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Estetica ed economia
Le parti monografiche dei primi due numeri di "Agalma", che
hanno per argomento il fascino delle merci e il lusso, sono
riconducibili ad un ambito di interessi che ruotano intorno al
rapporto tra estetica ed economia. Tale orizzonte e implicito
nello stesso titolo della rivista: l'agalma infatti rimanda alla
nozione mitica del valore nell'economia premonetaria della
Grecia antica, in una duplice accezione che e insieme
economica e simbolica. Come e noto, il primo aspetto e stato
messo a fuoco dall'ellenista francese Louis Gernet nel saggio
La nozione mitica del valore in Grecia (1948), il secondo dal
filosofo delle religioni ungherese Karl Kerenyi nel saggio
Agalma, Eikon, Eidolon (1962). Oltre a questa radice storico-
filologica, la problematica dell'agalma e in qualche modo
connessa con almeno altri due filoni culturali. Il primo di
carattere antropologico-artistico rimanda agli studi di Marcel
Mauss (1924) sul dono come forma economica di scambio, di
Georges Bataille (1949) sull'idea di un' "economia generale"
(che si occupa dei fenomeni derivati dall'eccesso di energie,
come il potlatch e il sacrificio, e percio si contrappone
all'economia ristretta il cui oggetto e la produzione e
l'incremento delle ricchezze), di Paul Veyne (1976)
sull'evergetismo antico, e piu in generale a quella parte dell'
avanguardia artistica e letteraria del Novecento che ha
risentito l'influsso di tali argomenti (Clifford 1988) . Il secondo
filone culturale di carattere storico-filosofico e costituito
dall'insieme di ricerche e di riflessioni intorno al rapporto tra
estetica e societa borghese, che vanno dallo studio
sociologica di Norbert Elias (1939) dei processi di
civilizzazione dei costumi agli studi di impostazione marxiana
(Perniola, 1971 e Eagleton, 1990), o liberale (Ferry, 1990)
sull'origine della prospettiva estetica, dalle indagini sull'estetica
delle merci (Baudrillard, 1968; Haug, 1971; Perniola, 1980,
Dorfles, 1988) all'analisi sociologica dei dispositivi su cui si
costruisce e si mantiene l'apprezzamento e l'ammirazione.
Tuttavia l'orizzonte aperto dalla nozione di agalma non si
esaurisce in questi riferimenti: su di essa infatti incombe la
questione cruciale del rapporto tra societa e valore con le sue
complesse implicazioni di carattere critico (come e ancora
possibile un giudizio sulle persone e sulle cose?), di carattere
psicologico (attraverso quali dispositivi viene mobilizzata ed
investita l'energia psichica degli individui in un clima sociale
che favorisce le patologie connesse con la depressione e con
la dipendenza?), e di carattere filosofico (come uscire dal
nichilismo, che e apparso a tanti pensatori del Novecento il
destino dell'Occidente?).
La nozione di agalma dunque sollecita ed impegna
competenze e conoscenze appartenenti a differenti campi del
sapere visti nella loro interazione e confronto. Sembra percio
che siano proprio gli studi culturali il contesto in cui la
questione del valore puo essere esaminata e dibattuta
(Connor, 1992; Frow, 1995). Tuttavia non deve essere
sottovalutata l'obiezione di coloro che mettono in evidenza una
certa incompatibilita tra la categoria della cultura, la quale e
funzionale rispetto allo studio del collettivo dell'omogeneo e
dello standardizzato, e la nozione di valore, la quale richiede la
possibilita di pensare e di considerare la singolarita, la novita,
la rarita e l'eccezionalita (Heinich, 1998 a ). Cio risulta
particolarmente evidente laddove e operante, come nelle arti,
un'economia della grandezza che si basa non su dati
quantitativi, ma su fattori qualitativi. Gli studi culturali, come le
scienze sociali, sarebbero condizionati da un'ottica
riduttivistica, che riporta sistematicamente l'eccezionale alla
generalita dello standard o alla particolarita dell'interesse
individuale: questa riduzione conterrebbe una valutazione
negativa surrettizia, perche non esplicitata e forse nemmeno
consapevole. Fatto sta che dall'interno stesso degli studi
culturali e delle scienze sociali si va affermando una
prospettiva antiriduzionistica che mette in dubbio l'utilita
euristica delle stesse nozioni di cultura e di societa: esse
sarebbero solidali con una concezione organica delle relazioni
umane che risulterebbe ormai del tutto inadeguata alla
comprensione delle attuali condizioni di esistenza. In altre
parole, la cultura e la societa sarebbero non qualcosa di reale
e tantomeno entita paragonabili a organismi naturali, ma mere
costruzioni concettuali connesse a strategie di
culturalizzazione e di socializzazione ormai superate.
