Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
«8 settembre 1943»
testo della conferenza di Massimo Gusso – 8 settembre 2017
cise. Si era dimostrato così che i tedeschi fino ad allora apparentemente invinci-
bili, alla fine si potevano battere. Di lì in avanti per l'Asse fu, strategicamente e
tatticamente, solo strada in discesa.
Vorrei ricordare che nel dicembre 1942 Mussolini si mostrò sensibile alle ipotesi
giapponesi di pace con l'Unione Sovietica. Ma l'argomento "fine della guerra con-
tro la Russia", come paradigma per riorganizzare la difesa contro gli anglo-
americani, non ricevette però alcun positivo interesse da parte di Hitler. Il Füh-
rer combatteva infatti la sua personale, irredimibile guerra ideologica, già profe-
tizzata nel Mein Kampf, trascinando alla rovina la Germania e i suoi alleati.
Il 31 gennaio 1943 Mussolini allontanò dal comando supremo il
Il 1943 generale Ugo Cavallero (considerato filo-tedesco) e lo sostituì con
Vittorio Ambrosio, che in realtà era incline a trovare una soluzio-
ne per sganciarsi dai tedeschi, oppure magari per liberarsi del
Duce. Aiutante di Ambrosio era un certo generale Giuseppe Castellano, di cui
sentiremo ancora parlare.
In realtà esisteva anche un piano romeno per uno sganciamento concertato dai
tedeschi da parte dell'Italia e di tutti i satelliti dell'Asse, che Mussolini conobbe
dal sottosegretario agli esteri Bassanini, che aveva sostituito Ciano nel febbraio
1943, senza prenderlo però in considerazione.
Certamente una cospirazione militare anti-Mussolini era in atto, rallentata dal
re, che tergiversava. Ma non c'era niente di preciso e strutturato, era uno schie-
rarsi contro, soprattutto, in attesa che ci fosse l'occasione. In realtà ciascuno
sperava che l'altro gli togliesse per primo le castagne dal fuoco. I generali spera-
vano nel re; il re nei generali; qualcuno sperava che Mussolini stesso trovasse il
coraggio di rompere con i tedeschi; molti speravano che gli Alleati li salvassero
dalla vendetta di Hitler, semmai qualcosa fosse andato per il verso sbagliato. Il re
accampava giustificazioni costituzionali alle sue esitazioni; Mussolini sperava
che i tedeschi lo avrebbero tratto ancora una volta dai guai.
Intanto, il 12 maggio 1943, era caduta Tunisi.
Circa tre mesi prima dell'8 settembre, l'11 giugno 1943, gli Alleati sbarcarono a
Pantelleria e Lampedusa, ponendo le basi per lo sbarco in Sicilia.
Il 24 giugno 1943 Mussolini pronunciò un discorso con la solita retorica, e disse
tra l’altro parole rimaste celebri: Bisogna che non appena questa gente tenterà di
sbarcare, sia congelata su questa linea che i marinai chiamano del bagnasciuga.
Il giorno successivo, 25 giugno, un mese prima della crisi del regime, si tenne, a
Palazzo Venezia, un incontro tra il Duce, il capo di stato maggiore, generale Am-
brosio, e una delegazione nipponica. I giapponesi avevano allora un singolare in-
teresse alla tenuta del fronte del Mediterraneo: lì stava inchiodata una buona
parte della flotta britannica che altrimenti sarebbe potuta essere impiegata in
ausilio agli americani nel Pacifico, e pertanto i diplomatici del Sol Levante, erano
solleciti di attenzioni e di consigli al declinante regime mussoliniano.
Il 10 luglio gli Alleati, infine, sbarcarono in Sicilia.
A quel punto Hitler decise di mettere sotto tutela il Duce, e si orga-
Mussolini e nizzò in fretta e furia una conferenza tra i due dittatori, a Feltre
Hitler a Feltre (nella settecentesca villa del senatore Gaggia), per le 11,00 del 19
2
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – Vittorio Veneto (Conferenze autunnali 2017)
luglio 1943. Prima che iniziasse l'incontro, Mussolini venne informato delle in-
tenzioni del Führer, tutto il potere al Duce, accantonamento della dinastia, impie-
go di più rilevanti rinforzi tedeschi sotto comando superiore tedesco [parole di
Keitel]. Hitler voleva insomma porre le forze armate italiane sotto comando te-
desco, e commissariare Mussolini, pur intestandogli nominalmente il comando
supremo. Questa, se ci pensate, è la vera data di nascita della Repubblica di
Salò, anche se gli interessati ancora non lo sapevano.
