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CORSO

PER
TECNICO DEL
SUONO
Corso per tecnico del suono: dove voglio arrivare?
Spesso ci si trova a desiderare di avere delle competenze tecniche che ci diano la libertà necessaria a
registrare la nostra musica ma altrettanto spesso non si hanno chiare le idee sull’obiettivo che davvero
vogliamo raggiungere.

Quando, 10 anni fa, ho deciso di seguire il primo corso per tecnico del suono a Bologna nella mia mente
frullavano tante idee anche se in realtà ben poche erano realistiche: sognavo di suonare nella mia band come
batterista e di fare nel contempo il fonico della band nei concerti, avevo mire ed aspirazioni a sale di regia
gigantesche coinvolto nella produzione di successi planetari, agognavo una vita on the road seguendo grandi
tournee…

Tutti desideri leciti per un aspirante tecnico del suono ma, ovviamente, un pò confusi ed annebbiati dalla
mancanza di esperienza.

Partiamo col dire una cosa: il corso gratuito per tecnico del suono di Scuolasuono.it sarà incentrato sulla
registrazione, non sul live. Tuttavia, una buona conoscienza del mixer ed un pò di pratica ti permetteranno
immediatamente di switcharti da un mondo all’altro. Un mixer è sempre un mixer, un microfono è sempre
un microfono. Vediamola così: nei live il mixer viene collegato ad impianti molto potenti, in studio ad
impianti calibrati per l’ascolto professionale; nel live tutti i segnali transitano simultaneamente nel mixer, in
studio capita spesso che i musicisti suonino le loro parti in momenti diversi e che il mixaggio sia solo uno
degli ultimi step della realizzazione di un brano musicale.

La fondamentale differenza del lavoro live (concerti) rispetto a quello in studio (registrazione) è che
nel primo caso deve essere privilegiata la velocità operativa, nel secondo caso la qualità (in un concerto
lo spettatore non ha a disposizione un tasto Rewind ed è distrato dall’intero spettacolo: a differenza di una
registrazione dei piccoli errori tecnici possono passare inosservati. In definitiva però le attrezzature ed il loro
impiego è concettualmente identico in entrambe le situazioni; di conseguenza, apprendendo un tipo di lavoro
sarai in grado di cavartela relativamente bene anche nell’altro.

Ovviamente, imparando a registrare professionalmente la tua musica, non ti sarà automatico sapere come
tarare un impianto audio in una piazza ma avrai le competenze sufficienti a riuscire a documentarti senza
grossi problemi, e viceversa. Ci sono delle competenze specifiche per ogni settore della fonia… Tuttavia,
sapendo come utilizzare un equalizzatore in studio di registrazione o con dei plugins sarai in grado di
utilizzare il medesimo strumento anche per degli scopi live se hai le idee chiare sul perchè sia o meno
necessario il suo impiego e quando.
Altra considerazione: uno studio di registrazione è un ambiente progettato e costruito appositamente
per la creazione di musica. Casatua, la tua camera, il tuo garage, no! Si possono lo stesso ottenere risultati
professionali? Dal mio punto di vista sì a patto che le stanze non siano rumorose e che tu possa lavorare
senza il patema di essere sentito da altre persone non coinvolte nelle sessioni di registrazione. L’importante è
sapere esattamente come risparmiare tempo e denaro in procedure ed attrezzature e conoscere, almeno a
grandi linee, i trucchi del mestiere per non muoversi a casaccio!

Sulla scorta di tutte queste considerazioni, al fine di migliorare quanto più possibile questo corso, ti invito a
rispondere alla seguente domanda (clicca sulla risposta che preferisci e poi clicca sul pulsante “vote”):

Dove voglio arrivare con il recording?

 Livello minimo - riuscire a prendere degli "appunti musicali"


 Livello base - creare dei demo da far sentire ad amici e locali
 Livello intermedio - creare i miei album con qualità semi-professionale
 Livello avanzato - registrare ad alto livello la mia musica per creare dei prodotti vendibili

La prossima puntata sarà dedicata alla scelta della strumentazione, all’attrezzatura, al budget
necessario da investire: tutte robette interessanti, no? Mentre scrivo questo articolo ci sono poco più di
100 iscritti (106 reader) a questo corso; lancio una sfida: facciamo in modo che ognuno di noi porti una
persona nuova in questo corso? Se ognuno di noi invita un suo amico musicista interessato all’argomento in
poco tempo saranno 200/250 le persone che seguiranno questo corso per tecnico del suono gratuito, indi,
sapendo che l’argomento interessa e che tu e gli altri mi state dando una mano a promuoverlo, continuerò
con la produzione dei contenuti interessanti
Corso per tecnico del suono gratis (lezione 1):
attrezzature per home recording
Ciao a tutti da Francesco Nano e benvenuti alla prima lezione del corso per tecnico del suono (base)
promosso da Scuolasuono.it dedicato a tutti i musicisti che desiderano iniziare a registrare la propria musica
in completa autonomia, ottenendo validi risultati ma spendendo poco denaro.

Questo è il primo di una serie di articoli: tengo a precisare che questo corso per tecnico del suono è
indirizzato esclusivamente ai musicisti che vogliono entrare nel mondo della registrazione per la prima volta;
il mondo dell’audio è un terreno sconfinato di termini, procedure, concetti non sempre alla portata di tutti;
gli argomenti perciò verranno trattati in maniera estremamente semplice in modo da dare le nozioni
necessarie utili ad un solido ma veloce start up nel mondo del recording. Invito ognuno di voi a partecipare
attivamente alla creazione delle definizioni sul wiki: ogni parola evidenziata punta direttamente
all’enciclopedia audio di scuolasuono.it (ovviamente, più partecipi e più punti scuolasuono guadagni).

Partiamo dunque dall’argomento strumentazione: cosa ci serve effettivamente possedere per ottenere
delle buone registrazioni? Quanti soldi dobbiamo spendere nell’ottica di poter contare su un buon home
recording studio? Per rispondere a queste apparentemente banali domande è necessario però fare un passo
indietro: bisogna infatti chiedersi anzitutto “dove voglio arrivare?“. Desidero registrare unicamente degli
appunti musicali in modo da poter ricordare le mie canzoni anche tra qualche anno? Desidero mettermi nelle
condizioni di registrare dei provini (demo) “ascoltabili” , da divulgare tra i miei amici ed eventualmente da
far ascoltare a gestori di locali o organizzatori di eventi? Desidero avere la possibilità di presentarmi con un
album interamente da me prodotto che abbia una qualità audio quanto meno paragonabile a quelle delle
produzioni di alto calibro? Oppure desidero avere a disposizione tutto ciò che mi serve per registrare e
produrre musica ad altissima qualità? Ma come, Francesco, ma non basta un pc e saper utilizzare bene dei
buoni programmi per ottenere risultati spettacolari?

Dipende: generalmente, se il genere di musica che vuoi produrre è fondamentalmente basata sull’elettronica,
sulla sintesi, sul campionamento, e perciò se non si tratta di musica acustica o elettrica, c’è gente che fa
dischi con un solo computer, un po’ di programmi e dei buoni ascolti (per buoni ascolti non si intende una
buona cuffia ma un sistema di monitoraggio -- speakers professionali -- inseriti in una stanza dall’acustica
calibrata). Già da ciò che abbiamo appena detto possiamo dedurre che non è sufficiente un computer e dei
programmi per creare musica a livello professionale: è necessario anche poter ascoltare correttamente quello
che si crea; dovrai perciò fare i conti con il rendimento acustico degli speakers e della stanza in cui i lavori.
Su questo concetto ci ritorneremo più avanti un un…Viceversa, se la tua intenzione è quella di registrare
musica acustica o elettrica (pop, rock, folk, jazz, classica, ecc…) o comunque, nel caso in cui si rendesse
necessario registrare almeno una voce, le attrezzature che dovrai necessariamente avere a disposizione
inizieranno ad aumentare.
Ti troverai infatti nella condizione di dover acquistare almeno un microfono di qualità discreta, un paio di
cuffie professionali (chiuse, ossia fatte in modo che l’orecchio venga incluso all’interno del padiglione della
cuffia per evitare che il suono indesiderato della base venga captato dal microfono); inoltre ti troverai nella
condizione di dover fare i conti con l’acustica della stanza in cui la voce viene ripresa, con la distanza tra il
microfono e la scheda audio e molti altri fattori che concorrono nel complicare la situazione.

A mano a mano che le esigenze di ripresa aumentano vedrai lievitare esponenzialmente l’esigenza di avere
nuove attrezzature e quindi Interi costi.

Ritornando perciò al concetto base, il primo passo che devi fare nel momento in cui decidi di aprire il tuo
home recording studio è quello di domandarti quale sarà, in prospettiva, l’obiettivo che devi poter
raggiungere. Scendiamo un po’ nella pratica e vediamo alcuni esempi concreti corredati da alcune
indicazioni economiche di massima.

Ad esempio, se desiderassi creare musica elettronica / arrangiata elettronicamente. cantata, a livello semi
professionale avrei bisogno di:

1 pc il più potente possibile (500 €)

1 scheda audio con almeno 2 canali microfonici / linea d’ingresso per registrare contemporaneamente 2
microfoni o uno strumento elettronico esterno come ad esempio un expander (sconsiglio sempre l’acquisto
di interfacce con 1 solo canale d’ingresso), 2 canali d’uscita per collegare i monitors ed 1 uscita cuffie er
lavorare anche di notte (100 €)

1 coppia di monitors (speakers) professionali posizionati correttamente in una stanza acusticamente trattata
(l’intervento può essere anche poco dispendioso ma ci deve essere necessariamente) (250 € -- 2500 €)

Trattamento acustico (150 € -- 500 €)

1 software per la registrazione multitraccia / sequencer (un programma che consenta di registrare più tracce
separatamente ed in grado di gestire il midi come ad esempio Reaper, ma può andar bene anche Cubase,
Protools, Logic, ecc…). (50 -- 500 €)

Molti plugins (i plugins sono dei programmini che collaborano col programma di registrazione multitraccia
principale per aggiungere funzionalità): almeno 1 campionatore, un paio di sintetizzatori virtuali e virtual
instruments, un pò di processori audio come compressori, equalizzatori, qualche buon riverbero e dealay…
insomma, più plugins si hanno a disposizione e meglio è… (ce ne sono moltissimi gratuiti, specialmente se
decidi di utilizzare pc anziché mac)
1 midi controller (una tastiera muta usb da interfacciare al sequencer che gira sul pc) 100 €

In questo scenario capisci bene che, seppur molto contenuto rispetto ad un tempo, l’investimento necessario
per creare un set up semiprofessionale di questo genere si aggira attorno ai (minimo) 1000 €.

La cosa interessante però è che per iniziare a registrare la propria musica elettronica / arrangiata
elettronicamente ed ottenere già discrete soddisfazioni, senza la velleità di riuscire a realizzare prodotti
professionali o confrontabili e paragonabili a produzioni portate avanti con alti budget, è possibile
configurare il tutto a piccoli step. In questo caso perciò dalla campagna acquisti si potrebbero escludere i
monitors, a fronte di una cuffia, l’acustica della stanza ed eventualmente il microfono (proprio di recente ho
potuto constatare quanto microfoni semi professionali studiati per chat vocali -- skype -- suonino
estremamente bene se paragonati a soluzioni più costose… ovvio, non aspettarti prestazioni incredibili…).

Con queste correzioni vai a lesinare sugli anelli deboli della catena (ossia quello iniziale della ripresa
acustica e quello finale dell’ascolto). Tuttavia già con questo tipo step potrai iniziare ad avere buone
soddisfazioni, a sviluppare la tua creatività, a progettare le basi per investimenti futuri…

Come già detto però le cose si complicano nel momento in cui è necessario registrare in maniera degna
anche strumenti acustici o elettrici. Sebbene attualmente si trovino in commercio moltissimi prodotti dedicati
a chitarristi ed a bassisti (come ad esempio scheda audio dedicate alla registrazione di chitarra e basso senza
passare per l’amplificatore provviste spesso di plugins di emulazione di buona qualità per riprodurre le
timbriche di ampli ed effetti -- vedi ad esempio la Toneport Ux2) per registrare anche solo una voce una
chitarra acustica in maniera corretta le cose si complicano.

Partendo dal fatto che è necessario evitare il più possibile di catturare rumori esterni allo strumento o alla
voce durante la registrazione è che questa è una norma assoluta da seguire durante la registrazione di
materiale semiprofessionale o professionale, ci sono alcune considerazioni che per forza di cose bisogna
fare:

1) gli ambienti casalinghi sono rumorosi (automobili, vicini che sbattono le porte, uccellini in giardino,
ecc…) : si renderà pertanto necessario tenere il microfono il più vicino possibile alla sorgente acustica.

2) computer ed hard disk sono strumenti solitamente abbastanza rumorosi: si renderà pertanto necessario
allontanare il microfono da queste sorgenti di rumore.

3) allontanando il microfono dal computer si va incontro ad una serie di piccole difficoltà: per premere rec
potrebbe essere necessario l’aiuto di un amico (se non si dispone di un telefono dotato di applicazioni
studiate apposta per trasformarlo in un remote control). Allontanandosi dal computer sarà necessario un cavo
microfonico più lungo e di una lunga prolunga per la cuffia (non avrai più La possibilità di controllare il
livello di ascolto a meno che tu non disponga anche di un amplificatore cuffie dedicato e perciò non potrai
più utilizzare agevolmente l’amplificatore cuffia integrato all’interno della scheda audio). Oltre ad occupare
la tua stanza ne dovrai occupare un’altra, e spesso questo può essere un problema in una casa comune…

A questo punto possiamo porci nuovamente la domanda iniziale: dove voglio arrivare con le mie
registrazioni?

Ha davvero senso mettersi nelle condizioni di registrare professionalmente a casa mia oppure è sufficiente
per me riuscire a realizzare dei validi provini che verranno riregistrati in un secondo momento in studio di
registrazione (a discapito di quella calma e tranquillità che, in casa, può essere generosa ispiratrice per la tua
creatività -- in studio, se non si è abituati al lavoro, c’è sempre più tensione ed è sempre necessario guardare
l’orologio tra una take e l’altra)?

A tal proposito ti consiglio spassionatamente di ascoltare l’intervista audio realizzata di recente con il
tecnico del suono Michele d’Anca, noto costruttore audio, che, tra le altre cose, ha sottolineato come,
secondo il suo parere, una band emergente abbia altre priorità a cui guardare prima dell’attrezzatura…
In effetti il limite è proprio questo: in realtà moltissime cose si potrebbero anche registrare con una banale
microfono usb… ma ha senso nel tuo caso spendere 200 € per un microfono di quel tipo quando, molto
probabilmente, tra qualche mese ti troverai nella condizione di dover registrare due microfoni in
contemporanea? Non ti suona meglio, piuttosto, acquistare con 300 € 1 scheda audio ed un microfono in
modo da evitare, dopodomani, di dover rivendere il tuo microfono usb e cercare, in ogni caso, una scheda
audio con microfono separato?

Il mondo dell’audio è bello perché è vario: professionisti del calibro di Stefano Castagna (che ho avuto
l’onore di intervistare poco tempo fa su scuolasuono.it -- trovi l’audio intervista a questa pagina) più volte
mi hanno riferito di aver mixato dei lavori particolarmente ispirati e registrati con un microfono usb:
ovviamente però, dal punto di vista qualitativo, hanno dovuto fare i miracoli per far assomigliare quelle
registrazioni ad un vero disco…

Cerchiamo perciò di dare un colpo al cerchio e un colpo alla botte: quello che sto cercando di fare è di darti
una panoramica generale in maniera che tu possa tranquillamente effettuare le tue decisioni oppure
informarti in maniera più approfondita nei forum dedicati all’audio su quale sia la soluzione migliore in
questo momento, per te ed in base al tuo budget.

Facciamo un piccolo salto di categoria: poniamo il caso di un musicista che desidera registrare nella propria
sala prove la propria band e la propria musica.

Il primo grande scoglio da superare è la registrazione della batteria, ed i costi lievitano: a meno che il
batterista non utilizzi una batteria elettronica (dotata di un’uscita stereo) per registrare una batteria acustica
sono necessari un minimo di quattro microfoni nelle situazioni meno impegnative fino ad arrivare a 13 o
anche 15 microfoni nelle situazioni più particolari. 13 microfoni da registrare contemporaneamente significa
disporre non solo di 13 microfoni e 13 calvi microfonici, ma anche di una scheda audio in grado di registrare
almeno 13 canali contemporaneamente e di 13 preamplificatori.

