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IL RISCHIO TECNOLOGICO
Andrea Carpignano*
Introduzione
La progettazione, realizzazione e gestione di sistemi e infrastrutture produce
un inevitabile impatto sul contesto socio-economico in cui queste vengono inse-
rite, impatto che può essere di natura positiva (si pensi al beneficio economico
derivante da un nuovo insediamento produttivo), ma anche di carattere negati-
vo, basti pensare all’occupazione del suolo, all’impatto visivo, all’eventuale
inquinamento atmosferico che l’insediamento stesso produce. Tra gli impatti
negativi è bene differenziare quelli con carattere di ordinarietà, detti anche
impatti di routine (ad esempio l’emissione di fumi a camino per un impianto di
produzione di energia elettrica), da quelli di carattere incidentale che si manife-
steranno solo in caso di incidente ossia di comportamento anomalo e inatteso
del sistema o infrastruttura (ad esempio un rilascio di sostanze tossiche a segui-
to di rottura di una tubazione).
L’analisi del rischio tecnologico mira all’identificazione, quantificazione e valu-
tazione degli impatti di carattere incidentale che potrebbero verificarsi durante la
vita del sistema.
L’aggettivo tecnologico intende focalizzare l’attenzione sui rischi derivanti da
infrastrutture e sistemi di carattere tecnologico quali stabilimenti produttivi, sta-
bilimenti di stoccaggio, infrastrutture e sistemi di trasporto. L’attenzione è parti-
colarmente rivolta in questa sede ai rilasci incontrollati di energia (esplosioni,
incendi) o rilasci e dispersione di sostanze tossiche o inquinanti.
Da questa breve introduzione, emerge subito il carattere “sistemico” e inter-
disciplinare del problema: studiare il rischio tecnologico significa prevedere i
possibili malfunzionamenti di un sistema, identificarne le conseguenze, valutar-
ne l’impatto sul territorio in cui il sistema è collocato ed in particolare sulle sue
Il Rischio
Il concetto di Sicurezza è del tutto astratto in quanto descrive una situazione
caratterizzata dall’assenza di possibili danni; il suo carattere di astrazione fa sì che
la sicurezza non sia “quantificabile”. I tecnici, al fine di valutare la sicurezza di un
contesto ricorrono allora alla valutazione di quanto questo si trovi “distante” dalle
condizioni di sicurezza. Questa distanza è definita con il termine di “rischio”. Il
rischio esprime infatti la possibilità che si verifichi un evento indesiderato, quin-
di associato ad un danno, di carattere incerto, ossia non sempre stimabile con
precisione a priori.
Dal punto di vista matematico il rischio viene solitamente definito come il pro-
dotto della frequenza (eventi/anno) di accadimento dell’evento indesiderato (inci-
dente) moltiplicata per il danno associato all’incidente stesso (danno/incidente):
R [danni/anno] = f [eventi/anno] x d [danni/evento]
Il rischio sarà quindi espresso in danni/anno. Il danno, a seconda dei casi,
potrà essere stimato in termini di decessi, numero di feriti, danni ambientali,
costo del ripristino di infrastrutture danneggiate ecc.
Il rischio consente quindi di pesare i danni che possono derivare dagli inci-
denti, con la frequenza di accadimento di questi ultimi; questo comporta che
eventi molto dannosi ma caratterizzati da una frequenza di accadimento trascu-
rabile possano presentare un rischio decisamente inferiore rispetto ad eventi a
danno limitato ma di accadimento frequente. Si tratta, in altre parole, di mediare,
su una base probabilistica, i danni che ci si aspetta da una certa tecnologia.
Questa definizione fa anche comprendere come il rischio nullo, al pari della sicu-
rezza assoluta, sia una pura astrazione: qualunque attività umana può comporta-
re imprevisti, incidenti e di conseguenza dei danni. Sarà cura dell’analista di
rischio valutarli accuratamente al fine di decidere le strategie migliori in grado di
126 prevenire l’incidente o mitigarne le conseguenze.
