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Capitolo 1

Il problema del negozio giuridico è un aspetto del più vasto del problema
della volontà nel campo del diritto; su questo punto sembra regnare
l’accordo fra i giuristi. In questo senso si definisce di solito il negozio
come un fatto o un atto volontario e lecito produttivo di conseguenze
giuridiche e di conseguenze che si trovano in un determinato rapporto
colla volontà stessa. Su questi termini generici si può riassumere la
comune costruzione dogmatica del negozio giuridico, bisogna aggiungere
subito che essi non possono avere significato per il giurista senza un terzo
termine che qualificandoli giuridicamente li ricongiunge e li media:
questo terzo termine è la norma giuridica. Tutto questo, prova all’evidenza
che il punto di vista obbligato della giurisprudenza non può essere se non
un punto di vista oggettivo, e precisamente una norma dell’ordinamento
giuridico positivo. Si può anzi chiederci sin d’ora come abbia potuto mai
sorgere il dibattito del più vasto problema del rapporto fra fattispecie e
conseguenze nei riguardi del negozio giuridico, il sorgere di tale problema
possa spiegarsi dal punto di vista oggettivo della giurisprudenza
fattispecie e conseguenza giuridica sono quel che sono in virtù esclusiva
della norma. Ma notiamo anche sin d’ora come, è necessario ma anche
sufficiente il postulato dell’oggettiva esistenza della norma, la quale può
anche essere trovata all’infuori della legge positiva. Quello che importa
per la qualificazione giuridica della volontà e degli effetti è soltanto la
norma come termine di riferimento oggettivo; e poiché questa, è postulata
nell’atto stesso in cui la volontà si pone come volontà normativa tutto si
riduce in ultima istanza a determinare l’esatta natura. I due termini che
costituiscono i due poli della figura del negozio il fatto volontario e le
conseguenze di cui esso è produttivo. Per quanto riguarda il primo dei due
termini basta a noi rilevare come abbiamo rilevato più sopra, come la
figura del negozio giuridico miri appunto a sistemare quella complessa
categoria di casi in cui la volontà umana appare positivamente dotata
della capacità di dar vita collaborare o por fine a un determinato
fenomeno giuridico. E così possiamo designare la qualità della volontà
che viene in causa nel negozio. Si tratta invece piuttosto di precisare il
soggetto della volontà che la teorica del negozio prende in considerazione.
È noto che nella sua formazione storica il concetto di negozio giuridico è
venuto configurandosi nel campo del diritto privato: oggi viene definito
come l’esplicazione della volontà privata. La sua estensione nel campo del
diritto pubblico è relativamente recente e non poco controversa e
precisamente nel senso di comprendere sotto la categoria del negozio
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anche le manifestazioni di volontà di un soggetto di natura pubblica. Si
può in proposito osservare col Del Vecchio come dal punto di vista
dogmatico, nulla sembra vietarla poiché si tratta unicamente di definire il
concetto di negozio giuridico in modo da comprendervi questa nuova
categoria di atti, salvo ad aver riguardo nel trattare di essi alle loro
speciali caratteristiche. Ma non si può disconoscere che tale estensione è
nella logica stessa del concetto di negozio poiché, se non vi è negozio
giuridico che non si risolva in una posizione di volontà normativa, ogni
distinzione circa la natura del soggetto da cui tale posizione può essere
effettuata in concreto, non potrà essere in realtà che una distinzione
esteriore e formale, di modalità e di grado e non già di sostanza. Il
secondo dei due termini in cui si polarizza la figura del negozio, la
conseguenza od effetto che ad esso si ricollega. Si tratta di precisare la
natura del fenomeno giuridico dipendente dal negozio: in breve di
determinare se, il negozio possa definirsi come fonte di diritto obbiettivo.
In favore della tesi affermativa sembra stare il peso non disprezzabile
della quotidiana esperienza giuridica, concretata in formule sempre
ricorrenti. Ma non è per contro da stupire che il riconoscimento che il
negozio giuridico possa essere fonte di diritto obbiettivo sia in realtà il più
difficile da ottenere dal giurista. Varie sono le obbiezioni che da parte dei
giuristi vengono mosse al riconoscimento del negozio come fonte di
diritto, e gli sforzi per stabilire il criterio differenziale della legge e del
negozio giuridico si svolgono in varie direzioni. Non è possibile esaminare
qui in dettaglio il fondamento di tali obbiezioni. Si può tuttavia facilmente
rilevare il diverso carattere del primo e del secondo gruppo delle
obbiezioni poiché mentre le une si soffermano sulla natura della norma, le
altre riguardano più propriamente le conseguenze poste in essere dal
negozio. Perciò le due prime obbiezioni si riducono in realtà a porre una
distinzione fra la norma negoziale e quella legislativa che è semplicemente
una distinzione di modalità e di grado. Ben più grave è l’obbiezione
fondata sulla considerazione della natura delle conseguenze del negozio
giuridico, sia che si ponga come suo oggetto la mera esplicazione o
determinazione di diritti subbiettivi, sia che se ne circoscriva l’efficacia
alla sfera dei rapporti giuridici. Ci limitiamo qui a rilevare come alle
obbiezioni sufferite si possa muovere un generico appunto di improprietà
di formulazione. Il vero è che non sarà neppure lecito attribuire al negozio
una funzione creativa di rapporti giuridici e rispettivamente di diritti
subbiettivi. Così dunque sotto qualunque aspetto si consideri la poliedrica
figura del negozio giuridico si è ricondotto al problema della norma: e che
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tale problema costituisca difatti il punto di partenza obbligato di ogni
costruzione dogmatica, è dimostrato dalla critica filosofica la quale
precisamente ha esercitato la più profonda influenza anche sul pensiero
dei giuristi. Se dunque il problema della costruzione dogmatica del
negozio non è altro che il problema della determinazione della norma
negoziale, sembra che l’unica via che rimanga aperta sia quella che,
prescindendo sia dalla natura del soggetto sia dall’oggetto abbia riguardo
esclusivamente alla qualificazione giuridica della norma stessa: se cioè
l’attributo della giuridicità ad essa derivi dalla volontà o dalle volontà che
la pongono in essere, o se viceversa tale attributo sia ad essa derivato da
una norma superiore, estranea alla volontà del soggetto o del soggetto del
negozio. Delle due costruzioni designeremo la prima come sistema
dell’autonomia, la seconda come sistema dell’eteronomia della norma.

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