Il preamplificatore è un componente dedicato all’amplificazione del segnale microfonico. Il segnale elettrico


prodotto in uscita da un microfono è un segnale molto molto piccolo. Per fare in modo che questo segnale
venga correttamente immagazzinato nel computer attraverso la scheda audio è necessario che esso venga
amplificato adeguatamente prima di essere registrato. L’esempio tipico di pre è quello dei canali del mixer: il
primo potenziometro di ogni canale infatti è solitamente il cosiddetto GAIN. Quel potenziometro permette di
amplificare i segnali dei microfoni che giungono al mixer in maniera che possano essere gestiti
adeguatamente dai componenti elettronici a valle all’interno dell’architettura del mixer (equalizzatori, faders,
somma, ecc…).

In una situazione di questo tipo la spesa aumenterà notevolmente: 500 € per la scheda audio che, solitamente
, integra 8 preamplificatori + 500€ per un modulo con 8 preamplificatori aggiuntivi è il set up tipico di un
home recording studio. Questo tipo di configurazione ovviamente ti costringerà a ottimizzare la gestione dei
canali: per registrare infatti tutti gli strumenti contemporaneamente serviranno almeno 8 canali di
registrazione dedicati alla batteria ed i rimanenti otto per voci, chitarre, tastiere, eccetera… apriamo una
piccola parentesi sulla modalità di registrazione: è meglio registrare tutta la band assieme oppure, come
spesso si usa fare negli studi di registrazione, è meglio registrare un componente del gruppo alla volta? Ci
sono diverse scuole di pensiero però possiamo dire che, in linea di massima, registrare tutta la band assieme
aiuta a velocizzare il lavoro ed, a parità di sforzo, migliora l’amalgama del gruppo nella registrazione.

Viceversa, registrando uno strumento alla volta, il grande vantaggio sarà la precisione sonora della
registrazione (per l’esempio precedente, i 10 microfoni posizionati su una batteria riprenderanno non solo il
suono della batteria ma anche quello degli altri strumenti che suonano vicino alla batteria e di conseguenza
in fase di mixaggio tutto ciò andrà a discapito della qualità).

Tuttavia registrare uno strumento alla volta e un lavoro molto lungo, a volte estenuante e, per ricreare il
sound ed il feeling della band, sono spesso necessarie moltissime ore di lavoro in post produzione…

Secondo me, dal mio personalissimo punto di vista, l’approccio migliore è quello di fare le cose con testa,
senza estremismi: ad esempio si può pensare di registrare in due momenti diversi, prima la band e poi le
voci… in questo modo si lavora con un concetto ibrido è si trae giovamento da entrambi i modi di procedere.
Questo metodo però è consigliabile solo se l’obiettivo finale non è quello di realizzare un vero proprio disco
ma piuttosto una demo, un brano da mettere su myspace, una registrazione ufficiale ma senza velleità di
spettacolare qualità sonora, un buon compromesso insomma…

A me personalmente è capitato spesso di creare e registrazioni sia con questo tipo di approccio sia con un
metodo leggermente più raffinato: tutti i musicisti che suonano assieme nella stessa stanza, microfoni sulla
batteria, basso, chitarra e tastiere registrati direttamente col jack e passati attraverso simulatori di ampli per
l’ascolto dei musicisti… In questo modo si ottiene una discreta pulizia sui canali della batteria e,
ovviamente, una pulizia assoluta sulle tracce degli strumenti registrati in linea.

In entrambi i casi però ci si trova di fronte a delle difficoltà: amplificatori potenti di chitarre e bassi che
suonano vicino ai microfoni della batteria non ti aiuteranno ad ottenere suoni di batteria qualitativi ma il
lavoro sarà più rapido e più veloce ed appagante nell’immediato. Viceversa, registrando tutto ciò che non è
“batteria” via cavo avrai la necessità di provvedere agli ascolti di ogni musicista (una cuffia per un musicista
con relativo ampli in cui spesso è necessario effettuare un mixaggio differente) è di ricreare delle sonorità
credibili con gli emulatori di ampli. Gli amici chitarristi e bassisti sanno bene che suonare con l’ampli di
fianco non è la stessa cosa che suonare con un amplificatore virtuale in cuffia, perciò anche in questo caso
bisogna valutare quale risulta essere il compromesso migliore nella situazione specifica. Moltissimi altri
dettagli sono spiegati nel PDF “Registrare il tuo live -- L&R” che puoi scaricare da questa pagina:
http://www.scuolasuono.it/home/corsi/tecnico-del-suono-corsi/manuale-pdf-di-registrazione-audio-
registrare-il-tuo-live-lr/

Per concludere possiamo dire che con una cifra che si aggira tra i 500 ed i 1000 euro è possibile ottenere un
set up base per registrazioni non eccessivamente qualitative con un massimo di due canali; i balzi sostanziosi
nell’investimento avvengono quando si ritiene necessario poter disporre di un ascolto professionale e/o di un
sistema di ripresa dotato di molti canali in registrazione e molti microfoni.

Probabilmente speravi di poter trovare all’interno di questo articolo tutte le informazioni necessarie sugli
oggetti da acquistare ma, come vedi, il mondo dell’audio che apparentemente può sembrare intuitivo, in
realtà necessità di un bel po’ di ragionamenti al fine di ottimizzare il proprio budget… Il mio consiglio è
quello di informarti quanto più possibile nel dettaglio delle apparecchiature che ti piacciono prima di
cacciare dei soldi!

Mi auguro comunque che queste righe ti siano state utili a farti un quadro di quelle che sono le possibilità ed
i “diritti-doveri” relativi all’home recording.

Nella prossima puntata corso per tecnico del suono promosso da Scuolasuono.it affronteremo in breve
l’argomento microfoni e procedure di registrazione. Con l’augurio di un buon proseguimento musicale ti
rimando al prossimo articolo. Ti segnalo che, parallelamente alla pubblicazione del nuovo articolo, verrà
pubblicata anche l’intervista audio a Enrico Lafalce di www.electric-garage.it , storico fonico di Jovanotti
(Britti, Renga, Subsonica, Ruggeri e moltissimi altri). A presto!

Corso per tecnico del suono (lezione 2): microfoni


tecniche di ripresa microfoniche
Ciao a tutti da Francesco Nano di Scuolasuono.it! Siamo arrivati alla seconda puntata del corso per tecnico
del suono base: quest’oggi parleremo di microfoni e di tecniche di ripresa microfoniche.

Al solito, gli argomenti trattati, non intendono essere completi ed esaustivi ma, nello spirito di questo corso
per tecnico del suono base gratuito, la trattazione verrà orientata in maniera che, i musicisti che per la prima
volta si affacciano all’argomento recording, possano avere un’idea più precisa sull’argomento. Prima di
entrare nel vivo della discussione desidero ricordarti che per ulteriori dubbi o se hai voglia di pormi delle
domande puoi rispondere a questa discussione; inoltre, mi piacerebbe conoscere il tuo setup ed il tuo modo
di lavorare quindi posta pure in risposta!

Infine, prima di entrare nel vivo della discussione desidero ricordarti che, ai piedi di questo articolo, troverai
innumerevoli risorse multimediale dedicate a chi è realmente intenzionato a diventare tecnico del suono:
tanto per citarne una… l’audio intervista ad Enrico La Falce, fonico storico di Jovanotti, ma ce ne sono
anche altre…

Come sono solito fare partiamo con una domanda, la domanda tipica, quella che, chiunque si approcci
al mondo della recording, prima o poi, non potrà fare a meno di porsi: che microfono devo comprare?
Al solito, una domanda semplice, una risposta articolata… Il mondo dei microfoni e un mondo davvero
molto vasto, esistono costruttori di ogni tipo, di ogni modello, di ogni categoria, di ogni pezzo ecc…. In
mezzo a questa selva di microfoni l’importante è avere dei punti fissi, dei punti cardinali, con i quali
effettuare le proprie scelte per evitare di sprecare denaro. La domanda di apertura ci conduce alla solita
domanda che risiede un po’ più in profondità: cosa devo ottenere? Qual è lo scopo delle mie registrazioni?
Mettiamo subito in chiaro una cosa: ogni microfono ed ogni modello viene concepito dai costruttori per un
determinato impiego. Ad esempio esistono microfoni per voce, microfoni per percussioni, microfoni per
riprese di strumenti acustici, microfoni più adatti ai concerti o microfoni dedicati allo studio di registrazione.

Dal punto di vista della resa, quello che cambia, è la capacità di captare meglio suoni deboli o foriti
(sensibilità) e la colorazione sonora (risposta in frequenza); ad esempio un microfono dinamico per voce
tenderà ad eliminare i bassi e gli altissimi in funzione di una buona risposta sui medi, uno studiato per la
cassa della batteria tenderà ad equalizzare il suono in maniera da far risaltare i bassi ed una porzione di
medio alti, ecc… In sostanza, spesso, i costruttori tendono a progettare microfoni volutamente non “perfetti”
per aiutare il fonico, già nello stadio embrionale della ripresa, ad ottenere un suono già in partenza il più
gradevole possibile. Quello che spesso non si dice però è che, con un minimo di creatività… di necessità
virtù! Nel mondo dell’audio è sempre vero tutto ed il contrario di tutto.

Ad esempio, un preziosissimo microfono a condensatore studiato per la voce, in determinati contesti,


potrebbe restituire un suono di cassa di batteria particolarmente gratificante. In maniera simile, un microfono
concepito per cabinet di chitarra elettrica potrebbe aiutarci a raggiungere un suono di voce unico, singolare,
interessante. Partendo da questo presupposto possiamo dire che (e qui so bene di attirare il dissenso di molti
miei colleghi) non sempre la scelta di un microfono risulta essere corretta se il microfono è, sulla carta,
quello giusto o se è il più costoso. Ovviamente, uno studio di registrazione con determinati budget a
disposizione deciderà di investire in una vasta gamma di microfoni, cercando di implementare il proprio
parco microfoni in maniera da coprire la maggior parte delle esigenze. Nel caso degli home studio e
dell’home recording però, il collo di bottiglia è sempre e comunque il budget. Bisogna infatti cercare di
risparmiare il più possibile ed ottenere dei risultati che si avvicinino comunque al professionale. Ora, per un
momento, mettiamo da parte queste considerazioni e parliamo di argomenti più tecnici: presto fonderemo le
due sezioni dell’articolo…

Microfoni dinamici ed a condensatore:

“In natura” esistono diversi tipi di microfoni. Analizzare nel dettaglio ogni singolo tipo di microfono, in base
alle classiche schematizzazioni che si utilizzano nei corsi per tecnico del suono professionali, richiede molte
ore e molto approfondimento (nel corso per tecnico del suono avanzato di ScuolaSuono.it diverse ore
vengono dedicate all’approfondimento ed alla comprensione dell’argomento microfoni analizzando a fondo
le diverse categorizzazioni in maniera da scegliere sempre, in qualsiasi circostanza di ripresa, il microfono
più adatto alle nostre esigenze). Tuttavia, riassumendo, possiamo dire che la classificazione più significativa,
almeno a livello semiprofessionale, è quella che distingue i microfoni in base alla loro tipologia costruttiva.

La tipologia costruttiva è quella che analizzeremo più nel dettaglio in questo articolo; altre classificazioni
ed il loro impiego pratico sono descritte all’interno del tutoria pdf “Riprendere il tuo live -L&R” che trovi a
questa pagina: http://www.scuolasuono.it/home/corsi/tecnico-del-suono-corsi/manuale-pdf-di-registrazione-
audio-registrare-il-tuo-live-lr/ La classica distinzione che si fa tra i microfoni dedicati alla registrazione
audio e che si possono trovare in commercio è tra: “a condensatore” e “dinamici”. Questi due termini si
riferiscono al principio con il quale l’elemento trasduttore trasforma la variazione di pressione acustica in
variazione di segnale elettrico.

I più esperti non me ne vogliano, ma, in due righe, cercherò brevemente di spiegarne la differenza.
Nei microfoni a condensatore l’elemento trasduttore è, per chi se ne intende un minimo di elettronica, un
condensatore piano a tutti gli effetti: due superfici piane, metalliche e diversamente polarizzate, vengono
disposte in maniera parallela ad una distanza di qualche micron. Queste due superfici (le armature del
condensatore piano) sono una un pezzetto metallico ancorato al corpo del microfono, l’altra una membrana
metallica sottilissima, dell’ordine di qualche micron, posta ad una distanza altrettanto minima dall’altra
armatura.

Con la variazione di pressione acustica che il suono produce nella quiete atmosfera, la sottilissima membrana
si muove seguendo esattamente l’andamento che le molecole di aria attorno a lei compiono. Dal momento
che le due armature sono caricate in maniera differente, senza entrare nei particolari, possiamo dire che, per
il funzionamento del condensatore, una variazione di distanza tra le due armature equivale ad una variazione
di tensione in uscita, il segnale audio che riflette l’andamento della pressione acustica, del suono insomma…

Non desidero addentrarmi ulteriormente nella trattazione del funzionamento del microfono condensatore,
anche se secondo me è uno degli argomenti più interessanti della fonia, ma bisogna ricordare che, il segnale
in uscita da questo tipo di trasduttore a condensatore è un segnale piccolissimo che necessita molto spesso di
una forte amplificazione al fine di far “masticare” correttamente questo segnale dalle apparecchiature
preposte a trattare segnali microfonici (i preamplificatori, come già detto nella lezione 1).

Lo stadio di amplificazione avviene, nella maggior parte dei casi, attraverso un amplificatore integrato
all’interno del corpo del microfono. Questo componente è un componente attivo, quindi necessita di
alimentazione. L’alimentazione viene convenzionalmente provvista attraverso lo stesso cavo microfonico
che collega il microfono al preamplificatore. Un’alimentazione che scorre nel verso opposto rispetto al
segnale microfonico parte dal preamplificatore per raggiungere la amplificatorino inserito nel corpo del
microfono. Tale alimentazione viene definita Phantom Power o P 48v. In ogni mixer o nella maggior parte
dei preamplificatori è presente infatti un pulsantino con una dicitura P 48 o simile.

La seconda tipologia costruttiva che in questa sede prendiamo in considerazione è quella dei microfoni
dinamici (o a bobina mobile).
L’elemento trasduttore del microfono dinamico si basa sul principio che una bobina elettrica (qualcosa che
potremmo immaginare come un rocchetto di fil di rame) posta in movimento in prossimità di un magnete
(una calamita) genera in uscita una variazione di tensione elettrica proporzionale alla variazione del suo
spostamento (per induttanza).

Il trasduttore dinamico non è altro che un sistema meccanico tale per cui, una membrana sottilissima di
materiale plastico alla quale viene ancorata una bobina mobile viene posta in prossimità di una magnete
fissato sul corpo del microfono: facendo in modo che l’intero “equipaggio mobile” risulti essere
sufficientemente leggero da essere messo in movimento dalle variazioni di pressione sonora nell’atmosfera,
in uscita dalla bobina ritroveremo delle variazioni di segnale elettrico proporzionale allo spostamento della
bobina mobile e quindi della variazione di pressione atmosferica (suono).

Ad un trasduttore dinamico spesso viene abbinato un sistema di amplificazione passiva basato su un


componente denominato “trasformatore”, a volte presente anche nei microfoni a condensatore. Il micro
segnalino microfonico proveniente dall’elemento trasduttore riceve perciò comunque un’amplificazione
(passiva, cioè senza necessità di fonti di alimentazione) prima di poter essere interfacciato ad un
preamplificatore microfonico; il microfono dinamico nella maggior parte dei casi non necessita di
amplificazione esterna per funzionare mentre, al contrario, la maggior parte delle volte, un microfono a
condensatore necessita dell’alimentazione phantom.
Confronto tra microfoni a condensatore e microfoni dinamici

Vediamo ora, in sintesi, quali sono le più evidenti differenze tra microfoni dinamici e microfoni a
condensatore. I microfoni dinamici vengono spesso utilizzati per sorgenti sonore fragorose: anche una voce
umana può essere fragorosa se viene ascoltata a 2 cm di distanza… viceversa, molto spesso, i microfoni a
condensatore vengono privilegiati per catturare il suono prodotto da sorgenti sonore più deboli in quanto
risultano essere microfoni più sensibili a variazioni di pressione sonora anche minime.

Una “sorgente sonora debole” è, ad esempio, una viola, un violino, una chitarra classica… ma può essere
anche una batteria rock ascoltata da 20 m di distanza… Nell’audio tutto è sempre relativo, ecco perchè, per
ottenere risultati professionali, in qualità di aspirante tecnico del suono, dovrai necessariamente conoscere un
pò di teoria e fare molta pratica (tutte cose, neanche a dirlo, comprese all’interno del corso per tecnico del
suono avanzato di Scuolasuono.it)

Nella pratica:

Microfoni dinamici spesso vengono impiegati per la ripresa ravvicinata (colse) di strumenti musicali come i
tamburi che compongono una batteria, gli amplificatori di chitarre elettriche, voci, percussioni, ecc…
Microfoni a condensatore invece vengono spesso utilizzati per riprendere strumenti in approccio
“panoramico” ossia in maniera da riuscire a catturare complessivamente ogni suono ed ogni sfumatura
proveniente da uno strumento musicale nel suo complesso (una chitarra acustica non emette suono
solamente in prossimità delle corde ma, proprio per la sua natura intrinseca di strumento acustico, essa vibra
in ogni sua parte, dalle chiavette all’intero corpo passando per il manico…).