A titolo di esempio, si pensi di dover valutare il rischio di morte per incidente
4 - Il rischio tecnologico
stradale. Ciascuno di noi, quando decide di far ricorso all’automobile per spo-
starsi, si accolla un rischio che esprime il potenziale danno che potrebbe subire
qualora fosse coinvolto in un incidente. Con riferimento ad una collettività,
estraendo i dati dalle statistiche disponibili, si avrà:
frequenza = 1.800.000 incidenti/anno
danno = 1/300 morti/incidente
Rischio = f x d = 6000 morti/anno.
Il costo “probabilistico” (danno) della collettività sarà pari a 6000 morti/anno.
Se l’attenzione è posta sulla sorgente del rischio (come avviene nel caso prece-
dente in cui la sorgente del rischio è l’uso dell’auto), il rischio che si valuta è un
Rischio Collettivo che rappresenta cioè il danno probabilistico subìto da una colletti-
vità a causa della realizzazione o dell’utilizzo di una certa tecnologia. Altre volte l’at-
tenzione è focalizzata sull’individuo che subisce il rischio: in questi casi si valuterà un
Rischio Pro capite espresso in danni/anno*persona, in grado di esprimere il danno
probabile a cui il singolo individuo sarà sottoposto a causa dell’utilizzo o della realiz-
zazione di quel sistema. Nell’esempio sopra riportato, volendo determinare il Rischio
Individuale medio della collettività, nell’ipotesi di 56.000.000 di individui si avrà:
Rischio Individuale (medio) = Rischio/Individui esposti = 1.1 x 10-4 morti/anno*persona.
Ne risulta che, mediamente, chiunque decida di avvalersi dell’automobile
per i suoi spostamenti incrementa il proprio rischio di morte del contributo
sopra calcolato.
4 - Il rischio tecnologico
tabilità.
La prassi adottata nei diversi paesi è alquanto differenziata, l’approccio però
formalmente più avanzato è rappresentato dall’utilizzo di soglie di accettabilità
e inaccettabilità del rischio, pratica ormai consolidata nei paesi del Nord Europa
dove la cultura del rischio è ben radicata. Un esempio è riportato in fig. 1.
F (ev./anno)
5.0 E-5
NON ACCETTABILE
5.0 E-6
ALARA
ACCETTABILE
5.0 E-7
1 10 100 D (m
morti)
Figura 1. Criteri di accettabilità del rischio.
Rischio
∆ R1
∆ R2
∆ C1 ∆ C2 Costo
In Italia fino ad ora non sono stati definiti dei criteri di accettabilità rigidi per il
rischio tecnologico: si tende a discutere in ogni situazione il progetto tra il fab-
bricante e le autorità al fine di valutarne l’eventuale criticità ma soprattutto al fine
di definire tutte le migliorie realizzabili per ridurre il rischio ai valori minimi. In altre
parole ci si muove sempre con un approccio di tipo ALARA. Solo recentemente,
(ed è il caso del D.M. 9 maggio 2001 e dei D.M. 15 maggio 1996 e D.M. 20 otto-
bre 1998) la normativa italiana ha iniziato a prevedere dei criteri “risk based”.
Questo approccio ha una sua ragionevolezza se si considera che il processo di
valutazione del rischio è molto complesso e articolato, sfrutta dati statistici non
sempre disponibili e pertanto porta a risultati affetti da incertezze anche rilevan-
ti: in quest’ottica, il giustificare una decisione con una soglia prefissata potrebbe
essere discutibile.
4 - Il rischio tecnologico
Rischio di Incidente Rilevante) sono oggi sottoposti alla Direttiva Seveso II
(96/82/CE) recepita in Italia dal D.Lgs. n. 334/99 che prevede un’accurata analisi
del rischio dell’impianto con riferimento al territorio in cui esso è insediato al fine
di dimostrare che tutti i rischi presenti sono opportunamente controllati e ridotti
a livelli minimi e accettabili. La normativa oggi in vigore in particolare prevede
che:
1. il fabbricante, mediante un’accurata analisi dei rischi, dimostri all’autorità che
i rischi presenti nell’impianto sono opportunamente controllati e mantenuti a
livello accettabile;
2. il fabbricante informi la popolazione dei possibili incidenti che potrebbero coin-
volgere l’impianto e l’area ad esso circostante;
3. il fabbricante rediga un piano di emergenza interno per gestire eventuali inci-
denti;
4. il fabbricante adotti un Sistema di Gestione della Sicurezza (SGS) che per-
metta di mantenere nel tempo le caratteristiche di sicurezza dell’impianto
definite in fase di progetto;
5. le Autorità competenti per la pianificazione del territorio definiscano le moda-
lità di pianificazione del territorio al fine di rendere compatibile la presenza di
insediamenti a rischio di incidente rilevante con il tessuto socio-economico
esistente (D.M. 9 maggio 2001).
