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LEZIONI SU LACAN

A cura di Massimo Recalcati

Psychiatry on line Italia è lieta di presentare in queste pagine una serie di lezioni sul pensiero di Jacques
Lacan preparate appositamente per la rivista da uno dei massimi esponenti del lacanismo in Italia, il
Professor Massimo Recalcati.
Le lezioni sono organizzate per argomenti presentando il pensiero di Lacan una evoluzione diacronica che
merita di essere presentata in maniera organica passando attraverso i temi piuttosto che attraverso la
scansione temporale delle opere.
Lacan forse anche a cuasa della complessità del suo pensiero è meno conosciuto in Italia di quanto
meriterebbe e questa nuova iniziativa editoriale speriamo contribuisca a colmare questa lacuna.
A premessa delle lezioni proponiamo una serie di interviste realizzate per il supplemento video della Rivista
su YOUTUBE

Francesco Bollorino, Editor di POL.it

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Jacques Lacan (Parigi, 13 aprile 1901 – 9 settembre 1981) è stato uno psichiatra e filosofo francese nonché
uno dei maggiori psicoanalisti postfreudiani.

La sua psicoanalisi si basa sull'assioma secondo il quale l'inconscio "è strutturato come un linguaggio";
Lacan mette in connessione la struttura dell'inconscio con la struttura del sapere, che ha in ogni caso
struttura di linguaggio. Per linguaggio si intende una combinatoria di elementi discreti, e non solo il
linguaggio verbale. Il linguaggio manca di un elemento, quello che potrebbe dargli senso, ed è questo il
trauma, per ogni essere umano, l'incontro con questo sapere bucato.
Lacan vuole "tornare all'insegnamento originario di Freud" e per farlo si serve di molti saperi diversi: l'arte, la
letteratura, la topologia, la filosofia e la linguistica. Lacan riprende la nozione di struttura di Jakobson
attraverso Lévi-Strauss e si basa molto sulle teorie linguistiche di Ferdinand de Saussure.

Massimo Recalcati (28 novembre 1959) è uno psicoanalista lacaniano.


Direttore scientifico dell'Istituto di Ricerca di psicoanalisi applicata, è stato dal 1994 al 2002 direttore
nazionale dell'ABA - Associazione Bulimia e Anoressia. Nel 2003 ha fondato JONAS, Centro di Clinica
Psicoanalitica per i Nuovi Sintomi.
Ha insegnato all'Università di Milano, nella Facoltà di Filosofia, presso la facoltà di Scienze Umanistiche
all'Università degli Studi di Bergamo (Psicologia dell’arte e della letteratura) e all'Università degli Studi di
Padova e di Urbino (Teorie e tecniche del colloquio).
Insegna Psicopatologia del comportamento alimentare presso l'Università degli Studi di Pavia.

Massimo Recalcati cura per Psychiatry on line Italia una


rubrica dal titolo: "Lo Psicoanalista e la città - Riflessioni sulla vita contemporanea"

 Glaciazione del soggetto: dalla melanconia freudiana alla melanconia lacaniana


o 01. Condizione o struttura melanconica
o 02. Il trionfo dell’oggetto
o 03. La melanconia freudiana
o 04. La lezione di Lacan sulle psicosi: paranoia e schizofrenia
o 05. Il postulato melanconico come postulato di indegnità
o 06. Il corpo nella melanconia: la coincidenza con l’oggetto piccolo (a)
o 07. Clinica della melanconia
o 08. Il rigetto melanconico dell’inconscio
o 09. Melanconia e sublimazione
 Lacan e la lezione dell'isteria
o 01. La clinica dell'isteria è una clinica del corpo
o 02. Un difetto di specularizzazione
o 03. L'amore per il padre

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o 04. Il disgusto
o 05. Sdoppiamento del corpo
o 06. La teoria lacaniana dei due corpi
o 07. Introduzione alla teoria dei quattro discorsi
o 08. Il discorso isterico
o 09. L'isterica e la donna
o 10. I sei volti dell'isteria
o 11. Il soggetto del lamento
o 12. Il soggetto della seduzione
o 13. Il soggetto del rifiuto
o 14. Il soggetto dell'utopia
o 15. Il soggetto della verità
o 16. Il soggetto masochistico
o 17. Il caso del tranviere
 L’altro sesso, la femminilità. Lettura del Seminario XX di Jacquers Lacan
o 01. Per un uomo una donna è l’ora della verità
o 02. La sessuazione
o 03. La scelta del sesso
o 04. Mascherata femminile e parata maschile
o 05. L'inesistenza del rapporto sessuale
o 06. Il fallo e la mancanza
o 07. Il godimento mortale come godimento incestuoso
o 08. Dal grande Altro all’Altro sesso
o 09. Godimento e amore
o 10. L’ amur
o 11. L’Uno
o 12. Non-tutta
o 13. La sostanza godente
o 14. Revisione del grande Altro
o 15. L’indebolimento del tratto unario nella femminilità
o 16. La donna freudiana e la logica del complemento
o 17. La donna lacaniana e la logica del supplemento
o 18. Il fallimento del rapporto sessuale
o 19. L’amore ricongiunto al godimento

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o 20. Necessità, impossibilità e contingenza
o 21. La sessuazione maschile-fallica e la logica dell’eccezione
o 22. Localizzazione e delocalizzazione del godimento
o 23. La sessuazione femminile e il legame sociale
o 24. L’ Altro sbarrato
o 25. Lo schema del triangolo
o 26. Parola e godimento
o 27. Lalingua - Lalangue
o 28. Il rischio della parola e le leggi del linguaggio
o 29. Il godimento della lalingua
o 30. L’ Uno e l’ Altro
 Soggettivazione e separazione
o 01. Premessa
o 02. Il soggetto come resto-eccedente
o 03. Soggettivazione, assoggettamento e separazione
o 04. Soggettivazione e contingenza
o 05. Soggettivazione o desoggettivazione
o 06. Soggettivazione come storicizzazione: la prima teoria lacaniana della
soggettivazione
o 07. Il gesto di Empedocle
o 08. La separtizione
o 09. La terza teoria lacaniana della soggettivazione
o 10. E il Nome del Padre?
o 11. Assoggettamento e separazione
o 12. Alienazione e separazione
o 13. Realizzarsi nella perdita
 Sulla perversione
o 01. Angoscia e ripetizione
o 02. Desiderio e perversione
o 03. Pregenitalità
o 04. Feticismo
o 05. La struttura del desiderio perverso

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Glaciazione del soggetto: dalla melanconia freudiana alla
melanconia lacaniana

01. Condizione o struttura melanconica

Quello che cercherò di fare questa mattina è sviluppare una riflessione sulla
melanconia in Freud e in Lacan senza però trascurare, essendo questo l’incontro di
apertura del Dipartimento che quest’anno si dedica alla follia e al delirio, di offrire,
seppure in modo sintetico, una sintesi della lezione di Lacan sulle psicosi.
Cominciamo a introdurre la questione della melanconia con una constatazione
empirica. La categoria psicopatologica di melanconia è assente dalle descrizioni
del DSM. Da questo punto di vista condivide le sorti dell’isteria. L’isteria, come
sapete, è stata smembrata nei cosiddetti disturbi somatoformi e nei cosiddetti
disturbi dissociativi. La melanconia invece è stata assorbita dalla figura
psicopatologica della depressione cosiddetta maggiore. Nella riflessione di Freud e
Lacan invece la melanconia, distinta dalla depressione, continua ad avere un
valore fondamentale. Essa resta una delle figure centrali della clinica della psicosi.
Vedremo in seguito come in Freud la riflessione sulla melanconia oscilli tra l’idea
della melanconia come "stato", come, appunto, "stato melanconico", dall’idea che
esista una "condizione melanconica transitoria", all’idea dell’esistenza di una vera
e propria "struttura melanconica". La mia impressione è che in Freud non ci sia
ancora una sufficiente chiarezza nella determinazione clinica della figura della
melanconia come distinta dalla depressione, nel senso che questa oscillazione tra

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condizione e struttura impedisce l’inclusione nitida della melanconia nel campo
della clinica delle psicosi. In Lacan, invece, la melanconia si configura chiaramente
come una struttura psicotica a pari dignità della paranoia e della schizofrenia che,
come sapete, sono le altre due strutture fondamentali della psicosi.

02. Il trionfo dell’oggetto

Sappiamo anche che l’insegnamento di Lacan sulle psicosi non ha né al suo


esordio, né come punto elettivo di riferimento, la melanconia. Sappiamo che per
Lacan è la figura della paranoia il punto pivot della sua riflessione sulle psicosi.
Perché Lacan privilegia la paranoia? Si potrebbe dire che in Lacan la paranoia ha lo
stesso valore che l’isteria occupa nell’insegnamento di Freud. Perché in Lacan la
paranoia assume questa centralità? Perché nell’esperienza paranoica del mondo
ciò che viene in primo piano è la dipendenza del soggetto dall’Altro. Questa
dipendenza assume i caratteri di una dipendenza persecutoria; il soggetto
paranoico vive il suo essere nel mondo come un essere assillato, oppresso,
incalzato, assediato, perseguitato dall’Altro. In questa dimensione, nella
dimensione dell’onnipresenza persecutoria dell’Altro, ciò che interessa Lacan è
come la paranoia evidenzi, seppur in modo estremo, la dipendenza strutturale del
soggetto dal campo dell’Altro. Come si vede siamo al centro della teoria lacaniana
del soggetto in quanto costituito dall’azione del grande Altro. È per questa ragione
che Lacan fa della paranoia la figura paradigma della psicosi; in essa vi vede come
amplificata una verità della struttura: il soggetto dipende nel suo essere dal campo
dell’Altro. La paranoia amplifica questa dipendenza, la eleva all’ennesima potenza.
Nella paranoia, infatti, il soggetto è più parlato che parlante; è più ingombrato,
incalzato, perseguitato dagli enunciati dell’Altro che non soggetto attivo
dell’enunciazione. Per questo la paranoia assume un rilievo centrale
nell’insegnamento di Lacan. Nella paranoia ciò che domina è l’automatismo del
grande Altro da cui finisce per dipendere integralmente l’essere del soggetto. Tutta
l’attenzione del paranoico è orientata al luogo dell’Altro, a ciò che avviene nel
luogo dell’Altro come luogo da cui scaturisce la persecuzione, come luogo abitato e
corrotto da un godimento maligno. Se la paranoia rivela la verità della struttura,
cioè che il soggetto dipende da ciò che avviene nell’Altro, l’isteria continua ad
avere nell’insegnamento di Lacan un valore altrettanto fondamentale in quanto

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rivelerebbe la verità strutturale del desiderio in quanto desiderio insoddisfatto.
Dunque, ricapitolando, la paranoia rivelerebbe la verità strutturale della
dipendenza del soggetto dal campo dell’Altro tanto quanto l’isteria rivelerebbe la
dimensione strutturale del desiderio come desiderio insoddisfatto. Come vedete al
centro di queste due figure, la paranoia e l’isteria, che sono le due figure cliniche
centrali dell’insegnamento di Lacan degli anni Cinquanta, la paranoia sul lato della
psicosi l’isteria sul lato della nevrosi, al centro resta sempre il soggetto nella sua
dipendenza dal sistema del grande Altro e nel suo rapporto con il desiderio
dell’Altro.
L’avanzamento clinico dell’insegnamento di Lacan dopo gli anni Cinquanta
comporta un passaggio dalla centralità del soggetto alla centralità dell’oggetto.
Allora si potrebbe dire che in questo spostamento d’accento dal soggetto
all’oggetto, due figure cliniche sembra che sopravanzino il riferimento classico alla
paranoia e all’isteria. Queste due figure cliniche, che metterebbero in rilievo
l’inedita potenza dell’oggetto, più che la condizione del soggetto, sono dal lato
della nevrosi il feticismo, e da quello della psicosi la melanconia. L’esperienza
feticistica dimostra che perché vi sia desiderio vi deve essere la presenza
dell’oggetto feticcio, o se preferite che la condizione di possibilità del desiderio sia
la presenza dell’oggetto feticcio, o se preferite ancora che il desiderio dipenda
direttamente dalla presenza di un oggetto, di un oggetto nel corpo o fuori dal
corpo o come accessorio del corpo. La clinica del feticismo rispetto alla clinica
dell’isteria sposta il focus dell’attenzione di Lacan dal soggetto all’oggetto,da $ a
piccolo (a).
Quello che studieremo nel dettaglio oggi è come avviene questo spostamento dal
soggetto all’oggetto nella clinica della psicosi. È qui che dobbiamo riconoscere
tutto il valore che assume il riferimento lacaniano alla melanconia. Nella
melanconia ciò che è determinante è la potenza dell’oggetto o, come dice Lacan
nell’ultima lezione del Seminario X sull’angoscia, "il trionfo dell’oggetto". Direi che
questo potrebbe essere il tema, il sottotitolo, del nostro incontro di oggi: che cosa
significa pensare la melanconia come l’esperienza del trionfo dell’oggetto?

03. La melanconia freudiana

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Facciamo un piccolo esercizio teorico e proviamo a riprendere, seppur brevemente,
Lutto e melanconia di Freud. Solo se, infatti, si riprendono le tesi centrali di questo
straordinario testo di Freud potremo apprezzare fino in fondo il movimento
ulteriore che Lacan imprime alla riflessione freudiana sulla melanconia.
Lutto e melanconia è un’opera che precede di poco lo scoppio della Prima Guerra
Mondiale, è un testo che interroga il problema della melanconia alle soglie della
prima guerra mondiale. Limitiamoci a fissare alcuni punti decisivi. Innanzitutto la
distinzione tra depressione, melanconia, lavoro del lutto e mania che sono i
quattro concetti cardine di questo testo. Secondo Freud l’affetto depressivo ha
come condizione la perdita dell’oggetto. Non di qualunque oggetto, ma la perdita
di un oggetto che ha la caratteristica, scrive Freud, di essere sovrainvestito
narcisisticamente. Dunque l’affetto depressivo sarebbe la reazione soggettiva alla
perdita di un oggetto non qualunque del mondo, ma di un oggetto che il soggetto
sovrainveste narcisisticamente e la cui perdita, afferma Freud, comporterebbe una
emorragia libidica, uno svuotamento di senso del mondo intero. Con la perdita di
quest’oggetto si perde la funzione di ritorno narcisistico che l’oggetto garantiva al
soggetto. In questo caso, quindi, perdere l’oggetto significa anche perdersi,
perdere una parte di sé. Questa secondo Freud è una legge fondamentale nella
strutturazione della soggettività umana. Sempre la perdita dell’oggetto, per
esempio, se seguiamo alla lettera Freud, la perdita del seno, comporta la perdita
del soggetto, di una parte di esso, poiché l’oggetto è effettivamente una parte, un
pezzo, del soggetto. Su questo tema, come abbiamo visto l’anno scorso, Lacan
imposta tutto il problema della separazione come separtizione (sépartition).
Dunque l’affetto depressivo è una reazione soggettiva inevitabile di fronte alla
perdita dell’oggetto investito narcisisticamente; è la reazione soggettiva di fronte
all’apparizione di un buco nel mondo, in quanto nella depressione, secondo Freud,
è il mondo che si svuota. L’esperienza depressiva ci confronta con un buco nel
mondo, con un vuoto nel mondo. È il mondo che si svuota di senso. Niente senza di
lei o di lui è più come prima. Il mondo non è lo stesso mondo. L’affetto depressivo
sorge nella constatazione che il mondo non è più come prima. Ebbene questo
affetto che porta con sé uno svuotamento libidico e di senso del mondo, può
essere trattato in tre maniere differenti. Freud definisce questi tre possibili
trattamenti dell’affetto depressivo come mania, melanconia e lavoro del lutto.
La mania, secondo Freud, sarebbe una difesa rispetto all’esperienza della perdita
dell’oggetto e questa difesa (questo tema verrà ripreso ampiamente da Melanie

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Klein) si configura come un vero e proprio negazionismo. In atto è una
scotomizzazione che nega il reale implicato nella perdita; non è accaduto nulla,
non si è perduto nulla, tutto è come e meglio di prima…. Da questo punto di vista
la mania e la dimensione di euforia permanente che l’accompagna consiste proprio
nella negazione dell’esperienza traumatica della perdita. La mania tende piuttosto
a produrre la sostituzione compulsiva dell’oggetto al posto della simbolizzazione
della sua perdita irreversibile. Se volete questa dimensione della sostituzione
febbrile e incalzante la ritroveremo nella riflessione di Lacan sulla mania, ma è
anche un tema che attraversa i nostri tempi. Il discorso del capitalista è affetto da
una maniacalità di fondo che offre l’oggetto come sostituto artefatto dell’oggetto
perduto. Ma torneremo su questo problema quando affronteremo la definizione che
Lacan dà della mania. Rimaniamo su Freud. La mania è una reazione possibile,
patologica per Freud, alla perdita d’oggetto e all’affetto depressivo che essa
suscita: il soggetto non si incammina nel lavoro del lutto, non prende la via difficile
del lavoro del lutto, non tiene vicino il mortuum, come diceva Hegel. La mania è
piuttosto un antilavoro. In questo senso la mania è sempre senza inconscio. È
un’apologia dell’io e della sua follia.
L’altra via patologica rispetto all’esperienza della perdita è la via melanconica, che
Freud definisce, in modo enigmatico, come un lavoro (Arbeit). Freud parla
dell’esistenza di un "lavoro melanconico". Dunque la mania allude ad un antilavoro
mentre la melanconia ad un lavoro. Questo significa che il melanconico, che è un
soggetto passivo, senza vita, mortificato, triste, schiacciato dall’ombra del passato,
senza avvenire, è, paradossalmente, un soggetto al lavoro. E quale sarebbe il
lavoro melanconico? Secondo Freud consisterebbe "nel preservare la pertinace
adesione all’oggetto". La risposta melanconica alla perdita è, dunque, una risposta
adesiva che tende a trattenere l’oggetto al punto che, come scrive Freud in una
frase molto nota, "l’ombra dell’oggetto cade sull’Io". Come vedete è proprio da qui
che Lacan recupera l’idea della melanconia come trionfo dell’oggetto. L’oggetto
non è perduto, ma cala la sua ombra sull’io. L’oggetto è cioè sempre presente,
aderisce pervicacemente al soggetto. È sempre presente nei pensieri del soggetto.
L’oggetto perduto non è lasciato essere assente, ma l’assenza diventa una forma
allucinata della presenza. L’assenza è la forma della presenza dell’oggetto perduto
e il soggetto vi si trova come risucchiato. In questo senso l’oggetto è sempre
presente e trionfa sull’io. Lo vedremo meglio più avanti quando parleremo del
rapporto tra melanconia e sublimazione nel senso che il vuoto melanconico,

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l’esperienza del vuoto nella melanconia, è, in realtà, l’esperienza di un pieno. Non
è l’esperienza autentica del vuoto. Non è esperienza autentica dell’assenza,
perché non c’è lavoro del lutto. Perché il lavoro del lutto viene ostacolato dal lavoro
melanconico come lavoro finalizzato a preservare l’oggetto e a rigettarne
l’assenza, come lavoro di pura conservazione, dunque come un antilutto. Il lavoro
melanconico è un lavoro delirante perché ogni cosa diventa la Cosa perduta, un
segno della Cosa perduta. L’io melanconico appare, in effetti, come scrive Freud,
sopraffatto dall’oggetto.
Ma cosa sarebbe allora il lavoro del lutto? Esso si configura come un’alternativa sia
al negazionismo della mania sia al lavoro melanconico che punta a fare esistere
eternamente l’oggetto perduto.
Il lavoro del lutto sarebbe la possibilità di simbolizzare la perdita, di attraversare il
dolore, l’esperienza del negativo, ricostruendo la possibilità dell’esperienza libidica
del mondo. Nella melanconia invece il lavoro del lutto non avviene. Prevale lo stato
luttuoso senza lavoro che caratterizza la posizione del soggetto melanconico.
Perché il lavoro del lutto non può attuarsi nella melanconica? Perché, secondo
Freud, diversamente dalla depressione, nella melanconia non è il mondo che si
svuota ma è l’io che si svuota e l’io si svuota perché sull’io cade l’ombra
dell’oggetto. L’oggetto, insomma, prende il posto dell’io spodestandolo. L’oggetto
perduto, sempre presente, occupa, invade letteralmente lo spazio del soggetto.
Trionfa sul soggetto. Viceversa il lutto come lavoro sarebbe la possibilità di
realizzare una simbolizzazione della perdita che si apre nel mondo. Per questo
Lacan potrà dire che il lutto è il rovescio della forclusione. Perché il lutto sarebbe il
rovescio della forclusione? Vi ricordo che per Lacan la forclusione è il processo
costitutivo della psicosi. Perché nella forclusione ciò che è bucato, ciò che è
assente, concerne il simbolico. Ciò che è bucato è il simbolico che manca del
significante fondamentale che sostiene l’ordine stesso della realtà e cioè il
singnificante del Nome del Padre. Nella forclusione psicotica ciò che manca è un
significante, un significante particolare, il significante guida, il significante che
struttura l’insieme dei significanti, il significante che sostiene l’esperienza della
realtà. Questa mancanza genera degli effetti di ritorno nel reale di questo stesso
buco. Quindi abbiamo una mancanza simbolica e un ritorno nel reale di questa
stessa mancanza. Ritorno nel reale che secondo Lacan inquadra tutti i fenomeni
elementari tipici della psicosi (allucinazione, delirio e passaggio all’atto). Nel lutto
invece la mancanza non è dell’ordine simbolico ma reale. Lei è morta. Non c’è più.

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Non la incontrerò più, non ascolterò più il tono della sua voce, non incontrerò più il
suo sguardo, non sentirò più il suo profumo. Lui è scomparso, sparito, portato via.
Il mondo non è più lo stesso. Il mondo è vuoto. Dunque la perdita dell’oggetto non
apre un buco nel simbolico ma ci confronta con un buco reale. Se, dunque, il buco
è reale è il simbolico che deve essere mobilitato per ricostruire un’esperienza
possibile del mondo. Il buco della perdita dell’oggetto è reale e il lavoro del lutto è
simbolico. Mentre la forclusione, diversamente dal lutto, sarebbe un ritorno nel
reale del buco – l’assenza forclusiva del Nome del Padre - che è nel simbolico. È
per questo che Lacan mette in alternativa la forclusione e il lutto come se fossero
l’uno il rovescio dell’altro.
Cosa sarebbe dunque il lavoro del lutto in Freud? Sarebbe quel lavoro simbolico,
Freud lo definisce "psichico", che rende possibile una introiezione della perdita,
una sua simbolizzazione.. Questo lavoro psichico ha alcune caratteristiche
fondamentali che Freud esamina con grande precisione. Si tratta di una lavoro
psichico che comporta memoria, dolore e tempo. Usa l’espressione "lasso di
tempo" per definire quel supplemento di tempo che il lavoro del lutto esige. Cosa
significa? Significa che non esiste lutto rapido perché i lutti rapidi sono, in realtà,
risposte maniacali all’affetto depressivo legato alla perdita dell’oggetto. Il lutto
esige lasso di tempo, supplemento di tempo, un più di tempo. Ancora una volta si
potrebbe dire che il discorso del capitalista è avverso all’esperienza del lavoro del
lutto perché utilizza l’offerta dell’oggetto come alternativa all’esperienza
dell’assenza dell’oggetto. Molti adolescenti, per esempio, arrivano dalle prime
esperienze amorose fino ai trent’anni senza alcuna discontinuità tra un oggetto e
l’altro. Siamo di fronte a sostituzioni accelerate, iperattive dell’oggetto.
Non c’è lavoro del lutto che non implichi dolore. Il dolore è il segnale dell’incontro
con il buco reale lasciato dall’oggetto. Il dolore implica un ritiro della libido dal
mondo, una sua introversione. Il soggetto è assorbito dal dolore della perdita. Si
ritrae dal mondo, si concentra su se stesso, sul suo lavoro psichico. Anche da
questo punto di vista il discorso del capitalista prova a sviare l’esperienza dolorosa
della perdita incoraggiando il ricambio continuo dell’oggetto e la sua funzione
analgesica. Anziché muovere dal dolore psichico esso sostiene l’illusione che si
possa sempre evitare il dolore, che il dolore non è vero.
L’altra grande caratteristica del lavoro del lutto è che si tratta di un lavoro della
memoria. Non c’è lavoro del lutto senza memoria. Memoria dell’oggetto perduto; il
lavoro del lutto implica ricordarsi, ripensare, rivedere, proiettare il film di come era,

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le tracce della sua presenza, i ricordi, la memoria volontaria, la memoria
involontaria dell’oggetto. In Freud c’è una grande problematicità relativa al tema
della memoria. Non si tratta di ricordarsi semplicemente di come era. La memoria
per Freud è anche l’esperienza di una sorpresa. Qualcosa che appare al di là
dell’intenzionalità. È memoria involontaria. Più radicalmente è impossibilità di
dimenticare. La memoria freudiana custodisce questo tratto spettrale della
memoria, del passato che non passa e ritorna. Custodisce la dimensione più
assillante della memoria: l’impossibilità di dimenticare. Ma anche l’impossibilità di
ricordare come vorrei ricordare. La memoria freudiana ha questo doppio statuto:
non posso ricordarmi veramente come vorrei di chi non c’è più e non posso
dimenticarmi di chi non c’è più. Quando il lavoro del lutto si realizza, quando può
dirsi compiuto? Quando esso, sostiene Freud, dà luogo ad una liberazione della
libido dai legami che la vincolavano all’oggetto perduto. La libido si deve poter
staccare dall’oggetto perduto reinvestendosi così nel mondo. L’energia ritorna, "il
vento del disgelo", di cui parla Nietzsche nella prefazione alla Gaia scienza, scioglie
i ghiacci dell’inverno dando luogo al risveglio della primavera. Il ritorno della
primavera, il vento del disgelo, sono possibili dopo la convalescenza del lutto. Solo
dopo la convalescenza dell’inverno la vita può ritornare e, se seguiamo Freud,
possiamo dimenticarci finalmente dell’oggetto perduto. Dopo averlo ricordato
possiamo dimenticarlo e possiamo incontrare altri oggetti e reinvestire su di essi la
nostra libido. Questo, se volete, è una certa idealizzazione freudiana del lavoro del
lutto. L’idea che il lavoro del lutto non lasci resti, che sia un lavoro che possa
dissolvere ogni legame con l’oggetto perduto senza lasciare resti. Vedremo,
invece, come in Lacan il tema del resto occuperà un posto centrale. Ma in Freud la
separazione dall’oggetto perduto sembra senza resti. Se il lavoro del lutto si
compie, la separazione non lascia resti, la libido è libera, il vento del disgelo
spazza via le nubi dell’inverno. L’io si libera dall’ombra dell’oggetto.
A questo punto potrei introdurre un tema clinico che mi limito ad evocare perché è
un tema che interessa molti di noi. Si tratta del tema della somatizzazione o, se si
preferisce, del rapporto tra somatizzazione e separazione, del rapporto tra
somatizzazione e lutto. In effetti si potrebbe dire che la somatizzazione può essere
la cicatrice di un lavoro del lutto compiuto che segnala il fatto che non può esistere
un idealismo del lutto e che la perdita dell’oggetto lascia necessariamente un
resto, un segno indelebile, un corpo estraneo, una traccia. E magari un chirurgo
completa il lavoro del lutto! Oggetti bizzarri, calcoli, pietre, resti di un lavoro della

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simbolizzazione, detriti che ristagnano nel corpo. Le somatizzazioni (macchie, nei,
lesioni, ulcere) potrebbero avere questo rapporto stretto con la simbolizzazione,
quando, per esempio, è in gioco una separazione rispetto ad un oggetto che, come
precisa Freud sempre in Lutto e melanconia, può non essere un essere umano, ma
anche un’istituzione o un ideale collettivo…Nella somatizzazione l’oggetto perduto
può lasciare questa traccia pietrosa, non significante, dell’oggetto.
Per concludere dobbiamo sottolineare come la melanconia freudiana designi
un’identificazione del soggetto all’oggetto perduto che non viene sufficientemente
distinta dall’affetto depressivo. Nel melanconico e nel depresso saremmo
ugualmente di fronte ad un deficit del lavoro del lutto, ad una difficoltà a procedere
nella simbolizzazione della perdita dell’oggetto. Al posto del lavoro del lutto
subentra un’identificazione all’oggetto che, se impedisce la sua perdita
irreversibile, finisce per invadere il soggetto riducendolo ad oggetto ("l’ombra
dell’oggetto cade sull’Io"). La melanconia freudiana scaturisce dunque da
un’identificazione inconscia all’oggetto perduto. L’affetto depressivo non ha
un’altra natura da questa. Il solo motivo discriminante resterebbe la tendenza
transitoria di quest’ultimo di fronte alla tendenza cronicizzante della melanconia.
Ma in entrambe risulterebbe comunque centrale il processo di identificazione
narcisistica all’oggetto che annichilisce il lavoro simbolico del lutto rendendolo
impossibile.

04. La lezione di Lacan sulle psicosi: paranoia e schizofrenia

Lasciamo ora la mano di Freud per inoltrarci nel campo lacaniano. Lo faremo
attraverso una sintesi panoramica della riflessione di Lacan sulle psicosi.
Introduciamo il principio generale di questa riflessione: si tratta della biforcazione
strutturale, proposta già da Freud, tra nevrosi e psicosi. Il punto di partenza
freudiano che Lacan adotta è che non c’è continuità tra nevrosi e psicosi. Piuttosto
c’è una discontinuità strutturale. Non ci sono nuclei psicotici della personalità.
Nell’insegnamento di Freud e in quello di Lacan la psicosi esclude la nevrosi. La
psicosi scaturisce dal processo della forclusione, mentre la nevrosi dal processo
della rimozione.
Qual è la base freudiana di questo ragionamento di Lacan? La base freudiana di

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questo ragionamento è che bisogna distinguere due rimozioni differenti, come
dichiara Freud stesso. Nel caso della nevrosi la rimozione è rimozione del desiderio
inconscio, è rimozione di un moto del desiderio. Quello che la rimozione rimuove
sarebbe un’istanza del desiderio. Nella psicosi invece non è il desiderio ad essere
rimosso, ma la realtà stessa, o, se preferite, in termini lacaniani, il fondamento che
struttura la realtà, cioè il Nome del Padre, cioè la castrazione simbolica. Freud
parla di una rimozione della realtà. In un caso, quello delle nevrosi, avremmo al
centro il soggetto del desiderio, mentre nell’altro caso – le psicosi – avremmo al
centro il rapporto del soggetto con la realtà perché è il quadro stesso della realtà
che viene meno, che si disgrega perché non c’è più il significante (Nome del padre)
che lo sostiene.
A partire da questa discontinuità strutturale di nevrosi e psicosi – di rimozione e
forclusione – la clinica lacaniana distingue le forme fondamentali della psicosi in
paranoia, schizofrenia e melanconia. Vi propongo uno schema che può mettere un
certo ordine nella riflessione di Lacan sulle psicosi. Potremmo individuare un
postulato fondamentale per ciascuna famiglia (paranoia, schizofrenia, melanconia)
al quale corrisponde un contenuto delirante specifico. Nella paranoia il postulato
fondamentale sarebbe il postulato di innocenza. Il soggetto paranoico si presenta
in effetti come il soggetto innocente. Dire che il soggetto paranoico è il soggetto
dell’innocenza significa dire che nella paranoia l’esperienza della colpa è
l’esperienza dell’Altro, è un’esperienza che resta impossibile da soggettivare;
esiste un rapporto direttamente proporzionale tra il grado di innocenza del
soggetto e il grado di colpevolezza dell’Altro. Più il soggetto si sente innocente più
l’Altro è colpevole. Potremmo dire che quello che Lacan chiama il lavoro paranoico
è il lavoro anti-analizzante per eccellenza perché se il lavoro dell’analizzante è il
lavoro che questiona la colpa del soggetto, la sua responsabilità etica, il lavoro
paranoico consiste nel trasferire la responsabilità nel campo dell’Altro,
nell’accusare l’Altro di ogni indegnità. E da questo punto di vista la querulomania,
oggi molto diffusa, si configura come una delle forme più pure della paranoia. Il
soggetto querulomane interpella il tribunale, la legge, perché venga fatta giustizia,
perché l’Altro corrotto, maligno, cattivo, sia punito. Possiamo dire ancora che il
soggetto paranoico è veramente un soggetto senza inconscio perché anziché
soggettivare la sua propria divisione la attribuisce proiettivamente all’Altro. Lacan
lo teorizza apertamente nel Seminario XXIII quando parla della paranoia facendo
un’autocritica rispetto ai suoi studi giovanili che interrogavano il rapporto tra la

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paranoia e la personalità. Dichiara di aver sbagliato a titolare la sua tesi di
dottorato La paranoia di autopunizione e i suoi rapporti con la personalità perché
la paranoia non ha rapporti con la personalità in quanto coincide con la
personalità. Questo significa che la paranoia suppone l’immagine di un soggetto
compatto, non-diviso, privo di inconscio. Personalità e paranoia coincidono teorizza
Lacan. L’Altro del paranoico deve essere un Altro puro incorrotto, indiviso, non
castrato. Il paranoico non tollera la minima sbavatura nell’Altro. Se appare una
sbavatura nell’Altro, se l’Altro mostra la sua castrazione, l’Altro diventa il luogo
maligno del godimento che tormenta il soggetto. Il luogo dell’Altro si anima
persecutoriamente. In questo senso Lacan può dire che nella paranoia il
godimento viene identificato con il luogo dell’Altro.
Facciamo due esempi storico-filosofici di questa identificazione dell’Altro come
luogo incorrotto della legge di cui il paranoico ha esigenza. Possiamo pensare a
Hitler. Il rapporto che Hitler stabilisce con la Natura e con l’ideale della razza ariana
cerca di far esistere un Altro incorrotto, senza sbavature, puro, non intaccato dal
godimento. Di qui l’idea delirante che l’Altro della Natura e della Storia gli ha
consegnato una missione che è quella di salvare la Germania dalla corruzione
comunista e ebraica. Il secondo esempio potrebbe essere quello di Rousseau, il
quale, come mostra bene uno studio notevole di Colette Soler, pone lo stato di
natura e l’idea di una "volontà generale" come una Legge che sovrasta il soggetto,
come Legge della Legge, dando luogo ad una rappresentazione paranoica del
luogo dell’Altro.
Allora nella paranoia dobbiamo mettere l’accento su postulato di innocenza. La
colpa è sempre dell’Altro. Anche il nevrotico va in questa direzione. Il nevrotico
lavora per attribuire la colpa all’Altro sin da bambino. L’attribuzione della colpa
all’Altro è trasversale dal punto di vista clinico. Appartiene probabilmente alla
struttura dell’essere umano rispetto a cui il lavoro analitico è in controtendenza
perché porta il soggetto ad assumere la propria responsabilità. Cosa differenzia
però la nevrosi dalla paranoia? Nella paranoia c’è una certezza inconfutabile,
antidialettica nell’attribuzione della colpa all’Altro e nel postulato di innocenza
assoluta del soggetto. Il nevrotico invece oscilla: vede la sua responsabilità anche
se poi può provare a chiudere gli occhi, a non volerne sapere; poi di nuovo torna a
vedere e a richiudere gli occhi, a non volerne sapere nel senso della rimozione.
Insomma nella nevrosi il rapporto del soggetto con la sua colpa può essere un
movimento intermittente. Potremmo dire che un’analisi finisce quando questa

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intermittenza non c’è più e il soggetto mangia integralmente il proprio Dasein –
come disse una volta Lacan - quando mangia integralmente il proprio esserci, la
propria esistenza. E proprio perché mangia tutta la merda della propria esistenza
che forse riuscirà a smettere di mangiare quella degli altri…
Quale sarebbe dunque il contenuto del delirio paranoico? Se il postulato è di
innocenza, il contenuto del delirio è semiotico. La paranoia è una semiosi infinita.
Freud sostiene che vi sia un rapporto stretto tra filosofia e paranoia. L’esperienza
paranoica del mondo consiste nel porre il senso dappertutto, come dichiarava il
presidente Schreber; per il paranoico, come si esprime Lacan nel Seminario III,
"tutto è segno". Tutto è significazione. L’esperienza del non senso, come afferma
Lacan sempre a proposito di Schreber, viene abolita. Questo significa che tutto è
senso, che il senso prolifera smisuratamente. Il mondo del paranoico è un mondo
dove il senso non trova il suo limite e diventa esso stesso un oggetto persecutorio.
Quale sarebbe invece il postulato fondamentale della schizofrenia? Nella
schizofrenia il problema è che c’è piuttosto un’assenza di postulato fondamentale,
ma se dovessimo comunque provare a definirlo, potremmo dire che si tratta di un
postulato di inesistenza. Questo significa che il soggetto schizofrenico appare
come un soggetto frammentato, senza forma, volatile, sparpagliato, dissociato
perché la schizofrenia è essenzialmente un’esperienza di perdita e di
frammentazione dell’identità, di disgregazione dell’immagine stessa del proprio del
corpo, del corpo a pezzi (corp morcelée) .
Nell’esperienza schizofrenica del mondo il centro non è occupato, come nella
paranoia, dal senso. Nella paranoia il centro è occupato dal senso e il delirio è
semiotico perché tutto ha un senso. Nella schizofrenia il centro non è occupato dal
senso ma dall’esperienza del corpo. Per lo schizofrenico il corpo, il proprio corpo,
non sta insieme, ma tende a disgiungersi, a frammentarsi. Allora lo schizofrenico
può inventare strategie differenti per tenere insieme un corpo che, come se fosse
mercurio (è un’immagine di una mia paziente schizofrenica), sfugge da tutte le
parti.. Lacan nel Seminario I sostiene che lo schizofrenico non ha accesso
all’immaginario, nel senso che non riesce a guadagnare un’immagine narcisistica
sufficientemente stabile per ordinare il campo pulsionale del proprio corpo. Nello
schema del vaso di fiori rovesciato questo significa che i fiori e il vaso non stanno
insieme. I fiori – ovvero gli oggetti pulsionali - non entrano nel vaso, non si
integrano, ma restano sparpagliati fuori dal vaso. Non c’è integrazione tra il campo
narcisistico e quello pulsionale. Lacan precisa: se nella paranoia il godimento è

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identificato con il luogo dell’Altro, nella schizofrenia il godimento è sovrapposto al
corpo, cioè ristagna nel corpo, non è separato dal corpo. Questo è un punto che ci
interessa molto per capire l’enigma della melanconia che è un’altra forma di non
separazione del godimento dal corpo. Questo ristagno del godimento nel corpo,
questa non-separazione del godimento dal corpo, spiega i deliri di molti
schizofrenici che dicono di sentire il proprio corpo come il corpo di un animale, o il
corpo preda di un’energia illimitata, potente, straripante, che non si può
governare, dunque un corpo dove il godimento non è castrato, dove il godimento
non si localizza nel quadrilatero delle zone erogene (orale, anale, scopico, uditivo)
ma è come sparpagliato nel corpo.
Nella clinica della schizofrenia è difficile trovare un postulato fondamentale perché
nell’esperienza schizofrenica niente è vissuto come stabile e sicuro. Non c’è alcuna
esperienza della certezza se non relativa all’incontro con il reale che si dà nelle
allucinazioni. Mentre nella paranoia la certezza assume la forma della colpa
dell’Altro, nell’esperienza schizofrenica del mondo la certezza non esiste e il
mondo "entra in uno stato di dissolvenza", come si esprime Eugenio Borgna nel
suo lavoro sulla schizofrenia. Dov’è l’esperienza della certezza schizofrenica?
L’allucinazione è la sola esperienza che il soggetto schizofrenico fa della certezza.
Il contenuto delle allucinazioni è "certo" nonostante la sua bizzarria estrema. Allora
potremmo dire, proseguendo nella costruzione del nostro schema, che nella
schizofrenia il corpo viene al posto che il senso occupa nella paranoia. Il postulato
schizofrenico non è "tutto è segno", il contenuto del delirio non è semiotico, ma
somatico. C’è, in effetti, un delirio somatico nella schizofrenia che ha come tema
centrale il corpo in frammenti.

05. Il postulato melanconico come postulato di indegnità

Nella melanconia il postulato fondamentale non è quello d’innocenza (paranoia) e


non è nemmeno quello di inesistenza (schizofrenia). Il postulato fondamentale
della melanconia è il postulato di indegnità. L’esperienza clinica ci insegna che se
c’è un fenomeno elementare nella melanconia è il fenomeno della colpa come
manifestazione dell’indegnità del soggetto. Nella melanconia, diversamente dalla
nevrosi dove è centrale il tema del senso di colpa, l’esperienza della colpa appare

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come disgiunta dall’esperienza del senso. Non c’è senso di colpa nella melanconia,
ma c’è piuttosto un’esperienza della colpa come materializzazione, manifestazione
diretta del senso di indegnità che affligge il soggetto. Nella melanconia la colpa
non è in una relazione inconscia con il desiderio (come accade invece nella
nevrosi) ma è ciò che segnala l’indegnità fondamentale del soggetto.
Il postulato di indegnità si contrappone a un primo sguardo al postulato di
innocenza tipico della paranoia. Cosa è in gioco nell’esperienza dell’indegnità
melanconica? Nella nevrosi il soggetto può benissimo vivere un’esperienza di
indegnità anche quando si sente amato. "Non sono degno di lei"; può essere
un’affermazione che intercettiamo facilmente nella clinica della nevrosi. Ma questa
indegnità appare legata a doppio filo al fallo, nel senso che è una manifestazione
di un senso di insufficienza fallica, dunque è una versione della castrazione
immaginaria. La formula che Lacan adotta nel Seminario VIII per definire la
melanconia può effettivamente prestarsi a definire un vissuto transclinico. "Io non
sono niente" è un enunciato che possiamo declinare in modi molto diversi. Tutti noi
abbiamo fatto questa esperienza del sentirci niente, soprattutto, direbbe Freud,
quando l’oggetto narcisisticamente sovrainvestito ci ha abbandonato. Da questo
punto di vista l’affetto depressivo segnala l’emergere del sentimento di essere
niente, di non valere niente, di svalorizzazione fallica della propria esistenza. Dove
c’è depressione c’è sempre questa esperienza di sentirsi niente. Ma qual è la
differenza tra il sentirsi niente dell’affetto depressivo e il sentirsi niente proprio
della melanconia? È la dimensione della certezza. È la certezza della coincidenza
reale tra il proprio essere e il niente. È, in altre parole, porre la propria indegnità
come un postulato fuori discussione, privo di dialettica, inamovibile, inscalfibile.
Questa indegnità – l’indegnità melanconica – diversamente da quella nevrotica
non è mai reversibile. C’è un’inflessibilità nella postulazione melanconica
dell’indegnità. Nel Seminario X dedicato al tema dell’angoscia Lacan ci offre due
termini centrali per cogliere la struttura della melanconia. I due termini sono:
"mondo" e "scena del mondo". La scena del mondo è il teatro in cui il mondo
accade. È il teatro simbolico e immaginario che incornicia il reale nel quadro della
realtà. Si potrebbe dire così: il mondo è una scena e noi siamo su questa scena
all’interno delle coordinate simbolico-immaginarie costanti che strutturano questa
scena. La scena del mondo è ordinata e noi siamo sulla scena del mondo, dentro
una trama di senso. Come direbbe Paul Ricoeur noi siamo sempre dentro un
racconto, inseriti in una narrazione. E facciamo parte di questa narrazione. Mondo,

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invece, è per Lacan un nome del reale. Il mondo è fuori dalla scena del mondo.
Mondo qui non è da intendersi in senso heideggeriano come un orizzonte entro il
quale avviene l’esistenza, ma è da intendersi piuttosto come lo si intende in certe
espressioni del senso comune. "È nel suo mondo"; "è perso nel suo mondo"; "è
chiuso nel suo mondo". Da questo punto di vista potremmo dire che l’autismo è
l’esperienza clinica più forte dell’essere nel proprio mondo e fuori dalla scena del
mondo.
Anche nella nevrosi possiamo trovare un’oscillazione tra scena del mondo e
mondo. Quante volte ci siamo rifugiati nel nostro mondo? I bambini spesso vivono
nel proprio mondo. Soprattutto quelli più angosciati. Ma nella clinica della nevrosi
scena del mondo e mondo sono sempre in una relazione dialettica. Siamo nella
scena del mondo, possiamo uscire dalla scena del mondo per chiuderci nel nostro
mondo, possiamo tornare su questa scena, sulla scena del mondo…C’è una
porosità, una fluidità nello scambio. La tristezza non psicotica è l’esperienza di
essere chiusi nel proprio mondo, provvisoriamente fuori dalla scena del mondo.
Tanto è vero che se uno fa una battuta di spirito ad un soggetto afflitto, triste,
depresso questi tende a non ridere, a non sanzionare con il riso il legame con la
parola dell’Altro, tende cioè a restare nel proprio mondo. Ebbene nella melanconia
il soggetto cade fuori dalla scena del mondo. Ecco perché il passaggio all’atto
suicidario è uno degli indici diagnostici della melanconia. Tutti i tratti tipici della
fenomenologia della melanconia (senso di colpa, tristezza vitale, passaggi all’atto
suicidari, delirio di rovina e di autoaccusa) sottolineano questa sconnessione del
soggetto dalla scena del mondo. Certo, il passaggio all’atto suicidario esibisce
questa sconnessione del soggetto dal campo dell’Altro nella forma più
drammatica. Esso segnala precisamente la caduta del soggetto fuori dalla scena
del mondo. Ecco perché Lacan sottolinea come il suicidio melanconico "prediliga"
la defenestrazione. Perché la defenestrazione è saltare fuori dalla scena del
mondo, uscire dal quadro della realtà, sconnettersi dal sistema dei significanti che
strutturano quella scena. Non la pistola, non le lamette, non l’abuso di farmaci ma
la finestra: catapultarsi fuori dalla scena del mondo. Il passaggio all’atto suicidario
melanconico è un ritorno nel reale della certezza di indegnità.
Cosa troviamo al centro del delirio melanconico? Non troviamo la centralità del
senso (paranoia) e non troviamo la centralità del corpo in frammenti (schizofrenia)
- anche se nella clinica della melanconia il corpo occupa un posto importante - ma
troviamo la centralità dell’esistenza in quanto tale. Cosa significa? Significa che la

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melanconia mette al centro l’esistenza che per Lacan non è da confondersi con
l’essere. L’essere, se si vuole, è il luogo della scena del mondo. L’esistenza invece
è il luogo del mondo. L’esistenza è sprovvista di senso, afferma Lacan. È la nuda
vita di cui parla Agamben. L’esistenza come tale è una protuberanza, una muffa,
una contingenza superflua. L’esistenza, scrive Freud in Lutto e melanconia, è "una
povera cosa". Lacan la definisce come "stupida e ineffabile". In un libro che ho
amato e continuo ad amare molto che è un romanzo filosofico del 1938 titolato La
nausea di Sartre, e che non a caso Sartre avrebbe voluto titolare Melanconia, ci
imbattiamo in una famosa scena in cui il protagonista si trova nella solitudine
sempre un po’ strana di un giardino pubblico e resta ad osservare la massa amorfa
e grinzosa di una radice di castagno che gli appare come manifestazione bruta
dell’esistenza, del reale dell’esistenza sganciato da ogni significazione possibile.
Antonie Roquentin, il protagonista del romanzo, fa cioè esperienza di uno
scollamento spaesante di questa massa informe e priva di senso dal sistema
canonico delle nominazioni, da tutte quelle nomenclature che inquadrano nella
finestra della realtà, sulla scena del mondo, quella cosa come una radice.
L’esperienza della nausea sartriana è cioè l’esperienza dello scollamento del
linguaggio dall’esistenza, dove l’esistenza si palesa come una eccentricità che il
linguaggio non è in grado di addomesticare. Quella massa informe, nodosa,
grinzosa come una pelle di elefante, cos’è se non la posso più chiamare "radice"?
Se il nome si stacca dalla cosa? Se non posso più usare il linguaggio della biologia
o della scienza per inquadrarla? Cos’è dunque questa cosa nella sua nuda
esistenza? È pura esistenza. L’esistenza come un reale che si sgancia dal
linguaggio, che si sconnette dalla rete dei significanti e che dunque appare come
qualcosa di assurdo, di troppo, di superfluo, senza diritto, senza senso.
L’esperienza melanconica dell’esistenza è l’esperienza dell’esistenza come radice,
come massa informe , come scarto, come rifiuto. È esperienza della propria vita
come assurdità priva di senso, come muffa, come bruta contingenza, come detrito
dell’essere. È l’emergenza di questa esistenza che costituisce il fenomeno
elementare della melanconia. La colpa interviene a questo punto; è colpa
inesauribile di esistere, è una colpa associata non al desiderio ma all’esistere.
Allora il contenuto del delirio melanconico non è semiotico (paranoia), né somatico
(schizofrenia) ma morale. È una tesi che troviamo già in Lutto e melanconia: la
melanconia è un delirio morale. La colpa è il suo tema centrale.

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06. Il corpo nella melanconia: la coincidenza con l’oggetto
piccolo (a)

Quando poniamo al centro della melanconia l’esistenza come resto, dobbiamo


distinguere questo resto dal resto del desiderio. Per Lacan il desiderio è, infatti, un
resto; il desiderio è ciò che resta una volta soddisfatta la domanda, come dimostra
bene l’isteria o come dimostra bene anche l’anoressia. La soddisfazione della
domanda lascia sempre un resto e questo resto è nella nevrosi la dimensione da
cui scaturisce il desiderio che è, precisa sempre Lacan, al di là della domanda.
L’esistenza come resto della melanconia non è in rapporto al desiderio. Qui il resto
sembra occupare tutta la scena del soggetto. Il resto diventa l’esistenza stessa.
L’esistenza si manifesta come resto, rifiuto, scarto, come merda… Non è un caso
che nella melanconia, dal punto di vista psicopatologico, non esiste esperienza
dell’allucinazione così come questa può caratterizzare l’esperienza schizofrenica. È
vero però che conosciamo come in certi quadri estremi di melanconia,
l’allucinazione investa il corpo, non nella forma schizofrenica della
frammentazione, cioè della disunione e della disgregazione, del corpo che non sta
insieme, ma, se volete, nella versione ipocondriaca del corpo. Non l’ipocondria
immaginaria della nevrosi, di cui Molière fa il ritratto straordinario nel suo Il malato
immaginario. Dobbiamo infatti distinguere l’ipocondria immaginaria, che è
l’ipocondria di Molière, dunque la paura di avere dei mali nel corpo che può dar
luogo a delle sensazioni che non riflettono la lesione, che non esiste, dell’organo,
dall’ipocondria melanconica che invece implica l’esperienza della decomposizione
del corpo o se preferite della putrefazione del corpo in certi nei casi estremi che
vengono classificati sotto la sindrome di Cotard. La putrefazione del corpo, cioè la
sensazione che i propri organi interni, per esempio, marciscano. Oppure, come
avveniva in un caso clinico, la sensazione di emanare un odore di merda. Questa
percezione allucinatoria di tipo olfattivo caratterizzava la melanconia di un
soggetto e lo metteva in imbarazzo nel trovarsi sulla scena del mondo e percepire
che gli altri potevano sentire l’odore di merda che il suo corpo emanava… L’odore,
in effetti, non è un oggetto piccolo a, perché l’odore in questa esperienza
melanconica del corpo non è un oggetto che si può separare, staccare dal corpo.
Come sappiamo l’oggetto piccolo (a) ha come caratteristica la sua possibile
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separtizione dal corpo del soggetto. Il seno e le feci, freudianamente, sono oggetti
separabili. L’odore invece, nel caso di questo paziente, aderisce al corpo. Non si
può staccare dal corpo, è il corpo, è la sua esistenza. Possiamo reperire qui
un’analogia con l’esperienza schizofrenica del corpo. In entrambe il godimento si
deposita nel corpo e non può staccarsi dal corpo. Nello specifico nella melanconia
questo ristagno della libido può dare luogo alla marcescenza del corpo come
avviene, appunto, nella sindome di Cotard. In primo piano è l’esistenza come
muffa e non l’oggetto piccolo (a). In altre parole, l’oggetto piccolo (a) non si può
separare dal corpo perché coincide col corpo e il corpo nel suo insieme diventa
l’oggetto scarto, l’oggetto rifiuto, il kakon, l’oggetto cattivo. Un’altra esperienza tipica
del corpo melanconico è quella del vuoto. Anche il vuoto non è l’oggetto piccolo (a)
perché la sensazione del vuoto che può pervadere il corpo del melanconico, per
esempio nella clinica dell’anoressia melanconica ma non solo, la sensazione di
essere un corpo spento, senza vita, privo del sentimento della vita, non si può
separare dal soggetto perché coincide con l’esistenza del soggetto. Abbiamo la
stessa difficoltà che si trova anche nella schizofrenia; come separare, staccare il
corpo dal godimento? Certo, il godimento melanconico, diversamente da quello
schizofrenico, non dà luogo alla frammentazione, ma alla emergenza dell’esistenza
come melma, come putridume, come scarto.
Nella nevrosi il soggetto è sempre ad una certa distanza dal godimento (e può
lamentarsi di questa distanza…). Questa distanza può assumere i modi isterici del
rifiuto del godimento per preservare il suo desiderio, oppure quelli ossessivi nei
quali spesso il soggetto crea degli esorcismi, dei rituali per addomesticare il
godimento. Ma in entrambi i casi abbiamo una distanza che il soggetto introduce
tra se stesso e il godimento. L’insoddisfazione isterica e la regolarizzazione
dell’ossessivo sono due modalità di introdurre la distanza tra il corpo e il
godimento. Ebbene nella melanconia questa distanza collassa e allora il corpo
diventa puro oggetto di godimento, coincide con l’oggetto piccolo (a). È ciò che la
clinica lacaniana riconosce come un tratto fondamentale della melanconia:
l’identificazione all’oggetto piccolo (a). Ma forse più che di identificazione – la
quale è un processo inconscio che implica un certo legame con l’Altro, dunque
anche una differenza dall’Altro – dovremmo parlare di coincidenza con l’oggetto
piccolo (a). Coincidenza significa che il soggetto è l’oggetto (a), è l’oggetto rifiuto.
Di qui l’assenza di sentimento della vita, che, secondo Lacan, è il sintomo generale
della psicosi, effetto della forclusione della significazione fallica. L’assenza di

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sentimento della vita, la devitalizzazione della vita e del corpo libidico, la tristezza
infinita, senza limite, l’odore di putridume e il vuoto sono tutte esperienze del
corpo marcate dall’impossibilità di situare l’oggetto piccolo (a) nel campo
dell’Altro, dunque dell’impossibilità della separazione. Se sono una merda è perché
le feci non si staccano dal corpo e non separandosi non erogenizzano l’ano, non lo
costituiscono come una zona erogena, poiché la condizione di questa
erogenizzazione è la separazione dall’oggetto. Il paziente melanconico è una
merda perché coincide con l’oggetto piccolo (a).
Un’altra dimensione di questa coincidenza all’oggetto piccolo (a) è determinata
dalla sensazione delirante di molti melanconici e che troviamo anche in letteratura
in alcuni testi memorabili di Kafka tra i quali svetta Il cacciatore Gracco, di non
poter morire, del dramma dell’impossibilità di morire. Nella melanconia questa
sensazione di essere per un verso già morti e di essere al tempo stesso
nell’impossibilità di morire segnala di nuovo questa coincidenza con l’oggetto
piccolo (a). Proprio perché sono già morto non posso morire, cioè non posso
separami dalla vita. L’impossibilità di morire è l’impossibilità di soggettivare la
separazione. Si tratta di un’esperienza delirante che rovescia l’esperienza della
morte come l’esperienza di una separazione. Il soggetto melanconico si pone come
intrappolato, non può evadere da una vita che per lui è una vera e propria
condanna a morte. Non può evadere perché non può morire.