Dobbiamo infatti ricordare che, posizionare un microfono in prossimità della sorgente sonora, significa
catturare alcuni particolari di quel suono, ma non il suono complessivo dello strumento. Ad esempio, un
microfono posto molto vicino alla bocca, riuscirà a catturare in maniera molto precisa e dettagliata i suoni
delle consonanti, e tutto ciò che è suono emesso attraverso la cavità orale; viceversa esso non sarà in grado di
catturare con definizione il suono emesso dalla vibrazione della maschera facciale e della testa del cantante
nel suo complesso.

Lo stesso equivale per un amplificatore di chitarra: un microfono posto in estrema prossimità del cono
riuscirà a carpire un preciso e determinato particolare della sonorità complessiva. Allontanando lo stesso
microfono esso sarà in grado di catturare onde acustiche provenienti dall’intero cono se non dall’intera
struttura della cassa. Allontanando ulteriormente il sistema di ripresa microfonico (> 0,5 m) saremo in grado
di captare, oltre che il suono diretto dell’amplificatore o della voce, anche l’interazione e la risposta
dell’acustica dell’ambiente in cui si trova immerso il cantante o l’amplificatore del chitarrista.

Da questi pochi esempi possiamo perciò renderci conto già di quante siano le variabili che entrano in gioco
nella scelta dell’utilizzo di un determinato microfono: un microfono a condensatore, più sensibile, più adatto
a captare i particolari, potrebbe essere ben utilizzato sia in prossimità della bocca di un cantante per ottenere
un suono molto asciutto molto dettagliato che in lontananza per ottenere una sensazione più naturale. Lo
stesso vale per un microfono dinamico con la differenza che, mentre un microfono condensatore posto in
prossimità della sorgente sonora restituirà un segnale molto forte (ecco perché, sulla maggior parte di questi
microfoni, si possono trovare degli switch attenuatori con dicitura come -20db o -30 db che servono ad
evitare che il segnalino in uscita dal trasduttore risulti troppo alto a valle), un microfono dinamico, essendo
solitamente meno sensibile, dovrà essere trattato con una preamplificazione decisamente sostenuta in caso di
ripresa distanziata anche di una sorgente fragorosa.
Ne consegue che, se nel caso del condensatore, il tecnico del suono deve fare attenzione ad evitare eventuali
distorsioni dei circuiti causati da segnali microfoni troppo potenti, nel caso del dinamico il fonico deve
evitare che il fruscio di fondo delle apparecchiature sovrasti, o sia paragonabile, al segnale utile da registrare.

Lavorare con un rapporto segnale / rumore a vantaggio del segnale utile, evitando però le distorsioni, è una
di quelle accortezze che, in qualità di aspirante tecnico del suono, non puoi evitare: questo approccio
consentirà alle tue registrazioni di avere un sound molto più professionale rispetto a registrazioni effettuate
senza tenere conto dell’importanza dell’ottimizzazione del rapporto segnale / rumore. Puoi scoprire maggiori
e più approfonditi ragguagli sull’ottimizzazione del rapporto segnale/rumore all’interno del tutorial pdf
“Riprendere il tuo live -L&R” che trovi a questa pagina: http://www.scuolasuono.it/home/corsi/tecnico-del-
suono-corsi/manuale-pdf-di-registrazione-audio-registrare-il-tuo-live-lr/

Registrazione stereofonica:

Dal momento che desideri far suonare alla grande le tue registrazioni ti consiglio di approfondire
l’argomento “stereofonia” alla lezione 3 di questo corso per tecnico del suono che trovi a questo link:
http://www.scuolasuono.it/home/corsi/tecnico-del-suono-corsi/la-stereofonia/

Microfoni a condensatore vengono spesso impiegati per la registrazione panoramica della batteria, del
pianoforte, degli strumenti a corda o degli strumenti percussivi ove si renda necessario captare una sonorità
globale dello strumento. Nella maggior parte dei casi le registrazione panoramiche vengono realizzate con
coppie di microfoni per ottenere registrazioni stereofoniche. Sfortunatamente però, per ottenere riprese
stereofoniche professionali, al contrario di come troppo spesso vedo e sento fare, non è sufficiente possedere
un paio di microfoni a condensatore e piazzarli “ad sensum” nella sala di ripresa. Saper utilizzare
correttamente coppie di microfoni ti darà il vantaggio di: -- aumentare la profondità percepita delle tue
registrazioni -- rendere le tue sonorità nitide, coerenti e professionali -- riprendere il suono intero e globale
dello strumento senza omissione di particolari -- registrare correttamente, catturando una naturale sensazione
di disposizione degli strumenti, organici interi, rock band, orchestre, quartetti, cori, ecc…

Le tecniche di ripresa stereofonica sono un’arma incredibile che i tecnici del suono hanno a disposizione.
Peccato che, molto spesso, per la fretta e la noncuranza del dilettante allo sbaraglio, queste preziosissime
risorse vengano praticamente ignorate, se non snobbate…
L’interazione tra segnali stereo microfonici è un’arte complessa che rasenta l’alchimia. Il tecnico del suono
che si fregia di registrare in stereofonia DEVE, se non essere esperto di posizionanti microfoni “esoterici”,
quantomeno conoscere le tecniche base che regolamentano i posizionanti di coppie stereofoniche di
microfoni.

Non mi dilungherò oltre poiché l’argomento è già stato trattato adeguatamente all’interno del tutorial pdf
“Riprendere il tuo live -L&R” all’interno del quale troverai molti schemi e regole da applicare facilmente sul
campo per ottenere buoni risultati al primo colpo . Tuttavia voglio metterti in guardia: all’interno di questo
pdf gratuito troverai molti suggerimenti tecnici ma sappi che, senza un’adeguata preparazione approfondita e
molti esempi pratici (tutte cose che si concretizzano all’interno del video corso per tecnico del suono
avanzato di scuolasuono.it) avrai necessità di molta, molta, molta pratica per poter padroneggiare le tecniche
di ripresa stereofonica al 100%.

Ancora…

Un tipico set di batteria solitamente viene generalmente microfonnato con 2 microfoni a condensatore che
riprendono in stereofonia lo strumento nella sua globalità dall’alto, un microfono a condensatore per la
ripresa dell’Hi-Hat, eventualmente un altro per la ripresa della cordiera del rullante ed infine tanti microfoni
dinamici quanti sono i fusti che compongono il set (Rullante, toms, cassa…).

Una chitarra elettrica potrebbe essere ripresa in varie maniere: con un unico microfono dinamico, con un
microfono dinamico vicino al cono ed uno in posizione più arretrata, oppure utilizzando interamente o
parzialmente microfoni a condensatore (più “dettagliati” nella ripresa dei particolari) al posto di microfoni
dinamici; infine una coppia stereo, anche in questo caso, non guasta…

Analogamente coppie microfoniche stereo possono essere utilizzate con successo nella ripresa di ensembles
d’archi, cori, strumenti acustici singoli ecc… ricorda: più stai vicino alla sorgente col microfono, meno
percepisci l’acustica dell’ambiente di ripresa; più ti allontani, più il suono diretto dello strumento si mischia
all’interazione acustica della stanza. Una buona ripresa stereofonica che tenga conto delle proporzioni dello
strumento e dell’acustica della sala restituisce naturalezza, spazialità, profondità, professionalità.

Una voce, in studio di registrazione, solitamente viene ripresa con un microfono a condensatore. Viceversa,
in situazioni live, essa viene catturata attraverso un microfono dinamico che, essendo meno sensibile,
diminuisce il rischio di effetto larsen (quei tipici fischi che spesso si sentono nei concerti: microfoni a
condensatore, a causa della loro spiccata sensibilità, mal si prestano generalmente al live poiché in grado di
percepire anche rumori di fondo come quelli dell’impianto di diffusione o dei monitors da palco). Al
contrario, microfoni dinamici risultano essere meno nitidi, meno dettagliati, ma più “pastosi”. Essi infatti, a
causa di una serie di peculiarità e considerazioni che troveranno approfondimento nel corso per tecnico del
suono di ScuolaSuono.it, restituiscono una sonorità diversa e molto caratteristica rispetto alla maggior parte
dei microfoni a condensatore, generalmente più “asettici”.

Riassumiamo quello che ci siamo detti fino ad ora in questo corso per tecnico del suono lezione 2:

Microfoni a condensatore: suono professionale a partire dai 200 -- 350 € (fino ai 20.000 €) a microfono,
necessitano di alimentazione phantom, precisi, dettagliati, sensibili, naturali, adatti a riprese panoramiche e
distanziate, adatti a riprese ravvicinate cariche di dettaglio (anche a sorgenti fragorose se il mic è dotato di
attentatore pad -10, -20, o -30 db), spessissimo utilizzati in coppia in configurazione stereo.

Microfoni dinamici: suono professionale a partire dai 100 € a microfono, passivi, meno sensibili, suono
“pastoso” ma meno dettagliato dei condensatori, adatti specialmente a riprese ravvicinate di sorgenti sonore
anche fragorose, raramente impiegati per riprese panoramiche e stereofoniche. E’ possibile utilizzare con
creatività microfoni progettati per altre applicazioni: ad esempio microfoni dinamici per chitarra elettrica
possono essere impiegati con successo nella registrazione di voci professionali in studio di registrazione o
microfoni a condensatore, pensati per la registrazione della voce, possono essere anche impiegati per la
registrazione professionale di percussioni o chitarre.

Ma chi l’ha detto che per registrare una voce professionale sia necessartio spendere 1000 € per un
microfono???

Di questo ho avuto riscontro pratico mentre registravo un video didattico sulla microfonatura rock al Garage
Studio: nella lezione 4 che trovi a questa pagina Corso per tecnico del suono (lezione 4): come registrare la
voce ti potrai facilmente rendere conto di come un microfono dinamico da 100 € (come un banalissimo shure
sm57) non se confrontato con il tipico microfonone a condensatore utilizzato in studio per registrare le
voci… Iniziamo a sfatare un pò di miti per cortesia: non serve spendere migliaia di euro per ottenere sonorità
professionali se qualcuno ti insegna ad utilizzare la strumentazione che hai a disposizione… Poi, se qualche
proprietario di VM-1 o simili vuol far sentire la sua, siamo ben aperti al confronto.
Acquisti:

Di quanti e di quali microfoni ha necessità uno studio recording? Come al solito ritorniamo alla solita
domanda: dove vogliamo arrivare?

Dobbiamo registrare delle batterie in maniera professionale? Avremmo bisogno di almeno quattro
microfoni a condensatore di discreta qualità (100-1000 € l’uno) e di almeno cinque microfoni dinamici adatti
alla ripresa dei vari tamburi.

Desideriamo registrare prevalentemente voci e strumenti acustici? Il mio consiglio sarebbe quello di
orientarsi su una coppia di microfoni a condensatore di discreta qualità (100-1000€ l’uno). In questo modo
potrai registrare qualsiasi strumento acustico (batterie comprese se segui i consigli del tutorial pdf
“Riprendere il tuo live -L&R“) e realizzare degli ottimi prodotti demo semi professionali.

Desidero registrare acusticamente una voce ed una chitarra acustica? Una coppia di microfoni a
condensatore, anche in questo caso, potrebbe essere l’ideale ma, per risparmiare qualcosa e per allargare le
possibilità sonore a mia disposizione, un’altra scelta potrebbe essere quella dell’acquisto di un microfono a
condensatore e di un dinamico (da usare eventualmente anche live sulla voce). NB: in questo caso non
sarebbero più effettuabili riprese stereofoniche convenzionali, anche se… Riprendere il tuo live -L&R

Desidero registrare unicamente la mia voce? Per risparmiare, ottenere validissimi risultati ed avere un mic
utilizzabile anche live consiglierei spassionatamente un microfono dinamico come uno Shure Sm 58 o Shure
Sm 57: in questo video Corso per tecnico del suono (lezione 4): come registrare la voci puoi vedere come
Ruggero Pol, del Garage Studio (www.garagestudiolive.com), utilizzi spesso un microfono dinamico per
effettuare anche riprese “ufficiali” di voce da utilizzare in veri e propri dischi…

Se il mio target è quello di registrare una chitarra acustica e, a volte, delle voci, e il mio scopo è quello
di risparmiare il più possibile eviterei comunque di acquistare solo un microfono dinamico: piuttosto
prediligerei un condensatore unico.

In conclusione posso affermare che, rileggendo questo articolo, mi rendo perfettamente conto che la
correttezza assoluta dei concetti esposti ha lasciato posto a suggerimenti empirici e considerazioni pratiche.
Mi auguro comunque che questo sia un buon punto di partenza per iniziare a ragionare sulle necessità che
effettivamente il tuo home studio presenta. Sprecare soldi in attrezzature che non servono è una delle
peggiori cose che ad un proprietario di uno studio oggi possa capitare… effettuare degli acquisti oculati,
ragionati e pianificati ha molto più senso per un lavoro di successo anche in prospettiva futura.

Nella prossima puntata parleremo di tecniche avanzate di recording e di registrazione.


Con il solito affetto saluto i lettori di questo articolo che sono i tecnici del suono di domani! A presto!
Corso per tecnico del suono (lezione 3): la
stereofonia
Che cos’è la Stereofonia?

Facciamo un piccolo salto in dietro nella storia della registrazione sonora.

Thomas Alva Edison annunciò l’invenzione del fonografo il 21 novembre 1877. Questo oggetto era stato
concepito con lo scopo di registrare e riprodurre una voce umana; una puntina traduceva la pressione sonora
in un’incisione meccanica tracciando un solco su un cilindro di ottone ricoperto di carta stagnola (sistema di
trazione a manovella). La riproduzione avveniva facendo in modo che la puntina che scorreva sul solco
sollecitasse una sottile membrana di materiale elastico che a sua volta metteva in eccitazione le molecole
d’aria a lei circostanti emettendo così il suono.

Dal 1887 fino al 1931 l’evoluzione dei metodi di registrazione-riproduzione del suono si protese
esclusivamente a migliorare la qualità di tali sistemi che però rimanevano in grado di captare,
immagazzinare e riprodurre informazioni legate ad un unico canale microfonico. Nel 1931 Alan Dower
Blumlein brevettò dei sistemi di utilizzo dei microfoni, a tutt’oggi impiegati nel campo della registrazione
sonora, basati sull’impiego di 2 di microfoni registrati simultaneamente su canali separati da riprodursi
simultaneamente ciascuno su un altoparlante dedicato:

nasceva così la Stereofonia.

Questo breve accenno per introdurre la sostanziale differenza che c’è tra monofonia e stereofonia.

La monofonia è basata sull’ascolto di un’unica sorgente sonora ad es. le televisioni provviste di un unico
altoparlante posteriore oppure le radioline che si trovano in regalo nelle confezioni di detersivo (quelle con la
forma di palla da tennis o da calcio). Si parla di monofonia quando un ascoltatore è posto di fronte ad un
unico altoparlante che riproduce del suono. Si potrebbe definire come sorgente monofonica anche una
persona che parla.

Quando si parla di stereofonia ci si riferisce invece ad un ascolto di un materiale audio adeguatamente


registrato per essere riprodotto da due altoparlanti posizionati in maniera da formare un triangolo equilatero
con la testa dell’ascoltatore.

La stereofonia infatti si propone di consentire, tramite tecniche di registrazione e riproduzione del suono, la
riproduzione della scena sonora originale, simulandone le tre dimensioni (larghezza, altezza e profondità),
nonché di mantenere l’equilibrio timbrico e tonale dell’evento originale, cosa che è impossibile quando la
riproduzione è effettuata da un unico altoparlante.
Per poter analizzare correttamente questo procedimento dobbiamo partire dall’applicabilità base della
stereofonia prendendo in esame, ad es., la registrazione di un’orchestra realizzata unicamente con 2
microfoni posizionati correttamente a formare un configurazione stereo rispetto alla sorgente sonora (in
questo post però non ci occupiamo di definire quale sia questa posizione: le tecniche di ripresa stereofonica
sono un argomento trattato e sviscerato in molti libri e l’argomento è troppo vasto per essere incluso in
questo breve articolo). Il microfono che, rispetto all’orchestra, punta a destra verrà poi riprodotto
sull’altoparlante destro del sistema d’ascolto e viceversa il sinistro.

Il principio della stereofonia si basa sul fatto che il cervello ed il sistema d’ascolto dell’uomo
riconoscono la provenienza di un suono dalla differenza, tra le orecchie, di livello e tempi di arrivo: se
un cane abbaia alla mia destra il suono che emetterà, oltre ad arrivare più forte al mio orecchio destro,
arriverà dopo al mio orecchio sinistro e queste informazioni, elaborate dal mio cervello, mi indicheranno che
il cane si trova a destra.

