CUCINA ETNICA
Detesto l’uomo che manda giù il suo cibo
non sapendo che cosa mangia.
Dubito del suo gusto
in cose più importanti.
(Charles Lamb)
CIBO E CULTURA
Parlare di cibo significa fare riferimento a una cultura, a delle abitudini, a uno stile di vita.
Ogni paese ha il suo modo di alimentarsi, di usare certi prodotti piuttosto che altri. Anzi,
attraverso il cibo noi possiamo scoprire la storia di un paese, le tradizioni e l’identità cui la
persona si rimanda, cui torna sempre. Ovviamente, usare il prodotto, acquistarlo,
preparare un certo tipo di cibo è anche comunicare che si appartiene a un certo paese,
comunicare benessere, comunicare identità. Attraverso una rilettura delle abitudini
alimentari, dei prodotti prevalentemente utilizzati, di quelli che sono tabù alimentari, noi
possiamo ricostruire la storia di un paese o di una cultura. Infatti, non serve percorrere
migliaia di chilometri per avere un incontro con popoli e culture diverse, questo può
avvenire anche a tavola. Il cibo è fondamentale per ognuno di noi, sia dal punto di vista
fisiologico: è indispensabile come respirare, sia da quello sociale e culturale. Molti aspetti
della nostra vita sono accompagnati dal cibo anche se spesso lo trascuriamo. Non c’è
momento importante della vita in cui non sia di rito consumare cibo (o bevanda) insieme:
dal battesimo al funerale passando per la laurea o l’aver trovato lavoro, un atto notarile
importante, ritrovare un amico o persino una delusione può essere consolata da una cena
fra amici. Proprio per questo il cibo è una costante fondamentale di ogni rito e liturgia
celebrata. Quello che caratterizza una terra ad un popolo è anche la sua tradizione
culinaria e le abitudini alimentari.Ciò che per qualcuno è normale mangiare per altri è da
aborrire: c’è chi non mangia il coniglio e chi però mangia il coccodrillo.
Il cibo è condivisione e simbolo: in molti popoli ancor oggi uomini e donne non possono
mangiare insieme perché sarebbe come compiere un atto sessuale.
Chi, come noi occidentali, mangia insieme usa invece il cibo per conquistare
simpaticamente o per manifestare complicità. La complicità oltre che sessuale è anche
sociale: la scelta del luogo, ad esempio, per una cena può avere un diverso valore sociale;
così come certi alimenti simboleggiano la semplicità oppure la raffinatezza. Insomma ogni
volta che affrontiamo un alimento ricordiamo che non è solo frutto dell’agricoltura o
dell’industria ma anche di elaborazione culturale di secoli di storia. Le abitudini alimentari
spesso sono condizionate e ritmate dalla religione di un popolo. Ogni religione abbina alle
proprie feste piatti e cibi rituali. Spesso una punizione religiosa è stata tradotta in divieto
alimentare, un momento di purificazione con l’eliminazione di determinati alimenti (es:
Quaresima o Ramadan). Ed ogni popolo ha anche le proprie credenze e superstizioni
legate a certi alimenti, che si crede in certi momenti portino bene o male per il futuro.
CIBO E RELIGIONE
Ai mussulmani è sempre vietato mangiare carne di maiale, e bere bevande alcooliche: al
punto che, in certe nazioni islamiche, è obbligatorio per legge, anche per chi non è
mussulmano.
Anche agli Ebrei è vietato mangiare carne di maiale.
C’è una spiegazione medica di queste convinzioni, la carne di maiale è una dieta dannosa
ed è la carne che fra tutte è la più grande potenziale portatrice di germi e malattia. Il
maiale, infatti, è un animale saprofago e onnivoro, mangia tutto, pertanto la sua carne
contiene molte tossine, vermi e malattie latenti. Sebbene alcuni di questi infestamenti
siano albergati negli altri animali, veterinari moderni dicono che i maiali siano predisposti
lontano più a queste malattie che gli altri animali.
Questo potrebbe essere perchè ai maiali piace spazzare e mangiare qualsiasi genere di
cibo e potrebbe includere insetti morti, vermi, immondizia, e gli altri maiali.
Dal punto di vista spirituale invece, l’Islam, come altre il Cristianesimo, pone l’obbligo ai
fedeli di avere un certo grado di controllo sugli impulsi ai propri desideri e di avere sempre
pensieri puri. La vita di un uomo è un composto di corpo-anima. Qualsiasi cosa che sia
dannoso per il corpo fa male l’anima. La proibizione è basata sullo scopo delle purificazioni
della natura di uno, perché il cibo viene assorbito e metabolizzato da tutto il sistema del
corpo compreso il cervello.
Tutte le religioni in modo diverso hanno collegamenti con il cibo, che talvolta ripropongono
antiche tradizioni di origine pagana. Ad esempio i Cattolici non devono mangiare carne il
Venerdì nei giorni della Quaresima, cioè nei quaranta giorni che precedono la Pasqua; in
questi giorni viene privilegiato il pesce. Il giorno di Pasqua mangiano l’agnello “arrosto”
per “tradizione religiosa”, in quanto, oggi, la Chiesa non consiglia di farlo a nessuno. Il
primo dell’anno si mangiano le lenticchie, perchè “portano fortuna”; e questo è un rito di
propiziazione, che probabilmente ha radici religiose pre-cristiane.
Molti sono i cibi che si mangiano in occasione delle grandi feste religiose, secondo
tradizioni che variano da zona a zona. In occasione delle festività cristiane, ci sono cibi che
hanno una particolare fattura e oggi viene superato il concetto di nutrimento, per il
piacere del palato e della vista, cioè per celebrare meglio la festa.