La vexata quaestio del rapporto tra il valore da un lato e la
societa o la cultura dell'altro, che tanto ha oscillato tra
soluzioni essenzialiste e soluzioni relativiste, diventerebbe
improponibile per il dissolversi di uno dei due termini del
confronto. E a svanire questa volta non sarebbe il valore, ma
la societa e la cultura! Per quanto concerne l'estetica, questa
nuova prospettiva antiriduzionistica segna l'eclisse di quelle
teorie sociologiche che pretendono di spiegare l'arte mediante
la sua iscrizione in una storia sociale, oppure il gusto estetico
mediante l'interiorizzazione di condizionamenti derivati
all'appartenenza di una determinata classe sociale, o le opere
mediante l'azione esercitata sull'artista dalla molteplicita di
fattori teorici e pratici che condizionano i mondi dell'arte.
Queste teorie non consentirebbero di spiegare cio che piu
importa nell'arte, cioe il suo valore. In altri termini, gli studi
culturali e le scienze sociali per affrontare adeguatamente la
questione del valore dovrebbero mettere da parte le nozioni su
cui si sono fondati finora, rispettivamente quella di cultura e
quella di societa. La riflessione intorno al valore ritornerebbe
cosi al suo punto di partenza, che e quello economico-
simbolico, cioe all' agalma.
La prova di grandezza
C'e pero una difficolta: nel corso degli ultimi trent'anni la critica
e andata al di la del riferimento ad una qualsiasi citta politica, e
quindi al di la di ogni idea di grandezza: essa ha rivendicato un
mondo senza prove e senza giudizi. In questa contestazione
della stessa nozione di prova si sono trovati convergenti il
comunismo utopico, che prefigura una societa
dell'abbondanza, il politicamente corretto, che esime da ogni
sforzo e tende a trasformare ogni handicap in un vantaggio,
nonche il corporativismo che contro la logica della
performance fa valere le prerogative dello statuto di
appartenenza. La posizione sostenuta da Boltanski e
Chiapello mira invece ad affermare la necessita di una prova
di grandezza: laddove si nega la possibilita di qualsiasi prova
di grandezza, si lascia spazio soltanto alla forza (p.401); il che
vuol dire prescindere completamente da ogni esigenza di
legittimita e di giustizia e dalla loro eventuale effettualita. "Un
universo in cui le regole non sono sicure per nessuno e un
universo che permette ai forti dotati di forze diverse e non
specificate di avere la meglio su deboli, la natura della
debolezza dei quali e perfino difficile da definire" (p. 409)
"Bisogna rinunciare a vincere con qualsiasi mezzo" (p.75). E'
questo il pericolo insito nelle teorie del disincanto e della
demitizzazione, di derivazione marxista o nietzschiana che
hanno prevalso nell'ultimo trentennio del Novecento. Le teorie
che vedono nella societa soltanto rapporti di forza, violenza,
sfuttamento, lotta e dominio di interessi sono riduzionistiche e
omogeneizzanti: schiacciano sul fattuale, rendono impossibile
il perseguimento dell' "arduum et difficile" e quindi nemmeno
capiscono la spinta all'innovazione che proviene dal
capitalismo . Viceversa le teorie che in reazione al nieztsche-
marxismo si focalizzano sull'analisi dei principi di giustizia e
sulle basi normative del giudizio, cadono nell'errore opposto:
prescindono dalla considerazione di rapporti sociali effettivi e
sottovalutano i rapporti di forza.