Se perciò i microfoni che riprendono l’orchestra saranno posizionati in maniera da rispettare questo criterio
ed il loro segnale sarà riprodotto separatamente su due altoparlanti, posizionati in configurazione stereo
rispetto all’ascoltatore, il risultato sarà che alle orecchie di chi ascolta arriveranno tutte le informazioni
necessarie ad illudere il proprio cervello che il flauto si trova in una certa posizione piuttosto che in un’altra
anche se in realtà, nella posizione dove sembra esserci un flautista c’è una scrivania o un pezzo di libreria.

Quando infatti lo stesso segale audio viene emesso simmultaneamente dai due altoparlanti, se le condizioni
per l’ascolto stereofonico sono rispettate, si avrà la sensazione che al centro si materializzi la così detta
“sorgente fantasma”. E’ il caso della voce, ad es., che nei dischi viene percepita sempre come centrale. Se
tutto il programma audio è riprodotto interamente sia a destra che a sinistra siamo in presenza di quello che
viene definito dual-mono, che si differenzia dal sistema di ascolto “mono classico” che è formato
unicamente da uno speaker.

Alcune considerazioni:

L’ascolto con l’ipod non può essere definito ascolto stereo perchè non rispetta le condizioni necessarie pe
essere definito tale, infatti, il segnale del canale destro arriverà solo all’orecchio destro e non anche
all’orecchio sinistro con minor livello e diverso tempo d’arrivo, e viceversa il sinistro. L’ascolo in cuffia è
definito ascolto binaurale. Le registrazione effettuata con criteri di stereofonia interaurale (orecchie esposte
al suono di entrambi gli altoparlanti) ascoltata in cuffia non consentirà all’ascoltatore una precisa
localizzazione dei suoni ed il cervello interpreterà le informazioni sonore come provenienti da sopra-dietro
la testa e non più frontalmente.

Va comunque precisato che esistono delle tecniche microfoniche che consentono a chi ascolta in cuffia una
corretta localizzazione delle sorgenti ma tali tecniche, se ascoltate su impianti stereo tradizionali,
prestentano problematiche analoghe.

Anche gli impiamti stereo nelle automobili non consentono un adeguato ascolto stereofonico perchè la testa
dell’ascoltatore non è posto sul vertice di un virtuale triangolo equilatero formato con gli speakers.

La stereofonia vera e propria è perciò un’utopia nel mondo reale ma resta il fatto che, se confrontata
all’ascolto mono, la gradevole sensazione di profondità e di apertura fanno ancora la differenza.
Corso per tecnico del suono (lezione 4): come
registrare la voce
Ciao a tutti! Questa lezione è basata su uno spezzone di un video didattico del corso per tecnico del suono
avanzato di Scuolasuono.it relativo a come registrare la voce. A giugno del 2010 mi sono recato presso il
Garage Studio (www.garagestudiolive.com) dal mio amico Ruggero Pol per la realizzazione di un video
didattico sull’utilizzo dei microfoni e la loro comparazione. Mai mi sarei aspettato di venir fuori da quello
studio con un materiale di oltre 2 ore di girato utilizzabile così dettagliato, interessante ed utile alla
comprensione dell’uso dei microfoni per gli aspiranti tecnici del suono.

A parte il divertimento della registrazione in sé, gli approfondimenti tecnici sono stati davvero molti:
abbiamo effettuato prove comparative su batteria, basso, chitarre elettriche ed acustiche e voci, insomma,
tutto ciò che serve per destreggiarsi alla grande nelle sessioni di registrazione di pop, rock, folk, ecc…
Ovviamente, la versione integrale di questo video è parte integrante del corso per tecnico del suono avanzato
di Scuolasuono.it nella sezione relativa ai microfoni.

Così, tronfio di questo video, ho pensato che ti avrebbe fatto piacere, oltre che accedere oggi allo spezzone
relativo a “come registrare la voce”, anche ai minuti introduttivi in cui, causa l’adrenalina, stavo
praticamente collassando… E’ stata una faticaccia, ma ne è valsa davvero la pena! Grazie Ruggero, grazie
Fabio (operatore video), grazie Marco (socio di Ruggero) e grazie a tutti i musicisti che hanno partecipato
alla realizzazione di questo video! Ti lascio ora al video su come registrare la voce. A presto! Francesco.

Corso per tecnico del suono (lezione 5): tecniche


avanzate di home recording
Ciao a tutti da Francesco nano di ScuolaSuono.it di e benvenuti alla quinta puntata del corso per tecnico del
suono base (se ti ricordi, nello scorso articolo, erano state incorporate le lezioni 2, 3 e 4).

Forse in molti di voi vi sareste aspettati che questo corso per tecnico del suono avrebbe preso una piega
“diverente”, più tecnica forse. Tuttavia, siccome ritengo che sui forum si sia già scritto molto ed anche di
più, e che volendo, in teoria, uno già solo passando alcune ore al giorno spulciando i vari forum in italiano
ed in inglese potrebbe raccogliere la maggiorparte delle informazioni necessarie a diventare un fonico
preparato, ritengo che in questa sede sia più appropriato approcciare il mestiere del tecnico del suono da
un’angolatura diversa dal solito. Voglio dire: con un pò di tempo dedicato a ricercare informazioni in rete su
come microfonare la batteria, tutti sarebbero in grado di venirne a capo, ma ci sono alcune cose che nessuno
scrive nei forum o, meglio, nessuno scrive in questi termini, radunandole in preziosi articoli monotematici.
Sono certo infatti che anche questa puntata possa esserti davvero di grandissimo aituto per avvicinarti ancora
di più al mestiere del tecnico del suono con approccio critico e sincero.
Nella lezione di oggi infatti parleremo di “tecniche avanzate di home recording”. Che cosa significhi
questo titolo, francamente, me lo sto chiedendo pure io… tutto sommato però riconosco che, per l’aspirante
tecnico del suono come te, alcune considerazioni leggermente più raffinate riguardanti il workflow e
l’approccio generale alle varie discipline attinenti la registrazione ed il mixaggio, non siano affatto scontate.

Le riflessioni che seguono, per quanto possano risultare scontate per gli utenti più esperti, sono in realtà il
frutto della mia esperienza personale confrontata con l’esperienza personale di molti professionisti tecnici
del suono che ho avuto l’onore di conoscere in prima persona o che ho avuto il privilegio di intervistare
all’interno del corso per tecnico del suono di ScuolaSuono.it.

Le macchine non fanno la registrazione:

Negli ultimi decenni abbiamo assistito all’impennata commerciale relativa al mondo del recording: da
quando a fare le registrazioni non sono più soltanto gli studi di registrazione professionali ma sono
prevalentemente i tecnici del suono dotati di un home studio personale, le aziende di tutto il mondo si sono
lanciate nella profittevole attività di “spennare i nuovi polli”.

Non passa giorno che sul mercato musicale non compaiano nuove apparecchiature, nuovi microfoni, nuovi
outboards, nuovi Plugins, ecc… attenzione, non sto dicendo che per ottenere dei risultati professionali sia
inutile investire sulle attrezzature ma, come al solito, propongo una domanda: è davvero fondamentale
ampliare costantemente il proprio parco macchine per ottenere musica coinvolgente, ben suonante e
che risulti essere “commerciabile”?

A parer mio assolutamente NO! E ti dirò di più: la maggior parte dei tecnici del suono professionisti la pensa
allo stesso modo. Il mitico Sergio Taglioni ad esempio, fonico professionista eccezionale e docente
sopraffino all’APM di Saluzzo, scomparso non molto tempo fa, nell’intervista che aveva rilasciato ai miei
microfoni si faceva portavoce di questo modo di pensare: “il mondo non parte con Reason, Non parte con
Ableton Live…” diceva.

L’intervista a Sergio Taglioni è uno dei più preziosi documenti che conservo nel mio archivio di materiali
didattici creati con Scuolasuono.it: dal momento della sua scomparsa ho deciso di renderla completamente
accessibile a chiunque in versione integrale che puoi trovare qui.

http://www.scuolasuono.it/home/interviste/audio/intervista-a-sergio-taglioni-tecnico-del-suono-
scomparso-di-recente/

All’interno di questa intervista troverai anche un’interessante considerazione sul mastering che è “sfuggita”
a Sergio e che in realtà vale 10 corsi per sound engineer… (Grazie Sergio, grazie della tua passione,
altruismo, carisma.)

Ma non è il solo a sostenere posizioni simili: i professionisti, quelli che vivono e lavorano in studio di
registrazione, sono i primi ad affermare che, per creare un buon prodotto, apprezzabile dal pubblico e
commerciabile, non sia necessario investire in maniera spropositata in attrezzatura. Quello che dicono tutti
loro è che è sufficiente un buon microfono, un buon pianificatore, una scheda audio semiprofessionale e
tanta competenza tecnica da parte dello staff e del tecnico del suono per poter ottenere risultati a audio
entusiasmanti. Poi, ovviamente, nei loro studi si possono spesso trovare apparecchiature costosissime e ultra
professionali, ma loro lo ritengono un di più, il suono viene prima delle macchine ultraprofessionali e dello
studio più costoso del mondo.

Tutti i grandi fonici infatti, chi prima chi dopo, sono venuti in contatto con del materiale audio registrato in
economia ma con un’energia e una profondità incredibili! La cosa su cui tutti concordano è che per
realizzare un buon prodotto audio le cose fondamentali non sono le strumentazioni tecniche ma quello che
sta prima: le vibrazioni dell’aria, l’energia musicale…

Quando c’è una band, un sound, un’idea, un’energia che si trasmette meccanicamente attraverso la
propagazione delle onde acustiche, e quando c’è un tecnico del suono con le competenze necessarie ad
incanalare questa energia, nel migliore dei modi che ha a disposizione, in un supporto atto alla registrazione,
allora ci sono i presupposti per realizzare un album di “successo”, di far emozionare l’ascoltatore. Qualsiasi
nuovo microfono, sommattore, plugins esoterico, “miracolizer” audio non potrà mai sopperire alla carenza
musicale ed energetica dei brani.

Viceversa, energia musicale positiva, suonata alla grande, prodotta da musicisti con esperienza, buoni
strumenti musicali e gusto, anche se venisse registrata con dei soli sm58 attraverso una scheda audio
economica, restituirà un risultato incredibilmente professionale (sempre che lei riprese, il mixaggio ed il
mastering vengano filtrati da conoscenze tecniche approfondite come quelle che vengono trasmesse a chi
frequenta il corso per tecnico del suono di Scuolasuono.it.

Ricordati, non sono le attrezzature che fanno il sound, sono i musicisti, i produttori ed il tecnico del suono!
Le macchine non c’entrano.

Preproduzione, live in studio e multitraccia:

Con un criterio assolutamente analogo, la maggior parte dei tecnici del suono intervistati da me nelle
interviste che troverai all’interno del corso per tecnico del suono avanzato, ritiene che le registrazioni
migliori siano quelle realizzate in un tempo molto breve, nel quale viene condensata l’energia di tutto il
disco e che, al contrario, registrazioni realizzate in tempi molto lunghi, tendono generalmente a peggiorare e
a demoltiplicare le potenzialità del lavoro. Lavorare in maniera veloce in studio di registrazione (o nella tua
cantina di casa, non ha importanza) non significa buttare su il lavoro in preda alla fretta: significa evitare di
snervarsi di fronte ai microfoni ed alle casse a beneficio di un risultato certo.

Per ottenere un buon “prodotto” nel minor tempo possibile, sfruttando appieno l’ispirazione che risiede nella
fluidità di lavoro, il consiglio di molti di questi esperti è quello di condensare la maggior parte delle energie
nella preproduzione: il lavoro che viene svolto prima che i musicisti vengano registrati.

Poniamo il caso di una rock band: il tecnico del suono che si occuperà di registrare questa band, in assenza
di un produttore artistico (cioè il 99% delle volte), dovrà essere lui ad effettuare la preparazione alla
registrazione con la band; questo implica passare assieme delle serate a prove, partecipare con autorità nelle
scelte stilistiche, soniche, di arrangiamento dei brani, degli strumenti, ecc… Il tecnico del suono, oggi come
oggi, quando lavora su progetti di terze persone, non può permettersi di rimanere asettico, barricato dietro al
suo mixer o alla sua interfaccia audio, nella speranza che la registrazione funzioni bene.
Oggi, in Italia, il ruolo del produttore artistico, come ha confermato Enrico La Falce nella sua intervista, è
praticamente scomparso al contrario di quanto avviene in molti altri paesi d’Europa e del mondo in cui la
musica viene ancora considerata come qualcosa di serio dalla maggior parte delle persone. Il tecnico del
suono perciò deve essere psicologicamente preparato ad essere lui stesso punto di riferimento e guida
artistica delle band che registra e, per diventare un punto di riferimento, occorrono 2 cose: la preparazione
teorica e teorico/pratica (che a questo punto sai già dove reperire…) e l’esperienza. Della prima me ne posso
occupare io col mio corso per tecnico del suono, ma della seconda sarai tu a dover trovare il modo, la strada,
la via migliore per acquisirla (anche a costo di guadagnare solo esperienza ed aria per i primi lavori!!!).

In definitiva possiamo dire che: il lavoro di preproduzione determina, in realtà, la buona riuscita di un disco
per l’80% !

Se questa fase è portata avanti con criterio, con competenza, puntando molto a lavorare sulla band prima
della registrazione, il lavoro di tracking, ossia la fase di acquisizione audio vera e propria, risulterà essere
gradevole, piacevole, ispirante. Viceversa, se la band dovesse giungere impreparata alla fase di registrazione
(il che significa non avere le idee chiare sulle strutture dei brani, sull’arrangiamento, sui suoni e sulle parti
suonate) la fase di acquisizione risulterà essere pesante, snervante, noiosa, eccetera.

È pur vero che oggi come oggi le tecnologie che ci vengono messe a disposizione ci permettono, in maniera
assolutamente semplificata rispetto quello che succedeva fino a qualche decennio fa, di creare takes perfette
grazie al lavoro di editing (ossia le capacità che ci danno i sequencer come Protools, Cubase, Logic, Reaper,
ecc.. di effettuare le operazioni taglia, copia, incolla). Il rovescio della medaglia è che, con tutta questa
“libertà”, si finisce per registrare 10 o 15 takes per strumento per ogni canzone rimandando il lavoro di
perfezionamento musicale alla fase di editing che, in realtà, sarebbe deputata all’ottimizzazione più che al
restauro musicale…

Ti sembra libertà, sinceramente, questa? Certo che lo è, ma questi strumenti devono essere utilizzati nel
modo corretto, non per far suonare dritto un batterista storto… quello è un lavoro che deve fare il batterista
durante le ore di studio del suo strumento. Allo stesso modo, l’editing non deve servire per far “andare
assieme” i componenti della band: questo è un obiettivo da raggiungere a prove, non durante la
registrazione!
Bada bene, te lo dice uno che ci è passato, uno che, attratto dalle potenzialità di Protools, ha preferito per
lungo tempo registrare i musicisti chiedendogli di rifare 10 volte ogni singola parte, tant’è che, all’interno
del corso per tecnico del suono avanzato, troverai anche diverse ore di lezioni molto approfondite sulle
tecniche avanzate di editing (compresi tutti i segreti del mestiere senza veli e senza inganni) che ti spiegano
come restaurare una performance musicale dalla a alla zeta…

Tuttavia si cambia, si cresce, e nel tempo le cose che ritenevamo date per scontate, a volte, vengono rimesse
in discussione da nuove esperienze, da nuovi avvenimenti e dal contatto con le persone più esperte di noi, e
questo vale anche per me!

Ritornando a noi, il concetto è: investire molte energie nella fase di preproduzione (investimento a basso
costo) per risparmiare tempo, energia musicale e denaro nella fase di registrazione e missaggio
(investimento ad alto costo) . Una band che arriva preparata alle sessioni di registrazione garantisce al
tecnico del suono un lavorare fluido, appagante, incredibilmente ispiratore o, a beneficio di tutti, della band
in prima persona, della registrazione, del lavoro finale che uscirà da quello studio.

A mio avviso, una band risulta essere pronta per entrare in studio di registrazione quando le registrazioni in
diretta fatte in sala prove con un registratorino mp3 riescono ad emozionare chi le ascolta. E’ un criterio di
valutazione semplice: registra in sala prove, fai sentire agli amici ed ai parenti, se vedi che quel materiale
emoziona, pur essendo ripreso in maniera economica, allora è il momento di iniziare a fare sul serio e di
entrare in fase di produzione nello studio di registrazione!