CUCINA MESSICANA E CUCINA TEX MEX
La cucina messicana è solitamente confusa con la
limitata varietà di piatti che si possono gustare negli
ormai numerosi ristoranti messicani fioriti un po'
ovunque in Italia negli ultimi tempi. Ben lontano
dall'essere una nuova maniera di intendere il fast-food, la
cucina messicana gode di una notevole tradizione
culinaria che ha saputo unire i forti sapori della cucina di
sussistenza indigena con il gusto della cucina tradizionale
europea, già risultato dell'incontro di vari sapori
provenienti da diverse regioni del mondo quando
raggiunse l'America.
La difficile reperibilità degli ingredienti originali o
l'impossibilità di importarli freschi rendono piuttosto
difficile la riproduzione di piatti tipici ed orientano i
ristoranti messicani verso una cucina Tex-Mex che
indubbiamente non rispecchia l'autenticità del sapore dei
piatti più tipici del Messico.
L'espressione Tex-Mex non si riferisce a una moda culinaria o a un ristorante messicano.
La cucina Tex-Mex appartiene a una zona geografica definita, che comprende Texas e
Messico, due paesi diversi, ma uniti da una tradizione alimentare comune.
Sebbene la cucina Tex-Mex si basi soprattutto sulla tradizione culinaria messicana e, di
conseguenza, anche spagnola, ha subito decise influenze statunitensi.Ne consegue un
menu’ molto antico, ma al contempo moderno.Non dimentichiamo poi che è perfetta per i
vegetariani, vista l'ampia scelta di piatti a base di fagioli.
La cucina Tex - Mex è famosa per i suoi gusti molto forti. Alcuni piatti come il "chili" e i
"tacos" sono famosissimi, altri sono una vera sorpresa: delicati piatti di pesce, zuppe,
salse e dolci, tutti aromatizzati con l'uso di molte spezie, fresche o secche, oltre che con
peperoncino e tabasco, che tutti si aspettano di incontrare quando si parla di piatti
piccanti. In molti piatti si trovano cannella, chiodi di garofano, cumino e coriandolo. Sono
sapori che nella nostra cucina troviamo di rado e mai tutti insieme. Si usano anche
ingredienti un po' particolari, come la farina di mais, le tortillas, il peperoncino di jalapeno
(tremendo!!), e la pepita (semi di zucca senza buccia, di colore verde).
Cibi e Bevande
Nella cucina tradizionale giapponese, gli ingredienti freschi vengono
preparati con grande cura. Un pasto tipico potrebbe consistere in
riso, vegetali, una zuppa di pasta e fagioli di soia (miso), sottaceti e
pesce o carne. La salsa di soia (shooyu) è un condimento comune.
Le alghe essiccate (nori) vengono spesso accompagnate al riso. Le
alghe verdi, sottili e croccanti sono squisite e sono un alimento
molto sano essendo ricco di iodio. Un pietanza rinomata è il pesce
crudo tagliato a fettine sottili (sashimi) servito con rafano verde.
Talvolta le fettine di pesce crudo sono adagiate su montagnole ben
modellate di riso condito con un leggero aceto (sushi). Il pesce
viene cucinato in tanti modi diversi. La frittura in olio abbondante di
pesce e vegetali (tempura) è un piatto che fu introdotto nell'arcipelago nel XVI sec. dai
mercanti portoghesi. da allora è diventato un piatto tradizionale giapponese. I giapponesi
erano vegetariani fino a circa cento anni fa. Ora invece ci sono squisite ricette che hanno
come ingredienti pollo, maiale o manzo. Una delle più prelibate è lo spiedino di pollo
(yakitori), oppure il manzo con vegetali e caglio di fagioli (tofu) cotto in una pentola
speciale direttamente sul tavolo (sukiyaki). Ogni commensale si serve direttamente dalla
pentola. Anche i vermicelli di farina di grano saraceno (soba, udon) sono una pietanza
popolare in Giappone. A volte sostituiscono il riso. Solitamente vengono serviti in una
scodella di zuppa bollente ricoperta di vegetali, carne o pesce. I vermicelli freddi (soba)
conditi con salsa di soia costituiscono un rinfrescante pranzo estivo.
Il riso rimane comunque uno degli elementi base dell'alimentazione giapponese, esso
viene utilizzato in numerosi prodotti alimentari: cracker (o-sembei), vino di riso (o-sake)
ed un vino dolce da cucina (o-mirin). La crusca eliminata durante la raffinazione del riso
viene utilizzata come mezzo per il nukazuke (sottaceti indispensabili per la dieta
tradizionale). Come avrete notato molte parole che si riferiscono al riso, come o-kome
(chicco di riso), o-sake, o-sembei sono tutte precedute dal suffisso onorifico "o". Quest'uso
riflette il particolare prestigio di cui la pianta di riso ed il suo chicco hanno goduto fin dai
tempi antichi. La maggior parte degli isolani preferisce la varietà di riso giapponese senza
glutine che, una volta cotto, riesce ad attaccarsi di più rispetto a quello a chicco lungo.
Sono diversi i dolci tradizionali ricavati dal riso: gli o-mochi a forma di diamante rosa,
bianco e grigio-verde e l'arare granulare che vengono preparati come offerte per la "festa
delle bambole" che si svolge il 3 marzo. Con il riso a vapore e lo sciroppo di malto
vengono fatti gli o-koshi, barrette marroni di caramelle (a sinistra nella foto). Gli usuama
sono invece dei dolcetti a forma di uovo bianchi e rosa, realizzati cocendo a vapore un
miscuglio di farina e riso di zucchero. Il tè verde (o-cha) resta la bibita preferita dai
giapponesi. E' servito dopo il pasto ed ogni volta che ci si riunisce. Si serve bollente e
senza alcuna aggiunta.
