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU fanno
di per sé “parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali”, come stabilisce l’art. 6 §
3 TUE, per cui la CEDU si colloca all’interno del diritto comunitario europeo in un livello in-
termedio tra il diritto primario (Trattati) e il diritto derivato (altre fonti europee).
Questo significa che la CEDU, dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, appartiene
comunque al diritto dell’Unione europea direttamente applicabile, quanto meno per le materie
di competenza comunitaria, alle quali evidentemente fanno riferimento sia l’interpretazione
della Carta di Nizza quale diritto primario europeo, sia la CEDU stessa quale “parte del dirit-
to dell’Unione in quanto principi generali”.

3. Alcune massime della Corte costituzionale

3.a. Sulla collocazione della CEDU nell’ordinamento costituzionale italiano. Corte


cost. italiana Sent. n. 348/2007

Premesso che l’art. 117, comma 1, Cost., il quale, nel testo introdotto dalla legge costitu-
zionale 18 ottobre 2001, n. 3, condiziona l’esercizio della potestà legislativa dello Stato e del-
le Regioni al rispetto degli obblighi internazionali, può ritenersi operativo solo se vengono de-
terminati gli “obblighi internazionali” che vincolano la potestà legislativa dello Stato e delle
Regioni, che assumono quindi la funzione di fonte interposta, in quanto di grado intermedio
tra la Costituzione, cui sono subordinati, e la legge ordinaria, e premesso altresì che, per quan-
to riguarda la CEDU, questa presenta, rispetto agli altri trattati internazionali, la caratteristica

La giurisprudenza della Corte costituzionale italiana nella struttura tridimensionale europea 165
peculiare di aver previsto la competenza di un organo giurisdizionale, la Corte europea per i
diritti dell’uomo, cui è affidata la funzione di interpretare le norme della Convenzione stessa,
deve ritenersi che tra gli obblighi internazionali assunti dall’Italia con la sottoscrizione e la ra-
tifica della CEDU vi sia quello di adeguare la propria legislazione alle norme di tale trattato,
nel significato attribuito dalla Corte specificamente istituita per dare ad esse interpretazione
ed applicazione; il che, peraltro, non comporta che le norme della CEDU, quali interpretate
dalla Corte di Strasburgo, siano immuni dal controllo di legittimità costituzionale della Corte
costituzionale, perché, trattandosi di norme che integrano il parametro costituzionale, ma ri-
mangono pur sempre ad un livello sub-costituzionale, è necessario che esse siano conformi a
Costituzione, e il relativo controllo deve sempre ispirarsi al ragionevole bilanciamento tra il
vincolo derivante dagli obblighi internazionali, quale imposto dall’art. 117, comma 1, Cost., e
la tutela degli interessi costituzionalmente protetti contenuta in altri articoli della Costituzio-
ne, estendendosi quindi ad ogni profilo di contrasto tra le “norme interposte” e quelle costitu-
zionali, con la conseguenza che la completa operatività delle norme interposte deve superare
il vaglio della loro compatibilità con l’ordinamento costituzionale italiano.

3.b. Sulla esclusione dell’applicabilità diretta della CEDU da parte dei giudici na-
zionali comuni. Corte cost. italiana Sent. n. 349/2007

L’applicabilità delle disposizioni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uo-
mo e delle libertà fondamentali (CEDU) nell’ordinamento interno non può trovare fondamen-
to neanche in via indiretta nell’art. 11 Cost., per effetto della qualificazione, da parte della
Corte di giustizia della Comunità europea, dei diritti fondamentali oggetto di disposizioni del-
la CEDU come princìpi generali del diritto comunitario, e ciò in quanto: a) il Consiglio d’Eu-
ropa, cui afferiscono il sistema di tutela dei diritti dell’uomo disciplinato dalla CEDU e l’atti-
vità interpretativa di quest’ultima da parte della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo, è
una realtà giuridica, funzionale e istituzionale, distinta dalla Comunità europea creata con i
Trattati di Roma del 1957 e dall’Unione europea oggetto del Trattato di Maastricht del 1992;
b) se è vero che i diritti fondamentali fanno parte integrante dei princìpi generali del diritto
comunitario di cui il giudice comunitario assicura il rispetto, ispirandosi alle tradizioni costi-
tuzionali comuni degli Stati membri ed in particolare alla Convenzione di Roma, tuttavia tali
princìpi rilevano esclusivamente rispetto a fattispecie alle quali tale diritto sia applicabile; c) il
rapporto tra la CEDU e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri è un rapporto variamente
ma saldamente disciplinato da ciascun ordinamento nazionale. Né la eventuale incompatibilità
della norma interna con la norma della CEDU può trovare rimedio nella semplice non appli-
cazione da parte del giudice comune, in quanto, allo stato, nessun elemento relativo alla strut-
tura e agli obiettivi della CEDU ovvero ai caratteri di determinate norme consente di ritenere
che la posizione giuridica dei singoli possa esserne direttamente e immediatamente tributaria,
indipendentemente dal diaframma normativo dei rispettivi Stati di appartenenza, fino al punto
da consentire al giudice la non applicazione della norma interna confliggente, dovendosi anzi
rilevare che le stesse sentenze della Corte di Strasburgo, anche quando è il singolo ad attivare
il controllo giurisdizionale nei confronti del proprio Stato di appartenenza, si rivolgono allo
Stato membro legislatore e da questo pretendono un determinato comportamento (Sent. n.
393/2006).