La situazione è diversa per i trasporti; ad oggi il trasporto di sostanze perico-
lose è normato solo in termini prescrittivi (ad es. ADR per i trasporti stradali, RID
per i trasporti ferroviari) e nessuna normativa prevede una valutazione dei rischi
che contempli il sistema di trasporto, l’infrastruttura e il territorio su cui l’attività
si sviluppa. In altre parole, l’ADR, il RID e le altre norme relative al trasporto di
sostanze pericolose forniscono unicamente regole sulla realizzazione dei mezzi,
sulla circolazione, sugli apprestamenti di sicurezza, ma nessuna norma oggi in
vigore prevede che un’analisi a posteriori verifichi il reale controllo dei rischi.
L’unica eccezione è rappresentata dai depositi ferroviari e dagli interporti che rica-
dono sotto la Direttiva Seveso II e dalle aree ad elevata concentrazione di impian-
ti a rischio di incidente rilevante per le quali la Seveso II prescrive un’analisi di
rischio d’area che prenda in attenta considerazione tutti i rischi presenti nell’area
e pertanto anche l’attività di trasporto realizzata.
L’importanza che assume oggi la valutazione dei rischi tecnologici, sia in rife-
rimento agli impianti che ai trasporti, è ribadita dalle statistiche di incidente
(Vilchez et al., 1995): nel periodo 1900-92 sono stati registrati sulle banche dati
di incidenti internazionali (MHIDAS – HSE) 5325 incidenti che hanno coinvolto
sostanze pericolose, di cui il 39% durante attività di trasporto; il 51,4% degli inci-
denti ha avuto effetti letali, 26 incidenti hanno causato ciascuno più di cento
decessi, in 6 casi si sono avuti più di 1000 decessi. Sono ben conosciuti eventi
come Flixborough, UK (28 decessi), Bhopal, India (più di 2600 decessi immedia-
ti) ed il più recente incidente nella città di Tolosa (settembre 2001 - 29 decessi). 131
Andrea Carpignano
Nei trasporti la situazione non è più rosea se si pensa che a causa di un ribalta-
mento di un’autocisterna di propilene, in prossimità di un campeggio in San
Carlos de la Rapita (Spagna), nel 1978, si sono avuti 211 decessi.
L’analisi di rischio
L’analisi di rischio si pone quindi come obiettivo l’individuazione di tutti i peri-
coli presenti nel sistema e degli eventi che possono scatenare tali pericoli por-
tando a sequenze incidentali che comportano danni per le persone, l’ambiente o
anche solo l’infrastruttura stessa. Questo tipo di analisi, prescritto per gli impian-
ti soggetti alla Direttiva Seveso II, è ormai consueta per ogni tipo di impianto o
infrastruttura che ricada nell’ambito delle direttive sulla Valutazione di Impatto
Ambientale (VIA) che oltre a valutare gli impatti di routine, dovrà valutare anche
gli impatti derivanti da eventi di carattere incidentale.
L’analisi si articola nelle fasi illustrate in fig. 3.
Inizio
Anali si storica
Identificazione dei HA ZID
pericoli HA ZOP
FMECA
Critici
Raggruppamento eventi
iniziatori
Fine
4 - Il rischio tecnologico
dovrà caratterizzare il sistema in modo accurato (layout, impianti, componenti,
sistema di controllo, procedure operative ecc.), il sito in cui il sistema è colloca-
to (meteorologia, demografia, presenza di infrastrutture ecc.), informazioni sulle
procedure di gestione e di manutenzione, definizione dei “contorni” del sistema.