CUCINA CINESE
La cucina cinese moderna, spesso
considerata in Occidente poco più che
un’alternativa al fast food o alla pizzeria, è
testimone al contrario di una civiltà culinaria
antichissima ed estremamente variegata:
priva di inibizioni di ordine religioso, come il
divieto del consumo di carne suina o bovina
come avviene per l’induismo e l’islam, l’arte
culinaria cinese ha sempre avuto come
obiettivo la valorizzazione di pressochè
qualsiasi alimento. In quest’ottica, il
consumo, peraltro non così abituale come
talvolta si vuol far credere, di alimenti insoliti
come la medusa, la carne di cane e serpente, il cervello di scimmia e via dicendo
dovrebbero essere letti come un esercizio del gusto e non come una barbara abitudine. Si
riconoscono in Cina cinque scuole di cucina, ognuna legata ad una regione. La più nota in
occidente è la cucina dell’estremo Sud o cucina cantonese , che monopolizza i menu di
tutti i ristoranti nostrani con il pollo al limone o il riso fritto ed è caratterizzata da gusti più
dolci. La cucina del nord (o meglio della regione dello Hebei, dove è situata la capitale
Pechino) è famosa per i ravioli (jiaozi) e l’anatra laccata (in cinese kaoya, letteralmente
anitra al forno), piatto raffinatissimo e di confezione particolarmente complessa.
Meno famose da noi sono la cucina del Sichuan, sicuramente la più piccante: è possibile
farsene un’idea, per quanto pallida rispetto all’originale, assaggiando il mapo doufu
(comunemente tradotto come doufu piccante): il doufu viene fatto saltare con carne
oppure verdura, ma soprattutto con un intingolo di spezie e aglio; la sillaba ma, in cinese,
indica un gusto così piccante da anestetizzare le papille gustative.
La cucina del Fujian è rinomata per le zuppe e le ostriche; infine la cucina del Jiangsu e
dello Zhejiang è nota per i pesci d’acqua dolce e di mare, i granchi e, curiosamente, le
lingue d’anatra affumicate. Aldilà di queste differenze, le caratteristiche di base in termini
di tecniche di cottura e attrezzature sono comuni. Interessante è scoprire quali siano gli
alimenti irrinunciabili e quali invece non trovino spazio nell’universo gastronomico cinese.
Il latte e i suoi derivati costituiscono un’acquisizione recentissima e sono comunque
totalmente assenti nella tradizione, soprattutto per il ruolo assolutamente marginale
dell’allevamento di bovini e ovini; tra le carni viene preferita su tutte quella suina, seguita
da quella di pollo e solo in ultima sede da quella bovina (la carne ovina è ancora oggi
soprattutto appannaggio delle minoranze etniche); i cinesi non impiegano burro né olio
d’oliva, ma grassi derivati dal maiale e oli di semi (arachidi, soia e colza); scarso impiego
hanno verdure da noi immancabili come il pomodoro, la carota e la zucchina, mentre sono
diffusissime le verdure a foglia verde (cavoli di numerose qualità, erbe, spinaci, crescione
e bietole); la pasta e il pane, che nel nord sono più diffusi del riso, sono preparati con
grano tenero; inoltre non esiste cinese che non ami cipolle, cipollotti, porri e soprattutto
aglio. Il ruolo della soia e dei derivati, soprattutto l’ormai famoso doufu, è fondamentale.
Di un alimento, i cinesi esaminano il wei, cioè il suo gusto peculiare e distinto; la
consistenza, che ha un ruolo fondamentale e spesso decide del successo di un piatto o
anche del singolo alimento (é il caso della medusa e dei nidi di rondine); il colore e
l’aspetto (se); il profumo (xiang) e la fragranza (xian); quest’ultimo termine é difficilmente
traducibile in italiano e indica soprattutto l’aroma di un alimento fresco e al giusto grado di
maturazione (o macellazione…).
Le tecniche di cottura cinesi sono numerosissime: una caratteristica particolare é data dal
fatto che talvolta una sola parola può indicare più processi di cottura secondo un ordine
preciso. Ad esempio, se in una ricetta di legge che un cibo deve essere bao , significa che
il cibo, ridotto a piccoli pezzi, deve subire una sbollentatura, quindi una frittura in molto
olio e deve essere finito al salto in un recipiente che contiene una salsa o un altro
condimento.
In ogni caso, è raro che un cibo subisca una sola cottura: i tempi sono molto brevi ma non
è insolito che un alimento prima bollito venga poi stufato o fritto o saltato. Semplificando,
possiamo considerare la cottura al vapore/ bollitura e la frittura (con le varianti grande
fritture e cottura al salto) le tecniche fondamentali. Una menzione a parte merita la tecnica
shuan, affine a quella cui è sottoposta la carne cucinata nella pentola della fondue
bourguignonne, con la differenza che si impiega brodo bollente e non olio. I cuochi cinesi
vengono molto apprezzati, quando sono davvero padroni anche di una sola tecnica di
cottura. Oggigiorno, a pasto i cinesi consumano birra, bibite gassate e in occasioni speciali
superalcolici, soprattutto brandy locali e cognac d’importazione (!); il thé verde é in ogni
caso diffusissimo e ben si adatta a qualsiasi piatto. Il discorso é diverso per il vino d’uva: il
vino di produzione cinese ha uno standard qualitativo desolante e, in ogni caso, é
veramente difficile accostare con successo vino e piatti cinesi. E’ bene comunque evitare i
rossi.
Il tè (chà) è una bevanda molto antica in Cina e attualmente è la più popolare delle
bevande. Principali qualità sono quelle di tè verde e tè nero. Poi ci sono quelle
aromatizzate da boccioli di fiori secchi misti a foglioline, come il notissimo tè al gelsomino.
I cinesi bevono tè tutto il giorno, ma raramente durante i pasti. Il momento migliore è a
fine pasto.