ANNA SILVIA BRUNO 166


3.c. Sul rapporto tra giudici nazionali, Costituzione italiana e Convenzione euro-
pea sui diritti dell’uomo dopo il Trattato europeo di Lisbona. Corte cost. ita-
liana Sent. n. 113/2011

Le norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) – nel significato loro
attribuito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, specificamente istituita per dare a esse in-
terpretazione e applicazione (art. 32, paragrafo 1, della Convenzione) – integrano, quali
«norme interposte», il parametro costituzionale espresso dall’art. 117, comma 1, Cost., nella
parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli «ob-
blighi internazionali». Pertanto, ove si profili un eventuale contrasto fra una norma interna e
una norma della CEDU, il giudice comune deve verificare anzitutto la praticabilità di una in-
terpretazione della prima in senso conforme alla Convenzione, avvalendosi di ogni strumento
ermeneutico a sua disposizione; e, ove tale verifica dia esito negativo – non potendo a ciò ri-
mediare tramite la semplice non applicazione della norma interna contrastante – egli deve de-
nunciare la rilevata incompatibilità, proponendo questione di legittimità costituzionale in rife-
rimento all’indicato parametro. A sua volta, la Corte costituzionale, investita dello scrutinio,
pur non potendo sindacare l’interpretazione della CEDU data dalla Corte europea, resta legit-
timata a verificare se la norma della Convenzione – la quale si colloca pur sempre a un livello
sub-costituzionale – si ponga eventualmente in conflitto con altre norme della Costituzione:
ipotesi nella quale dovrà essere esclusa la idoneità della norma convenzionale a integrare il
parametro considerato.

3.d. Sul rapporto tra principi fondamentali della Costituzione italiana, obblighi
internazionali, diritti fondamentali dell’Unione europea e discrezionalità del
legislatore. Corte cost. italiana Sent. n. 138/2010

È inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 93, 96, 98, 107, 108,
143, 143-bis e 156-bis cod. civ., impugnati, in relazione agli artt. 2 e 117, comma 1, Cost.,
nella parte in cui non consentono che le persone di orientamento omosessuale possano con-
trarre matrimonio con persone dello stesso sesso. I rimettenti hanno, infatti, richiesto una pro-
nunzia additiva non costituzionalmente obbligata, poiché l’art. 2 Cost. non impone di perveni-
re ad una declaratoria d’illegittimità della normativa censurata, estendendo alle unioni omo-
sessuali la disciplina del matrimonio civile per colmare il vuoto conseguente al fatto che il le-
gislatore non si è posto il problema del matrimonio omosessuale. Sebbene nella nozione di
formazione sociale di cui al menzionato parametro sia da annoverare anche l’unione omoses-
suale, spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme
di garanzia e di riconoscimento per le unioni omosessuali, restando riservata alla Corte, attra-
verso il controllo di ragionevolezza, la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazio-
ni, per le quali può riscontrarsi la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della
coppia coniugata e quella della coppia omosessuale. Quanto alla dedotta violazione dell’art.
117, comma 1, Cost., vengono in rilievo, quali norme interposte, per il principio di specialità,
gli artt. 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e 9 della Carta dei diritti fonda-
mentali dell’Unione Europea, i quali non impongono la piena equiparazione delle unioni
omosessuali e delle unioni matrimoniali tra uomo e donna, poiché il rinvio alle leggi nazionali
conferma che la materia è affidata alla discrezionalità del Parlamento.

La giurisprudenza della Corte costituzionale italiana nella struttura tridimensionale europea 167
3.e. Sul ruolo del giudice comune nazionale di fronte alla violazione della CEDU.
Corte cost. italiana Sent. n. 93/2010