Qui tocchiamo il nocciolo della nozione di agalma : essa fa
valere l'esigenza normativa, ma non la pensa in temini
metafisici o morali come "valore", bensi come prova di
grandezza. L'aspetto estetico e simbolico della domanda di
apprezzamento e strettamente connesso a quello sociale e
politico: tuttavia qui interviene un elemento essenziale che e
stato trascurato da Boltanski e Chiapello, la sfida. La prova di
grandezza non puo essere soltanto l'esecuzione corretta di un
compito, fondata sul rispetto delle regole: in cio non c'e nulla di
grande! Non a caso coloro che, come Tommaso d'Aquino
hanno considerato la magnificenza come una virtu, l'hanno
pensata come una parte del coraggio (fortitudo), insieme alla
fiducia, alla pazienza e alla perseveranza (Maclaren, 2002); in
Boltanski e Chiapello opera una normalizzazione della
grandezza, che e proprio contraria alla polemica contro il
riduzionismo che essi sostengono. Cio risulta
dall'approfondimento della stessa nozione di prova.
Giustamente i nostri autori rifiutano ogni forma di determinismo
storico, che pensa il processo storico come un corso
impersonale e fatale. Le prove costituiscono proprio il
momento critico in cui avviene qualcosa il cui esito e incerto:
"la nozione di prova rompe con una concezione strettamente
deterministica del sociale, sia che questa si fondi sulla
onnipotenza delle strutture, sia - come nell'ottica culturalista -
sul dominio delle norme interiorizzate" (p. 73). Proprio a causa
del pericolo che e implicito nella stessa idea di prova, molti
hanno interesse ad aggirarla, operando degli spostamenti
(deplacements ) grazie ai quali fanno valere la forza sul
rispetto delle regole, oppure squalificando la stessa idea di
prova con vari argomenti (che vanno dal cattivo uso della
nozione di liberta al costo eccessivo del suo svolgimento). La
tendenza ad aggirare le prove costituisce un aspetto costante
dello spirito del capitalismo ed una delle principali fonti di
profitto (si pensi alla delocalizzazione del lavoro in regioni in
cui la mano d'opera e a buon mercato e in cui il diritti degli
operai sono poco rispettati). Tuttavia, poiche il capitalismo non
puo sopravvivere senza la participazione attiva del piu grande
numero possibile di persone (come investitori, lavoratori o in
consumatori), senza l'esistenza dello stato e senza un
miglioramento delle condizioni di vita dei piu poveri, ne deriva
che esso e costretto a rileggittimare le prove che esistevano
nel passato o ad inventarne delle nuove. Tenendo presente
che il mondo e una rete, occorre percio "offrire dei punti
d'appoggio per apprezzare e ordinare il valore relativo degli
esseri in un tale mondo" (p.230). In altre parole lo sviluppo del
capitalismo connessionista dipende dalla formazione di una
citta per progetti che si sottometta ad un'esigenza di giustizia.
In questo modo la prova di grandezza, la giustificazione e la
critica sono strettamente congiunte, al punto che sembra
impossibile pensare l'una senza le altre. Tuttavia e proprio di
una "prova di grandezza" che parlano i nostri autori, oppure di
un esame scolastico o di una partita di football? Mi chiedo se
l'esigenza del rispetto delle regole non faccia passare in
second'ordine sia la difficolta implicita nell'idea di prova, sia
l'eccezionalita implicita nell'idea di grandezza. Se la prova
sportiva costituisce un paradigma per quanto riguarda la
giustizia della prova (p.403), non altrettanto si puo dire per
quanto concerne la sua arditezza. La competizione svolta sulla
base dell'esecuzione di un compito prestabilito costituisce un
aspetto non indispensabile di una prova di grandezza, la quale
aspira al carattere della unicita e dell'eccezionalita.
CIo risulta particolarmente evidente nelle arti, nella letteratura,
nella filosofia e in tutte le attivita simboliche nelle quali
l'elemento creativo gioca un ruolo determinante; ma, a ben
vedere, vale anche per ogni specie di attivita. Nathalie Heinich
(1998 b) ha visto nella trasgressione l'aspetto essenziale
dell'arte degli ultimi cento anni.. Purtroppo questa nozione
resta troppo dialetticamente dipendente da cio che nega: su di
essa pesa cio che Nietzsche chiamava la "malattia delle
catene", cioe la subordinazione indiretta rispetto al passato.
Il conflitto e la sfida
Ci si avvicina di piu alla sostanza della prova di grandezza
focalizzando l'attenzione sulla sfida che essa implica. A
differenza della trasgressione, in cui l'elemento della riflessivita
non e rilevante, la sfida comporta una valutazione di se stessi
e una ponderazione intorno alla simmetricita dei contendenti e
alle possibilita di vittoria.