Esistono anche bevande fermentate prodotte a partire da cereali che si servono calde e
hanno una gradazione alcolica intorno ai 18° la più famosa é il vino giallo Shaoxing,
reperibile con facilità anche in Italia. Le tecniche di taglio e il “regime del fuoco” (huohou),
espressione che indica la padronanza delle tecniche di cottura, hanno in Cina legami
fortissimi con la tradizione filosofica taoista: chi si appresta a tagliare deve avere l’animo
tranquillo e sgombro da pensieri come il monaco che medita, per essere certo di ottenere
un risultato ottimale. Allo stesso modo, il talento nell’amministrazione e nella cura del
fuoco avvicina il cuoco alla figura del saggio che sul fornello alchemico distilla l’elisir di
lunga vita.
I cinesi utilizzano due tipi di coltello, differenti solo per dimensione, mentre la struttura è
la stessa e ricorda molto i coltelli spaccaossa in uso nelle nostre cucine (di recente questi
coltelli sono diventati molto comuni anche in Italia, in quanto alcuni coltelli impiegati nella
cucina giapponese per preparare il sushi sono pressochè identici).
Il taglio è un momento fondamentale della preparazione dei piatti cinesi: assai di rado,
infatti, un pezzo di carne o della verdura arrivano interi in tavola. Fa eccezione l’anatra alla
pechinese, che viene cotta intera e tagliata in tavola alla presenza dei commensali.
L’impiego delle bacchette (kuaizi) è strettamente legato all’abitudine di servire piatti già
ridotti a bocconi.
Di regola gli ingredienti vengono sottoposti prima della cottura ad un taglio accurato,
classificato in quattro possibili forme:
-bocconcini o dadini (ding)
-julienne (si)
-fettine sottili e larghe (pian)
-pezzi più grossi e irregolari (kuai)
Ai quattro tagli corrispondono tecniche precise di impiego del coltello: i manuali cinesi
sono prodighi di suggerimenti e illustrazioni per facilitare l’apprendimento dell’arte del
taglio.
Una curiosità: i taglieri cinesi non sono sottili e rettangolari come i nostri, ma sono spessi
almeno una spanna e circolari, in quanto ricavati da una sezione di tronco.
Il fuoco che servirà per cuocere gli alimenti può essere, per i cinesi, civile (wen), o
marziale (wu). In altri termini, dolce o vivace. Esistono anche espressioni che
caratterizzano in negativo le due possibilità: se il fuoco deve essere moderato ma per
errore è troppo alto, si dice che è “pazzo furioso” (meng). Se al contrario è troppo basso,
si dice che è debole e svilito (ruo). Per calcolare i tempi di cottura, un tempo si ricorreva
come unità di misura ai bastoncini d’incenso.
Quanto ai recipienti di cottura, i cinesi utilizzano pressochè esclusivamente una sola
pentola: il famoso wok (wok è la pronuncia cantonese della parola guo, che nella lingua
cinese ufficiale significa semplicemente “pentola”). Il wok colmo d’olio serve per friggere;
riempito d’acqua per bollire e lessare; con due dita d’acqua e il cestello di bambù, per
cuocere al vapore; con poco olio, per rosolare e per le preparazioni al salto.
Tradizionalmente è di ferro e, come le padelle nere utilzzate da noi fino a pochi anni fa per
le fritture, non viene lavato con sapone, ma solo risciacquato con acqua calda e strofinato.
Recentemente rivalutato, il wok offre in effetti alcuni vantaggi incontestabili: la forma della
pentola permette di cuocere con poco grasso ed è l’ideale per le cotture veloci; inoltre la
porosità del ferro permette una minima dissoluzione del minerale nei cibi che vi vengono
cotti, fornendo una sorta di integratore alimentare. Bisogna tuttavia aggiungere che sono
ormai invalsi nell’uso i wok rivestiti di materiali antiaderente e quelli in alluminio. In
entrambi i casi, si tratta di recipienti di qualità inferiore al wok tradizionale, che è possibile
acquistare pressochè in qualsiasi emporio di prodotti orientali. Un banchetto cinese si
compone di antipasti freddi o caldi, anche estremamente semplici: arachidi tostate o
lessate; verdure a julienne; uova sode...; successivamente di piatti di carne (soprattutto;
come già detto, pollo e maiale), pesce, doufu, più di rado uova, cucinati possibilmente con
tecniche differenti e complementari. Il riso, semplicemente bollito, accompagna l’intero
pasto. Al termine, una zuppa da gusto più delicato o più piccante: i ristoranti cinesi
tendono a servirla, secondo le abitudini occidentali, all’inizio del pasto, ma andrebbe
invece servita alla fine, per propiziare una facile digestione. Le zuppe sono di solito
preparate con brodo limpido e aggiunta di altri ingredienti (verdure, carni e pesci, doufu,
pasta).
La cucina cinese, come le altre civiltà culinarie dell’estremo oriente, non conosce una vera
e propria arte pasticcera. Le preparazioni che concludono un pasto (dianxin) sono di solito
semplici e poco impegnative, a base di frutta, fresca ed essiccata, e zucchero. Fa
eccezione il dangao (lett; “torta all’uovo), molto simile al Pan di Spagna, ma che di rado
trova un impiego nei dolci di fine pasto ed è piuttosto consumato come spuntino.
Metodi di cottura
Uno dei sistemi di cottura più utilizzato è la frittura veloce a fuoco alto, mescolando
continuamente gli ingredienti. Per questo metodo di cottura l'oggetto più appropriato è lo
“wok”.
L'olio deve essere molto caldo e gli ingredienti tagliati piccoli e di uguali dimensioni, in
modo che la cottura sia veloce. Altro metodo molto diffuso è la cottura a vapore. Si tratta
di un sistema pratico e anche interessante dal punto di vista nutrizionale e salutare.
Vengono utilizzati i cestelli di bambù, singolarmente o sovrapposti.
La cucina cinese utilizza anche altri metodi di cottura, in umido, a stufato, bolliti, arrostiti,
fritti, che differiscono poco dagli stessi sistemi impiegati in Occidente.