Il tecnico del suono che deve registrare una rock band ha a disposizione due approcci fondamentali:
registrare un live in studio oppure concentrarsi sulla registrazione multitraccia strumento per strumento. A
questo punto le opinioni che ho raccolto dai vari professionisti si dividono: c’è chi preferisce lavorare
partendo da una registrazione “veloce” della band che suona in contemporanea per poi andare a sostituire
strumento per strumento in sessioni di registrazione dedicate, c’è chi preferisce (e chi alla possibilità di)
registrare tutti i musicisti nello stesso momento, ognuno microfono nel suo boot o sala di ripresa, c’è chi
utilizza i due metodi combinati, ma in definitiva la fase di tracking è caratterizzata dal modo di lavorare il
fonico e del produttore (spesso la stessa persona).

In linea di massima però possiamo dire che, registrare tutti gli strumenti assieme, ha il potente vantaggio di
mantenere intatto il sound e lo spirito della band, ma è necessario uno studio di registrazione dotato di molti
ambienti insonorizzati per registrare i vari strumenti assieme. Viceversa, lavorare a strumenti separati,
garantisce una maggior precisione e cura nei dettagli di ogni parte suonata, lo si può fare agevolmente i
qualsiasi home studio semi professionale ma allunga si corre sempre il rischio di incappare nella “libertà” in
cui i software di oggi ci imprigionano se non si tiene alta la guardia… (quante ore di inutile editig ho
sprecato nella mia vita, se solo avessi saputo prima queste cose, se solo qualcuno me le avesse dette, se solo
avessi saputo ascoltare… c’è di mezzo achee l’umiltà in questo discorso). Infine esistono metodi di lavoro
misti: ognuno ha il suo, ogni produzione è diversa dalle altre, ogni giornata è una giornata a sé.

Ad ogni modo, qualsiasi sia il metodo da te preferito, la cosa fondamentale è curare la preproduzione!!!
Metronomo e timeline:

In maniera praticamente inaspettata, negli ultimi tempi sono venuto in contatto con produttori e tecnici del
suono che, presentando una certa dose di nostalgia, sono soliti lavorare “alla vecchia,” senza essere vincolati
alla griglia della timeline del sequencer e privilegiando il beating umano.

Molti infatti sono gli esperti che fino ad oggi hanno smontato il mio vecchio approccio al montaggio ed
all’editing; alcuni di loro, fra cui Michele d’Anca ed, in parte, Sandro Franchin, mi hanno stupito facendomi
ragionare sul fatto che, molto spesso non utilizza nemmeno il metronomolasciando al batterista il suo
completo compito primordiale… “tanto, se ti serve MIDI, puoi tranquillamente rimappare la timelie del tuo
sequencer per adattarlo al batterista…”

Quello che per me era un requisito fondamentale, per come avevo imparato ed interpretato io il mestiere
della registrazione, l’utilizzo del metronomo, alcuni dei professionisti più accreditati che ho conosciuto, in
determinate circostanze, preferiscono addirittura escluderlo, estrometterlo dal lavoro. Non sto parlando di
jazz, sto parlando di rock, di rock’n'roll, di musica leggera e insomma…

Tuttavia, fino ad oggi, non mi è mai davvero capitato di avere la possibilità di registrare una band
escludendo a priori l’utilizzo del metronomo: sarà la mia insicurezza, saranno le bands con cui ho avuto la
possibilità di lavorare, sarà che sono uno scettico, ma io preferisco comunque il buon vecchio metodo
metronomico.

Diciamo che io generalmente, in caso di lavoro in studio, non di live ovviamente, lavoro così: acustica e
voce, ascolto le canzoni, prendo nota delle strutture, decidiamo assieme alla band il beat del brano, e
configuro la mia sessione di Protools. Subito, attraverso l’utilizzo dei markers (piccoli cartellini stradali che
puoi appiccicare sulla timeline della tua song), prendo nota di dove incominciano le varie parti salienti di un
brano (intro, strofa 1, chorus 1, strofa 2, assolo, ecc….).

Quando ritengo che la sessione sia stata preparata in maniera adeguata allora mi dedico alla registrazione
delle tracce pilota: potrebbe essere un live in studio in cui tutti i musicisti suonano assieme, registrando in
multitraccia in maniera che, in un secondo momento, si possano rifare le singole parti dei vari musicisti, ma
potrebbe essere anche una sola chitarra acustica e voce. Spesso infatti mi è capitato di lavorare a progetti
anche rock e pop in cui il batterista si è trovato a dover suonare per primo, immaginandosi il sound
dell’intera band, e suonando la sua parte sulla sola acustica… non dico che questo sia il metodo migliore,
anzi! Il fatto è che alcune volte non ho proprio avuto la possibilità di approcciare il lavoro in maniera
differente. Si fa anche questo se è necessario, se si può evitare è meglio!

Potresti anche scegliere di fare un lavoro misto: una sessione pilota di chitarra e voce, una sessione pilota
registrando basso e batteria, un’altra sessione pilota per registrare chitarre e tastiere… come ben sai, oggi
come oggi, credo molto nel potere della preproduzione e dunque, al contrario di ciò che avrei pensato anni
fa, oggi un approccio del genere non lo ritengo affatto una perdita di tempo: si registra tutto alla veloce” una
prima volta, poi si riregistra tutto meglio andando a sostituire i vari strumenti in multitraccia (nel frattempo
vengono fuori idee, si può modificare la struttura del brano, i vari musicisti suonano la parte da registrare
ascoltando effettivamente una band che suona assieme a loro anche se nel tuo studio non sei provvisto di
molti locali da adibire alla registrazione dei singoli strumenti in contemporanea, i benefici sono tanti, basta
saperli trovare…). Se ci si ritrova nella condizione di dire “come l’ho suonata la prima volta non verrà più”
la maggior parte delle volte è un problema del musicista, non dell’ispirazione, e torniamo al discorso che,
prima di iniziare a registrare, bisogna conoscere le proprie parti!!!

L’utilizzo del metronomo ti consente di essere agevolmente operativo nel caso in cui tu voglia integrare del
MIDI all’interno delle tue registrazioni (per chi ancora non sapesse che cosa si intenda con l’acronimo MIDI
-- Musical Insrument Digital Interface -- , in sintesi, è la capacità di programmare un sequencer in maniera
che sia esso stesso l’esecutore di alcune parti musicali come ad esempio ritmiche elettroniche, pad o parti di
tastiera o di sintetizzatore, effetti sonori, ecc…).

L’operazione di rimappare la time line in funzione del batterista è un’operazione delicata da fare e,
sinceramente, dal mio punto di vista, sconsigliata ai principianti. Inoltre è un modo di lavorare adatto a
musicisti che davvero suonano bene, e alle situazioni in cui il suono della band non è un’accozzaglia di
singoli parti strumentali ma è realmente un tutt’uno. Puoi utilizzare questo approccio, ma ti consiglio prima
di farti molta esperienza sul metodo classico, con il metronomo impostato all’interno del tuo programma per
la registrazione audio.

La fase del mixaggio:

… E qui si apre un capitolo: me la prendo alla lontana ma vedrai che alcuni concetti e torneranno utili a
breve nella pratica.

Anche in questo caso non aspettarti che in questa sezione si parli di trucchi di mixaggio o di tecniche
specifiche: parliamo del concetto di mixaggio in generale. Per arrivare a parlare di mixaggio però desidero
prima rendrti partecipe di una delle mie fondamenta nel lavoro di registrazione: in una band è necessaria
una leadership!

Lo ripeto, una band ha bisogno di un leader, di una coppia di leader, o al massimo di un triunvirato. Scordati
la possibilità di portare a termine con successo un mixaggio fatto assieme a tutti i componenti di una band:
La chitarra sarà sempre troppo bassa, la cassa della batteria si sentirà sempre troppo poco, la voce del
cantante non sarà mai al livello giusto, ecc… non esiste! Il mixaggio lo fa il produttore. Non lo fanno i
dilettanti allo sbaraglio…

Pensa bene, se tutti tuoi arti avessero ognuno un cervello indipendente, probabilmente passeresti la maggior
parte del tuo tempo immobile in preda a un mondo di movimenti scoordinati. Lo stesso vale per la
produzione musicale: il multitraccia è stato acquisito, ora bisogna solo perfezionarne i suoni… per fare
questo è necessaria una visione globale ed insieme professionale. All’interno di una band c’è un produttore
artistico o una persona che abbia queste capacità di visione globale e che sappia trasmettere questo concetto
al tecnico del suono? Se la risposta è sì allora questa persona, e solo questa, è ammessa alla sessione di
mixaggio.

Se la risposta è no il mixaggio lo fa il tecnico del suono da solo in studio con le sue casse, i suoi plugins, i
suoi modi e tempi di lavoro. Io lavoro così per la maggior parte delle volte: creo il mixaggio per conto mio,
lo faccio ascoltare alla band, chiedo alla band di eleggere un referente unico per interfacciarsi con me, un
portavoce di tutti, lo invito nel mio studio ed, assieme, facciamo le ultime modifiche. Non esiste che tutta la
band venga in studio a mixare! Il mix è appannaggio completo del tecnico del suono ed eventualmente del
produttore. Sette cervelli che lavorano sullo stesso materiale musicale non potranno che peggiorarlo perché
ognuno cercherà di portare acqua al proprio mulino quando invece un buon bilanciamento, un buon
missaggio, è realizzato proprio con l’intento di far suonare tutto al meglio cercando di creare un’armonia
sonica.

Quanti direttori hanno le orchestre? A me risulti che si parli sempre di direttore d’orchestra, non di direttori
d’orchestra… poi chiaramente i musicisti fanno il loro, suonano la loro parte, mettono anche la loro quota di
interpretazione la loro, variazione la loro, umanità, ma la direzione orchestrale è deputata ad un’unica
persona che, anche forse il peggior direttore orchestrale del mondo, avrà sempre più possibilità di ottenere un
risultato migliore che se venisse affiancato da altri direttori che dirigono assieme a lui in contemporanea.

Capito?

Se invece tu, in qualità di tecnico del suono, desideri fare un ragionamento meramente speculativo sulla
registrazione e sul mixaggio di una band, potresti anche invitare tutta la band a partecipare al mixaggio forte
del fatto che il numero delle ore, e quindi il costo che il gruppo dovrà sostenere, di certo aumenterà… ma
questo non è il mio modo di lavorare!

Il mastering:

Della definizione di master in ciò copiamo nella lezione sei che trovi a questo link:

http://www.scuolasuono.it/home/corsi/tecnico-del-suono-corsi/corso-per-tecnico-del-suono-6a-lezione-il-
mastering/

Sorrido sempre quando sento che in uno studio si effettua registrazione, mixaggio e mastering dei proprio
lavori…

Certo, è sempre possibile effettuare delle operazioni di compressione ed equalizzazione su un materiale


audio stereo in uno studio di registrazione, potrei usare degli outboards particolari se ce li ho, oppure potrei
usare dei plugins, il concetto è che il mastering serve per ottimizzare, e che solamente in parte, diciamo per il
10%, risulta essere un’operazione creativa.

Mi domando: che senso ha masterizzare in autonomia un lavoro mixato da se stessi? Certo, risparmiare,
provare, dimostrare, ma idealmente a mio avviso il mastering dovrebbe essere una fase curata da un’altra
persona, una persona che non è coinvolta emotivamente nella produzione, nella registrazione o nel mixaggio
di quei brani e che abbia le “orecchie fresche” al lavoro.

Ovviamente conta molto l’esperienza, ma so che anche ad alti livelli si utilizza questo concetto: se io ho
mixato dei brani il mio cervello, il mio orecchio, e ormai è abituato ad ascoltarli ed a sentirli in un certo
modo ed è molto probabile che, quand’anche la mia strumentazione e la mia struttura mi consenta
effettivamente di effettuare l’operazione di mastering nel miglior modo possibile (e comunque queste
strutture sono davvero poche) la mia emotività ed il mio cervello non mi aiuteranno ad ottimizzare
rapidamente il prodotto che ho appena finito di mixare.

Sì, posso schiacciare, posso comprimere, posso equalizzare, posso spippolare, ma quale incredibile
vantaggio dalla possibilità di far avere quel materiale ad un altro tecnico del suono, far ritoccare ed
ottimizzare ad un’altra persona il mio lavoro? Ce ne sono tanti di vantaggi…
Ovviamente la persona deve avere esperienza, deve essere un professionista, devo sapere che ha già
effettuato lavori simili o che comunque sarà in grado di portare a termine un buon lavoro senza farmi
sprecare del denaro… il mio concetto è questo: se non posso permettermi un mastering costoso e super
professionale ad altissimo livello in strutture accreditate, sapendo che il mio lavoro passerà per le mani
giuste, preferisco 10 volte dare da masterizzare il mio mix ad un altro studio di mixaggio professionale,
dotato di ascolti (ed almeno software) sufficientemente professionali piuttosto che cimentarmi io stesso nella
fase di ottimizzazione finale del sound dei brani.

Sono troppo legato a quell’opera. È carne della mia carne, in quel mixaggio c’è la mia anima, c’è la mia arte,
c’è la mia persona: come faccio ad essere obiettivo? Il mix è un lavoro artistico al 90%; il master in è un
lavoro tecnico al 90% e solo un 10% lo possiamo considerare artistico…

Ma pensi che sia il regista che decide il final cut del suo film?? Neanche per idea, lui è troppo legato al suo
girato, alle emozioni provate durante le riprese, alle sue sclte visionarie… Il film deve vendere ed il
montatore, da occhio “esterno”, avrà maggiori probabilità di fa uscire un’opera d’arte dal suo montaggio
piuttosto che l’ego del regista.

Sarà forse la mia inesperienza che mi porta a ragionare in questi termini, di certo tecnici del suono molto più
esperti di me sono in grado di astrarsi durante la fase di mastering dei loro brani e realizzare degli ottimi
capolavori anche in piena autonomia.

Tuttavia ritengo che l’intervento di un’altra persona competente su quell’opera musicale, di un tecnico che si
occuperà della fase di mastering, potrà apportare maggiore energia, ai brani.

Stiamo sempre valutando figure tecniche qualificate, non stiamo parlando di dare in mano il tuo brano al
primo ragazzino che passa… ma il fatto stesso che il brano passi per le mani di un’altra persona competente,
con la sua storia, con le sue procedure tecniche, con la sua persona, con la sua competenza non potrà che a
portare energia positiva ai brani ed al progetto secondo me.

Poi, dobbiamo risparmiare? Va bene, una compressione ed una equalizzazione la possiamo anche fare in
studio… però, potendo, io sceglierei di dare i brani da masterizzare ad un altro tecnico del suono ed
eventualmente ricambiare il favore martirizzando i suoi lavori, se c’è effettivamente un rapporto di reciproca
fiducia e stima professionale.

Bene, ho sproloquiando abbastanza. Per oggi direi che è tutto, ne abbiamo dette di cotte e di crude e mi sa
che tutto ciò non contribuirà a fare di me un tecnico del suono amato dai colleghi, ma chi se ne frega? A me
interessa che tu possa valutare anche la mia campana, una campana spesso fuori dal coro, e poi ragionare con
la tua testa. Il mio goal è quello di aiutarti a crescere nella tua professionalità, non di farmi bello davanti agli
occhi dei colleghi più o meno esperti di me…

Ti saluto, ti rimando al prossimo articolo del corso per tecnico del suono gratuito promosso da
Scuolacuono.it in cui affronteremo il delicato argomento di come monetizzare la tua attività di tecnico del
suono. Anche qui, credo che mi attirerò i dissensi dei più, ma io scommetto su di te e sulla tua nuova attività
di fonico!
Corso per tecnico del suono (6a lezione): il
mastering
Questo è stato il primo articolo da me pubblicato nel lontano aprile 2008

***

Bene Signori,

Ecco il mio primo post dedicato ai musicisti ed agli addetti ai lavori in generale. Spero di essere chiaro e
preciso. Se per caso dovessi scrivere inesattezze vi prego di farmele presenti! Ma passiamo subito a questo
termine, “Mastering”, così sulla bocca di tutti… Che cos’è effettivamente? Quando serve? Dove si fa?

Il Mastering è, e rimane ai più, la parte più sconosciuta della produzione “pratica” di un disco; è forse la fase
che apparentemente sembra essere la più inutile quando invece è da considerarsi il tocco finale, quel
qualcosa in più che alla fine dei giochi è in grado di fare la differenza (in bene ed in male) sul sound
complessivo di un proggetto. In Mastering generalmente si lavorano le canzoni non più in multitraccia bensì
sui due canali Left e Right risultati dal mixdown.

Facciamo un esempio: un artista scrive le sue canzoni, si decidono gli arrangiamenti, poi col gruppo si va in
studio (balle! oggi si va in sala prove!) si stendono le tracce “pilota” che serviranno da guida nelle prime fasi
del lavoro, si registrano gli altri strumenti (batteria, basso, chitarre, tastiere, voci, ecc.), si fà il mix dei brani
e si butta il tutto su cd. NO! SBAGLIATO! Manca un passaggio: il Mastering.

