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7.3.

LE ALTRE SEDI DI GIUDIZIO, E I LORO POSSIBILI RIFLESSI SULLA TUTELA DEI


DIRITTI FONDAMENTALI.

Diversamente dal rinvio pregiudiziale, l’azione per l’annullamento di atti di diritto dell’Unione può
essere posta innanzi a tutti e tre i giudici “centrali” europei, può investire quindi anche il Tribunale e
il Tribunale della Funzione pubblica, oltre alla Corte di Giustizia, a seconda di quello che è il soggetto
che introduce ricorso. Sono diversi infatti i soggetti abilitati alla fruizione di tale strumento, dovendo
distinguere tra quelli “privilegiati” alla presentazione del ricorso di fronte alla Corte di Giustizia,
quelli “semi privilegiati”; ed i soggetti privati in genere i quali, eccettuati i funzionari e i dipendenti
dell’Unione potranno lamentarsi di fronte al Tribunale.

I privati, in virtù di una previsione introdotta dal Tribunale di Lisbona, potranno dolersi degli atti
regolamentari che non comportino alcuna misura d’esecuzione, e pertanto possiedano una capacità
lesiva degli interessi individuali che si manifesta indipendentemente da misure di attuazione.
(cfr. pag. 256).

La giurisdizione dell’Unione sembra divenire giurisdizione generale di legittimità. Di sicuro rilievo


la facoltà di impugnativa degli atti europei per violazione del principio di sussidiarietà, da parte degli
Stati su iniziativa dei rispettivi Parlamenti. Per quanto però ai fini del Volume più direttamente
interessa, è proprio quella del ricorso dei privati l’ipotesi da sottolineare maggiormente, perché può
costruire una via di accesso diretto per la tutela dei diritti fondamenti di fronte al giudice europeo.

Tra l’altro, a caratterizzare l’ampiezza dell’azione, risulta molto variegata la tipologia dei vizi
inviolabili in giudizio, giacché il paragrafo 2 dell’art. 263 indica una serie di figure sintomatiche
riassumibili nella violazione dei trattati e/o dei principi generali del diritto dell’Unione, oltreché della
Carta dei DFUE. È quindi imbastito un canale per il controllo della legittimità degli atti del diritto
secondario, al cospetto del diritto primario e poiché l’azione di annullamento ha consentito,
nell’esperienza di questi anni, sviluppi sufficientemente unitari, essi stessi hanno contribuito a
conferirle una certa valenza “costituzionale”. A differenza della Corte di Strasburgo, i Giudici del
Lussemburgo rimangono tuttavia giudici di atti, e non immediatamente dei casi della vita, per questo
ricordano più da vicino i tratti di una Corte costituzionale nazionale.

L’azione per l’annullamento di atti dell’Unione è caratterizzata da un procedimento contenzioso e


ben strutturato: il termine per l’impugnazione è infatti di due mesi dal momento alternativamente di
pubblicazione o notificazione dell’atto, il ricorso non ha effetto automaticamente sospensivo, tuttavia
il giudice europeo può ordinare la sospensione dell’esecuzione, dell’atto impugnato quanto reputi che
“le circostanze” lo richiedano ex art. 278. Il giudizio, informato ai principi processuali già indicati, se

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giunge alla fase della valutazione del merito vede un esito che, può essere di accoglimento oppure di
rigetto. Nel primo caso il ricorso è ritenuto fondato, la sentenza è di natura costitutiva, produce
l’annullamento dell’atto impugnato ed è altresì dotata di tutti gli effetti tipici della cosa giudicata.
L’esecuzione è a carico delle istituzioni europee le quali ex art. 266, devono prendere i provvedimenti
che l’esecuzione della sentenza importa. Sembrerebbe difficile capire in cosa più precisamente
l’esecuzione si sostanzi, posto che l’atto impugnato è già stato rimosso dalla sente di annullamento.
Nel caso di rigetto, infine, il ricorso è evidentemente ritenuto infondato, ma ciò non impedisce una
nuova sottoposizione a controllo di legalità dell’atto, la vincolatività delle pronunce essendo limitata
alle parti del processo.