L’identificazione dei pericoli è finalizzata a mettere in evidenza tutti i pericoli e
gli eventi che possono essere origine di situazioni incidentali gravi. Questa anali-
si deve essere sistematica e completa al fine di non trascurare nessuno dei peri-
coli presenti. L’approccio, di tipo qualitativo, prevede il ricorso a tecniche tabella-
ri che, sistematicamente, esaminano tutti gli aspetti del sistema in termini di
componenti presenti e relativi modi di guasto, processi realizzati e possibili devia-
zioni, presenza di eventi esterni al sistema che possono provocare incidenti, pro-
cedure operative di gestione e/o manutenzione che in caso di errore possono
scatenare eventi gravi. Un supporto a questa indagine può essere fornito dall’e-
same di banche dati di incidente (Analisi storica) che potrebbero suggerire even-
ti aggiuntivi che si sono già rivelati pericolosi in sistemi similari. Per tutti i pericoli
e gli eventi identificati si procede ad una valutazione qualitativa di rischio che con-
sente di identificare gli eventi ritenuti più critici.
Il risultato di questa prima fase di analisi consiste quindi in una lista di eventi,
ciascuno caratterizzato da un livello di rischio in termini qualitativi; a seguito di que-
sto primo screening si identificano immediatamente alcune migliorie progettuali e
gestionali per gli eventi meno critici e si selezionano gli eventi che richiedono uno
studio più approfondito al fine di valutarne il rischio in termini quantitativi.
Gli eventi critici prevedono quindi un approfondimento con tecniche di analisi
decisamente più sofisticate che per ciascun evento siano in grado di definire le
possibili sequenze incidentali, la rispettiva frequenza di accadimento e il danno
associato. Essendo l’attività piuttosto onerosa, queste valutazioni sono precedu-
te da un raggruppamento di questi eventi critici al fine di costituire dei gruppi
omogenei di eventi che comportano sequenze incidentali simili. Questo consen-
te di approfondire l’analisi su un evento di riferimento (Eventi Iniziatori) per ogni
gruppo, onde evitare ripetizioni che si rivelano piuttosto costose senza aggiun-
gere informazioni utili allo studio.
Gli eventi di riferimento possono essere di diverso tipo: guasti di componen-
ti, rotture, errori di gestione, errori di manutenzione, eventi esterni quali terre-
moti, inondazioni, incendi o esplosioni esterne.
Per ogni evento ritenuto significativo e rappresentativo si delineano le
sequenze incidentali che questo potrebbe comportare costruendo una struttura
logica (Albero degli eventi, fig. 4) che descrive tutti i possibili scenari di inciden-
te che possono derivare dall’evento, a seconda che i sistemi di protezione e miti-
gazione intervengano correttamente o meno. In questo modo si ottiene una
descrizione delle possibili “storie” dell’incidente, al fine di caratterizzare ciascu-
na con una frequenza di accadimento ed un danno. Sul diramarsi dell’albero degli
eventi potranno anche influire i fenomeni naturali: la presenza di inneschi di nubi
esplosive, la presenza di vento ecc. 133
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Disponibile SEQ. 1
Non Disponibile
(rilascio) Disponibile
SEQ. 3
Si
Non Disponibile
(incendio) SEQ. 4
4 - Il rischio tecnologico
co in grado di intercettare la perdita. I risultati attesi dalla simulazione consisto-
no nella stima della quantità rilasciata e la durata del fenomeno.
Dispersione in atmosfera. La sostanza rilasciata tenderà a disperdersi in atmo-
sfera, se gassosa, oppure a formare pozze sul terreno se liquida; si avranno i due
fenomeni concomitanti in caso di rilasci bifase o di liquidi altamente volatili. In
ogni caso lo studio dovrà valutare, sulla base delle sostanze rilasciate, dell’even-
tuale formazione di pozza, la dinamica della nube in atmosfera e quindi le con-
centrazioni di inquinanti che si avranno con l’evolvere dell’incidente nell’area cir-
costante il sistema, anche a grandi distanze. Solitamente si vanno a monitorare
soglie di concentrazione ben definite: nel caso di sostanze infiammabili o esplo-
dibili si individuano le aree in cui la concentrazione rientra tra i limiti inferiore e
superiore di infiammabilità, zona in cui si potrebbe verificare l’incendio o l’esplo-
sione; per quanto concerne i rilasci di sostanze tossiche si fa riferimento alle aree
in cui la concentrazione supera i valori di IDLH (Immediately Dangerous to Life
or Health) e la soglia di mortalità LC50. L’area all’interno della quale si supera la
soglia LC50 si prevede sia caratterizzata da un’elevata letalità, mentre l’area con
concentrazioni comprese tra IDLH e LC50 vedranno il verificarsi di lesioni irre-
versibili anche se non letali. Le aree a concentrazioni inferiori a IDLH potranno
considerarsi prive di conseguenze irreversibili anche se potranno essere colpite
le fasce di popolazione più a rischio (bambini, anziani, malati cronici).