Una volta che il mix degli strumenti viene realizzato e curato affinchè suoni bene non si possono stampare i
cd fino a che non si siano messe a posto alcune questioni.

In Mastering si determina anzitutto la scaletta di un cd: un mastering engineer sa per esperienza quale sia
l’ordine più opportuno da scegliere e consiglia di conseguenza la produzione (sempre che la produzione non
sia portata avanti da persone così competenti da conoscere le esigenze di mercato ed imporre una sua scelta).

Poi con l’utilizzo di equalizzatori e compressori dedicati a questo scopo ( non con il bheringeer per
intenderci, ma con 3 o 4000 euro a macchina) si mttono a posto quei difetti sonori di cui in mix non ci si è
resi conto. A questo punto occorre una precisazione: nelle regie ( non le sale prove…) dedicate al lavoro di
mix è necessario un ascolto quanto più lineare possibile per evitare che delle colorazioni timbriche delle
casse (monitor) o dell’acustica della stanza inficino il mix; la regia neutra consente un omologazione del
suono del disco che verrà riprodotto in centri commerciali, impianti domestici, car hi-fi, radio, ecc. La regia
“colorata” timbricamente no.

Altra cosa da dire è che per quanto la costruzione di una regia dall’acustica neutra sia pressochè identica per
gli studi di mix e quelli di mastering, i monitor (casse) che si usano in mix costano 1000-5000 € grosso
modo mentre quelle utilizzate in Mastering possono arrivare anche ai 20.000 euro o oltre! La differenza tra i
due ascolti sta nella definizione e nella risposta lineare. In mix serve molto “volume”, molta pressione
sonora perchè si sta lavorando creativamente ed è magari necessario ascoltare in piena in alcuni momenti! In
mastering si va a lavorare sul pelo e, con la definizione necessaria, si è in grado di intervenire anche su quei
difetti di ascolto dovuti ai monitor o ad una acustica non flat della regia di mix.

Oltre ai difetti timbrici dovuti ad acustica e monitor in questa fase si possono rimettere a posto alcuni errori
del mix engineer derivati dall’uso troppo spinto dei compressori di dinamica sul mix totale delle tracce ed, in
parte ed in maniera molto grossolana, si possono addirittura far suonare più forte o più piano alcuni
strumenti che non si sposano bene col’insieme e dei quali non ci si era accorti (il tutto lavorando unicamente
sull’audio generale L ed R e non sui singoli strumenti!).

Va ricordato infatti, per quanto banale possa sembrare, che NON è possibile, se non in circostanze
assolutamente particolari e di mix non troppo complessi, estrapolare e separare gli strumenti da una
registrazione stereo: non c’è modo di isolare la batteria da basso e chitarre partendo dal mixaggio stereo!!!

Corso per tecnico del suono (7a lezione):


equalizzatore, compressore e riverbero
Ciao a tutti gli amici che stanno seguendo questo corso per tecnico del suono gratuito. In questo nuovo
appuntamento desidero riprendere il discorso da un punto di più pratico e tecnico. Parleremo infatti di effetti
e processori di segnale. Sappiamo bene che lo strumento principale per un tecnico del suono è il mixer.
Troppo spesso però ci si dimentica che, per ottenere un buon mixaggio o delle ottime sonorità live, oltre ai
microfoni ed al mixer, sono necessari degli effetti.

Quando si parla di effettistica si parla di processori esterni (o incorporati) al mixer atti all’elaborazione del
suono, o meglio del segnale musicale. A seconda della piattaforma con cui si lavora questi effetti possono
essere degli scatolotti fisici (outboards) o dei piccoli programmini che si innestano all’interno del
programma principale (plugins).
Gli scopi per effettuare un’elaborazione su un segnale musicale possono essere più diversi: modificarne il
contenuto di frequenze e lo spettro, modificarne la dinamica, aggiungere delle alterazioni timbriche,
conferire una connotazione spaziale ad un suono, aggiungere degli effetti speciali, ecc… a seconda
dell’esigenza sono stati inventati diversi strumenti: se il microfono è quello strumento che permette di
trasformare l’energia acustica in segnale elettrico, il mixer l’oggetto proposto a raggruppare più segnali
elettrici in un unico segnale elettrico (oppure in due segnali elettrici nel caso della stereofonia, o in sei nel
caso del surround) gli effetti sono degli strumenti che consentono l’alterazione ed eventualmente il
miglioramento delle caratteristiche tecniche ed artistiche di un segnale elettrico musicale (del caso di effetti
software o digitali l’alterazione viene fatta, ovviamente, sulla rappresentazione numerica del segnale
elettrico).

Ci sono diversi criteri per catalogare i processori di segnale. Quello che a me piace di più è quello che divide
gli effetti in due grandissime categorie: gli effetti di dinamica e gli effetti di colore.

I processori i “dinamica” sono quegli effetti deputati a cambiare i connotati ad un segnale audio:
l’equalizzatore è il tipico processore di dinamica che, guarda caso, viene comunemente integrato in tutti i
mixer. Altri processori di dinamica sono il compressore, il noise gate, molti altri….

I processori cosiddetti “di colore” sono quei processori che, dato un segnale elettrico dai connotati perfetti,
si preoccupano di aggiungere una certa sonorità o un certo colore al segnale trattato. Esempi tipici di
processori di colore sono il riverbero, i vari delay, chorus e flanger, ecc…. che vengono apposti su segnali
già tecnicamente ed artisticamente “corretti”.

Questi sono solo alcuni degli effetti messi a disposizione dal mercato hardware e software, tuttavia sono
queste le categorie principali di effetti che aiutano il tecnico del suono a raggiungere il buon risultato sia nel
mixaggio che nel live.

Vediamo ora nel dettaglio a che cosa servono i vari processori sopraelencati: ovviamente non potremo
scendere nel dettaglio pratico del loro utilizzo ma ciò che di seguito potrai leggere ti permetterà di affrontare
con maggior serenità i manuali dei tuoi plugins o del tuo mixer. Infine ritorneremo sull’equalizzatore, che,
essendo il processore più famoso ed utilizzato, necessita a mio avviso di un ulteriore approfondimento sulle
sue caratteristiche ed utilizzo.

Processori di dinamica:

L’equalizzatore è quello strumento che consente al tecnico del suono di modificare la timbrica di un
segnale, di alterarne le frequenze medie, basse o alte a seconda di esigenze tecniche o stilistiche. Con
l’equalizzatore è possibile effettuare delle modifiche sostanziali allo spettro di frequenze di un determinato
segnale audio. È un termine molto utilizzato per definire l’intervento dell’equalizzatore e “risposta in
frequenza”. Questo termine identifica in maniera generica il fatto che, dato per assunto, in ingresso ad un
equalizzatore, un segnale audio caratterizzato da rumore bianco (ossia un rumore composto da tutte le
frequenze appartenenti allo spettro dell’udibile, allo stesso livello), in uscita l’andamento del livello delle
singole frequenze venga o meno alterato. Un sistema audio definito con risposta in frequenza lineare indica
che il contenuto spettrale del segnale in ingresso sarà equivalente a quello del segnale in uscita.
L’equalizzatore è, per definizione, un oggetto pensato per modificare lo spettro di frequenze di un segnale in
ingresso.
All’interno del corso per tecnico del suono di ScuolaSuono.it vengono dedicate oltre cinque ore allo studio
ed all’approfondimento degli equalizzatori e del loro impiego. È ovvio che in un articolo di questo tipo, non
riusciremo ad essere esaustivi. Prima però di passare la descrizione degli altri processori che tipicamente
vengono impiegati nell’audio, ti avverto che riprenderemo più nel dettaglio il discorso relativo agli
equalizzatore tra qualche riga in questo stesso articolo: l’equalizzatore è uno di quegli strumenti onnipresente
nelle apparecchiature e nei software audio ed è bene sapere almeno di che cosa si sta parlando prima di
muovere le manopole a casaccio…

Il compressore, l’expander ed il limiter sono tipicamente quei processori deputati alla gestione della
dinamica di un segnale (intesa proprio come differenza tra livelli minimi e massimi, di escursione di
“volume” se vogliamo).

Ogni segnale, oltre che essere caratterizzato da un certo spettro di frequenze che varia continuamente, è
anche caratterizzato da valori di dinamica: quando parlo, io posso parlare sottovoce oppure URLAREEE;
questo è un cambio di dinamica. Quando sono un assolo di chitarra io posso suonare il pianissimi o, alzando
il livello dell’ampi a manetta, i fortissimi, ecc….

L’argomento processori di dinamica è uno di quegli argomenti belli tosti, molto appaganti ma molto
difficili da padroneggiare. Per quanto mi riguarda non passa giorno sull’audio che io non impari qualcosa sui
processori di dinamica, sul loro corretto impiego, sul loro utilizzo creativo. Spiegare a parole l’utilizzo e
l’utilità del compressore, dell’espander, e del limiter, oltre ad essere un’impresa non semplice, risulta anche
essere molto deficitaria: ecco perché, anche nel caso dei processori di dinamica, all’interno del corso per
tecnico del suono di ScuolaSuono.it, ci sono oltre cinque ore di spiegazione ed esempi pratici con prove
tecniche registrate nello studio di registrazione Angel’s Wing di Nico Odorico. Puoi trovare un estratto
interessante del lavoro di comparazione fatto con Nico a questo link:
http://www.scuolasuono.it/home/interviste/audio/equalizzatore-in-studio-di-registrazione-angels-wing-
studio/

Tuttavia, in linea di massima, tanto per capire di quello di cui stiamo parlando, possiamo dire che il
compressore è quel processore dedicato a diminuire il range dinamico di una parte musicale suonata o
cantata e dunque ad avvicinare, in termine di “volume” complessivo, i pianissimi ai fortissimi. Lo scopo può
essere essenzialmente tecnico (ossia, sapendo che il mio brano verrà ascoltato spesso in un’autoradio o in un
lettore MP3, essendo a conoscenza del fatto che il sistema d’ascolto non sarà un sistema professionale e che
le condizioni d’ascolto saranno rumorose, per evitare il rischio che l’ascoltatore perda i dettagli nei passaggi
di pianissimo, utilizzando la compressione posso fare in modo che anche passaggi più deboli vengano
percepiti come più forti) oppure di tipo artistico (una chitarra elettrica ben compressa risulta essere molto più
aggressiva ed appagante rispetto allo stesso segnale senza compressore).

Le expander è un processore di dinamica che effettua l’operazione inversa rispetto compressore: anziché
diminuire la gamma dinamica di un segnale la amplifica, ossia i pianissimi verranno resi ancora più inudibili
rispetto ai fortissimi. L’estremizzazione dell’espander è quello che comunemente viene conosciuto come
noise gate.Il noise gate è lo strumento che virtualmente consente di eliminare i rumori di fondo, come ad
esempio il fruscio di un amplificatore particolarmente udibile quando il chitarrista non sta suonando, ed in
pratica funziona così: stabilito un certo livello di riferimento del segnale, tutte le porzioni di segnale che
supereranno quel livello verranno lasciate passare oltre nella catena audio, ciò che invece risiede al di sotto
di quel livello verrà “abbassato” fino ad essere reso inudibile. Se perciò la soglia di riferimento viene
impostata ad un livello appena sopra il livello di fruscio di fondo dell’ampli, quando l’unico segnale che
transiterà all’interno di questo processore sarà il fruscio, il volume sarà abbassato; quando invece il
chitarrista suonerà una nota, e dunque il livello supererà la soglia, il segnale audio verrà lasciato transitare.

Il noise gate è uno strumento fondamentale per la buona riuscita di una batteria: è fondamentale infatti che,
per evitare rumori di fondo ed aggirare problematiche complesse relative alla fase dei segnali catturati dai
vari microfoni che riprendono il set, il segnale dei microfoni d’accento relativi ai fusti risulti essere presente
solo quando è necessario (ad esempio, il segnale del rullante, attraverso l’utilizzo di un noise gatte, verrà
lasciato transitare nel mixer solo durante il transigente utile mentre, nel resto del tempo, per esempio durante
i colpi di cassa, il segnale del rullante rimarrà inudibile).

Per quanto riguarda il limiter possiamo dire che esso è l’estremizzazione del compressore: senza entrare
troppo nel dettaglio, il che richiederebbe ore e ore di scrittura (e di lettura) possiamo dire che il limiter
funziona esattamente come il limitatore di velocità presenti sulle corriere che infatti impedisce ad un mezzo,
per quanto il conducente pigi sull’acceleratore, di superare un certo limite di kilometri orari . Nell’audio è lo
stesso: il limiter costringe e il segnale in ingresso, a prescindere dal suo livello, ad uscire con un livello
massimo pre impostato dall’operatore.

L’utilizzo tipico del limiter è in fase di mixaggio su singoli strumenti percussivi per restituire corpo ai suoni
oppure, in fase di mastering, utilizzato sul master Left e Right per limitare i picchi di segnale e restituire così
un segnale che suoni “più forte”.

Questi in sintesi gli scopi principali e gli strumenti principali deputati alle modifiche dinamiche (ossia
deputate a cambiare i connotati del segnale audio); vediamo ora quali sono i principali esempi di processori
di colore. Come già detto il processing di colore è quell’insieme di operazioni che servono a rendere più
suggestivo un segnale audio già ben suonante (quindi un segnale già a posto dal punto di vista della risposta
in frequenza e della gamma dinamica).

Il riverbero è il processore deputato all’emulazione della risposta acustica restituita da un ambiente. Ne


esistono di diversi tipi e basati su diverse tipologie di funzionamento, anche se lo scopo rimane sempre lo
stesso. I parametri che generalmente si trovano sulla maggior parte di questi processori, sia essi software che
hardware, sono il tempo di riverbero (ossia la durata in termini di secondi della coda del riverbero -- per
capirci, il riverbero del tuo bagno, ha una coda più corta rispetto al riverbero di una chiesa; te ne accorgi se
batti un colpo di mano-), alcuni parametri dedicati alle prime riflessioni (le riflessioni acustiche che per
prime giungono all’orecchio dell’ascoltatore dopo essere state rimbalzate da una sola superficie) ed alle
caratteristiche costruttive della stanza (cubatura, materiale di costruzione, forma, ecc..).

Esercizio per casa: ascolta il riverbero che viene prodotto nel tuo bagno quando batti un colpo di mano
(forte) ed ascolta il riverbero prodotto all’interno di una chiesa, magari con soffitto in legno. Ti accorgerai
come il suono del riverbero cambi completamente a seconda della stanza, della sua forma, dell’arredo, dei
materiali con i quali è costruita, ecc…

Il delay è i primogenito degli effetti di colore ed il componente fondamentale che sta alla base di tutti i
processori appartenenti a questa categoria (riverbero compreso). Stiamo parlando di un processore che ha
un’infinita gamma di impieghi e di diramazioni. Tanto per capirci chorus, flanger e phaser sono suoi
derivati…

Allora, partiamo dal fatto che il Delay ideale e primordiale non fa altro che applicare un ritardo ad un
segnale in ingresso. In pratica è con il delay che si possono simulare echi simili a quelli che si possono
sentire in montagna.

Anche nel caso del delay il discorso è davvero molto ampio ed, inutile dire, che nel corso per tecnico del
suono di scuolasuono.it viene trattato in maniera molto approfondita e tecnica. Possiamo però accennare ad
alcune curiosità, partendo dai parametri che spesso ritroviamo sui plugins o sugli hardware.

Il controllo del tempo di ritardo è il fulcro. Tempi di ritardo tipici di un delay vanno dal millisecondo ai 2
secondi. L’effetto di colorazione, come nel caso del riverbero, si ottiene quando il segnale originale viene
sommato con il risultato del segnale prodotto dal processore. Per fare un esempio, se nel caso del riverbero
ci saremmo aspettati una sonorità composta dal segnale iniziale più la simulazione di una risposta acustica di
una stanza, nel caso del delay il risultato principale che ci si aspetta è quello del segnale originale più la sua
copia ritardata nel tempo, un effetto eco, insomma…

Attraverso l’opzione feedback, integrata nella maggior parte dei delay, si fa in modo che il segnale ripetuto
vanga reindirizzato all’input del processore creando così una sequenza di ripetizioni più o meno lunga.

TTTAAA -- TTAA -TA -- ta…..


Non so se mi spiego…

Infine alcuni delay integrano un processing di modulazione applicabile al segnale ritardato (un leggero
cambio di intonazione che oscilla nel tempo, ad esempio). La combinazione della modulazione con lo slap
delay (ripetizione singola) o con ll feedback della genera rispettivamente l’effetto di flanger e phaser.