Attribuire alla sfida una importanza centrale nella prova di
grandezza vuol dire abbandonare ogni concezione
organicistica della societa: fintanto che la societa e pensata
come un insieme completamente integrato e omogeneo, la
prova di grandezza si configura come la mera esecuzione di
un programma prestabilito. Una ragione non secondaria
dell'attrazione esercitata dall'organicismo sociale e proprio di
natura estetica: e sull'ideale dell'armonia e dello sviluppo
biologico che si e modellato finora l'incontro tra studi culturali
ed estetica. Ma accanto ad un'idea del bello come armonia, e
sempre esistita in Occidente uneidea strategica del bello come
esperienza degli opposti (Eraclito), acutezza (Gracian) e sfida.
E' in questa seconda direzione che, a mio avviso, deve essere
cercato l'incontro tra estetica e scienze sociali, anche perche
questa e la dimesione estetica conforme allo spirito del terzo
capitalismo.
Nell'attribuire all'esperienza del conflitto un ruolo decisivo
confluiscono varie tradizioni teoriche. Di fondamentale
importanza e la riflessione filosofica intorno alla lotta come
motore della storia, che si estende attraverso i secoli, da
Machiavelli a Hobbes, da Hegel a Marx, da
Clausewitz a Carl Schmitt. E' significativo che le ultime
manifestazioni di questa grande corrente si focalizzino sulla
lotta per il riconoscimento intesa come l'aspetto su cui si
struttura la vita individuale e collettiva (Honneth, 1992): in
questi sviluppi la lotta e intesa non tanto come volonta di
abbassare e di sopprimere l'avversario quanto come diritto al
rispetto e alla considerazione. Viene inoltre in luce il passaggio
dalla nozione di onore, legato ai modi di vita di differenti stati
sociali, a quella di dignita, intesa come dimensione morale che
inerisce ad ogni essere umano, e a quella di stima sociale, che
implica sollecitudine personale e considerazione cognitiva.
Ognuna di queste nozioni ha avuto un'interpretazione estetica:
si pensi al ruolo dell'onore nella tragedia del Seicento, alle
considerazioni di Schiller sul rapporto tra grazia e dignita o al
nesso tra la stima e il modo in cui nella seconda meta
dell'Ottocento viene rielaborata l'idea di genio. Tuttavia mi
sembra che la moralizzazione cui viene sottoposta l'idea di
lotta finisca per impigliare questa problematica in un nodo
etico-giuridico in cui si discute piu di diritti e di doveri che di
prove e di sfide . Ne deriva un' immagine statica della societa
che e in contrasto sia con la dinamica dello sviluppo
economico attuale, sia con l'energetismo che caratterizza la
tradizione filosofica in cui tali sviluppi si pongono.
Anche la sociologia ha riflettuto sul problema del conflitto.
Contro gli orientamenti organicisti e integrazionisti, dominanti
nell'Ottocento, che culminano nelle teorie della comunita, agli
inizi del Novecento Georg Simmel ha visto la vicenda storica
come una conflitto continuo tra due principi metastorici
opposti, individuati rispettivamente nella vita e nella forma.
Come e risultato ancor piu chiaramente dagli interpreti e
continuatori di Simmel , il conflitto diventa una delle forme piu
dinamiche di integrazione sociale: se ogni interazione tra
uomini e un'associazione, il conflitto non e soltanto dissolutivo,
ma anche connettivo e unificante. Il difetto di questa acuta
concezione del conflitto e che corre il rischio di chiuderlo nell'
idea piuttosto riduttiva della polarita. Non a torto percio la
riflessione sociologica ha cercato di affinare i suoi strumenti
teorici, distinguendo, per esempio, tra competizione e conflitto:
la prima sarebbe continua, impersonale ed inconscia mentre il
secondo sarebbe intermittente, personale e cosciente. A
differenza del conflitto, la competizione non implicherebbe
necessariamente un contatto o una comunicazione diretta, e
tantomeno quindi una polarita.
Tuttavia e la recente tradizione teorica dell'antropologia quella
in cui il conflitto e stato oggetto della piu attenta riflessione.