Il riso bollito ha una cottura che assomiglia molto alla cottura a vapore; infatti viene posto
il riso in una capace pentola con la quantità doppia di acqua, dopodichè viene lasciato
cuocere coperto e senza girarlo per circa dieci minuti. Spento il fuoco, si lascia riposare,
sempre coperto, per altri dieci minuti, in modo che l'acqua venga assorbita
completamente.
Essenziale e' la preparazione dei cibi: i vari ingredienti saranno tagliati in pezzi piccoli e
uguali, sia per la buona riuscita della cottura, sia perchè ci sia sempre una certa armonia
nella forma e nell'apparenza. A seconda della ricetta si richiederà che l'ingrediente venga
tagliato a cubetti, a julienne, a strisce ecc.
Le verdure devono essere tagliate in senso diagonale, mentre la carne seguendo la
granatura naturale. La carne, se tagliata a strisce, affinchè risulti più tenera, viene tagliata
avendo cura di rompere le fibre della venatura, per cui tagliandola quasi
perpendicolarmente alla venatura.
La composizione del menù è importante: di solito un piatto sugoso e saporito si
accompagna con qualche cibo "assorbente", come il riso bollito o i tagliolini di riso saltati.
La minestra viene servita a fine pasto, per favorire la digestione.
Un menù ben equilibrato dovrebbe includere tre tipi di carne: pesce, pollame e manzo, o
maiale. E' bene comunque alternare armoniosamente carni, pesci, verdure e farinacei, e
anche le tecniche di cottura per non incorrere nella ripetitività.
Condimenti e spezie
? Salsa di soia
? Polvere delle cinque spezie: e' una miscela di anice stellato, semi di finocchio, chiodi
di garofano, cannella e pepe.
? Zenzero: usato sia essiccato, sia fresco.
? Salsa alle ostriche: venduta già pronta.
? Olio di sesamo: assai utilizzato
? Semi di sesamo: spesso vengono tostati prima di essere usati
? Funghi cinesi: funghi essiccati neri, di sapore forte, che vanno tenuti a bagno in
acqua tiepida prima di essere utilizzati.
? Coriandolo: si utilizza fresco, o se ne usano i semi interi o in polvere
? Tofu o dofu: formaggio di soia venduto in pacchetti; tagliato a strisce e fatto
essiccare. Basta metterlo a bagno per poterlo usare. Cibo ideale per i vegetariani.
CUCINA AFRICANA
Il cibo in Africa è l'elemento base di un rituale di comunione, un'occasione per esprimere
valori e simboli della tradizione. Mangiare e bere insieme vuol dire celebrare la vita.
Celebrare la vita è incorporare frammenti del suo mistero. Accostarsi alla cucina africana
diventa pertanto un gesto altamente culturale, una modalità immediata e simpatica per
conoscere e allargare la comunione. Fortunatamente negli ultimi tempi anche in Italia si
sono moltiplicate le opportunità per incontrare l'Africa dei sapori e degli odori. Il cibo
africano varia da regione a regione e molta differenza si incontra tra i paesi della fascia
sahariana e quelli della foresta tropicale dell'Africa centrale. Le isole poi costituiscono una
forma di cucina a sé.
Nel continente, in modo molto generale si può dire che il piatto forte è costituito da una
portata a base di carne, quasi sempre accompagnata da un sugo ricco di varie spezie,
anche molto piccanti. Al posto del pane occidentale si mangia il riso, la ingera (una sottile
sfoglia molle e tenera fatta con un cereale chiamato tef), il fufu (una specie di polenta a
base di farina di manioca, di mais, di miglio, eccetera). Il piatto africano forse più
conosciuto in Italia,date le circostanze storiche, è lo zighinì, piatto nazionale per l'Etiopia,
la Somalia e l'Eritrea.
È costituito da carne di montone cotta in umido,
accompagnata da berberè, un sugo ricco di paprika
piccante, e verdure varie. Il tutto servito su uno strato
di ingera. Anche il pollo è molto diffuso, dal pollo saka-
saka al pollo al burro d'arachide, condito con il dongo-
dongo, una spezia che aiuta il sugo a compattarsi e a
dargli il suo sapore particolare. La cucina africana è
anche a base di pesce, soprattutto nelle isole e nei
paesi che si affacciano sul mare particolarmente
pescoso, ma anche dove i laghi e i fiumi abbondano di
pesce. La “tilapia nilotica”, chiamata poisson capitain, è
molto apprezzata e diffusa in Africa. Particolarmente
delicato è il suo profumo e il suo sapore quando è affumicata. In genere il pesce viene
cotto alla brace, con spezie aromatiche e piccanti. Molto buone sono le crocchette di pesce
e di verdure, cotte in tutte le maniere. Fortunati quelli che possono trovare il pesce saka-
saka (il pesce affumicato è accompagnato da foglie di manioca cucinate come spinaci, il
tutto cotto con olio di palma). Da non perdere, le famose banane fritte, le patate dolci
anch'esse fritte e la manioca bollita e fritta.
I dolci
La maggior parte dei dolci sono a base di frutta: banane, goyaba, cocco...
Sono molto buoni anche i dolci fritti con farina di grano, oppure con le banane.
Nelle isole, le torte di banane, di cocco e di ananas sono quasi sempre presenti nelle feste
tradizionali, particolarmente in occasione dei matrimoni.
Bevande
Anche tra le bevande le più diffuse sono quelle di frutta: il latte di cocco, il succo di
tamarindo, il succo di maracujà... Tra quelle alcoliche troviamo il vino di palma, la birra di
miglio, i forti distillati della canna da zucchero, il delicato idromele (miele diluito e
fermentato), i dolci liquori a base d'arancia, il punch di cocco, eccetera. Ultimamente si
stanno affermando per la loro qualità i vini del Sudafrica, ma troviamo tanti altri vini
provenienti dallo Zimbabwe, dalla zona del Kilimangiaro e dal Kivu congolese. Un discorso
a parte lo merita la birra, sia per l'ottima qualità che per l'abbondanza delle varietà. Oltre
alla birra di miglio, esistono anche birre locali a base di mais.