07. Clinica della melanconia

Quale sarebbe il processo causativo della melanconia? Cosa troviamo nella storia
dei nostri pazienti melanconici? Ne abbiamo visti diversi nella presentazione dei
casi clinici che coordinavo fino a un anno fa a Jonas Milano. Quali erano gli
elementi fondamentali di queste storie? Cosa determinava queste melanconie?
Intanto si poteva notare la presenza transgenerazionale della morte, di lutti, di
incidenti, di traumi, di perdite, di bambini nati morti, di aborti, di suicidi, di malattie
mortali... Qualcosa che evidenziava traumaticamente quella scissione tra
l’esistenza e l’immagine narcisistica che dovrebbe invece proteggerla. Inoltre la
presenza di un Altro sideralmente distante, compatto, freddo, chiuso nella sua
perfezione ideale. Un Altro che non vivifica il soggetto permettendo una
trasmissione fallica del desiderio. Le melanconie che incontriamo nella nostra

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pratica clinica non hanno però come tema centrale quello della colpa e
dell’autoaccusa delirante. Piuttosto in Jonas incontriamo una melanconia atipica o,
se si preferisce, forme neomelanconiche dove al centro non c’è il delirio morale
tipico della melanconia freudiana ma il fenomeno della glaciazione del soggetto,
del congelamento del desiderio, della forclusione del desiderio. L’anoressia, per
esempio, sospinge proprio in questa direzione, nella direzione di una specie di
glaciazione del desiderio. Non a caso Freud in un testo minore titolato Nevrosi di
traslazione del 1905, che è un testo profondamente visionario dove si propone una
sorta di genealogia mitologico-evolutivistica della psicopatologia, a quale tempo
mitico dell’evoluzione umana fa corrispondere la melanconia? Risposta di Freud:
all’epoca della glaciazione. Questa glaciazione del soggetto è dunque il tratto
costitutivo delle melanconie atipiche, delle neomelanconie senza delirio di colpa.
Ma più in generale il tratto costitutivo della clinica della melanconia consiste
nell’emergenza dell’esistenza al di là dell’immagine, scucita dall’involucro
narcisistico che dovrebbe consolidarla nell’essere. Il fenomeno fondamentale della
melanconia è l’esistenza che si manifesta come nuda vita, come protuberanza,
come muffa, come incidente…Un altro elemento ricorrente che abbiano trovato è
un certo tipo di Altro familiare che oscilla tra l’Altro ideale, irraggiungibile, perfetto,
compatto, lontano e dunque freddo, inavvicinabile, assente, e un Altro vicino ma,
come scrive Marie-Claude Lambotte, dallo sguardo vuoto. O la perfezione
irraggiungibile o la dimensione dello sguardo assente, dello sguardo vuoto. È
un’evidenza anamnestica alla quale la Lambotte, la cui teorizzazione generale
della melanconia è criticabile perché non ne fa una psicosi, assegna un rilievo
speciale.
Da questi due temi possiamo dedurre un motivo strutturale che caratterizza la
melanconia, ovvero un difetto radicale nella costituzione dell’ideale dell’io. L’ideale
dell’io è quella identificazione diversa da quella puramente narcisistico-
immaginaria dell’io ideale, se è un’identificazione simbolica che è costituente
rispetto a tutte le altre identificazioni. Lacan una volta la teorizza come tratto
unario, cioè quell’identificazione che dà la base a tutte le altre possibili
identificazioni e che rende il soggetto amabile ai propri occhi, cioè che gli
conferisce un valore fallico. Se l’esperienza melanconica di sé è l’esperienza di
essere uno scarto, un rifiuto, un detrito inumano allora si può dedurre che essa
rivela un difetto strutturale nella costituzione dell’ideale dell’Io.
La costituzione dell’ideale dell’io viene illustrata da Lacan nel celebre schema del

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vaso di fiori rovesciato che trova nella Nota sulla relazione di Daniel Lagache un
suo riferimento testuale importante. Non entro nel merito dell’esperimento ottico
che egli utilizza come base concettuale perché non ne avrei il tempo. Si tratta
comunque di un esperimento che promuove delle illusioni ottiche facendo sorgere
degli oggetti a dimensioni naturali là dove non esistono di fatto. Mi voglio invece
soffermare sul contenuto clinico che Lacan ricava da questa esperienza.
Nell’esperimento ci sono due tipi di specchi: uno concavo e uno piano. Al posto di
quello concavo Lacan situa lo sguardo del soggetto. È il luogo da dove il soggetto
si guarda. All’interno dello specchio concavo c’è qualcosa che il soggetto, a causa
della posizione che occupa, non può vedere, qualcosa di cui è impedita
strutturalmente la visione. Lo sguardo del soggetto è invece diretto verso lo
specchio piano. Non può vedere il contenuto dello specchio concavo, ma vede
bene il riflesso dello specchio piano. Lo specchio concavo riflette un vaso e dei fiori
che sono in un rapporto discordante, non integrati, scissi direbbero i post-freudiani.
I fiori sotto, il vaso sopra. Il vaso sta per l’immagine narcisistica del corpo, mentre i
fiori stanno per gli oggetti pulsionali: anali, orali, scopici e vocali. Attraverso questo
esperimento Lacan si pone il problema di come gli oggetti pulsionali si possano
integrare nell’immagine narcisistica del corpo data una loro iniziale eterogeneità.
Un conto, infatti, è l’immagine del corpo e un conto è l’esperienza della pulsione.
C’è un’eterogeneità tra l’esperienza della pulsione e l’esperienza narcisistica
dell’immagine. Allora Lacan, riprendendo la sua elaborazione originaria dello stadio
dello specchio, teorizza che ci vuole l’intervento di un Altro per consentire a questa
integrazione.
Il reale è, se posso dire così, dentro lo specchio concavo; l’immagine che si proietta
sullo specchio piano è un’illusione però è un’illusione fondamentale perché senza
questa illusione non ci sarebbe identità, non ci sarebbe integrazione tra il campo
narcisistico e quello pulsionale. Se volete lo specchio piano rappresenta lo sguardo
dell’Altro come ciò che offre un sostegno all’illusione dell’immagine ideale che lo
specchio restituisce al soggetto. In questo senso lo specchio piano è il luogo
dell’Altro. È il luogo dello sguardo dell’Altro che consente l’integrazione tra gli
oggetti pulsionali e l’immagine narcisistica. Questo Altro maiuscolo può essere la
madre, il padre, insomma qualcosa che funzioni da specchio piano per il soggetto.
Per Winnicott lo specchio piano è inequivocabilmente la madre, è lo sguardo della
madre. Per Lacan vi possono essere diverse incarnazioni possibili dello sguardo
istituente dell’Altro. È ciò che accade ogni volta che l’Altro svolge la funzione di

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risposta al soggetto che permette al soggetto stesso di integrare il campo
narcisistico e il campo pulsionale dando luogo all’ideale dell’io. In particolare
l’esperienza dell’analisi per Lacan ripropone lo schema del vaso di fiori rovesciato
nel senso che nel luogo dell’Altro c’è l’analista che ha la possibilità di far oscillare
lo specchio piano. L’analista è lo specchio piano ma ha la possibilità, essendolo nel
transfert, di farlo oscillare. Quindi fa oscillare piano lo specchio piano, scusate il
gioco di parole, per mostrare, per permettere al soggetto di vedere l’eterogeneità
tra il campo pulsionale e il campo narcisistico che attraversa strutturalmente il
soggetto. Ma questa oscillazione, dice Lacan, deve essere calcolata bene. Non può
essere troppo violenta. Non deve essere uno smascheramento. Un soggetto arriva
ad integrare le parti più scabrose di sé lentamente…Il soggetto deve poter
scorgere il reale della sua esistenza, la funzione di copertura esercitata
dall’immagine narcisistica, la forza della pulsione…ma non troppo rapidamente…
Questo movimento dello specchio piano che l’analista è tenuto ad esercitare non è
la funzione costante, con le oscillazioni ridotte al minimo, dello specchio piano che
dovrebbe essere assicurata dall’Altro primordiale…
Cosa sarebbe allora la melanconia in questo schema? Possiamo supporre che lo
specchio piano della melanconia abbia una sorta di buco, una macchia cieca, che
non consente di riflettere l’ideale dell’io e di ricomporre così l’eterogeneità tra
l’immagine e gli oggetti pulsionali che, dunque, rimangono discordanti come se ci
fosse uno sfasamento nella risposta dello sguardo. Nell’anoressia, che come
sappiamo è una patologia dell’immagine, troviamo spesso questo tratto
melanconico. L’anoressia ha spesso a che fare con uno sguardo materno che non
ha reso amabile il soggetto, che non ha risposto al suo sguardo, dunque con un
punto vuoto nello specchio piano, con un difetto nella costituzione dell’ideale
dell’io che dà origine a un’amplificazione estrema dell’ideale del corpo magro –
dell’io ideale - come compensazione della non costituzione dell’ideale dell’io.

08. Il rigetto melanconico dell’inconscio

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Lacan in Televisione definisce la mania "un rigetto dell’inconscio"? Rigetto
dell’inconscio significa pensare a soggetti senza inconscio, dove la rimozione non è
attiva. Nella mania questo rigetto prende le forme di uno scorrimento senza punti
di arresto, di una metonimia infinita non ancorata alla funzione dell’oggetto piccolo
(a). Il soggetto si dissolve in una spinta infernale, in una eccitazione imparentata
con la pulsione di morte. Dobbiamo pensare anche alla melanconia come una
forma radicale di rigetto dell’inconscio. Al centro della melanconia in effetti non
abbiamo l’esperienza del desiderio inconscio e della sua eventuale rimozione. Anzi,
dovremmo porre nell’inesistenza del desiderio, o nella presenza di un desiderio
morto, mortificato, assente un tratto clinico importantissimo per una diagnosi di
melanconia. Qui possiamo scorgere qualcosa fondamentale del passaggio dalla
melanconia freudiana alla melanconia lacaniana. Se Freud pone l’accento sul
delirio morale di colpevolezza, per Lacan in gioco è una certa distorsione nel
rapporto del soggetto col desiderio inconscio. Il rigetto dell’inconscio è, infatti,
rigetto del desiderio. E allora ne deriva che il rigetto del desiderio sarebbe tutt’uno,
almeno secondo Lacan, con l’assenza della dimensione etica della responsabilità o
meglio con l’assenza dell’assunzione della responsabilità soggettiva nei confronti
del proprio desiderio. Qui qualcosa cade e si perde. Lacan riprende e infonde un
nuovo senso al discorso di Freud intorno alla natura morale del delirio
melanconico. Per Freud la melanconia è un delirio centrato sull’autodenigrazione e
sul senso di indegnità dove il soggetto si accusa di essere responsabile, per
esempio nel delirio di rovina, di ciò che accade di terribile alla sua famiglia o nel
mondo (tratto megalomanico).. La natura delirante di questa auto-accusa
prescinde dalla responsabilità etica del soggetto. Egli si rimprovera di essere
responsabile di tutto ciò che di negativo accade, si attribuisce responsabilità
immaginarie di ogni genere, ma tutto questo non ha alcun rapporto con
l’assunzione soggettiva della responsabilità etica. Per Lacan, infatti, questa
responsabilità confronta il soggetto col proprio desiderio inconscio. Ma, come
abbiamo visto, nella melanconia il desiderio è morto e l’inconscio rigettato.
Dunque la caratteristica più rilevante della melanconia lacaniana è l’esistenza di
una forclusione etica della responsabilità di fronte al desiderio. Lo abbiamo già
sottolineato: la melanconia non è in rapporto alla problematica nevrotica
dell’assunzione o meno del proprio desiderio. La clinica della nevrosi è una clinica
dell’assunzione o meno del desiderio, nel senso che il soggetto nevrotico fatica ad
assumersi il proprio desiderio essendo impegnato a soddisfare quello degli altri. Ed

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è per questo che l’affetto depressivo, secondo Lacan, sorge proprio là dove il
nevrotico rinuncia ad assumere il proprio desiderio, cede sul proprio desiderio. Ed è
per questo che Lacan recupera l’idea di San Tommaso e dei Padri della Chiesa
secondo i quali la depressione sia da considerare innanzitutto come un peccato,
come una "viltà morale". L’’accidia è infatti considerata un vizio capitale. Ma quale
sarebbe la viltà morale della depressione? Per Lacan questa viltà consiste
nell’indietreggiare rispetto al proprio desiderio. La depressione segnala
l’allontanamento del soggetto dalla verità del proprio desiderio inconscio. E’
questa la dimensione nevrotica dell’affetto depressivo. E’ l’effetto di una rinuncia
al desiderio ed è per questo che la depressione, secondo Lacan, è un peccato. Non
è una degenerazione dell’umore, non è un venire meno della volontà, ma è un
vero e proprio peccato morale. Un peccato di viltà: la viltà di cedere sul proprio
desiderio. Tuttavia se passiamo dalla depressione nevrotica alla melanconia
psicotica, nella melanconia non troviamo la viltà, non troviamo un evitamento
della responsabilità, ma una forclusione etica della responsabilità. Il soggetto
melanconico si colpevolizza non per non aver assunto il proprio desiderio, ma
perché l’accesso stesso al desiderio è forcluso. E’ questo il cuore della clinica
differenziale dell’umore, se volessimo usare un termine classico della
psicopatologia. Da una parte l’affetto depressivo che segnala un arretramento
etico del soggetto rispetto alla responsabilità che comporta l’assunzione del suo
desiderio; dall’altra parte la struttura melanconica del soggetto come determinata
dall’impossibilità di accedere al desiderio, dalla sua forclusione, dal suo
annientamento. Se teniamo questa biforcazione come bussola allora le autoaccuse
melanconiche esprimerebbero, come dichiara Lacan, il "trionfo dell’oggetto", nel
senso che il soggetto si manifesta come totalmente coincidente con l’oggetto. Il
luogo del soggetto diventa cioè il luogo della Cosa. E’ su questo punto che
possiamo misurare tutta la distanza che separa la speculazione lacaniana da
quella freudiana. Per Freud, infatti, il fenomeno dell’autoaccusa rivelerebbe non
tanto la coincidenza con l’oggetto piccolo (a), o addirittura con la Cosa in quanto
tale (coincidenza che implica, come abbiamo visto, il rigetto dell’inconscio), ma
l’identificazione inconscia del soggetto all’oggetto perduto investito
narcisisticamente. Questo significa che in Freud c’è un’incertezza, un’oscillazione
teorica tra la nozione di melanconia come stato depressivo e come struttura
psicotica. Se nel passaggio all’atto suicidarlo il soggetto, come sottolinea Freud,
colpendo se stesso in realtà colpisce l’oggetto che l’ha abbandonato, rivelando in

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questo modo tutta l’aggressività trattenuta nell’affetto depressivo, al centro non
c’è affatto la coincidenza identitaria alla Cosa, ma il rapporto con l’oggetto
narcisistico e con il suo valore fallico. Quando invece affermiamo che il soggetto
melanconico rifiuta, rigetta o forclude l’inconscio, al centro non c’è affatto
l’identificazione narcisistica ad un oggetto, al quale è sospeso il valore fallico del
soggetto, ma la coincidenza assoluta con l’oggetto piccolo (a) o, se si preferisce,
con la Cosa primordiale. Perché con la Cosa? Perché in realtà l’oggetto piccolo (a),
finendo per coincidere con l’esistenza stessa del soggetto, non si sposta nel campo
dell’Altro. Resta più Cosa che oggetto; non si trasferisce nel campo dell’Altro, ma
rimane incollata al soggetto come un godimento senza castrazione, adesivo,
inerte. Non c’è, direbbe Lacan, transfert primario dell’oggetto nel campo dell’Altro.
La Cosa non si frammenta nell’oggetto piccolo (a), non si delocalizza, non si
trasferisce nel campo dell’Altro e dunque non può dare luogo al desiderio
dell’Altro. Il soggetto, senza desiderio, resta solo la merda della Cosa. Allora nelle
autoaccuse autenticamente melanconiche non troviamo, come pensava Freud, il
rimprovero dell’oggetto, ma, seguendo Lacan, il trionfo dell’oggetto sul soggetto.
Nella mania, come nella melanconia, il soggetto, come si esprime sempre Lacan,
non è attrezzato di alcun piccolo (a). Questo significa che il desiderio non è attivo
in quanto tale perché non c’è alcun oggetto investito della funzione di oggetto che
causa il desiderio. E se non c’è nessun oggetto che causando il desiderio lo fissa
nel quadro del fantasma, allora il soggetto, come avviene in modo eclatante nella
mania, è consegnato alla metonimia pura, infinita e ludica della catena
significante. Se il soggetto non è attrezzato dell’oggetto piccolo (a), cioè se il suo
desiderio non è fissato fantasmaticamente su di un oggetto che lo causa, ma slitta
metonimicamente da un oggetto all’altro, allora avremmo la dimensione infernale
della mania. In questo senso per Lacan, diversamente da Melanie Klein, la mania
non è una difesa dalla depressione e dalla pulsione di morte ma una sua
manifestazione estrema. E’ ciò che sa bene e che sfrutta il discorso del capitalista;
il suo tenore fondamentalmente maniacale consiste nel considerare la
consumazione come un circuito di riciclo infinito del godimento dove il soggetto
stesso si perde in questo consumo dissipativo di tutto.
Ricapitolando la tesi della melanconia come forclusione etica significa che nel
melanconico l’esperienza del soggetto dell’inconscio, l’esperienza del desiderio, è
annientata. Di qui il fenomeno elementare dell’autoaccusa che segnala che ciò che
non è stato soggettivato, ovvero la responsabilità nei confronti del proprio

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desiderio, ritorna nel reale sotto forma di una colpa incalzante e spietata sostenuta
e animata dal postulato di indegnità. Al posto dell’assunzione soggettiva del
proprio desiderio avremmo allora la certezza delirante dell’indegnità che è l’effetto
preciso del ritorno nel reale della responsabilità etica forclusa. Questo mi pare il
fenomeno centrale nella melanconia. E qui dobbiamo poter stabilire tutta la
differenza tra la depressione nevrotica e la melanconia psicotica.

09. Melanconia e sublimazione

Questa differenza strutturale tra depressione nevrotica e melanconia psicotica


orienta anche la conduzione della cura: rispetto alla depressione nevrotica
dobbiamo fare in modo di riabbonare il soggetto al desiderio perché possa andare
oltre la viltà che l’accompagna. Nel trattamento della melanconia, invece, il
problema non è quello di come riattivare il soggetto del desiderio (che non esiste
perchè è stato forcluso), quanto piuttosto evitare che il senso di colpa e di
indegnità ritorni troppo massicciamente nel reale. Come è possibile? Come
possiamo trattare la certezza delirante di indegnità che caratterizza il soggetto
melanconico? Come possiamo attenuare i colpi dell’auto-accusa delirante? Come
possiamo trattare la coincidenza assoluta del soggetto con l’oggetto piccolo (a)?
Per ragioni di tempo mi limito a indicare una sola direttrice, quella del rapporto tra
la melanconia e la sublimazione. Sappiamo che il soggetto psicotico ha una
tendenziale difficoltà ad accedere alla sublimazione. Per il Lacan dei Complessi
familiari, infatti, la psicosi è l’impossibilità della sublimazione. Nel caso della
melanconia questa difficoltà continua a sussistere a fianco però ad una certa
inclinazione sublimatoria che si lega al fatto che il soggetto melanconico è un
soggetto esposto al vuoto, all’assenza della Cosa (anche se, non dimentichiamo,
egli tende a trasmodare questa assenza in una presenza, questo vuoto in un pieno
di godimento) che Lacan pone come condizione di ogni attività sublimatoria.
Possiamo facilmente constatare come e quanto il melanconico sia attratto dagli
oggetti estetici. E, d’altra parte, si potrebbe anche dire, rovesciando questa
affermazione, che l’oggetto estetico in quanto tale implichi a sua volta uno stato
melanconico in chi lo contempla, nel fenomeno stesso della fruizione estetica, e,
più radicalmente ancora, che la creazione artistica come tale implichi
un’inclinazione melanconica. Se seguiamo le indicazioni di Lacan, contenute nel
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Seminario VII, la sublimazione è definita come ciò che eleva l’immagine estetica
alla dignità della Cosa. C’è una sensibilità particolare di molti melanconici rispetto
all’oggetto estetico e rispetto alla creazione artistica. O se preferite c’è una
sensibilità particolare del melanconico rispetto alla necessità della contemplazione
della bellezza dell’immagine.
Sappiamo che la sublimazione come possibilità di trasformazione della forza della
pulsione sessuale in oggetti culturali, in forme, ha come sua condizione il vuoto,
l’assenza della Cosa. Solo se la cosa è assente è possibile, infatti, elevare un
oggetto alla sua dignità. L’esperienza del vuoto e dell’assenza è un’esperienza
centrale nella creazione artistica. E qui troviamo la prossimità tra la creazione
artistica e la melanconia perché la melanconia ha un rapporto stretto con il
vuoto…Tutti gli oggetti d’arte nella prospettiva di Lacan sono cosificazioni
dell’oggetto, sono oggetti che evocano l’assoluto della Cosa, sono in un rapporto
stretto con la Cosa. Come dire che la creazione è in un rapporto particolare con la
dimensione melanconica. Non con la struttura melanconica ma con la condizione
melanconica. Solo chi ha incontrato il vuoto della Cosa può generare la bellezza.
Solo chi ha incontrato palea può generare agalma. L’artista compie il passaggio dal
vuoto alla sua realizzazione estetica. Questa è la sublimazione artistica: elevare
un’immagine alla dignità assoluta della Cosa. C’è una fascinazione melanconica
negli oggetti estetici. Pensiamo per esempio alle bottiglie di Morandi o alle nature
morte di Chardin. La nostalgia è un modo di rapportarsi al passato che però non
troviamo nella melanconia dove abbiamo invece la fissazione del passato…Mentre
la nostalgia mostra il passato attraverso il filtro della lontananza, nella melanconia
il passato è un incubo, il passato non passa, il passato assedia il soggetto. E’
impossibile da dimenticare. La nostalgia segnala invece una distanza dal passato e
anche una libidicizzazione dell’oggetto assente come se l’oggetto assente fosse
investito da una carica vitale…. La nostalgia fa esistere in modo libidicamente
vitale l’oggetto assente. Per questo Lacan nel Seminario IV Lacan ci ricorda che c’è
una dimensione nostalgica del desiderio perché il desiderio insiste nel puntare
all’oggetto perduto nonostante non possa mai ritrovarlo. In ogni caso l’oggetto
perduto resta al cuore del desiderio. Nella melanconia invece non c’è sentimento
nostalgico perché il passato è indimenticabile, perché non c’è distanza, non c’è
lontananza dal passato ma un eccesso della sua presenza. Il soggetto è sommerso
dal passato. È un altro modo di intendere la formula di Lacan secondo la quale il
tratto decisivo della melanconia è il "trionfo dell’oggetto".

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Lacan e la lezione dell'isteria

01. La clinica dell'isteria è una clinica del corpo

Per Freud la clinica dell'isteria è innanzitutto una clinica del corpo. Precisamente, è
una clinica che si fonda sul potere espressivo del corpo, sulla dimensione che
Lacan definirebbe “simbolica” del corpo, sulla teatralizzazione significante del
corpo. Per questo nel caso di Dora e in altri testi dedicati da Freud all'isteria
troviamo come concetto cardine il concetto di “compiacenza somatica” o di
“conversione somatica” per definire la plasticità del corpo isterico nel tradurre, nel
convertire, appunto, somaticamente i conflitti di ordine psichico che attraversano il
soggetto. La conversione è conversione dello psichico nel somatico, dei pensieri
inconsci nel corpo. È convertire i pensieri inconsci in fenomeni del corpo. Perchè
sottolineo questa questione dei pensieri inconsci? Perchè è l'esatto rovescio di
quello che accade nella nevrosi ossessiva. Nella nevrosi ossessiva assistiamo ad
una conversione del corpo nei pensieri, dei fenomeni di eccitazione del corpo in
ruminazioni, disturbi dell'attenzione, disturbi del pensiero. Mentre nell'isteria
abbiamo una conversione dei pensieri inconsci nel corpo (conversioni somatiche)
nella nevrosi ossessiva avremo un problema del disturbo del pensiero
(ruminazione dubbiosa) causato dall'eccitazione inconscia del corpo di cui
l'esempio più eclatante è l'apparizione nella catena ordinaria dei pensieri di parole
blasfeme. Nella parola blasfema che si impone nel pensiero ossessivo noi
dobbiamo sempre reperire una “corrente”, per usare il lessico freudiano,
“eccitatoria” del corpo sessuale che fa irruzione nel cogito, nella cogitazione
autoreferenziale del soggetto disturbandola , scompaginandola, disassettandola.
Nella figura della compiacenza somatica, invece il corpo sta al posto dei pensieri rimossi. E' la
natura metaforica del sintomo isterico : il fenomeno di conversione sta al posto del
pensiero rimosso. Sta al posto, potremmo dire, del ricordo rimosso. Per questo
Freud, attraverso l'isteria, costruisce l'idea che la psicoanalisi curi attraverso i
ricordi. Più il soggetto ricorda (più il soggetto supera la barra della rimozione) e più
il fenomeno di conversione si riduce. Quindi il sintomo in questo senso, sta al posto
di qualcosa che non è ricordato. Ma sta al posto anche di qualcosa, dice Freud, che

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non è mai avvenuto, cioè sta al posto di un desiderio sessuale che non ha mai
trovato nella realtà il suo appagamento, nè la sua iscrizione nella catena dei
pensieri coscienti, perchè ha piuttosto subìto l'effetto della rimozione. In questo
senso nel sintomo isterico ritorna qualcosa che non è mai avvenuto. Quindi,
potremmo dire, che nel fenomeno di conversione si manifesta una
sessualizzazione inconscia del corpo che resta per Freud nella clinica dell'isteria la
questione centrale. Il passo successivo compiuto da Lacan sull'isteria consiste nel pensare che il
fenomeno di conversione non sia affatto sufficiente per avvalorare la diagnosi di isteria
perchè in realtà possiamo trovare fenomeni di conversione in tutte le strutture
cliniche. Nella nevrosi ossessiva possiamo trovare diversi fenomeni di conversione
perchè, secondo Lacan, il corpo del parlessere, il corpo dell'essere parlante, il
corpo umano come tale, strutturato dal linguaggio, si presta elettivamente a
produrre conversioni in quanto è irriducibile alla funzionalità lineare e meccanica di
una macchina. Quindi, secondo Lacan, il fenomeno di conversione non è decisivo
per la diagnosi di isteria. Piuttosto nel pensiero di Lacan c'è l'idea di un'estensione
del concetto di conversione al corpo in quanto strutturato dal simbolico. Quindi il
corpo dell'essere parlante, essendo strutturato dal simbolico, si presta sempre a
fenomeni di conversione.

02. Un difetto di specularizzazione

La seconda grande figura freudiana dell'isteria è la cosiddetta “bisessualità”


inconscia. C'è un articolo di Freud sulla bisessualità nell'isteria, che è l'articolo su
cui Lacan poggia tutta la sua teoria del fantasma, dove Freud distingue sintomo e
fantasma, cioè distingue il sintomo di conversione come tipicamente isterico dal
fantasma che lo sostiene, che è, per Freud, nell'isteria, sempre un fantasma di
bisessualità. Si tratta dell'articolo titolato : Fantasie isteriche e loro relazioni con la
bisessualità ( 1908).Dunque: che cosa vuol dire un fantasma di bisessualità? Si tratta di un
fantasma caratterizzato dalla presenza in un soggetto femminile di una identificazione virile inconscia.
Certamente, l'isteria può essere anche maschile. Vi porterò nella prossima lezione
un caso di isteria maschile tratto dal Seminario III; il caso del Tranviere. In questo
Seminario, interamente dedicato alla psicosi, c'è una parentesi che Lacan apre
sull'isteria maschile. È interessante vedere come l'isteria si possa trovare anche
negli uomini. Il fantasma di bisessualità significa che in una donna che vi sia

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un'identificazione inconscia virile e in un uomo vi sia un'identificazione inconscia
femminile. Il cuore psicopatologico dell'isteria interroga che cosa significa essere
uomo o essere donna. Interroga l'identità sessuale. Significa che la vera questione
dell'isteria è quella dell'identità sessuale, della determinazione dell'identità
sessuale. Christofer Bollas, nel suo testo intitolato Isteria, mostra come molte
diagnosi contemporanee di borderline possono essere ricondotte all'isteria. In
questo testo Bollas mostra con ragionevolezza che c'è un uso decisamente
inflattivo della diagnosi di borderline e che molte diagnosi di borderline possono
essere ricondotte a forme gravi di “isteria maligna". Bollas afferma una cosa
fondamentale sulla bisessualità isterica, che riprende, essendone un lettore molto
raffinato, da Lacan, quando sostiene che la madre dell'isterica non ha rifiutato
l'esistenza della sua bimba, non c'è stato un rifiuto che ha colpito l'esistenza, non
c'è stato un rifiuto dell'amore. Il che come sappiamo aprirebbe a quadri depressivi
e melanconici. Non c'è stata, dunque, la negazione dell'amore, ma la negazione
del corpo in quanto sessuale. Lacan a suo modo, negli anni Cinquanta, dice la
stessa cosa quando sostiene che nell'isteria troviamo un difetto della
specularizzazione narcisistica del corpo femminile.Negli anni Cinquanta Lacan
costruisce questa teoria della causalità psichica dell'isteria sostenendo che vi
sarebbe stato uno stadio dello specchio compiuto - l'isteria non è una psicosi -, ma
compiuto in modo difettoso, perchè la dimensione sessuale del corpo non è
entrata nella specularizzazione narcisistica, ma è rimasta come fuori, fuorclusa.
Questo, per Lacan, spiega perchè l'isteria sia più femminile che maschile, in
quanto per il corpo femminile è più difficile trovare una specularizzazione
narcisisticamente adeguata poiché non c'è il fallo che funziona come organo su cui
si appoggia la specularizzazione. Il sesso femminile non è, cioè, rappresentabile,
non si può rappresentare compiutamente in una immagine visibile. Qualcosa della
donna, della femminilità, resta come sospeso, non entra nella specularizzazione,
resta vuoto. Di qui, secondo Lacan,deriva il fatto che l'isterica cerchi sempre
un'altra donna situata in una posizione ideale attraverso la quale completare il
proprio stadio dello specchio: l'amica, la moglie dell'amico, la madre, la seconda
moglie del padre ecc.. La donna cerca sempre nell'altra donna l'immagine ideale di
sé allo specchio, cioè cerca nell'altra donna la realizzazione ideale della
femminilità, cerca sempre nell'altra donna il completamento immaginario del
proprio stadio dello specchio. Un supplemento ideale che le consenta di includere
ciò che lo sguardo materno ha lasciato fuori dal campo della specularizzazione.

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Una donna che sappia incarnare il segreto della femminilità. Abbiamo degli esempi
freudiani classici: nel caso della Bella macellaia quest'altra donna è l'amica magra,
nel caso di Dora quest'altra donna è la Madonna come immagine religiosa che
Dora contempla estasiata, nel caso della giovane omosessuale l'altra donna si
concreta nella donna mondana e più anziana. Troviamo sempre nelle storie delle
isteriche la presenza di questo elemento dell'”altra donna”, che realizza l'ideale
narcisistico del soggetto, che sa qualcosa sul godimento femminile, che detiene un
sapere sul godimento femminile, sul che “cos'è una donna ?”. Secondo Lacan la clinica
dell'isteria è una clinica che interroga la differenza tra i sessi. La questione dell'isteria è : “sono un uomo
o sono una donna?”. Il dubbio isterico è centrato sull'essere uomo o sull'essere donna. Così come la
questione ossessiva, che calamita il pensiero e l'attività immaginativa
dell'ossessivo, è: “sono vivo o sono morto?” Da una parte l'identità sessuale,
dall'altra la differenza fra essere morto e essere vivo. Allora il fantasma isterico della
bisessualità, almeno per Freud, consiste in un'identificazione inconscia al sesso
opposto. Lacan rilegge la questione della bisessualità freudiana mettendo al cuore
della soggettività isterica l'interrogazione sull'identità sessuale: "quale è il mio
sesso?" “Che cosa significa essere una donna?” “Che cos'è una donna?” “Come
gode una donna?” Sono tutte questioni problematiche già presenti in Freud. Ma
Lacan introduce, su questo quadro freudiano, la questione del desiderio isterico
come tale.

03. L'amore per il padre

La terza figura freudiana della clinica dell'isteria, dopo quella della conversione e
della bisessualità, è la figura dell'Edipo, cioè l'isteria è una manifestazione del
complesso edipico. Qual è l'elemento più rilevante del complesso edipico isterico?
E' l'amore per il padre. Se dovessimo trovare qual è l'elemento edipico centrale
nelle storie dei soggetti isterici è che c'è una passione paterna, solitamente
corrisposta. Tra il soggetto e il padre c'è una relazione privilegiata sul lato
dell'amore. L'isterica è stata la prediletta dal padre. Solitamente questo si
accompagna anche ad una idealizzazione infantile della figura del padre, ad una

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erotizzazione del rapporto con il padre, il quale però si rivela essere castrato,
deludente, impotente. Quindi, nell'isteria troviamo sia l'idealizzazione del padre-
Maitre, sia l'incontro con la sua debolezza, con la sua fragilità, con la sua
doppiezza, con la sua castrazione. Castrazione che sospinge il soggetto isterico
inconsciamente a voler essere ciò che colma l'impotenza e la mancanza del padre.
In Freud il momento centrale dell'isteria è l' innamoramento infantile per il padre
che di solito prende la forma di un fantasma specifico. Troviamo questo nel fantasma della
giovane omosessuale, un caso di omosessualità isterica, dove il fantasma infantile che
struttura l'Edipo di questa bambina, è: “voglio un figlio da mio padre!”. Spesso
troviamo questo fantasma di fare un bambino con il papà che è un fantasma
edipico fondamentale. Nel caso della giovane omosessuale c'è questo pensiero che
noi traduciamo come fantasma :"io e il papà facciamo un bambino!". Poi, nel caso
della giovane omosessuale di Freud, accade che dopo diversi anni la madre
rimanga incinta del papà e che dunque non sono io ma è la mamma che ha fatto
un bambino con il papà.... Da lì l'Edipo si rovescia dall'amore in odio e la ragazzina
adolescente decide, per protesta, di farsi amare da una donna. L'amore
omosessuale che la lega a questa donna viene agito provocatoriamente contro il
padre : “guarda e impara che cos'è il vero amore!”, “guarda come ci si ama
veramente!”. L'amore tra queste due donne vuole essere un amore profondo,
illimitato, senza egoismi. Quindi l'amore omosessuale viene opposto
provocatoriamente, come gesto di sfida, rispetto a un padre che, secondo la
giovane isterica, non sa amare, non sa che cos'è l'amore autentico, l'amore
sganciato dalla passione fallica dell'avere. Qui si vede bene la centralità della
delusione edipica - della delusione inferta dal padre che non sa amare, dal padre
traditore, dal padre che delude le aspettative, che può anche prendere le forme di
un godimento paterno troppo esibito fino al limite dell'abuso sessuale, dal padre
che ha deluso l'idealizzazione - come una vera e propria costante della clinica
dell'isteria.

04. Il disgusto

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L'altro elemento diagnostico importante è il fenomeno del disgusto, a cui Freud,
nella sua teoria dell'isteria, dà un grande rilievo clinico. Perché il disgusto è un
sintomo tipico dell'isteria? Il disgusto è una risposta somatica che può assumere
forme varie; dalla nausea, al rigetto, sino al vomito bulimico. Il disgusto è una
risposta tipicamente isterica di fronte al corpo dell'Altro e al proprio corpo ridotto a
puro oggetto di godimento. Il disgusto isterico segnala, sempre per Freud, la
presenza di un piacere rimosso, impossibile da soggettivare. L'effetto di questa
impossibilità di soggettivazione del piacere sessuale, comporta una riduzione del
corpo a puro oggetto, per esempio, del fallo a puro pene, del corpo alla nuda
carne. E quando il corpo erotico è ridotto alla nuda carne appare il fenomeno del
dégout che è un fenomeno che segnala, appunto, la difficoltà del soggetto a
soggettivare il godimento sessuale del proprio corpo. Ritroviamo qui la questione
della specularizzazione incompiuta dell'isteria. Il dégout è un'espressione somatica
del difetto della specularizzazione narcisistica del corpo sessuale. Le forme del
dégout variano da forme di desensibilizzazione, all'anestesia del corpo, alla
frigidità, alla difficoltà della penetrazione, o alla moltiplicazione del godimento
sessuale che porta con sé un senso profondo eccesso, di nausea. È importante
ricordare questa traccia freudiana del disgusto isterico. Si tratta sempre di un
fenomeno ambivalente perché per un verso manifesta un piacere sessuale ma solo
in una forma negativizzata, sotto false spoglie, solo nella misura in cui lo rimuove
come avviene, più in generale, per il rifiuto isterico che, come vedremo meglio
nella prossima lezione, respinge proprio ciò che desidera: “ ti dico di no, ma solo
perché voglio dirti di sì!”. Con una mano il soggetto si spoglia e con l'altra si
riveste, secondo la celebre immagine freudiana. Il disgusto rientra, quindi, in
questa strategia isterica del “no!” che è un “sì!”, del piacere sessuale che può
manifestarsi solo se rimosso, quindi solo in maniera negativa, per
negativizzazione. L'altra faccia del disgusto è che esso segnala la riduzione del corpo-erotico al
corpo-carne. E' l'estremo tentativo di evitare l'incontro sessuale. Di fronte alla
difficoltà dell'incontro sessuale si possono costruire fobie, rituali ossessivi, ci può
essere angoscia...Nell'isterica incontriamo il disgusto come difesa dal reale del
sesso. Se volete questa è anche tutta la matrice isterica dell'anoressia: essere
oggetto del godimento dell'Altro provoca il disgusto anoressico, genera il rifiuto
anoressico come modo per mantenere la propria soggettività. Il rifiuto del
godimento, l'opposizione alla domanda dell'Altro (“mangia!”), è finalizzato a
preservare la propria soggettività. Il rifiuto del mangiare può prendere

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nell'anoressia le forme del dégout , del vomitare bulimico o dell'essere nauseata
dall'idea del cibo, sino a delle forme più organizzate di fobie alimentari.... Il disgusto
svela anche quale sia il punto di differenza fondamentale tra l'isteria e la donna. In una donna,
sufficientemente sana, infatti, l'incontro con il corpo sessuale non provoca affatto disgusto, ma apre il
corpo all'incontro col godimento.

05. Sdoppiamento del corpo

Permettetemi di approfondire tra tutte queste figure, quella principe della clinica
freudiana che è quella della “compiacenza somatica”. Vi invito a leggere un mio
articolo sulla Rivista Sperimentale di Freniatria del 2007 dove c'è una riflessione
sul problema del rapporto corpo-angoscia. Di questo articolo mi interessa solo
riprendere un commento che ho fatto a un testo di Freud del 1910 intitolato
Disturbi psicogeni della visione che vi invito a leggere e che è stato recentemente
messo in valore dalle letture di Paul Assoun e Jacques-Alain Miller. Questo testo
parte dal considerare un sintomo isterico abbastanza frequente, cioè un sintomo di
conversione che colpisce lo sguardo. Si tratta di momenti di cecità, di
perturbazione della visione, senza che però vi siano danni organici degli occhi,
disturbi della visione, percezione a macchie, visione puntiforme, cecità
transitorie... Freud riprende il disturbo psicogeno della visione come un paradigma
della conversione somatica isterica e, implicitamente, propone una sorta di
sdoppiamento del corpo. Propone cioè l'idea che il corpo umano sia un corpo
sdoppiato. Noi abbiamo nella storia della filosofia la matrice platonico-cristiana che
separa l'anima dal corpo, abbiamo filosoficamente l'idea metafisica di un dualismo
fondamentale tra anima e corpo. Lo sdoppiamento platonico-cristiano, anche se
sarebbe tutta da discutere la compatibilità tra platonismo e cristianesimo, si
istituisce sulla separazione dell'anima dal corpo. Tutta una filosofia al tempo di
Freud, che viene chiamata fenomenologia, ha compiuto uno sforzo enorme per
ricucire questa separazione. La fenomenologia pensa il corpo non come corpo
separato dall'anima, ma come corpo profondamente congiunto all'anima. La
fenomenologia ricompone il dualismo fondamentale della tradizione platonico-
cristiana: non si dà corpo senza anima e non si dà anima senza corpo. L'anima è
sempre incarnata e il corpo è sempre animato. Questo movimento trova in Husserl
e Merleau Ponty, e nella psichiatria fenomenologica di Jaspers, Binswanger e
Basaglia, dei rappresentanti fondamentali. Ma la psicoanalisi non prende questa

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via. Diversamente da ciò che credono Merleau-Ponty e i fenomenologi, la
psicoanalisi non è una teoria del corpo che si limita a mettere insieme spirito e
materia. Essa non teorizza che non si dà spirito senza incarnazione e non si dà
incarnazione senza spiritualità. Piuttosto in Freud noi troviamo una concezione del
corpo sdoppiato, che non è però il recupero della lacerazione metafisica propria
della tradizione platonico-cristiana. Cosa vuol dire allora“corpo sdoppiato”? Vuol dire che
Freud interrogando il disturbo psicogeno della visione sembra distinguere la funzione biologica inscritta
geneticamente, la funzione biologico-percettiva dell'occhio come strumento
anatomico che ci permette di vedere e orientarci nel mondo, dunque il corpo come
bios, il corpo come organismo-vivente, dall'occhio come luogo di un “più di
piacere”, di un supplemento di piacere, dall'occhio come organo animato dalla
pulsione sessuale. Un conto è l'occhio che ci permette di vedere e che appartiene
all'occhio biologico, un conto è l'occhio che ci permette, vedendo, di godere. E
questo corpo, il corpo del godimento, sarebbe il corpo pulsionale. Quindi l'occhio
deve servire simultaneamente due padroni; serve il padrone biologico e serve il
padrone libidico. Mentre uso l'occhio come organo biologico che mi permette di
vedere e di orientarmi nel mondo, questo uso può essere perturbato, scosso,
sconvolto, scompaginato, dalla interferenza del “piacere di vedere”, cioè
dell'occhio in quanto organo della pulsione. Allora qual è la tesi di Freud quando si
producono i disturbi psicogeni della visione? Tesi che potremmo estendere a tutti i
disturbi di conversione. Parliamo dell'occhio ma potremmo in effetti parlare di
qualunque parte anatomica del corpo. Allora i disturbi psicogeni - non organici -
della visione si producono, secondo Freud, ogni qual volta il corpo pulsionale si
impone sul corpo biologico; quando cioè c'è un eccesso nell' erotizzazione
dell'organo. Quando il piacere di vedere è talmente forte, intenso, eccitante che
disturba la funzione squisitamente percettiva dell'organo. Freud sostiene che il disturbo
psicogeno c'è perché: "se la pulsione sessuale parziale che si serve del guardare per il piacere
sessuale di guardare, se questa pulsione ha attirato su di sé a causa delle sue eccessive pretese -cioè è
troppo forte- la reazione difensiva delle pulsioni dell'Io, cosicchè le rappresentazioni nella
quale si esprime la sua aspirazione cadono preda della rimozione e vengono
tenute lontano dalla coscienza, la relazione dell'occhio e della vista con l'Io e la
coscienza ne risulterà disturbata". Nel momento in cui il piacere di guardare viene
rimosso, cioè l'io rimuove questo piacere di guardare, la funzione della visione
risulta perturbata perché si trova eccessivamente caricata di un investimento
libidico. Mi pare che la clinica dell'isteria sia la clinica che più di tutte mette in risalto lo

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sdoppiamento tra il corpo biologico e il corpo pulsionale e ogni qualvolta abbiamo
fenomeni di conversione isterica, dobbiamo interrogare la zona del corpo colpita
dalla conversione come una zona erogenizzata inconsciamente. Allora nel disturbo
della visione c'è anche il ritorno della censura dell'Io, dell'attività difensiva dell'Io
rispetto alla pulsione. Non ti faccio più vedere perché vedere per te è godere!

06. La teoria lacaniana dei due corpi

Lacan ritorna sullo sdoppiamento del corpo tra corpo-bios e corpo-sessuale


attraverso quella che ho definito la “teoria dei due corpi” che trovate in Lacan
soprattutto in un piccolo testo dal titolo Television e Radiophonie, che è costituito
da un'intervista che diede alla televisione francese e da alcune interviste alla radio
culturale francese. In questi testi orali Lacan parla diffusamente del corpo e
distingue due corpi: il corpo biologico dell'organismo vivente e il corpo del
linguaggio. Il corpo del linguaggio, che è un corpo che ha una sua materialità che è
la materialità del significante, opera una presa sul corpo biologico. Abbiamo visto
tante volte questo movimento fondamentale in cui il corpo biologico è preso da
subito dal corpo del linguaggio. Non c'è alcun prima. Il corpo è da subito corpo
educato alla pulizia, iscritto in un certificato anagrafico, battezzato. È un corpo
sottoposto a tagli simbolici. È un corpo corps, dice Lacan (corps in inglese vuol dire
cadavere), è un corpo cadaverizzato dal linguaggio. Il linguaggio, è come una
“cesoia” che taglia il corpo: il taglio del cordone ombelicale, lo svezzamento,
l'educazione sfinteriale sono tutti tagli simbolici sul corpo che negativizzano,
corpseificano il corpo. In questo senso il linguaggio è una cesoia in atto, è ciò che
produce una separtizione del corpo. Alcuni oggetti vengono perduti: viene perduta
la placenta, viene perduto il seno, le feci. E' il corpo che è l'effetto, il pathos, di un
taglio, come teorizza Lacan ne il SeminarioX.Il corpo è corpo desertificato dal godimento,
svuotato dal godimento. Il corpo è svuotato, desertificato, separtito in quanto il corpo
biologico è incorporato nel corpo del linguaggio. Qual è allora la relazione tra il
corpo biologico e il corpo del linguaggio? È precisamente una relazione di
incorporazione. Il corpo biologico è incorporato nel corpo del linguaggio e il
risultato di questa incorporazione è il corpo pulsionale. Il corpo pulsionale è il
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risultato dell'incorporazione del corpo dell'organismo nel corpo del linguaggio; è il
prodotto dell'incorporazione del corpo biologico nel linguaggio. È per questo che
Lacan dice in Television che il corpo è il "luogo dell'Altro". Il corpo non è il luogo del
soggetto, ma è il luogo dell'Altro perché è prodotto dai significanti, cioè è prodotto
dal corpo del linguaggio. Io porto un nome che ha deciso l'Altro, sono stato
educato attraverso le operazioni della cura dell'Altro, sono stato alienato ai suoi
significanti, fabbricato dal suo discorso...Se volete la madre lacaniana è la madre che incarna
l'incorporazione del corpo biologico; le cure materne sono la prima incarnazione del
linguaggio. Il linguaggio passa dalla cura materna al corpo del bambino. È la madre
che lo pulisce, che lo allatta e lo svezza, che lo introduce al linguaggio. È
attraverso la madre che si incarna il linguaggio perché la madre si occupa del
corpo del bambino: lo veste, lo sveste, lo educa, gli fa fare la cacca, la pipì. E' la
madre che ha questo rapporto stretto con il corpo del bambino....E' la madre che
veicola primariamente l'azione di cesoia del significante.
Domanda: c'è una somiglianza con il concetto bioniano di reverie?
Risposta: La reverie bioniana riguarda la creazione di un ambiente comunicativo
che rende possibile l'emergere del pensiero nel bambino grazie all'apporto del
pensiero e della presenza materna. La funzione della madre lacaniana è però
ancora precedente la reverie, perché pone la condizione di possibilità della reverie.
Qual è la condizione della reverie (cioè di quello scambio di presenza, sguardi,
emozioni tra madre e figlio che rendono possibile la nascita del pensiero)? Il
pensiero non si sviluppa geneticamente, come fa notare giustamente Bion, ma
solo grazie a questo transito tra l'uno e l'Altro, a questo scambio tra bambino e
madre, a questo nutrimento reciproco, sognante, fatto di fantasia. Ma la condizione
per cui ci sia reverie non è forse che il corpo sia tagliato, cioè separtito? Questo è
un punto che Bion probabilmente non coglie. La madre lacaniana non è solo la
madre-coccodrillo. La madre lacaniana è anche la madre che incarna il linguaggio;
è anche la madre del dono del segno di riconoscimento che permette
l'umanizzazione della vita. Ma la madre lacaniana porta anche gli effetti di taglio
del linguaggio, quindi della frustrazione del proprio bambino. Sa introdurre una
perdita di godimento che prende forma anche nel semplice vestire e svestire un
bambino. L'atto di vestire e svestire un bambino è l'atto di introdurlo in un mondo
simbolico. Quando Lacan passa dall'idea dell'inconscio strutturato come un
linguaggio all'idea dell'inconscio strutturato come lalangue è perché pensa che c'è
un tempo materno della lingua. Lalangue è davvero la lingua materna. La

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lallazione è generata dallo scambio con la madre. Certo, per accedere al
linguaggioc'è bisogno di dematernalizzare lalangue. Ma se c'è bisogno di
dematernalizzarla è proprio perché la lingua si struttura attraverso la madre come
lalingua.Il padre è sempre presente in tutto questo come paletto fallico che Lacan pone nella funzione
di sbarrare le fauci della madre-coccodrillo. Bisogna che la madre sia ancorata saldamente al fallo
paterno, che desideri andare a letto con il suo uomo e non con il suo bambino!. Quando
Lacan parla della “follia fallica” o della “perversione primaria” le colloca sul lato del
bambino e sul lato della madre. Si vogliono mangiare! Si vogliono sbafare
recirpocamente! Per questo ci vuole il paletto paterno, ci vuole qualcosa che
impedisca l'incesto su ambo i lati. L'incesto del bambino verso la madre e l'incesto
della madre verso il bambino. Il desiderio materno, detto in altri termini, non può
avere come unico oggetto il bambino, ma, come insegna Lacan, deve volgersi al di
là del bambino. Meglio se in direzione di un uomo, ma può essere anche un uomo
al di fuori della famiglia e può anche essere benissimo un lavoro, una passione,
qualcosa che attira il desiderio della donna al di là della madre......
Domanda: Lacan non contempla aspetti preverbali nella relazione madre-
bambino, intesa proprio come comunicazione corporea, come una
comunicazione silenziosa?
Risposta: Se noi diciamo che il corpo è il luogo dell'Altro, lo è ancora prima che il cucciolo
dell'uomo venga al mondo. Il bambino ha un nome scelto dall'Altro, arriverà in una
famiglia che non ha voluto, una famiglia che sarà a sua volta condizionata da
fantasmi suoi, dai fantasmi della generazione precedente, in un campo sociale e
culturale a sua volta iperdeterminato.... Non c'è preverbale da questo punto di
vista. Siamo sempre immersi nel campo del linguaggio. Il linguaggio viene prima. Il
corpo del linguaggio fabbrica il corpo pulsionale. La pulsione non viene prima del
linguaggio. La pulsione è prodotta dall'azione del linguaggio che, come abbiamo
visto, è un'azione di taglio che implica una perdita di godimento. Il bambino
quando viene al mondo è non viene al mondo come un evento naturale. La sua
nascita allude già al linguaggio perché decide di nascere. La prima decisione che
noi prendiamo è, come diceva Sartre, quella di nascere. Noi per nascere dobbiamo
volerlo. C'è una decisione insondabile: veniamo al mondo e poi quando veniamo al
mondo entriamo in un campo già costituito di affetti, di relazioni, di significanti;
l'incorporazione del linguaggio altera ulteriormente l'organismo biologico e lo
pulsionalizza. Tutto questo avviene in una sincronia; non c'è diacronia, non c'è un
prima e un dopo. Si tratta, a proposito del linguaggio, sempre di un taglio

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sincronico. Ebbene anche i gesti sono dei significanti. I gesti sono tutti significanti.
L'analista sa che i gesti sono significanti. A volte il corpo dell'analista può
intervenire nell'analisi, soprattutto nell'isteria. Certi piccoli gesti dell'analista
veicolano dei significanti: il modo in cui accoglie la paziente, la saluta, la congeda,
è già l'incontro con dei significanti.....I gesti materni per il bambino diventano
subito significanti. Il dono del seno è un significante dell'amore... Il significante
vuol dire che tutto ciò che noi facciamo non risponde al logos biologico, ma
risponde ad un ordine di linguaggio che è ciò che umanizza la vita. E' vero che la
taglia, la separtisce, la spezzetta, la frammenta ... ma, proprio per questo, la
umanizza.Per essere sintetico direi che questa dimensione nel rapporto tra madre e bambino ha un
solo nome ed è il “desiderio dell'Altro”. C''è o non c'è il desiderio dell'Altro ad
accogliere e ad umanizzare la vita? E come si incarna il desiderio dell'Altro? Certo
si può incarnare in mille modi, ma c'è o non c'è la sua incarnazione? Questo è il
punto clinico massimamente rilevante che dobbiamo interrogare interrogando la
madre, il partner, le generazioni precedenti... .Verificare se c'è funzione del
desiderio dell'Altro e come questa funzione si incarna... Seguendo Lacan, che qui è un po'
visionario, se noi vogliamo sapere cos'è una madre dobbiamo interrogare sempre la donna. E allora
Sarantis Thanopulos ha probabilmente ragione quando dice una madre che non sa darsi al
proprio figlio, non sa nemmeno darsi al proprio uomo. La psicoanalisi del bambino
implica sempre la sessualità femminile. Come una donna ha intrecciato il rapporto
tra godimento e desiderio? Come una donna può essere o meno anche madre e,
viceversa, come una madre può continuare ad essere, o meno, una donna? Il
problema dell'incarnazione è fondamentale. La psicoanalisi non è una scienza che possa fare a meno
dell'incarnazione. Se uno sa ma non sa incarnare quello che sa, quello che sa non passa, nella
psicoanalisi non passa. O il sapere si incarna o non passa, non lascia tracce... Che
cos'è questa cosa se non qualcosa che ci riporta a ciò che avviene
nell'incarnazione originaria dello scambio simbolico tra il soggetto e l'Altro? Quanta
autenticità c'è nel tuo amore? Sei finto o sei vero? Una parola è credibile solo per
come si incarna. L'amore di mia madre è finto o è vero? Ecco, l'isterica ha un
dubbio proprio su questo, sul fatto che vi sia finzione e che soprattutto gli uomini
fingano sempre, siano solo dei seduttori.... L'uomo è sempre mascherato E' il
grande dubbio isterico. Tutti mascherati... tranne il principe azzurro che non verrà
mai e a cui l'isterica dedica la vita. L'unico a non essere mascherato, non si
incontrerà mai o se lo si incontrerà sarà l'uomo impossibile da avere. L'uomo di
un'altra o l'uomo che è in sé impossibile da avere... È per questo che l'analista

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diventa facilmente oggetto d'amore dell'isterica, proprio perché è marcato
dall'impossibilità. L'oggetto-analista è un oggetto impossibile da avere e per
questo infiamma il transfert immaginario dell'isterica. È bene che vi sia questa
isterizzazione che però comporta una quota di insoddisfazione che a volte può
diventare insopportabile. Torniamo al problema del corpo isterico. Abbiamo visto che
il corpo pulsionale non è il corpo biologico perchè fra il corpo biologico e il corpo
pulsionale c'è il corpo del linguaggio. Il corpo del linguaggio non avviene a un certo
momento dello sviluppo ma precede lo sviluppo stesso.
Domanda: Questa funzione dell'incorporazione ha a che vedere con il
fatto che lo psicotico è nel linguaggio ma non è nella parola?
Risposta: L'incorporazione nella psicosi non si realizza pienamente. Abbiamo
piuttosto un fenomeno di scorporazione. Il corpo resta scorporato dal corpo del
linguaggio. Per questo nello psicotico troviamo spesso il riferimento alla vita
animale, all'essere animali. In Vincent Van Gogh, per esempio, l'idea di essere un
cane randagio, senza padrone, senza patria è un'idea che si impossessa di lui...
Nello psicotico troviamo spesso la rivendicazione di una naturalità originaria.
Anche in Rousseau, che è un grande paranoico, c'è tutto un riferimento al mito del
buon selvaggio, della natura originaria incorrotta che poi il linguaggio corrompe. Lo
psicotico rifiuta l'incorporazione, resiste all'incorporazione. Però, per un altro verso,
è obbligato all'incorporazione. Lo psicotico è parlato dal linguaggio, per esempio
nelle voci allucinatorie che parlano di lui. Quindi è parlato dal linguaggio, ma non
può accedere alla parola, non può soggettivare il linguaggio. Quindi
l'incorporazione è avvenuta male. E' un'incorporazione avvenuta per
scorporazione. Ma ci sono altri fenomeni di scorporazione. Per esempio il
fenomeno psicosomatico che, diversamente dal disturbo psicogeno di tipo isterico,
è una lesione del corpo, è qualcosa che nel corpo non è stato simbolizzato. È un
reale non simbolizzato del corpo, è un reale non incorporato nel linguaggio.