L'intenzione del Duce di chiedere a Hitler di far cessare la guerra sul fronte rus-
so, si scontrò con un torrentizio monologo del Führer, che poté essere interrotto
solo verso le dodici da un drammatico messaggio che riferiva di Roma sottopo-
sta, per la prima volta, a un pesante e sanguinoso bombardamento alleato.
Durante una pausa, circondato dai suoi, spaventati dalla piega fanatica che stava
prendendo la conferenza, abbandonata al lunghissimo sfogo hitleriano – e che gli
chiedevano in vario modo di uscire dalla guerra, Mussolini, secondo l'ambascia-
tore italiano a Berlino, Alfieri, disse: Credete forse che questo problema io non lo
senta agitarsi da tempo nel mio spirito travagliato?... è un profondo assillante
tormento. Ammetto la ipotesi: sganciarsi dalla Germania. La cosa è semplice; un
giorno, ad una data ora, si lancia un messaggio radio al nemico. Quali saranno le
conseguenze? Il nemico pretenderà, giustamente, una capitolazione [sembra
davvero una predizione di quel che accadrà l'8 settembre]. Siamo disposti a
cancellare d'un tratto venti anni di regime?... A riconoscere la nostra prima scon-
fitta militare e politica? A scomparire dalla scena del mondo? E poi si fa presto a
dire: sganciarsi dalla Germania. Quale atteggiamento prenderebbe Hitler? Credete
forse che egli ci lascerebbe libertà d'azione?
Nelle memorie dell'interprete ufficiale di Hitler, Paul Schmidt, si comprende che
la delegazione italiana, che capiva assai male il tedesco, era stata sottoposta a
ore di sproloqui hitleriani, senza traduzione, e senza ben comprenderne il senso,
Mussolini per primo. Era tanto agitato – scrisse di lui Schmidt – che, subito dopo
il ritorno, chiese urgentemente... i miei appunti sui colloqui. Ci fu detto che non
aveva potuto seguirli bene, e che le misure difensive concertate avrebbero potuto
essere da lui attuate solo avendo sott'occhio il mio testo. Gli appunti gli furono
mandati con un aereo speciale dopo che Hitler li ebbe riveduti.
Il 20 luglio, di ritorno da Feltre, il generale Ambrosio decise di chiudere con il
Duce, decidendosi ad agire. Dino Grandi, ex ministro degli esteri di Mussolini,
ebbe sentore della scelta dei militari e cercò di sfruttarne il potenziale, trasfe-
rendolo in politica. Si giunse così alla convocazione del Gran Consiglio del Fasci-
smo, nella sera del 24 luglio.
Il 25 luglio Mussolini aveva accettato la riunione nonostante lui stesso non
riconoscesse più di tanto il ruolo istituzionale dell'organismo
(basti pensare che non era stato convocato nemmeno a ratificare l'ingresso in
guerra dell'Italia): il Duce era sempre convinto di dominare il corso delle cose, di
rappresentare la soluzione, per il regime e per il paese, senza rendersi conto in-
vece che ormai lui rappresentava gran parte del problema, che regime e paese
avevano e soffrivano.
3
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – Vittorio Veneto (Conferenze autunnali 2017)
4
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – Vittorio Veneto (Conferenze autunnali 2017)
5
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – Vittorio Veneto (Conferenze autunnali 2017)
Alleati: Blasco Lanza D'Ajeta, arrivò a Lisbona, mentre Alfredo Berio giunse a
Tangeri. Avevano disposizione di chiedere, in buona sostanza, che l'Italia cam-
biasse alleanza, e passasse dalla parte alleata; chiesero inoltre uno sbarco alleato
nella Francia meridionale così da attirare fuori d'Italia almeno parte delle truppe
tedesche. In realtà si trattava di un ballon d'essai: nessuno dei due inviati aveva
ricevuto un documento che gli desse il potere di negoziare alcunché, e gli Alleati
si rifiutarono di trattare, ribadendo che l'unica strada possibile era la resa in-
condizionata (unconditional surrender).