CUCINA EBRAICA
Distanti dal rimanere una appendice della fede
ebraica, le proibizioni alimentari sono raccolte nei
primi cinque libri della Bibbia, detti Torah , ovvero
legge in lingua ebraica, gli stessi dove è sostenuta
l’esistenza di un solo ed un unico Dio. Prima
dell’avvento del cristianesimo e la comparsa
dell’islamismo è l’assoluta fede e fedeltà ad un
unico Dio, insieme ad un rigido complesso di
proibizioni alimentari, a separare nettamente dalle
altre religioni la religiosità ebraica.
La tradizione rabbinica ha proposto diverse
motivazioni per queste restrizioni di ordine alimentare, includendo quelle morali, mistiche,
filosofiche e metafisiche. Una popolare interpretazione tradizionale vuole che,
sottomettendo la propria natura sensuale alla volontà divina, l'essere umano si elevi dallo
stato animale, pervenendo alla umanità autentica, emancipandosi dalla violenza che
sempre torna a sedurlo con le proprie scorciatoie, ottenendo santificazione e libertà.
Tramite tale lenta e proficua educazione, sottomettendo l’irruenza dei sensi, l’uomo
giungerà a rinunciare alla carne in tutti i significati deprimenti che la parola ricorda.
La lealtà degli Ebrei verso le leggi raccolte nella Bibbia, la fedeltà indiscussa ad un unico
Dio, hanno consentito la continuità storica della comunità ebraica, il perdurare di tradizioni
antichissime, preservandole al di là dei ripetuti e terrificanti attacchi subite nel corso dei
secoli.
Attraverso la storia, l'osservanza ha creato una atmosfera spirituale intorno al cibo e gli ha
dato una speciale importanza. Le leggi dietetiche del kashrut (letteralmente “idoneità”)
sono state tra i più significanti fattori che hanno influenzato lo stile della cucina ebraica. Le
leggi del kashrut riguardano ciò che è permesso consumare - in ebraico kasher - e ciò che
è proibito - in ebraico terefah - stabilendo precisi precetti sulle modalità con cui devono
essere resi ideoni all'assunzione gli alimenti, su quanto può essere toccato, trattato,
ingerito senza cadere nella colpa, su quanto è permesso intrattenere rapporti rimanendo
graditi a Dio.
CUCINA ARABA
La religione mussulmana, caratterizza fortemente la dieta, che è imposta dal Corano basti
pensare al divieto di mangiare carne di maiale e carne non "halal" ( proveniente da animali
non sgozzati). Durante il Ramadan, mese in cui si pratica il digiuno dall'alba fino al
tramonto, alcuni piatti cucinati in questo periodo sono:
- il "khushaf" (egitto): una macedonia di frutta secca
- l'"harira" (marocco, algeria): zuppa con carne e legumi secchi; piatto leggero, ma
completo
A tavola
Raramente da solo, l’arabo mangia attorno ad un basso tavolo rotondo assieme a tutta la
famiglia; il cibo viene offerto sempre in quantità generose, accompagnato da the e caffè.
Non si usano posate e si attinge da un unico grande piatto, i bocconi si prendono
servendosi del pane, è quindi di fondamentale importanza lavarsi le mani prima di
mangiare.
L'acqua è servita in una brocca con un asciugamano e una saponetta, senza alzarsi da
tavola.
All'inizio e al termine del pasto si ringrazia Dio, "bismi Allah", per il cibo che viene così
sacralizzato.
Paesi e tradizioni
La cucina araba è molto ricca e varia, ogni paese esprime nella cucina le sue tradizioni ed
il suo passato. Le origini beduine, come pastori e nomadi, indicano la provenienza del
montone arrostito per l'Arabia Saudita.
I "falafel" polpettoni di fave o di ceci, molto popolari in Egitto, sembrano essere ricetta ben
più antica, si dice fossero già conosciute ai tempi dei Faraoni.
Le "Kafta" sono polpette di carne, aromatizzate con le spezie che gli Arabi introdussero nei
loro commerci nel Mediterraneo; zafferano, cumino, cardamomo, cannella ricordano
l'intensa attività commerciale di un tempo. I dolci sono raffinatissimi e a base di mandorle
e miele.
Vengono talvolta aromatizzati con essenze deliziose come la rosa e i fiori d'arancio (
quest’ultimi tuttora utilizzati, in alcuni paesi arabi, per aromatizzare l'acqua che servirà alla
preparazione di altri piatti).
La cucina araba più vicina a noi è senza dubbio quella marocchina.
Alcune ricette e alcuni metodi di cucinare hanno origini risalenti a 2000 avanti Cristo. I
piatti più conosciuti sono:
- il couscous, di origine berbera, è una semola spesso ancora fatta a mano la cui
preparazione richiede abilità e pazienza.
- il "tagine", piatto a base di carne o pesce con verdure che prende il nome dalla
particolare pentola in terracotta in cui viene cucinato.
CUCINA INDIANA
La cucina del subcontinente indiano è estremamente variegata così come le tradizioni
religiose e culturali. La definiscono innanzi tutto le prescrizioni religiose: ad esempio il
divieto di consumare carne di maiale per i musulmani e carne bovina per gli induisti,
l'obbligo della "macellazione hallal" ottenuta con il dissanguamento dell'animale per i
musulmani e la scelta vegetariana per molti induisti o buddhisti. A ciò si aggiunge il divieto
di bevande alcoliche per i musulmani o, al contrario, in alcune zone dell'India, la tradizione
della birra.