07. Introduzione alla teoria dei quattro discorsi

Vi propongo di entrare nella clinica dell'isteria attraverso i quattro discorsi che


Lacan sviluppa nel Seminario XVII titolato Il rovescio della psicoanalisi. Uno di
questi discorsi è denominato discorso isterico. Il nostro interesse è focalizzare il
discorso isterico. Ma per capirlo dobbiamo introdurre brevemente la teoria dei

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quattro discorsi. Il concetto di discorso in Lacan è un terzo genere di simbolico
rispetto al genere del linguaggio e a quello della parola. Il concetto di simbolico in
Lacan si declina storicamente in due forme fondamentali: la forma del linguaggio e
la forma della parola. La forma del discorso è dunque il terzo modo in cui Lacan
declina il concetto di Simbolico. Possiamo calare questa tripartizione del simbolico
nella pratica clinica per provare a darle un'incarnazione immediata. Cosa fa
l'analista quando opera? Incarna l'Altro grande. Come si incarna il luogo dell'Altro?
Nella regola dell'associazione libera. Quando l'analista invita all'associazione libera
si assenta, tiene una posizione di silenzio per fare emergere il grande Altro.
L'associazione libera è ostruita se l'analista parla. Perchè vi sia associazione libera,
l'analista deve stare in silenzio, ma il silenzio dell'analista valorizza le leggi del
linguaggio che si manifestano nell'associazione libera come combinazione tra
significanti, metonimia, punti di metaforizzazione in cui un significante acquista un
senso speciale per quel paziente, in quella catena associativa. Ci sono tanti
significanti che si ripetono e poi ce n'è uno che condensa i significanti precedenti;
una parola, ad esempio la parola “dipendenza”, la parola “sacrificio”. Sono
momenti fecondi in cui la catena significante trova delle sue coagulzioni
metaforiche. Cosa fa l'analista incarnando le Leggi del Linguaggio? Si cadaverizza,
dice Lacan, per potenziare le Leggi del Linguaggio, così come il divano serve a
potenziare il potere anonimo e transindividuale delle Leggi del Linguaggio. A dare
presenza grande Altro. Però se l'analista facesse solo questo sarebbe una sorta di
automa. L'analista deve incarnare anche le Leggi della parola, cioè deve saper
ascoltare la parola dell'Altro dando valore alla sua singolarità. Deve sapere
accogliere il soggetto, deve saper operare nel senso del riconoscimento dell'Altro:
accogliere la sua sofferenza, accogliere la sua angoscia, accogliere la sua domanda
di riconoscimento... Questo è, se volete, il lato più umano dell'analista; le leggi
della parola sono infatti le leggi che umanizzano il linguaggio. Un bravo analista
deve tenere insieme le leggi del Linguaggio alle leggi della Parola perché se
accentua troppo le leggi della parola il rischio è quello di una specularità
immaginaria, mentre se accentua troppo le leggi del linguaggio il rischio è quello di
una inumanità, di una computerizzazione della sua operatività...La parola piena è la
parola in cui si realizza il riconoscimento del soggetto in quanto soggetto dell'inconscio. L'ordine
simbolico si declina nel dare valore alla parola di quel soggetto, nel saperla
accogliere, riconoscere. La posizione dell'analista oscilla tra leggi della parola e
leggi del linguaggio. In più, però, in questa stessa oscillazione appare un terzo

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elemento che è l'oggetto piccolo (a) che indica come l'analista nel transfert incarni
l'elemento libidico di godimento, l'oggetto perduto, l'impossibile, la pulsione di
morte, insomma tutto ciò che ha a che fare con ciò che non entra nè nella parola,
nè nel linguaggio e che costituisce il punto chiave dell'esperienza analitica...
Veniamo ai discorsi. I discorsi sono delle forme di legame sociale nei quali appare l'oggetto piccolo (a),
che è l'oggetto di godimento, che è l'oggetto perduto, che è l'oggetto su cui si fissa la pulsione, che
è l'oggetto parziale di Abraham, l'oggetto parziale di Klein e di Freud stesso nei
saggi sulla sessualità; l'oggetto della fissazione pulsionale che può prendere le
forme della fissazione orale, anale, fallica, scopica e vocale....Per Lacan questo
oggetto che causa il desiderio entra, in modi diversi, nei nostri legami sociali....I
discorsi mostrano i modi particolari di legame sociale in cui si intrecciano la parola,
il linguaggio, l'oggetto piccolo a. I quattro elementi che definiscono la teoria dei
discorsi sono infatti: S barrato cioè soggetto dell'inconscio (soggetto diviso), S1
che è il significante primo cioè il significante Maitre, il significante guida, cioè quel
significante che mi costituisce o che costituisce la mia prima identificazione; il
significante che dà luogo all'identificazione costituente rispetto alla quale tutte le
altre sono costituite, secondarie. Il soggetto ha bisogno di trovare un significante
che lo identifichi altrimenti sarebbe niente senza un centro di gravità. Il soggetto
chiede un significante al quale identificarsi altrimenti è alla deriva e l'S1 è proprio
quel significante che dà orientamento al soggetto sebbene al costo di una sua
alienazione. L'S2 nella teoria dei discorsi è il significante del sapere; è quel
significante che rappresenta tutta la rete degli altri significanti che hanno come
fondamento il significante padrone. E infine l'oggetto piccolo (a) che abbiamo già
definito. Ecco, questi sono i quattro elementi che, permutando di un quarto di giro,
costituiscono la trama dei discorsi.Per capire la teoria dei discorsi dobbiamo pensare che è una
topica. Lacan parla di una topica discorsiva. Queste quattro lettere, di cui abbiamo stabilito il
significato, vengono in quattro posti, quattro luoghi differenziati. Il luogo in alto a sinistra è il
luogo dell'agente o luogo di comando; il luogo in basso a sinistra è il luogo della
verità. Il luogo in alto a destra è il luogo dell'Altro. Il luogo in basso a destra è il
luogo dello scarto o della produzione. La topica è la distinzione dei luoghi e la
dinamica è la relazione tra i discorsi, come cioè da un discorso si possa passare ad
un altro discorso. Il discorso del padrone, per esempio, in un movimento di un
quarto di giro diventa il discorso isterico. Abbiamo, dunque, una topica (i luoghi
non variano) e una dinamica ( la relazione tra i discorsi e il funzionamento interno
dei discorsi). La dimensione economica concerne il modo in cui ogni discorso

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produce del godimento specifico. Possiamo facilmente evocare la tripartizione
classica della metapsicologia freudiana: topica, dinamica, economica che
certamente ha ispirato la costruzione della teoria lacaniana dei discorsi. Il discorso
dei discorsi, cioè il discorso che è a fondamento di tutti i discorsi, è il discorso del padrone. Il
discorso del padrone è il discorso dell'identificazione. L'S1 è il significante unario,
come direbbe Freud, il tratto unario, che costituisce il soggetto rappresentandolo
per un altro significante, per un'altra serie di significanti. E' l'identificazione al
tratto unario che costituisce l'identità del soggetto, l'identità immaginaria del
soggetto. Il discorso del padrone si struttura sull'identificazione e, al tempo stesso,
sulla rimozione della divisione del soggetto e del suo fantasma. L'S1 è il
rappresentante del carisma del padrone che genera ipnosi e identificazione; il
discorso del padrone è il discorso della Psicologia delle masse. L''S1 è al posto del
capo, della chiesa, dell'esercito. L'elemento prodotto e scartato da questo discorso
è l'oggetto piccolo (a) perché al padrone non interessa niente del desiderio e del
fantasma. Al discorso del padrone interessa solo che la macchina funzioni. Il
discorso del padrone è il discorso disciplinare dell'educazione. Per questa ragione
nel discorso del padrone il fantasma è sempre rimosso. Non mi interessa sapere
cosa desideri a me interessa che tu funzioni! Questo è il discorso del padrone. Il
discorso del padrone è un discorso di padronanza. Possiamo dire che è il discorso
dell'Io, quello che Lacan chiama nel Seminario XVII "iocrazia", è il discorso dell'Io
forte. L'anoressia è una forma di padronanza. Nell'anoressia troviamo questa
formula come centrale: il soggetto è identificato a un significante ideale quello del
corpo magro, non vuole sapere nulla, non desidera nulla.Il soggetto ha bisogno di
identificarsi. Se non c'è il discorso del padrone non c'è identificazione e se non c'è identificazione non
c'è senso di identità. In questo senso il soggetto non può prescindere dal discorso del padrone.
Nondimeno ci sono istituzioni regolate integralmente dal discorso del padrone.
Lacan pone il discorso del padrone come il discorso dell'istituzione. L'istituzione
deve sempre aver a che fare con il discorso del padrone. La mia tesi è che
un'istituzione si ammala quando si fissa ad un solo discorso, mentre una buona
istituzione deve sapere far girare i discorsi e deve saper far girare i discorsi come
deve saper far girare la parola in un gruppo. Se un'istituzione si incancrenisce in un
solo discorso è spacciata e il sintomo delle istituzioni e dei gruppi umani è di
incancrenirsi in un solo discorso....... Possiamo dunque utilizzare il discorso del padrone per
definire l'identificazione ideale. E' il discorso dell'io forte della padronanza ma è il discorso che
rimuove il fantasma. Il discorso del padrone elimina le eccezioni, elimina la

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possibilità delle eccezioni. L'unica eccezione è quella del padrone che può fare
quello che vuole, è l'eccezione dell'S1. Nell'epoca contemporanea siamo di fronte
ai nuovi sintomi che si producono non per effetto del discorso del padrone ma per
lo sbriciolamento del discorso del padrone. Oggi al posto del discorso del padrone,
infatti, abbiamo il discorso del capitalista. Se volete capire come funziona un discorso c'è
un trucco: basta che vi soffermiate sulla prima lettera in alto a sinistra. Si tratta
dell'elemento agente del discorso. L'agente è ciò che dà il tono del discorso, è ciò
che comanda il discorso, è il vettore principale del discorso. Il vettore principale del
discorso del padrone è il tratto unario, il carisma, il capo, il maitre,l'S1. I nuovi
sintomi sono un effetto del discorso del capitalista che secondo Lacan ha la stessa struttura del discorso
del padrone, ma dove S1 decade dalla sua posizione di guida perché la nostra epoca è
l'epoca del tramonto del padre dell'evaporazione del padre, della caduta del
padrone. S/ barrato viene così a prendere il posto dell'agente: il soggetto diviso è
alla ricerca di oggetti di godimento; è il soggetto allo sbando, il soggetto alla
deriva che prende il posto del comando, il posto dell'agente. La psicoanalisi per
certi versi riabilita quindi il discorso del padrone perché afferma la necessità di un
tratto unario; per un verso lo critica per un altro è il suo rovescio. Il discorso
dell'Università situa al posto dell'agente il sapere. Ma qual è il sapere dell'Università? S2. Non si tratta
del sapere del Maitre. Il sapere del Maitre è custodito nell'S1: Hegel, Platone. Nell'Università ci sono
solo S2, tanti S2 che ripetono l'S1. Sono dei ripetitori del sapere. S2 è il sapere
ripetuto, dice Lacan. E' il sapere plagiato. Ma con la formula del discorso
dell'Università Lacan non intende solo riferirsi all'Università come istituzione. Il
discorso universitario indica una patologia del sapere più ampia. Indica il sapere
come un sapere morto. Un sapere che si limita alla ripetizione di ciò che già si sa. Il
sapere universitario è ogni forma di sapere che duplica se stesso. E' il sapere che
si riproduce come replica di un sapere senza soggettivazione. Dunque un sapere
come moltiplicazione di enunciati senza che vi sia enunciazione che attiva una
citazione senza enigma. Una somma di citazioni senza alcun enigma . E' un sapere
che vuole essere specializzato, ma che in questa superspecializzazione si
mortifica. E' un sapere che scarta elimina il soggetto diviso, elimina la mancanza,
elimina l'inconscio, elimina il problema della verità come direbbe Heidegger. Il
sapere universitario è la riproduzione degradata del discorso del Maitre; è lo
scientismo privo di scienza. Lo scientismo è la degradazione della scienza, è una
iperspecializzazione senza soggettivazione. Il primato è dell'S2 che produce
slogan, frasi fatte, olofrasi, stereotipi, clichè, il sapere come qualcosa che già

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esiste, che già sappiamo, formule morte. L'S2, questo sapere che si ripete, che si duplica,
genera nell'Altro un godimento, il godimento del sapere come strumento di potere. Questo nesso tra
sapere e potere Lacan lo riprende da Nietzsche intercettando un tema centrale della riflessione
di Foucault. Mentre il potere del padrone discende dal carisma, il discorso
universitario è democratico, appare fondato sull'S2, cioè sul sapere disponibile per
tutti e questo genera un godimento...Nella direzione e nel processo della cura Lacan
mette tutti e quattro i discorsi. Dobbiamo pensare che la cura è lo svolgimento di
tutti e quattro i discorsi. C'è il fatto che qualcuno parla per stereotipi e l'analista
deve sopportare questo...La sfilza degli S2... C'è il discorso del padrone e l'analista
viene messo al posto dell'io ideale e il transfert assume le caratteristiche di
un'idealizzazione cieca, fanatica... C'è il momento fondamentale dell'analisi in cui
l'analista occupa la posizione dell'oggetto (a) che causa il desiderio, l'oggetto
perduto, cioè l'oggetto che dice qualcosa sulla singolarità di quel soggetto e che
dunque causa, produce, il soggetto come soggetto di desiderio, S/ barrato. E' il
transfert come motore, è l'analista come causa del lavoro dell'analizzante e
dunque la sua divisione. ..C'è la spinta dell'analizzante a sapere sulla sua verità
inconscio; c'è il movimento analizzante del discorso isterico... L'analisi è un
processo di disidentificazione che produce la caduta dell'S1. L'S1 deve cadere e
venire scartato. E' il rovescio del discorso del padrone: l'S1 in posizione di
comando e l'S1 in posizione di scarto. Però per essere scartato l'S1 deve prima
essere prodotto. Dobbiamo aver isolato qual è l'S1 che guida il soggetto
dell'inconscio; “ecco cos'ero!”, “Vedo l'S1 che mi ha governato” e vedendolo si
realizza un passo indietro e qualcosa finalmente cade, smette di attirare il
soggetto.... E allora al posto della verità viene il sapere, ma questo S2 che viene al
posto della verità - effetto del percorso dell'analisi - non è più l'S2 del sapere
dell'Università...Questo sapere dice qualcosa sulla mia verità ... Posso parlare della
mia analisi perchè ho capito come funzionavo e Lacan su questo costruisce il
dispositivo della passe: poter parlare della propria analisi, produrre un sapere nella
posizione della verità. L'analisi produce un sapere nuovo, un sapere che prima non
sapevo; io so quello che da sempre sapevo, un sapere che diventa verità, lo posso
dire, lo posso trasmettere, lo posso rendere universale.... Essere oggetto piccolo(a)
e essere luogo del sapere sono le due definizioni della posizione dell''analista nella
cura. Oggetto piccolo a e Soggetto Supposto Sapere...

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08. Il discorso isterico

Passiamo ora al discorso isterico che è il discorso fondamentale da cui nasce la


psicoanalisi. Il discorso isterico è per Lacan il discorso che permette l'entrata
nell'analisi. La via regia dell'entrata in analisi è l'isteria e Lacan riconosce all'isteria
il merito della invenzione dell'inconscio. Nel posto dell'agente nel discorso isterico abbiamo il
soggetto dell'inconscio, il soggetto diviso, il soggetto che soffre, il soggetto del sintomo. Abbiamo
il soggetto che sta male, la cui vita non va, non funziona. S/ barrato in posizione di
agente è l'incarnazione isterica del sintomo... Sappiamo che nell'entrata in analisi
ci deve essere il sintomo in posizione di agente. Il soggetto diviso si dirige verso
l'S1 della sua identificazione costituente: chi sono? che cosa voglio? come godo?
cosa mi fa godere veramente? cosa desidero veramente? il rapporto tra S barrato
e S1 è l'isterizzazione del discorso che Lacan pone all'entrata nell'analisi. Non c'è
entrata se non c'è isterizzazione del soggetto. Questo vale evidentemente anche
per gli ossessivi. Se non isterizziamo il soggetto in entrata, se non costruiamo
questo discorso, non c'è analisi. I colloqui preliminari servono per costruire questo
discorso: un soggetto sofferente diviso dal suo sintomo che vuole sapere chi è, che
cosa desidera veramente, come gode.... Tutto ciò che l'analista potrebbe dire in
risposta alla domanda isterica sarebbe deludente, insufficiente, perché in questo
movimento di isterizzazione l'isterica sfida il padrone, dunque anche l'analista.
Sfida il padrone cercando di mostrare che il padrone possiede una sapere sulla
veirtà in generale ma non sulla sua particolare...L'obiettivo dell'isterica è scavare
un buco nel luogo dell'Altro universale, toccare il suo limite, per essere lei ciò che
lo colma, per essere lei la più amata, per essere lei l'unica che non è presente nella
biblioteca del sapere universale... Ecco perché alcuni sintomi isterici sono così
difficili da diagnosticare dal sapere medico. Non c'è posto nell'Altro per il suo
assoluto particolare... Ciò che non interessa l'isterica è il sapere dell'Università. A
lei interessa solo il sapere del Maitre, la verità, l'illusione che esista il Maitre del
Maitre, per arrivare alla resa dei conti con il padre. Ed è per questo che il suo
oggetto causa di desiderio è situato da Lacan al posto della verità. Perchè l'unica
cosa che le interessa è un sapere possibile sul suo desiderio. È l'anima della
scienza non dello scientismo; della scienza come pulsione di sapere autentico
perchè al posto della verità c'è il desiderio. Per questa ragione Lacan può
assimilare il discorso isterico a quello della scienza. L'isterica vuole che al posto della

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verità ci sia l'oggetto del desiderio. L'unico sapere che le interessa è cos'è essere una
donna? cos'è amare? cos'è desiderare?Domanda: E le isteriche mistiche?Si
potrebbe dire che il Maitre del Maitre, l'Altro dell'Altro, sia Dio. Essere amate da Dio per molte
isteriche è stata una soluzione. Anche perché Dio non gode mai direttamente... Anche
se le estasi mistiche sono fenomeni di godimento, Dio può attraversare il loro
corpo ma non fallicamente...Poniamoci però ora una domanda cruciale: qual è la differenza tra la
donna e l'isterica? che cosa differenzia questi due insiemi che hanno una zona di
intersezione comune? Qual è il punto di intersezione fra l'isterica e la donna? “Farsi
amare” è ciò che accomuna l'isteria e la femminilità ma “farsi amare” cosa
significa? Significa trovare nell'Altro la propria mancanza. Significa avere un valore
unico per l'altro, cioè essere l'unica e insostituibile. L'amore esige questo, ma il
punto è che nell'isteria il farsi amare passa attraverso l'essere il fallo. Che cosa
significa essere il fallo per una donna che non ha il fallo? Significa essere ciò che
manca all'altro. Il fallo è infatti il significante del desiderio. “Non ho il fallo” dunque
devo esserlo per l'Altro nella mia bellezza, nella mia simpatia, nella mia
mascolinità, nella mia dolcezza, nella mia mansuetudine, nel mio sacrificio. Ci sono
tanti modi per incarnare il fallo. La grazia della bellezza è il modo più femminile per essere il fallo:
essere ciò che manca all'Altro. Ma essere il fallo significa non poterlo ricevere nella misura in cui lo si
è . Significa tenere separate la dimensione del desiderio da quella del godimento.
Mentre sul lato della donna il desiderio è unito al godimento in quanto una donna
sa desiderare e sa godere. Sa giocare con l'essere il fallo. Sa che non lo è, sa che
non lo ha, ma sa mettere i sembianti del fallo, sa mascherarsi da fallo... Sa che è
un gioco e può essere libera in questo gioco. La donna sa occupare la posizione
dell'oggetto di godimento dove essere l'oggetto significa saper ricevere il fallo
godendo del fallo senza reazioni di disgusto, ma significa più in generale ricevere
da un uomo la protezione, un bambino, le cure...

09. L'isterica e la donna

La cosa che mi interessa sono i due cerchi di Eulero applicati all'isteria,


riprendendo molto brevemenete uno schema proposto da Colette Soler,e in
particolare, l'intersezione tra l'isterica e la donna. È uno schema utile per capire il
desiderio dell'isterica. Lacan in un seminario intitolato RSI indica la differenza tra il
desiderio isterico e il desiderio femminile come tale. In quel contesto la formula

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che usa è che “una donna sa essere il sintomo di un uomo mentre l'isterica si
rifiuta di esserlo”. Di per sé è una formula un po' enigmatica che si chiarisce se si
pensa che per la psicoanalisi il sintomo è il luogo del godimento e dunque ,da
questo punto di vista, la donna è il sintomo dell'uomo in quanto è il suo mezzo di
godimento, mentre l'isterica si rifiuta di essere un mezzo di godimento. Qui
emerge con chiarezza la differenza tra il desiderio femminile e quello isterico. Una
donna sarebbe un soggetto che sa essere il sintomo del suo uomo. Lacan aggiunge
che se si vuole capire il fantasma di un uomo bisogna vedere la donna con cui sta,
la donna che sceglie. Come quando si vede che un uomo sceglie una donna che gli
fa da madre, che nel corpo, nei modi, nell'età rivela che il fantasma di quest'uomo
la mette evidentemente nella posizione della madre. Abbiamo tante altre situazioni
in cui l'uomo sceglie la donna a partire dall'inclusione della donna nel fantasma
materno. Lo schema che vi avevo presentato complessificava questo punto di
partenza di Lacan. Dobbiamo insistere nell'approfondire la differenza tra il
desiderio isterico e il desiderio femminile. Lacan parte dal presupposto che la
donna non è l'isterica e l'isterica non è la donna tant'è che nel Seminario III l'unico
caso di isteria che Lacan commenta, come avevo anticipato, è un caso di isteria
maschile. Ci torneremo alla fine della lezione di oggi. Ma in ogni caso la scelta del
caso del tranviere è per ribadire che l'isteria non è prerogativa della donna.
Possiamo mettere al centro dei due insiemi non tanto il “farsi amare”, che non è la terra di mezzo,
non è questo l'elemento comune tra l'isterica e la donna, perché, pensandoci bene,
in fondo, si può dire che un'isterica non sa farsi amare perché non accetta la
castrazione.... Potremmo forse dire che il “farsi amare” definisce piuttosto la
donna. Dunque mettiamo dal lato del desiderio della donna il “farsi amare” e il
“godere”, il “desiderio di godere”, la possibilità di trarre godimento dal fallo. La
donna è colei che riesce a tenere insieme il farsi amare e il poter godere, il godere
nel farsi godere. La condizione per raggiungere questa doppia posizione è però il
“far desiderare”. Allora la zona di intersezione tra l'isterica e la donna sarà il “far
desiderare”. Il far desiderare è la zona in comune tra la donna e l'isterica. Far
desiderare, cioè identificarsi al fallo, identificarsi al significante della mancanza
dell'Altro, identificarsi all'oggetto che causa la mancanza dell'Altro, che lo fa
appunto desiderare in quanto mancante. Questo elemento è un elemento del
desiderio della donna perché per farsi amare e per godere bisogna far desiderare.
Tuttavia questa identificazione al significante fallico è anche della posizione
isterica. Perchè l'isterica punta a causare il desiderio nell'Altro anche se non

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soddisfa nè il farsi amare, nè il farsi godere. L'isterica si fa desiderare, punta a
causare il desiderio nell'Altro, ma il desiderio non si coniuga né con l'amore, né con
il godimento. Questa è la ragione principale della sofferenza isterica. E questo, da
un punto di vista clinico, è quello che emerge nella difficoltà dell'isterica ad avere
legami affettivi continuativi, stabili, soddisfacenti. Perchè far desiderare l'Altro, che resta
l'obiettivo principe di tutto il suo teatro, di tutta la manovra isterica, ha come condizione il rifiuto di
essere il sintomo dell'Altro, cioè il mezzo di godimento dell'Altro e, dunque, il rifiuto
della castrazione, la cui accettazione è invece proprio la condizione per farsi amare
perché si ama sempre la mancanza dell'Altro. Questo costituisce il tunnel in cui
l'isterica si infila. Cosa mettiamo allora nel cerchio dell'isterica come equivalente
del farsi amare e del farsi godere nel cerchio della donna? Il “farsi essere”, il
“desiderio di essere”. Il desiderio isterico è quel desiderio che per essere, per
consistere, ha bisogno di far desiderare l'Altro. Questo si può dire anche del
desiderio della donna, però il desiderio della donna sa raggiungere
congiuntamente gli obiettivi del “farsi amare” e del “farsi godere”. Qual è invece il
problema del lamento isterico? Se il mio essere dipende dalla mia capacità di farmi
desiderare, di far sorgere il desiderio dell'Altro, di farmi desiderare dall'Altro e
,dunque, se la mia vita si prodiga nel far desiderare l'Altro, ebbene in questo
prodigarsi si perde anche il mio stesso desiderio. Io non so più quello che desidero
perché il mio desiderio si sacrifica al farmi desiderare.... Il mio desiderio si annulla
rispetto all'esigenza di farmi desiderare, di far desiderare l'Altro. Ma allora io chi
sono? Che cosa voglio se mi sono dedicata anima e corpo a far desiderare l'Altro?
Ma è proprio quello il desiderio che io voglio, una volta che l'ho innescato? Questo
rende più chiaro l'assioma lacaniano secondo cui il desiderio isterico è desiderio di
essere insoddisfatto. Al cuore del desiderio c'è l'insoddisfazione perché se la meta
del desiderio è far desiderare l'Altro e, di conseguenza, io smarrisco il senso del
mio proprio desiderio. Ecco perché molte isteriche si fanno catturare dal fatto di
catturare, si interessano di chi le guarda, non guardano chi le interessa ma sono
catturate dal fatto di essere guardate, di essere desiderate. Come se il loro essere
coincidesse con l'essere desiderate. Dunque nel far desiderare l'Altro al posto di
interrogare il proprio desiderio.Uno dei movimenti fondamentali dell'analisi dell'isteria
è portare l'isterica a non interrogarsi più sul desiderio dell'Altro, ma sul proprio con
un effetto di separazione che produciamo e con una problematica speciale a livello
del godimento. A livello del desiderio la problematica isterica sembra essere la
seguente: impegnandomi nel far desiderare l'Altro non so più qual è il mio. Quindi

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abbiamo questa impasse del desiderio isterico: prodigandomi a far desiderare
l'Altro non so più ciò che io desidero. Sul piano del godimento molte isteriche
contemporanee (non c'è più solo l'isterica che dice di “no!” ad essere il mezzo di
godimento, non c'è più solo il rifiuto isterico del sesso) entrano nello scambio
sessuale, ma con l'obiettivo di far godere l'Altro. Come a livello del desiderio
l'obiettivo è far desiderare l'Altro, così per il godimento l'obiettivo diventa quello di
far godere l'Altro godendo del far godere, ma paradossalmente senza godimento,
senza godimento del proprio corpo. L'anorgasmia è il sintomo isterico più
frequente, dove il godimento si fissa al far godere l'Altro. Godono nel far godere,
senza un godimento del proprio corpo; subordinando il godimento del proprio
corpo al godimento del partner. Si può dire che questo è un po' femminile, non solo
isterico, però l'isteria accentua questo motivo e vi trova un punto di intersezione
tra il far desiderare e il far godere senza godere nel corpo. Quando un'isterica
guarisce da questa sintomatologia? Quando separando il proprio desiderio
dall'esigenza di far desiderare, può trovare il proprio desiderio. Nella donna, invece, il
desiderio non è solo quello di farsi desiderare, come abbiamo visto, che è l'elemento in comune con
l'isteria. Tutte le donne sono esibizioniste, direbbe Freud, perchè ogni donna ama mostrarsi, cioè ama
farsi desiderare. Però il desiderio della donna non è solo desiderio di farsi
desiderare, ma è anche il desiderio di godere. Il desiderio non è separato, sbinato,
disgiunto dal godere. È per questo che una donna sa abbandonarsi nel rapporto
sessuale, sa perdersi, sa sperimentare il senza limite, come direbbe Lacan, cioè il
godimento Altro, il godimento non tutto circoscritto al fallo..Nell'isteria, invece,
abbiamo questa difficoltà ad accedere al godimento e nelle isteriche più disinibite
sessualmente, con una vita sessuale molto ricca, la patologia consiste nel fatto che
il godimento non è mai godimento al di là del fallo, ma è sempre godimento del far
godere l'Altro.

10. I sei volti dell'isteria

Vorrei mostrarvi sei figure fondamentali dell'isteria, sei declinazioni cliniche, sei
tipologie fondamentali dell'isteria, sei volti dell'isterica perché l'isteria è un
continente assai variegato. Quando diciamo, seguendo Lacan, che il desiderio
isterico è desiderio insoddisfatto abbiamo forse individuato il comune
denominatore di un continente che contiene tante forme diverse tra loro, a volte

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contraddittorie. Dobbiamo dunque considerare il continente isterico al plurale,
parliamo di isterie diverse. Quello che cerco di fare oggi è mostrarvi almeno sei
tipologie della posizione isterica a partire da un elemento comune su cui ritorno.
Nella clinica lacaniana questo elemento comune è racchiuso nella formula che
trovate nella Direzione della cura secondo la quale il desiderio isterico è desiderio
insoddisfatto, cioè è un desiderio che punta ad ottenere la sua stessa
insoddisfazione. In questo modo l'isterica difende il desiderio, difende la vitalità del
desiderio, mantiene l'eccentricità del desiderio rispetto al godimento. Per questo è
l'isteria a portare Lacan verso la formula, che trovate sempre nella Direzione della
cura, secondo la quale il desiderio umano è la “metonimia della mancanza a
essere “, è desiderio d'Altro, desiderio che si rilancia metonimicamente da un
oggetto ad un altro, desiderio che non si soddisfa mai in nessun oggetto e in
questo senso è desiderio di niente, desiderio infinito, desiderio mai soddisfatto.
Potremmo dire che come l'isteria per Freud è stata la clinica che gli ha mostrato
l'importanza del corpo come luogo dell'inconscio, così in Lacan l'isteria insegna che
il desiderio umano non è solo il desiderio dell'Altro, non è solo desiderio di
riconoscimento ma il desiderio umano è anche desiderio d'Altro, desiderio
metonimico, desiderio di niente, desiderio dell' insoddisfazione del desiderio.

11. Il soggetto del lamento

La prima figura che vorrei mettere in luce è il soggetto del lamento. Il soggetto del
lamento è il soggetto innocente, è quello che Lacan definirebbe la posizione
dell'anima bella o la posizione di Dora. Dora si presenta a Freud come la vittima,
come l'innocente tormentata. L'innocenza isterica ha questa caratteristica di
essere vittima dell'Altro. È per questo che la figura del lamento sulla propria vita,
sul proprio destino, sui propri incontri è una figura fondamentale dell'isteria
femminile e maschile. Noi sappiamo che il postulato dell'essere una vittima, cioè
dell'essere tormentata ingiustamente, dell'essere vittima del fato, del cattivo
incontro, è un tema tipico della posizione nevrotica. Dobbiamo però provare a
distinguere questo postulato di innocenza che è un tratto della clinica dell'isteria,
dall'altra grande clinica dell'innocenza che è la paranoia. Colette Soler ha scritto
un articolo molto bello sull'innocenza della paranoia. La figura dell'innocenza
unisce due continenti clinici molto lontani come la paranoia e l'isteria. Il postulato

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dell'innocenza è il postulato chiave della paranoia è: “il mondo è cattivo”,“l'Altro vi
gode impunemente”, “il male è nell'Altro”. Il senso di ingiustizia subito accomuna
per certi versi l'isteria e la paranoia, ma nell'isteria tutto deriva dal sentirsi non
amata dall'Altro o se preferite dal sentirsi esclusa dall'amore dell'Altro,
primordialmente dall'amore del padre. Di qui la sensazione dell'isterica di non
avere radici di essere senza radici, che vuol dire anche non avere un'immagine del
proprio corpo ben definita, cambiare continuamente look, essere alla ricerca del
proprio abito. C'è uno sradicamento, un sentirsi sradicate anche dalla propria
stessa immagine, un difetto, come abbiamo visto nella prima lezione, della
specularizzazione narcisistica del proprio corpo. Nella paranoia invece c'è una
certezza delirante che l'Altro gode nel tormentarmi. Certezza delirante che non si
modifica. Mentre il lavoro sull'isteria può portare a modificare il sentimento di
innocenza e, per esempio, come dice Lacan, all'inizio dell'analisi trasformare
l'anima bella in un soggetto che eticamente si riconosce responsabile di ciò di cui
si lamenta. Questo passaggio nella paranoia non può avvenire, non può esservi
soggettivazione della responsabilità che il soggetto ha rispetto ai tormenti che lo
affliggono. Ma soprattutto la differenza, alla radice, è che dal lato dell'isteria ciò
che viene messo in primo piano è il sentimento di non essere sufficientemente
amata, desiderata, voluta, mentre nella paranoia in primo piano è la volontà
cattiva del godimento dell'Altro. Lacan usa la figura dell'innocenza per definire anche l'entrata
nell'analisi. L'entrata nell'analisi implica che il soggetto assuma la responsabilità della propria
posizione. Quando l'isterica si presenta come l'esclusa dall'amore, esclusa dal
desiderio dell'Altro, la vittima abbandonata, tendiamo a supporre che l'Altro da cui
si sente esclusa sia fondamentalmente il padre che ha preferito la sorella, il
fratello, l'amante, la bottiglia... Il sentirsi esclusa è legato al fatto che troviamo
nell'isteria una forte delusione edipica nel passaggio dall'infanzia all'adolescenza. Il
padre ideale, il padre amato da cui voleva un bambino, cade nella polvere per
mille circostanze contingenti: fallimento aziendale, separazione coniugale, malattia
fisica, tradimenti.... Si spezza l'unione edipica e il padre diventa il luogo della
delusione. Non troviamo sempre questo, però tendenzialmente nella clinica
dell'isteria la figura del padre occupa sempre, un posto centrale. Il testo
fondamentale di Freud sull'isteria maschile è titolato Una nevrosi demoniaca, si
tratta di un caso di possessione demoniaca che Freud studia attraverso dei testi
storici negli anni '10. Sull'isteria maschile bisognerebbe leggere questo testo e il
Seminario III di Lacan e provare a metterli insieme. In questo caso si vede bene

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come tutta la questione del soggetto sia in rapporto al padre, all'amore frustrato
nei confronti del padre che prende l'aspetto del demonio che lo possiede con tutta
l'ambivalenza relativa.

12. Il soggetto della seduzione

La seconda figura dell'isteria è quella del soggetto della seduzione. La seduzione


consiste nel porsi come oggetto di desiderio, come (a) piccolo, oggetto agalma,
oggetto causa di desiderio, capace di produrre la divisione dell'Altro, cioè capace di
provocare la mancanza dell'Altro. In particolare, la seduzione isterica consiste
nell'operare con la propria mancanza e non con il proprio fallo, non con l'avere.
L'avere è legato al fallo. La seduzione isterica è invece un agire con la propria
mancanza per provocare la mancanza nell'Altro. C'è una specificità della
seduttività isterica. Possiamo distinguere tre tempi della seduzione isterica:1) farsi
presente per l'Altro2)rendersi assente3)far mancare l'AltroLa logica della seduzione isterica consiste nel
darsi sottraendosi per causare la mancanza dell'Altro. La seduzione femminile e la
seduzione isterica hanno un punto in comune perché anche la seduzione femminile
punta a provocare la mancanza nell'Altro, a far desiderare l'Altro. Ma la differenza
è che una volta che la seduzione raggiunge il suo scopo, “far desiderare l'Altro”, la
donna può godere del desiderio dell'Altro, mentre l'isterica lo lascia cadere e resta
nell'insoddisfazione. Una volta che si manifesta il desiderio nell'Altro, l'Altro perde
di valore, a volte istantaneamente. La seduzione isterica abbina il “farsi essere” al
“farsi desiderare”, ma non accede al “farsi godere”. Può certamente usare il farsi
godere come un arte. La seduzione isterica resta imprigionata nel farsi desiderare,
ma non per godere nell'essere goduta. Come abbiamo già fatto notare esiste una
versione ipermoderna del godimento isterico. Non c'è più solo l'isterica che dice di
“no!” alla sessualità. C'è anche l'isterico che vive con energia la sessualtià senza
però mai poter giungere ad una vera soddisfazione. Ella vuole fare godere ma
resta insoddisfatta nel suo proprio godimento. In questa logica della seduzione ci
sono altri concetti da aggiungere. Il primo è un concetto lacaniano che si ritrova
anche in Freud. Nel commento al caso di Dora Lacan lo mette in particolare
evidenza: si tratta del concetto di intrigo. La seduzione isterica implica l'intrigo,
tende a strutturarsi per triangolazioni, pluralmente, per intrigo appunto. Non c'è
mai solo il soggetto e l'Altro. Possiamo citare due casi fondamentali della clinica

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dell'isteria freudiana: il caso di Dora e il caso della bella macellaia. Nel caso di
Dora abbiamo un quaternario: Dora, il padre di dora, il signor K e la signora K e il
movimento della seduzione avviene operando su tutti e quattro i personaggi della
vicenda. L'altro esempio di intrigo isterico freudiano è il caso della bella macellaia
dove abbiamo un triangolo tra la bella macellaia, il marito e l'amica della bella
macellaia. Possiamo citare anche il caso della giovane omosessuale di Freud,
commentato da Lacan nel Seminario IV, dove abbiamo un quadrilatero tra la
giovane omosessuale, il padre, la donna più matura mondana e la madre della
giovane omosessuale. Qual è il significato dell'intrigo? Perché la seduzione isterica implica
l'intrigo? L'intrigo consiste a volte nell'usare l'Altro, il partner, per interrogare l'Altra,
cioè il mistero della femminilità che per Lacan è la vera posta in gioco dell'isteria.
L'intrigo è dato dal fatto che l'autentico interesse dell'isterica è su che cosa rende
donna una donna. Ecco perchè l'analista è investito dal transfert, perchè si
suppone che sappia che cosa sia una donna...Ma se l'interesse isterico è di sapere
che cos'è una vera donna bisogna fare attenzione a come l'oggetto, il partner
maschile, possa essere semplicemente un trampolino, un ponte per raggiungere
questo mistero dell'Altra. L'intrigo è un punto molto importante. Nel caso di Dora,
Dora si interessa al Signor K per interrogare la Signora K. e quando il Signor K dice
della Signora K che "lei non è niente per me" il Signor K non ha più interesse per
Dora perché il solo interesse che Dora attribuisce al Signor K è quello di
interrogare, attraverso di lui, il mistero del desiderio di Lei...La seduzione isterica tende a
proporsi in due vie apparentemente opposte che facciamo fatica a tenere insieme. La
figura classica della seduzione è quella dell'agalmatizzazione del soggetto:
diventare l'oggetto che causa il desiderio. Ma la seduzione isterica può prendere
anche una via più docile, più passiva, quella della assimilazione al desiderio
dell'Altro o del sacrificio di sé, del sacrificarsi al desiderio dell'Altro. E allora
troviamo la figura dell'isterica che non fa impazzire l'uomo (si spoglia con una
mano e con l'altra si riveste), che non sbalestra l'uomo, che non vuole generare la
mancanza nell'uomo, ma è l'isterica che sacrifica tutto per l'Altro, che vive per
l'Altro, fosse anche una donna, che non opera con la mancanza, nemmeno con
l'avere, ma col sacrificio di sé. Qui tocchiamo la dimensione del masochismo
isterico. L'isterica che fa sorgere il desiderio per poi negarsi non è diversa
dall'isterica che sacrifica tutto di sé per accontentare il padrone, per colmare ogni
mancanza del padrone e in questo modo farla sorgere. “Non posso vivere senza di
te!” è l'effetto di un'abrogazione di se stessi, di un'oblatività estrema, di una

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docilità estrema, come solo le isteriche sanno fare, per rendersi indispensabili
come l'aria. Ma nella misura in cui l'isterica si rende indispensabile come l'aria
realizza il suo obiettivo di far sorgere la mancanza nella misura in cui l'ha colmata.
In questo senso non dobbiamo separare queste due figure della seduzione:
l'agalma e il sacrificio di sé. Nei casi clinici di Freud trovate molte isteriche che si
realizzano nel sacrificio di sé, che curano il padre impotente, che restano in
famiglia fino alla fine, che stanno vicine al Maitre tradito e abbandonato, che
diventano indispensabili per il padre... L'obiettivo è realizzare questa evidenza:
l'Altro è perso senza di me. La mia docilità, la mia disponibilità, il sacrificio di me
stesso è finalizzato a rendermi indispensabile per l'Altro. Questa mi pare una figura
importante nell'isteria.L'agalmatizzazione e il sacrificio di sé sono due facce della stessa medaglia
della seduzione isterica. Per esempio, incontriamo qui un fenomeno sessuale tipico
dell'isteria anche se risponde a una fisiologia dell'eros femminile che vale in
quanto tale; cioè la donna isterica nei primi rapporti può dare tutto il proprio corpo
senza inibizioni, senza freni, nella misura in cui però si installa come oggetto che
ha causato il desiderio comincia a introdurre delle inibizioni, non è più aperta come
prima. Si sottrae per tenere vivo il desiderio dell'Altro. Inizialmente però può usare
il corpo che si apre senza inibizioni come un modo per agganciare il desiderio
dell'Altro, non dico sacrificando se stessa, perché c'è un piacere, ma nelle isteriche
a volte c'è una forzatura finalizzata per far sorgere il desiderio, per far desiderare
l'Altro per poi reintrodurre l'inibizione, per poi sottrarsi lasciando l'Altro in una
posizione desiderante.... L'uomo non se lo spiega facilmente.

13. Il soggetto del rifiuto

Questo ultimo punto mi permette di interrogare la terza figura dell'isteria che è


una figura chiave nella clinica lacaniana dell'isteria che è il soggetto del rifiuto.
Allora abbiamo visto il soggetto dell'innocenza, il soggetto della seduzione, ora
vediamo il soggetto del rifiuto. Il rifiuto non è contrario al desiderio ma è il modo
del desiderio nell'isteria. Questo dovrebbero sapere molti uomini per destreggiarsi
con l'isteria.... Quando una donna isterica dice di no! non è perché non ne vuole sapere, ma
perché può testando la forza del desiderio dell'Altro... Si sottrae e il rifiuto è nell'isteria
tendenzialmente una manifestazione del desiderio. Anche il rifiuto del corpo che
prende le forme del disgusto isterico soprattutto verso l'organo maschile, verso il

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pene, verso la carne, segnala un piacere che è stato rimosso secondo, almeno
secondo i termini di Freud. Come troviamo spesso in alcune anoressie isteriche che
il rifiuto del cibo segnala che il cibo è un oggetto fortemente sessualizzato,
erotizzato, investito libidicamente. Sul rifiuto dobbiamo fare una serie di
osservazioni: il rifiuto isterico trova il suo paradigma clinico più esemplare
nell'anoressia isterica, dove abbiamo il rifiuto del godimento del cibo, il rifiuto del
godere del cibo che alimenta il desiderio dell'Altro. Lacan nella Direzione della cura
propone l'immagine del il desiderio isterico che si orchestra come un rifiuto.
Abbiamo, però, una seconda versione del rifiuto su cui insiste molto l'ultimo Lacan a partire dal
Seminario XVII . Dovete ripensare l'isteria contemporanea attraverso il rifiuto del
corpo, il rifiuto del corpo apre tutt'altra clinica. Il rifiuto del corpo è il rifiuto del
corpo in quanto corpo dell'Altro, nel senso genitivo soggettivo e genitivo oggettivo.
Cioè rifiuto del corpo sessuale dell'Altro, del partner e del mio corpo, del corpo del
soggetto in quanto corpo dell'Altro, che appartiene all'Altro, ma in quanto Altro del
linguaggio, cioè del corpo che io non governo e non controllo. Le manifestazioni
più evidenti di questa alterità del corpo, del fatto che il corpo non mi appartiene,
sono la pubertà, la malattia, la pulsione, la morte, gli appetiti, le erezioni. Se
pensate al piccolo Hans, cioè a tutti quei movimenti del mio corpo che io non
governo: il rossore, il tremore ma anche dice Lacan il bambino. In certe isteriche è
il rifiuto del corpo in quanto corpo ingovernabile. Molte isteriche hanno difficoltà
non solo nella gravidanza, ma anche dopo a gestire il bambino in quanto il
bambino è ingovernabile come la pulsione. Si manifesta con la stessa urgenza
della pulsione: ha fame ha sete ha sonno. Manifesta lo stesso Drang, la stessa
spinta della pulsione. Il bambino è l'oggetto (a), l'oggetto pulsionale che molte
isteriche non sopportano, non solo perchè l'essere madre spegne l'essere donna,
non solo perchè essere madre può intaccare la seduttività dell'essere donna.
Questo è un aspetto importante della clinica dell'infertilità isterica. La clinica
dell'infertilità è un esempio della clinica del rifiuto del corpo. Non c'è solo la
problematica dell'integrazione dell'essere madre e dell'essere donna (se sono
madre non posso più sedurre come donna), ma è anche la clinica della difficoltà a
soggettivare il proprio corpo. E dunque il corpo del bambino - che molte isteriche
vivono una presenza bizzarra, che trasforma il corpo che lo gonfia che lo
abbruttisce che lo rende mostruoso - si presta ad incarnare il reale dell'oggetto
piccolo (a). Questo rifiuto del corpo tocca l'aspetto del masochismo femminile e può avere due forme
prevalenti: la forma violenta dell'acting out, come nel caso delle madri che uccidono il proprio

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bambino, ma può prendere anche le forme della desensibilizzazione erotica del
corpo, della insensibilità del corpo, dell'anestesia, della frigidità, dell'anorgasmia,
del non sentire il proprio corpo, fino ai limiti della depersonalizzazione. Come dire;
il soggetto tende a separarsi dal suo corpo, non lo sente come suo, si stacca dal
suo corpo che vive come un corpo estraneo. Lascia il proprio corpo nelle mani
dell'Altro come un oggetto e se ne va con i pensieri, le fantasie, guardando magari
dall'esterno il suo corpo come se non fosse più il suo...Questa perdita di legame
con il proprio corpo non è psicotica. I fenomeni in cui il soggetto guarda se stesso o
si sente guardato mentre ha il rapporto sessuale sono fenomeni classicamente
isterici perchè sono fenomeni transitori e perchè hanno tutti a che fare con il rifiuto
del corpo in quanto corpo sessuale, quindi con una difficoltà di integrazione della
sessualità, del desiderio sessuale, in un discorso simbolico.Domanda: Che
legame c'è tra la seduzione isterica e la posizione dell'analista per come
si può dedurre dal mathema del discorso dell'analista?La formula del discorso
dell'analista che Lacan propone nel Seminario XVII definisce più cose. Definisce, oltre alla
posizione dell'analista come oggetto piccolo (a), anche la formula della
perversione dove il soggetto perverso si mette nella posizione di strumento che
causa la divisione, l'angoscia nell'Altro. C'è una polivalenza. Si può dire che nella
posizione dell'analista c'è un effetto di suggestione che è data dalla posizione
stessa occupata dell'analista su cui insiste molto Freud in Psicologia delle masse e
che Lacan non elimina affatto. Finchè l'analista occupa quella posizione di
contenitore dell'oggetto agalma, della scatola rustica socratica che contiene
l'oggetto agalma, inevitabilmente produce un effetto di seduzione. Nell'isteria
questo avviene in modo evidente perchè l'analista provoca transfert in quanto è
colui che è supposto sapere sull'essere della donna. Qual è allora la differenza tra
la seduzione e il processo del transfert che pure implica una quota strutturale di
seduttività intesa come rapporto tra oggetto piccolo (a) e soggetto sbarrato? Il
processo del transfert è finalizzato alla produzione di un sapere, mentre la
seduzione è finalizzata alla produzione di una mancanza e del godimento di questa
mancanza. L'isterica mettendosi nella posizione dell'oggetto agalmatico che causa
il desiderio, che rende mancante l'Altro, produce la mancanza non perchè si
trasformi in sapere, ma produce la mancanza per goderne, per godere della
castrazione dell'Altro. Diversamente dalla perversione lo schema della seduzione è
quello di far sorgere la mancanza nell'Altro in termini di desiderio, non in termini di
angoscia. Il perverso promuove invece la divisione dell'Altro nei termini

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dell'angoscia. L'isterica promuove la divisione nei termini del desiderio.Ma torniamo
sui nostri passi. Torniamo al soggetto del rifiuto. Quello che stiamo facendo è non accontentarci della
diagnosi di isteria al singolare, ma supporre che è possibile rintracciare all'interno del
continente isterico diverse declinazioni dell'isteria.Domanda: Ci sono diversi
tipi di intervento sulla base dei diversi tipi di isteria?La prima figura la figura del
lamento è il soggetto su cui l'intervento clinico va nel senso dell'implicazione etica, della
soggettivazione della responsabilità Per il soggetto della seduzione, nella doppia
formula del sacrificio di sé e dell'agalmatizzazione di sé, l'azione analitica deve
svelare l'intrigo che sostiene l'attività seduttiva. Il soggetto del rifiuto èmolto più
problematico perchè implica il godimento pulsionale. Come si corregge nell'analisi
il rifiuto del corpo? E' una grande questione. Il soggetto del lamento si corregge
con la rettifica soggettiva. Il soggetto della seduzione si corregge interpretando
l'intrigo e non facendosi coinvolgere nell'intrigo. Il soggetto del rifiuto è molto
problematico, attraversa tutta la clinica dell'isteria: rifiuto come manifestazione del
desiderio, rifiuto come rifiuto del corpo. Dovremmo sollevare una serie complessa
di temi che investono la direzione della cura e la cosiddetta tecnica
psicoanalitica... Siamo costretti a lasciare sospesa questa questione per
completare il quadro dei sei volti dell'isteria che mi ero promesso di offrirvi.