In ogni caso le finte quinte teatrali, che il governo Badoglio aveva eretto attorno
a sé, continuarono a restare esposte e il 6 agosto 1943, si tenne un incontro, a
Tarvisio, tra il ministro degli esteri di Badoglio, Guariglia, il capo di stato mag-
giore, generale Ambrosio per parte italiana, Joachim von Ribbentrop e Wilhelm
Keitel per parte tedesca (i giapponesi si lamentarono parecchio per non essere
stati invitati). In quell'occasione gli italiani cercarono di ottenere il rientro nella
penisola delle forze italiane d'occupazione in Francia e nei Balcani, così che il
minor numero possibile di soldati venisse sorpreso fuori dai confini al momento
decisivo. La scusa era bell'e pronta: difendere l'Italia dall'attacco alleato.
L'idea forse era buona ma non andò a buon fine. Fu ingenuità, supponenza, inca-
pacità di porre i problemi nel modo giusto? Fu forse la irrisolutezza che fece
sembrare la proposta un inganno? Non sappiamo, ma si giunse a un nulla di fat-
to, e non venne presa nessuna decisione.
È bene ricordare che Guariglia, mentre incontrava il suo omologo nazista, si sta-
va muovendo su un terreno insidioso: aveva infatti dato istruzioni all'inviato ita-
liano a Lisbona, Lanza D'Ajeta, perché pre-avvisasse gli Alleati della stessa ra-
gione dell'incontro, aprendo la strada alle successive discussioni armistiziali: il
Governo italiano si riprometteva di sopire le palesi inquietudini tedesche e guada-
gnare quel tempo necessario... Il Governo italiano pregava... gli Alleati di non frain-
tendere la portata dell'imminente incontro Guariglia-Ribbentrop.
L'11 agosto 1943, il generale Ambrosio si incontrò anche con l'addetto militare
giapponese a Roma. Il giapponese voleva essere informato dell'esito dell'incon-
tro di Tarvisio e sembrava aver chiaro che i tedeschi stessero ormai invadendo
l'Italia; Ambrosio preferì divagare lasciando intendere la debolezza della sua po-
sizione.
Anche la risposta che, il 12 agosto, all'una del mattino, Guariglia telegraferà a
Tōkyō, appare un capolavoro di ipocrisia: Mio Convegno con Ribbentrop ha avuto
luogo a Tarvisio venerdì scorso. Non ero allora informato del desiderio giapponese
di partecipare... Al mio ritorno... ho informato [l']ambasciatore del Giappone delle
conversazioni che avevo avute ..., e le quali sono partite dalla premessa che l'Italia
continua la guerra e intende tener fede ai patti.
Lo stesso 12 agosto il generale Giuseppe Castellano lasciò Roma con in tasca le
istruzioni stilate da Ambrosio, e approvate da Guariglia mentre ancora tre giorni
dopo si sarebbe tenuta, a Bologna, l'ultima conferenza militare italo-tedesca del
periodo badogliano, tra i generali Alfred Jodl ed Erwin Rommel da una parte,
Mario Roatta e Francesco Rossi dall'altra, sempre avendo cura di non coinvolge-
re i giapponesi (probabilmente per pura sciatteria organizzativa).
6
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – Vittorio Veneto (Conferenze autunnali 2017)
7
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – Vittorio Veneto (Conferenze autunnali 2017)
8
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – Vittorio Veneto (Conferenze autunnali 2017)
9
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – Vittorio Veneto (Conferenze autunnali 2017)
10
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – Vittorio Veneto (Conferenze autunnali 2017)
Il Ministero degli Esteri si vide costretto nel pomeriggio a improvvisare con i te-
deschi (come leggiamo in un appunto scritto dal Segretario Generale, Augusto
Rosso, delle ore 18:25. Straordinaria la battuta finale, non so quanto involonta-
ria): Il ministro Rahn mi telefona per segnalarmi una notizia diffusa dalla radio di
New York, [ascoltata dai tedeschi alle 17:45] secondo la quale il Generale Eisen-
hower aveva informato che era stato firmato l'armistizio con l'Italia e che tutte le
truppe italiane avevano deposto le armi. Il Signor Rahn mi ha chiesto che cosa si-
gnificava tale notizia. Gli ho risposto che tutto quello che io potevo dirgli era che a
me non risultava nulla in proposito. Anche a me era stato riferito pochi minuti
prima che la notizia dell'armistizio era stata annunziata dalla Radio Algeri. Rahn
mi ha chiesto che cosa ne pensavo. Ho risposto che credevo si trattasse di una ma-
novra della propaganda nemica.
Tuttavia, pochi minuti dopo, alle 19, Guariglia ricevette Rahn, al Ministero, e gli
confermò la notizia dell'armistizio.