Come e noto, con la Scuola di Manchester (Max Herman
Gluckman) viene abbandonata la teoria dell'equilibrio sociale a
favore di una concezione della vita collettiva che fa del
conflitto e della sua composizione il perno intorno a cui ruota
l'esperienza sociale. I modi di tale composizione possono
essere divisi in due categorie fondamentali: quella che
prevede il ricorso ad un terzo che risolve la controversia (sotto
l'aspetto di giudice o di arbitro) e quella in cui invece le parti si
fronteggiano in vario modo (dal duello alla negoziazione). Tale
impostazione teorica resta tuttavia piuttosto astratta ed ideale,
perche in realta i conflitti si svolgono assai spesso attraverso il
ricorso contemporaneo ad una molteplicita di mezzi, alcuni
normativi, altri fattuali, alcuni legali, altri illegali, alcuni giuridici,
altri psicologici e cosi via. Una considerazione piu concreta dei
modi in cui si sviluppa il conflitto si deve ad un allievo della
Scuola di Manchester, Frederick G. Bailey (1970), per il quale
la lotta politica avviene per lo piu nella confusione. E' ingenuo
pensare che la vita politica si svolga soltanto sulla base di
prove legittime e controllate, come se fosse una gara sportiva:
in realta lo svolgimento di una competizione regolata non
esclude una lotta piu o meno aperta per decidere quale
sistema di regole governera in futuro la competizione stessa.
Sotto questo aspetto per Bailey le rivoluzioni, cioe i
cambiamenti delle regole, costituiscono solo il punto di arrivo
visibile di un periodo di infrazioni pragmatiche delle regole del
gioco precedente. La lotta politica e percio un misto di sfide e
di scontri : le prime sono paragonabili a confronti a distanza
nei quali si comunica all'avversario un mutamento relativo al
controllo delle risorse e al credito politico; i secondi
costituiscono invece la verifica degli effettivi rapporti di forza.
La sfida sarebbe dunque cio che Boltanski e Chiapello
chiamano la critica rivoluzionaria, cioe il riferimento ad un'altra
citta politica.
Oltre alle prospettive filosofiche, sociologiche e antropologiche
del conflitto c'e una quarta problematica del conflitto che
definirei come "estetica". Essa e particolarmente importante
perche e proprio quella che, secondo Boltanski e Chiapello, e
stata inglobata e ricuperata dallo spirito piu recente del
capitalismo. Sebbene le origini dell'estetica della lotta
affondino le proprie radici nell'antichita e nel Barocco, e a
cavallo tra Settecento ed Ottocento che essa si configura
come un fenomeno socio-culturale dotato di una identita
specifica: tale e appunto il dandismo, che non puo essere
considerato semplicemente come una forma di estetismo, ma
implica l'adozione di strategie paradossali anomale rispetto a
quelle economiche e politiche consuete. Il terreno su cui si
svolge l'attivita del dandy e appunto quello della vita
quotidiana, che Baudelaire chiamava la vie moderne. Ma nei
confronti della nozione sociologica di "vita quotidiana", che si
regge sulla contrapposizione rispetto al lavoro, il dandy si
pone in modo alternativo, proprio perche pretende di far
saltare la separazione tra la professione e l'insieme delle altre
attivita. Il quotidiano diventa il luogo del suo massimo
impegno, l'ambito in cui si pone la questione della grandezza e
del riconoscimento: esso percio viene sottratto sia alla routine
abitudinaria sia alla mera ricreazione. Sotto un certo aspetto il
dandy e il rivoluzionario del quotidiano: come e stato detto, il
dandismo traspone l'eroismo della scena pubblica alla scena
privata (Coblence, 1988, p.240). La sua ricerca della
grandezza non passa attraverso la pratica di un'arte o di una
scienza, ne attraverso l'esercizio di un'attivita che mira al
raggiungimento del potere o della ricchezza, ma attraverso la
sua capacita di suscitare stupore e ammirazione.