14. Il soggetto dell'utopia

La quarta figura è quella del soggetto dell'utopia. Lacan evoca l'utopia in merito
alla nevrosi nei Complessi familiari. C'è una pagina di Lacan nei Complessi familiari
dove scrive che la clinica della nevrosi è una clinica del fallimento del desiderio. E
che il desiderio può fallire prendendo la via dell'impotenza o la via dell'utopia. Per
certi aspetti la nevrosi ossessiva andrebbe collocata idealmente sul lato
dell'impotenza, mentre l'isteria sul piano dell'utopia. Nell'impotenza il desiderio
non ha un sufficiente fondamento fallico. Il soggetto si sente inadeguato,
insufficiente: "non sono in grado"; "è troppo per me". E' il lamento nevrotico
dell'impotenza. Non è propriamente isterico, ma attraversa la nevrosi come tale.
L'utopia tocca invece più intimamente la corda isterica. Il desiderio fallisce
nell'utopia quando il soggetto percepisce l'oggetto come sempre insufficiente,
lontano dall'ideale. Quando il desiderio percepisce il proprio oggetto come sempre
inadeguato. Quindi l'inadeguatezza sembra essere dell'oggetto rispetto al

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desiderio. L'utopia del principe azzurro provoca una sorta di degradazione degli
altri oggetti del mondo, di tutti gli altri uomini. E l'utopia è il modo di fallimento
specifico del desiderio isterico. C'è sempre un Altro più ideale dell'Altro. Questa
rincorsa verso l'ideale "si rivela infinita". Costatare ogni volta che l'oggetto è
deludente; è questa l'utopia su cui si infrange il desiderio isterico e che mostra il
carattere metonimico del desiderio come sempre insoddisfatto. L'utopia e
l'insoddisfazione sono due facce della stessa medaglia. L'utopia è destinata a non
realizzarsi mai. Il desiderio insoddisfatto è il desiderio che non si realizza mai, è il
desiderio inconcludente. Possiamo dare una formula più rigorosa di questa utopia
del desiderio isterico. Si tratta ogni volta di una degradazione del fallo simbolico al
fallo immaginario. Il fallo simbolico è il fallo che è in rapporto alla castrazione, si
produce per effetto della castrazione, quindi per un effetto di una limitazione
simbolica del godimento. Per questo Lacan dice che il fallo simbolico scaturisce
dall'azione del linguaggio, del linguaggio come ciò che castra il godimento
dell'essere parlante. Il fallo simbolico introduce una limitazione del godimento per
struttura. L'isterica confonde il fallo simbolico con il fallo immaginario nella misura
in cui attribuisce all'insufficienza del fallo la limitazione del godimento. Mentre il
fallo simbolico introduce la limitazione del godimento come effetto del linguaggio,
l'isterica degrada il fallo simbolico al fallo immaginario nella misura in cui reputa il
fallo immaginario insufficiente rispetto al proprio ideale. Le manifestazioni di
transfert negativo dell'isteria spesso rispondono a questa logica; attribuiscono
all'insufficienza dell'analista ciò che pertiene all'azione della struttura. Oppure: il
rapporto col partner non è armonioso come io vorrei utopicamente che fosse non a
causa dell'inesistenza del rapporto sessuale, cioè della disarmonia strutturale tra i
sessi, ma a causa dell'insufficienza fallico-immaginaria del mio partner. Quindi il
fallo insufficiente del partner è la causa della disarmonia tra i sessi. Questo
permette di non fare i conti con il fatto che la disarmonia sia un dato strutturale
nel rapporto tra i sessi. Ogni legame è vissuto come insoddisfacente a causa
dell'insufficienza del partner, sia esso la madre, il padre, il fidanzato, l'analista, non
perchè nel legame vi sia strutturalmente una quota inevitabile di insoddisfazione,
ma perchè la castrazione viene attribuita immaginariamente al partner. Questo
significa degradare il fallo simbolico a fallo immaginario, alla insufficienza del fallo
immaginario. Questa è la differenza che Lacan pone tra impotenza e impossibilità.
Se non c'è soggettivazione del fallo simbolico della castrazione ci sarà sempre rivendicazione di un fallo
immaginario più potente e su questo prende corpo l'ideale del principe azzurro, l'ideale dell'Altro

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dell'Altro, l'ideale del Maitre infallibile. Questo è un primo aspetto importante
dell'utopia del desiderio isterico. L'utopia implicherebbe il fatto che il desiderio
isterico sia un desiderio tendenzialmente idealizzante. Tende anche a scovare il
limite dell'idealizzazione, ma tende all'infatuazione. Il desiderio ossessivo è molto
più guardingo, più sospettoso, cede meno facilmente all'infatuazione,
all'idealizzazione. Il desiderio isterico è pronto all'infatuazione. C'è un altro aspetto del
soggetto utopico che è quello del soggetto non intaccato dal sesso. Abbiamo anche
questa versione del soggetto isterico come un soggetto che è fuori sesso,
astinente, si potrebbe dire. Cosa vuol dire astinente? Troviamo molte isteriche
mistiche che fanno la scelta di rinunciare alla sessualità. Anche molti isterici
maschi fanno questa scelta. Il corpo è un corpo non intaccato dalla sessualità, non
corroso dalla sessualità, è un corpo infantile, sognante, innocente; il soggetto si
stacca dalla sessualità, desessualizza il corpo, ne rifiuta la presenza pulsionale. La
dedizione del proprio essere a una causa assoluta, o al valore trascendentale della
causa ideale, sembra supplire il carattere sessuale del corpo libidico. Si tratta di un
monachesimo della causa che è un modo per saltar fuori dalla dialettica tra il farsi
amare e il farsi godere. Si tratta di dedicarsi in modo assoluto ad una causa.
Dedizione assoluta alla Causa, perdita di essere in nome della Causa. Abbiamo un
esempio clinico che Lacan ci propone di questa isteria utopica; è l'esempio di
Antigone. Il “desiderio puro” di Antigone come desiderio votato alla causa. In
questo caso la causa di dare al fratello degna sepoltura. Certo, non si tratta di una
causa universale. L'isterica, come la donna, resta legata al particolare e detesta,
discredita, l'Universale. Ma in ogni caso è una causa ideale quella che mobilita
Antigone contro la città, contro la polis, che mobilita la forza solitaria e disperata di
Antigone. Antigone viene descritta da Lacan come una vergine di acciaio. Il legame con il
fratello non è un legame erotizzato. Non passa dal desiderio intaccato dall'eros. Ciò
che conta per Antigone, secondo Lacan, è l'inflessibilità del suo rapporto con la
causa, è non cedere sulla causa. Qualcuno in ambito lacaniano ha voluto
assimilare il desiderio di Antigone a quello, altrettanto deciso, di Madre Teresa di
Calcutta. Si tratta di una versione del soggetto isterico come interamente votato
alla causa, con un effetto di azzeramento del corpo sessuale, cioè di sublimazione
radicale del corpo sessuale. Anche nell'anoressia possiamo trovare il soggetto
utopico, dedicato alla causa anoressica che desessualizza il corpo e votato ad una
causa assoluta: governare il proprio corpo pulsionale.

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15. Il soggetto della verità

La quinta figura è la figura del soggetto della verità, o, se volete, del soggetto
epistemico. Per Lacan l'isteria esige la verità. E' impegnato nella ricerca della
verità. In questo senso è veramente il polo Nord rispetto al polo Sud della
perversione, perché il perverso manipola la verità, mostra la totale inconsistenza
della verità poichè l'unica fede che conta nella perversione è quella del godimento.
Anche l'isteria può giocare con la verità. Abbiamo visto l'importanza dell'intrigo
della seduzione. Anche nell'isterica può dunque essere in gioco la verità, ma,
secondo Lacan, al suo fondo l'isteria esprime una spinta verso la verità. Ecco
perché Lacan propone il discorso isterico come il discorso dell'entrata in analisi. Si
entra nell'analisi attraverso l'isterizzazione, cioè attraverso la spinta epistemica
verso la propria verità. Ma la verità che interessa l'isteria non è la verità della
filosofia, non è la verità della logica, non è la verità universale, trascendentale;
l'isterica ha una passione per l'incarnazione della verità, per la verità particolare,
per la verità particolare irriducibile all'universale, per la sua propria verità, per la
verità del desiderio inconscio. Quello che interessa l'isterica non è la verità in
generale, ma è la verità del proprio desiderio. Cosa desidero veramente? È a
questo interrogativo che le interessa rispondere. E per questo la psicoanalisi nasce
dall'isteria; proprio perchè l'isteria è la spinta a voler sapere sulla verità del proprio
desiderio inconscio. Da questo punto di vista l'isteria odia, detesta, si ribella nei
confronti del sapere universitario, del sapere come luogo della morte della verità.
Nel Seminario XVII Lacan propone una sorta di autodiagnosi come isterico. La sua isteria consisterebbe
nella ricerca della verità e nel rifiuto del sapere universitario. La verità contro al sapere. La
verità come ciò che buca il sapere. Qui tocchiamo un punto molto importante che
è il punto di grande fascino di Lacan cioè la sua capacità di bucare il sapere già
saputo, già dato, già conosciuto, di renderlo mancante e attraverso questa
operazione mobilitare un nuovo sapere sulla verità, che poi è il movimento stesso
dell'analisi. L'azione dell'analista è ciò che buca il sapere dell'Io, il sapere già dato,
già conosciuto, già saputo, per produrre un nuovo sapere che nella formula del
discorso dell'analista, giustamente, viene al posto della verità. Un sapere che
viene al posto della verità non è certo il sapere morto che nel discorso
dell'Università si oppone alla verità. Da questo punto di vista per Lacan la ricerca
scientifica è isterica, non lo scientismo, perché la scienza non si accontenta mai di

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ciò che sa e punta sempre ad un sapere nuovo, a mettere in discussione
permanente il sapere acquisito. In un'istituzione di psicoanalisi è necessario
preservare il cuore isterico dell'istituzione, anche a rischio di non avere un'identità
ben definita; è decisivo che resista il cuore pulsante dell'isteria per fare avanzare
l'istituzione nella sua ricerca.Qual è il problema? L'isterica ama la verità e sviluppa il transfert su
quell'Altro che non detiene un sapere morto, ma che si suppone detenga un sapere
sulla verità che Lacan definisce "incarnato". La forza di Lacan era in effetti quella
di incarnare questo genere di sapere, dunque un sapere che dicesse qualcosa sulla
verità. Per questo la psicoanalisi produce transfert, diversamente dalle
neuroscienze o dalla psicologia scientifica che sono saperi morti dal punto di vista
del desiderio..Qual è la complicazione? L'isterica adora il Maitre, ricerca il Maitre, ama il Maitre.
Però in questo amore per il Maitre c'è anche la ricerca della castrazione del Maitre,
del limite del Maitre, della sua insufficienza immaginaria che l'isterica è pronta a
scovare, a cogliere a ogni piè sospinto... Ricerca il maitre ma solo per regnarvi
sopra, commenta Lacan. Ci sono tanti pazienti di Lacan che hanno scritto
testimonianza sulla loro analisi e se uno legge tutte queste testimonianze quello
che colpisce è che tutti i pazienti di Lacan si aspettavano sempre qualcosa di
nuovo dal loro analista. Un atto o qualcosa che li stupisse, ma sempre qualcosa di
nuovo! Perchè così funzionava il Lacan-Maitre. Il ritratto che davano di Lacan è un
ritratto poliedrico, perché con ciascuno la verità si incarna nella sua particolarità..
Nel rapporto con il partner l'isterica vuole la verità del desiderio, vuole la
testimonianza del desiderio, esige il segno del desiderio dell'Altro. Non si
accontenta delle formule universali del sapere. C'è l'esigenza che questa formula
si declini nella particolarità. Lacan dice che l'amore è sempre l'”amore per il
nome”, che significa che l'amore non è mai l'amore per l'amore, l'amore
universale, l'amore uguale per tutti, l'amore per l'amore, l'amore per la vita.
L'isterica non si accontenta di questo. Vuole che l'amore sia amore per il nome. Sia
un amore particolarizzato. Non l'amore generico e universale per l'amore. Questo è
un capitolo importante per il soggetto della verità che tocca anche il piano della dialettica delle
istituzioni e dei legami sociali. Se la quota di isteria viene meno il discorso si ingessa, si
burocratizza e può dare luogo alla morte del desiderio.

16. Il soggetto masochistico

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L' ultimo volto dell'isteria è quello del soggetto masochistico. Abbiamo visto come
la spinta fondamentale del soggetto isterico è quella di far desiderare; il suo essere
consiste nel far desiderare l'Altro, cioè nel farlo mancare. Il far desiderare fa
esistere il soggetto isterico. Il soggetto masochistico esalta in modo particolare
questo punto della Bella e della Bestia. L'isterica a volte si accoppia con la bestia,
ricerca non l'uomo ideale, l'uomo dell'amore, nemmeno l'uomo che la elegge al
significante fallico della mancanza, ma il suo opposto. Cerca la bestia, cioè l'uomo
del godimento bruto, rozzo, sporco. La bella sceglie la bestia per diverse ragioni. E
la bestia può prendere tante forme. Potrebbe prendere le forme del tossicomane
come partner; dell'alcolista, dell'ignorante, dell'uomo violento... L'ignorante, in
effetti, sarebbe l'opposto del Maitre. In questa figura del partner-bestia l'isterica è
catturata da diverse cose. La prima, la più evidente, è nel situarsi come ciò che
salva la bestia, ciò che umanizza la bestia, nell'essere la causa della salvezza della
bestia, la causa della sua redenzione. Redimere la bestia, civilizzare la bestia,
insegnargli come ci si veste, come si parla, civilizzare l'animale, sarebbe un modo
in cui la seduzione isterica trova una terza via rispetto a quella
dell'algamatizzazione e del sacrificio di sè: quella, appunto, della redenzione della
bestia. E in questo movimento il soggetto si mette nella posizione di essere
indispensabile per l'Altro, cioè in una posizione fallica per l'Altro.Il secondo aspetto è che
la bestia consente al soggetto di accedere al godimento senza la responsabilità di una sua
assunzione soggettiva. Come dire: è la bestia che vuol godere! Quindi il godimento
è raggiunto senza soggettivazione, senza responsabilità. Si ha un'accentuazione
dello statuto di oggetto del soggetto. Ma facendo godere la bestia è anche un
modo per farla mancare. Come sappiamo, il godimento del soggetto isterico non è
nel godimento del proprio corpo, ma è nel far godere l'Altro facendosi mancare e
facendolo godere. L'isterica fa godere la bestia e la fa mancare; l'isterica fa
mancare la bestia nella forma del farla godere.La scelta del partner-bestia sembra essere
anche in rapporto alla dimensione traumatica del primo incontro con il godimento paterno. E allora
l'uomo-bestia sarebbe il luogo in cui questo cattivo incontro con il godimento ritorna, si ripete. È
troppo semplice dire che l'isteria rifiuta il godimento in nome del desiderio. C'è
rifiuto del godimento e godimento del rifiuto; si gode della privazione, si gode del
rifiuto che è una delle dimensioni masochistiche della clinica dell'isteria che
abbiamo messo in luce, dove il rifiuto non è solo il segno del desiderio, ma anche
segno, marca, del godimento. Rifiutare di godere è un modo per godere. Scegliere la
privazione è un modo di fare della privazione una forma di godimento masochistico,

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superegoico. E' la poisizione isterica del soggetto masochistico. Ma soprattutto,
nell'isteria traumatica noi abbiamo la ripetizione del godimento cattivo. Nel senso
che la bestia incarna la ripetizione dell'incontro cattivo con il godimento paterno. E'
quella che Bollas chiama “isteria maligna”.

17. Il caso del tranviere

Per quanto riguarda l'isteria maschile per chi volesse approfondire questa
questione può leggere con profitto il Seminario III di Lacan e la Nevrosi demoniaca
di Freud. Sono i due testi capitali sull'isteria maschile.Domanda: Nella
degradazione della vita amorosa in cui l'uomo sceglie la donna degradata
per salvarla, mi chiedo se si tratta di un caso di isteria maschile?Bisogna fare
attenzione. La degenerazione più comune della vita amorosa maschile, seguendo Freud,
si manifesta nella nevrosi ossessiva maschile in cui il soggetto sceglie come
partner una donna nell'inconscio identificata con la madre (il cui rapporto è un
rapporto di cure) e sposta il godimento su una donna che non ama ma che
desidera sessualmente. Quindi disgiunge l'amore dal godimento. L'uomo che
sceglie la donna povera, la donna che non ha, che manca per poterla colmare col
proprio avere fallico, mi sembra che sia molto omogeneo alla struttura generale
del fantasma maschile. È difficile collocare questo fantasma sul lato dell'isteria
femminile. È un fantasma molto maschile. Cercare la donna che manca perché
possa essere colmata... Su molti uomini la donna molto bella può avere un effetto
di spegnimento del desiderio, di paralisi del desiderio perché è come una donna
che non manca di niente, è una donna che si pone come identificata al fallo...
Domanda: nell'isteria femminile si vedeva l'importanza del padre, nel
caso dell'isterico maschio?Per schematizzare molto rapidamente, nella clinica
della nevrosi ossessiva maschile e nella clinica della perversione abbiamo sempre
tendenzialmente una certa identificazione del bambino al fallo. Quindi in primo
piano si evidenzia una certa presa materna sul bambino. Nella perversione
potremmo dire che questa presa è globale, c'è un'identificazione globale al fallo,
direbbe Lecalire. Nella nevrosi ossessiva questa identificazione è massiccia. Molti
autori dell'IPA parlano di tratti perversi della nevrosi ossessiva che sono tratti
provocati da questa presa materna che pone il figlio come il gioiello più amato, più
voluto, in cui c'è stato troppo godimento. Per cui l'ossessivo deve trovare delle

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strategie per staccarsi, per separarsi da questo eccesso di godimento, per
neutralizzare questa presa. La questione paterna si condensa nel rimprovero al
padre di non essere intervenuto a separare con forza e autorevolezza simbolica il
bambino dalla presa cannibalica della madre. Nell'isteria prevale invece l'amore
per il padre che può portarci fino alle soglie della clinica dell'omosessualità
maschile... Prevale l'amore per il padre, l'amore ambivalente per il padre, l'amore
contrastato per il padre. L'isterica, come afferma Freud, soffre per il rovescio della
nevrosi ossessiva. Non per un eccesso di presenza ma per un difetto di presenza.
La clinica dell'isteria è una clinica del meno, mentre la clinica della nevrosi
ossessiva è una clinica del più di godimento. Il padre idealizzato che troviamo nella
clinica dell'isteria femminile lo troviamo anche nell'isteria maschile. E dunque lo
troviamo anche nel caso del tranviere, uno dei pochi casi di isteria maschile che
Lacan studia. Il caso del tranviere è un caso che Lacan legge attraverso la
questione della paternità, ovvero attraverso la questione della possibilità del
soggetto di diventare padre. In molti soggetti isterici c'è un'urgenza di fare figli.
Quando un uomo è ossessionato dall'idea di fare figli è perché c'è un fantasma
isterico che non è messo bene a fuoco... La “verifica”della virilità, dell' essere
uomo o donna, è data dall'avere un figlio. Quando il tranviere sviluppa i sintomi
isterici? Sono sintomi somatici classici di vertigini, perdita di orientamento,
accelerazioni cardiache, svenimenti al limite della depersonalizzazione. Cade dal
tram. Dal momento dell'incidente in cui cade dal tram sviluppa un corteo di
sintomi isterici di conversione. Questa è la ricostruzione che fa l'analista del
tranviere. Lacan introduce una precisazione importante. Il tranviere è un isterico
ben inserito, sindacalista, ha un sacco di amici, una buona relazione con le donne,
è sposato. Tutto va bene dal punto di vista dei legami. Da bambino si dice che
avesse un interesse “ossessivo” per la germinazione, per i semi di frutta, per i
semini che rimanevano nelle feci, per le uova del pollaio, per come nascevano i
pulcini...Dunque un'interrogazione continua sulla procreazione, e sulla
germinazione. Lacan corregge l'analista del tranviere dicendo che lo scatenamento
dei sintomi isterici non avviene subito dopo la caduta dal tram, ma qualche tempo
dopo essere stato sottoposto a una serie di esami per vedere se si fosse rotto
qualcosa in questo incidente; l'essere sottoposto all'esplorazione dello sguardo
delle macchine della scienza medica provoca lo scatenamento dei sintomi isterici.
Secondo Lacan queste macchine riportano il soggetto a un ricordo infantile. Da
bambino sente gemere una donna e vede una donna con le gambe aperte che sta

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per abortire e quello che esce dalla vagina sono pezzi di corpo del bambino...
Questa è la scena traumatica che secondo Lacan viene riaccesa dalle radiografie a
cui il tranviere è sottoposto. Conclusione di Lacan : quest'uomo ha una questione
sulla procreazione, su come nascono i bambini. La sua vera questione cadendo dal
tram, cioè partorendo, è se lui può o no diventare padre. La problematica
dell'identificazione isterica è in primo piano: “sono un uomo o sono una donna?”
Posso partorire? E che cos'è partorire? Partorire è partorire bambini morti? Si vede
che la sua difficoltà è una difficoltà di accesso a una posizione virile paterna. Egli e'
ingombrato da una identificazione femminile inconscia. È in quelle pagine che
Lacan differenzia con precisione la nevrosi ossessiva dall'isteria maschile. La
questione nell'isteria maschile è: sono un uomo capace di procreare oppure no?
Questione che riecheggia la questione isterica femminile su quanta donna e
quanto uomo c'è in me. Mentre la questione ossessiva è centrata sulla vita e sulla
morte. Essa pone l'interrogativo: "sono vivo o sono morto?". Più precisamente, la
questione ossessiva è usare la morte per risolvere il problema del desiderio. Per
l'isterica rimane invece centrale l' essere nel desiderio; resta decisivo giocare la
partita del desiderio nella seduzione, nell'intrigo, nel rifiuto, nell'appello... Laddove
l'ossessivo tende a distruggere la questione del desiderio e a compattarsi nella
mortificazione di se stesso.

L’altro sesso, la femminilità. Lettura del Seminario XX di


Jacques Lacan

01. Per un uomo una donna è l’ora della verità

Il tema di questo anno è quello dell’Altro sesso, è il tema della femminilità, di che
cosa significa essere una donna. Ma vorrei che questo tema fosse anche
l’occasione per leggere insieme uno dei Seminari più affascinanti di Lacan, il
Seminario XX (1972/73).Voglio introdurre la lezione con un esempio clinico di un paziente
ossessivo che non può dormire nel letto con donne con le quali ha avuto un rapporto sessuale. Dopo il
rapporto sente il bisogno di mandarle via, di allontanarle. Uno dei suoi assiomi di fondo è che
l’attività sessualità permette di cancellare la sessualità. Si tratta di un assioma solo
apparentemente paradossale. Lo scambio sessuale, l’insistenza del godimento
sessuale di tipo fallico, permette all’ossessivo di cancellare, di esorcizzare l’enigma
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- senza soluzione fallica - della sessualità femminile. Egli utilizza la sessualità
centrata sul godimento dell’organo fallico per cancellare l’infinitezza del
godimento proprio della sessualità femminile. La dimensione compulsiva della sua
spinta ad avere rapporti sessuali continui ha la stessa intensità della spinta
aggressiva e sostiene una sorta di rituale ossessivo; rendere non avvenuta la
castrazione dell’Altro. La sessualità fallica è aggressiva perché vuole abrogare il
corpo della donna come corpo senza confini, dunque come oggetto d’angoscia. Il
godimento dell’organo deve ripetersi incessantemente – egli rovescia il celebre
aforisma lacaniano secondo il quale il “rapporto sessuale non esiste” mostrando
che “esiste solo il rapporto sessuale” – per scongiurare il godimento femminile
come godimento insaziabile, senza fondo, non-tutto. In generale gli uomini sono
angosciati dal senza limite delle donne, dal senza limite del corpo femminile e dalla domanda d’amore
femminile che si configura come altrettanto infinita. Jacques Lacan in una lezione del
Seminario XVIII (1971) Di un discorso che non sarebbe del sembiante afferma che
la donna per un uomo è sempre l’ora della verità. È l’ora della verità perché
effettivamente espone l’uomo di fronte a qualcosa che egli non può governare.
Possiamo chiamare questa dimensione della ingovernabilità il “senza fondo” del
godimento femminile. Gli uomini hanno ridicolizzato aggressivamente questo
“senza fondo” con la formula cinica: “sono tutte puttane!”. Quando gli uomini
affermano e pensano, o fantasticano, che la donna sia una puttana stanno
provando a ridurre difensivamente la problematica dell’infinitezza, dell’illimitatezza
propria del femminile. È il loro modo “idiota”, cioè fallico, per appiattire la
spigolosità angosciante che questa in finitezza costituisce perché il godimento
femminile anatomicamente non si vede, non è visibile, non può essere
rappresentato, non è legato al sembiante e non ha nemmeno un bordo, un limite,
un confine perché è privo di organo. C’è una verità dell’esperienza: in un rapporto
sessuale una donna può fingere un uomo no. Ecco perché la donna è l’ora della
verità per un uomo; un uomo davanti al corpo di una donna non può fingere. O ha
l’erezione o non ce l’ha. Diversamente una donna di fronte al corpo di un uomo
può fingere, può tenere una parte...La donna è l’ora della verità per un uomo
perché lo mette di fronte alla possibilità, o meno, di rispondere fallicamente al suo
corpo e al suo desiderio. Il teorema “maschilista” “sono tutte puttane!” è il modo fallico
per esorcizzare l’angoscia maschile nei confronti dell’infinito femminile. Ne
abbiamo una sorta di prova a rovescio nella psicosi femminile: il fenomeno che
Lacan chiama la “pousse à la femme”, cioè la spinta alla donna, l’emergenza

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dell’idea delirante di essere La vera donna, “La donna” in senso assoluto,
irresistibile, ingorda di godimento e priva di castrazione. Questa idea delirante che
può accompagnare alcune psicosi femminili (essere “La donna”!) può per esempio
spingere in certi casi queste donne al passaggio all’atto della prostituzione, ovvero
a realizzare a rovescio l’immaginario maschile che fa coincidere il senza limite del
corpo femminile con l’insaziabilità del godimento della puttana...Quello che il mio
paziente ossessivo ci insegna è che gli uomini possono usare la sessualità fallica
non tanto come una manifestazione di dominio, ma come una difesa inconscia per
cancellare, esorcizzare, limitare, arginare quello che della sessualità femminile
spaventa.

02. La sessuazione

Come si diventa uomini o donne? Come si sceglie il proprio sesso? Queste


domande sembrano paradossali per il discorso medico-biologico. Questo discorso
sembra sostenere che è l’oggettività fuori discorso dell’anatomia a definire il
sesso. Lacan parte da un presupposto diverso dal discorso medico-biologico. Per
Lacan l’anatomia non è un destino compiuto del soggetto. L’anatomia non
definisce l’essere uomo o l’essere donna. Egli ci porta piuttosto a decostruire l’idea
che vi sia un essere del sesso. Non c’è un essere uomo e non c’è un essere donna.
Alla pagina 26 dell’edizione italiana del Seminario XVIII il riferimento non è
all’essere uomo ma al “fare l’uomo”. Non c’è un essere un uomo o un essere una
donna, ma c’è un fare l’uomo o un fare la donna. Il fare non è nella dimensione
ontologica dell’essere, ma in quella del sembiante. E ancora più
provocatoriamente Lacan dice che non si è ma “ci si crede uomini o donne”...
Dobbiamo ora introdurre un termine centrale nel Seminario XX che è un termine chiave per tutta la
riflessione lacaniana intorno all’enigma della sessualità. Si tratta del termine sessuazione. Se il sesso è
un puro fenomeno anatomico (avere o no il pene), la sessuazione è un processo
complesso che consiste nella soggettivazione della propria anatomia e questo
comporta che la dimensione anatomica del sesso possa non corrispondere affatto
all’orientamento soggettivo della sessuazione. In evidenza è lo sfasamento tra il
sesso come dato anatomico e la sessuazione come processo soggettivo di
significantizzazione dell’anatomia. Per Lacan la nozione di differenza sessuale
sembra oltrepassata dai differenti modi di realizzare la sessuazione, ovvero la

72
soggettivazione simbolica della propria anatomia sessuale.Il dibattito femminista
propone, molto schematicamente, due diverse letture della differenza sessuale. Da una parte il
cosiddetto “essenzialismo”, dall’altra il cosiddetto “culturalismo”. L’esponente più noto della
corrente essenzialista è senz’altro Luce Irigaray. Il suo testo più importante che è
L’Altro sesso, degli anni ’70, ne ha decretato l’espulsione dalla scuola di Lacan. La
tesi dell’essenzialismo è che ci sono due sessi distinti, differenziati, con
prerogative non solo anatomiche ma anche psichiche diverse, con sensibilità,
attitudini, vocazioni diverse. C’è un sesso fallico maschile e c’è un Altro sesso che
è quello femminile, totalmente irriducibile a quello fallico. Quello maschile è
centrato sulla monarchia ottusa del fallo e quello femminile è centrato sulla
pluralità democratica, nomadica, del corpo femminile che è un corpo senza centro,
polimorfo, aperto. Tutto il femminismo più radicale segue questo orientamento essenzialistico; la
differenza sessuale ha un contenuto ontologico che riguarda l’essere della donna.
Ci sono dunque due esseri: l’essere maschile e l’essere femminile. Il termine
essenzialismo deriva dal fatto che la sessualità diventa una sorta di essenza che
definisce un essere maschile o un essere femminile.La prospettiva culturalista - la cui
esponente più autorevole oggi è Judith Butler - rovescia la prospettiva essenzialista sostenendo che
l’anatomia non è un destino, che i sessi non sono essenze, che la sessualit à non è frutto
dell’ontologia ma è il prodotto che l’azione della Cultura (dei modelli culturali, delle
strutture discorsive) esercita sul corpo. Non esiste una natura femminile o una
natura maschile. Si tratta di effetti determinati dalle pratiche di assoggettamento
che condizionano il corpo sessuale imprimendo a questo corpo orientamenti
diversi. Da questo punto di vista la cultura lesbica e la cultura omosessuale si
candidano ad essere delle nuove possibilità per il corpo sessuale perché i sessi non
sono ontologicamente solo due. Le possibilità della sessualità sono più di due
perché il sesso non è un’essenza e il corpo può organizzarsi culturalmente anche
in forme sinora non praticate. Se seguiamo Lacan dobbiamo adottare una
prospettiva che supera in senso hegeliano del termine, cioè oltrepassa
conservando la verità unilaterale di queste due posizioni, l’antinomia tra
essenzialismo e culturalismo proprio attraverso il concetto di sessuazione.
Potremmo dire che la teoria della sessuazione è la risposta di Lacan alla polemica
tra essenzialismo e culturalismo, è il superamento della loro antitesi. La
sessuazione preserva l’elemento della differenza sessuale come lo pensa
l’essenzialismo (esiste una differenza, per riprendere le parole di Lacan, tra il fare
l’uomo e il fare a donna), ma questa differenza non è iscritta nella natura

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dell’anatomia, nè nell’ontologia, perché si produce nel processo stessa della
sessuazione, cioè nella scelta soggettiva del sesso.Ecco il punto sul quale Lacan e la
psicoanalisi insistono: l’identità sessuale implica sempre una scelta del soggetto. Non
possiamo far corrispondere la sessuazione femminile al corpo di una donna, né
quella maschile al corpo di un uomo. Ci sono uomini che sono più donne delle
donne e donne che sono peggio degli uomini! Sono quelle donne che risolvono la
questione della differenza tra i sessi per la via di una identificazione inconscia,
fallico-virile, all’uomo....La pelle del corpo, il corpo stesso di ciascuno di noi, è un
sembiante che non dice mai la verità sull’essere del soggetto. Non ci si può fidare
ciecamente del corpo. Il corpo può tradire. Lo dice bene Gennie Lemoine in un suo
libro dedicato alla moda (cfr, Psicoanalisi della moda) dove scrive: “facce da angeli
con cuori di serpenti... facce da canaglie con i cuori d’oro...”. Il lombrosianesimo
del corpo è un’ideologia autoritaria. Non c’è mai una piena corrispondenza tra
l’esterno e l’interno perchè noi – con buona pace di certa fenomenologia – non
coincidiamo mai con il nostro corpo, non siamo mai il nostro corpo.

03. La scelta del sesso

Che cos'è dunque il processo di sessuazione?Se l'anatomia non è un destino come si sceglie
il proprio sesso? Possiamo provare a distinguere tre tempi in cui si scandisce la scelta del sesso. Il primo
tempo è il tempo del sesso biologico, del sesso determinato dall'anatomia. E' il tempo dove il
ruolo del protagonista è recitato dalle macchine della scienza che diagnosticano
qual è il sesso del bambino. Questo primo tempo è il tempo dell'oggettività
anatomica. E' maschio o è femmina? E i genitori si impegnano a dare un nome a
questa evidenza che la scienza diagnostica sempre più anticipatamente. Il primo
tempo è il tempo di un'evidenza naturale. Questa evidenza è un'evidenza anatomico-
biologica. Tuttavia questo primo tempo non esaurisce la scelta del sesso. Il secondo tempo
implica, infatti, il legame del corpo-biologico dell'anatomia con il discorso dell'Altro.
Si tratta del tempo in cui il corpo dell'anatomia entra in relazione alle aspettative
familiari, al desiderio dell'Altro, al narcisismo dei genitori, alla depressione o
all'euforia materna...Insomma a tutte quelle condizioni singolari e contingenti che
determinano l'accoglienza da parte dell'Altro di una nuova vita... Se la scienza si
limita a registrare un'evidenza, il discorso dell'Altro avvolge il corpo di attese,
fantasmi, angosce.. Tra tutte queste attese sappiamo quanto conta l'attesa che il

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bambino sia maschio o femmina... Il corpo da questo punto vista entra in rapporto
al voto dell'Altro, al Wunsch dell'Altro, direbbe Freud. Il fatto che il corpo nasca in
una serie di già nati e di futuri nati (fratelli e sorelle) introduce una variante di
desiderio nella definizione della sessualità di quello stesso corpo. Se il desiderio
materno, dopo due maschi, si aspettava che fosse una femmina, e se questo
desiderio fosse così forte da attribuire quasi un destino al bambino, la
soggettivazione della sessualità anatomica ne sarà inevitabilmente condizionata.
Questo è un primo punto in cui il discorso dell'Altro interviene sul sesso anatomico e sulla sua
evidenza naturale: l'incidenza del voto inconscio. Ma il secondo tempo agisce anche ad un
altro livello. Il discorso dell'Altro fabbrica il corpo, lo costituisce, lo plasma. Questa costituzione
eterodeterminata del corpo dipende, da un punto di vista strutturale, dalla presenza o meno
dell'operatività del Nome del Padre. Il corpo erogeno, il corpo libidico non è un
corpo di natura. Perchè il corpo si strutturi come sessuato, cioè come corpo
libidico, come un corpo pulsionale, è necessario che il Nome del Padre intervenga
in un certo modo sul corpo, cioè che intervenga separando il corpo dal godimento
e localizzando il godimento residuo nelle zone erogene. In questo senso il Nome
del padre sostiene l'azione della castrazione simbolica come operazione di
significantizzazione del godimento. Se il Nome del Padre è forcluso è come accade
nelle psicosi - il godimento non si stacca dal corpo, non c'è castrazione simbolica,
non cՏ separazione-separtizione del godimento e il corpo rimane prigioniero è
ridotto ad oggetto - del fantasma dell'Altro.Il secondo tempo è il tempo in cui l'evento
biologico del corpo si confronta con l'incidenza del discorso (inconscio) dell'Altro ed è difficile misurare
l'impatto di questa incidenza, il punto fin dove può arrivare questa incidenza. In Middle Sex di
Euginedes, che ho avuto già modo di commentare, questa incidenza si rivela
decisiva per determinare la scelta del sesso; il corpo anatomico di un maschio
viene soggettivato rocambolescamente come femmina per rispondere alle attese
dell'Altro familiare. L'attesa del padre che sia una bambina finisce per condizionare
lo sguardo stesso della scienza! Il terzo tempo è il tempo della scelta del sesso
vero e proprio che, a sua volta, ha freudianamente delle tappe evolutive topiche. Il
primo momento è quello che conclude lo sviluppo libidico con l'avvento dell'Edipo,
dove cՏ una prima definizione dell'orientamento della sessuazione. Anche se,
diversamente da Freud, per Lacan questa definizione infantile del sesso non è mai
rigida, compiuta una volta per tutte. Esiste infatti la possibilità di riorientare la
sessuazione nel tempo dell'adolescenza. Mentre per Freud tra i quattro e i cinque
anni i giochi sono fatti e l'orientamento sessuale è deciso in modo irreversibile. Per

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Lacan il tempo dell'infanzia è solo un primo tempo della sessuazione a cui si deve
aggiungere un secondo tempo dove si può rigiocare la partita della scelta del
sesso che è il tempo della pubertà e dell'adolescenza, ovvero il tempo dell'incontro
pulsionale con la sessualità, con il corpo sessuale dell’Altro. Il tempo della scelta del sesso
sarebbe strutturato come un apres coup, sarebbe un tempo retroattivo. Il tempo della scelta del sesso è il
tempo in cui un soggetto riprende il tempo 1 (l’evidenza anatomica del corpo) e il tempo 2 (i
condizionamenti che il discorso dell’Altro ha esercitato sul proprio corpo) della sua costituzione
sessuale, in un movimento di soggettivazione. In questa soggettivazione retroattiva consiste,
precisamente, la scelta del sesso. Vorrei insistere brevemente su Middle Sex come esempio-
paradigma. Si racconta la storia di una nascita stramba dal punto di vista
dell’identità sessuale. I genitori si aspettavano che fosse una bambina quando il bambino viene estratto
dal corpo materno il medico, un po’ miope, lo guarda e non vedendo i genitali maschili
diagnostica che è femmina. Le viene dato il nome di Calliope e viene cresciuta come una bambina.
La bambina soffriva di una sorta di ermafroditismo particolare per cui i genitali maschili non erano
usciti all’esterno, ma erano come rimasti custoditi da una membrana all’interno del corpo e di
dimensioni più piccole del normale. Tutta la dimensione dell’infanzia di Calliope trascorre nella
normalità. E’ una bambina, si sviluppa bene, solo un po’ più muscolosa delle sue compagne
finchè nell’adolescenza il corpo comincia a manifestare tutta la sua differenza. Un incidente fortuito
segna un tornante fondamentale nella vita di Calliope: andando in bicicletta sbatte contro un trattore, si
ferisce e viene portata in ospedale. In sala operatoria i medici, questa volta un po’ meno
miopi del primo medico che la fece nascere, scoprono la presenza dei genitali maschili e informano i
genitori e il soggetto che entra in uno stato di disorientamento: chi sono? Cosa sono? Sono maschio o
femmina? A quel punto Calliope si reca dal più celebre specialista transgender degli Sati
Uniti che gli dice che il sesso non è un destino ma che si può scegliere. Calliope può decidere se
diventare maschio oppure rimanere femmina amputando i suoi genitali. Calliope prende la
decisione di dire di si! al suo sesso anatomico. Si taglia i capelli, assume il sembiante maschile.
Questa scelta però non si compie efficacemente perchè ormai il movimento della sessuazione era stato
orientato sul lato femminile. Il problema di Calliope è che adesso che si è manifestata con
evidenza la mascolinità del suo corpo anatomico in questo corpo, nel corpo maschile, non entra più la
Calliope che è stata fino a quindici anni. E questa Calliope desidera invece vivere ancora. Il
romanzo si conclude su questa drammatica divisione del soggetto: come farà il
soggetto a far vivere ancora Calliope in un corpo che è diventato il corpo di un maschio? In questo
romanzo si vedono distintamente i tre tempi della scelta del sesso. Il primo tempo in cui lo
sguardo della medicina sbaglia e non vede la presenza dei genitali maschili. Il
secondo tempo, cioè il tempo del discorso dell’Altro che la vuole femmina e che convince la

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medicina: è una bambina! L’incertezza dei medici su questo sesso non ben disegnato si arresta
perchè c’è una presa di decisione assoluta della famiglia (la vogliamo femmina!). Infine con
l’adolescenza - il terzo tempo - tutto si riapre e il soggetto decide, nonostante l’anatomia, di essere
ancora Calliope.. Domanda: può specificare meglio la distinzione tra identit à sessuale e identità
di genere?Risposta: l’identità sessuale sembrerebbe un prodotto della natura mentre l’identità di genere
sembrerebbe un prodotto della cultura. Lacan giudica che entrambe queste prospettive sono miopi
perchè dimenticano l’atto del soggetto, la scelta del soggetto, la mediazione soggettiva del reale del
sesso. In questo romanzo a Calliope viene addirittura chiesto di scegliere il proprio sesso. Solitamente al
soggetto non viene mai chiesto esplicitamente e coscientemente di scegliere il proprio
sesso.... La scelta è la scelta del soggetto dell’inconscio attraverso cui il sesso viene soggettivato.
La sessuazione si riferisce alla soggettivazione inconscia del sesso.Domanda: la scelta
omosessuale in adolescenza è transitoria?Risposta: probabilmente occorre fare una
distinzione tra scelta omosessuale maschile o femminile. Nelle donne la presenza di oggetti d’amore e di
desiderio dello stesso sesso è frequente ma non lascia traccia perchè corrisponde alla dimensione della
bisessualità costitutiva della sessualità femminile, mentre per gli uomini è sempre un’esperienza che
lascia il segno. E’ frequente che un’isterica si rivolga anche libidicamente ad una donna che considera
più donna di lei per interrogare, attraverso di lei, il segreto della femminilità. Le
esperienze omosessuali femminili in adolescenza hanno spesso a che fare con il volerci capire qualcosa
di come funziona la sessualità e il desiderio femminile attraverso l’Altra donna che viene spesso
investita di un valore ideale, ma queste esperienze non spostano la sessuazione
sul lato maschile. Mentre esperienze di omosessualità maschile possono determinare un
cambiamento nell’orientamento sessuale del soggetto. Domanda: mi chiedevo se altri
fattori tipo una disabilità sopraggiunta possano cambiare il rapporto con la sessualità.
Penso al caso di una ragazza di 12 anni che ha iniziato ad avere un approccio maschile alla
sessualità e un’attrazione anche verso le donne dopo una sopraggiunta disabilità. Risposta: la
sessuazione è esposta alla contingenza dell’incontro. Mentre l’essenza ontologica si sottrae ad ogni
cambiamento, non è affatto esposta alla contingenza; la sessuazione è esposta al buono o cattivo
incontro ma anche alla contingenza di una disabilità che può inchiodare necessariamente il
soggetto in una posizione inerme. La risposta del soggetto invece di farsi oggetto del godimento
dell’Altro reagisce sul lato della sessuazione maschile, diventa fallicamente attiva per godere
dell’Altro. Potrebbe essere una risposta al trauma dell’essere inchiodata in una posizione passiva. La
donna può godere della passività. è una definizione che Lacan dà di una donna; una donna è un soggetto
che sa godere della sua passività, della sua presenza nell’essere. Nel caso che lei riferisce la
passività è piuttosto l’effetto di un trauma del corpo e non porta con sè nessuna soddisfazione. Non è il
gioco in cui la donna si presta nella scena dell’incontro sessuale. Reagisce facendosi uomo, g odendo

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attivamente di chi la circonda. La sessualità sembra avere una funzione di scarica pulsionale
per deangosciarsi dalla nuova condizione di passività introdotta dalla disabilità

. 04. Mascherata femminile e parata maschile

Per Lacan il cosiddetto “genere” non investe l’essere, ma il sembiante. Non c’è
l’essere l’uomo o donna ma un fare l’uomo o la donna. Fare la donna significa fare
la “mascherata”, mentre fare l’uomo significa fare la “parata”. Dal punto di vista
del sembiante mascherata e parata definiscono la posizione femminile e quella
maschile. Fare la parata, afferma Lacan alla pag.26 del Seminario XVIII, è mostrare
le piume, è fare il pavone. In questo seminario Lacan non ha ancora coniato il
termine sessuazione. Lo conia solo nel Seminario XX. Fare la parata connota la
posizione del maschio che esibisce la sua potenza fallica attraverso
comportamenti che Lacan riconduce all’automatismo proprio dei comportamenti
animali studiati dall’etologia. La parata è mostrare le piume, le medaglie
accumulate, i significanti dell’avere. Il pavone per catturare la pavonessa mostra le
piume colorate esibendo l’immagine della sua potenza fallica. La parata è
mostrare quello che si ha, è mostrare il proprio avere, la potenza dell’avere. Non
solo avere beni, proprietà, oggetti, ricchezza, denaro ma anche avere prestigio.
Avere le piume più luccicanti dell’altro animale. La parata mette il maschio in
rivalità con l’altro maschio come accade nel mondo animale. La parata serve al
maschio per conquistare la femmina. Nella parata maschile la femmina non è
assente ma è ridotta alla preda della parata. La mascherata invece non è
l’esibizione del fallo che la donna non ha. La mascherata è l’occultamento del non
avere e della castrazione. Più precisamente, attraverso la mascherata, attraverso
la cura del proprio sembiante femminile, non si fa mostra l’avere fallico ma si
incarna l’essere fallico giocando con il suo non-avere-il-fallo. La parata esibisce l’avere il
fallo, mentre la mascherata esibisce l’essere il fallo, cioè l’essere l’oggetto che può causare il desiderio,
essere il significante della mancanza dell’Altro, a partire dal velo posto sul non-avere il
fallo. Essere il fallo – come significante del desiderio - significa per una donna
essere colei che rende l’Altro mancante, cioè desiderante. Sotto il vestito non c’è
niente, non c’è il fallo ma il vestito abbiglia il corpo femminile per elevarlo al rango
del significante fallico come significante del desiderio. Mentre la parata mostra che
sotto il vestito ci sarebbe la potenza del fallo, la mascherata mostra invece che
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sotto il vestito non c’è niente nel senso che è l’essere stesso della donna che viene
elevato alla dignità misteriosa del fallo. Potremmo dire che parata e mascherata
maschile e femminile sono entrambe in rapporto al fallo. La parata nella modalità
dell’esibizione, la mascherata nella modalità dell’allusione o dell’esserlo. La
mascherata è finalizzata alla seduzione mentre la parata alla conquista. Troviamo la
formula della seduzione nel piano alto del discorso dell’analista così come Lacan lo matematizza nel
Seminario XVII. (a) verso $. Diventare l’oggetto che causa la mancanza dell’Altro,
farsi l’oggetto agalmatico che irresistibilmente genera il desiderio nell’Altro. La
seduzione è, infatti, l’arte di rendere l’Altro mancante.Nel rapporto della donna con
l’uomo, e viceversa, c’è sempre di mezzo il fallo come ciò che introduce la castrazione
nel rapporto. La donna è il fallo e questo suo essere il fallo mette l’uomo nella
posizione dell’impotenza perché il fallo non è una sua proprietà ma è dalla parte
della donna che lo è in quanto significante del desiderio. Per questa ragione la
bellezza di una donna può anche arrivare a spegnere il desiderio di un uomo. Può
renderlo, appunto, impotente. Quando l’equivalenza della donna al fallo è
eccessivamente piena può provocare l’impotenza fallica nell’uomo che può
assumere forme cliniche diverse, quali, per esempio, quella dell’eiaculazione
precoce, dell’impotenza, del non sentirsi mai sessualmente adeguato. Agli occhi
dell’uomo la donna è il fallo, mentre agli occhi della donna l’uomo ha il fallo. Lacan
sviluppa tutta questa articolata geometria nella lezione del 20 gennaio del 1971
del Seminario XVIII.

05. L'inesistenza del rapporto sessuale


05. L'inesistenza del rapporto sessuale

Il solo oggetto feticistico per una donna è il fallo, mentre gli uomini moltiplicano la serie
degli oggetti-feticci sul fondamento dell’assenza del fallo nel corpo della donna. Spesso la donna tratta
il fallo come feticcio, come parte del corpo preziosa, speciale, mentre il desiderio maschile è
catturato da una varietà estrema degli oggetti-feticcio prelevati dal corpo dell’Altro (piedi, seni, occhi,
scarpe, gambe, orecchini...). Il fallo dell’uomo genererebbe la castrazione nella donna perchè non è solo
quello che vuole. Una donna non vuole solo il fallo dal l’uomo. Quello che un uomo può dare
però è solo il fallo. In questo senso il fatto di ricevere solo il fallo genera la castrazione nella donna, cioè

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la sua delusione che consiste nel fatto che il fallo è un organo del godimento e non un segno
d’amore. Il che d’altronde non significa che certe donne non riescano a trasformare il fallo in un oggetto
d’amore! Nondimeno c’è un’eterogeneità strutturale tra il fallo e il segno d’amore come Lacan ribadirà
insistentemente nel corso del Seminario XX. Il fallo non è un segno d’amore. C’è dunque
una delusione reciproca che Lacan teorizza a pag. 27 del Seminario XVIII come assenza
dell’atto sessuale che diventerà nel Seminario XX inesistenza del rapporto sessuale.C’è
dunque una delusione reciproca nei sessi: sul lato dell’uomo se la donna è il fallo non
posso goderne perchè mi priva del fallo; sul lato della donna se lui ha il fallo posso ricevere solo quello
mentre la mia domanda è ricevere altro oltre al fallo, è di ricevere il segno d’amore.Entriamo adesso
in una pagina centrale del Seminario XX che è la pag. 8 dove Lacan teorizza per la prima volta
l’inesistenza del rapporto sessuale. Cosa significa? Non che non esista il rapporto sessuale come unione
dei corpi, ma che questa unione che si consuma nella copula non oltrepassa mai le
differenze tra l’Uno e l’Altro. Per quanti rapporti sessuali io possa avere nessun rapporto sessuale mi
permetterà mai di fare e di essere Uno con l’Altro. Perchè c’è qualcosa che obietta all’integrazione
reciproca dei corpi. Cosa? Il fallo! Il fallo è un’obiezione di coscienza fatta da uno dei due esseri
sessuati al servizio da rendere all’altro, afferma Lacan. Più precisamente ancora alla pagina 8 leggiamo:
“Il godimento fallico è l’ostacolo grazie al quale l’uomo non arriva a godere del corpo della donna
precisamente perchè ciò di cui gode è solamente il godimento dell’organo”. L’inesistenza del rapporto
sessuale è consustanziale alla funzione fallica.Il godimento fallico obietta al rapporto sessuale
perchè punta all’Uno. Il fallo è l’obiezione rispetto alla possibilità del rapporto sessuale perchè
l’uomo non gode del corpo della donna se non attraverso il fallo. Questo significa che il godimento
fallico è un godimento dell ’organo e non del corpo della donna, significa che il fallo si mette
in mezzo tra l’uno e l’altra impedendo all ’Uno e all’Altro di fondersi. Sul lato della donna il fallo -
che è lo strumento del godimento maschile - è strutturalmente deludente perchè attraverso il fallo non
passa il segno dell’amore. Per quanto il fallo possa essere anche lo strumento del godimento della
donna non è in ogni caso un messaggio d’amore. Una donna soddisfatta è una donna che sa fare del fallo
lo strumento del suo godimento e un segno d’amore. Le cose funzionano diceva Breton
quando il fallo per una donna è come un mazzo di fiori... In ogni caso ciò che impedisce
l’esistenza del rapporto sessuale è il linguaggio di cui il fallo è il significante strutturale della sua
operatività. Io non posso entrare nel corpo dell’Altro, non posso sentire ciò che sente il corpo
dell’Altro perchè tra me e il corpo dell ’Altro c’è il muro del linguaggio. Sono obbligato a passare
attraverso il linguaggio che mi separa dal corpo dell’Altro. Non posso godere direttamente della
Cosa senza mediazioni simboliche. Il godimento è interdetto a chi è nel linguaggio,
l’impossibilità di godere della Cosa è generata dall’esistenza del linguaggio.

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06. Il fallo e la mancanza

Domanda: Lacan è culturalista?Il culturalismo dice una verità: la sessualità non è


un fatto naturale. Il suo limite consiste nel negare la distinzione tra maschile e
femminile. Le donne raggiungono più facilmente la sessuazione femminile perché
non subiscono l’ingombro del fallo. Per gli uomini la sessuazione femminile implica
una piroetta incredibile perché significa liberarsi di quell’ingombro. Una donna può
farne a meno all’origine. Un uomo può farne a meno solo dopo un lungo percorso
di affrancamento e di disidentificazione. L’uomo deve fare un lavoro
supplementare...Mentre una donna tende ad amare fedelmente chi ama se chi
ama la ama, per gli uomini è più complicato perché l’oggetto tende a moltiplicarsi
e il fallo è idiota nella sua esigenza di godere dell’oggetto. La donna parte da una
condizione di povertà che è la sua vera ricchezza, mentre la sessuazione maschile
parte da una ricchezza – l’avere il fallo – che si rivela in realtà come una miseria. In
questo senso per Lacan l’amore eterosessuale è amore per la differenza dell’Altro
e non è amore dell’Uno, è amore della mancanza dell’Altro. Il godimento fallico si
concentra invece feticisticamente sul corpo dell’Altro, ruota attorno all’oggetto, è
feticistico. Alla pagina 29 del Seminario XVIII Lacan afferma che la donna è l’ora della
verità per un uomo nel senso che per sapere la verità di un uomo bisogna sapere
qual è la sua donna. Ha ragione: per pesare un uomo non c’è niente di meglio che
pesare la sua donna! Ma non vale il contrario perché una donna può dare peso ad
un uomo che non ne ha affatto! Se vogliamo vedere la verità del desiderio
inconscio di un uomo andiamo a vedere la sua donna! Non possiamo fare
altrettanto per sapere qual è la verità di una donna! Il partner della donna non
direbbe, secondo Lacan, la verità della donna, ma qualcos’altro.... Ritorniamo ancora
sulla domanda: cosa vuol dire che la donna è l’ora della verità per un uomo? La donna è l’ora della
verità per un uomo perché lo pone di fronte alla verità del suo desiderio e alla possibilità che l’uomo ha
di sostenere fallicamente il suo desiderio. La donna mette alla prova la facoltà di
desiderare di un uomo e dunque mette alla prova l’efficacia della trasmissione
simbolica del fallo da una generazione all’altra. La donna è l’ora della verità per un
uomo perché rivela se un uomo ha ricevuto in eredità il diritto e la facoltà di
desiderare oppure no. La donna è l’ora della verità perché l’uomo può rispondere
alla donna come figlio e non come uomo, come fratello e non come uomo, come
padre e non come uomo segnalando così un difetto della trasmissione del fallo.