Dispersione di inquinanti nel terreno o nelle acque. La dispersione di inqui-
nanti liquidi nel terreno o nelle acque è solitamente di maggior interesse nelle
analisi di rischio di infrastrutture di trasporto in quanto le installazioni fisse sono
generalmente dotate di bacini di contenimento in grado di prevenire la disper-
sione di tali sostanze. Nel caso di sistemi di trasporto l’incidente può verificarsi
in qualunque area del territorio e quindi provocare un inquinamento del terreno,
delle acque superficiali e sotterranee. La simulazione di questi fenomeni richie-
derà un’accurata caratterizzazione del suolo, dei corsi d’acqua e dei bacini al fine
di determinare, con opportuni modelli, le mappe di concentrazione dell’inquinan-
te, la sua mobilità e la sua persistenza, nonché l’impatto che questo potrebbe
assumere sulla catena alimentare.
Incendi. Gli incendi che possono essere categorizzati come grandi rischi indu-
striali, sono generalmente da ricondursi al rilascio di sostanze combustibili gas-
sose o liquide. Dal punto di vista del rischio industriale, particolarmente impor-
tanti sono gli incendi di liquidi, vapori e gas; per ottenere la combustione è neces-
saria la compresenza di combustibile (il gas o vapore), il comburente (ossigeno o
aria) e un’energia di innesco che può essere una scintilla, una fiamma, una super-
ficie calda e altre fonti di energia; si tenga in ogni caso presente che i liquidi non
si incendiano direttamente, ma la combustione si genera tra i vapori prodotti dal
liquido stesso e l’ossigeno presente. Affinché la combustione si autosostenga la
concentrazione del combustibile in aria dovrà essere entro i limiti inferiore e
superiore di infiammabilità che esprimono la concentrazione in volume del com- 135
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bustibile nella miscela aria-combustibile. Il limite inferiore indica la soglia sotto la
quale la miscela è troppo povera per sostenere la combustione, il limite superio-
re la soglia oltre la quale la miscela è troppo ricca.
I danni da incendio sono generalmente provocati direttamente dal coinvolgi-
mento tra le fiamme di persone e infrastrutture oppure dall’irraggiamento termi-
co che si viene a creare nell’area circostante l’incendio. Le soglie di riferimento
usualmente utilizzate per valutare i danni da irraggiamento sono:
– 12.5 kW/m2 danni gravi alle strutture e danni letali per l’uomo;
– 5 kW/m2 danni rilevanti alle strutture e danni gravi sull’uomo.
A seconda della dinamica dell’incidente si distinguono solitamente i seguenti
fenomeni:
JET FIRE: si verifica in caso di rilascio di gas in pressione con innesco imme-
diato. Si produce un dardo di fuoco in prossimità della sezione di rilascio che
rimarrà alimentata fino al completo esaurimento della sostanza combustibile. Il
jet fire potrà avere effetti gravi sulle persone eventualmente presenti in prossi-
mità della rottura, ma potrà danneggiare anche strutture adiacenti per le quali
non si disponesse di adeguati sistemi di raffreddamento di emergenza. Si tenga
conto che i jet fire possono raggiungere anche lunghezze considerevoli dell’ordi-
ne di diverse decine di metri.
FLASH FIRE: si tratta dell’innesco di una nube di gas dispersa in atmosfera.
Anche in questo caso i danni potranno riguardare sia le persone che si trovasse-
ro in prossimità della nube, sia le strutture presenti.
POOL FIRE: si tratta di un incendio di pozza, segue solitamente un rilascio di
combustibili liquidi. Come nei casi sopra citati ci si aspettano danni dovuti a irrag-
giamento termico verso le persone e verso le strutture circostanti.