Le norme della CEDU – nel significato loro attribuito dalla Corte europea dei diritti
dell’uomo, specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione – integrano,
quali norme interposte, il parametro costituzionale espresso dall’art. 117, comma 1, Cost., nella
parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi
internazionali. Pertanto, ove si profili un eventuale contrasto tra una norma interna e una norma
della CEDU, il giudice nazionale comune deve preventivamente verificare la praticabilità di
un’interpretazione della prima conforme alla norma convenzionale, ricorrendo a tutti i normali
strumenti di ermeneutica giuridica, e, qualora tale soluzione risulti impercorribile, non potendo
comunque disapplicare la norma interna contrastante, deve denunciare la rilevata incompatibilità
proponendo questione di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 117, comma 1, Cost. In
sede di scrutinio, poiché le norme della CEDU si collocano ad un livello sub-costituzionale, la
Corte costituzionale, pur non potendo sindacare l’interpretazione della CEDU data dalla Corte di
Strasburgo, resta legittimata a verificare se una norma convenzionale si ponga eventualmente in
conflitto con altre norme della Costituzione, nel qual caso, peraltro eccezionale, dovrà essere
esclusa l’idoneità della stessa norma convenzionale a integrare il citato parametro.

3.f. Sui livelli di tutela dei diritti fondamentali tra Costituzione nazionale e CE-
DU. Corte cost. italiana Sent. n. 317/2009

Con riferimento ad un diritto fondamentale garantito anche dalla Convenzione europea per i
diritti dell’uomo, il rispetto degli obblighi internazionali non può mai essere causa di una dimi-
nuzione di tutela rispetto a quelle già predisposte dall’ordinamento interno, ma può e deve, vi-
ceversa, costituire strumento efficace di ampliamento della tutela stessa. In particolare, la Corte
non può ammettere che una tutela superiore, che sia possibile introdurre per il tramite dell’art.
117, primo comma, Cost., rimanga sottratta ai titolari di un diritto fondamentale. L’obiettivo di
massima espansione delle garanzie deve essere conseguito attraverso lo sviluppo delle potenzia-
lità insite nelle norme costituzionali che tutelano i medesimi diritti protetti a livello convenzio-
nale e nel necessario bilanciamento con altri diritti fondamentali costituzionalmente garantiti,
suscettibili di essere incisi dall’espansione di una singola tutela. La protezione dei diritti fonda-
mentali deve, dunque, essere sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed
in potenziale conflitto tra loro, e la realizzazione di un equilibrato sistema di tutela è demandata,
per gli ambiti di rispettiva competenza, al legislatore, al giudice comune e al giudice delle leggi.
Il risultato complessivo dell’integrazione delle garanzie dell’ordinamento deve essere di segno
positivo, nel senso che dall’incidenza della singola norma CEDU sulla legislazione italiana deve
derivare un plus di tutela per tutto il sistema dei diritti fondamentali. Resta fermo che la Corte
costituzionale non può sostituire la propria interpretazione di una disposizione della CEDU a
quella della Corte di Strasburgo, con ciò uscendo dai confini delle proprie competenze, in viola-
zione di un preciso impegno assunto dallo Stato italiano con la sottoscrizione e la ratifica, senza
l’apposizione di riserve, della Convenzione, ma può valutare come ed in qual misura il prodotto
dell’interpretazione della Corte europea si inserisca nell’ordinamento costituzionale italiano. La
norma CEDU, nel momento in cui va ad integrare il comma 1 dell’art. 117 Cost., da questo ri-
pete il suo rango nel sistema delle fonti, con tutto ciò che segue in termini di interpretazione e
bilanciamento, che sono le ordinarie operazioni compiute dalla Corte in tutti i giudizi di sua
competenza.

ANNA SILVIA BRUNO 168


Gli Autori

Bruno Anna Silvia – Assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato nell’Università del
Salento, Italia e abilitata nazionale a professore associato di Diritto coparato

Carducci Michele – Professore ordinario di Diritto costituzionale comparato nell’Università


del Salento – Italia

Castillo Amaya Lidia Patricia – Dottore di ricerca in Diritto pubblico nell’Università degli
Studi di Bari – Italia, e Ricercatrice nella Universidad Francisco Gavidia di San Salvador
– El Salvador

Giammattei Avilés Jorge Antonio – Professore a contratto della Scuola Superiore Sant´Anna
per gli Studi Universitari di Pisa – Italia, e “Académico correspondiente de la Academia
Nacional de Derecho y Ciencias Sociales” di Córdoba – Argentina

Lorubbio Vincenzo – Dottorando di ricerca in Diritti umani: evoluzione, tutela e limiti


nell’Università degli Studi di Palermo – Italia

Luetto María Verónica – Dottoranda in Política y Gobierno nell’Universidad Católica de


Córdoba – Argentina

Mazzuoli Valerio de Oliveria – Professor Adjunto di Diritto internazionale pubblico e Diritti


umani nell’Universidade Federal de Mato Grosso – Brasile

Mocoroa Juan M. – Docente Adscripto in Diritto costituzionale nell’Universidad Nacional de


Córdoba – Argentina

Riberi Pablo – Professore ordinario di Diritto costituzionale nell’Universidad Católica de


Córdoba – Argentina

Gli Autori 169


€ 12,00 (IVA inclusa)

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