81
L’impotenza sessuale, la dessualizzazione del legame, la sua fraternizzazione
possono mostrare sul lato dell’uomo la difficoltà dell’uomo ad assumere il proprio
desiderio fallicamente, il proprio desiderio di uomo per una donna. In una formula
più tardiva che Lacan dichiarerà nel corso del Seminario XXIII si sostiene che una
donna non è solo l’ora della verità per un uomo, ma è anche il sintomo di un uomo.
L’ora della verità è il momento in cui la sessuazione maschile deve potersi
manifestare attraverso il fallo. L’uomo non può fingere: c’è l’erezione o non c’è. È
l’incontro con una donna a rivelare se vi sia stata sessuazione maschile oppure no.
Però la donna è anche il sintomo dell’uomo (e non vale il contrario) perché la
donna è l’apparato di godimento dell’uomo, è il modo in cui l’uomo gode, è il
mezzo del suo godimento pulsionale. In generale possiamo dire che per un uomo l’incontro
con una donna verifica se vi sia stata trasmissione del fallo. Un esempio cl assico di fallimento
della trasmissione simbolica del fallo è quello di Frantz Kafka. La vita di Kafka è
una vita dominata da un’impossibilità a sposarsi e le poche donne che ha avuto
sono donne con cui è entrato in un rapporto di filiazione. Per un uomo il fallo viene
trasmesso dalla funzione paterna. Nella Lettera al padre Kafka racconta che uno
dei ricordi più penosi della sua infanzia fu quello di spogliarsi in un cabina sulla
spiaggia insieme al padre. Il confronto tra i loro corpi nudi mostrava
inesorabilmente la loro estraneità. Franz non si sentiva un vero Kafka. Come se il
fallo non fosse stato donato dal padre al figlio in una trasmissione simbolica
efficace. Non abbiamo la trasmissione del fallo e dunque abbiamo un problema
della funzione fallica a sostenere il desiderio. Ad esempio, la nota difficoltà di Franz
a sposarsi, a diventare in un patto simbolico l’uomo di una donna. Non è una cosa
rara; frequentemente gli uomini si scansano dal matrimonio per evitare l’incontro
con la donna in quanto “ora della verità”.La donna per un uomo è l’ora della verità, è il
sintomo, ma è anche l’oggetto del suo fantasma, l’oggetto piccolo a e proprio per questo attraverso una
donna posso vedere la verità del desiderio di un uomo. Posso vedere se un uomo sta con una donna
ricercando in essa la madre che si prende cura del suo bambino, oppure se un
uomo ricerca la donna ricca per rigettare in questo modo l’angoscia di fronte alla
castrazione materna, ecc. In un paziente nevrotico la scelta ripetuta di donne che
lo tradivano illumina il suo Edipo nel quale la madre tradiva sistematicamente il
padre. Se la donna è il sintomo dell’uomo, Lacan afferma che l’uomo può essere il
ravage (devastazione) di una donna. L’uomo può essere nella posizione di chi
consente la ripetizione del dramma della relazione primordiale con la madre.
Quando andiamo a vedere la relazione di un uomo con una donna non andiamo

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immediatamente a cercare il padre, ma cerchiamo piuttosto la madre. Nei legami
più difficili dietro all’uomo non c’è il padre, ma la madre, la fissazione al legame
materno. Sono questi i legami che tendono al ravage, cioè alla distruttività, al
godimento eccessivo, alla violenza, al caos, alla dipendenza tossica. In una mia
paziente gli uomini erano scelti con il solo criterio della loro irregolarità patologica,
per esempio sceglieva uomini tossicodipendenti. In questo modo poteva riattivare
il suo rapporto alterato con la madre. Il vortice distruttivo che ha incontrato con la
madre tende a ripetersi con l’uomo tossicomane che va a prendere il posto della
madre più che del padre. La dimensione edipica della scelta femminile – quando
l’uomo prende il posto del padre - è una scelta che assicura più stabilità simbolica.
A condizione che in questo ritorno del padre nell’uomo - che in alcune donne è
totalmente cosciente - si manifestino i due tratti fondamentali della paternità che
sono da una parte l’idealizzazione e dall’altra il dono della mancanza. La donna ha
bisogno di stimare, di ammirare il proprio uomo, di riconoscergli un valore fallico.
Tuttavia l’idealizzazione edipica dell’oggetto della donna tende a produrre
delusione e insoddisfazione se non si combina con il secondo elemento della
paternità che è l’elemento della castrazione, l’incontro con la debolezza, con la
vulnerabilità del padre, con la castrazione dell’Altro. L’uomo che una donna può
amare in alternativa al ravage è l’uomo che sa incarnare il fallo e la mancanza
insieme. Se incarnasse solo il fallo diventerebbe oggetto di delusione. Se
incarnasse solo la mancanza produrrebbe ravage. L’uomo alternativo al ravage è
l’uomo che unisce il fallo alla mancanza. Ci sono donne che non sopportano la
fragilità dell’Altro perché istericamente tendono ad identificare l’Altro con il fallo.
Ma il ” vero amore” di una donna per un uomo si fonda sull’integrazione del fallo
con la mancanza dell’Altro. Dove però questa mancanza non genera la sua
defallicizzazione. Piuttosto è solo nella misura in cui il fallo non è integrato con la
mancanza che è destinato a decadere. In questo senso l’amore eterosessuale è
sempre amore della mancanza dell’Altro, del difetto, dell’imperfezione, senza che il
difetto svalorizzi fallicamente chi lo porta, anzi. Il tossicomane va verso la droga per non
assumere la funzione fallica perché non è in grado di sostenere l’ora della verità che una
donna rappresenta. L’assunzione della droga viene al posto dell’assunzione del
fallo. Un uomo può stare tutta la vita con una donna che resta nella posizione di
madre. Non c’è nessuna angoscia. È la più comune degenerazione della vita
amorosa maschile secondo Freud. La donna come madre e le amanti come donne.
Ma in un donna non funziona affatto così.Domanda: l’amore come “dare ciò

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che non si ha” vale sia per l’uomo che per la donna?Risposta: Mentre il rapporto
sessuale non esiste perché c’è di mezzo il fallo, l’amore, potremmo dire, è sempre
reciproco. Questa reciprocità non c’è nel rapporto sessuale dove l’uomo gode del
fallo e la donna chiede il segno d’amore. Lì c’è un’asimmetria.

07. Il godimento mortale come godimento incestuoso

Possiamo dire che il tema di fondo del Seminario XX sia il tema dell’amore visto
dalla prospettiva della femminilità. Nel Seminario XVIII possiamo isolare un
passaggio cruciale situato a pag. 99. Leggiamo: “E’ dunque chiaro che il
godimento sessuale, per strutturarsi, non ha trovato che il riferimento
all’interdetto del godimento in quanto è nominato, ma si tratta di un godimento
che non è quella dimensione del godimento in cui consiste, per essere esatti, il
godimento mortale. In altri termini il godimento sessuale prende la sua struttura
dall’interdetto che colpisce il godimento rivolto verso il proprio corpo, ossia, per la
precisione, quel punto di spigolo e di frontiera in cui confina con il godimento
mortale. E il godimento raggiunge la dimensione sessuale solo se l’interdetto
colpisce il corpo da cui esce il proprio corpo, ossia il corpo della madre. Soltanto
per questa via si struttura e viene raggiunto nel discorso ciò che, solo, può
apportarvi la legge, ossia quel che concerne il godimento sessuale.”Si tratta di un
passaggio molto denso. In primo piano è innanzitutto una differenza: il godimento sessuale non è il
godimento mortale. Lacan distingue il godimento sessuale da quello mortale. Nel Seminario XX
distinguerà invece il godimento fallico (godimento sessuale) dal godimento
dell’Altro come una trasfigurazione del godimento mortale. In effetti Lacan
pluralizza il concetto di godimento, lo differenzia nel senso in cui Aristotele
differenziava l’essere. Aristotele affermava che ci sono molteplici significati
dell’essere e Lacan direbbe che ci sono molteplici versioni del godimento: il
godimento fallico e il godimento dell’Altro, ma non solo.Il brano che abbiamo appena letto
definisce il godimento sessuale come quel godimento che si struttura attraverso
l’interdetto. E’ un tema freudiano: il godimento sessuale si struttura attraverso la
Legge che interdice l’incesto. Il godimento incestuoso non è il godimento sessuale
perché il godimento sessuale implica l’interdizione simbolica del godimento
incestuoso. Il godimento incestuoso è sul lato del godimento mortale. Il godimento
quando è incestuoso si rivela mortale. Il godimento sessuale, invece, è in rapporto

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ad un impossibile, all’impossibile del godimento incestuoso. L’impossibilità di
godere della Cosa materna rende possibile il godimento sessuale e rende possibile
il desiderio. Per Lacan, come per S. Paolo, è la Legge che istituisce il desiderio, la
Legge come interdizione del godimento della Cosa. Il godimento mortale invece
non si struttura sull’interdizione. Il godimento sessuale prende la sua struttura
dall’interdetto che colpisce il godimento rivolto verso l’origine del proprio corpo.
Questo significa che il godimento sessuale non è godimento dell’origine del proprio
corpo perché l’interdetto colpisce il corpo da cui esce il proprio corpo, ossia il corpo
della madre. L’interdetto colpisce il corpo della madre e rende possibile il
godimento sessuale come un godimento che non ristagna nel proprio corpo, ma
come un godimento rivolto all’Altro. Il godimento sessuale non è godimento della
Cosa, ma è godimento del corpo dell’Altro. Il godimento mortale non si struttura
sulla Legge. Il godimento sessuale può confinare con l’Altro godimento che è il
godimento mortale. In questa formula del “godimento mortale” vediamo riapparire
la figura inquietante della pulsione di morte di Freud. Il godimento mortale non è
sessuale, non è in rapporto alla castrazione, è asessuato. Questo godimento è
Altro rispetto al godimento sessuale. In questo modo Lacan ci introduce al
Seminario XX separando due tipi fondamentali di godimento: il godimento fallico e
l’Altro godimento.

08. Dal grande Altro all’Altro sesso

La prima lezione del Seminario XX è stata titolata da Miller: “Del godimento”. A pag.
4 si può leggere: “il linguaggio non è l’essere parlante [...] l’esistenza dei codici
evidenzia che il linguaggio se ne sta lì, a parte, costituito nel corso dei secoli,
mentre l’essere parlante, quel che si chiama gli uomini, è ben altra cosa.”Appare qui
una distinzione classica nell’insegnamento di Lacan, quella tra il linguaggio e la
parola. Il linguaggio dice Lacan non è l’essere parlante. Il linguaggio se ne sta da
parte rispetto alla vita, è un Codice che ha delle sue proprie leggi. È un campo
sovraindividuale, universale che si struttura a partire da due leggi universali che
sono quelle della metafora e della metonimia. Dominato da leggi culturali,
costruito nel corso dei secoli, il linguaggio è la sedimentazione della storia e della
cultura umana. Il linguaggio non è però fatto dagli uomini, ma è ciò che fa gli
uomini, è ciò che plasma il mondo degli uomini disantropicamente perché il
linguaggio non dipende affatto dagli uomini che lo hanno fabbricato, ma è ciò che

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costituisce gli uomini. Il linguaggio è quell’orizzonte transindividuale dentro al
quale accadono tutti i fenomeni linguistici, compresa la comunicazione. La
comunicazione dipende dall’esistenza preliminare e strutturale del linguaggio
come luogo del grande Altro. Heidegger diceva non è l’uomo che parla ma è il
“linguaggio che parla”. Noi siamo parlati dal linguaggio. Ma l’essere parlante, cioè
quello che chiamiamo uomo, è colui che parla. La parola è sempre un atto
singolare, la parola implica la responsabilità etica dell’atto del soggetto. L’essere
parlante non è il linguaggio perché l’essere parlante è innanzitutto un atto.
Abbiamo allora un’ antinomia tra il Codice e l’atto. Tutta la problematica di Gustave
Flaubert ricostruita da Sartre è centrata sulla tensione tra parola e linguaggio. Il
soggetto psicotico, in generale, è un soggetto che è nel linguaggio, ma non è nella
parola. Tutti siamo nel Linguaggio perché il linguaggio è il campo dentro cui
avviene l’uomo, ma lo psicotico non accede alla funzione singolare della parola. Lo
psicotico non può amare, non può accedere all’amore perché l’amore dipende
dall’atto della parola, dalla nominazione dell’amore, dalla nominazione della
mancanza dell’Altro. Questa antinomia tra il grande Altro anonimo, distantropico, universale del
Codice del linguaggio e il soggetto come colui che è capace di parola, è una dicotomia
che si raddoppia tra la dimensione del godimento e quella dell’amore. Il godimento
è sul lato del linguaggio e l’amore sul lato della parola. Il luogo dell’Altro nel
Seminario XX viene ripensato da Lacan cioè non coinciderà più con l’Altro del
linguaggio. Il luogo dell’Altro si incarna nell’Altro sesso. Il luogo dell’Altro è il luogo
dell’Altro sesso cioè della femminilità. Il luogo dell’Altro passa da essere il luogo
universale e astratto delle leggi del linguaggio al luogo incarnato che definisce
l’Altro sesso.

09. Godimento e amore

L’opposizione tra godimento e amore è un altro tema del Seminario XX. A pag. 5
Lacan si chiede direttamente che cos’è il godimento? E si dà questa risposta: “il
godimento è ciò che non serve a niente”. Questa è una definizione molto precisa. Il
godimento non serve a niente nel senso che il godimento è irriducibile sia
all’esperienza dell’utile che all’esperienza del bene. Il concetto di utile richiama a

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Bentham, mentre il concetto di Sommo bene rinvia ad Aristotele. Il godimento in
quanto non serve a niente è una terza via rispetto alla via dell’utile e alla via del Sommo bene. La vita
che gode risponde ad un criterio che non è il criterio né dell’utile né del Sommo bene.
Dire che il godimento non serve a niente significa ribaltare la morale utilitaristica
di Bentham secondo la quale l’essere umano sceglie quello che gli è utile. La teoria
utilitaristica è una variazione dell’empirismo: gli esseri umani cercano di realizzare
i loro progetti con il minimo dispendio di forze e con la massima utilità. Questo
teorema renderebbe però una serie di comportamenti umani – quelli di cui si
occupa lo psicoanalista - totalmente inspiegabili. L’utilitarismo è una morale
ingenua perché non tiene conto del carattere stupidamente dispendioso del
godimento. Il godimento è antieconomico e anti-utilitaristico tanto che, come
afferma Lacan, non serve a nulla, non c’è alcuna finalità estrinseca al godimento.
L’unica finalità del godimento è il godimento stesso. In questo senso non serve a
niente se non a se stesso. È il carattere profondamente narcisistico-autistico,
uniano, del godimento. Il godimento non serve a niente se non ad accrescere il
godimento stesso.Il godimento non è però un Sommo bene perché non fa il benessere del soggetto.
Il benessere è posto da Aristotele come meta naturalistica ed edonistica dell’etica. Il Sommo bene
implica per Aristotele l’evitamento degli eccessi. La virtù è sempre nel mezzo, è sempre
mediana. In questo senso la virtù sostiene la vita perché impedisce che la vita si
consumi e si dissipi. La virtù conserva la vita. La virtù di Aristotele è la
conservazione della vita, è la possibilità di procurarsi un piacere temperato, di
evitare il dolore. Diversamente il godimento non serve a niente nel senso che non
è finalizzato alla conservazione della vita e non serve nemmeno a difendere la vita.
Il godimento è godimento mortale nella sua essenza. L’amore è l’alternativa al
godimento. All’entrata del Seminario XX Lacan pone l’amore come un’alternativa
al godimento. Il godimento è sempre godimento dell’Altro cioè è sempre
godimento del corpo. Implica la sostanza del corpo. Cosa c’è oltre al godimento del
corpo? La psicoanalisi mette in rilievo che il godimento del corpo è fondamentale
per l’essere umano. Se il godimento è sempre godimento del corpo, allora significa
che non è segno dell’amore (pag.5). L’amore si soddisfa fondamentalmente
attraverso il segno, la relazione con l’Altro, non attraverso il corpo. L’amore implica
il corpo sessuale, ma si soddisfa attraverso il segno e il segno è innanzitutto segno
di riconoscimento. Il segno è ciò che attribuisce all’Altro delle caratteristiche che lo
rendono unico e insostituibile, cioè diverso da un pezzo di corpo.Lacan nel Seminario
X aveva teorizzato l’amore come “amore del nome”, amore per ciò che definisce il

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reale più proprio di un soggetto. Ma se diciamo che l’amore è amore del nome
rimane fuori il problema del corpo. E la psicoanalisi non può prescindere dal corpo,
dal corpo come sostanza godente. Tuttavia l’esperienza centrale dell’amore è
proprio quella di amare il nome come se fosse un corpo e di amare il corpo come
se fosse il nome del soggetto, con la stessa intensità. Amare il nome come se fosse
un corpo significa che quando lo si pronuncia, quando si pronuncia il nome di chi si
ama, c’è godimento del nome. Amare il corpo come un nome significa amare il
corpo dell’Altro non come un pezzo, ma come un nome, appunto, dunque come
qualcosa di assolutamente unico. Ritroviamo a pag. 6 l’opposizione tra amore e
godimento. Lacan differenzia nell’essere umano due modi distinti della
soddisfazione: la soddisfazione del godimento e la soddisfazione dell’amore. La
soddisfazione del godimento trasfigura in termini significanti la soddisfazione del
bisogno mentre la soddisfazione dell’amore si struttura su quella del desiderio in
quanto il desiderio umano si soddisfa solo nel riconoscimento del desiderio
dell’Altro. L’unico oggetto del desiderio dell’Altro è, infatti, l’ essere desiderato
dall’Altro. Nella soddisfazione del godimento c’è qualcosa dell’urgenza materiale
del bisogno mentre nella soddisfazione dell’amore - che è una soddisfazione del
segno - c’è qualcosa della soddisfazione simbolica del desiderio. L’esperienza del
godimento che non serve a niente è un’esperienza di non-relazione. L’esperienza
dell’amore è invece un’esperienza della relazione. Il godimento è in rapporto alla
Cosa, mentre l’amore è in rapporto al desiderio dell’Altro. Lacan adopera il termine
autismo per definire la struttura del godimento che è sempre dell’Uno. Il
godimento del corpo è sempre godimento dell’Uno fuori dalla relazione. L’amore
implica invece sempre il desiderio dell’Altro. Troviamo in S. Agostino una distinzione
che Lacan conosce bene tra l’amore come cupiditas e l’amore come caritas.
L’amore come cupiditas è l’avidità chiusa del godimento dove la creatura non è più
in rapporto al creatore. La creatura non ha più legame con l’Altro ma si pone come
padrona di se stessa. La caritas è invece quella versione dell’amore che tiene
conto della subordinazione della creatura al creatore, che subordina il soggetto alla
relazione con l’Altro. L’amore implica sempre l’amore per l’Altro e non per l’Uno.
Agostino diceva che non c’è peccato maggiore di quando la creatura conta più del
creatore.

10. L’ amur

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Cosa domanda l’amore? A pag. 6 troviamo una riposta semplice: l’amore domanda l’amore.
L’amore non domanda ciò che l’Altro ha, ma domanda l’amore, domanda il segno della mancanza
dell’Altro. L’amore è domanda di essere amati. La domanda d’amore scaturisce da una
faglia cioè da una mancanza, dalla mancanza dell’Altro, è domanda di mancare
all’Altro. Amare è donare la propria mancanza. Ma questo implica che nell’amore ci
sia sempre un muro, un a-mur. L’amore implica il muro. L’ Amuro. L’amour è a-
muro. Il muro è il muro del linguaggio. Il linguaggio è un muro nel senso che è una
struttura di separazione. L’esistenza del linguaggio separa il soggetto dal corpo da
cui viene, cioè dal luogo del godimento incestuoso. L’esperienza dell’amore implica
una separazione. Secondo Lacan la tendenza nei sentimenti è quella della
specularità, ma l’amore che deriva dalla specularità è l’amore narcisistico del farsi
amare, dell’ amare se stessi nell’Altro, è l’amore come rispecchiamento. In questo
amore narcisistico quello che conta non è l’Altro, ma l’Uno, la fusione, il desiderio
di essere Uno. L’amore è tensione verso l’Uno, è fare Uno, è una reciprocità
speculare? Per certi versi l’amore è l’illusione del fare Uno, ma questa illusione è
solo la degradazione narcisistica dell’amore. Per Freud non esiste amore che non
sia narcisistico. La passione dell’amore è una passione narcisistica (Cfr. S.Freud,
Introduzione al narcisismo). Per Freud l’amore per l’altro è amore di sé;
l’innamoramento è un suicidio. Per Freud non c’è speranza che esista amore non
narcisistico.Il Seminario XX giudica fondamentali le acquisizioni freudiane sulla natura narcisistica
dell’amore (l’amato è la rappresentazione inconscia dell’io ideale del soggetto), ma secondo Lacan
occorre, seguendo il poeta Rimbaud, interrogarci sulla possibilità che esista un
nuovo amore (pag16). La risposta sarà nell’ultima lezione del Seminario dove
Lacan ci darà una definizione antinarcisistica dell’amore che è una delle finalità
fondamentali dell’esperienza analitica; raggiungere un amore emancipato dalla
trappola del narcisismo, dalla trappola del fare Uno con l’Altro.L’amore implica e non
esclude il corpo. La domanda dell’amore è “ancora!”. Encore! Lacan gioca sull’assonanza tra encore
e en-corps (pag.6). L’amore implica l’incarnazione. È amore di un nome ma di un
nome che si incarna. La domanda d’amore è una domanda infinita. Le donne
manifestano il carattere infinito della domanda d’amore. Molte analisi femminili si
concludono sulla riduzione di questa domanda, mentre molte analisi maschili si
concludono sull’apertura della domanda d’amore. Per la donna la questione è
ridurre il carattere infinito della domanda d’amore, mentre per l’uomo è rendere
possibile il carattere infinito della domanda d’amore. Encore, Ancora, significa che
c’è dell’infinito nella domanda d’amore, che l’amore non si soddisfa mai una volta

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per tutte, che la risposta dell’amore alimenta l’amore. Il problema per Lacan è
come congiungere la dialettica della domanda d’amore con il campo chiuso del
godimento. Come si articola la domanda d’amore con il godimento sessuale se la
domanda d’amore ruota attorno al segno mentre il godimento ruota attorno al
corpo? Come si possono conciliare queste due polarità?

11. L’Uno

Esiste una distinzione fondamentale di due termini legati all’Uno: l’uniano e


l’unario. L’uniano è un termine che Lacan usa in Television che è coevo al
Seminario XX. Perché il problema dell’Uno è fondamentale in questo Seminario?
Perché Lacan si chiede se l’amore può fare Uno, se il godimento sessuale può fare
Uno, se la relazione tra un uomo e una donna può fare Uno. E la risposta che dà a
tutte queste domande, come abbiamo già visto, è “no!”. Lacan riflette sull’Uno per
verificare che esiste un’impossibilità a fare Uno. Se l’Uno – l’essere il fare Uno con
l’Altro è impossibile – si dà comunque dell’Uno. Anzi, Lacan distingue almeno tre
forme diverse dell’Uno. l’uniano, l’unario e l’una.L’unario: Freud definisce in Psicologia
delle masse il tratto di identificazione della massa al capo come tratto unario, ein
einziger zug. Per esempio i baffi di Hitler. C’è un tratto di identificazione prelevato
nel luogo dell’ideale. Il tratto unario è il fondamento dell’identificazione simbolica
edipica al padre. Non è un’identificazione speculare di tipo narcisistica, non si
limita alla cattura dell’immagine allo specchio, ma è un tratto che il soggetto
preleva dal luogo dell’Altro. Per Freud questo prelievo è il dono del padre che
permette al bambino di diventare soggetto di desiderio. Il tratto unario è
l’identificazione basale, fondamentale, su cui si appoggiano tutte le identificazioni
secondarie. Mentre gli io ideali variano e si trasformano nel corso della vita,
l’ideale dell’io è il tratto basale, è il tratto che rende possibile la serie, è il
passaggio da 0 a 1, è l’identificazione costituente.La psicoanalisi dovrebbe mettere in luce
il tratto unario del soggetto su cui si sono poi sedimentate le altre identificazioni. Il tratto unario è il
tratto dell’identificazione che ci unarizza, ci singolarizza, che viene dall’Altro ma
pure istituisce la singolarità del soggetto. L’Uno dell’identificazione è possibile. Nella
schizofrenia manca il tratto unario e il soggetto appare come frammentato, privo di unità appunto,
disgregato. L’Uno del tratto unario è possibile mentre l’Uno del rapporto sessuale è
impossibile (pag.8)L’uniano: non è nell’ordine dell’identificazione ma nell’ordine del

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godimento. E’ il godimento dell’Uno senza l’Altro, è il godimento della sostanza che
è separata dall’Altro, staccata dal corpo dell’Altro. Se il godimento sessuale non è il
godimento dell’Uno di cosa è godimento? Il godimento sessuale è il godimento
fallico, che è un godimento dell’Uno. Il fallo a sua volta è un godimento dell’Uno.
L’una: l’una indica il fatto che La donna in senso universale, secondo Lacan, non
esiste. Esiste solo l’una, l’una per una. L’una sarebbe la marca della singolarità
propriamente femminile che reagisce all’idiozia del fallo che essendo sempre
godimento dell’Uno perde la dimensione dell’una per una. Quello che non
sopportano le donne e di essere come le altre. Non-una. L’affermazione dell’una
per una mostra l’inesistenza de La donna e il venire in primo piano della singolarità
perché La donna esiste solo nella psicosi (“pousse à la femme”), dove l’emergenza
dell’idea delirante di essere una vera donna riabilita una sorta di universale de La
donna. Il riferimento all’una si trova a pag. 11 nella chiusura del paragrafo 3. Se la donna non esiste,
delle donne si può solo fare una lista e contarle. Se ce ne sono mille e tre è perché
le si può prendere una ad una e questo è l’essenziale. Ed è tutt’altra cosa dall’Uno
della fusione universale. Se la donna non fosse non-tutta, se nel suo corpo non
fosse non-tutto, se nel suo corpo non fosse non-tutta come essere sessuato, nulla
di tutto ciò reggerebbe. L’uno della donna non è l’Uno dell’Universale ma è l’uno
singolare dell’una per una. E’ l’Uno dell’una. La donna esige di essere trattata
come una e non come La donna. Le donne le possiamo contare perché hanno dei
nomi propri. Le donne sono sempre un nome proprio, rappresentano il contrario
della fusione universale all’Uno. Ecco perché le donne, diversamente dagli uomini,
non credono nell’Uno e sono disposte a sacrificare l’Uno per la difesa del
particolare. La figura di Antigone mette bene e tragicamente in rilievo la difesa
della particolarità singolare contro la Legge universale della città.

12. Non-tutta

La donna esige di essere presa come una perché è non-tutta. Nella misura in cui la
donna è non-tutta esige di essere una. Non-tutta significa: non tutta sottomessa
alla legge del godimento fallico, non-tutta subordinata alla legge universale della
castrazione. C’è qualcosa della donna che sfugge a questa legge. C’è qualcosa
della donna che sfugge all’esperienza del limite, c’è qualcosa della donna che non
ha limiti sia nell’amore sia nell’odio... Nell’amore è la domanda infinita dell’amore

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che non si sazia mai (encore, encore...); nell’odio Lacan fa l’esempio di Medea che
uccide senza pietà i propri figli perché tradita da Giasone. L’odio di una donna
innamorata può essere un odio senza limite. Una donna può distruggere tutto per
amore. Il senza limite è anche il rapporto che una donna può avere con l’uomo. Se
una donna per un uomo è un sintomo e per capire il segreto di un uomo occorre
guardare la donna con cui sta (l’oggetto del suo fantasma), per una donna l’uomo
può essere il luogo di un godimento senza limite e quindi di un godimento mortale.
Godimento mortale non sessuale, cioè un godimento che ripete la relazione
primaria della bambina con la madre e che Lacan chiama ravage; godimento che
consiste in un’infinita devastazione.Il riferimento preciso all’unario lo troviamo a pag. 7: “la
questione che fa l’Uno è quella dell’identificazione; l’abito ama il monaco”. Perché ci
sia un monaco ci vuole anche l’abito. L’abito, l’identificazione, dà una forma al
soggetto. L’unarizzazione del soggetto dipende dal significante dell’ideale dell’io.
L’uno uniano definisce invece il godimento staccato dall’Altro; il godimento fallico è
godimento dell’Uno perché ciò di cui si gode nel godimento fallico è l’organo. Il
godimento fallico è l’obiezione all’esistenza del rapporto sessuale. Il godimento
fallico è il godimento uniano dell’organo e dunque è ciò che obietta all’esistenza
del rapporto sessuale (pag.8). Il godimento fallico è l’ostacolo alla possibilità di
incontrare il godimento dell’Altro. Il godimento, essendo fallico, è solo godimento
dell’Uno. Non si arriva mai a godere del godimento dell’Altro, non si arriva mai a
godere del corpo della donna. Perché ciò di cui si gode è il godimento dell’organo.
Il godimento fallico è l’ostacolo grazie al quale l’uomo non arriva a godere del
corpo della donna, precisamente perché ciò di cui gode è il godimento dell’organo.
Il fallo è l’obiezione di coscienza fatta da uno dei due esseri sessuati (l’uomo) in
quanto è provvisto dell’organo detto fallico, all’esistenza del rapporto sessuale.Il
godimento fallico è il godimento uniano che impedisce l’incontro con il godimento
dell’Altro. L’uomo e la donna sono, da questo punto di vista, come Achille e la
tartaruga nel famoso esempio con cui il filosofo Zenone difendeva la tesi del suo
maestro Parmenide (per Parmenide solo l’essere è, il non-essere non è, esiste solo
l’Uno immobile non esiste il divenire, la tesi dell’inesistenza del movimento,
dell’inesistenza del tempo e del divenire, dell’inesistenza del molteplice). Il
paradosso logico della tartaruga e di Achille serve invece a Lacan per illustrare
l’inesistenza del rapporto sessuale.. Achille è l’uomo più veloce del mondo la
tartaruga è l’animale più lento del mondo.La tartaruga parte per prima, ma Achille non potrà
mai raggiungere la tartaruga perché esiste una divisione infinitesimale dello spazio da

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percorrere che dimostra che Achille non raggiungerà mai la tartaruga. A Lacan
interessa il fatto che in questo paradosso logico non si dia mai la possibilità di un
congiungimento di Achille con la tartaruga. Il rapporto non si può porre. C’è uno
sfasamento tra Achille (godimento fallico) e la tartaruga (godimento dell’Altro), tra
la sessuazione maschile e la sessuazione femminile. Se il godimento sessuale è
filtrato dal godimento fallico, i due non potranno mai fare Uno. La legge della
castrazione che struttura il godimento sessuale limita il godimento rendendolo non
mortale, strutturandolo nel quadro del fantasma. Il godimento sessuale –
diversamente dal godimento mortale - è un godimento strutturato dalla
castrazione e dal fantasma, è un godimento fallico. Il godimento strutturato, il
godimento fallico, recintato dal fantasma, è il godimento che risponde alla
sessuazione maschile. Questa modalità di godimento che si struttura sulla castrazione e implica
una limitazione del godimento è la sessuazione maschile. Il problema è che la
sessuazione femminile non si limita al godimento fallico perché è non-tutta fallica.

13. La sostanza godente

Il godimento sessuale è specificato da una impasse, da un fallimento, e questa


impasse è l’impossibilità del rapporto sessuale. A pag. 10 Lacan lo afferma
risolutamente: il godimento sessuale esclude il rapporto sessuale perché è
godimento dell’Uno e non dell’Altro perché: “Non si è mai visto nessuno uscire del
proprio corpo per comprendere quello dell’Altro”. E ancora alla pag.23:“il
godimento sessuale è ciò che non fa esistere il rapporto sessuale. Si può godere
soltanto di una parte del corpo dell’Altro. Non si è mai visto un corpo attorcigliarsi
completamente fino a includerlo e fagocitarlo attorno al corpo dell’Altro” . Il
godimento sessuale mostra che i due non fanno mai Uno. Il godimento in quanto sessuale è
fallico, cioè non si relaziona all’Altro in quanto tale; è un godimento uniano, fuori
dalla relazione. La dimensione del godimento senza rapporto, introduce alla
definizione del soggetto come sostanza godente (pag.23) . Ma cosa significa
sostanza godente? Proviamo ad entrare nel problema di cosa significa godere di un
corpo. Il corpo, afferma Lacan, è una sostanza godente. Non è forse ciò che è
supposto propriamente dall’esperienza psicoanalitica? La sostanza del corpo è
definita soltanto in ragione del suo godimento. Non sappiamo che cos’è l’essere
vivente se non che è un essere che si gode. La sostanza del corpo è ciò che si

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gode: un corpo è qualcosa che si gode da sé. Quando Lacan afferma l’esistenza del
corpo come ciò che “si gode” (pag. 23), questo “si gode” significa che c’è una
positività pulsionale del corpo che si gode, appunto, senza l’Altro come se non
esistesse una pulsione alloerotica ma sempre autoerotica: pulsione che gode di sé
senza l’Altro. Si tratta di una totale emancipazione della sessualità umana da ogni
criterio biologico-naturale. La sessualità è finalizzata a godere e il godimento non
serve a niente se non a godere. Questa è una versione puramente uniana del
godimento. Lacan sino a questo momento aveva sempre scritto il soggetto come soggetto
barrato: $. Questo significava pensare il soggetto come senza sostanza, privo di
sostanza, come una mancanza a essere. Il soggetto senza sostanza è il soggetto
del desiderio, il soggetto diviso, il soggetto dell’inconscio. Un soggetto senza
sostanza è un soggetto in perdita di godimento, in perdita d’essere. Il soggetto
diviso è un soggetto come mancanza a essere, quindi l’esatto contrario di una
sostanza godente. Nel Seminario XX si consuma un passaggio dal soggetto come
soggetto di desiderio - il cui corpo è reso mancante dall’azione del simbolico che
svuota il corpo dal godimento, che lo separa dal godimento (vi sarebbe una
sostanza di godimento su cui il significante agisce) - alla sostanza godente. Nello
stesso tempo il significante non è più ciò che svuota il corpo dal godimento, ma
diviene un veicolo del godimento, ciò che introduce il godimento nel soggetto. In
questo senso il significante non è più in alternativa al corpo, non è più ciò che
desertifica il corpo dal godimento, ma si situa allo stesso livello della sostanza
godente (pag. 24). Il significante non è più ciò che cancella il godimento ma
diventa ciò che lo causa, diventa la causa del godimento. Il significante causa il
godimento ma, se leggiamo attentamente a pag. 24, troviamo anche che il
significante è ciò che dà l’Alt al godimento. C’è quindi un carattere bifido del
significante che da una parte causa il godimento ma dall’altra definisce anche il
limite del godimento. Il godimento che non rispetta l’Alt del significante tende a
diventare il godimento mortale. Il significante mette un limite al godimento nella
misura in cui lo struttura. Ma in tutto questo che fine ha fatto il soggetto di desiderio? Che fine ha
fatto il significante come ciò che aliena la mancanza a essere producendo il corpo libidico
come un corpo svuotato di godimento? Il posto del soggetto sembra preso proprio
da questa sostanza godente, da un corpo che si gode e si gode mediante il
significante. Provo a semplificare questi passaggi teorici attraverso un esempio
clinico. Si tratta di una giovane donna che ricerca un godimento cattivo nell’Altro;
le piace essere maltrattata. Anima litigi con il partner per trasformare questa

94
eccitazione violenta nel godimento sessuale. E’ una dimensione masochistica che
può accompagnare il godimento femminile. La donna può accomodarsi bene nella
posizione dell’oggetto del fantasma dell’uomo perché una donna nel rapporto
sessuale è obbligata dalla struttura a tenere la posizione dell’oggetto (non c’è
rapporto sessuale senza erezione e senza penetrazione). L’indice della salute mentale di
una donna è accettare di essere situata nella posizione di oggetto, è accettare la mascherata che gli
impone il sembiante. Ci sono donne che traggono il giusto piacere nell’incarnare l’oggetto
piccolo (a) del fantasma dell’uomo. Nel caso di questa giovane donna però c’è
qualcosa di particolare, perché la dimensione dell’insulto, delle percosse, delle
minacce tende a prendere una dimensione eccessiva. Il fantasma sembra cioè
invadere la realtà. I partner di questa donna la degradano nella realtà (e non nel
fantasma) a oggetto passivo del godimento. La matrice di tutto questo si trova in
un padre amorevole che le ha voluto molto bene ma che aveva dei momenti
esplosivi d’ira in cui perdeva le staffe e la picchiava violentemente. C’è un S1 che
si inscrive nelle scene infantili e che si ripete senza dialettica. Si tratta di un
significante che causa il godimento. E’ il significante paterno che nella forma
dell’amore e della percossa causa il godimento fantasmatico di essere maltrattata
dalla persona che lei ama. Il significante paterno genera il godimento maligno
dell’offesa e della violenza. La figura della sostanza godente alla quale Lacan riduce il soggetto
non cancella tutto ciò che egli ha teorizzato fino ad ora. La teoria dell’alienazione
significante continua a funzionare ma deve essere integrata ripensando la funzione
del significante come ciò che causa il godimento. Noi sappiamo che il desiderio per
Lacan è ciò che consente alla libido, cioè alla pulsione, di includere nel suo
movimento l’Altro, di legarsi all’Altro. Il desiderio viene dall’Altro mentre il
godimento viene dalla Cosa, teorizza Lacan. Il desiderio è il modo in cui la libido
autoerotica si annoda all’Altro. Come avviene nel transfert perché il transfert è
l’esperienza di una libido che si annoda all’Altro.... Ebbene, come riusciamo a
tenere insieme S barrato, cioè il soggetto del desiderio, con l’immagine del corpo
che si gode? Nella misura in cui il corpo si gode non esiste rapporto sessuale
mentre esiste il godimento sessuale senza rapporto. Il fallo, come abbiamo visto, è
l’elemento che impedisce al cerchio dell’uomo e quello della donna di sovrapporsi
e congiungersi. Sul piano del godimento non c’è rapporto. Tuttavia si può
recuperare il rapporto sul piano del desiderio. Il desiderio di cui Lacan sembra in
questo Seminario non parlare più è proprio ciò che scaturisce dall’inesistenza del
rapporto sessuale. L’inesistenza del rapporto sessuale - non posso godere del corpo

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dell’Altro ma solo di una sua parte attraverso l’organo fallico – fa sorgere il
desiderio di Achille di raggiungere la tartaruga. Achille e’ spinto a raggiungere la
tartaruga proprio dall’inesistenza del rapporto sessuale che rende possibile
l’amore e il desiderio. L’amore, infatti, secondo Lacan, la sola forma di supplenza
dell’inesistenza del rapporto sessuale. Il delirio è un’altra forma di supplenza, ma
l’amore è la forma di supplenza riuscita, forse folle ma non psicotica. Nel Seminario
XVIII a pag. 135 Lacan sostiene che sullo sfondo dell’inesistenza dell’atto sessuale
un uomo e una donna possono intendersi, cioè possono intendersi gridare. Il grido
è un concetto preciso in Lacan: è il grido come appello radicale all’Altro, come
invocazione, è il grido del bambino che si rivolge all’Altro e che la madre decifra
come domanda d’amore. Dovremo tornare su questo intendersi gridare come
supplenza dell’inesistenza del rapporto sessuale.

14. Revisione del grande Altro

Il Seminario XX mette in questione quello che Lacan aveva teorizzato sin qui come
primato del grande Altro, dell’Altro come campo del linguaggio e delle sue leggi.
Dovremo fare un excursus sintetico sul concetto di Altro grande in Lacan. A pag. 38
del Seminario XX Lacan afferma che l’Altro deve essere rimodellato, riconiato,
revisionato. Uno dei grandi temi del Seminario XX è dunque quello del
rimodellamento, della riconiazione, della revisione del concetto di Altro grande che
cambia volto o, se preferite, mostra un volto nuovo rispetto alla nozione di grande
Altro che aveva caratterizzato fino a questo momento l’insegnamento di Lacan. In
questo Seminario Il luogo dell’Altro diviene un luogo sensibile che implica il corpo e
soprattutto che implica il corpo come sostanza godente, il corpo come Altro sesso.
In questo Seminario il viraggio fondamentale che si compie nell’insegnamento di
Lacan è il passaggio dal luogo dell’Altro come luogo del Significante al luogo
dell’Altro come luogo dell’Altro sesso.E’ il passaggio dalla dimensione semiotica del
significante alla dimensione esistenziale del sesso. Quali sono state le grandi
versioni dell’Altro presenti sino a questo momento nell’insegnamento di Lacan? Il
luogo dell’Altro è inizialmente per Lacan il luogo dell’inconscio. In un secondo

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tempo diviene il luogo dell’intersoggettività della parola. Successivamente il luogo
dell’Altro diventa il luogo del linguaggio. Ma il luogo dell’Altro è anche il luogo della
madre (l’Altro materno) e il luogo dell’Altro è anche il luogo del Nome del Padre! Il
rimodellamento dell’Altro che avviene nel Seminario XX consiste nel porre il luogo
dell’Altro come Altro sesso. Abbiamo così una serie composita di volti dell’Altro.
Come ci sono diversi volti del desiderio e diversi paradigmi del godimento, direbbe
Miller, ci sono anche diverse versioni dell’Altro grande. Da questo punto di vista vi
invito a leggere, a mò di introduzione a questa problematica del grande Altro, la
lezione XIX del Seminario II. Siamo nel maggio del 1955. Questa lezione è di grande
importanza e Miller ha voluto significativamente intitolarla, redigendo questo
Seminario, “Introduzione dell’Altro”. In questa lezione Lacan spiega il salto
strutturale dall’altro piccolo all’Altro grande. Quest’ultimo coincide con l’Altro come
luogo dell’inconscio. Come sappiamo bene tutto l’insegnamento di Lacan è
animato dal ritorno a Freud e il ritorno a Freud è innanzitutto il ritorno al soggetto
dell’inconscio e all’eterogeneità tra il soggetto dell’inconscio (Je) e l’io (moi). La
differenza strutturale tra l’inconscio e l’io è il modo in cui Lacan ritorna a Freud,
mentre tutta la psicologia dell’Io post-freudiana avrebbe, secondo Lacan,
dimenticato di pensare e di praticare questa differenza fondamentale tra
l’inconscio e l’Io assimilando l’inconscio all’istintualità animale che l’Io dovrebbe
imparare a governare. Questa è per Lacan una riduzione dell’esperienza dell’analisi ad una
terapeutica ortopedica fondata sul rafforzamento dell’Io. Il riferimento al soggetto dell’inconscio resta
invece per Lacan il riferimento imprescindibile ad una trascendenza interna al
soggetto che non coincide affatto con l’identità dell’Io. Proprio per questa ragione
l’inconscio viene definito come il luogo dell’”Altra scena”, come il luogo dell’Altro
da dove viene l’istanza indistruttibile del desiderio. Se l’altro minuscolo è l’Io (moi)
l’Altro maiuscolo è il soggetto dell’inconscio (Je). Questa differenza tra il moi e le Je
è il punto di partenza dell’insegnamento di Lacan. La nozione di grande Altro ha
inizialmente questo significato di soggetto dell’inconscio come trascendenza
interna al soggetto. C’è un soggetto interno al soggetto che trascende il soggetto,
ripete Lacan; non un’istintualità disordinata, non il disordine acefalo degli istinti,
ma una soggettività, un’altra ragione. Il luogo dell’Altro ha in un primo tempo la
configurazione del soggetto dell’inconscio. In un secondo tempo Lacan pensa al luogo
dell’Altro come luogo della parola e dell’intersoggettività. Mentre la prima versione del grande Altro è
una versione integralmente freudiana la seconda versione del grande Altro è una
versione hegeliano-dialettica. Lacan seguiva meticolosamente i Seminari di Kojève

97
sulla lettura del testo di Hegel, in particolare dedicati al commento de
Fenomenologia dello spirito. Lacan che si è formato alla dialettica hegeliana con
Kojève, lettore straordinario di Hegel, assume l’idea hegeliana per cui il soggetto
non è una sostanza che si autofonda, ma il una realtà desiderante che dipende
dalla dialettica del riconoscimento, cioè dalla presenza dell’Altro, dal desiderio
dell’Altro. La soggettività hegeliana è una soggettività che non può prescindere
dall’intersoggettività. Si costituisce attraverso l’intersoggettività perché se
rimanesse sul piano del puro appetito, della Begierde, della pura concupiscenza,
non si costituirebbe mai come un’autocoscienza. Si può costituire come
autocoscienza, come vita umana, solo rispecchiandosi e riflettendosi nell’Altro.
Perché io possa vedermi come sono devo passare dall’Altro, dallo specchio
dell’Altro. La funzione dello stadio dello specchio viene formulata da Lacan proprio
a partire da questa intuizione di Hegel: il soggetto ha necessità del riconoscimento
dell’Altro per esistere. La brama, l’appetizione, la concupiscenza, il bisogno
naturale è invece una “negazione unilaterale” dell’oggetto. Attraverso la brama
l’oggetto viene negato unilateralmente, senza reciprocità (la sete nega
unilateralmente l’acqua). Essa non rende possibile il riconoscimento della
soggettività. Affinchè il riconoscimento abbia luogo è necessaria la presenza di un
altro uomo, di un’intersoggettività, del desiderio dell’Altro. Nella misura in cui
l’Altro è fondamentale nella costituzione della soggettività, la dialettica del
riconoscimento prenderà necessariamente – secondo Hegel - una forma
conflittuale: ci sarà chi riconosce e chi è riconosciuto, chi è nella posizione del
servo e chi è nella posizione del padrone, chi è attivo e chi è passivo. Anche per
Freud l’odio è all’origine della soggettività. La dissimmetria conflittuale sembra
l’esito di una simmetria originaria: il soggetto dipende dall’Altro ma questa
dipendenza genera una spinta alla differenziazione, al conflitto, all’odio come
pulsione di differenziazione. Possiamo notare che la presenza costituente dell’Altro
ci viene rivelata anche dalla semplice applicazione della regola fondamentale della
associazione libera; “dica tutto quello che le viene in mente”. L’applicazione di
questa regola fondamentale dell’analisi mostra che il soggetto per parlare di sé
deve parlare dell’Altro. Il soggetto non può parlare di sé senza passare attraverso il
suo Altro, senza parlare del padre, della madre, della sorella... E questo senza che
lo psicoanalista interferisca...Lo fa da sé. La catena delle associazioni che
scaturisce dall’Altro, intesa come Altra scena, tende a mostrare la dipendenza del
soggetto dal luogo dell’Altro, cioè dal luogo dell’intersoggettività. In questa

98
intersoggettività costituente il motivo che Lacan mette più in rilievo è quello della
funzione della parola. L’intersoggettività simbolica è diversa dalla relazione
immaginaria con il simile che è una relazione di pura identificazione, perché
segnala la dimensione simbolica dell’evento della parola. L’identificazione è sul
lato dell’immaginario, mentre la parola è sul lato del simbolico. La parola definisce
precisamente la dimensione umana del desiderio come desiderio di
riconoscimento. Parlare significa domandare di essere ascoltati, significa
domandare di essere riconosciuti come soggetti. Per questo Lacan dice che il
silenzio dello psicoanalista mette in valore la parola del soggetto. L’analista sta in
silenzio al posto di rispondere solo per mettere in valore la parola del soggetto, la
dimensione simbolica della parola. Certi soggetti sopportano il silenzio mentre altri
lo vivono con angoscia. Per l’ossessivo che voi ci siate o meno è indifferente;
l’ossessivo va dritto nel suo discorso salvo poi rimproverarvi che voi non
interveniate mai.... La modalità dell’ossessivo è quella di annullare l’esistenza del
grande Altro, mettendola in funzione in modo puro, disincarnato, logificato... Il
silenzio nella pratica della psicoanalisi ha come funzione quella di mettere in
valore il luogo del grande Altro come luogo della parola, come luogo dove si
dispiega la dialettica del riconoscimento del soggetto. Lacan nel Seminario II, nella
lezione che ho citato, commenta lo schema L. Il controtransfert, la capacità di
immedesimazione nel paziente, l’empatia, rientrano nella relazione immaginaria
tra io e prescindono dalla parola. L’intuizione affettiva, il rispecchiamento emotivo,
la comunicazione tra inconsci, sono dimensioni dell’affettività che Lacan
definirebbe immaginarie perché non passano dal filtro della parola. La parola
coinciderebbe con il luogo dell’Altro in quanto permetterebbe al soggetto
dell’inconscio di emergere, di manifestarsi, di essere riconosciuto bucano la
consistenza immaginaria del rapporto tra io. Una mia analizzante di vecchia data
che mi parla della sua pratica di psicoanalista si accorge che qualcosa è cambiato
nel suo fare l’analista; non si interessa più di aiutare, di salvare la persona che sta
per annegare... L’unica cosa che ora le interessa quando pratica la psicoanalisi è
che emerga il soggetto dell’inconscio. Questo è il lato “inumano” della nostra
pratica. Il soggetto dell’inconscio si manifesta nella ripetizione, in tutto ciò che non
ha a che fare con l’Io, in tutto ciò che sfugge al suo governo. Il medium della parola
è sull’asse S-A grande dello schema L. Anche l’analista è allora una versione
dell’Altro grande che dobbiamo mettere vicino all’Altro della parola, perché l’Altro
della parola ha senso solo se è in funzione l’Altro (incarnato dall’analista) come

99
destinatario del soggetto dell’inconscio. Senza questo destinatario il soggetto
dell’inconscio non esisterebbe. Per questo Lacan dice che lo psicoanalista fa parte
del concetto stesso di inconscio.Nel Seminario II ci propone di decifrare S come il
soggetto analitico, il soggetto dell’inconscio, il quale “al solito non sa quello che
dice e se sapesse quello che dice non sarebbe qui, non verrebbe a trovarci, se
sapesse quello che dice sarebbe da un’altra parte.” (Seminario II, pag. 300).
Dobbiamo distinguere due altri, almeno due. Un Altro con la A maiuscola e un altro
con la a minuscola. L’altro con la a minuscola è l’Io, mentre l’Altro con la A
maiuscola è l’Altro di cui si tratta nella funzione della parola. Cosa è essenziale in
un’analisi? In che cosa consiste un’analisi? L’analisi consiste nella realizzazione
immaginaria del soggetto? L’analisi confonderebbe l’io e il soggetto? Farebbe
dell’io una realtà? Sarebbe una corsa all’Ego trionfante? Sarebbe un rafforzamento
dell’Io? Sarebbe qualcosa che si gioca su un’asse immaginaria? Ovviamente no.
Lacan ci propone qui una sua formula topica; un pazzo che si crede un re è pazzo
ma un re che si crede un re è ancora più pazzo. Credersi un io è la follia umana.
Un’analisi non è il rafforzamento dell’Io. L’analisi consiste nel far prendere al
soggetto coscienza delle sue relazioni non con l’Io dell’analista, ma con tutti quegli
Altri maiuscoli che sono stati i suoi interlocutori e che non ha riconosciuto nella sua
storia. Il soggetto deve progressivamente scoprire a quale Altro si rivolge
veramente, senza saperlo, e assumere progressivamente le relazioni di transfert
dal posto in cui è e da dove all’inizio non sapeva di essere. Il vero interlocutore
dell’analizzante non è mai l’Io dell’analista. Il vero interlocutore di S è il grande
Altro. Il grande Altro contiene tutta la serie degli altri reali che hanno caratterizzato
la storia di un soggetto. Questi sono i suoi veri interlocutori. Per questo bisogna a
volte svegliare un soggetto in analisi perché troppo preso nella relazione
immaginaria con l’analista per introdurre un: a chi sta parlando? A chi si rivolge? A
quale Altro si sta rivolgendo? Qual è l’Altro a cui si sta rivolgendo che l’analista
incarna? La tecnica psicoanalitica non è un feticismo delle misure e delle giuste
distanze, dell’ambiente e della stanza dell’analisi, come per esempio la intende
Alberto Semi, ma la tecnica psicoanalitica ha a che fare con la relazione tra S e A.
Se l’analista parla da a piccolo si rivolge necessariamente al moi del paziente
come Io e non permette l’apertura di S. Il divano mantiene l’asimmetria e mostra
l’irriducibilità di A grande ad a piccolo. Bisogna essere accorti a preservare la
funzione del dispositivo. Questa versione è la versione del luogo dell’Altro come
luogo della parola e come luogo dell’analista. Il luogo della parola è mantenuto in

100
attività dal luogo dell’analista. Il luogo dell’analista sarebbe qui un luogo vuoto,
morto, asessuato, neutro. L’analista dovrebbe tenere la posizione del morto, vuota,
silenziosa: lo specchio opaco di Freud. Questo è il contrario di tutto ciò che Lacan
attribuisce al luogo dell’Altro nel Seminario XX dove il luogo dell’Altro in quanto
luogo dell’Altro sesso è un luogo che non può essere ricondotto alla
cadaverizzazione. Questo aspetto della cadaverizzazione del grande Altro è ancora più accentuato
nella terza versione del grande Altro come luogo del Linguaggio. L’Altro come luogo
della parola è l’Altro che consente la dialettica del riconoscimento, mentre l’Altro
come luogo del linguaggio è il luogo anonimo della combinatoria significante, della
catena significante. Il soggetto non dipende tanto dagli altri reali della parola, ma
dipenderebbe dai significanti che hanno costituito la sua vita fabbricandola
orientandola, strutturandola. Il soggetto prima di accedere alla parola accede al
luogo dell’Altro. Non è la parola che fa il soggetto, ma è il Linguaggio che fa il
soggetto. Il soggetto non si costituisce sulla dialettica del riconoscimento, ma è
condizionato da una combinatoria significante che precede l’attività
intersoggettiva della parola. Il luogo dell’Altro diventa così un luogo strutturale,
anonimo, un Codice neutro. Il riferimento di Lacan non è qui più Hegel e la sua
dialettica del riconoscimento, ma diventa la combinatoria anonima dei significanti
che determina il soggetto come effetto di significato della combinatoria anonima
dei significanti. Il luogo dell’Altro è un luogo disabitato dal corpo, è un luogo senza
corpo, senza godimento, perché è il luogo della macchina significante. In questo
senso è un luogo disantropico. Il soggetto è qui un puro effetto di significato di
questa macchina significante. Tutto il Seminario XX è un rimodellamento del
grande Altro che contrasta con queste rappresentazioni che non sono da
cancellare ma non esauriscono la versione dell’Altro. In Lacan la madre e il Nome
del Padre sono due altre rappresentazioni del grande Altro. Il sistema significante
ha un’onnipotenza sul soggetto perché lo fabbrica, lo costruisce, lo soggioga tanto
quanto la madre. Per Lacan c’è un’onnipotenza che investe il luogo materno; non il
narcisismo ma l’Altro. Non esiste onnipotenza infantile, l’onnipotenza è sempre
dell’Altro, in particolare della madre perché fabbrica il corpo del soggetto ed è il
primo tramite alla sua entrata nel linguaggio. Questa dimensione della funzione
materna come ciò che fabbrica il corpo e accompagna il soggetto nell’entrata nel
Linguaggio ha un grande spazio nel Seminario XX sotto la figura de Lalingua, cioè
una lingua che precede la strutturazione significante del linguaggio e che ha a che
fare con l’incontro del corpo del soggetto con la sensibilità materna, con il corpo

101
materno, con la sua stessa lingua. Lacan recupera attraverso questa centralità che
assegna all’impronta materna una tradizione importante. Non conosce Bion, ma
conosce bene Winnicott e recupera questo aspetto dell’importanza del contatto
con la madre teorizzato dalla psicoanalisi nel dopo Freud. Evidenzia l’importanza
del contatto con la lingua materna come punto di accesso preliminare del soggetto
nel Linguaggio. È come se ci fossero due campi intrecciati: il grande Altro del
Linguaggio e il grande Altro della madre. Occorre prestare attenzione a come
l’Altro del Linguaggio passi attraverso la cura materna; è un punto su cui hanno
lavorato molto sia Dolto che Colette Soler. Il Nome del Padre è il luogo delll’Altro nel
senso che è il significante del luogo dell’Altro, cioè è quel significante che,
diversamente da tutti gli altri significanti, appartiene al luogo dell’Altro in quanto
significante, ma ne costituisce allo stesso tempo la Legge e il fondamento. La
relazione che il Nome del Padre ha con il sistema dei significanti è una relazione di
inclusione in quanto il Nome del Padre è un significante tra i significanti ma è, allo
stesso tempo, in una relazione di eccezione in quanto il Nome del Padre è ciò che
sostiene la Legge di quel sistema, è l’Altro dell’Altro, è l’Altro che sostiene il luogo
dell’Altro, è quell’Altro che dà consistenza al luogo dell’Altro. Se manca il Nome del
Padre manca il luogo dell’Altro che si sfilaccia, si sfibra, si disgrega. Non ha senso
mettere uno psicotico sul divano perché mancando del Nome del Padre non si può
confrontare con il grande Altro. Nello psicotico prevale la dimensione immaginaria
e confrontarlo al grande Altro significherebbe confrontarlo con un buco, un cratere,
una voragine. Come ha mostrato bene Paul Federn il dispositivo analitico può
essere un dispositivo favorevole allo scatenamento della psicosi perché espone
potenzialmente il soggetto al confronto con il significante di cui manca, con il
vuoto forclusivo che porta con sé. E questo confronto comporta la slatentizzazione
della psicosi. Per questo Lacan assegna un’attenzione particolarissima ai colloqui
preliminari... Il Nome del Padre è il significante che dà sostegno al sistema del
grande Altro. È un significante speciale nella serie dei significanti che compongono
il grande Altro.