FIREBALL: generalmente associato ad un cedimento catastrofico di un serba-
toio pressurizzato contenente un gas infiammabile, si manifesta con una nube
infuocata di forma sferica che si innalza nel cielo fino ad esaurimento del com-
bustibile contenuto. Si tratta di fenomeni molto rapidi, della durata non superio-
re al minuto, ma estremamente pericolosi in quanto l’innalzamento al cielo per-
mette un irraggiamento molto esteso ed intenso.
ESPLOSIONI. Le esplosioni consistono in repentini rilasci di energia che si pro-
paga nell’ambiente sotto forma di onda di pressione. Si distinguono due grandi
categorie: le esplosioni fisiche (o scoppi), generalmente associate al cedimento
di serbatoi in pressione, e le esplosioni di natura chimica, associate alla rapida
combustione di sostanze infiammabili. L’esplosione si manifesta quindi con una
sovrapressione che può essere dannosa per l’uomo (danni ai timpani, ai polmo-
ni, fino allo sfondamento della cassa toracica) e le strutture. Si considera solita-
mente letale una sovrapressione superiore a 0,3 bar e dannosa una sovrapres-
sione di 0,07 bar. La prima è già in grado di causare anche danni gravi a struttu-
re, la seconda è in grado di rompere vetrate o strutture fragili. Un danno indiret-
to dell’esplosione è dovuto alla proiezione di frammenti che possono anch’essi
136 diventare letali o distruttivi per i bersagli.
I fenomeni di esplosione si suddividono in genere nelle categorie che seguono:
4 - Il rischio tecnologico
ESPLOSIONI FISICHE: si tratta di un cedimento di contenitori pressurizzati. Il rila-
scio repentino dell’energia meccanica rappresentata dalla pressione di stoccag-
gio del gas può creare violente onde di pressione, nonché sparare a lunghe
distanze i frammenti del contenitore.
RUNAWAY REACTION: si tratta dell’esplosione di reattori chimici in cui hanno luogo
reazioni chimiche molto violente e incontrollate che portano a repentini aumenti
di temperatura e forte pressurizzazione dei contenitori con successiva esplosione.
UVCE / VCE (Unconfined Vapour Cloud Explosion / Vapour Cloud Explosion): si
tratta di esplosioni di nubi di gas, in ambiente confinato o non confinato, in cui la
miscela di gas, già opportunamente miscelata con aria, reagisce violentemente
a fronte di un innesco. La presenza di un confinamento anche parziale (interno di
un edificio oppure ambito industriale con presenza di ostacoli) crea forti turbo-
lenze nella propagazione dell’esplosione che potrebbero incrementare la violen-
za della stessa e quindi i danni correlati.
BLEVE (Boiling Liquid Expanding Vapour Explosion): si tratta di un cedimento
catastrofico di un serbatoio pressurizzato in cui sia stoccato un liquido surriscal-
dato; il cedimento e la rapidissima evaporazione del liquido provocano un’onda
d’urto estremamente violenta. È tra i fenomeni più devastanti che si possano
verificare.
4 - Il rischio tecnologico
di spazi confinati che aumentano le turbolenze e 0,6 bar in caso di spazi aperti;
0,03 bar la soglia minima oltre la quale si inizia ad avere lesioni reversibili per le
persone.
Per la dispersione di sostanze tossiche i limiti di riferimento sono le concen-
trazioni LC50 e IDLH già discusse in precedenza.
Tabella 1. Criteri adottati nel D.M. 9 maggio 2001 per definire le aree di danno.
Considerazioni conclusive
L’analisi di rischio si è visto essere uno strumento operativo importante che per-
mette di migliorare la progettazione e la gestione dei sistemi e si propone come
strumento decisionale sull’accettabilità o meno di nuovi impianti e infrastrutture.
L’applicazione di questo strumento risulta essere ancora carente nel settore
trasporti mentre è ormai diventata consueta per gli impianti industriali, anche per
quelli non strettamente coinvolti dalla Direttiva Seveso.