Il miglior modo per sperimentare le sonorità di un delay provvisto di tutti questi parametri è sperimentare
con un plugin: rimarrai tu stesso sbalordito delle potenzialità sonore di questo strumento…

Tieni presente che, quando la ripetizione non viene avvertita come separata rispetto al segnale originale ma
come una vera e propria colorazione ( < 50 ms) quello è il territorio più gratificante per la sperimentazione
iniziale. Inoltre ti avviso che, per ottenere sonorità meno ridicole e più significative, è indicato utilizzare rate
(valore di oscillazioni dell’intonazione al secondo) inferiore a 2 (< 2 oscillazioni per secondo).

Vedremo poi nel prossimo articolo come utilizzare questi processori in combinata con un mixer (sia esso
hardware, software o digitale). Ad ogni modo, prima di concludere questa lezione, è bene ricordare che ogni
processore di colore integra un controllo mix (Dry-Wet), ossia un controllo che permette di mixare il segnale
originale in ingresso con una certa quantità di segnale processato. Vedremo poi che, utilizzando i processori
in un normale workflow che comprenda l’utilizzo del mixer, raramente questo controllo viene utilizzato in
maniera diversa che con un’impostazione 100% Wet -- uscita dal processore: solo segnale processato --
poiché il missaggio con il segnale originale verrà effettuato nel mixer stesso.

Focus: Equalizzatore

Vediamo ora più approfonditamente il discorso equalizzatore. Di certo non pretendo che questa trattazione
risulti essere esaustiva ma, al solito, il mio scopo è quello di darti delle informazioni base affinché tu possa
sfruttare le informazioni che trovi in rete in maniera proficua e non dispersiva.

L’equalizzatore è forse il più famoso e conosciuto tra i processori utilizzati nell’audio tanto che, nella
maggior parte delle volte, esiste un equalizzatore integrato anche nei sistemi high-fi casalinghi o car-audio.
Esistono diversi tipi di equalizzatore a seconda della funzione dell’equalizzatore deve svolgere ma la sua
funzione principalmente rimane quella di alterare, da un punto di vista spettrale, o se vogliamo timbrico, il
contenuto sonoro di un segnale audio.

Quando su un qualsiasi apparecchio audio, dall’autoradio all’amplificatore per chitarra, utilizziamo dei
controlli per aumentare o diminuire ad esempio i bassi, gli alti, i medi, non stiamo facendo altro che
utilizzare un equalizzatore.

L’equalizzatore nasce, come dice la parola stessa, per riequilibrare il contenuto sonoro di un segnale audio
ottenuto da un microfono: in poche parole, fin dagli albori dell’audio, gli ingegneri del suono dell’epoca si
sono resi conto che l’utilizzo del microfono già di per sé restituiva un segnale dalla timbrica falsata (ad
esempio con pochi altri con molti medi). Si è perciò inventato un apparecchio che, in dominio elettrico,
desse la possibilità all’operatore di rimettere mano alla timbrica del segnale registrato.

Dobbiamo stare attenti però che, con la parola equalizzatore, spesso si intende un insieme di filtri: esistono
infatti molti filtri ed un equalizzatore non è altro che il raggruppamento di un certo numero di questi.

I tipici filtri che si possono incontrare nella maggior parte delle macchine audio professionali e semi
professionali sono il filtro Shelving, il Peaking ed i passa alti o passa bassi.

Senza voler per forza entrare in dettaglio, limitando l’articolo ad una trattazione semplice ed adatta a tutti,
possiamo dire che i filtri Shelving sono quelli deputati ad incrementare o a diminuire il livello (e quindi il
volume) di una certa porzione dello spettro del segnale (una certa porzione di frequenze) a partire da una
determinata frequenza. Mi rendo conto che cercare di immaginarsi questi concetti senz’aver trattato in
maniera approfondita tutto ciò che riguarda la conoscenza del suono e del segnale audio, il discorso delle
frequenze e delle somme di frequenze e senza un po’ di teoria alle spalle questi ragionamenti possono
risultare leggermente complicati da seguire. Tuttavia non credo che tutto ciò scoraggi in partenza la persona
che per la prima volta si trovi di fronte ad un equalizzatore di un mixer: ci sono dei pomelli da girare, gli
Shelving sono quei pomelli che alzano o abbassano gli alti o i bassi di un segnale.

Quando nell’autoradio o nel tuo amplificatore di chitarra è presente un controllo per aumentare o abbassare
gli alti allora trattasi di filtro Shelving.

Questo tipo di filtro, nei mixer più costosi o nella maggior parte dei sistemi software, è dotato di due
controlli: la quantità di intervento (gain) e la frequenza di intervento (cioè, da questa frequenza in su, oppure,
da questa frequenza in giù, alza o abbassa di una certa quantità il livello del segnale).

I filtri di tipo Peaking invece sono quelli deputati all’intervento su un range di frequenze limitato o meglio su
un’unica porzione dello spettro (idealmente, le frequenze inferiori e superiori alla range di intervento di
questo filtro vengono lasciate inalterate).
Capisci bene che il filtro Peaking è tipicamente utilizzato per l’intervento sui cosiddetti “medi”. Il concetto è
questo: aumenta o diminuisce la porzione sonora del segnale audio in un range limitato, attorno ad una certa
frequenza. Nella maggior parte dei mixer professionali e nella quasi totalità degli strumenti software, il
Peaking è provvisto di due comandi: quantità di intervento e frequenza di centro banda. Nei filtri più
elaborati, specialmente in quelli digitali, è facile trovare il controllo dedicato all’ampiezza dell’intervento,
ossia a quanto larga o stretta debba essere la campana raffigurata in un grafico di risposta in frequenza: più
stretta sarà la forma dell’intervento, più selettivo sarà il filtro e maggiore sarà la probabilità di riuscire ad
innalzare o ad abbassare una porzione molto precisa di frequenze (questo tipo di filtro viene tipicamente
utilizzato per identificare ed eliminare l’effetto Larsen nei concerti). Più larga risulterà essere la “forma”
dell’intervento, meno preciso sarà l’intervento del filtro, maggiore sarà la probabilità di alterare
timbricamente il segnale e di creare sonorità artistiche.

Infine, l’ultima tipologia di filtri che analizzeremo in questo articolo sono denominati Passa Alto e Passa
basso (o Hi-pass e Low-pass). Questa tipologia di filtro è tipicamente passiva e cioè, nella pratica, è un
componente che non è in grado di generare una amplificazione ma solo di tagliare. Il passa basso è infatti il
filtro che permette di eliminare completamente i bassi a partire da una certa frequenza. Viceversa, il passa
alto è il filtro che permette di eliminare da un segnale audio gli alti a partire da una certa frequenza. Nella
pratica si assiste sempre ad una diminuzione progressiva del livello del segnale in funzione della frequenza.

Possiamo dire anche che, tipicamente, l’utilizzo di entrambi i filtri in combinata determina ciò che viene
definito come band reject o band pass a seconda dei casi.

L’utilizzo classico che si fa di questi filtri è per limitare la risposta in frequenza di determinati strumenti. Ad
esempio nel caso del segnale microfonico di una voce, il tecnico esperto sa bene che tutto ciò che risiede al
di sotto degli 80 Hz, con molta probabilità, è segnale indesiderato dal momento che la voce umana non
contiene porzioni significative ti basse frequenze. Nel caso del segnale di una chitarra elettrica invece il
bravo fonico sa che, al di sopra dei 4-5000 Hz c’è solo rumore e dunque, non essendo caratterizzato il suono
di elettrica da altissime frequenze, non ha senso farle passare oltre nella catena degli strumenti audio.

Un utilizzo leggermente più creativo di questi filtri è quello di costringere i singoli segnali a risiedere in un
determinato range di frequenze: se nel mixaggio ogni strumento ed ogni segnale copre l’intero spettro delle
frequenze dell’udibile, dalle bassissime frequenze alle altissime, il mix suona come un’accozzaglia di suoni.
Viceversa, il bravo tecnico che riesce a gestire lo spettro dei segnali in maniera che ogni strumento abbia, per
quanto possibile, uno range di frequenze, una porzione di spettro dedicata, creerà i presupposti affinché ogni
strumento risulti godibile all’interno della somma e, con tutta probabilità, il risultato finale sarà decisamente
più professionale.

Dicevamo che l’equalizzatore è un insieme di filtri: si possono creare perciò diverse modalità di
equalizzatore a seconda dello scopo che operatore ne deve fare.

Prendiamo ad esempio il tipico equalizzatore di un canale di un mixer di fascia media: tipicamente vi


troveremo un filtro dedicato agli alti, uno ai bassi (Shielving, tipicamente con frequenza di intervento fissa)
ed un filtro di tipo Peaking per i medi con controllo di gain e frequenza d’intervento; infine un passa alti con
frequenza d’intervento prestabilita dal costruttore.

In mixer analogici più prestigiosi o in quelli digitali (compresi software) l’equalizzatore di canale sarà
simile, sebbene più complesso: tipicamente infatti anche gli Shielving saranno dotati di controllo per la
frequenza di intervento, molto probabilmente troverai due equalizzatori parametrici Peaking (uno per il
medio alti è l’altro per il medio bassi) dotati addirittura di tre controlli: il gain, la frequenza d’intervento e la
campionatura (ossia la possibilità di allargare o restringere la banda d’intervento del filtro).Infine un passa
bassi ed un passa alti con frequenza d’intervento selezionabile. Un equalizzatore di questo tipo da
moltissime possibilità in più al tecnico di lavorare sul suono di ogni singolo strumento per creare mix
complessi e ben suonanti.

Questo tipo di equalizzatore viene definito come equalizzatore “parametrico”. Un altro tipo di equalizzatore
molto conosciuto è l’equalizzatore “grafico”. L’equalizzatore grafico non è altro che un insieme di filtri
Peaking, ognuno dei quali si occupa di un pezzetto di spettro del segnale, la cui unica regolazione
disponibile è quella relativa all’entità dell’intervento (gain).

Questi filtri si incontrano tipicamente nei concerti come moduli esterni al mixer. Solitamente vengono
utilizzati tra l’uscita del mixer e il sistema di amplificazione (sia esso il sistema di amplificazione principale
che un sistema ti ascolto ausiliario dedicato ai singoli musicisti sul palco -spie-).

Lo scopo con il quale è stato concepito questo equalizzatore è quello di aiutare a ritrovare la risposta in
frequenza di un sistema di amplificazione il più neutra possibile adattandone la sonorità all’ambiente in cui
l’impianto suona: un impianto di diffusione da concerto montato in un palazzetto, a causa dell’influenza
acustica dell’ambiente, restituirà un segnale carico di alti. Allo stesso modo è impensabile ritenere che una
cassa monitor posizionata su un pavimento di cemento oppure sopra il palco di un teatro restituisca la stessa
sonorità: è proprio l’ambiente stesso che condiziona la risposta in frequenza del sistema di amplificazione
poiché, alle nostre orecchie, giungono componenti sonore sia dirette (quelle che dal cono dello speaker che
colpiscono direttamente le nostre orecchie) che indirette (tutte quelle riflessioni acustiche che si generano
quando sono presenti delle superfici su cui il suono rimbalza).

L’utilizzo corretto dell’equalizzatore grafico è perciò quello di restituire una risposta in frequenza lineare al
sistema di amplificazione inserito in un contesto acustico. Spesso però mi è capitato di vedere alcuni fonici,
poco preparati, utilizzare questo equalizzatore per cercare di sopprimere i feedback (i tipici fischi che si
sentono nei concerti dovuti all’interazione del microfono col sistema di amplificazione). Sebbene
apparentemente questo sia un utilizzo scontato di questo equalizzatore, dovrebbe far riflettere il fatto che non
esistano dei veri e propri controlli di gestione delle frequenze di intervento e della campionatura. In altre
parole ogni singolo filtro opera solamente in una certa porzione di audio in maniera prestabilita. Se
l’esigenza del fonico è quella di andare a caccia dei famosi fischi che si avvertono sul palcoscenico lo
strumento corretto è l’equalizzatore parametrico, che consente una maggior precisione nell’individuazione e
nella soppressione del problema feedbeck a fronte di una quasi inalterata risposta in frequenza sul resto del
segnale trattato.

Gli equalizzatori grafici sono gli stessi, come concetto, che ritroviamo sui tipici impianti audio casalinghi…

Questi sono solamente principali tipi di equalizzatore ma ovviamente nel mondo reale, e specialmente nel
software, esiste ogni tipo di combinazione di filtri radunati in un’unica entità denominata equalizzatore.

Nella prossima lezione ci avventureremo alla scoperta del mixer e del suo utilizzo.

Un saluto a tutti gli amici di Scuolasuono.it ed a tutti gli aspiranti tecnici del suono!

Corso per tecnco del suono (8): il mixer

Ciao a tutti coloro che desiderano, nel loro intimo, diventare parte attiva all’interno della produzione
musicale ed in special modo a tutti coloro che sognano di diventare tecnici del suono e respirare così l’aria e
l’energia musicale che solo il lavoro durante una produzione audio sa regalare.

Tra le varie lezioni del corso del tecnico del suono base, questa credo che sia una delle più importanti: fino
ad adesso abbiamo parlato di molte cose ma abbiamo girato attorno ad un argomento fondamentale per ogni
tecnico del suono, sia esso un tecnico di mixaggio, sia esso un operatore teatrale, sia esso un fonico da
concerto o da broadcast.

L’argomento di oggi è infatti… il mixer!


Il mixer è lo strumento del tecnico del suono per eccellenza. Un tecnico del suono senza mixer è un po’
come un panettiere senza il forno. Il mixer può notoriamente avere le più svariate dimensioni, caratteristiche
tecniche, può essere hardware o software, può essere un mixer digitale o analogico, può avere quattro canali
o 72, non importa: lo scopo del mixer è sempre uno e cioè quello di raggruppare molti i segnali audio che
giungono in ingresso in pochi segnali audio in uscita.

Come già detto esistono moltissimi modelli di mixer. Ogni disciplina musicale richiede, in teoria, un certo
tipo di macchina: ad esempio il fonico Front Of House (F.O.H), che nei concerti ha il compito di effettuare il
mixaggio in modo che il pubblico dell’evento sia gratificato, avrà bisogno di un certo tipo di mixer, il fonico
“da palco”, impegnato per garantire il massimo confort di ascolto ai musicisti sul palco, avrà bisogno di
un’altra tipologia di macchina, in studio di registrazione sarà necessario un tipo di mixer dedicato, con tante
uscite quante sono le tracce simultaneamente registrabili, ecc…

Ad ogni disciplina il suo mixer. Sì, sì, lo so a che cosa stai pensando… ci sono passato anch’io… il mixer
che ho in sala prove che tipo di mixer è?

È un mixer da live, progettato con un concetto identico con il quale è stato progettato il mixer da live più
grande del mondo anche se in scala ridotta, con possibilità di impiego limitatissime, pochi canali,
qualitativamente inferiore, ecc… ma il concetto non cambia: è un mixer progettato per fare in modo che i
segnali provenienti dai microfoni sul palco vengano mischiati assieme ed indirizzati verso gli amplificatori e
le casse.

C’è però qualcosa di molto profondo che lega i mixer di qualsiasi genere, categoria e costo, siano essi
analogici, digitali o software: l’architettura primordiale del mixer che ora andiamo a vedere.

Prima di entrare nel vivo del discorso è necessario esplicitare che per mixer analogico si intende un mixer
costruito con dei componenti elettronici come condensatori, switch, resistenze, potenziometri, collegamenti
elettrici, ecc.; per mixer digitale intendiamo uno scatolotto con la forma di un mixer le cui funzioni vengono
svolte non tanto da componentistica elettronica, quanto dai calcoli di un computer ad esso integrato: certo, i
feders solitamente sono ben visibili, ma i controlli di ogni singolo canale, tra cui equalizzazione è mandate
ausiliarie sono spesso accessibili solo attraverso un display e dei menù tipici delle macchine digitali; per
mixer software si intende invece il mixer presente all’interno del sequenze che utilizzi per registrare la tua
musica e che, a ben guardare, non è altro che l’emulazione di un mixer fisico progettato per essere impiegato
in studio di registrazione.
Tutti gli esempi che faremo si riferiranno al tipico mixer analogico da live dove è più facile individuare a
colpo d’occhio i parametri ed i controlli che citeremo: tieni a mente inoltre che le medesime funzioni di
mixer analogico vengono svolte egregiamente anche da mixer digitale, la differenza, in prima analisi, è solo
questione di interfaccia. Da notare però che, come nel caso del tecnico del suono e producer Matteo Cifelli
del FasterMaster Studio (Tom Jhones, Articolo 31, Zucchero, Elio e le Storie Tese, Concato, Battiato, ecc..),
è prassi comune combinare mixer software ed analogici per ottenere verstilità e sonorità particolari.