15. L’indebolimento del tratto unario nella femminilità

Il programma di Lacan è quello di rimodellare la figura del grande Altro (pag. 38).
Adesso, “l’Altro nel mio linguaggio non può dunque essere che l’Altro sesso”

102
(pag.39). L’esperienza della differenza, dell’alterità, dell’asimmetria,
dell’incomparabilità, della singolarità che fino a questo momento Lacan aveva
attribuito alla parola, alle cure materne, all’azione dell’analista, adesso la
attribuisce alla dimensione del femminile. Dire che il luogo dell’Altro è il luogo
dell’Altro sesso significa problematizzare la differenza tra l’Altro come Altro morto,
vuoto, come puro Codice del significante, come luogo simbolico e l’Altro come
luogo incarnato di un Altro godimento. Significa intrecciare in modo enigmatico il
campo del linguaggio con il campo del godimento. Abbiamo visto come questo
Seminario sia attraversato da un’opposizione interna tra il concetto di Uno e il
concetto di Altro. L’Uno si biforca nell’unario e nell’uniano. L’unario si situa sul lato
dell’identificazione mentre l’uniano sul lato del godimento. Ma l’Uno prende anche
le forme del godimento fallico che è propriamente un godimento dell’Uno. Che
cosa avvicina l’Uno del godimento fallico al tratto unario?Il godimento fallico è un
godimento dell’Uno perché è un godimento d’organo, ma abbiamo già visto che il fallo è anche il
luogo che rende possibile l’attribuzione narcisistica di un’identità. Il significante
fallico è il significante che dispensa un’identità, è una bandiera, una divisa, è in
grado di produrre un’identificazione al tratto unario che offre una stabilizzazione
narcisistica capace di strutturare l’identità. Lacan insiste nel ribadire, in questo
senso, una omologia profonda tra il fallo e il padre. Entrambi si offrono come tratti
in grado di fornire un’identità al soggetto che, strutturalmente, è un’assenza, un
vuoto, un’elisione significante, una mancanza di identità. Il godimento fallico è un
godimento circoscritto, bordato, limitato, ordinato tanto quanto la funzione unaria
del fallo garantisce la costituzione di un’identificazione solida, strutturata, un
confine per l’identità. Il problema è cosa succede nella donna, cioè in un corpo
dove manca il fallo. Un bambino trova facilmente nel fallo paterno un punto di
identificazione simbolica. La via dell’identificazione simbolica al fallo paterno è una via
spianata per il maschietto. L’essere virile, l’eterosessualità maschile, si appoggia
all’identificazione della tenuta fallica del Padre. Per questa ragione Lacan può
sostenere che nell’omosessualità maschile troviamo spesso padri che hanno
amato troppo le loro compagne. C’è un padre che ha amato troppo e che dunque
ha ceduto sulla sua posizione virile attribuendo il fallo all’Altro.... Dobbiamo
immaginare un padre che si sbriciola di fronte ai minimi movimenti di
differenziazione della propria compagna. Un padre che non sopporta la distanza
dalla propria compagna... Dobbiamo in questi casi osservare un indebolimento
eccessivo dell’immagine fallica....Cosa succede alla bambina? La via della sessuazione

103
femminile è più complessa perché il significante fallico - che costituisce l’identità della
posizione virile eterosessuale – non è in grado di identificare il non-tutta della
donna. Sebbene freudianamente il fallo resti il solo significante in grado di
significare la sessualità, nel bambino la funzione identificatoria del fallo è
pienamente dispiegata, mentre nella bambina questa funzione è sempre
insufficiente. Dunque una prima opzione della bambina potrà essere quella di
attribuire il fallo alla madre e di identificarsi alla madre fallica. Tuttavia questa
soluzione non consente l’accesso alla femminilità e mantiene la bambina
prigioniera di un’immagine fallico-idealizzata della madre. L’incontro con la
castrazione materna resta decisiva sia per il bambino che per la bambina. Nella
bambina ha un’importanza particolare perché l’attribuzione del fallo alla madre è
la prima difesa dall’angoscia di castrazione. Ma può incontrare la castrazione
materna sotto altre forme; la depressione, l’angoscia, il fallimento, la solitudine, la
morte della madre sono tutti nomi della castrazione. Quando una ragazzina
incontra la castrazione materna verifica che il significante fallico non può conferirle
alcuna identità, che non esiste tratto unario del femminile. E questo rende le
donne più fragili ma anche con più risorse rispetto alla dimensione
necessariamente un ottusa della garanzia identificatoria offerta del fallo.Nella
sessuazione femminile manca il significante dell’identità, manca il significante unario. È per questo che
si può dire che le donne sono tutte un po’ folli perché sono sprovviste di una identità
cementata dal fallo... Questo può avere un effetto di grande esposizione alla
tempesta della vita, ma questo le emancipa dall’idiozia del fallo e dell’identità dal
credersi un Io che può essere un effetto dell’identificazione fallica. Una donna è
senza identità solida garantita dal fallo – è la sua povertà di fondo - ma è anche
senza ingombro fallico – è la sua ricchezza di fondo - . Le donne sono più esposte a
metamorfosi identificatorie, a trasformazioni identificatorie, perché manca in loro la
funzione strutturante del tratto unario. Il significante fallico non promuove un
tratto unario solido. Se la bambina esce dalla prigione della madre fallica, il
confronto con la madre resta sempre il confronto con un “meno”, mai con una
bussola, e questo spiega per Lacan l’intensità che può avere la rivendicazione
ostinata nelle donne nei confronti della madre alla quale si rimprovera di non aver
fornito una identità sufficientemente solida: “Tu hai dato più a mio fratello”, “tu hai
tradito”... La rivendicazione nei confronti della madre ha come sfondo
fondamentale il fatto che la madre non ha potuto offrire un significante che desse
identità alla propria figlia perché questo significante non esiste e non c’è niente

104
come la sessuazione femminile mostri a tutto tondo l’inesistenza dell’Altro
dell’Altro. Per questo Lacan può affermare davanti al suo uditorio che l’Altro è
l’Altro sesso. Non esiste Altro dell’Altro, non esiste Altro in grado di dare stabilità al
soggetto, esiste l’Altro sesso come prova dell’inesistenza dell’Altro, come ciò che
mostra la mancanza radicale dell’Altro.

16. La donna freudiana e la logica del complemento

Non dobbiamo accentuare troppo questa assenza del significante fallico perché il
significante fallico agisce proprio sullo sfondo della castrazione materna; la madre
non possiede il fallo, è castrata ma il significante fallico, proprio sullo sfondo di
questa assenza, può esistere e svolgere la sua funzione nella trasmissione del
desiderio. La madre può mostrare che il suo desiderio non è assorbito
integralmente dall’essere madre, ma è aspirato dal significante fallico, è attratto
da una x che situa l’oggetto che causa il suo desiderio al di là dell’essere del
bambino. In sintesi possiamo distinguere due mancanze che caratterizzano la sessuazione
femminile: la mancanza del tratto unario che la madre non può trasmettere perché
ne è sprovvista e dunque la femminilità si costruisce ex-novo attorno ad un
“meno”. E la mancanza del fallo che diventa, proprio perché manca, significante
del desiderio dell’Altro. Se il bambino tende ad incarnare il fallo che colma la
mancanza dell’Altro materno, la funzione del Nome del Padre è quella di mostrare
che il fallo aspira il desiderio della donna al di là del bambino. Questi sono le due
mancanze fondamentali propri della sessuazione femminile: mancanza
dell’identità e mancanza del fallo. Per Freud ci sono tre risposte possibili a queste mancanze.
La prima risposta è il complesso mascolino che conduce il soggetto femminile verso l’omosessualità
o verso la fallicizzazione del femminile. Nell’omosessualità femminile ritroviamo al
centro proprio la problematica dell’identificazione alla madre fallica e la difficoltà a
simbolizzare la castrazione materna. Nell’omosessualità femminile possono
rientrare anche i fenomeni di virilizzazione della donna come manifestazione
dell’ancoramento all’identità fallica mascolina. La seconda via è la via della
desessualizzazione, dell’anestesia, dell’inibizione sessuale, del blocco della
sessualità.Qualcosa rimane come chiuso, senza sviluppo. Questo modo di ritardare
la sessuazione del corpo è per Freud un modo particolare della bambina per
rinviare l’incontro con la castrazione. La terza via è, infine, la via della femminilità

105
che per Freud - diversamente da Lacan - trovava la sua realizzazione nella
maternità, nell’identificazione del bambino a fallo e nel prendersi cura del proprio
uomo. La via della maternità è la via in cui si realizza la donna freudiana. Infatti
tutta la problematica freudiana della femminilità ruota attorno ai molteplici modi di
compensazione della mancanza che accompagna il femminile (l’omosessualità,
l’identificazione virile, la maternità...). È il meno – l’assenza del fallo - che per Freud tende a
produrre un’invidia fondamentale verso il fallo stesso (protesta virile o maternizzazione
della donna). Lacan, diversamente da Freud, continua invece a sostenere che la
sessuazione femminile non ha il compito di compensare le mancanze che la
attraversano, che la logica della compensazione – o, come la definisce nel
Seminario XX, del “complemento” – non è all’altezza del compito di rispondere alla
domanda: cosa vuole una donna?

17. La donna lacaniana e la logica del supplemento

La donna freudiana si costituisce attorno a questo “meno” nello sforzo di


compensarlo; la donna lacaniana si costituisce attorno a questo “meno” (meno di
identità e meno di presenza del fallo) mettendolo in valore, facendo di questo
“meno” una risorsa speciale, un’apertura, facendo di questa povertà costitutiva
un’occasione per sottrarsi all’ingombro fallico. Quando Lacan dovrà definire il
godimento femminile insisterà sul suo carattere supplementare e non
complementare. Mentre la donna freudiana rimane complementare all’uomo. Il
problema dell’invidia del pene è il problema di come poter realizzare una
compensazione del “meno”. Complementarietà significa trovare qualcosa che
controbilanci il “meno”, che chiuda il cerchio di una totalità amputata.La logica del
complemento si fonda sul compimento di una totalità solo provvisoriamente
sospesa. Il tutto resta, in questa prospettiva, una promessa di identità. Mentre per
Lacan il godimento femminile è supplementare e non complementare, nel senso
che non ricerca una compensazione dell’assenza del fallo perché è al di là del fallo,
non tutto fallico. Se la donna freudiana è sul registro della compensazione e del
complemento, quella freudiana è sul registro del supplemento.Freud pensava che non
potesse esistere analisi terminata di una donna che non conducesse alla maternità.
Un’analisi riuscita di una donna per Freud corrispondeva al renderle possibile
l’accesso alla maternità. Questo ha un suo valore, ma non certo risolutivo. Così come ci sono tanti

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modi simbolici di realizzare la paternità ci sono anche tanti modi simbolici di
realizzare la maternità. Per Lacan la madre non esaurisce mai la donna. La logica
del supplemento è abissalmente diversa da quella del complemento.

18. Il fallimento del rapporto sessuale

In questa lezione trovate una delle frasi più celebri di Lacan sull’amore. Siamo a
pag. 45: “l’amore è ciò che supplisce all’assenza del rapporto sessuale”. La prima
differenza che Lacan pone è quella tra l’amore e la sessualità, tra il segno d’amore e il godimento, tra il
corpo e il significante. Nell’amore è in gioco il segno e non il corpo, mentre nel godimen to è in gioco
il corpo e non il segno. Il segno non può essere ridotto a godimento e il godimento
non può essere ridotto a segno. La tartaruga non può essere raggiunta da Achille;
una distanza infinitesimale ma irriducibile li separa. Se la sessuazione femminile
mette in valore il segno rispetto al corpo e la sessuazione maschile il corpo rispetto
al segno, l’esistenza del rapporto sessuale risulta impossibile. E’ l’aforisma
centrale di tutto il Seminario XX. L’inesistenza del rapporto sessuale dipende dal
fatto che il godimento è sempre dell’Uno, è sempre filtrato dal fallo, non è mai
godimento dell’Altro. Si gode solo del proprio organo. Qui abbiamo però un
elemento in più che istituisce la disimmetria tra i sessi: l’amore tende al segno
mentre il godimento tende al corpo. La sessuazione femminile tende al segno
d’amore in quanto segno della mancanza dell’Altro, mentre la sessuazione
maschile tende a rapportarsi con il corpo dell’Altro, o meglio con quella parte del
corpo femminile che il fantasma ha elevato alla dignità della Cosa. Lacan teorizza
in questa lezione due modi specifici di fallire il rapporto sessuale: il modo maschio
e il modo femmina. Il modo maschio consiste nel fallire il rapporto per feticismo nel
senso che il desiderio maschile resta catturato, sequestrato, da una parte del
corpo dell’Altro, dalla parte fallicizzata del corpo della donna che nel fantasma
maschile svolge la funzione di ricoprire la castrazione di quel corpo (le gambe, la
bocca, il viso, i seni, ecc). Il modo maschio di fallire il rapporto sessuale consiste
nel feticizzare l’oggetto in modo tale che il godimento non sia godimento dell’Altro
– Altro godimento - ma solo godimento di piccolo (a), godimento legato alla
parcellizzazione del corpo femminile.Quando Lacan afferma che l’oggetto piccolo (a) è
oggetto che causa di desiderio mette in evidenza come il desiderio maschile sia
governato dal feticismo. La bellezza del corpo della donna è il modo maschio di

107
fallire il rapporto sessuale perché la bellezza è ciò che protegge il soggetto dalla
castrazione. È il modo con il quale si ricopre la castrazione. L’essere rapito dalla
bellezza ha a che fare nella nevrosi con il mettere a distanza il reale della morte e
la castrazione. Il berlusconismo è in questo senso un paradigma: la moltiplicazione
dei corpi e la feticizzazione della bellezza mostrano la dimensione perverso-
feticistica del fantasma maschile. Il fallimento femminile è provocato invece da
un’esasperazione della domanda d’amore che Lacan definiva negli Appunti per un Congresso
sulla sessualità femminile esasperazione “erotomaniacale” della domanda
d’amore. La domanda d’amore non ha limite e, come avviene clinicamente
nell’erotomania, finisce per ribaltarsi in una vera e propria persecuzione.

19. L’amore ricongiunto al godimento

Possiamo leggere il Seminario XX a pag 50, alla fine della lezione IV. Lacan indica
un punto dove l’amore e il godimento si ricongiungono. Esiste una possibilità di
ricongiungere l’amore e il godimento? Esiste la possibilità di riunire il segno con
l’oggetto? Questa possibilità non è iscritta nell’amore come miraggio narcisistico.
Questo amore – l’amore immaginario – “spinge all’Uno”. “Ma – continua Lacan -
non fa uscire nessuno da se stesso; questo uno di cui tutti si riempiono la bocca è
dello stesso miraggio dell’Uno che si crede di essere.” L’Uno dell’amore narcisistico è un
miraggio ed è un miraggio identico all’Uno dell’identità dell’Io. Come l’Io è una follia, è una follia
anche pensare che l’amore sia un’unificazione. La follia dell’Io e la follia del fare ed essere Uno con
l’Altro sono due follie uguali perché nessuno può uscire da se stesso. Alla pagina 49
Lacan teorizza apertamente che l’Altro non può mai essere preso come Uno perché
se lo prendo come Uno lo riduco a un pezzo di corpo, a un frammento feticistico.
Se punto a fare o essere Uno con l’Altro mi si rivela tutta l’illusione narcisistica che
anima l’amore immaginario;. non posso prendere l’Altro come Uno e non posso
uscire da me stesso. L’inesistenza del rapporto sessuale è lo sfondo di impossibilità
delle relazioni tra i sessi. Non posso mai uscire da me stesso significa che
l’unificazione è un’illusione narcisistica. L’Altro in nessun modo può essere preso
come Uno significa che l’Altro non può essere ridotto ad oggetto del godimento.
L’amore non narcisistico sarebbe invece una supplenza all’inesistenza del rapporto
sessuale perché si rivolgerebbe all’Altro come Altro e non all’Altro come Uno.
L’amore non narcisistico sarebbe amore dell’Altro non in quanto Uno. Per questa

108
ragione “nell’amore, ciò cui si mira è il soggetto, il soggetto in quanto tale” (p.50).
Mentre il fantasma porta a godere del corpo dell’Altro come oggetto, nell’amore in
gioco è un soggetto in quanto tale, cioè un soggetto nella sua particolarità, e la
relazione tra soggetti. Il problema è che il soggetto nella sua particolarità
sembrerebbe non avere molto a che fare con il godimento. Dove si ricongiungono
allora l’amore e il godimento? L’amore è amore del soggetto in quanto tale,
l’amore è sempre amore per il particolare. Lacan nel Seminario X dice che l’amore
è sempre amore per il nome. Se invece il godimento è godimento del corpo
dell’Altro, di una parte del corpo dell’Altro, come si congiungono amore e
godimento? Devono rimanere necessariamente sbinati, scissi? “Tra due, quali che siano,
c’è sempre l’Uno e l’Altro, l’Uno e l’a, e l’Altro in nessun caso può essere preso come
Uno”. (pag.49), dichiara Lacan. Tra l’Uno e l’Altro c’è (a) piccolo. Fallimento
maschile del rapporto sessuale: Io posso godere di (a) piccolo ma non dell’Altro in
quanto tale. Fallimento femminile: l’Altro non sarà mai Uno. L’amore è la supplenza
a questa inesistenza del rapporto sessuale perché dovrebbe permettere all’Altro di
essere voluto e amato in quanto soggetto, sebbene resti il problema di come si
faccia a far convergere questo amore per il soggetto con il godimento che è
sempre godimento dell’Uno. Lacan a pag. 61 assimila l’inesistenza del rapporto
sessuale alla rimozione originaria di Freud. L’inesistenza del rapporto sessuale è
assimilata alla rimozione originaria perché la divisione originaria del soggetto è
costitutiva del soggetto così come l’inesistenza del rapporto sessuale è costitutiva
degli esseri che abitano il linguaggio. In entrambi i casi qualcosa cade (“ça
tombe”) qualcosa si perde. Nella rimozione originaria e nell’inesistenza del
rapporto sessuale qualcosa si dà come impossibile. È impossibile essere nel
linguaggio senza essere divisi, è impossibile rapportarsi all’Altro sesso senza fallire
il rapporto sessuale. Il problema è come si abita questo spazio dell’impossibile. Se
nel rapporto tra i sessi l’uomo vuole l’oggetto piccolo (a) e la donna vuole il segno
d’amore, come si può abitare questo spazio impossibile? A pag. 58 leggiamo: “l’oggetto è
un fallito”. L’essenza dell’oggetto è il fallimento, il fallimento è l’oggetto. Questo definisce
bene il modo maschio di fallire il rapporto sessuale. Nella misura in cui il rapporto
per l’uomo è centrato sull’oggetto egli fallisce fatalmente il rapporto con l’Altro.
L’oggetto è un fallito perché non permette il rapporto. È l’opposto del discorso del
capitalista dove l’unica cosa che conta sembra essere proprio l’oggetto, dove
l’unica cosa che dà speranza di salvezza sembra essere il godimento dell’oggetto.
Per Lacan non è attraverso l’oggetto che si può supplire all’inesistenza del

109
rapporto sessuale. L’esistenza dell’oggetto come realizzato, come non-fallito, è il
grande mito del discorso del capitalista, ma per Lacan la via dell’oggetto è
fallimentare. Dobbiamo capire bene la formula del perché l’amore supplisce al rapporto sessuale
senza farne un idealismo o uno spiritualismo. L’amore implica anche il corpo,
l’incarnazione del soggetto, altrimenti scivoleremmo in una cattiva religione del
segno. L’amore è amore del nome del soggetto in quanto tale, ma questo soggetto
implica sempre un’incarnazione, implica che l’amore si annodi al godimento del
corpo. Una delle definizioni che Freud dà della nevrosi è, infatti, proprio quella di
sciogliere il legame tra l’amore e il godimento del corpo. La nevrosi è un modo di
non riuscire ad integrare l’amore per il soggetto in quanto tale con il corpo.Nel
Seminario X “l’amore è ciò che fa convergere il desiderio al godimento”. Il
godimento è in rapporto al corpo, cioè non è in rapporto a niente se non a se
stesso. Il corpo si gode indica la dimensione uniana del godimento. Il godimento è
tutto nel non rapporto. Il godimento è uniano, resta chiuso nell’Uno. Il corpo,
l’organo, l’oggetto sono tutti sul lato del non rapporto. Autismo del godimento,
introversione libidica. Il godimento è autistico perché è nel non-rapporto, perchè
ha una natura che Lacan definisce autistica. L’Eros freudiano come nodo annoda
precisamente il non rapporto del godimento al desiderio come desiderio dell’Altro.
Come si annodano il godimento uniano del corpo con il desiderio che si soddisfa
nel luogo dell’Altro? Tanto quanto il godimento è autistico, tanto quanto il desiderio
è eteroclito, cioè dipende dall’Altro, è altrificato. L’amore sarebbe la possibilità di
realizzare questa convergenza. Quando Lacan dice che l’amore è la supplenza
all’inesistenza del rapporto sessuale dice che l’amore, nella misura in cui annoda il
godimento al desiderio, supplisce all’inesistenza del rapporto sessuale. In questo
senso l’amore non è miraggio narcisistico, non è affatto fare Uno con l’Altro.

20. Necessità, impossibilità e contingenza

Nella seconda parte del Seminario Lacan riprenderà le categorie modali della
logica aristotelica: necessità, impossibilità, contingenza. Il necessario è ciò che non cessa
di scriversi, è ciò che non si ferma, che continua a scriversi, come avviene nei feno meni di natura,
come il temporale, il movimento dei pianeti, lo scorrere stesso del tempo. La
natura è nell’ordine della necessità. Gli alberi fioriscono, gli uccelli migrano, tutto
questo risponde alla necessità delle leggi di natura. La logica della necessità è la

110
logica della ripetizione. C’è un automatismo proprio della categoria del necessario
che implica un determinismo del non cessa di scriversi. La vita biologica è animata
dalla necessità, è un’espressione del necessario. La vita vuole vivere, non cessa di
volere la vita. Dal punto di vista clinico un trauma non è nell’ordine del necessario,
ma gli effetti di un trauma possono innescare una ripetizione che non cessa di
scriversi e dunque che si palesa come necessaria. Non è il trauma ad essere
necessario, ma sono gli effetti del trauma ad esserlo. Il necessario implica una
riproduzione automatica. Per Aristotele e per tutta la scolastica medievale l’ordine del necessario
è l’ordine della natura, l’ordine divino della natura, l’ordine che risponde alle leggi di Dio. Mentre
la contingenza è l’obiezione alla necessità. Se il necessario è il luogo che si ripete
eternamente uguale a se stesso, il contingente obietta la necessità perché la
contingenza è ciò che potrebbe non esserci. La nostra esistenza è contingente. La
contingenza è la dimensione dell’esistenza, mentre il necessario indica quella
tomistica dell’ l’essenza. L’esistenza è contingente perché è legata alla dimensione
dell’incontro della singolarità e non della ripetizione. La contingenza sarebbe il
momento del trauma che è la dimensione più pura dell’incontro. Là dove si dà
incontro, trauma, qualcosa cessa di non scriversi, qualcosa accade. Ad esempio la
decisione di entrare in analisi è una pura contingenza. La contingenza di cui ci
parla Lacan in questo Seminario è l’incontro d’amore. L’incontro d’amore non è per
necessità non è scritto nelle stelle, ma è una contingenza. È il punto in cui
qualcosa eccede l’automaton del necessario per, finalmente, cessare di non
scriversi. La contingenza è in rapporto all’impossibile. L’impossibile è ciò che non
cessa di non scriversi. Il rapporto sessuale non cesserà mai di non scriversi e
dunque è, come tale, impossibile. Dio è necessità pura, è l’eterno che non cessa di
scriversi, mentre l’umano è contingente, ovvero cessa di non scriversi. Qualcosa si
scrive nell’incontro. Qualcosa dell’impossibile cessa di non scriversi. La supplenza
dell’amore è l’illusione che si scriverà, che si scriverà per l’eternità, per sempre.
Lacan teorizza che l’amore è la tensione della contingenza verso la necessità. Gli
amanti vogliono sapere dagli astrologi che il loro amore è scritto nelle stelle e avrà
un destino eterno. La spinta amorosa sarebbe fare di un incontro contingente una
necessità che sospenda, almeno nella contingenza dell’incontro, l’impossibile. La
pagina più importante del Seminario XX è la pagina 145: “Non c’è rapporto sessuale
perché il godimento dell’Altro preso come corpo è sempre inadeguato -
perverso d’un lato, in quanto l’Altro si riduce all’oggetto (a) - e dall’altro,
dirò folle, enigmatico. Non è forse dallo scontro con questa impasse, con

111
questa impossibilità da cui si definisce un reale, che è messo alla prova
l’amore? [...] Cessare di non scriversi, questa non è una proposta formula
a caso. L’ho riferita alla contingenza. [...] La contingenza l’ho incarnata
nel cessa di non scriversi. Poiché qui non c’è altro che incontro, l’incontro
nel partner dei sintomi, degli affetti, di tutto quel che in ciascuno segna
la traccia del suo esilio, non come soggetto ma come parlante, dal suo
esilio dal rapporto sessuale. Non è forse dire che è solamente grazie
all’affatto che risulta da codesta beanza, che qualcosa si incontra, che
può variare infinitamente quanto al livello del sapere, ma che, per un
istante, dà l’illusione che il rapporto sessuale cessi di non scriversi? -
Illusione che qualcosa non soltanto si articoli, ma si iscriva, si iscriva nel
destino di ognuno, per cui per un momento, un momento di sospensione,
ciò che sarebbe il rapporto sessuale trovi nell’essere che parla la propria
traccia e la propria via di miraggio. [...] Ogni amore, non sussistendo che
nel cessa di non scriversi tende a far passare la negazione al non cessa di
scriversi, non cessa, non cesserà... Tal’è il sostituto che ... fa il destino e
anche il dramma dell’amore.”

21. La sessuazione maschile-fallica e la logica dell’eccezione

Affrontiamo le tavole della sessuazione che Lacan espone alla pag. 77. Abbiamo
qui una differenziazione tra l’Uno e l’Altro sesso dove l’elemento dell’Uno è
l’elemento della sessuazione maschile mentre l’elemento dell’Altro concerne la
sessuazione femminile. Sul lato della sessuazione maschile abbiamo l’elemento di
grande, il godimento fallico, e l’elemento del soggetto diviso S/ barrato come
soggetto marcato e costituito sulla perdita di godimento che la castrazione
simbolica implica. Nelle formule logiche, che ho evitato di proporvi per esteso, la
parte sinistra dello schema è caratterizzata dalla prevalenza dell’universale e cioè
dal fatto che tutti gli elementi che compongono questo insieme sono sotto il segno
della castrazione, la quale si impone come legge propria del godimento fallico. Gli
uomini sarebbero coloro che ordinano il godimento in base al principio di
castrazione. Il principio di castrazione è una legge universale della sessuazione
maschile ma ha come presupposto fondamentale che almeno uno sia sottratto a
questa legge. La legge della castrazione è una legge universale che ordina il

112
godimento fallico, ma la condizione di funzionamento di questa legge è che vi sia
un’eccezione all’interno di questo insieme. Il tipo di insieme che caratterizza il lato
maschile della sessuazione sarebbe un insieme incompleto poiché almeno un
elemento non è castrato, ma la sua incompletezza lo struttura come consistente.
La caratteristica dell’insieme maschile è l’universalità della castrazione e la
presenza di un’eccezione che si sottrae a questa legge e che dunque determina
l’insieme come incompleto e consistente; l’almeno uno, l’eccezione che si sottrae
alla legge della castrazione.Leggiamo a pagina 78:“E’ grazie alla funzione fallica che
l’uomo come tutto, come tutti gli elementi che fanno parte di questo insieme, la
funzione fallica trova il suo limite nell’esistenza di una x per cui la funzione di x è
negata. Questo elemento è ciò che si chiama funzione del padre.”Lacan ritrova qui un
elemento fondamentale della sua teoria del Nome del Padre. Il significante del Nome del
Padre sarebbe quel significante speciale la cui eccezionalità consiste nel fatto che
è un significante tra gli altri - appartiene all’insieme del grande Altro -, ma è altresì
quel significante che struttura l’insieme dell’ordine significante come tale. In
questo senso Lacan nella Questione preliminare lo definisce come il significante
della Legge nel grande Altro. È il significante perno fondamentale, il significante
padrone, guida, il significante che ordina tutto l’insieme dei significanti. La
condizione che possa esistere un significante in grado di ordinare l’insieme degli
altri significanti è che sia interno ed esterno a questo sistema.È la stessa funzione che la
matematica riconosce al numero 0 che ha uno statuto di eccezione essendo il
fondamento della possibilità della numerazione e essendo al tempo stesso assenza
di numero. Uno degli esempi più chiari del funzionamento della logica
dell’eccezione lo possiamo trarre però dalla filosofia della politica. Tutta
l’elaborazione intorno al concetto di sovranità sottolinea come perché vi sia patto
sociale, perché vi sia legame sociale - pensate a Hobbes -, perché gli uomini non
siano terrorizzati dalla paura della morte, dalla violenza reciproca, perché questa
violenza possa essere circoscritta, è necessario che vi sia almeno uno che facendo
parte del corpo sociale è ciò che lo istituisce e lo governa, cioè il sovrano. Il
sovrano è ciò da cui dipende la Legge. La legge è la condizione di tenuta della
comunità umana, ma il sovrano è anche colui che può sospendere la legge; è il
rappresentante della legge ma in quanto eccezione è anche l’elemento che può
sospendere la legge. Per certi aspetti Lacan ha una concezione sovrana del Padre:
il Padre è colui che fa la legge, che rende possibile la Legge, ma non è sottomesso
alla Legge. Lacan per dispiegare la funzione sovrana del padre fa riferimento a

113
Totem e Tabù e alla posizione che in Totem e tabù Freud assegna al padre reale. Il
Padre che prima di essere ucciso dai suoi figli ha il potere di godere di tutte le
donne è in una posizione di eccezione. E’ l’almeno uno che sfugge al principio di
castrazione. Il padre è colui che istituisce il principio di castrazione come principio
universale che determina la sessuazione maschile, ma al tempo stesso è anche
colui che si sottrae a questo principio e la sottrazione a questo principio è ciò che
rende possibile il principio stesso. Lacan pone un problema che è anche presente nella posizione
di Freud rispetto all’esistenza della Civiltà: perché vi sia Civiltà ci deve essere un
elemento a fondamento del suo programma altrimenti è il caos, il disordine,
l’anarchia. Nella filosofia politica-teologica pre-moderna questo elemento era
chiaramente individuato in Dio-padre. La funzione di Dio-padre nel Nuovo
Testamento è determinata dal fatto che non è presente sulla terra. Sta nei cieli. E il
fatto che il Padre non sia presente sulla terra è la condizione che lo rende una pura
eccezione, che rende possibile la sua operatività simbolica. Nelle società religiose il
patto sociale trova la sua consistenza nei comandamenti che discendono da Dio.
Ma Dio che emana il comandamento non è sottoposto al comandamento. Ecco il
paradosso dell’eccezione. Possiamo dire che il significante paterno in Lacan erediti
una tradizione teologica? Volutamente Lacan lo carica di un’eco biblica
chiamandolo Nome del Padre. Ci sono però altri modi di intendere l’almeno-uno
oltre a quello dell’eccezione sovrana. Nella logica dell’eccezione c’è sempre il
rischio della tirannide, cioè di qualcuno che occupi realmente il posto
dell’eccezione e che il posto dell’eccezione non sia più solo un posto logico, quindi
vuoto, ma un posto occupato da una figura reale. Il posto vuoto dell’eccezione è
occupato dal tiranno, dai dittatori paranoici che incarnano il posto dell’eccezione,
da Nerone che può bruciare Roma e sospendere la sua stessa Legge quando vuole.
Si tratta di un modo titanico, tirannico e totalitarista di intendere l’eccezione.Lacan
insiste molto sul fatto che l’eccezione è una funzione logica e dunque non deve
incarnarsi in nessuna figura. Là dove l’eccezione si incarna si spalanca il rischio del
totalitarismo, del padre-padrone, la deriva teologico-tirannica della Legge. Molti si
sono chiesti se Lacan era nel posto dell’almeno uno rispetto ai suoi allievi. Freud
ha inventato la psicoanalisi e inventandola non può essere considerato uno
psicoanalista tra gli altri. Certo, è uno psicoanalista tra gli altri, ma è anche colui
che ha generato la psicoanalisi e che di conseguenza si mantiene rispetto
all’insieme degli psicoanalisti in un posto di eccezione. Tutta la Psicologia delle
masse di Freud è costituita sull’almeno uno che rende possibile l’indentificazione

114
verticale della massa e dunque l’identità stessa della massa. L’almeno uno per
Freud è incarnato nel leader. Per Lacan la funzione del padre come funzione
dell’eccezione deve restare una funzione logica. Questo significa che il posto
dell’eccezione deve rimanere un posto vuoto perché nella misura in cui si riempie
e qualcuno pensa di incarnare quel posto, si innesca fatalmente una deriva
autoritaria...L’elemento dell’eccezione, dell’almeno-uno, ha tante possibili declinazioni. Roberto
Esposito è il filosofo della politica che più ha teorizzato il posto del +1 come posto vuoto e la
democrazia come possibilità di legame solo se la democrazia resta incompiuta, se
non dà luogo ad un tutto, se sa preservare il posto vuoto dell’eccezione. Nel suo
testo Communitas Esposito si interroga su cosa tenga insieme la Comunità e
sostiene la tesi che non esiste bene comune e che il legame si fonda
sull’improprio, cioè sulla possibilità di custodire questo vuoto radicale. Nella misura
in cui questo vuoto si riempie è il disastro della democrazia. E la democrazia oscilla
verso la tirannide. Tirannide e democrazia non sono uno il contrario dell’altro. La
democrazia, nella misura in cui tende a non riempire il posto dell’eccezione, ma lo
mantiene vuoto rischia sempre di evocarne la nostalgia. Quando c’è il +1 tutti
sono dei soldati, ma quando c’è il posto vuoto si rischia sempre l’anarchia. Ma
quando si rischia l’anarchia c’è qualcuno che richiede il capo, che rimpiange
l’uomo forte. La democrazia ha nella tirannide il suo fantasma nel senso che la
tirannide è l’inconscio della democrazia.

22. Localizzazione e delocalizzazione del godimento

Il femminile è per Lacan la democrazia senza tutela, viceversa il regime edipico


dominato dal padre è la democrazia garantita dall’eccezione, perché tutti sono
sottomessi egualmente alla castrazione, grazie all’almeno-uno che non lo è. Gli
altri due elementi della sessuazione maschile sono grande e S barrato. Il
godimento maschile appare come un godimento disciplinato dal fallo, un
godimento organizzato dal punto di vista pulsionale. La pulsione è ordinata sugli
orifizi, non è spalmata e diffusa sul corpo come avviene nella sessuazione
femminile. Il fallo è un organizzatore della pulsione che la delimita a partire dagli
orifizi da cui essa prende moto (orale, anale, scopico, vocale). Nella psicosi questa
funzione organizzativa della pulsione esercitata da viene meno tant’è che il
significante dell’algebra di Lacan che definisce il rapporto dello psicotico con il

115
godimento è 0. La pulsione non è ordinata e attraversa il corpo, si sparpaglia nel
corpo disordinatamente come un’invasione abusiva. L’angoscia psicotica è che
qualcuno abusi del corpo del soggetto, un’energia, una potenza malefica, un
veleno, un persecutore.... Mentre è un argine del godimento mortale, è un effetto
del Nome del Padre, è omologo al Nome del Padre. Per questa ragione Lacan nel
Seminario XVIII afferma che Il Nome del Padre e il fallo sono la stessa cosa nella
misura in cui sono degli organizzatori simbolici-significanti del godimento. Il
godimento fallico è un godimento limitato dal linguaggio. È un godimento che non
ristagna nel corpo ma si esternalizza attraverso gli orifizi. L’orefizio è ciò che mette
in comunicazione l’interno con l’esterno. Il godimento addensandosi sugli orifizi si
separa dal corpo. Molti deliri psicotici sono sugli organi interni del corpo. Il delirio
ipocondriaco, il delirio schizofrenico, sono sempre deliri che investono gli organi
interni. Se uno psicotico delira sui bordi come fa Artaud prova a separarsi
dall’oggetto cattivo mettendo questo oggetto nella lettera, nella poesia.... La cosa
importante è che 0 nella psicosi segnala il collasso della funzione di argine del
fallo.Nella psicosi l’invasione del godimento del corpo può prendere due forme fondamentali: la forma
dell’invasione abusiva, ma anche la forma della sottrazione disvitale. 0 si manifesta innanzitutto come
spegnimento del senso della vita, assenza di vita, disvitalità, morte del soggetto
come accade per esempio nella melanconia. Non solo come invasione barbara del
godimento che costringe Artaud a scegliere la via dell’astinenza e dell’ascesi per
potersi difendere, ma anche come morte del soggetto. Come Schreber che si sente
morto e vede allucinatoriamente dei lebbrosi trascinare il corpo morto, spento, di
un altro lebbroso. 0 significa che non ci sono bordi al godimento ma anche che il
godimento può spegnersi completamente, che può esserci un azzeramento del
senso stesso della vita. Ciò che introduce il senso della vita e rende il corpo vitale -
non in quanto biologico ma in quanto pulsionale - è la significazione fallica. Trovate
questa formula a pag. 688 della Questione preliminare: ciò che struttura il senso
della vita è la significazione fallica, è l’effetto dell’operatività del Nome del Padre
che ha trasmesso il fallo simbolico, vitalizzando il corpo del soggetto e
interdicendo il godimento incestuoso. Dove c’è significazione fallica c’è vitalità del
corpo pulsionale; dove c’è assenza di significazione fallica c’è morte del soggetto.
S barrato è l’altro elemento che caratterizza la sessuazione maschile e corrisponde sul lato delle donne a
La/ . La barrato è l’equivalente sul lato femmina dell’S barrato sul lato maschio. S
barrato è il soggetto diviso, soggetto dell’inconscio, soggetto del desiderio. Il
soggetto barrato è mancanza-a-essere. Il soggetto della castrazione è un soggetto

116
della mancanza, in perdita di godimento. Il soggetto in quanto manque-a-etre si
dirige verso il femminile ricercando nella donna quello che Lacan definisce piccolo
(a), l’oggetto causa del suo desiderio (pag. 94). Ma qual è la vera natura
dell’oggetto (a)? L’oggetto (a) è ciò che sembra dare al soggetto un supporto
d’essere. Ciò che sembra offrire al soggetto in quanto manque a etre un supporto
d’essere. Le donne per gli uomini sono dei supporti ad essere.... C’è qualcosa che
l’uomo va a cercare nella donna in termini di supporto d’essere. L’uomo che ha il
fallo, è anche mancanza a essere che chiede un supporto d’essere alla donna.
Ogni uomo sufficientemente uomo è fatto di questi due elementi: l’elemento del
fallo (sa godere della vita senza farsi trascinare nel godimento della morte) e il
rapporto con la sua mancanza nonostante il fallo. La presenza del fallo nel corpo
può dare l’idea che non vi sia mancanza. Il fallo può dare un’idea di uncompiutezza
narcisistica dell’essere. La difficoltà degli uomini è quella di entrare nel discorso
amoroso cioè a riconoscersi come mancanza a essere nonostante il fallo. Lacan
dice che il fallo agisce come un ingombro della mancanza, ostacola dunque il
movimento dell’amore e del desiderio. Possiamo aggiungere allo schema la
losanga del fantasma per mostrare plasticamente che l’inconscio maschile situa la
donna come oggetto del suo fantasma. L’uomo gode dell’oggetto piccolo a,
l’oggetto perduto che ritrova nel corpo della donna, in alcune parti feticizzate del
corpo della donna. Il fantasma è una fissazione perché fissa la libido ma è anche
un elemento di fissazione del pensiero, dell’immaginario, un elemento assiomatico.
Per Lacan la psicoanalisi è un modo per rendere meno esigente e meno ottuso il fantasma non per
sopprimerlo. È un modo per rendere flessibile l’inflessibilità nevrotica del fantasma. Il
fantasma di un paziente cercava una donna bella e vergine. La bellezza era un
tratto materno e vergine perché la verginità è la stessa cosa della puttana. Di fronte
all’angoscia che un uomo ha di fronte all’illimitato del godimento femminile abbiamo
due possibilità: “sono tutte puttane” che è il modo maschile per degradare
l’infinito femminile al livello dell’insaziabilità della prostituta. Se è una prostituta è
uguale alle altre e se sono tutte prostitute non vale la pena che io mi angosci. La
degradazione ha lo scopo di sollevare l’uomo dall’angoscia. Oppure sono vergini
cioè io comando sul godimento. La educo io, io mi occuperò del suo godimento.
Essendo l’unico ad occuparmene farò in modo di soddisfare il godimento e che non
mi esponga all’infinito del godimento femminile. È l’illusione di governare il
godimento essendo il primo. Tutto il tabù della verginità antropologicamente ha
questa matrice dell’esorcismo dell’angoscia che l’uomo ha essendo ancorato al

117
fallo di fronte al godimento senza limite della donna. Nella comunità cattolica c’è il
divieto della donna di diventare sacerdote, qui si riflette l’angoscia per la mistica
femminile. Le grandi mistiche sono state quasi tutte perseguitate perché
vantavano di avere un rapporto diretto del corpo con Dio. Questo faceva impazzire
i loro Padri spirituali. I Padri confessori sono padri repressori. Il fantasma
apparecchia un immaginario che deve velare la castrazione.Piccolo (a) è la
compensazione alla perdita d’essere che la castrazione introduce nel soggetto. In una
donna l’uomo cerca attraverso la lanterna magica del suo fantasma (ottuso) di
ritrovare l’oggetto piccolo (a) che ha perduto. Molti uomini si attaccano alle donne
che hanno perduto e non riescono a dimenticarle perché non c’è niente come una
donna perduta che se ne va che può incarnare l’oggetto piccolo (a). Molti uomini
restano affascinati dalla donna solo quando l’hanno perduta mentre prima la
ignoravano, come avviene negli ossessivi. Le donne che pure fanno fatica nella
separazione hanno una capacità di lutto molto superiore perché non sono
implicate solitamente in questa dialettica. Sono, piuttosto, angosciate dalla perdita
dell’oggetto: la gelosia femminile è molto più intensa di quella maschile perché
l’oggetto piccolo (a) è ciò che dà a loro l’essere compensando la mancanza del
fallo; sono angosciate di poter perdere l’oggetto ma quando è perduto hanno una
plasticità psichica superiore nell’elaborazione del lutto.

23. La sessuazione femminile e il legame sociale

La seconda parte dello schema è la parte dell’Altro sesso in cui “Altro” significa
“non-Uno”, Altro sesso rispetto a quello governato dal godimento fallico. La
caratteristica logica di questo schema è la completezza nel senso che in questa
parte non esiste eccezione; tutte le donne sono sottomesse alla castrazione, tutte
le donne non hanno il fallo. Questa assenza è universale nel senso che rende
completo l’insieme perché non c’è – come invece esiste nella parte della
sessuazione maschile - “almeno uno” che sia sottratto alla legge universale della
castrazione. Qui non c’è eccezione. Le donne condividono una per una l’assenza
del fallo. Non c’ allora una eccezione, nel senso che tutte le donne sono delle
eccezioni nella Legge universale della castrazione. In questo senso la completezza
di questo insieme dà luogo ad un’inconsistenza. L’insieme è inconsistente perché

118
manca del fondamento dell’eccezione-Una. Si tratta di un insieme infondato.
Nessuno risponde dal posto del Padre. Nemmeno un Padre può dire che cosa è una
donna. Né un padre, né una madre. Mentre il Nome del padre si incarica della
trasmissione del fallo nelle generazioni, non c’è nessuno che si può incaricare della
trasmissione della femminilità.L’insieme Altro sesso è un insieme logicamente inconsistente
perché è privo di fondamento. Non esiste – ripete Lacan - La donna, cioè non esiste un’immagine
ideale-universale de La donna. La/ donna non esiste, La/ donna resta Altro. Il La è sbarrato come
segno della sua inesistenza a livello universale. Mentre il fallo è un principio solido
di identificazione una donna in quanto non-tutta fallica tende sempre a vacillare
nella sua identità. L’identità femminile non è mai definita, non è mai compiuta una volta
per tutte. Le donne si trasformano, non sono mai quello che sono. Lacan insiste nel
mostrare come l’essere di una donna entri nel fantasma maschile nella posizione
dell’oggetto piccolo (a) che non casualmente egli riporta sul lato femminile dello
schema. Una donna deve saper tollerare di essere piccolo (a) per un uomo.
L’isteria è il rifiuto di incarnare piccolo a per un uomo. L’isteria lo vuole incarnare
ma senza far godere il proprio partner, incarnarlo nel desiderio puro. Una donna sa
invece unire il desiderio al godimento. Nondimeno il godimento della donna non è
solo quello di essere piccolo a, non è solo nel godere solo di far godere. Certo, una
donna può godere di far godere ma ha anche la chance di godere al di là del fallo.
Lacan chiama il godimento femminile al di là del fallo Altro godimento o anche
godimento del corpo. Godere del corpo senza subordinare questo godimento alla
monarchia fallica, godere del corpo senza subordinare il corpo al fallo. Tenerezza,
diffusione del godimento sulla pelle, godimento infinito che non si esaurisce nella
scarica pulsionale. Godimento che si distribuisce sulla superficie del corpo.
L’erotismo femminile è una democrazia perché rigetta la colonizzazione dell’Uno
fallico. Ci sono modi del godere che vanno al di là della genitalità. Lacan fa del
masochismo (Seminario XVI), non una patologia specifica ma un modo di
godimento elettivamente femminile perché il masochismo implica che il corpo
della donna sia nel posto dell’oggetto piccolo a. Occorre per una donna
soggettivare l’essere oggetto-goduto, trarre godimento dall’essere oggetto goduto.
Il masochismo non è una patologia della donna ma appartiene a questa posizione
che la donna occupa nella vita sessuale essendo il suo godimento subordinato
all’erezione maschile. Questo significa per Lacan collocare la posizione della donna
sul lato dell’oggetto piccolo (a) del fantasma. Il godimento femminile del corpo al di là del
fallo può raggiungere vette mistiche. Lacan propone l’esempio di Santa Teresa d’Avila che ha un

119
rapporto di corpo a corpo con Dio. Non è una delirante ma è una mistica. Introduce
un godimento Altro al di là del godimento fallico. Nella psicosi femminile, non
essendoci l’almeno uno, La donna può esistere nel reale attraverso il delirio
erotomaniacale in cui una donna si pone come La donna di tutti gli uomini o La
donna dell’uomo da cui si sente amata in modo assoluto. La psicosi femminile
trova nel fenomeno della pousse à la femme la spinta ad incarnare “La donna”
come un assoluto fuori dialettica. Sappiamo che La/ donna non esiste perchè
ciascuna donna esiste solo al singolare. Ciascuna donna dovrà farsi donna senza
poter trovare la sua risposta alla femminilità in nessun Altro. La donna è Altro. Non
si dà per imitazione. I processi di identificazione sono complicati dall’assenza
dell’insegna fallica. E’ come se ci fossero due opzioni; fare l’uomo o fare l’Altro.
L’isterica fa l’uomo, la donna fa il non-Uno, l’una per una, fa l’una in quanto Altro.
Nella sessuazione femminile non esiste universale poiché tutte sono sottomesse allo
stesso universale della castrazione. L’isterica pensa che ci sia almeno una donna
da qualche parte a cui identificarsi. Ma questa donna dice Lacan non esiste e
quando esiste abbiamo l’emergenza della pousse à la femme della psicosi. In
questo senso La donna barrato indica il compito singolare di farsi donna sullo
sfondo dell’assenza de La donna perchè nessuna madre - nemmeno la madre che
è un oggetto agalmatico per il padre - può garantire una soggettivazione, può
facilitare un processo di identificazione positivo alla propria madre in quanto
donna. Certamente, può facilitare il farsi donna singolare, ma non è una soluzione universale al
problema del diventare donna. Le donne sono sempre una per una, assoluti singolari, esteriori alla
divisa fallica. Che comunità potrebbe sorgere da questo tipo di sessuazione? Una
risposta potrebbe essere l’anarchia. Freud direbbe che le donne non hanno il senso
dello Stato ma solo quello dei loro affetti. Le donne non avrebbero Super-io, diceva
il padre della psicoanalisi. E’ la posizione di Antigone. Non esiste nessuna ragion di
stato per cui a mio fratello debba essere negato il diritto alla sepoltura. Nella
femminilità il singolare prevale sull’universale. Il pensiero femminile è sempre
antitotalitario. È sempre contro l’Uno. E’ un antidoto contro tutte le forme
paranoiche del totalitarismo. Nei Vangeli si vede bene che tutte le donne che
amano Cristo amano il suo corpo non si mettono a fare discorsi con lui. Il pensiero
femminile è un pensiero del particolare. Una madre è qualcuno che sa rendere non
anonime le cure. La cura femminile è una cura per il particolare. È un pensiero
anti-universale. Per questa ragione Lacan ha insistito sulla profonda affinità tra la
psicoanalisi come “scienza del particolare” e la sessuazine femminile. Lo stile della

120
sessuazione femminile può dare luogo ad una Comunità? La Comunità può darsi solo attraverso la
funzione identificatoria del fallo? Freud pensava che per la via del femminile non vi fosse alcuna
possibilità di comunità perché le donne sono senza Super-Io, sono senza senso
dello Stato., senza senso dell’Universale Antigone è la manifestazione di come non
ci possa essere patto sociale con la inflessibilità del desiderio femminile. Miller ha
invece paragonato lo schema della sessuazione femminile come omologa al
discorso del capitalista; la democrazia orizzontale sfocierebbe nel discorso del
capitalista dove tutti godono al di là di ogni gerarchia. Il non-tutto sarebbe ridotto
cinicamente al discorso del capitalista. Resta aperta la nostra domanda: potrebbe emergere da
questo non-tutto una nuova modalità di organizzazione? La democrazia può darsi come un pluralismo
radicale? Come un insieme di eccezioni? Questo storicamente non ha mai funzionato. Spesso
accade che le donne al potere siano peggio degli uomini...E’ triste constatarlo, ma
è così. Gli esempi sono innumerevoli.