Le tecniche oggi a disposizione degli analisti sono valide ma dovranno esse-
re oggetto di nuovi approfondimenti nei prossimi anni. Si fa riferimento a questo
proposito a tre aspetti particolari:
– la raccolta dei dati statistici che permettono di caratterizzare la frequenza degli
eventi iniziatori, nonché le frequenze di guasto di componenti, la probabilità di
errore umano, le frequenze di errore dei sistemi software utilizzati in sistemi
critici per la sicurezza;
– l’analisi integrata dei rischi sul territorio considerando congiuntamente i rischi
tecnologici e i rischi naturali, ambiti che fino ad ora sono stati considerati in
modo troppo spesso separato;
– la modellazione fisica dei fenomeni incidentali (incendi, esplosioni, dispersio-
ni). Oggi sono spesso usati modelli semplici, parametrici, nel futuro bisognerà
studiare modelli fluidodinamici più accurati in grado di trattare bene siti di geo-
140 metria complessa, confinata o parzialmente confinata.
L’ultimo aspetto è rilevante anche ai fini del D.M. 9 maggio 2001: i modelli
4 - Il rischio tecnologico
semplificati di utilizzo non tenendo conto dettagliatamente della geometria del
sito, sono caratterizzati da risultati incerti che necessariamente condurranno
secondo principi di precauzione ad una sovrastima delle aree di danno al fine di
garantire la sicurezza: aspetto particolarmente critico per un territorio densa-
mente popolato come quello italiano.
Sempre con riferimento al Decreto, si osserva come esso, per motivi dovuti
a carenze normative in tal senso, anche a livello europeo, tratti della vulnerabilità
ambientale in modo da richiedere un approfondimento al fine di identificare stru-
menti decisionali adeguati.
Un altro aspetto ancora più rilevante è l’assenza, dovuta alla fonte normativa
primaria, di considerazioni sulla compatibilità tra impianti a rischio e infrastruttu-
re di trasporto: in gran parte dei casi, al fine di semplificare l’approvvigionamen-
to di materie prime e la distribuzione dei prodotti, gli stabilimenti sono in prossi-
mità di ferrovie, autostrade o sono serviti da pipeline. Questa compresenza sul
territorio può creare problemi rilevanti in quanto un incidente all’impianto può
causare seri danni agli utenti delle infrastrutture e, viceversa, un incidente sulle
infrastrutture può comportare effetti domino anche gravi sugli impianti.
Molto spesso queste carenze non sono da imputarsi a lacune normative ma
alla complessità della materia trattata nonché alla difficoltà da parte della comu-
nità scientifica di fornire strumenti adeguati alla valutazione dei rischi.
In ogni caso, volendo dare una valutazione complessiva alla problematica, si
ritiene che oggi la comunità nazionale e internazionale sia ormai ben cosciente
dei rischi tecnologici e stia attivamente operando per un loro controllo sempre
più attento, privilegiando il dialogo tra gestori, analisti e autorità al fine di perse-
guire insieme uno sviluppo che il territorio e la popolazione possano sostenere
senza rinunciare a condizioni di sicurezza accettabili.
Riferimenti bibliografici
AICHE, Guidelines to Chemical Process Quantitative Risk Analysis, AICHE, 1989.
LEES F.P., Loss Prevention in Process Industries, Butterworths 1996.
VILCHEZ J.A., SEVILLA S., MONTIEL H., CAsal J., Historical Analysis of Accidents in Chemical
Plants and in the Transportation of Hazardous Materials, in “Journal of Loss Prevention
in the Process Industries”, 1995, vol. 8, n. 2, pp. 87-96.
Riferimenti normativi al sito: http://vvf.mininterno.it/vvf/cnvvf_Sito/prevenzione/grandi_rischi1.asp
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Andrea Carpignano
Glossario
4 - Il rischio tecnologico
Pool Fire Incendio di pozza.
PROBIT Tecnica probabilistica per valutazione di vulnerabilità.
Rischio Esprime la “distanza” di un sistema dalle condizioni di
sicurezza, si ottiene moltiplicando la frequenza di accadi-
mento di un incidente (eventi/anno) per il danno associato
(danno/evento); viene pertanto misurato in danni/anno.
Sequenza Incidentale Sequenza di eventi che descrivono la “storia” dell’inci-
dente a partire dall’Evento Iniziatore fino al danno finale.
SGS Sistema di Gestione della Sicurezza.
UVCE Unconfined Vapour Cloud Explosion: esplosione non
confinata di nubi di vapori.
VCE Vapour Cloud Explosion: esplosione di nubi di vapori.
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