Le nozioni di sfida, prova e scontro su cui si costruisce la
grandezza politica sono inadeguate a descrivere la grandezza
del dandy. Certamente e essenziale al dandismo l'invito al
confronto, ma esso piu che una sfida, si potrebbe meglio
definire come una provocazione. Infatti esso non si immagina
il conflitto come una specie di duello tra entita opposte
simmetriche, e neanche come l'appello ad un nuovo sistema di
norme che regoli in futuro la competizione. Il dandy si pone fin
da principio su un terreno differente da quello su cui sta
l'avversario e su cui egli intende rimanere: tra se stesso e
l'avversario pone una radicale dissimetria, come quella
esistente per esempio tra la coscienza e l'inconscio. Nella
provocazione cio che e importante e proprio l'effetto
perturbante di spaesamento; questo si ottiene facendo appello
a qualcosa che e rimasto latente nell'avversario e che egli non
puo manifestare senza che la sua forza sia distrutta. Percio
esiste nella provocazione una dimensione erotica. Ma il dandy
e qualcosa di piu complesso di un libertino. Infatti accanto alla
provocazione non meno importante e la prova. Questa tuttavia
non deve essere intesa come un esame, ma come
un'esperienza pericolosa cui ci si sottopone. Nelle lingue
moderne il termine prova contiene entrambe le accezioni. Nel
greco antico ci sono invece due parole distinte. Per l'esame si
dice dokimasia ; per l'esperienza si dice peira. Nelle opere di
Luc Boltanski la parola epreuve ha entrarmbi i significati.
Tuttavia nel volume De la justification il riferimento agli autori
principali della tradizione giansenistica (Agostino, Pascal,
Nicole) conferisce alla parola una sfumatura religiosa, che e
peraltro evidente nello stesso titolo dell'opera.
La prova cui si sottopone il dandy e un'esperienza di
esteriorizzazione radicale, un annullamento della soggettivita,
che si manifesta nell'enorme importanza attribuita
all'apparenza. Il culto dell'abito non e vanita, ma nasce da una
precisa scelta teorica che gli impedisce ogni riferimento alla
trascendenza, all'interiorita, ad una autenticita che sta oltre la
citta dell'opinione e della rinomanza: il terreno su cui si pone il
dandy e quello del mondo. Ma in questo egli segue una
strategia paradossale, una specie di politica dell'impossibile,
che fa leva sull'imprevisto, sullo choc, sulle occulte complicita
che puo suscitare. In altre parole cio che fa il dandy e la
volonta di vincere senza ricorrere ai mezzi che sembrano piu
ovvii per ottenere il successo. Il dandy e uno che scommette
sulla differenza e imprevedibilita del processo storico. Il
risultato finale non e del resto l'essenziale; come per il saggio
stoico e per il santo, dei quali egli e l'erede, la realizzazione
dello scopo e incerta, ma non incerto e il conseguimento del
fine. La prova percio non deve essere intesa come un
sacrificio di se che trae il suo senso solo dal raggiungimento di
uno scopo, in altre parole come un lavoro. L'esteriorizzazione
radicale, il farsi abito ha il suo fine in se stesso e costituisce la
provocazione essenziale. Suona come un annuncio di questo
tipo: "io, che sono un marginale e un declassato, nella mia
lotta contro di voi non mi appello ad un qualche principio
morale o giuridico o religioso - di cui so benissimo che voi vi
fate un baffo - ma combatto sul vostro terreno con delle armi e
con delle strategie differenti dalle vostre. Nella misura in cui
colpisco le vostre immaginazioni, il mio risultato e gia
raggiunto. E posso colpire le vostre immaginazioni, proprio
perche aspiro alla grandezza senza invocare nessuna
trascendenza".
Oltre alle provocazioni e alle prove, c'e un terza caratteristica
che costituisce la figura del dandy. Mentre un aspetto
importante della dinamica politica e rappresentata dallo
scontro, che si configura come una verifica degli effettivi
rapporti di forza, al dandismo invece appartiene una scelta
opposta: il distacco , la sospensione, l'epoche , Il farsi nulla e
nessuno, il coltivare un rapporto di profonda connivenza con la
morte, lo spingere l'esteriorita fino alla sua massima
manifestazione che e appunto il cadavere. Come e stato
osservato uno dei principi del dandismo suona cosi: "In
societa, finche non avete fatto effetto, rimaneteci, prodotto
l'effetto andatevene" . Il distacco tuttavia non deve essere
inteso soltanto come un espediente psicagogico, un mezzo
per far colpo sugli altri. Esso implica un lungo esercizio su se
stessi, un'ascesi, che renda padroni di se stessi e capaci di
dominare le proprie passioni. La premessa fondamentale di
ogni dandismo e il raggiungimento dello stato di indifferenza
che tuttavia non vuol dire affatto insensibilita; esso al contrario
ci apre su un altro tipo di sensibilita caratterizzata da una
partecipazione impartecipe, da un "sentire dal di fuori", da un
misto di ardore e di gelo, che e in fondo il segreto di ogni
grandezza.