NB: trovi l’intervista a Matteo Cifelli a questo link:


http://www.scuolasuono.it/home/interviste/audio/intervista-a-matteo-cifelli-producer-e-tecnico-del-suono/

Dunque, iniziamo…

L’architettura del Mixer

Qualsiasi mixer è dotato di un certo numero di canali in ingresso e di un certo numero di uscite dalle quali è
possibile far uscire un mixaggio dedicato: tipicamente, in un mixer da sala prove, sono presenti due uscite
denominate L ed R concepite per essere collegate all’impianto principale di diffusione e, tipicamente, quattro
uscite ausiliarie denominate Aux (altre caratteristiche sono spesso integrate nei mixer professionali, come ad
esempio i gruppi audio e le matrici, ma in questo articolo non ne parleremo).

Leggendo il mixer come un reticolato di battaglia navale si ha subito il polso della situazione: scorrendo con
l’indice tutti potenziometri ed i componenti presenti su ogni singolo canale, prima o poi si incontreranno i
potenziometri dedicati alle uscite ausiliarie ed il fader. Questi controlli sono il cuore del mixer: sono infatti
dei”volumi” dedicati ognuno ad un’uscita diversa fisica, dotata di connettore. Per renderci conto delle
impostazioni relative alle uscite il nostro indice dovrà scorrere in orizzontale sul pannello dei controlli.
Per esempio, analizzando il canale della voce del cantante, attraverso il mixer è possibile far uscire il segnale
della sua voce con un certo livello dalle uscite principali e con altri livelli completamente diversi e scorrelati
alle uscite ausiliarie.

A cosa possa servire tutta questa serie di uscite lo può decidere solo l’operatore volta per volta: il mixer è
uno strumento e, a saperlo utilizzare bene, ci si fa davvero quello che si vuole, anche i caffè!

Ad esempio è possibile utilizzare le uscite principali al fine di collegarle ad un sistema di amplificazione, ma


anche al fine di collegarle ad un sistema di registrazione… le uscite ausiliarie vengono tipicamente utilizzate
per inviare mix diversi da quello che esce sull’impianto principale agli ascolti dei musicisti (spie, cuffie)
oppure per effettuare i processing di colore, ma su questo ci ritorniamo tra un po’.

Ti è mai capitato di dover utilizzare, o di pensare di dover utilizzare, due microfoni sulla stessa sorgente
sonora, uno per la diffusione sonora ed uno per la registrazione? Non sarebbe più comodo trovare un modo
per utilizzare un unico microfono ed indirizzare il segnale su due apparecchi diversi?

Puoi trovare questo ed altri esempi di utilizzo creativo del mixer all’interno del famoso tutorial pdf tutorial
pdf “Registrare il tuo Live -- L&R”
http://www.scuolasuono.it/home/corsi/tecnico-del-suono-corsi/manuale-pdf-di-registrazione-audio-
registrare-il-tuo-live-lr/

Capito questo del mixer hai capito il 90% delle sue funzioni: il mixer è come un’architettura di tubi, molto
simile ad una fognatura, che ti consente di mandare acqua da una serie di tombini ad una serie di scarichi.

Ora che padroneggi il concetto di mixer possiamo entrare più nel dettaglio sulle singole funzioni che si
vengono a trovare nella maggior parte dei mixer. Al solito, quest’articolo non intende essere esaustivo: basti
pensare che nel corso per tecnico del suono di ScuolaSuono.it vengono condensate in due ore di video molto
dettagliato quello che io ho imparato in 3 settimane di corso… come ho fatto?

Ho eliminato le sbavature, sono andato al sodo, ho creato un video didattico molto approfondito che spiega
passo passo tutti i componenti del mixer, il loro utilizzo e la logica costruttiva che ne sta dietro. Quello che
dicono i miei allievi è che, dopo aver studiato quella lezione, il mixer non ha quasi più segreti per loro: ciò
che non è stato esplicitamente spiegato all’interno di quel videotutorial riescono facilmente a ricavarlo con
un rapidissimo sguardo al manuale di istruzioni.

Cercherò pertanto di essere il più specifico possibile per quanto mi sia concesso in questa circostanza…

Infatti, il secondo concetto fondamentale che bisogna tener presente quando si vede per la prima volta un
mixer è il fatto che esso è diviso in due sezioni principali: la sezione di controlli dedicati ai segnali in
ingresso (i singoli canali) e quella dedicata ai segnali in uscita (parte master).

La sezione di ingresso è relativa al controllo ed alla manipolazione di ogni singolo canale che entra nel
mixer; la parte master è quella dedicata ai controlli deputati alle uscite del banco come ad esempio i livelli
generali.
In ogni singolo canale tipico di un mixer analogico troveremo: il connettore d’ingresso a cui connettere lo
“spinotto” del cavo di segnale (xlr o jack), la sezione di preamplificazione deputata all’adattamento del
livello generale del segnale d’ingresso affinché possa essere ben “digerito” dai componenti del mixer che
risiedono a valle, la sezione di equalizzazione, l’insert, e cioè le connessioni necessarie a far uscire il segnale
del canale ai fini di processarlo con un processore di segnale esterno al mixer per poi farlo rientrare nella
medesima posizione, i controlli per le mandate ausiliarie, il panpot o potenziometro panoramico che ti
permette i dosare la differenza di livello tra le uscite L ed R (ad esempio nel caso in cui decidiamo di far
suonare la chitarra a destra ed il pianoforte a sinistra), il pulsante di “mute” atto a disattivare il canale sulle
uscite principali, il pulsante “solo” che consente all’operatore di poter ascoltare il risultato di un unico canale
senza dover necessariamente escludere col pulsante mute tutti gli altri canali ed infine il tipico fader per la
regolazione del livello di uscita del singolo strumento nel balance generale.
Dando per scontato che, sezione di preamplificazione ed equalizzatore siano argomenti che puoi
approfondire negli altri articoli di questo corso per tecnico del suono gratuito o nelle risorse consigliate ad
esso annesse, prendiamo in esame i rimanenti componenti.

INSERT

Partiamo con l’insert: viene definito insert la coppia di connessioni (uno in uscita e l’altra in rientro) che
permettono al segnale che transita attraverso un canale del mixer di uscire per essere processato da un
processore esterno (come ad esempio un compressore, un equalizzatore più qualitativo rispetto quello del
canale del banco, altri processori di dinamica in genere).
La funzione dell’inserit è perciò quella di aumentare il numero di processori su alcuni canali. Non avrebbe
senso infatti creare dei mixer completi di compressore, gate, limiter, eccetera per ogni canale perché, mentre
l’equalizzatore è uno strumento che si utilizza nel 90% dei casi per ritoccare il segnale microfonico o per
effettuare scelte artistiche all’interno del mixaggio, gli altri processori di dinamica non sempre vengono
utilizzati. Sarebbe perciò uno spreco di risorse, sia in termini costruttivi che economici, dotare un mixer di
una vasta gamma di processori di dinamica per ogni canale, senza contare il fatto che, a livello ergonomico,
diventerebbe ingestibile.

Ha invece molto più senso dare la possibilità al fonico di inserire una catena di effetti esterna al mixer
dedicata al processing di un singolo canale. Se ad esempio la voce del cantante o la chitarra del chitarrista
sono gli strumenti principali di una situazione musicale, potrebbe essere necessario utilizzare dell’estetistica
di elevata qualità per far risaltare questi strumenti all’interno del mixaggio; non sempre però la catena effetti
necessaria è la stessa e dunque, sapere di poter prelevare il segnale, farci un po’ quello che ci pare, per poi
reinserirlo nello stesso punto del mixer, per poi poter essere utilizzato sia nelle uscite principali che nelle
uscite ausiliarie, ci dà la possibilità di scelta migliore per ogni singola situazione sonora.

Come forse avrai notato, parlando di insert, non ho mai menzionato alcun processing di colore ma solamente
processing dedicati al cambio dei connotati del segnale, ossia processori di dinamica.

Per riprendere quello che è stato già detto in un altro articolo, desidero ricordare che le elaborazioni di colore
vengono effettuate per aggiungere un ambiente o una suggestione ad un segnale audio già tecnicamente ed
artisticamente trattato, con la risposta frequenza è la gamma dinamica necessaria per risiedere correttamente
all’interno del mix.

Difficilmente perciò ti capiterà di trovare un riverberatore o un della utilizzato in insert, anche se ciò
tecnicamente sarebbe possibile. Il concetto è questo: prendiamo ad esempio un processore di riverbero (ma
la considerazione che segue si applica a qualsiasi altro processore di colore); utilizzando gli insert, se io
volessi attribuire una certa dose di spazialità a quattro strumenti differenti all’interno di un mixaggio (ad
esempio voce, chitarra elettrica, chitarra acustica e tastiere) necessità dei di quattro differenti processori
ognuno dei quali dovrebbe essere inserito nell’inserto del rispettivo canale che si vuol processare. Questo
risulta essere un metodo molto dispendioso è poco pratico anche perché, ammesso e non concesso che non vi
siano limitazioni di budget e quindi che vi possiate permettere qualsiasi processore desideriate, resta il fatto
che durante il concerto o durante il mixaggio dovrete provvedere a quattro differenti regolazioni nel
medesimo istante su 4 differenti riverberatori.
Se lo scopo però risulta essere quello di ricreare in maniera artificiale una connotazione spaziale degli
strumenti, e perciò farli suonare, tutti nella stessa stanza, avrebbe molto più senso poter utilizzare un unico
riverberatoore che, in maniera univoca, si occupi di emulare un ambiente e trovare un modo, sfruttando le
caratteristiche del mixer, di far arrivare all’ingresso del processore il segnale di tutti e quattro gli strumenti.

Il metodo “furbo “per effettuare questa operazione è, come avrei potuto immaginare, sfruttare le mandate
ausiliarie. Come già detto le mandate ausiliarie consentono di effettuare un mixaggio differente rispetto al
mixaggio che viene inviato al sistema di amplificazione principale: sarà perciò agevolmente possibile,
utilizzando i potenziometri dedicati ad una mandata ausiliaria (ad esempio mandate ausiliarie 2) di ogni
singolo canale creare un mixaggio contenente i quattro segnali che vogliamo processare, collegare l’uscita
della mandata ausiliaria al processore di segnale ed infine collegare l’uscita del riverberatore (con il
controllo mix impostato a 100% Wet) nuovamente in ingresso al mixer su un nuovo canale.

Per riassumere, la situazione è questa: chitarra acustica, elettrica, voce e tastiere hanno ognuna un canale
dedicato chi viene mixato in direzione delle uscite principali. Inoltre, però ognuno di questi canali, viene
utilizzato il potenziometro della mandata ausiliaria 2 per creare un nuovo mixaggio, indipendente da quello
chi viene inviato alle uscite principali, da trasmettere al riverberatore. Il riverberatore effettua il processing
del segnale mixato attraverso la mandata ausiliaria 2, l’uscita del processore (in pratica la risposta acustica
della stanza emulata) viene è ricollegata al mixer attraverso un quinto canale il quale verrà mixato assieme ai
quattro canali iniziali sulle uscite principali.

Capisci bene che, in questa configurazione, il rapporto segnale diretto / segnale riverberato potrà ad esempio
essere modificato attraverso il fader del canale di ritorno del segnale processato dal riverberatore
(abbassandolo infatti, il riverbero complessivo diminuirà e dunque il controllo mix presente sul processore,
ideato per modificare il rapproto segnale diretto / segnale riverbereto, non servirà effettivamente più); inoltre
i potenziometri nei singoli canali relativi alla mandata ausiliaria 2 avranno il compito di determinare il
rapporto segnale diretto / segnale riverberato dei singoli strumenti (vale dire che, se ritengo necessario che il
segnale di voce risulti essere meno riverberato rispetto al segnale di chitarra acustica, il potenziometro della
mandata ausiliaria 2 del canale della chitarra acustica presenterà un livello di apertura più elevato rispetto a
quello della voce).

SOLO AFL, PFL ED IN PLACE

Un altro importante aspetto sul quale desidero soffermarmi prima di concludere questo articolo è il discorso
degli ascolti in “solo”. A seconda delle impostazioni del mixer e della sua progettazione esistono diverse
modalità di “solo”.
PFL (pre fader listening): all’operatore viene data la possibilità di ascoltare il segnale del singolo canale
prima dell’intervento del fader; questa impostazione è utile per effettuare un controllo sonoro sui singoli
strumenti o canali.

AFL(afte fader listening): all’operatore viene data la possibilità di ascoltare un mixaggio parziale dei canali
tenendo conto della regolazione relativa dei faders (ad esempio ascoltare la somma ed il bilanciamento di
tutti i canali relativi alla batteria).

Solitamente la modalità di solo è selezionabile nella parte master della consolle; inoltre c’è da dire che, in
queste modalità di solo, l’intero mixer continua a funzionare per come è stato impostato e nessun segnale
direzionato verso uscite ausiliarie o principali viene interrotto.

Azionando un pulsante “solo” su uno o più canali i segnali verranno inoltrati verso un’ulteriore uscita (una
sorta di uscita ausiliaria dedicata) o verso la tipica uscita cuffie di cui ogni banco è provvisto. In entrambi i
casi è possibile ottenere un segnale composto dai singoli segnali dei singoli canali mescolati tra di loro ma,
solo nel caso dell’ascolto di tipo AFL questo mixaggio ha senso poiché la “regolazione relativa” dei faders
viene tenuta in considerazione; in caso di PFL la somma viene effettuata utilizzando il livello di segnale
prima dell’intervento del fader e dunque il bilanciamento viene completamente stravolto.

Probabilmente a questo punto potrebbe risultare superflua ai tuoi occhi la modalità di solo PFL: tuttavia
bisogna tenere in considerazione che, nel caso in cui il tecnico del suono decidesse di voler effettuare un
ascolto di controllo di un singolo canale che, all’interno del mixaggio complessivo, viene mantenuto ad un
livello molto basso rispetto agli altri strumenti (ad esempio il canale relativo al microfono di una corista), e
considerando che la posizione del fader si riflette nell’ascolto AFL, egli sarebbe costretto in modalità AFL
ad aumentare pesantemente il livello dell’uscita cuffie per compensare il deficit di livello. Viceversa, in
modalità PFL, il fonico potrà mantenere invariato il livello dell’uscita cuffie a beneficio di una maggior
fluidità e rapidità nelle operazioni di missaggio. Tipicamente, in fase di concerto, il fonico si avvale con
frequenza della scelta AFL/PFL utilizzando l’apposto switch allocato nella parte master della consolle.
Solo in Place:

quest’ultima modalità è presente solamente in banchi molto prestigiosi da live o in consolle dedicate al
lavoro in studio (ed ovviamente nei sequencer audio atti alla registrazione e mixaggio professionale).

Questo tipo di modalità funziona in questo modo: una volta attivato il pulsante di “solo” su un canale tutti gli
altri canali vengono disattivati ed i loro segnali non raggiungono più le uscite principali del banco. Questa
impostazione risulta essere particolarmente utile quando è necessario ascoltare sul sistema d’ascolto
principale l’effettiva sonorità di un singolo canale corredato di effetti di colore; è l’impostazione più
utilizzata durante il lavoro in studio di registrazione e risulta essere particolarmente utile in grosse situazioni
live (ovviamente solo durante il sound-check, prima che il concerto abbia effettivamente inizio).

Concludendo, possiamo dire che, conoscendo queste informazioni di base ed integrandole con una
conoscenza approfondita del mixer come quella che ci si può fare all’interno del corso per tecnico del suono
di ScuolaSuono.it, hai la possibilità di lavorare in maniera professionale sfruttando al massimo le
potenzialità del mixer che hai a disposizione: non conoscere questi dettagli è muovere le mani a casaccio sui
controlli di un mixer non ti aiuterà ad acquisire professionalità e sicurezza poiché i risultati che ne otterrai
difficilmente saranno ripetibili se ottenuti per caso.

È con questo articolo si interrompe per il momento il corso per tecnico del suono gratuito in vista dell’evento
dell’anno su Scuolasuono.it: sfida tra uno studio di registrazione dotato di apparecchiatura analogica con
mixer SSL 72 canali ed un home recording studio che lavora in missaggio solamente utilizzando un pc.. Chi
se lo perde è un alieno balengo!

Ora hai tutte le informazioni necessarie, a mio avviso, per iniziare a documentarti da solo su procedure,
tecniche, strumentazione e modalità operative relative al lavoro del tecnico del suono. Inutile dire che
personalmente avrei piacere di incontrarti all’interno del mio corso per tecnico del suono avanzato su
Scuolasuono.it. Se così non fosse, ti auguro in ogni caso buona musica, buon recording, e soprattutto che tu,
come i miei allievi, prima o poi, possa godere appieno dell’aria e dell’energia musicale che viene a crearsi
durante le sessioni di produzione musicale: sono sensazioni indescrivibili a parole; risuonare assieme ai
desideri artistici di altri musicisti nella creazione di materiale musicale emozionante è una delle più belle
opportunità che, a mio avviso, ti possano capitare nel mondo della musica, e per un tecnico del suono le
occasioni di respirare quest’aria sono davvero molte.

Con affetto.

Francesco Nano di www.scuolasuono.it

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