Se l’azione si caratterizza come azione c.d. in carenza, cioè volta all’accertamento dell’illegittimità
di una inerzia tenuta da una delle istituzioni europee, è necessaria la preventiva messa in mora della
medesima, con richiesta formale “all’organismo che si è astenuto a pronunciarsi” di prendere
posizione nel termine di due mesi; scaduto questo termine, il ricorso al giudice europeo può essere
proposto entro un ulteriore termine di due mesi.

Un secondo fronte di giudizi cui merita, sia pur brevemente, accennare è quello delle azioni di
responsabilità contrattuale ed extracontrattuale: infatti, senza addentrarsi nelle procedure, dal punto
di vista della tutela dei diritti fondamentali deve in ogni caso considerarsi che trattasi di ulteriori
rimedi avverso atti e comportamenti illegittimi delle istituzioni europee.

È da sottolineare inoltre come l’obbligo di risarcimento dei danni abbia costituito storicamente uno
dei primissimi “principi generali del diritto comunitario” che la Corte di Giustizia ha elaborato nella
propria giurisprudenza. Ancora, bisogna evidenziare come la complementarietà tra azione di
responsabilità extracontrattuale e azione di annullamento di atti si traduca, di fatto, in un’ulteriore
garanzia per i privati, potendo questi ultimi fruire della prima in tutti i casi in cui non possono
direttamente denunciare l’illegittimità di atti dell’Unione.

Un giudizio infine assolutamente peculiare del contesto europeo prende vita delle procedure di
infrazione che rovesciano tra l’altro l’ottica delle azioni per l’annullamento di atti e di quelle “in
carenza”; si passa infatti dall’inadempimento, lamentato, di una delle istituzioni a quello, altrettanto
attutale e da dimostrare, di uno o più Stati membri, perché tale procedura è un mezzo per constatare
una mancanza rispetto ad un obbligo incombente in virtù dei Trattati. Lo Stato coinvolto nella
procedura è imputabile dalle azioni/emissioni di qualunque natura e di una qualunque sua
articolazione interna; inoltre lo Stato convenuto in giudizio non potrà allegare a sua difesa l’invalidità
dell’atto dell’Unione che si assuma violato, posto che avrebbe potuto chiederne l’annullamento.

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Gli steps del procedimento sono, schematicamente, i seguenti: l’iniziativa spetta alla Commissione,
o ad un altro degli Stati membri, che però deve rivolgersi in prima battuta alla Commissione per
chiedere un contraddittorio davanti alla medesima Commissione; solo se la Commissione non
risponde entro tre mesi, o risponde negativamente, lo Stato potrà proporre ricorso alla Corte. La
Commissione avvia una fase precontenziosa, che è volta ad un tentativo di risoluzione bonaria del
problema riscontrato.

Se anche lo Stato ammette gli addebiti che vengono contestati dalla Commissioni, non
necessariamente cesserà la materia del contendere, perché la Commissione può scegliere di elevare
comunque ricorso di fronte alla Corte di Giustizia, valutando la permanenza di un interesse a far
dichiarare dalla medesima l’avvenuto inadempimento statale.

Se si giunge di fronte alla Corte di Giustizia si apre una vera e propria fase contenziosa, che può
condurre ed una prima sentenza dichiarativa del contestato inadempimento. In caso di mancato
rispetto della sentenza dichiarativa che parte dello Stato cui essa è rivolta, la Commissione riaprirà la
procedura di infrazione nei confronti stavolta della sentenza della Corte di Giustizia: è il caso della
c.d. doppia infrazione, perché lo Stato ha violato prima un (qualsiasi) obbligo discendente
dall’appartenenza all’Unione, poi l’obbligo specifico di dare seguito alla sentenza della Corte.

Se lo Stato però permane inadempiente, si può giungere ad una seconda sentenza di condanna al
pagamento di somma forfettaria, o di una penalità comunque adeguate alle circostanze.

Sempre il Trattato di Lisbona prevede, a regime, una seconda novità, perché il pagamento della
sanzione pecuniaria è esigibile fin dalla prima pronuncia, potendone indicare alla Commissione
l’importo nel caso in cui essa contesti allo Stato l’inadempimento di una direttiva adottata con
procedura “legislativa” e lo Stato ometta anche solo di indicare le misure interne di adattamento.

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