Provocazioni, prove e distacchi delineano una fenomenologia
dell'osare, nella quale cio che importa non e la sfrontatezza e
l'impudenza vitalistica, e nemmeno la scelta e la decisione
morale, quanto l'aver fiducia in se stessi, l'essere selfconfident,
la certezza di riuscire a cavarsela attraverso una rivalita
mimetica con l'esteriorita piu scorante, cosi come essa si
manifesta nel sesso, nel denaro e nella morte. Entriamo cosi
in territorio che e del tutto estraneo al vitalismo
partecipazionista e comunicativo della contestazione artistica
non meno che al modo in cui il terzo spirito del capitalismo
vuole presentarsi. Le richieste di spontaneita, di autenticita e
di liberazione su cui si reggeva la critica artistica alla societa
borghese non hanno niente che fare con lo spirito del
dandismo, il quale ha invece un rapporto profondo con
l'artificiale, con l'inorganico, con la ripetizione, con
l'autocontrollo.
E' necessario distinguere l'ideologia del terzo spirito del
capitalismo dalla teoria critica di esso. L'ideologia ruota intorno
alla soddisfazione della domanda di vitalita, autenticita,
creativita, autonomia e liberazione: il grande rilancio del
capitalismo a partire dagli anni Ottanta si fonda proprio sulla
mercificazione di tale domanda, per esempio mediante la
fornitura di prodotti ecologici o il diffondersi degli sport estremi,
mediante l'offerta del turismo di sopravvivenza o di oggetti
definiti come "graffianti", "eccitanti", "audaci" . Uno studio della
pubblicita degli ultimi dieci anni mostra l'emergenza di uno stile
(come dicono i francesi) accro , cioe basato sul culto della
perfomance e dell'estremo, in cui si propone a tutti di
trasformarsi nell'eroe o nell'eroina capace di vivere in un
rapporto appassionato col mondo mediante il consumo di una
determinata merce: per esempio, il messaggio pubblciitario
"l'aria e vinta e rinuncia a resistere" e la pubblciita di una moto;
"rischiare la morte e la bella vita" quella di una marca di
champagna (Baudry, 1991). Per questa ideologia il nemico da
battere e la standardizzazione, l'omogeneizzazione, la noia di
cui e intessuta la vita quotidiana. Essa quindi fa proprio quel
progetto di "rivoluzione della vita quotidiana" che i poeti e gli
artisti hanno coltivato a partire dallo Sturm und Drang , cioe
dall'epoca del primo capitalismo, fino ai Surrealisti e ai
Situazionisti. (Lefebvre, 1958-61; Perniola, 1998). Questa
appropriazione e tuttavia ovviamente anche uno svilimento,
una degradazione perche in tutto cio che propone il terzo
spirito del capitalismo c'e ben poco di veramente liberatorio e
creativo.
La teoria critica ha percio gia dagli anni Sessanta seguito una
strada opposta: quella della decostruzione dell'autenticita. Gia
lo strutturalismo e la semiotica hanno screditato il vitalismo e il
pathos ontologico. Infatti l'affermazione del primato della
struttura e del codice fanno saltare la possibilita di riferirsi ad
una presenza originaria ed autentica. L'opera di Jacques
Derrida, affermando l'egemonia della scrittura sulla voce ha
reso impossibile ogni ricaduta nella metafisica. Gilles Deleuze,
radicalizzando la critica al platonismo, ha riabilitato le copie
rispetto agli originali. Questa decostruzione ha trovato un
alleato nelle ricerche sociologiche piu recenti che studiano le
forme simboliche evitando di cadere sia nel riduzionismo che
nell'essenzialismo. Ora questa decostruzione ha corso il
rischio di cadere in un nichilismo disperante; ma esso e solo
l'altra faccia della metafisica, un restare in lutto per la morte di
Dio invece di comprendere i complessi e sottili dispositivi
attraverso i quali le forme simboliche si costituiscono, si
mantengono e deperiscono. Non abbiamo bisogno del pathos
della catastrofe o di un'estetica del terrore, ma di un pensiero
coraggioso che sappia porre la questione della grandezza in
alternativa alla questione della forza, senza appellarsi ad
entita trascendenti o valori, che si sono rivelati molto piu deboli
del pensiero che ironicamente si definiva debole.
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Mario
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