Verso le 19,40 Badoglio, dopo diverse riunioni, annunciò alla radio l'armistizio.
L'ultimo periodo del proclama di Badoglio ordinava alle truppe italiane di non
attaccare le truppe alleate, ma di reagire agli attacchi di qualsiasi altra prove-
nienza, che era un modo elegante di definire i tedeschi.
Alle 20,20, Badoglio, scopriva ufficialmente le carte telegrafando a Hitler: L'Italia
non ha più forza di resistenza. Le sue maggiori città, da Milano a Palermo, sono o
distrutte o occupate dal nemico. Le sue industrie sono paralizzate. La sua rete di
comunicazioni... è sconvolta. Le sue risorse... sono completamente esaurite... In que-
ste condizioni il Governo Italiano non può assumersi più oltre la responsabilità di
continuare la guerra, che è già costata all'Italia, oltre alla perdita del suo impero
coloniale, la distruzione delle sue città, l'annientamento delle sue industrie, della
sua marina mercantile, della sua rete ferroviaria, e finalmente l'invasione del pro-
prio territorio. Non si può esigere da un popolo di continuare a combattere quando
qualsiasi legittima speranza, non dico di vittoria, ma financo di difesa si è esaurita.
L'Italia, ad evitare la sua totale rovina, è pertanto obbligata a rivolgere al nemico
una richiesta di armistizio.
L'ambasciatore tedesco avrebbe detto: Questo è tradimento alla parola data. Co-
sa imputavano all'Italia i tedeschi e poi, come vedremo, i giapponesi? Si trattava
della violazione dell'articolo 2, del Protocollo aggiuntivo al Patto Tripartito, fir-
mato a Berlino da Italia, Germania e Giappone, in data 11 dicembre 1941, in
coincidenza con la dichiarazione di guerra tedesco-italiana agli Stati Uniti. In es-
so si leggeva: L'Italia, la Germania e il Giappone si impegnano a non concludere né
un armistizio né la pace sia con gli Stati Uniti d'America che con l'Inghilterra sen-
za piena reciproca intesa. Ovvio che dell'impegno non tenne conto l'Italia quando
per prima, con l'armistizio, si sganciò dal Tripartito, l'8 settembre 1943.
Le trattative per l'armistizio furono condotte fin dall'inizio con molta incertezza
e in un clima di reciproco sospetto all'interno dei comandi militari e del governo.
Pur nella generale convinzione che la guerra ormai fosse persa, rimase l'illusione
di poter far uscire il paese dal conflitto evitando uno scontro diretto con i tede-
11
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – Vittorio Veneto (Conferenze autunnali 2017)
12
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – Vittorio Veneto (Conferenze autunnali 2017)
nero a profilare quindi due entità, entrambe definite "Italia" dalle rispettive pro-
pagande, una a sud col re, sostenuto e riconosciuto dagli Alleati (dove in breve
sarebbe tornato dopo tanti anni anche un embrione di dialettica politica), e una
a centro-nord che sarà governata – in regime di occupazione militare nazista –
da un sedicente governo fascista repubblicano, che non godette di una vera per-
sonalità internazionale (era un governo fantoccio) ma che si consumò soprattut-
to in vendette e repressione interna.
Quella parentesi italiana della seconda guerra mondiale ebbe senza dubbio ca-
ratteristiche anche di guerra civile.
13
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – Vittorio Veneto (Conferenze autunnali 2017)
L'8 settembre non determinò di per sé la crisi italiana, quali le
considerazioni responsabilità della dirigenza politica e militare nella vicenda
finali armistiziale, ma evidenziò una condizione morale già in atto
nella stragrande maggioranza degli italiani.
È verissimo che dopo l'armistizio nacque e prese piede, specie nel nord Italia, la
resistenza al nazi-fascismo, attraverso bande armate di partigiani, che fu, specie
all'inizio, fenomeno elitario ma si estese dimostrandosi fondamentale e fondati-
vo; è vero che truppe italiane resistettero eroicamente ai tedeschi e che tra i sei-
centomila soldati internati nei campi di concentramento in Germania solo po-
chissimi accettarono di rientrare in Italia per servire la Repubblica di Salò, ma la
mole dell'assenza di reazioni e il peso della sterminata passività che caratteriz-
zarono la stragrande maggioranza degli italiani, al sud come al nord, di fronte
all'8 settembre non può essere ignorata né sottovalutata.