24. L’ Altro sbarrato

La presenza di S grande di A/ e l’articolo La/ sbarrati sono il modo in cui Lacan


colloca il problema della soggettività sul lato della sessuazione femminile. Non
esiste La donna universale ma esiste solo una donna singolare. La/ ha un rapporto
con il fallo e ha un rapporto con S grande di A barrato. Mentre nella sessuazione
maschile La donna prende il posto dell’oggetto piccolo a e questo definisce la
funzione del fantasma collocando La donna nell’ambito del quadro del fantasma.
Una parte del corpo femminile viene ad occupare il posto dell’oggetto perduto. E’ il
versante feticistico del desiderio maschile. Il singolare assoluto della donna si
dirige verso il fallo e verso S di A grande barrato. Si dirige verso il fallo che è
situato nel campo maschile. Una donna a differenza dell’isterica non rifiuta e non
invidia il fallo che sono le due oscillazioni tipiche della nevrosi femminile, ma
colloca nel fallo una (non-tutta) possibilità del suo godimento. La donna non invidia
né rifiuta il fallo ma si rivolge al fallo per goderne. Sa godere sessualmente del
fallo come strumento (feticismo localizzato della donna) ma non c’è una
ossessione fantasmatica. Il feticismo femmnile è localizzato sul fallo, è un feticismo
atipico perché il feticcio resta un organo del corpo. Per Lacan, in generale, avere un buon
rapporto con il fallo è un criterio di sanità mentale. Nell’isteria il fallo suscita disgusto, diventa oggetto
di rifiuto e oggetto di disgusto. Mentre in una donna il fallo è valorizzato feticisticamente. È il

121
feticismo atipico della femminilità. Dunque la donna non è esclusa dal godimento
fallico né dalla dimensione orgasmatica “a picco” propria del fallo che caratterizza
la sessualità maschile: erezione, orgasmo, detumescenza. Questa struttura del
godimento non è esclusa alla donna. Ma sebbene una donna possa avere accesso
al godimento fallico, questo godimento, come abbiamo già fatto notare, non
esaurisce le possibilità del godimento femminile. Da una parte il godimento della
donna è in rapporto al fallo dall’altra parte è in rapporto ad una dimensione che si
situa al di là del fallo. Da una parte il godimento femminile colloca il fallo nell’uomo
che è lo strumento, ma anche il prestigio, l’immagine fallica dell’uomo. Una donna
cerca un uomo che ha valore fallico. Si dirige verso il fallo. Su questa stessa linea
dobbiamo mettere il bambino nella sua equivalenza al fallo. Come aveva scritto
Freud il bambino è un sostituto del fallo. Da una parte il godimento femminile è,
dunque, calamitato dal fallo ma mai in modo unico esclusivo perché si rivolge
anche ad S di A grande barrato, cioè ad un luogo dell’Altro disabitato dal fallo. È il
luogo dell’Altro come limite dell’Altro. È il luogo della mancanza dell’Altro. Una
donna si rivolge al luogo della mancanza dell’Altro è il luogo da dove può scaturire
la poesia d’amore, le parole d’amore, il senza argine dell’amore e della sua follia.
Una donna non esige solo il fallo ma anche che le si doni quello che manca
all’Altro. Una donna gode di parole. E questo elemento è femminile perché implica
l’assenza del fallo... e dunque un uomo per poter rispondere ad una donna dal
punto in cui una donna lo convoca, cioè dal punto dell’amore, deve implicare la
mancanza dell’Altro. Nel luogo dell’Altro c’è una barra e una donna esige l’incontro con
questa barra. Il fallo non esaurisce l’essere; è dalla barra sul grande Altro che
scaturisce il discorso amoroso. S di A barrato significa che il godimento non è solo
assicurato dal fallo. Per questo la donna ha un rapporto particolare con l’infinito
cioè con qualcosa che non trova limite nell’Altro. Per Lacan il padre e il fallo sono
omologhi. Il fallo non è il principio di identificazione di una donna e il padre non
esaurisce il principio di identificazione d’essere di una donna. Una donna si inoltra
sempre in modo più o meno accentuato a frequentare il limite dell’Altro, l’al di là
del fallo. Per esempio nella follia. Tutte le donne sono capaci di qualcosa che gli
uomini ritengono folle. Una donna è capace di qualunque cosa... La follia, il
rapporto con Dio, il rapprto con il proprio corpo...I mistici sono tutti da collocare sul
lato destro della sessuazione, sul lato della sessuazione femminile. Nel mistico c’è
l’oltrepassamento del limite nel rapporto con Dio. Nella follia femminile, nella
gelosia femminile, nel misticismo femminile c’è un andare oltre il limite, oltre il

122
buon senso fallico. L’amore femminile è un’esperienza di incontro con S di A
grande barrato. E’ l’amore al di là dell’essere e dell’avere. Avevo nominato
l’anoressia come malattia dell’amore per questa affinità profonda del femminile:
mettere a repentaglio la vita per il segno d’amore. Medea è una figura lacaniana
dell’ oltrepassamento del limite. Lacan cita Medea per mostrare che una donna non si esaurisce
mai tutta nell’essere madre. Medea è disposta ad uccidere tutti i suoi figli per
vendicarsi del tradimento di Giasone. La donna implica questo al di là del limite,
questo essere folle. Pentesilea è un’altra figura immortalata dal dramma di von
Kleist di grande interesse. E’ la regina delle amazzoni e viene uccisa da Achille.
Von Kleist ribalta il dramma di Pentesilea e fa si che sia Pentesilea a sbranare
Achille. Si innamora di Achille ma non può amarlo perché si è privata del suo seno
per poter tirar con l’arco. I due si scontrano, nasce il desiderio, ma lei non può
cedere - perché è ancora troppo fallica - per farsi oggetto piccolo a del fantasma.
Achille si presenta a Pentesilea totalmente disarmato e dunque mancante, barrato
e lei pensando che lui si stia prendendo gioco di lei lo sbrana in una furia
parossistica, in un rapimento fuori controllo. Non gode di lui ma è al di là, al di là
dello scambio fallico, lo sbrana. Sbranare come godere al di là del fallo. Impasto
del godimento con la morte al di là del limite. La donna, secondo Lacan, è abitata da
un eccesso. Mentre l’uomo sarebbe abitato dal senso del limite stabilito
dall’omologia tra fallo e padre, la donna, che non è orientata da questa alleanza, è
abitata da un eccesso che porta l’amazzone a sbranare il corpo dell’amato
perdendosi in questo sbranamento di cui non ricorderà più niente. L’eccesso
dell’Altro godimento è un eccesso che la donna percepisce come totalmente
straniero. L’eccesso femminile può cortocircuitare in modo atroce. L’abbuffata
bulimica è qualcosa che ha a che fare, certo patologicamente, con il non-tutto
fallico. Nell’abbuffata la bulimia realizza qualcosa dell’al di là del fallo, anche se
solo patologicamente, solo come godimento mortale, godimento non filtrato dalla
castrazione. Questo eccesso femminile non è normato dalla castrazione. Una
donna accede al godimento fallico via castrazione e se assume la sua castrazione
può non rifiutare e non invidiare il fallo e darsi la possibilitù supplementare – e non
complementare – di raggiungere un godimento supplementare al fallo che è il
godimento senza limiti del non-tutto fallico. Maria Teresa di Calcutta mostra un
altro godimento ben al di là dell’avere fallico, come un amore dell’illimitato.
Possiamo avere esperienze femminili dove in primo piano c’è solo il rapporto tra S
di A grande barrato, ma quando abbiamo solo questo il rischio è quello di uno

123
scivolamento verso la psicosi. Se il godimento femminile non è in parte agganciato
alla castrazione c’è il rischio di confondere la jouissance de l’Autre con l’Autre
jouissance, il godimento della psicosi con il godimento femminile.

25. Lo schema del triangolo

Nello schema del triangolo equilatero Lacan riproduce i tre registri immaginario,
simbolico, reale. Il fatto che si tratti di un triangolo equilatero significa che non c’è
un registro che domina gli altri , ma i registri appaiono come equivalenti.
Nell’insegnamento classico di Lacan c’è un registro che prevale sugli altri che è il
registro simbolico di cui l’almeno uno del Padre è quel significante che sostiene
l’insieme di tutti gli altri significanti. È il simbolico che regola il rapporto con
l’immaginario e con il reale. Qui invece Lacan mette i registri su lati equivalenti. In
questo senso alcuni lettori di Lacan hanno notato che questo triangolo anticipa la
topologia a cui Lacan darà sempre più importanza. Qui si tratta del rapporto di
questi tre registri con quella massa informe che è il godimento. Quella sacca
informe interna ai registri. Questo godimento è un godimento informe ma
catturato e delimitato come se fosse risucchiato dentro al triangolo dei registri.
Non è una massa che avviluppa e devasta la vita ma è catturato in una
bolla...Almeno quando le cose funzionano sufficentemente. Questo non è lo
schema della psicosi. Nella psicosi il godimento sarebbe sparpagliato mentre qui è
catturato e circoscritto all’interno dei registri. Sono tre vettori, tre linee di forza. Abbiamo il
vettore che va dal reale all’immaginario. Il reale coperto dall’immaginario dà il senso di
realtà e la realtà è precisamente l’effetto di questo ricoprimento immaginario del
reale. La castrazione rende possibile l’accesso alla realtà. La realtà non è il reale
per Lacan. La realtà è il reale coperto dall’immaginario e dal simbolico. La freccia
che va dall’Immaginario al Simbolico è la freccia del senso. La dimensione della
verità implica il rapporto tra immaginario e simbolico. La verità si dà come
simbolizzazione dell’immaginario. Ogni volta che accade la simbolizzazione
dell’Immaginario c’è effetto di verità, c’è processo di disidentificazione. Ogni volta
che mettiamo in evidenza le identificazioni inconsce che governano la vita di un
soggetto l’effetto di questa interpretazione è un effetto di disidentificazione.
L’analisi è un’esperienza di simbolizzazione dell’immaginario cioè di passaggio
dall’immaginario al simbolico. E il passaggio dall’immaginario al simbolico genera

124
effetti di verità. Con l’aggiunta di un limite che Lacan scrive con S di A grande
barrato; ovvero, la verità non si può dire tutta, non esiste la possibilità di dire il
vero sul vero. Nel luogo dell’Altro io non posso ritrovare le risposte che cerco sulla
verità del mio essere. Si tratta di una necessaria minorizzazione della verità perché
la verità non è qualcosa che io posso pensare di possedere, ma è piuttosto un
effetto della simbolizzazione; non è un oggetto di cui posso appropriarmi. In questo
senso S di A grande barrato significa che non esiste il vero del vero, cioè che il
luogo dell’Altro è sprovvisto della verità che mi concerne.La supposizione di sapere è una
condizione dell’analisi che suppone nell’Altro la verità. Il problema è verificare ogni volta che la verità
che il transfert situa nell’Altro non è mai la verità della verità. Lacan parla di questo schema
come di uno schema finalizzato a minimizzare la verità cioè ad emancipare la
psicoanalisi dalla nozione di verità. Il lato più importante è il lato che va dal
Simbolico al reale con in mezzo a piccolo. Questo è il vettore dell’analisi, della
prassi analitica che è una esperienza simbolica di parola finalizzata però a toccare
e a trasformare il reale. (a) piccolo non è il reale ma un sembiante, non è un
oggetto reale ma una costruzione, un sembiante. (a) piccolo è ciò che offre un
supporto alla mancanza a essere del desiderio ma è un sembiante che si produce
sotto transfert. La psicoanalisi non è un’archeologia del fantasma. Il soggetto non
ha un fantasma depositato nella memoria che lo psicoanalista vorrebbe poter
dissotterrare. Piccolo a non è un oggetto iscritto come una traccia mnestica
nell’inconscio. Piccolo a è qualcosa che si costruisce nell’analisi implicando
l’analista come supporto. Si parla di costruzione del fantasma che è il modo in cui
il passato del soggetto verrebbe riscritto nelle parole che un soggetto rivolge ad un
Altro raccontandosi. Nella misura in cui io parlo ad un Altro di ciò che è accaduto
sto riscrivendo quello che è accaduto e producendo una nuova storia che è la mia
storia più autentica. Nella psicoanalisi parliamo di noi stessi, costruiamo la nostra
storia e la costruiamo come nuova sotto transfert collocando chi ci ascolta non
solo nella posizione di chi è il destinatario di questo racconto ma anche di chi è
incluso in questo racconto. Avviene nell’hic et nunc dell’analisi. Il fantasma è il
prodotto di una costruzione sotto transfert. Già nel momento in cui c’è la scelta
dell’analista il fantasma si mette in costruzione. Il fantasma non è già dato. C’è ma
la potenza trasformativa dell’analisi è che adesso include un Altro . Lo schema del
triangolo equilatero esclude la psicosi perché c’è la realtà, c’è la verità, c’è
l’oggetto piccolo a... Nella psicosi c’è invece una neorealtà delirante, un verità che
si suppone essere certa (es. paranoia) e che si impone come un reale fuori

125
discorso. La psicosi disfa la realtà perché c’è solo il trauma del reale. Disfa il fatto
che non c’è vero su vero perché introduce una verità delirante che si vuole essere
certa, assoluta, un vero sul vero. Disfa l’oggetto piccolo a dunque non condensa il
godimento che invece si disperde nel corpo. In questo schema, invece, abbiamo il
godimento preso in una sacca. Nella psicosi abbiamo piuttosto una rottura della
sacca e il godimento fuoriesce senza alcuna legge....Come possiamo catturare il
godimento evitando che deflagri come avviene invece nella psicosi? Occorre capire
bene la funzione della verità, della realtà e dell’oggetto piccolo a. E soprattutto
occorre pensare che l’analisi non ha come vettore privilegiato il vettore IS ma il
vettore SR. L’analisi non è un’esperienza di verità perché non c’è il vero sul vero,
ma è un’esperienza di incontro con il reale, del reale come ciò che è eccentrico sia
al simbolico che all’immaginario. In questo senso indica anche i limiti del sapere
perché il reale rifugge al sapere.

26. Parola e godimento

“Là dove si parla si gode” (Sem.XX, p. 109). Questa formula è eversiva all’interno
dello stesso insegnamento di Lacan. In un primo tempo l’insegnamento di Lacan
districa il campo del godimento dal campo della parola. Il campo della parola
sarebbe il campo dell’intersoggettività, del simbolico, il campo strutturato dalle
leggi del linguaggio. Il campo del godimento è invece quello della pulsione ed è un
campo extrasimbolico. Nell’insegnamento classico di Lacan esiste un’eterogeneità
tra il campo della pulsione e il campo della parola. La materia di cui è fatta la
pulsione non è la stessa materia di cui è fatta la parola. La parola è fatta di una
materia simbolica, la pulsione è fatta di una materia erogena, libidica. La parola e
la pulsione sono due funzioni eterogenee. Il problema della pratica della
psicoanalisi consiste nel verificare in che modo la funzione simbolica della parola,
che è eterogenea al campo della pulsione, può modificare, trasformare, cambiare
l’economia libidica della pulsione stessa. La pratica della psicoanalisi sarebbe una pratica
simbolica finalizzata a modificare il reale dell’economia libidico-pulsionale. Questo esergo colpisce
perché Lacan dice che là dove pensava ci si riconoscesse, si comunicasse, là dove pensava ci
fosse il senso, in realtà c’è solo il godimento. I campi che prima erano eterogenei
(campo simbolico e campo reale; campo del senso e campo del godimento)
improvvisamente si sovrappongono. L’esperienza della parola, il rapporto

126
dell’essere umano con il linguaggio non è un rapporto che non si limita più ad
escludere il godimento, ma è alluvionato dal godimento. Quando si parla qualcosa
gode. Qui Lacan imbastardisce il rapporto tra la parola e la pulsione come se la
pulsione interferisse e infarcisse la funzione stessa della parola. Lacan arriva a dire
questo a partire da una considerazione empirica. Il tempo delle analisi si è
allungato dai tempi di Freud. Le analisi fatte da Freud raramente hanno superato i
due o tre anni. Si assiste ad un allungamento delle analisi e Lacan ipotizza che la
parola faccia godere e che il paziente che parla goda della sua parola e che il bla
bla dell’analizzante porti con sé un godimento enigmatico. Non solo si parla per
essere ascoltati; la parola non esige solo l’ascolto. La parola esige di essere
riconosciuta e l’ascolto riconosce la parola ma, la parola si fa anche veicolo di un
godimento bizzarro, strambo, che è godimento della parola stessa, è godimento
del parlare, godimento del parlessere, godimento de lalingua.

27. Lalingua - Lalangue

Lalangue è un neologismo che fa pensare ad una forma primitiva della lingua che
ha a che fare con la lallazione del bambino che non ha ancora avuto un accesso
pieno alla struttura del linguaggio. Quando si parla si gode e si gode de lalingua.
Lalingua è quella dimensione del linguaggio che precede il linguaggio e che
investe direttamente il corpo che parla. Lalangue è la dimensione carnale,
primaria, originaria del linguaggio, rispetto alla quale il linguaggio sarebbe
un’elucubrazione di sapere. Lalangue è la dimensione del linguaggio infarcita di
godimento e il linguaggio rispetto a Lalangue è un’elaborazione simbolica.Esiste un
Lacan che ha pensato il simbolico come campo del linguaggio e funzione della parola. Il Simbolico è il
luogo delle Leggi della Cultura. È il luogo transindividuale dei significanti dell’Altro, è il
luogo che assoggetta il soggetto. Le leggi del linguaggio sono leggi
sovraindividuali perché non dipendono dal soggetto, ma è il soggetto che dipende
da esse. Il campo del linguaggio è un campo universale. Tutti siamo sottoposti alle
sue leggi. Il soggetto appare nella funzione della parola la quale definisce
l’intersezione della singolarità nel campo anonimo dell’universale. La parola
implica sempre, diversamente dal linguaggio ( che ha un funzionamento anonimo
e universale), una responsabilità singolare di chi parla. La parola esige sempre
un’intenzione di significazione, un voler dire. Chi parla vuole dire qualcosa che non

127
è mai già contenuto nel campo del linguaggio. Le leggi del linguaggio rendono
possibile la parola ma la parola porta con sé un elemento di singolarità che eccede
il campo del linguaggio. Per questo parlare in prima persona è impossibile per lo
psicotico. Ciò che fallisce lo psicotico non è la dimensione del linguaggio, poiché è
parlato dal linguaggio ma fallisce nell’atto di parola in prima persona. Abbiamo
congiunture di scatenamento del soggetto psicotico quando viene chiamato a
parlare in prima persona dall’Altro, per esempio, all’esame di maturità, alla
chiamata militare, al matrimonio, nella paternità. Ogni volta che il soggetto è
chiamato all’atto di parola viene esposto all’eccedenza della parola rispetto alle
leggi anonime e universali del linguaggio. Il linguaggio non sbaglia mai, ma chi
parla è esposto al rischio dell’errore della parola. Il problema della psicosi è che c’è
legge del linguaggio senza facoltà singolare della parola. Anche in Joyce abbiamo
l’alluvione del linguaggio che elimina la funzione della parola. C’è solo il fluire de
lalingua, non c’è il soggetto della parola. Nella psicosi il soggetto non parla ma è
parlato dal linguaggio. Non è il soggetto che parla ma è il soggetto che sente che
si parla di lui. Sente che è parlato. Le allucinazioni acustiche ne sono un esempio.
Una donna viene in colloquio per uno stato depressivo.C’è una depressione post-partum e
l’alcolismo come medicazione della psicosi latente. La nascita del bambino l’ha esposta all’atto di
parola (“sono tua madre”) di cui non è in grado di sostenere il peso simbolico. Il marito vu ole
lasciarla per la sua gravità e perché teme per l’incolumità del bambino. Ad un
certo punto, dopo qualche colloquio, arriva in seduta e dice se io avevo qualcosa
da dirle dando all’analista del tu. Le chiedo cosa la autorizza a passare al tu e lei
risponde: “sei tu che me lo devi dire”. Le arrivano messaggi di amore ed è
convinta che sia l’analista a mandarli. L’analista risponde che se è convinta di
questo non può più essere lui ad aiutarla. Si vede bene che il soggetto non parla
ma riceve la parola dall’Altro è l’Altro che invia dei messaggi al soggetto. Suppone
che l’Altro le abbia inviato dei messaggi in quanto donna, non in quanto madre.
C’è un’eclissi del soggetto della parola e un venire in primo piano del soggetto
come oggetto del linguaggio.

28. Il rischio della parola e le leggi del linguaggio

Nella nevrosi il problema è piuttosto il contrario: il soggetto è confrontato al rischio


della parola e si confronta a questo rischio nella modalità della rinuncia e della

128
mortificazione, come accede per l’ossessivo. Il soggetto ossessivo evoca le leggi
universali del linguaggio per proteggersi dal rischio della parola. Nel discorso
universitario si usa sempre un plurale anonimo che nasconde l’enunciazione
soggettiva. L’ossessivo fa appello ad un noi generico schivare il rischio della parola
singolare. Fa fatica a scegliere una donna e assumersi la responsabilità del
matrimonio così come fa fatica a soggettivare la sua propria parola. L’ossessivo fa
riferimento alle leggi del linguaggio come soluzione alle leggi della parola,
dell’enunciazione singolare, subordinando l’enunciazione all’enunciato. Di qui la
sua necessità, quando parla, di essere impeccabile, di parlare come un libro
stampato. Nell’ossessivo c’è una necessità del linguaggio come rete protettiva
rispetto all’acrobazia senza garanzie della parola. Che sotto ci sia una rete.
L’ossessivo è bravo nel ripetere quello che gli altri hanno detto. Nell’isteria, invece, la
difficoltà è che quando il soggetto parla vuole che la sua parola sia inconfondibile, rara,
anti-universale. L’isterica fa fatica ad assimilare i concetti troppo universali, troppo
staccati dalla vita. L’isterica segue una parola piena di vita, una parola unica,
originale. Il femminile anche è sensibile alla parola rara, alla parola unica: “non
dire a me quello che hai detto ad altri, non con le stesse parole”. L’ossessivo dice
le stesse cose a tutti, la sua lingua è quella del generale, l’isterica esige l’unicità,
la sua lingua è quella del singolare. Questo è il fondamento nevrotico del non
incontro tra i sessi. L’isterica tende a produrre un transfert su i maestri che hanno
un sapere sulla verità della vita, dell’amore e del sesso. Non il sapere dei concetti
che invece è il mito ossessivo, il quale ricerca solo il sapere sul sapere. La parola
isterica è una parola che rischia l’imperfezione, il frammento, l’incompiutezza, il caos,
l’antisistematicità perché vuole essere unica e rara e non si coordina con l’universale. Un’isterica può
insultare e fare una scenata in mezzo al ristorante perché quella parola non tiene
conto dell’universale. L’ossessivo subisce passivamente l’acting isterico. Ciò che
più fa inferocire l’isterica è il formalismo ossessivo. Per l’isterica la parola deve dire
sempre la verità. L’isterica esige che si dica sempre la verità, salvo per lei che può
mentire in nome della verità. Nella psicosi prevale un linguaggio anonimo che
domina il soggetto. Nella nevrosi prevale la complessità di produrre
un’enunciazione singolare. Ciò che tranquillizza l’ossessivo è ciò che angoscia
l’isterica. L’isterica non sa mai bene quello che pensa che vuole dire c’è sempre
qualcosa che le sfugge. La parola isterica è sempre determinata
dall’incompiutezza. L’isterica non sa quello che vuole e a volte non sa quello che
dice. L’ossessivo appare come granitico nei suoi enunciati. Sa quello che vuole, sa

129
quello che dice. Il suo discorso rifiuta la sbavatura. Rifiuta l’incertezza. Nella
nevrosi ossessiva il sapere ha sempre una funzione di cemento della divisione,
mentre l’isterica la ama.La parola è il luogo di una enunciazione singolare che può prodursi solo
grazie alle leggi universali del linguaggio. Senza linguaggio non c’è parola. Il linguaggio subordina la
parola. Ma la parola eccede il linguaggio. Perché il linguaggio è sul lato dell’universale
anonimo mentre la parola è sul lato creativo della singolarità. La parola è sempre
un atto mentre il linguaggio è un sistema, un codice. L’etica della psicoanalisi è
un’etica della parola. La legge fondamentale della parola - prima di sostenere
come accade in questo Seminario che “quando si parla si gode” - Lacan l’aveva
individuata hegelianamente nella legge del riconoscimento: la parola umana si
soddisfa nell’ascolto dell’Altro. Lo schema fondamentale della parola è che la
parola si dirige verso il luogo dell’Altro, domanda di essere ascoltata e l’ascolto
dell’Altro la soddisfa. Questa circolarità dialettica è ciò che utilizziamo nel
dispositivo analitico, anche se il Seminario XX porta ad un ripensamento generale
della funzione della parola. La parola non ha più come funzione quella di farsi riconoscere, in
evidenza non è più la comunicazione interumana, l’intersoggettività, ma un elemento supplementare che
non annulla quanto dentro prima. Miller tende a far comparire un nuovo paradigma del
godimento che finisce per annullare quelli precedenti...Non penso che in Lacan
funzioni così..Piuttosto il vecchio coesiste al nuovo. Sarebbe inconcepibile pensare
ad un’analisi senza questa cellula fondamentale della parola vincolata alla legge
del riconoscimento, anche se questa legge si inserisce in un contesto diverso dove
qualcosa gode a prescindere dall’ascolto dell’Altro....Parlare assume le forme di un
atto pulsionale, di una manifestazione pulsionale. Questo ripensamento della
funzione della parola porta con sé anche un ripensamento della funzione del
linguaggio.

29. Il godimento della lalingua

Nel Seminario XX la parola diventa il luogo dove si gode. Una parte della parola
eccede la dialettica intersoggettiva del riconoscimento. Questo comporta che
abbiamo un secondo passaggio; precisamente dal campo del linguaggio al

130
godimento della Lalangue. Abbiamo un doppio passaggio dalla funzione simbolica
della parola alla parola che gode di se stessa o dal riconoscimento della parola al
godimento della parola. E un passaggio dal campo universale del linguaggio alla
dimensione singolare de Lalangue (Lezione XI). Pag. 138 “Lalingua – si chiede
Lacan - serve innanzitutto al dialogo? Niente è meno certo di questo.” Lacan si chiede
se lalingua struttura la dimensione del dialogo. Il linguaggio porta con sé il fatto che la parola si
manifesta nel dialogo (parlare-essere ascoltati), ma lalangue eccede la dimensione del
dialogo. Lalangue è un linguaggio che ha la natura del corpo. È il linguaggio come
dimensione dell’inconscio. “Essa designa ciò che è affar nostro, di ognuno”; cioè
una dimensione assolutamente singolare. Essere lacaniani per molti ha significato
essere dalla parte dei padri che sbarrano le fauci delle madri coccodrillo e salvano
il bambino...Il Nome del Padre sarebbe quel trauma che rende possibile l’accesso del bambino al
linguaggio e che lo sottrae dall’abbraccio incestuoso materno. Qui però Lacan aggiunge
che l’origine del linguaggio è materna...lalangue sarebbe l’origine del linguaggio.
L’accesso alla lalangue è reso possibile dalla madre al bambino. La madre non è
solo tenuta a particolarizzare le cure, ma rende possibile anche l’accesso a
lalangue come lingua del corpo, lingua della carne, come pasta, materia che il
linguaggio strutturerà in modo organizzato solo in un tempo secondo. Infatti,
afferma Lacan, il linguaggio sarebbe “quel che si cerca di sapere circa la funzione
de lalangue”. Oppure “il linguaggio sarebbe un’elucubrazione di sapere su
lalangue” (p.139). Noi parlanti che siamo subordinati alle leggi del linguaggio siamo prima di tutto
affetti da Lalangue. Lalangue è ciò che sostiene il linguaggio, come fosse una dimensione
precategoriale materna del linguaggio. Se il linguaggio è dalla parte del padre,
lalangue è dalla parte della madre. Se il linguaggio è sul lato dell’articolazione
fonematica semantica dei significanti, lalangue è sul lato della lallazione dei
significanti. Se il linguaggio è sul lato della universalità ciascuno ha la sua
lalangue. La langue sarebbe il singolare dell’universale del linguaggio che si
produce nel corpo a corpo con l’Altro materno, nel corpo a corpo con i significanti
che arrivano al bambino come impregnati del godimento. È una manifestazione del
corpo che gode nel significante. Il cinguettio tra la madre e il suo bambino è una
pasta verbale manifestazione pura de lalangue...L’ingresso nel linguaggio avviene
attraverso la via tracciata da lalangue. Lacan recupera così la marca materna
rispetto alla sua dottrina classica del nome del padre. Il desiderio materno non è
solo la manifestazione di un cannibalismo primitivo. La dimensione materna de
lalangue è la dimensione del corpo a corpo tra il bambino e la madre che inizia già

131
in gravidanza dal fatto che il bambino è ospitato dal corpo materno impregnato dai
suoni e delle parole che sente già nel corpo materno. Possiamo spiegare perché in
certi soggetti certe parole hanno un effetto vibrante..costituiscono la sua lalangue.
Siamo affetti da lalingua. Siamo intaccati dall’affettività di cui è impregnata
lalangue. Dimensione primaria della parola, dove non è determinante la
significazione che la parola produce ma la sonorità carnale, il verbo, la dimensione
materica, fonematica della parola. Si può dire che nella psicosi l’eccedenza de lalangue
impedisca l’eccesso al linguaggio. L’eccedenza de lalangue interferisce rispetto l’accesso al linguaggio.
Abbiamo l’esempio di Artaud. Ma è su lalangue che il linguaggio si sostiene. Lalangue
mostra che il linguaggio è irriducibile alla comunicazione perché porta con sé la
dimensione del godimento (lalangue). In questa formulazione la dimensione della
parola come luogo di accesso alla verità e minorizzato perché ciò che conta non è
la verità della parola ma lalangue su cui la parola si sostiene. Rapporto della parola
con il godimento. La riflessione di Lacan su lalangue inizia in questo Seminario e
procede nei successivi. Lalangue non è il linguaggio del corpo ma il linguaggio
abitato dal corpo. È lo strato primario del linguaggio. Ciascun essere umano passa
attraverso lalangue certo può essere traumatica, violenta offensiva. Lalangue non
è di per sé una dimensione armoniosa. Fanno parte de lalangua anche le prime
percezioni del corpo. Si struttura come una serie di precipitazioni di incontri primari del soggetto:
immagini, suoni, percezioni... Nel rapporto d’amore il linguaggio tende a lalangue (linguaggio privato).
L’amore è fatto della stessa pasta di cui è fatta lalangue. Linguaggio che porta con sé il
corpo.L’accesso al linguaggio implica una separazione dal corpo materno. implica una
dematernalizzazione de lalangue. Nell’entrata dei bambini al nido si vede bene l’incivilimento
progressivo del passare dall’inconscio de lalangue all’inconscio strutturato come un
linguaggio. La struttura del linguaggio colonizza lalangue ma questa elucubrazione
di sapere su lalangue lascia inevitabilmente dei resti.

30. L’ Uno e l’ Altro

La lezione XI è la lezione più importante perché ripropone in conclusione la


centralità del godimento, del rapporto tra il godimento dell’Uno e il godimento
dell’Altro. In questa prospettiva abbiamo incontrato quattro enunciati di
impossibilità:1. Il rapporto sessuale non può scriversi, non esiste2. La/ donna non esiste, le donne
esistono una per una. tranne che nella psicosi3. Non esiste Altro dell’Altro non esiste un luogo di

132
garanzia assoluto. Il luogo dell’Altro non ha un fondamento ontologico. 4. Non c’è metalinguaggio. Non
esiste Altro dell’Altro. Non c’è il linguaggio del linguaggio. Non c’è un linguaggio primario su cui
si fonda il linguaggio.Tutti questi enunicati di impossibilità mostrano che tra l’Uno e l’Altro non si
dà rapporto possibile dal punto di vista della struttura. Ma che tipo di supplenza possiamo costruire sullo
sfondo di questa impossibilità? La supplenza all’inesistenza del rapporto sessuale è la
parola: si può godere nel parlare d’amore come mostra il dolce stilnovo, la poesia.
Si può parlare d’amore sullo sfondo dell’impossibilità del rapporto sessuale. Parlare
d’amore non è al posto di fare l’amore. Parlare d’amore è al posto dell’inesistenza
del rapporto sessuale. E’ indubbio che la parola chiave di questo Seminario sia quella del
non-rapporto. L’uomo e la donna sono in un non-rapporto costitutivo. Il godimento
dell’Uno e il godimento dell’Altro sono in un non rapporto fondamentale. Dove c’è
godimento fallico non c’è godimento di tutto il corpo. Il godimento sessuale è
disgiunto dal godimento asessuato dell’oggetto piccolo a. E tuttavia il problema che
Lacan ci pone è quale rapporto sia possibile stabilire con questo non-rapporto di fondo?
Se non esiste il rapporto tra i sessi perché esiste il godimento, perché ciascuno
gode da solo, se ciò che esiste è solo il godimento dell’Uno, il godimento fallico
come godimento dell’organo, limitato, circoscritto, autoerotico... il fallo come ciò
che fa obiezione al rapporto sessuale, se non esiste altro che il godimento Uno,
come può esistere una soddisfazione non rinchiusa in questa monotonia? Anche
lalangue è una forma di godimento dell’Uno, godimento de lalangue, godimento
fuori dal dialogo. Anche la parola non si soddisfa nell’Altro ma nell’atto stesso di
parlare. Il godimento dell’Uno è il godimento del corpo, cioè il godimento
dell’oggetto piccolo (a). “Io ti domando di rifiutare quello che ti offro perché non è
questo”; i bambini rifiutano quello che gli viene offerto perché non è quello che
vogliono. Nel Seminario V Lacan sostiene che i bambini vogliono la luna perché ci
dicono che non è quello che noi gli offriamo quello che vogliono. L’oggetto che
causa il desiderio non può essere mai raggiunto; l’oggetto che causa il desiderio
non è mai questo. L’insoddisfazione isterica ci dice che l’oggetto che causa il
desiderio è un oggetto impossibile da raggiungere e quando viene raggiunto
diventa deludente. L’oggetto piccolo a non è mai questo. Non è un oggetto tra gli
altri. L’oggetto piccolo a è il vuoto. È ciò che di vuoto è supposto da una
domanda...Recuperando lo schema della pulsione del Seminario XI l’oggetto piccolo a è il
vuoto che rende possibile il movimento continuo della pulsione. Ciò che mangia la
bulimica non è mai la pasta ma è il vuoto di cui sono fatti tutti gli oggetti orali, cioè
il fantasma del seno. L’errore della psicoanalisi dopo Freud è di pensare che

133
l’oggetto si potrebbe raggiungere dando luogo ad un’esperienza di
soddisfacimento attraverso la pulsione genitale (matura). Il mito della pulsione
genitale è il mito dello scrivere un rapporto sessuale pieno. E’ di scrivere il non
rapporto come se fosse un rapporto. Il rapporto invece non è mai tra il soggetto e
l’Altro ma quello reso possibile dal fantasma; è il rapporto tra il Soggetto e
l’oggetto piccolo a. Il vero partner del soggetto non è l’Altro ma l’oggetto
asessuato. Nell’incontro tra l’uomo e la donna l’uomo cerca nel corpo della donna
l’oggetto piccolo a e la donna cerca nell’uomo l’assicurazione sulla follia del suo
amore, il suo essere unica per lui Feticismo ed erotomania, come indica Lacan,
ostacolano la possibilità del rapporto. Uno cerca il pezzo e l’Altro cerca il segno
dell’amore. Ritorno la questione decisiva: esiste un godimento che non sia
dell’Uno? Esiste un godimento Altro? Il godimento sessuale sarebbe godimento
dell’Altro? Per Lacan non esiste rapporto sessuale perché esiste solo godimento
dell’Uno. Dove possiamo incontrare il godimento dell’Altro?Una possibile risposta è che il
godimento dell’Altro che non sia dell’Uno lo troviamo nella forma dell’incontro. L’incontro è Altro
godimento? L’incontro è fatto di contingenza come afferma Lacan (pag. 93). La contingenza non è
il necessario. L’incontro d’amore è un incontro contingente. Ma l’incontro d’amore
(pag. 145) è l’incontro con l’Altro in quanto soggetto, non è l’incontro con l’oggetto
piccolo a, ma con l’Altro in quanto Altro. Con l’Altro che non è l’Uno, che non è il
simile che non è il fallo, non è il bla bla del monologo analizzante. Questo incontro
ci dà l’illusione che il rapporto sessuale si possa scrivere. Illusione benedetta
dell’incontro amoroso che l’impossibilità del non-rapporto cessi e che ciascuno
riconosca nell’Altro la traccia del suo esilio. La comunione tra i due è impossibile,
ma l’incontro d’amore realizza una forma di legame che è reso possibile proprio dal
fatto che tutti e due i soggetti sono esiliati dal rapporto sessuale. Solo in quanto
entrambi sono nella solitudine c’è possibilità dell’incontro d’amore. È l’esperienza
della solitudine che rende possibile l’incontro d’amore. La bellezza e il dramma
dell’incontro d’amore è che vorremmo che da contingente diventasse necessario,
che continuasse a scriversi per sempre. Ogni amore autentico punta all’eternità.
Sappiamo che non è possibile, ma in ogni caso c’è incontro d’amore solo nella
misura in cui c’è fede nella possibilità di trasformare il contingente in necessario.
Rapporto da soggetto a soggetto. L’amore rompe il regime dell’Uno. In questo
senso la meta ultima di un’analisi è rendere disponibile il soggetto alla contingenza
dell’incontro. Il nevrotico ha il terrore dell’incontro, programma la sua vita per
evitare l’incontro. La nevrosi è la modalità di rendere impossibile l’incontro.

134
L’analisi, al contrario, è un’apertura alla contingenza, all’inedito, al non ancora
visto, alla sorpresa, al nuovo, al non ancora pensato, al non ancora conosciuto. La
nevrosi è un espediente patologico che ci ripara dal rischio dell’incontro. L’incontro
è ciò che ci apre alla possibilità di un Altro godimento che non è dell’Uno. Su cosa
finisce davvero un’analisi? Certamente finisce quando il soggetto si può
disidentificare dalle proprie identificazioni, quando inizia ad occuparsi del desiderio
suo proprio senza essere vittima della domanda dell’Altro (differenziazione tra il
desiderio e la domanda), quando entra in una nuova economia libidica, quando sa
poter godere. Ma tutto questo è subordinato al fatto che un’analisi deve
permettere ad un soggetto di non rifiutarsi alla contingenza dell’incontro. Perché è
solo nell’incontro che l’Uno si rompe, che possiamo fare esperienza di un
godimento fuori dal regime dell’Uno.

Soggettivazione e separazione

01. Premessa

Il termine separazione non è un lemma tipico della dottrina lacaniana. Non è un


termine ricorrente nell’insegnamento orale e scritto di Lacan. Questo non significa
però che non sia un termine chiave. Vi sono, per esempio, presenze topiche di
questo termine nel Seminari IV, X e XI. Nel Seminario IV la separazione è evocata
classicamente a proposito della relazione madre-bambino. Nel Seminario X e,
ancora più esplicitamente nel Seminario XI, viene evocato a proposito della
causazione del soggetto nel suo doppio tempo di alienazione e separazione.
Anche in Freud, diversamente da quello che si potrebbe credere, il termine
135
separazione non è affatto un termine ricorrente. Nel testo freudiano esso tende ad
apparire associato all’esperienza dell’angoscia. Il termine separazione non appare
nemmeno nella celebre Enciclopedia di psicoanalisi curata da Laplanche e Pontalis
che Lacan vedeva come un effetto di plagio del suo insegnamento.
Se invece volgiamo lo sguardo alla psicoanalisi anglossassone di matrice kleiniana,
alla quale dobbiamo riportare per certi versi anche l’opera di Winnicott, il
riferimento alla categoria di separazione diventa davvero un riferimento tanto
presente quanto irrinunciabile. Si pensi innanzitutto all’opera di Melanie Klein.
All’importanza della separazione nella costituzione della soggettività. Gran parte
del contributo teorico di Klein sul tema della separazione si sviluppa come una
rilettura originale di Lutto e melanconia di Fred dove il tema della separazione
appare come centrale sebbene resti ancora concettualmente indeterminato.
Pensiamo anche al lavoro teorico di Winnicott che può essere visto come una
grande riflessione sulla dinamica evolutiva della separazione del bambino dalla
madre. Ma pensiamo infine all’inflazione di questo termine nella psicoanalisi di
oggi; la letteratura analitica è monopolizzata da questo concetto così come esso
diventa un riferimento continuo nella pratica clinica. Tuttavia, la presenza
inflazionata di questo concetto non significa che vi sia una sufficiente chiarezza
teorica nella determinazione del suo significato.
Il termine soggettivazione è invece un termine lacaniano. E’ un termine che appare
centrale soprattutto nella fase classica del suo insegnamento, quella che si
sviluppa intorno alla metà degli anni Cinquanta. Sapete che la mia prospettiva di
lettura di Lacan consiste nell’individuare proprio nella problematica della
soggettivazione, del soggetto, dell’"effetto soggetto" (per riprendere una
espressione di Althusser), il centro dell’insegnamento di Lacan. E’ quello che mi
sforzo di dimostrare nella mia lettura di Lacan: l’insegnamento di Lacan è un
insegnamento centrato sulla problematica del soggetto e dei suoi processi di
soggettivazione.

02. Il soggetto come resto-eccedente

La problematica del soggetto in Lacan può essere riassunta in due termini chiave:
quello di resto e quello di eccedenza. Il soggetto lacaniano è al tempo stesso
residuo ed eccedenza, è un resto-eccedente. Possiamo intendere questo suo

136
doppio statuto in modi diversi. Per darne una chiave di lettura provvisoria
potremmo indicare come il soggetto lacaniano appaia, nello stesso tempo, come
effetto di un’azione di taglio, effetto della "cesoiata del linguaggio" ("coup de
cisaille") e come residuo inassimilabile al significante che pure lo ha determinato. Il
potere del significante, come insegna Foucault, produce, infatti, anche ciò che gli
resiste. La resistenza è sempre una piega interna al potere. In questo senso anche
il soggetto lacaniano appare come fabbricato dal significante e, dall’altra parte,
sempre irriducibile all’azione universale del significante. Il soggetto ritagliato e
fabbricato dal significante, è anche il resto inassimilabile, dunque intrinsecamente
eccedente, di questa stessa operazione. Il soggetto sarebbe allora quel resto-
eccedente che l’azione della struttura implica nel suo stesso funzionamento, ma
che risulta, come tale, inassimilabile alla struttura che lo genera.
Per Lacan il soggetto è assoggettato al significante ("assoggetto"), ma il
significante non lo può mai fissare ad un significato, o, se si preferisce, non può, in
nessun modo, fissare in modo definitivo il suo destino. Come per Foucault, anche
per Lacan, la nozione di potere implica necessariamente quella di resistenza. Il
soggetto che è fabbricato dal potere letale del significante è anche sempre
irriducibile all’azione di questo potere. Incarna un punto di resistenza residuale e
una eccedenza rispetto al potere rappresentativo del significante.

03. Soggettivazione, assoggettamento e separazione

Il soggetto lacaniano è innanzitutto un processo di soggettivazione. Questa


considerazione non va da sé. Soggettivazione per Lacan non è un movimento di
appropriazione, di acquisizione di una padronanza, né costituisce una tappa del
percorso evolutivo. Non esiste uno stadio lacaniano della soggettivazione! La
soggettivazione indica invece un processo che produce un "effetto soggetto". Essa
è inscindibile in Lacan dalla separazione. Dove c’è soggettivazione c’è separazione
e viceversa. Per esempio, una parola è soggettivata solo quando si manifesta
come singolare, ovvero quando si libera dalle sue alienazioni sclerotizzate. Il
discorso dell’Università è un discorso desoggettivizzato in quanto nella posizione di
agente è il sapere come già stabilito, come già saputo, come batteria di significanti
già esistenti, come duplicazione, come reificazione, come insiemi di enunciati che
cancellano il punto singolare dell’enunciazione. Quando invece si può dire che un

137
desiderio è soggettivato? Quando si può soggettivare l’assoggettamento del
desiderio? E’ questa per Lacan la posta in gioco di un’analisi: soggettivare la
soggezione del desiderio.
In generale si può dire che il desiderio si soggettiva quando si separa dalla
domanda dell’Altro. Per questo dobbiamo sempre tenere insieme soggettivazione a
separazione. Cosa significa? Il processo di soggettivazione per Lacan non è mai un
effetto della struttura ma sempre e solo una possibilità del soggetto. E’ la
possibilità del soggetto di separarsi, di differenziarsi dall’Altro. La soggettivazione
è dunque un effetto della separazione. Eppure essa è anche la condizione della
separazione. Questo significa che "il cammino della soggettivazione", come si
esprime Lacan, non risponde ad alcuna logica necessaria. Non definisce, per
esempio, una fase o di uno stadio dello sviluppo, nel modo con il quale una certa
psicoanalisi angolossassone, cosiddetta post-freudiana, può avere inteso che ad
una originaria fase simbiotico-fusionale seguirebbe quella dell’individuazione-
separazione del soggetto... La soggettivazione lacaniana non risponde ad una
evoluzione necessaria, non riflette un determinato tempo o fase dello sviluppo. Più
propriamente, Lacan introduce il termine soggettivazione per segnalare il
contrasto tra la dottrina psicoanalitica e ogni rappresentazione evoluzionistica,
biologico-istintuale, stadiale, del soggetto. Rappresentazione che a suo tempo,
giustamente, Althusser riportava ad una teleologia d’impianto aristotelico:
nell’evoluzionismo, compreso quello psicoanalitico, il soggetto è situato come un
soggetto-seme che dispiega progressivamente, attualizza in senso aristotelico,
seguendo scansioni stadiali pre-determinate, il suo essere in potenza.

04. Soggettivazione e contingenza

Fissiamo una tesi elementare di ciò che chiamo il neoesistenzialismo di Lacan. Ho


affermato che il "cammino della soggettivazione" implica innanzitutto la
sconnessione del soggetto da ogni rappresentazione stadiale del soggetto. Il
cammino della soggettivazione è piuttosto un cammino animato dalla contingenza
e non dalla necessità. L’esperienza della soggettivazione è un’esperienza
contingente e non necessaria. Il soggetto non è una sostanza, non consiste, ma è
solo un evento possibile, contingente appunto, un effetto…. Non c’è un Soggetto-
sostanza (metafisica o psicologica), né Soggetto-effetto (trascendentalismo

138
strutturalista), ma, dove accade che vi sia, c’è, si dà solo effetto-Soggetto. La
soggettivazione è allora una possibilità del soggetto e non una sua determinazione
ontologica. Per questa ragione Lacan punta, nel tempo più maturo della sua
produzione (quello che si dispiega nel decennio Sessanta-Settanta), a ripensare il
soggetto freudiano dell’inconscio proprio a partire dall’incidenza della categoria
della contingenza e della possibilità. Questo comporta una vera e propria torsione
critica dell’inconscio freudiano il cui funzionamento rispondeva piuttosto (come
avevano già notato giustamente Politzer e Sartre ai quali implicitamente Lacan si
rivolge) ad un determinismo inesorabile. Ripensare l’inconscio dalla prospettiva
della contingenza e della possibilità significa, infatti, svuotare l’inconscio di ogni
contenuto ontologico per valorizzarne la dimensione etica; significa amplificare la
sua azione di resistenza eccedente anziché la sua dipendenza dalla combinatoria
significante. In questo senso il soggetto dell’inconscio non è tanto il luogo dove si
manifesta l’assoggettamento del soggetto alle trame sovraindividuali dell’azione
del simbolico, ma è soprattutto ciò che non consente che questo assoggettamento
giunga a sopprimere la possibilità di resistenza del soggetto stesso. In questo
senso, vale per il soggetto dell’inconscio, quello che valeva per l’esistenza secondo
Sartre: la sua essenza non precede (come in fondo pensava ancora Freud) la sua
esistenza, ma, al contrario, è la sua esistenza che precede la sua essenza. Questo
significa che l’inconscio non è qualcosa da raggiungere retrocedendo nella
memoria, nel passato, all’indietro. Non è un luogo che l’io deve poter colonizzare.
L’inconscio lacaniano diventa piuttosto una possibilità inedita o, per usare una
formula classica, pre-strutturalista, che può effettivamente prestarsi ad equivoci, la
possibilità, come si esprime Lacan in Funzione e campo, di "realizzazione del
soggetto". Che cosa significa "realizzazione del soggetto" se abbiamo indicato che
non si dà soggetto consistente, né Soggetto-sostanza, né Soggetto-effetto, ma solo
processi possibili di soggettivazione, solo possibili effetti-soggetto?
Dobbiamo pensare che questa realizzazione non cancelli mai l’inconscio come non-
ancora-realizzato ma che, al tempo stesso, non escluda una possibilità effettiva di
una soddisfazione.

05. Soggettivazione o desoggettivazione

139
Dobbiamo provare a distinguere soggettivazione, desoggettivazione e
assoggettamento. L’assoggettamento è la dipendenza del soggetto dalle leggi
dell’Altro. E’ una dimensione strutturale: il soggetto è assoggetto. Tutta la teoria
dell’alienazione significante di Lacan accentua questa dimensione primaria
dell’assoggettamnento. Inizialmente invece la sua prospettiva è dialettica; esistono
pratiche di soggettivazione (tra le quali Lacan situa la psicoanalisi) ed esistono
pratiche desoggettivanti. Lacan non pensa da subito la soggettivazione in una
relazione topologica con le procedure di assoggettamento, ma ricorre ancora ad
una nozione dialettica di soggetto. Dunque pensa alla realizzazione del soggetto
come ad una disalienzione, pensa soggettivazione e desoggettivazione in
un’alternativa secca. Lacan fornisce vari esempi di cosa sia un soggetto senza
soggettivazione. Si riprendano gli esempi classici dello scientismo e della follia in
Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi. La clinica della
psicoanalisi è una clinica che si occupa delle possibilità della soggettivazione o dei
suoi fallimenti, ovvero di soggetti incapaci di soggettivazione. Per esempio si
occupa di mettere in forma assetti discorsivi nei quali — come avviene nel discorso
dell’Università — lo spazio dell’enunciazione singolare viene soppresso poiché il
sapere funziona come un puro dispositivo burocratico-amministrativo, sganciato da
ogni preoccupazione autentica relativa alla ricerca della verità. Vediamo anche
emergere delle diverse forme cliniche di desoggettivazione: adesione massiva ai
sembianti sociali (come nel caso delle psicosi sociali), conformismo, incollamento
debile del soggetto a significanti cristalizzati (come avviene nell’olofrase
psicosomatica), annullamento dell’enunciazione singolare della verità
nell’omogenietà anonima di un sapere riciclato (come avviene nel discorso
dell’Università), assimilazione passiva alla realtà. Nelle psicosi la
desoggettivazione diventa una forma radicale di assoggettamento (il soggetto è in
balia della pulsione dell’Altro). Nelle nevrosi la desoggettivazione riflette invece
l’eccessivo incollamento del soggetto alla domanda dell’Altro. Per il Lacan degli
anni Cinquanta la nevrosi è una clinica della non assunzione del desiderio, della
delega del proprio desiderio, del desiderio che non si soggettiva e che dunque
resta anonimo, sospeso al carattere incondizionato della domanda d’amore e non
accede al carattere di condizione assoluta del desiderio. Impotenza e utopia sono
figure della delega nevrotica del desiderio alla domanda dell’Altro.
In tutti questi capitoli della sua riflessione Lacan isola dunque precise modalità di
desoggettivazione del soggetto. Interroga come e cosa accade quando il soggetto

140
smarrisce il suo punto di enunciazione singolare, quando, in altri termini, la
dimensione irriducibilmente singolare dell’enunciazione viene annullata,
fagocitata, assorbita dall’azione universale del significante. In generale gli effetti di
desoggettivazione sono effetti che definiscono un soggetto privato del potere
singolare della parola. In un primo tempo del suo insegnamento Lacan, come
avevo accennato, non pensa la soggettivazione come inanellata topologicamente
ai processi di assoggettamento, ma come un’alternativa dialettica alla
desoggettivazione. Da questo punto di vista restano esemplari, come accennavo, i
casi della scienza e della follia. Di cosa si tratta? Certamente, di due forme radicali
di desoggettivazione. Nella prima la parola del soggetto viene semplicemente
forclusa, non ha luogo, è soppressa. Il linguaggio della scienza annulla la parola
soggettiva "nelle oggettivazioni del discorso"(FC, 274). Nella seconda la "parola ha
rinunciato a farsi riconoscere" e il soggetto si oggettiva nelle formazioni deliranti,
espressioni mutilate di una "libertà negativa" (FC, 273) e di un "linguaggio senza
dialettica" (FC, 273). Ciò che le accomuna è che in entrambi i casi il soggetto è
parlato più che parlante (FC, 276).
Il termine dell’analisi come realizzazione del soggetto significa che questa
realizzazione suppone una separazione del desiderio del soggetto dalla domanda
dell’Altro. In altri termini: c’è soggettivazione dove c’è disidentificazione.
L’identificazione è infatti una forma di alienazione e di desoggettivazione che in
realtà non si può evitare perché una quota di alienazione è essenziale per il
permanere di un senso sufficiente di identità narcisistica.
L’analisi è però una pratica della soggettivazione in quanto è una simbolizzazione
dell’immaginario che favorisce la messa a distanza delle immagini che catturano il
soggetto disidentificandolo. In altre parole, nell’analisi la soggettivazione concerne
la produzione della differenza tra soggetto dell’inconscio (Je) e io (moi). L’effetto-
soggetto che l’analisi produce è un effetto causato dall’azione simbolica
dell’interpretazione. Tocchiamo qui la prima versione della dottrina lacaniana della
soggettivazione: l’effetto soggetto si produce per separazione del soggetto
dell’inconscio dalla funzione immaginaria dell’io, per una sua fondamentale
disidentificazione simbolica.