Tali differenze non riflettono soltanto la divisione tra i diversi
paesi, ma molto spesso le differenze all'interno dello stesso
paese, per cui in quasi ogni ristorante è molto facile trovare un
menu interamente vegetariano e un menu a base di carne i cui
piatti sono costituiti da agnello, montone e pollo, carni su cui
non pesa alcuna interdizione religiosa.In alcuni è possibile
trovare un menù a base di pesce (piatto tipico delle regioni
orientali) e solo in qualche ristorante pakistano anche il
vitellone, così come solo in qualche ristorante indiano
preparazioni a base di maiale.
A tali differenziazioni si aggiungono quindi le tradizioni locali:
per l'India si parla di una cucina del nord, caratterizzata dall'uso
del pane e da un minor consumo di spezie e peperoncino
piccante, e una cucina del sud, caratterizzata dall'uso del riso,
comune del resto anche in altre regioni del paese, ma molto speziata e piccante. Si
aggiungono a questo quadro due ulteriori fenomeni, dovuti a quella che potremmo definire
una tacita negoziazione culturale:
- Il primo è l'offerta di uno o più menu in cui sono presenti piatti che appartengono a
tradizioni diversificate: ad esempio in quasi tutti i ristoranti potete trovare riso e pane
indiano, mentre è difficile che in India troviate nello stesso luogo l'uno e l'altro. In quasi
tutti i ristoranti esiste una cucina prevalente a cui si sono affiancate tradizioni e piatti di
altre regioni, altri paesi, altri territori sia pure all'interno della stessa area culturale.
-Il secondo è che all'interno degli stessi piatti sono state apportate modifiche necessarie
per andare incontro ai gusti occidentali: i piatti speziati e piccanti preparati in Italia sono
assai meno speziati e piccanti di quanto lo siano nei paesi di origine e non è difficile che vi
venga richiesto di segnalare al personale, che lo annoterà, la vostra disponibilità a
"gustare pietanze veramente molto speziate".
Il subcontinente indiano è noto per le sue preparazioni tandoori (carni o pesce cotti in uno
speciale forno di terracotta, di forma cubica all'esterno e concava all'interno, alimentato a
carbonella, che consente una cottura rapida ad altissima temperatura con totale esclusione
dei grassi e che rende croccante l'esterno e lascia morbido l'interno) e per i suoi curry.
Il curry, che in Occidente è identificato con un'unica polvere gialla profumata e piccante, è
in realtà non solo un intero gruppo di spezie il cui aroma varia a seconda dei componenti
e, ovviamente, del piatto a cui è destinato, ma un modo tipico e caratteristico di preparare
i piatti.
In un ristorante del subcontinente indiano non vi viene offerto carne, pesce o verdura "al
curry", ma "un curry di carne, pesce o verdura", accompagnato da riso, in bianco o nelle
varie versioni pilaf, o pane indiano (nan o chapati, lievitato o non lievitato), nelle sue
diverse varietà e aromatizzato dalla giusta varietà di spezie che occorrono per quel piatto.
Questa diversa attenzione sta a indicare la diversa cultura del cibo e dei suoi rituali che
abbiamo in Oriente e in Occidente; è forse troppo dire che da noi si pone più attenzione al
cosa si mangia che al come si mangia e nell'area indiana, al contrario, l'attenzione
maggiore vada al come si mangia ed è quasi secondario cosa si mangi (nei limiti delle
prescrizioni religiose già dette), ma tale affermazione non è lontana dal vero; soprattutto
se a questo primo elemento aggiungiamo la raffinata cultura delle bevande: tè
aromatizzato con diverse spezie o al latte, lassi, bevanda a base di yogurt, salato, dolce o
aromatizzato alla frutta o, infine, i veri e propri succhi di frutta, che consentono di
affiancare a ogni piatto la bevanda giusta.
CUCINA FUSION
A conclusione di questa breve guida alla cucina etnica, è giusto chiedersi se le diverse
tradizioni culinarie avranno la possibilità di fondersi, in un futuro non molto remoto, in un
unico piatto, un’unica portata che raccolga i “sapori del mondo”. In realtà qualcosa del
genere sta succedendo, nella misura di un tentativo di commistione di gusti e alimenti di
differenti provenienze, con risultati difficilmente definibili. Per un excursus sulle tendenze
“fusion”, riportiamo le impressioni di Carlo Petrini, presidente si Slowfood, il Movimento
Internazionale a sostegno della cultura del cibo e del vino, apparse su La Stampa del 15
giugno 2002.
“Le mie recenti frequentazioni in alcuni luoghi dell’alta ristorazione mi hanno fatto toccare
con mano quanto la cucina che viene definita fusion stia diventando il nuovo verbo di molti
chef. Si tratta di un genere relativamente nuovo, indiscutibilmente di moda, perfino in
Francia. La fusione di tradizioni alimentari che sono lontane tra di loro, l’accostamento di
ingredienti eterogenei, l’incrocio di ricette e di esperienze culinarie sembra essere l’ultima
frontiera della cucina creativa e c’è chi va in brodo di giuggiole quando si siede in un
ristorante di questo tipo.
Io invece ho forti dubbi sulla validità di queste esperienze gastronomiche, perché un conto
è la fusion che si sedimenta lentamente nelle abitudini di nazioni soggette a considerevoli
flussi migratori (come Stati Uniti, Australia, Gran Bretagna), le quali non possono vantare
una forte tradizione gastronomica o la hanno persa; un conto invece è entrare in un
ristorante stellato francese e provare di tutto, tranne che la solida, monotona, ma buona,
cucina francese. La fusione fra le abitudini alimentari dei popoli sta dando carattere alla
cucina statunitense (patria natia della fusion), che in questo modo sta assumendo una
propria identità specifica, ma se applicata per puro esercizio di stile in luoghi dove la
classicità - sia popolare, sia d’Haute Cuisine - ha ancora un forte significato, diventa fine a
se stessa e, cosa ben peggiore, immangiabile.