Gli avvenimenti del settembre 1943 dimostrarono che venti anni di regime tota-
litario avevano annullato ogni capacità della classe dirigente, e particolarmente
dei quadri militari italiani, di assumere autonome responsabilità e prendere de-
cisioni. Furono anche la prova evidente della incapacità della monarchia a guida-
re il paese fuori e oltre l'esperienza fascista. I costi del crollo dell'autorità statale
in quel momento sono stati pagati dall'intero popolo italiano. Se con la deposi-
zione di Mussolini la monarchia aveva ottenuto il consenso della maggioranza
della popolazione, questa unità nazionale si spezzò con l'8 settembre.
La scelta di un netto distacco dal passato, che il re Vittorio Emanuele III non era
riuscito a fare, ricadde sull'intero popolo. La maggioranza mantenne l'atteggia-
mento attendista, che aveva caratterizzato gli ultimi anni di guerra, cercando di
sopravvivere fino alla conclusione del conflitto e solo una minoranza rispose al ri-
chiamo del rinato partito fascista all'onore della patria e alla fedeltà alla alleanza
con la Germania, ormai attestata come forza di occupazione nel paese.
L'8 settembre costituì però anche, come si è detto, un punto di svolta perché
rappresentò l'occasione per un rilancio dei valori antifascisti. Il vuoto di potere
venutosi a creare con il tracollo di tutta una classe dirigente costrinse una parte
della popolazione a fare un bilancio del disastro cui il regime aveva portato il pae-
se. Non soltanto gli esponenti dell'opposizione antifascista, che lo stesso 9 set-
tembre dettero vita al Comitato di Liberazione Nazionale, ma anche molta gente
che fino a quel momento aveva appoggiato il regime, di fronte alla occupazione
14
Circolo Vittoriese di Ricerche Storiche – Vittorio Veneto (Conferenze autunnali 2017)
questa la bibliografia ampiamente utilizzata, cui faccio riferimento, e alla quale comunque rinvio:
– Elena Aga Rossi, L'inganno Reciproco. L'armistizio tra l'Italia e gli Angloamericani del Settembre 1943, Ministero per i Beni Cul-
turali e Ambientali - Ufficio Centrale Per i Beni Archivistici, Roma 1993
www.archivi.beniculturali.it/dga/uploads/documents/Fonti/Fonti_XVI.pdf
– Frederick W. Deakin, The Brutal Friendship. Mussolini, Hitler and the Fall of Italian Fascism, Weidenfeld & Nicolson, London
1963, tr. it. Storia della Repubblica di Salò, Einaudi, Torino 1970
– Renzo De Felice, Mussolini e il Fascismo (6) – Mussolini l'alleato I. L'Italia in guerra 1940-1943, Tomo primo. Dalla guerra
«breve» alla guerra lunga, Einaudi, Torino (1996=) 2006
– Renzo De Felice, Mussolini e il Fascismo (7) – Mussolini l'alleato I. L'Italia in guerra 1940-1943, Tomo secondo. Crisi e agonia
del regime, Einaudi, Torino (1996=) 2006
– Renzo De Felice, Mussolini e il Fascismo (8) – Mussolini l'alleato II. 1943-1945 La guerra civile, Einaudi, Torino (1998=) 2006
Annibale Del Mare, Storia d'Italia dopo l'8 settembre '43. Rassegna degli avvenimenti e documentazione ufficiale e inedita, Fonda-
zione Giangiacomo Feltrinelli, Milano 2016 (e-book)
http://fondazionefeltrinelli.it/schede/ebook-storia-italia-dopo-otto-settembre-9788868352561/
– Albert N. Garland-Haward MacGaw Smyth, Sicily and the Surrender of Italy, Center of Military History - United States Army,
Washington (D.C.) 1993
– Norman Kogan, Italy and the Allies, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1961, tr. it. L'Italia e gli Alleati, Lerici editori,
Milano 1963
– Norman Kogan, A Political History of Postwar Italy, 1966, tr.it. L'Italia del Dopoguerra. Storia politica dal 1945 al 1966, Laterza,
Roma-Bari (1968=) 1974
– Ministero degli Affari Esteri - Commissione per la Pubblicazione dei Documenti Diplomatici, I Documenti Diplomatici Italiani,
Nona Serie: 1939-1943, Volume X (7 febbraio-8 settembre 1943), Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1990
– Ministero della Difesa – Stato Maggiore dell'Esercito – Ufficio Storico, Le operazioni delle unità italiane nel settembre-ottobre
1943, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1975
15