Il cuoco, inducendo in questa prassi fortemente innovativa, si trasforma in artista, stilista
direi, ma i suoi accostamenti spesso perdono di vista l’obiettivo principale del suo
mestiere: rendere il pasto un’esperienza piacevole, gratificante, digeribile. Ci sono piatti
che sono vere e proprie tempeste sensoriali, magari buoni da pensare, ma assolutamente
cattivi da mangiare.
Ho letto delle preparazioni di un cuoco olandese e i nomi delle ricette mi terranno lontano
dal suo ristorante: Lombata di manzo con insalata di papaia verde e salsa di grani di pepe,
Anatra arrosto al miele con raita al coriandolo, oppure Filetto di cervo con spezie del
Sichuan e broccoli cinesi. Ho mangiato in un ristorante francese in grande ascesa fra le
preferenze dei gourmet: di tante buone materie prime che componevano i piatti in carta
mi sono rimasti in bocca per un giorno, e nella memoria, il sapore e il profumo invadenti
del coriandolo.
Non sono convinto che tutto ciò sia così sensato. Nella maggior parte dei casi, dove non ci
sono ragioni storiche e sociali a dar vita alla fusion, si tratta piuttosto di un evidente
segnale di una mancanza di direzioni precise da seguire, anche e soprattutto nell’attuale
Francia multietnica. Dopo la rigorosa cucina rigidamente codificata dei grandi maestri, la
nouvelle cuisine e il credo mediterraneo di Ducasse non sanno evidentemente più che
pesci pigliare, da che parte andare.
Temo che l’Italia si allinei troppo in fretta e che anche le osterie, baluardo della
caleidoscopica cucina di territorio nazionale, possano cedere alla moda: io non ce lo voglio
il coriandolo con l’agnello d’Alpago o con il cappone di Morozzo. Non sarebbe fusion, ma
confusion.”
RICETTE DAL MONDO
Cucina messicana e Tex mex IL GUACAMOLE
Impasta i due tipi di farina di mais con acqua Ingredienti per 4 persone:
calda in una ciotola fino a raggiungere una 2 avocado maturi
pastella abbastanza densa. 1 pomodoro
Aggiungi l'olio e il sale. 1 cipolla piccola
Lascia riposare la pastella per 45 minuti. succo di ½ limone
Forma delle palline delle dimensioni simili ad un olio
uovo e stendile con un matterello; lo spessore sale
dev'essere simile a quello della carta, molto pepe
sottile.
Imburra il fondo di una padella e riscaldala bene a Preparazione:
fuoco medio-alto. Taglia gli avocado a metà e togli il nocciolo.
Friggi la tortilla che si curverà sui bordi appena Stacca la polpa dalla buccia con un cucchiaio.
sarà pronta. Metti la polpa degli avocado in una ciotola e
Girala e cuoci l'altro lato. schiacciala bene con una forchetta. Aggiungi il
Posa la tortilla cotta su un piatto coperto con limone.
carta da cucina per assorbire l'olio della frittura. Sbuccia il pomodoro e la cipolla, frullali e uniscili alla
polpa di avocado.
Mescola il composto fino a ottenere un impasto
TACOS cremoso.
Condisci con olio, sale e pepe e servi il prima
Ingredienti per 4 persone possibile.
Ora ti svelo un piccolo segreto: per evitare che il
250 gr. di carne macinata Guacamole diventi nero, lascia il nocciolo dentro alla
1 grossa cipolla bianca crema fino al momento di servire
2 spicchi d'aglio
4 pomodori maturi
1 cucchiaio d'olio Cucina cinese:
tortillas calde appena cotte
RISO ALLA CANTONESE
Preparazione:
Sbuccia e taglia la cipolla in pezzettini piccolissimi. La Cina è da molti conosciuta come una nazione che
Sbuccia e trita gli spicchi d'aglio. produce oggetti grandi o piccolo spesso anche
Soffriggi la carne macinata insieme alla cipolla e falsari, ma questo riguarda poche e disoneste
all'aglio. aziende.Questa gran nazione però nasconde aspetti
Taglia a dadini i pomodori e uniscili alla carne. civili e culturali fantastici, che non sono stati
Sala il composto. sconvolti con il passare dei secoli e dall’influenza
Cuoci a fuoco medio mescolando di tanto in tanto d’altri popoli. Una cosa che in particolare nella
fino a cottura ultimata. cultura cino-giapponese non è cambiata è la cucina
Piega le tortillas a forma di mezzaluna e farciscile che molte persone occidentali considerano con
con il composto. sospetto.Per far cambiare opinione a queste
proponiamo una ricetta classica cinese ovvero il riso
alla cantonese.
Fasi della preparazione: soia e un cucchiaino di peperoncino in polvere o con
- si riscalda dell’olio in padella salsa agrodolce.
- si aggiunge un uovo e si riscalda
- si fa bollire a parte il riso
- e lo si unisce all’uovo lavorato Cucina giapponese:
-a questo punto si mette del sale nel miscuglio e
si versano i piselli già cotti,le carote crude tagliate MAKIZUSHI
a pezzetti e il prosciutto cotto a dadini.
-si mescola il tutto e lo si fa cucinare per altri 5 Ingredienti
minuti circa. Per quattro persone
Alla fine si aggiunge la salsa di soia dopo un 120g di filetto fresco di tonno
minuto il riso alla cantonese è pronto! 1 cetriolo piccolo
Avvertenze: è importante mescolare 4 foglie di alga nori
continuamente per evitare che gli ingredienti si 640g di riso per il sushi (sushi gohan)
attacchino alla padella o brucino. 20g di wasabi o di peperoncino (1 cucchiaio raso)
Si può aggiungere ogni tanto dell’ olio o del vino 100g di zenzero (conservato in agrodolce e affettato)
bianco. salsa di soia
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