06. Soggettivazione come storicizzazione: la prima teoria


lacaniana della soggettivazione
141
La prima teoria della soggettivazione implica lo scollamento dalle identificazioni,
dunque la loro simbolizzazione. La disidentificazione riconduce il soggetto
dall’attaccamento all’immagine narcisistica dell’io al desiderio inconscio.
Nel suo sforzo di emancipare la teoria del soggetto da ogni teoria evolutivistica,
Lacan pone il problema della soggettivazione non sul piano biologico dello sviluppo
dell’istinto, ma su quello del senso e della sua emergenza storico-simbolica. Nella
storia del soggetto non c’è istinto che si sviluppa, ma senso che cerca di
emergere, senso "imprigionato", afferma Lacan, senso alienato nelle sue
oggettivazioni discorsive e che esige la sua liberazione, la sua disalienazione
simbolica. La parola diventa così il luogo principe del cammino della
soggettivazione. E’ la "parola piena", la parola che conferisce senso alla vita. Da
questo punto di vista Lacan procede ad una assimilazione esistenzialista di
soggettivazione e storicizzazione. Questa assimilazione è il punto perno della sua
prima teorizzazione del processo di soggettivazione, sulla quale le incidenze di
Heidegger e di Sartre sono assai profonde.
La parola è ciò che attribuisce un senso storico alla vita. E’ solo il suo potere
simbolico che umanizza la vita. L’esperienza della parola analitica è l’esperienza di
una risoggettivazione progressiva, attraverso la parola, del proprio tempo storico.
Ma, possiamo chiederci, questa risoggettivazione deve essere pensata come una
sorta di metabolismo psichico? Per Lacan l’inconscio come "capitolo censurato
della mia storia" designa l’inconscio non tanto come riserva segreta del senso, ma
come ciò che deve essere restituito al senso.
L’operazione analitica avviene sempre, come indicava Freud, in controtendenza
rispetto alla censura. E’ un’operazione di nuova scrittura della propria storia.
Lacan, rispetto a Freud, accentua l’idea dell’inconscio non come luogo al quale
risalire ma come qualcosa che si deve riuscire a produrre. Non si tratta tanto di
ricostruire il testo storico (archeologia freudiana), ma di produrne uno nuovo. La
parola non ristabilisce solamente la continuità del testo storico del soggetto, ma
rende possibile dire ciò che non è mai entrato nel simbolico.
La vita si storicizza a partire dal senso che il tempo presente, costantemente
aperto sull’avvenire, assegna e riassegna al nostro passato, il quale, di
conseguenza, non è semplicemente ciò che è stato una volta per tutte, ma viene
reinventato, risignificato di continuo. Il processo della soggettivazione è infatti

142
sempre un movimento di ripresa, di risoggettivazione continua del nostro passato,
sino a quello che Lacan definisce come il "limite del reale" del nostro passato, sino
al limite della "funzione storica del soggetto", al limite di quel reale che ritorna
nella ripetizione e che la simbolizzazione non è in grado di assorbire
integralmente.
Non è qui solo il concetto di "ripresa" elaborato da Kierkegaard il riferimento di
Lacan, ma evidentemente anche l’elaborazione della temporalità che possiamo
ritrovare in Heidegger e Sartre. La soggettivazione è insomma un modo singolare
della temporalizzazione del soggetto. Anche in questo caso possiamo osservare lo
sforzo di Lacan per sganciare l’inconscio freudiano dall’ontologia e per inscriverlo
come una contingenza storica: la vita umana è sempre la ripresa, la
risoggettivazione in corso e mai del tutto totalizzata del suo senso storico. Non c’è
l’idea dell’inconscio come il già avvenuto, come il più arcaico, lo strato più remoto
del nostro passato che ci condiziona deterministicamente e che si tratta di
rammemorare nel corso dell’analisi. C’è piuttosto l’idea che il soggetto sia un
movimento continuo di risoggettivazione di ciò che è avvenuto a partire dal suo
presente e dalla sua apertura trascendente sull’avvenire. La temporalità del
soggetto non è la temporalità dello sviluppo teleologico ma è un movimento
articolato di trasformazioni, riordinamenti, risignificazioni retroattive e continue del
senso. Il soggetto non è nulla in se stesso. Esso si compie solo come pura attività
di soggettivazione di ciò che è stato. Non siamo a mio giudizio troppo distanti dai
modi coi quali Sartre ridefinisce la soggettività come attività continua di
interiorizzazione e riestoriorizzazione dell’esteriorità interiorizzata, come si
esprime, ancora in un linguaggio dialettico, ne L’idiot de la famille.
Soggettivare significa allora riordinare-riannodare attraverso la parola le
contingenze passate conferendole le necessità dell’avvenire. Il punto chiave di
questa teorizzazione è che senza il potere simbolico della parola la vita resta vita
animale. L’accesso alla vita umana avviene solamente per la via della parola e
della legge del riconoscimento simbolico che essa comporta. C’è soggettivazione
solo quando c’è effetto di senso storico. Quando, cioè, la vita è in grado di
storicizzarsi. Si può notare tutto il peso dialettico-kojèviano di queste formulazioni
lacaniane. Ma il nesso tra la vita e l’esigenza di senso è un nesso dal quale, in
fondo, la pratica della psicoanalisi come pratica della soggettivazione non può
rinunciare. La vita esige il senso, afferma Lacan nel Seminario II. La vita esige di
entrare nel mondo del senso. Spinge per entrarvi. Ma che cosa sia questa spinta

143
che precede ogni dialettica del riconoscimento e della significazione, è un vero
problema etico e clinico. Cosa sia questa esigenza della vita di entrare nel mondo
del senso, resta qualcosa di opaco per lo stesso Lacan. Ma è importante cogliere
almeno l’esistenza di questa zona d’ombra che pone un interrogativo forte: il
desiderio umano sorge hegelianamente per separazione dalla vita o la vita
necessita del desiderio per vivere?
In fondo la tesi di Lacan è che il desiderio sorge per rimozione, per
negativizzazione della vita. E’ questo il modo con il quale interpreta inizialmente la
teoria freudiana della rimozione originaria. Ma allora cosa è questa spinta della vita
ad entrare nel mondo del senso?
Per il Lacan heideggeriano degli anni Quaranta-Cinquanta l’entrata del soggetto
nel campo aperto del senso coincide con l’assunzione della propria morte. La
soggettivazione come posta in gioco della pratica analitica, è irriducibile ad un
aggiustamento terapeutico, alla restaurazione del funzionamento normativo
dell’io, all’adattamento conformista alla realtà, al rafforzamento dell’immagine
narcisistica, poichè punta a confrontare il soggetto con la propria morte, dunque
con un reale totalmente irriducibile al narcisismo dell’io. La soggettivazione storica
del soggetto è dunque sempre soggettivazione della propria morte.

07. Il gesto di Empedocle

La soggettivazione è un effetto della disidentificazione, del crepuscolo dell’io. La


soggettivazione può essere avvertita clinicamente attraverso anche fenomeni di
depersonalizzazione perturbanti. Siamo appunto al crepuscolo dell’io. Il riferimento
che Lacan fa in Funzione e campo e in Varanti della cura tipo alla morte non è solo
una semplice associazione filosofica. Nell’esperienza dell’analisi assumere la
propria morte è il contrario, il rovescio, dell’identificazione, ovvero dall’assunzione
di un’immagine. La morte, infatti, non ha immagine. E’ il limite opaco di ogni
immagine. E’ il punto di caduta irreversibile di ogni narcisismo. Il nesso di
soggettivazione e morte è certamente ripreso da Heidegger, ma Lacan lo
approfondisce attraverso una rilettura particolare della pulsione di morte che
troviamo sempre in Funzione e campo.
In che senso Lacan oppone la vita storica alla vita animale, la vita del soggetto alla
vita biologica? La vita storica è la vita filtrata, spezzettata, frammentata dal

144
significante, denaturalizzata, staccata dalla sua matrice naturale. La vita storica è
la vita animale forzatamente sublimata. Nelle psicosi, dichiara Lacan, la
sublimazione è impossibile, costretta in uno stato di "stagnazione". In questo caso
la sublimazione della vita storica è ostruita dalla forza non mortificata dal
significante della vita. In altre parole la vita storica è la vita aspirata, mediata,
marcata dalla morte. E’ la vita subordinata alla seconda morte, quella simbolica,
quella provocata dal significante al corpo vivente. Solo questa vita, la vita storica è
un essere per la morte. La sua condizione è nella separazione dalla vita animale. In
Funzione e Campo Lacan evoca il gesto di Empedocle come paradigma estremo
della vita storica. Il suo essere, l’essere di Empedocle, è un essere per la morte.
Cosa significa? Il gesto di Empedocle — gettarsi nell’Etna - è una espressione pura
dell’atto simbolico. L’uomo che sceglie la propria morte mette infatti in rilievo la
differenza della vita storica dalla dimensione dell’istinto di sopravvivenza che
anima il mondo animale. Il gesto di Empedocle sfida potentemente la
conservazione della vita. E’ l’espressione di una libertà radicale. Di quale liberta?
Della libertà rappresentata dalla negatività fondamentale della realtà umana.
Lacan assimila dialetticamente l’esistenza ad una negatività operativa. Se ci
chiediamo dov’è il soggetto per Lacan cosa possiamo rispondere? Nelle sue
identificazioni? Nei significanti che lo rappresentano per altri significanti? Oppure,
come ci indica in questo momento Lacan, il soggetto si esprime radicalmente solo
come atto di separazione, come libertà, come negazione attiva della vita animale.
E’ questa una opzione etica che non verrà mai meno: il soggetto non è incatenato
alla catena significante perché può sempre separarsi da questa catena. La
problematica della separazione trova qui una seconda elaborazione dopo quella
della simbolizzazione dell’immaginario. Coincide con l’assunzione del soggetto del
proprio essere come un essere separato dalla catena significante.
Il gesto tragico e terribile di Empedocle ha per Lacan un valore simbolico estremo
in quanto si oppone all’immediatezza naturale della vita animale, della vita
regolata dall’istinto di sopravvivenza. Esso esprime, come scrive in Funzione e
campo, il No! alla vita, il distacco dalla Cosa, la separazione dalla vita biologica. Il
gesto di Empedocle manifesta radicalmente la soggettivazione come essere per la
morte. Qui il soggetto non è il prodotto della struttura, non è un effetto del
significante. Il gesto di Empedocle è un gesto di separazione dalla catena
significante. Il soggetto non è solo determinato dalla struttura ma è anche un buco
nella struttura. In Freud stesso il No! all’Altro, all’alterità del mondo, la passione

145
originaria dell’odio, implica una separazione primaria, una espulsione
(Ausstossung) della vita che consente al soggetto di separarsi dall’eccesso di
stimoli che provengono dalla vita stessa. Nella psicologia del lattante Spitz ha
ritrovato questo gesto di negazione come movimento di rotazione (rooting) della
testa che installa la vita umana nella sua differenza da quella animale.
In Varianti della cura tipo Lacan afferma che il compito dell’analista consiste nel
rappresentare la morte. Non l’Ideale ma la morte, il silenzio della morte. Ne deriva
che assumere l’essere per la morte è in alternativa netta all’assunzione degli Ideali
dell’Altro. Per questo Lacan insisterà nel definire l’analisi come una ipnosi a
rovescio: non è l’Ideale che cattura il soggetto ma il lavoro dell’analisi che conduce
l’Ideale ad infrangersi sullo spigolo del desiderio dell’analista come desiderio che
essendo senza domanda consegna il soggetto alla differenza assoluta del suo
desiderio.
Il dire di No! di Empedocle afferma l’eterogeneità dell’umano nei confronti
dell’animale, la differenza tra il corpo pulsionale e il corpo come organismo
biologico. Sarà questo un modo con il quale Lacan rileggerà, almeno inizialmente.
la pulsione di morte di Freud. Il suicidio di Empedocle mostra il potere di
separazione del simbolico, il simbolico come struttura di separazione, come
mortificazione della vita animale.

08. La separtizione

Ritroveremo ancora il gesto di Empedocle nel corso del Seminario XI sempre a


proposito del tempo della separazione. Ma prima di ritornare con Lacan sul valore
terribile di questo gesto, dobbiamo mostrare nello sviluppo dell’insegnamento di
Lacan l’affacciarsi di una figura della separazione assolutamente originale.
Abbiamo visto come la separazione non sia un tempo evolutivo, non definisca
tanto un tempo, una fase, uno stadio determinato della relazione della madre col
bambino. Se si vuole, la vera fonte dell’angoscia non sarebbe per Lacan nella
separazione del bambino dalla madre ma nell’assenza di separazione, nel venire
meno della possibilità stessa della separazione. E’ questo tutto il valore che Lacan
assegna al No! dell’anoressia che però raramente può assumere i toni mitici del
gesto di Empedocle... Tuttavia anche l’anoressia, come il gesto di Empedocle,
manifesta un No! verso la vita del bisogno, vero l’immediatezza della vita animale-

146
istintuale, e in questo senso si colloca sul lato del simbolico, è una manifestazione
del potere del simbolico.
La nozione lacaniana di separazione che viene messa a punto tra il Seminario X
(1962-63) e il Seminario XI (1964), non si lega alla differenziazione tra soggetto e
altro, tra me e non me, tra soggetto e oggetto, non riguarda, come invece accade,
per esempio, in Winnicott, la coppia madre-bambino, ma la coppia
significante-godimento. La problematica della separazione come viene
sviluppata da Lacan all’inizio degli anni Sessanta è innanzitutto una problematica
che investe il corpo del soggetto, ovvero la possibilità di separare il corpo dal
godimento, di dissociare, staccare, separare appunto, corpo e godimento. Se per
Klein e Winnicott la separazione indica un processo di separazione del soggetto
dall’Altro materno, dunque una differenziazione in esteriorità, la separazione
lacaniana ha come sua condizione una separtizione. Invece di separare l’interno
dall’esterno la separazione lacaniana come separtizione si produce nel soggetto
come una sorta di sua partizione interna; è il soggetto che si separa da se stesso,
che è separtito, staccato da una parte di sé come accade nel quadro di santa
Agata che offre i suoi seni su di un vassoio e che Lacan evoca nel Seminario X
come esempio iconico di separtizione.
L’oggetto della separazione lacaniana è dunque l’oggetto di godimento. E’
l’oggetto piccolo a che si separa dal corpo essendo una parte del corpo libidico che
l’azione del significante stacca dal soggetto. In questo senso Lacan precisa nel
Seminario X che il corpo pulsionale implica un’"oggettalità" (objectalité). Di cosa si
tratta? Cosa è questa oggettalità? L’oggettualità del corpo vivente non ha nulla a
che fare con la riduzione del corpo alla sua fatticità oggettiva. L’oggettalità viene
distinta da Lacan dall’oggettività (objectivité) del discorso scientifico proprio
perchè se quest’ultima è correlativa alla ragione pura del pensiero scientifico,
l’oggettalità è invece correlativa di un "pathos di taglio". E’ il risultato
dell’operazione di taglio del significante. Il suo prodotto è l’oggetto perduto;
oggetto piccolo (a) che si stacca dal corpo e che esercita una funzione di causa per
il desiderio. Come si vede, il desiderio implica dunque doppiamente il corpo. E’
causato da un oggetto staccato dal corpo (perduto) ed è sempre "in ultima istanza,
desiderio del corpo, desiderio del corpo dell’Altro.." (Sem. X, 233). L’oggetto
piccolo a è sì un "resto irriducibile alla simbolizzazione nel luogo dell’Altro", ma
"ciò non toglie che dipenda dall’Altro, giacchè, altrimenti, come si costituirebbe?"
(Sem. X, p.362), si chiede giustamente Lacan.

147
09. La terza teoria lacaniana della soggettivazione

Questo carattere paradossalmente oggettuale del soggetto inquadra la terza teoria


lacaniana della soggettivazione. La soggettivazione non si dispiega più né come
simbolizzazione dell’immaginario delle identificazioni, né come risoggettivazione
storica del proprio passato. L’essere oggettale del soggetto — freudianamente il
suo essere pulsionale — ci mette di fronte non tanto alla separazione tra io e
soggetto ma all’espressione oggettale del soggetto. Per questo Lacan ha sostituito
il termine di soggettivazione con quello di destituzione soggettiva. Proprio per
indicare che ciò che resta del soggetto è il suo essere oggettale. Di qui
l’importanza che assume l’angoscia come la sola traduzione soggettiva possibile di
questa oggettalità (Sem.X).
Ma davvero, potremmo chiedere a Lacan, la figura della destituzione soggettiva è
una figura che si oppone a quella della soggettivazione? La caduta delle
identificazioni, la riduzione del soggetto alla sua oggettalità, produce
effettivamente uno scorticamento delle identificazioni ideali-narcisistiche del
soggetto. In gioco è qui un crepuscolo, un tramonto, una depersonalizzazione
dell’io, come si esprimeva il primo Lacan… Ma non dovremmo forse affermare che
ogni soggettivazione implica necessariamente una quota di destituzione? Il
soggetto destituito non implica forse una nuova soggettivazione? Se il luogo
dell’Altro, dell’insieme dei significanti, non è in grado di assicurare il soggetto sul
potere di neutralizzare simbolicamente il reale, perchè questo sistema è in sé
inconsistente, non è in grado di significantizzare intergalmente il reale del
godimento, allora la soggettivazione è innanzitutto la soggettivazione di questa
mancanza dell’Altro, di questo limite dell’Altro.
Di nuovo troviamo l’angoscia in un punto chiave della meditazione di Lacan. Di
fronte alla propria oggettalità che convoca l’inesistenza dell’Altro, al soggetto non
resta che l’invenzione contingente dell’atto. La figura dell’"angosciato dalla
pagina bianca" emerge qui come un paradigma della soggettivazione-
destituzione. Per potersi esporre al rischio dell’enunciazione soggettiva bisogna,
afferma Lacan, riconoscersi nello stronzo del proprio fantasma. Qui il
riferimento allo stronzo è da prendersi psicoanaliticamente. Si tratta dell’oggetto
anale. Il soggetto soggettiva la sua parte oggettale quando è confrontato con la

148
domanda dell’Altro. La tua merda è un dono delizioso, perciò l’aspetto. La
domanda è dell’Altro. Ma se il soggetto indugia nella ritenzione, se trattiene la sua
cacca nell’illusione che sia così bella e irrinunciabile, non si dà alcuna possibilità di
atto… Non scrivere nulla è allora un modo per preservarsi perfetti, per fare della
merda un Ideale. L’inibizione angosciata di fronte alla pagina bianca riflette allora
questo dubbio del soggetto introdotto dalla domanda dell’Altro. La pagina che
resta bianca mostra l’asservimento del soggetto all’Ideale dell’Altro. Solo la
soggettivazione del proprio essere un oggetto scarto rompe l’angoscia paralizzante
della pagina bianca e rende possibile una separazione.

10. E il Nome del Padre?

La separtizione di Lacan riprende il nesso freudiano tra castrazione e separazione.


La separtizione è una forma della castrazione prodotta dal linguaggio e non dal
padre. Sappiamo come gli effetti della castrazione lacaniana sul corpo siano
duplici: desertificazione e libidicizzazione. La pulsione è sempre di morte, ma
solo perché porta su di sé l’azione mortificante del simbolico. Questa
desertificazione che genera una libidicizzazione, questa perdita di godimento che
anima e causa il desiderio definisce la separtizione strutturale del soggetto.
Per un verso Lacan mantiene dunque il nesso freudiano tra castrazione e
separazione. Ma rifondando il concetto di castrazione rifonda anche quello di
separazione. A cosa riduce Lacan la castrazione freudiana? Nel Seminario XVII la
castrazione è disgiunta dalla testimonianza paterna. Forse troppo velocemente.
Essa è operativa o non è operativa a livello del linguaggio. Cos’è castrazione? "La
castrazione — spiega Lacan - è l’operazione reale introdotta dall’incidenza del
significante qualunque esso sia, in rapporto con il sesso". E il Nome del Padre? E la
metafora paterna?
Il No! di Empedocle trova nel No! del Nome del Padre il suo fondamento. Ogni
possibile separazione soggettiva dipende in effetti dall’azione simbolica del Nome
del padre. L’operatore primo della separazione per il Lacan più classico è il Nome
del Padre. Il concetto di separtizione sembra invece sganciare la separazione dalla
funzione della metafora paterna naturalizzando la separazione, facendola
diventare un fenomeno del corpo, per esempio quello dell’educazione sfinteriale.
Rispetto all’incollamento, al ristagno incestuoso del godimento nel corpo, il Nome

149
del Padre agisce come un principio antisadiano: No! tu non puoi godere della Cosa!
Infatti, scrive Lacan, Freud ci rivela che è solo grazie al Nome del Padre che l’uomo
non resta legato al servizio sessuale della madre. In questo senso la metafora
paterna è il principio della separazione come soggettivazione; essa implica sempre
una trasmissione simbolica riuscita. In questo senso la castrazione non è una
minaccia ma una possibilità. Quella che manca al piccolo Hans. La psicosi è
l’effetto della forclusione dell’azione separatrice del Nome del padre che separa il
soggetto dal godimento incestuoso.
Come viene sviluppata la teoria della separazione come secondo tempo della
costituzione del soggetto? Nel Seminario XI la coppia centrale dell’insegnamento di
Lacan, ovvero quella di significante e godimento si declina in quella tra alienazione
e separazione. Nell’uso del concetto di alienazione la svolta rispetto all’umanismo
critico del Marx dei Manoscritti consiste nel porre la soggettivazione non come una
semplice alternativa all’alienazione. Solo in un primo tempo del suo insegnamento
Lacan riprende il motivo dialettico della disalienazione del soggetto come
obbiettivo della partita analitica. Lo abbiamo visto. E’ il centro della prima dottrina
lacaniana della soggettivazione come disidentificazione simbolica del soggetto. Il
passo ulteriore di Lacan — ulteriore anche alla seconda teoria della
soggettivazione, ovvero quella della storicizzazione retroattiva del proprio passato
- consiste nell’implicare il termine di soggettivazione con quello di causazione. La
soggettivazione non può prescindere dalla causazione. La soggettivazione è in
rapporto alla nozione di causa. Lacan non abbandona alle scienze della natura
questa nozione, ma vi riconosce una intenzione fondamentale del pensiero
freudiano. Pensare la causalità psichica resta per Lacan il territorio della
psicoanalisi. Tuttavia, la causa analitica non è una Legge come stabilisce nel
Seminario XI. Se la Legge stabilisce una relazione necessaria tra la causa e il suo
effetto, in quanto causa ed effetto sono in una relazione fisica di continuità, la
causalità analitica, afferma Lacan, è sempre zoppicante, discontinua, implica uno
iato, una fessura. Perchè la causa è zoppicante? Perchè intende evitare qualunque
forma di determinismo. La causa non è, diversamente dalla Legge, in una relazione
di continuità con i suoi effetti. Il soggetto è per un verso effetto del significante ma
per un altro verso è il punto di discontinuità che intervalla e separa la causa dal
suo effetto. E’ l’uno e l’altro. E’ sul lato del significato, è l’effetto-significato del
significante in quanto la catena significante produce l’effetto soggetto. Ma per un
altro verso il soggetto, che è rappresentato sempre da un significante per un altro

150
significante, che è vincolato ad un significante-padrone, è anche ciò che è
impossibile da rappresentare, è l’irrappresentabile di ogni significante. La
moltiplicazione infinita degli enunciati non esaurirà mai il piano dell’enunciazione.
Definisco questo lato della concezione lacaniana del soggetto — l’esclusione del
singolare del soggetto dalla rappresentazione significante - come
neoesistenzialista. Nessun significante esaurisce l’essere del soggetto. Se il
significante padrone ipostatizza il soggetto, lo identifica, lo rappresenta
alienandolo e alienandolo da sé lo rappresenta, lo fissa, proprio per questo però lo
manca costantemente, non riuscendo mai a rappresentarlo esaustivamente.
Lacan pone come identificazione costituente il tratto unario che ipostatizza il
soggetto vincolandolo ad un significante padrone, cioè ad un significante che
innesca la ripetizione. Ma questa ipostasi è il contrario dell’alienazione significante.
E’ per Lacan un tempo mitico dove il soggetto consiste proprio laddove si
subordina integralmente al significante padrone. L’identificazione a S1 abolisce il
soggetto perchè lo riduce, solidificandolo, ad un essere che consiste. Questa
coagulazione del soggetto precede l’effetto-soggetto dell’alienazione, cioè la sua
perdita d’essere in cambio del senso. La soggettivazione non è forse l’assunzione
di questa soggezione fondamentale? La differenza si produce solo nella forma
dell’assoggettamento. Il soggetto è sempre eccentrico al potere rappresentativo e
assoggettante del significante.
Dunque, la soggettivazione suppone e non esclude l’alienazione. Ma l’alienazione
lacaniana non riprende affatto, come accennavo, il modello hegeliano-marxista
dell’alienazione. L’alienazione di Lacan indica non tanto lo smarrimento,
l’estraneazione del soggetto dalla sua propria essenza, ma una condizione
strutturale perchè il soggetto non è nulla al di fuori dell’alienazione. Non c’è
soggetto che non sia preso nell’alienazione fondamentale della sua immagine. Non
c’è soggetto che non sia fabbricato dall’azione del significante. La priorità non è
dell’essenza ma dell’Altro. L’Altro viene prima del soggetto e lo subordina. E
questa priorità esercita un’azione causale. L’azione della struttura separa il
soggetto da se stesso, nel senso che un soggetto — a causa del linguaggio - non è
mai ciò che è ma è sempre rappresentato da un significante per un altro
significante. Il suo essere è sospeso alla sua rappresentazione. Qui possiamo
isolare la funzione del linguaggio che per Lacan non è dimora dell’essere ma
taglio, ferita, rottura, separazione del soggetto dal proprio essere, da un essere
che in realtà non è mai proprio.

151
11. Assoggettamento e separazione

Non dobbiamo confondere l’alienazione significante con la desoggettivazione. Essa


non indica la perdita del potere di resistenza dell’enunciazione singolare,
l’eccedenza del soggetto rispetto alle forme significanti nelle quali si oggettiva. Il
soggetto, dal punto di vista dell’alienazione lacaniana, è in una posizione di
sudditanza rispetto all’Altro. Il soggetto, afferma Lacan, è sempre assoggetto. E’
sempre oggetto del desiderio dell’Altro. Questo significa che la soggettivazione
non esclude affatto l’assoggettamento, ma lo implica. Il problema della
soggettivazione lacaniana è che il suo presupposto è quello di una soggezione del
soggetto, per cui ciò che si soggettiva è sempre una soggezione, la libertà è
sempre in rapporto al destino. Questa soggezione fonda un nuovo concetto di
inconscio, contrapposto all’idea romantica dell’inconscio come interiorità. La
soggezione alienante del soggetto al campo dell’Altro mostra quanto l’interno sia
un prodotto dell’esterno. O se si preferisce quanto l’interno si produca come
un’esteriorità interiorizzata. L’inconscio come esteriorità è, direbbe Deleuze, una
piega che costituisce il soggetto in quale, proprio per questa ragione, non è affatto
proprietario del suo inconscio.
Porre però il significante come un fattore causale significa ridurre il potere
umanizzante della parola. Il significante causa senza senso, mentre il soggetto
della parola punta a ristabilire la continuità del suo testo storico. Il soggetto del
significante è invece intaccato da una discontinuità fondamentale. Questa
discontinuità del soggetto trova in effetti la sua matrice nella discontinuità tra
significato e significante. Il significante entra in scena come una sorta di reale che
ostacola e frattura il sistema del senso. L’effetto di significato viene così
emancipato dall’azione dell’intenzionalità perchè viene prodotto non più dalla
parola ma dall’azione causale e asemantica del significante. Mentre l’intenzione di
significazione appartiene al soggetto (è il soggetto dell’autobiografia), l’azione del
significante intacca il soggetto. Si configura come un fattore letale. Il significante
anticipa il significato così come anticipa il soggetto istituendo un campo che
prescinde dall’intenzionalità. Un campo già costituito e, come tale, costituente il
soggetto. Il soggetto del significante è in una relazione di sudditanza rispetto
all’azione dell’Altro. Non è in primo piano il voler dire, la volontà di significazione,
ma l’essere fatti, fabbricati, costituiti dai significanti dell’Altro. In questo senso

152
quando il soggetto parla non sa mai cosa veramente dice. Qualcosa sfugge sempre
al governo del voler dire.
Qui possiamo ritrovare anche se ribaltato il paradigma lacaniano dell’alienazione. Il
soggetto della psicosi e quello della scienza illustrano paradossalmente una verità
della struttura: il soggetto del significante è il soggetto non in quanto parla ma in
quanto è parlato. Questo è dunque il tempo logico dell’alienazione. Ma la
causazione del soggetto è un doppio movimento. Il tempo dell’alienazione è da
prendere insieme al tempo della separazione.
La soggettivazione è un modo della intenzionalità? Oppure: io posso soggettivare
solo a condizione che vi sia un assoggettamento preliminare? Il soggetto deve
assumere la sua condizione di assoggetto? Allora la soggettivazione cosa sarebbe?
Sarebbe il ristabilmento del senso storico del testo dell’esistenza? O non piuttosto
la soggettivazione di questo essere assogggettato? L’analisi soggettiva ciò che il
significante assoggetta, afferma in un passo cruciale de la Direzione della cura
Lacan e in questo senso la soggettivazione è una modalità particolare della
separazione.
In un passaggio de La Questione preliminare Lacan anticipa il doppio movimento
dell’alienazione e della separazione affermando che il soggetto entra sempre da
morto nel campo dell’Altro, alienato nei significanti dell’Altro, ma è solo come
vivente che giocherà la partita del suo desiderio. Ma cosa significa entrare come
morto nel campo dell’Altro? Significa che la vita è sospesa a ciò che avviene
nell’Altro. O, se si preferisce, che la vita deve passare dalla strettoia della morsa
significante. Deve subire un processo di mortificazione simbolica. Il significante
come causa si manifesta allora come alienazione mortificante della vita. Ma non
tutta la vita è mortificata. Non tutta la vita è morta. La mortificazione significante
non annulla l’erotizzazione della vita. Anzi, per Freud e per Lacan, ne rappresenta
la condizione. Da una parte, dunque, abbiamo la "sincronia significante" e
dall’altra la "pulsazione temporale".

12. Alienazione e separazione

Nel Seminario XI la causazione del soggetto si sdoppia nel binomio alienazione-


separazione. Perchè vi sia soggettivazione si deve produrre il doppio movimento
della alienazione-separazione. La causazione del soggetto risponde ad un tempo

153
logicamente doppio. Dobbiamo situare questo doppio movimento su di una asse
sincronica e non diacronica. Anche questo è un motivo di critica agli sviluppi post-
freudiani della psicoanalisi: l’accusa di Lacan è quella di aver accentuato troppo lo
sviluppo rispetto alla sincronia della struttura.
Per Lacan il processo di soggettivazione implica, insieme, l’alienazione — la
mortificazione simbolica -, la perdita d’essere della vita, la perdita di vita animale,
e la separazione, ovvero l’erotizzazione di questa perdita che avviene per la via del
desiderio. Il vivente gioca la sua partita, la partita del desiderio in quel campo
dell’Altro che lo ha privato della vita. Il desiderio resiste, anzi si nutre, della
mortificazione provocata dal taglio del significante. In questo senso l’oggetto
piccolo a è quella parte perduta del soggetto, o, se si preferisce, il soggetto come
resto, soggetto ritagliato come oggetto perduto, oggetto piccolo (a) che causa il
desiderio e manifesta la separazione del soggetto dall’Altro.
La soggettivazione implica dunque il desiderio, il quale è tendenza alla
separazione, alla differenziazione dall’Altro. Più che sull’immagine del desiderio
come espressione di una coscienza infelice, Lacan insiste sul desiderio come
movimento di separazione privo di una finalità di totalizzazione. Un movimento di
separazione che non aspira all’unità, alla ricomposizione della scissione. Piuttosto il
desiderio è una forza di resistenza all’identificazione all’Uno, è una manifestazione
del non tutto. In esso si esprime il soggetto come differenza assoluta. Il soggetto
come desiderio si manifesta in quanto differenza, discontinuità, evento della
soggettivazione antagonista ad un’identità chiusa su se stessa. Il soggetto del
desiderio, infatti, non è mai ciò che è. La cristallizzazione del soggetto in quanto
essere può prendere le forme dell’alienazione identificatoria. Il soggetto che rifiuta
la sua divisione, il soggetto che si pone come un essere, come un’identità chiusa è
per Lacan il soggetto autenticamente folle. E’ il soggetto che si unifica al suo
Ideale. In sostanza, ciò che un soggetto è, è ciò che vorrebbe essere nel suo ideale
compiuto di sè. Questo essere è un essere identitario che cattura e aspira, come si
esprimeva il primo Lacan, il soggetto. Per Lacan un soggetto non consiste affatto
delle sue pieghe immaginarie. Lo spessore dell’identità narcisistica è uno spessore
che vacilla. Cosa resta del soggetto sotto la scorza delle sue identificazioni ideali?
Ciò che resta è il soggetto come oggetto piccolo (a). E’ un soggetto-oggetto.
La soggettivazione non può prescindere dai marchi dell’assoggettamento. Ma
l’alienazione di Lacan non è un incollamento identificatorio al significante.
Alienazione senza separazione e separazione senza alienazione sono due figure

154
che possiamo reperire nella clinica della psicoanalisi. Ancora una volta la psicosi si
offre come un paradigma. La separazione senza alienazione indica la dimensione
folle della libertà, indica la follia come rifiuto dell’alienazione significante, come
manifestazione di una libertà disperata. L’alienazione senza separazione indica
invece l’assimilazione del soggetto al significante preso come riferimento ideale, al
significante non come ciò che rappresenta il soggetto per un altro signifcante ma
come insegna identificatoria rigida del soggetto.

13. Realizzarsi nella perdita

Nel Seminario XI la funzione dell’oggetto a è quella che consente la separazione


del soggetto, cioè il suo non essere più legato senza margini di gioco ai significanti
della sua alienazione. Per Lacan nella separazione "il soggetto si realizza nella
perdita". E’ ciò che avviene tragicamente con Empedocle. La perdita è un prodotto
dell’alienazione. Realizzare la propria perdita indica invece il movimento della
separazione. La soggettivazione è la ripresa della perdita prodotta dall’alienazione.
In questo senso Lacan afferma che la separazione è un’alienazione di ritorno. Cosa
significa realizzare la propria perdita? Si tratta, afferma Lacan, di sovrapporre la
propria mancanza a quella dell’Altro. Se non c’è incontro con la mancanza
dell’Altro, ma solo con il suo sapere, con il suo funzionamento macchinino, con la
neutralità del suo codice, non c’è effetto di separazione possibile. Perché vi sia
separazione ci deve essere incontro con la mancanza dell’Altro. Questo significa
che l’oggetto a che si separa dal soggetto si deve iscrivere nel luogo dell’Altro. La
separazione istituisce il soggetto come desiderio. Realizzare la propria perdita
significa esistere come soggetto del desiderio. Empedocle mostra invece cosa può
accadere quando l’oggetto resta incollato al soggetto. Il suo suicido è un suicidio di
separazione senza separtizione.

Sulla perversione

01. Angoscia e ripetizione

155
Oggi entriamo nel vivo di una lezione del Seminario X la lezione n 8 del 16 gennaio
1963 intitolata "La causa del desiderio" e come vedremo parte della lezione di oggi
cercherà di tessere un primo annodamento tra angoscia e ripetizione mentre la
volta scorsa ho perlustrato le definizioni che Lacan dà dell’angoscia. L’idea è quella
di mostrare, anche clinicamente, come angoscia e ripetizione sono in rapporto tra
loro. In questa lezione troviamo una delle definizioni che ho commentato la volta
scorsa in apertura quando Lacan dice che l’angoscia è la sola traduzione
soggettiva dell’oggetto piccolo (a). Quando c’è angoscia, angoscia nevrotica non
psicotica, quando un paziente dichiara nell’analisi di sentirsi angosciato lì in quel
momento abbiamo una traduzione soggettiva dell’oggetto piccolo (a). Cioè lì, in
quel momento, l’oggetto piccolo (a), che è invisibile, che è inconscio, appare,
emerge. Viene tradotto soggettivamente dice Lacan.
Ed è per questo che l’analista, diversamente dallo psicoterapeuta, non si precipita
a de-angosciare il soggetto, a rassicurare il soggetto, ma fa in modo che l’angoscia
possa manifestarsi. In questa lezione Lacan si interroga su che genere di oggetto è
questo oggetto piccolo (a). La definizione è cruciale: L’oggetto piccolo (a) è
l’oggetto causa del desiderio. Dire che l’oggetto piccolo a è causa del desiderio
significa ribaltare la concezione che qui Lacan definisce soggettivista del desiderio
propria della filosofia. Se l’oggetto è causa del desiderio significa ribaltare l’idea
che l’oggetto sia la meta del desiderio. Questa rappresentazione filosofica del
desiderio suppone che il desiderio abbia un’intenzione e che si diriga verso degli
oggetti vari che gli stanno davanti. In termini filosofici Lacan, riferendosi a Husserl,
definisce questa dimensione come la dimensione noetica del desiderio cioè il
desiderio intenzionale. Il desiderio sarebbe sempre desiderio di qualcosa e questo
qualcosa sarebbe davanti al desiderio. Il desiderio sarebbe come la mano che va a
stringere la mela, come recita un’altra immagine, offerta da Lacan
Lacan dice che in realtà l’oggetto piccolo (a) non è la meta del desiderio che come
tale è sempre ingannevole, illusoria. E questo è il modo in cui egli recupera la
lezione del buddismo. Secondo Lacan il merito della filosofia buddista consiste nel
mostrare che gli oggetti del desiderio sono illusori, vacui, sono destinati
all’evanescenza. Questa è la grande saggezza del buddismo. L’oggetto è la meta
del desiderio ed è sempre accompagnato ad un’illusione, è sempre evanescente.
E’ la dimensione immaginaria del desiderio. Il desiderio nella sua dimensione
immaginaria, intenzionale, noetica, è sempre desiderio di qualcosa. Quando Lacan
nella lezione che stiamo commentando dice che l’oggetto piccolo (a) è causa del

156
desiderio si sta interrogando non sulla meta del desiderio, su ciò verso cui si dirige
il desiderio, ma su ciò che causa il desiderio. L’oggetto piccolo a è in questo senso
situato alle spalle del desiderio come ciò che causa il movimento del desiderio
stesso.
Mentre l’oggetto del desiderio è visibile cioè assume delle sembianze immaginarie
(ci sono immagini più o meno seduttive dell’oggetto del desiderio), l’oggetto
piccolo (a) è senza immagine; non c’è un’immagine dell’oggetto piccolo (a) il suo
statuto non è immaginario ma è reale perché è senza immagine, è invisibile. Le
immagini dell’oggetto del desiderio sono tutte raffigurazioni inadeguate del
carattere invisibile dell’oggetto piccolo (a). A pag. 110 del Seminario trovate
questa espressione: "dobbiamo collocare l’oggetto piccolo (a) dietro al desiderio".
Nella concezione intenzionale del desiderio l’oggetto del desiderio sarebbe sempre
un oggetto del mondo, un oggetto compreso nella realtà stessa. Lo statuto
dell’oggetto piccolo (a) non può essere inteso come lo statuto di una semplice
esteriorità. L’oggetto piccolo (a) non è nel mondo, non è all’esterno,non è, come
direbbe Winnicott, nell’area del non-me. Non è un oggetto oggettivo, non è
semplicemente fuori di me.
La prima caratteristica dell’oggetto piccolo (a) è che è "dietro" e non davanti.
L’oggetto piccolo (a) è causa invisibile e non intenzionale del desiderio. È causa e
non meta. La seconda caratteristica è che non è un oggetto tra gli altri nel mondo,
non è esterno perché appartiene parzialmente al soggetto. È un oggetto non
oggettivo ma soggettivo. È un oggetto non semplicemte esterno ma
interno/esterno. È un oggetto estimo nel senso che è dentro di me e al tempo
stesso esterno a me. L’oggetto piccolo (a) appartiene al soggetto, potremmo dire,
che è una parte del soggetto, è un frammento del soggetto che però il soggetto
ritrova come altro da sé. L’oggetto piccolo (a) ha le sue matrici nelle zone erogene
del corpo che per Freud erano tre: orale, anale e fallica. Ad esse Lacan aggiunge
quella vocale e quella scopica. Quindi abbiamo cinque zone erogene, cinque buchi
erogeni del corpo, che sono le matrici libidiche dell’oggetto piccolo (a) che
sarebbero dunque l’espressione del carattere frammentato del corpo pulsionale.
Ma questi oggetti del corpo (il seno, le feci, la voce…) sono oggetti del corpo del
soggetto solo in quanto perduti quindi interni/esterni, estimi. Il seno è nel corpo del
soggetto in quanto traccia lasciata dal mio rapporto originario con il seno, ma in
quanto perduto è totalmente esterno. È interno/esterno. Sono oggetti del corpo ma
separati dal corpo. Sono oggetti che strutturano il corpo in quanto corpo pulsionale

157
ma sono oggetti staccati dal corpo, separtiti, separati dal corpo.
Nella misura in cui sono oggetti staccati dal corpo sono oggetti perduti e sono
oggetti che causano il desiderio. È solo nella misura in cui sono oggetti perduti che
diventano oggetti causa del desiderio. Il fantasma non è altro che uno schema
inconscio singolare, soggettivo, non universale presente in ciascuno di noi;
presente in modo unico, non collettivo, non junghiano, non archetipico,—ciascuno
ha il suo fantasma- che permette a ciascuno di noi di ritrovare l’oggetto perduto,
l’oggetto che causa il desiderio.
Nel transfert l’analista si offre come supporto dell’oggetto piccolo (a) di ciascuno
per rendere possibile la costruzione del fantasma del soggetto sotto transfert. La
formula del fantasma ( S/ à a) significa che il soggetto è in rapporto circolare con
l’oggetto che causa il suo desiderio. La losanga implica una relazione circolare non
intenzionale. L’oggetto piccolo (a) è un oggetto soggettivo, non è l’oggetto della
scienza, non risponde a un criterio di oggettività, è invisibile , è inconscio e per
questo Lacan lo definisce in un’altra lezione una "oggettalità" . Il campo della
psicoanalisi è il campo dell’ oggettalità e non dell’oggettività. È un neologismo per
dire che noi non ci occupiamo di misure oggettive della realtà ma della posizione
dell’oggetto piccolo (a) nel soggetto.
Il desiderio umano, questa è la novità che si introduce nell’insegnamento di Lacan,
non dipende più solo dall’oggetto immaginario che è un’illusione evanescente, né
dipende dal desiderio dell’Altro, dalla dialettica simbolica del riconoscimento,
dall’intersoggettività, ma dipende da un oggetto : dall’oggetto piccolo (a), cioè da
un oggetto che lo causa e la cui matrice è da trovare nelle zone erogene del corpo
(teoria freudiana della libido).

02. Desiderio e perversione

A partire dal Seminario X, e poi nel Seminario XI ancora con più forza,
l’insegnamento di Lacan passa dal protagonismo del soggetto del desiderio che
come tale è in rapporto al desiderio dell’Altro, dalla dialettica desiderio/desiderio
dell’Altro al rapporto fondamentale del soggetto con l’oggetto che lo causa. Nella
prima versione dell’insegnamento di Lacan la verità del desiderio la custodisce
l’isteria; è l’isterica che mostra la verità del desiderio perché mostra come il
desiderio dipenda dal riconoscimento dell’Altro. L’isterica, di cui l’anoressia è per
158
Lacan una radicalizzazione, si nutre del segno d’amore, non dell’oggetto. L’oggetto
è inconsistente; ciò che conta è il segno d’amore cioè il desiderio dell’Altro. Nel
primo tempo la clinica che Lacan costruisce si fonda sul desiderio come il desiderio
dell’Altro e la figura che meglio illustra questo è l’anoressia. Con questo Seminario
Lacan costruisce una nuova clinica, che non cancella la prima, dove gli interessa
mostrarci che è l’oggetto che determina il desiderio. I due riferimenti clinici che
mostrano come il desiderio dipenda dall’oggetto sono la melanconia e il feticismo.
La clinica della melanconia è una clinica dell’oggetto. Il soggetto è soverchiato
dall’oggetto perduto in quanto presente. Quindi nella melanconia siamo di fronte al
trionfo dell’oggetto. La riflessione di Lacan sulla figura clinica della perversione e
sul feticismo va inquadrata in questa direzione: nel passaggio dal soggetto diviso
ad (a) piccolo.
La perversione in generale è tra le figure cliniche che mette più in rilievo la
dimensione della ripetizione. C’è un nesso strutturale tra perversione e ripetizione.
Un soggetto pedofilo non si limita mai ad un solo episodio di pedofilia ma la
pedofilia implica, in quanto perversione, sempre una serie. La figura della
perversione che ha risuonato come una sorta di modello per la psicoanalisi dopo
Freud è la figura del Don Giovanni. Egli non si limita ad una donna ma colleziona
una serie infinita delle donne. C’è un nesso tra perversione, ripetizione e angoscia.
Per comprendere meglio questo nesso dobbiamo risalire all’origine freudiana del
problema con il quale Lacan si confronta. In che modo Freud pensa la perversione?
Freud è interessato alla perversione nella nevrosi. Freud è interessato al tratto
perverso della nevrosi. È interessato a verificare i punti di fissazione pregenitale
della libido nel campo della nevrosi. E’ interessato alla perversione in relazione alla
nevrosi. Secondo Freud il perverso realizza solo ciò che il nevrotico può solo
fantasticare.
Lacan fa un passo ulteriore rispetto a Freud cerca solo di determinare la
perversione come struttura. Vuole determinare qual è la caratteristica del
desiderio perverso, nello specifico del desiderio sadico. È un termine paradossale
perché non sappiamo se c’è un desiderio nella perversione, ma Lacan è
interessato ad individuare quale sia la struttura basica del desiderio perverso, non
del tratto perverso nella nevrosi, ma del desiderio perverso in quanto tale. Freud
crede che la perversione sia un tratto della nevrosi. Nell’opera Tre saggi sulla
teoria sessuale ci introduce alla perversione dalla porta della normalità. Pensa che
la perversione sia un tratto costitutivo dell’essere parlante, della soggettività del

159
bambino, che è, appunto, una soggettività perversa polimorfa. Con tutte le
implicazioni etiche che questo comportò nel 1905. Che cosa vuol dire definire il
bambino un soggetto perverso polimorfo? Da un punto di vista clinico significa
considerare che la dimensione della sessualità genitale, la sessualità piegata alle
esigenze della riproduzione,la sessualità piegata all’istinto biologico della
riproduzione, non esaurisce il campo della sessualità umana. La pulsione sessuale
non è un istinto naturale. La pulsione non è un istinto naturale, non si appoggia
sulla biologia, non si appoggia sulla memoria genetica propria di una specie. Ci
sarebbe, secondo Freud, un carattere strutturalmente perverso della pulsione. La
pulsione è il pervertimento strutturale dell’istinto. La pulsione nell’uomo (non c’è
pulsione animale) gode innanzitutto di se stessa, gode della sua stessa attività.
Mentre l’ipotesi naturalistica ritiene che l’istinto naturale ponga il soddisfacimento
nella realizzazione della pulsione sessuale in quanto accoppiamento tra i corpi,
Freud ritiene che la pulsione si soddisfi primariamente attraverso se stessa.
L’autoerotismo è il tratto dominante della pulsione. Se dovessimo immaginare con
Freud la pulsione dovremmo immaginare una bocca che bacia se stessa. Il
godimento pulsionale concerne l’attività stessa della pulsione non il rapporto con
l’oggetto che è del tutto subordinato all’attività pulsionale. In questo senso la
pulsione è sempre parziale. Non esiste una pulsione genitale che mira all’oggetto,
perchè la pulsione mira al suo proprio soddisfacimento e ogni oggetto non è altro
che il tramite che rende possibile il soddisfacimento. L’oggetto è sempre
strumentale al soddisfacimento della pulsione. Seconda osservazione di Freud: non
esiste per l’essere umano una programmazione dell’istinto. Non esiste per l’essere
umano un incontro naturale con il corpo sessuale dell’Altro. L’incontro tra i corpi
sessuali non è mai naturale ma è sempre un incontro problematico, aleatorio,
contingente, perturbato. Il problema è che non c’è una legge istintuale che
definisca il modo del rapporto sessuale tra gli esseri umani. E che dunque
l’accoppiamento finalizzato alla riproduzione non è mai determinante. Tutta la
sequenza della clinica dei disturbi sessuali (eiaculazione precoce, impotenza,
frigidità, feticismo) mostra che la pulsione sessuale nell’uomo è indipendente dalla
sessualità finalizzata alla riproduzione. La legge dell’istinto non domina il corpo
umano; il corpo umano rifiuta la legge dell’istinto e gode sempre per vie traverse.
E questo godimento "traverso" indica la natura strutturale della perversione. La
perversione è un pervertimento dell’istinto naturale. Che cosa genera per Freud
questa dimensione traversa del soddisfacimento sessuale ? Non basta avere

160
l’anatomia di un uomo per desiderare una donna e viceversa non è sufficiente
avere l’anatomia di una donna per desiderare un uomo. L’idea di base è che
l’anatomia non sia sufficiente per determinare il genere non essendoci un istinto
sessuale preformato. Come si costruisce allora questo godimento trasversale,
questo che Lacan definisce "montaggio della pulsione"? L’istinto non è un
montaggio, l’istinto è fissato geneticamente secondo uno schema univoco. La
pulsione in quanto montaggio non è istintuale. Montaggio significa che la pulsione
umana è una costruzione. È un assemblaggio di elementi che secondo Lacan
ricorda i collage surrealisti. L’istinto è sul lato del realismo, la pulsione è sul lato
del surrealismo. Per Freud la teoria della libido si costruisce sulla teoria della
fissazione che è la teoria a fondamento della concezione lacaniana dell’oggetto
piccolo (a). Qual è il cuore della teoria freudiana della libido? La teoria della libido è
una teoria dello sviluppo che però non sostiene nessuna teleologia. Freud
immagina la libido ( vedi Lezioni di introduzione alla psicoanalisi) come una
moltitudine, destinata a raggiungere una meta lontana. E’ la meta della sessualità
genitale, eterosessuale, normale, finalizzata alla riproduzione, regolata
interamente, dalle leggi simboliche. Freud dice che questa moltitudine che va
verso la meta della sessualità genitale incontra tre stazioni : orale, anale e fallica.
E ogni volta che la moltitudine libidica staziona in una di queste oasi che sono
legate a tre diverse zone erogene (orale, anale, fallica), riprende il suo cammino
con una forza minore, perché alcuni membri della moltitudine libidica hanno deciso
di non proseguire. Una componente della moltitudine decide di non seguire il
cammino verso la genitalità. Allora abbiamo la plasticità della libido che tende al
dispiegamento in avanti contro la parte fissata della libido che non vuole
proseguire e che impone di prolungare la sosta. Abbiamo una dialettica tra
fissazione e plasticità. La plasticità indica la dimensione malleabile della pulsione
che prosegue il cammino, si trasforma, conosce paesaggi nuovi, non si ferma e
abbiamo la componente fissata della pulsione che impone una sosta. Il concetto di
salute secondo Freud è dato dal fatto che la maggioranza della moltitudine deve
arrivare in fondo. È una questione di quantità. È un principio nietzscheano : è la
quantità della forza che conta. Quanta forza si è incistata, bloccata, fissata nella
dimensione pregenitale della sessualità? Questa è la sessualità pregenitale. La
forza arriva a un compimento. Ma Freud dice che la forza non è compatta, che c’è
un effetto di disgregamento della moltitudine e che ci sono delle quote di
fissazione pregenitale della pulsione che risultano decisive per orientare il

161
soddisfacimento pulsionale. Questo è il principio su cui Lacan struttura la sua
teoria dell’oggetto piccolo (a). Abraham, dopo Freud, nella sua teoria degli stadi
precoci della libido aveva già messo in luce tutto questo e cioè l’importanza
dell’oggetto parziale. Se l’oggetto totale è l’oggetto genitale, l’oggetto parziale è
l’oggetto che si produce dalla fissazione pregenitale della pulsione. La moltitudine
non arriva mai compatta alla meta. La sessualità è perversa polimorfa perché non
può governare dall’alto la strutturazione polimorfa del corpo sessuale. La funzione
genitale non è una funzione disciplinare. La moltitudine che si è distribuita
distoglie il soggetto dalla sua meta genitale.

03. Pregenitalità

Lacan, tornando a Freud, mette in discussione il preedipico (secondo Lacan l’Edipo


c’è da subito in quanto il Linguaggio c’è da subito), ma non mette mai in questione
l’area della pregenitalità Tutta la teoria di Lacan è uno sviluppo della teoria
pregenitale che troviamo in Freud e in Abraham. Quando diciamo che l’oggetto
piccolo (a) è dietro al soggetto, è causa diciamo che l’oggetto piccolo (a) è il frutto
di una fissazione libidica, che è causa orientativa della pulsione e che può
prendere forme diverse. La teoria dell’oggetto piccolo (a) è il modo in cui Lacan
rilegge la teoria della libido pregenitale in Freud. Il valore enorme che Lacan
assegna al Simbolico, all’Edipo, al Nome del Padre, non cancella mai la zona
torbida della pregenitalità (non plastica, non simbolica).
Lacan nel Seminario IV mette in valore la pregenitalità e critica il pre-edipismo. La
perversione strutturale dell’essere umano non risiede tanto nella sessualità ma nel
rapporto madre-bambino. È il bambino in quanto tale ad essere oggetto di
godimento perverso della madre. È il bambino ad essere destinato ad essere
l’oggetto piccolo (a) della madre. È la follia fallica che regola il rapporto madre-
bambino. E questo giustifica tutto il peso che Lacan dà alla teoria del Nome del
Padre come quella dimensione che può differenziare, separare il bambino dalla
follia fallica della madre e della sua propria.
Entriamo nel dettaglio del secondo grande contributo freudiano. Il primo era : la
natura perversa della pulsione in quanto la pulsione umana è sempre snaturata,
come dimostra la teoria del bambino perverso polimorfo, la teoria della
pregenitalità. Il secondo grande contributo di Freud sulla perversione avviene

162
trent’anni dopo in due articoli importantissimi : "La scissione dell’Io" e "Il feticismo"
. Che cos’è il feticismo? Il feticismo è l’attrazione particolarmente intensa che si
stabilisce tra un soggetto e un oggetto del mondo o del corpo del partner o del
corpo dell’Altro e questa relazione intensa sostituisce o diventa la condizione
perché vi sia godimento sessuale. La natura del feticcio è che deve essere un
pezzo staccato, inanimato e asessuato. È per questa centralità del pezzo che la
teoria del feticismo mette in valore l’oggetto piccolo (a) rispetto a S/. Il feticismo
definisce un’inclinazione strutturale del desiderio maschile. Non vi sarebbe cioè
feticismo femminile. Nella scena cinematografica che Freud ricostruisce
nell’articolo omonimo ("Il feticismo") il bambino entra nella camera dei genitori e
Freud immagina che incontri il corpo nudo della madre come corpo castrato, senza
fallo. Fino a quel momento aveva pensato che il corpo della madre avesse il fallo. E
aveva avuto delle prove che il corpo della madre avesse il fallo. Però c’è un punto
in cui il bambino entra nella stanza dei genitori e vede il corpo della madre
castrato. C’è l’incontro con qualcosa che per Freud è nell’ordine di un vuoto
terrificante, un buco, un cratere, una lacerazione e di fronte a questa percezione
(cioè qualcosa che è stato registrato dalla coscienza) del corpo castrato. Il
bambino reagisce, per un verso, cancellando questa percezione attraverso una
scissione (che non è una rimozione), cioè scindendo l’io. Da un lato l’io ha visto
l’orrore della castrazione dall’’altro l’Io nega di aver visto. Spaltung tra
l’impressione e la sua negazione che coesistono nello stesso lato soggetto. Nella
perversione feticista la rimozione non è attiva, non rimuove il moto pulsionale. Ciò
che è attivo e il meccanismo del rinnegamento : ciò che si rinnega è la realtà. Ma
come avviene la negazione della realtà, della percezione della castrazione, nella
perversione? Avviene attraverso il ricorso al feticcio. Per un verso il soggetto nega
la percezioneà Verleugnung (=rinnegamento). Rinnegare la percezione è per Freud
il meccanismo costitutivo della perversione. Rinnegare la percezione, scinde il
contenuto percepito da questa stessa percezione. Un’altra possibilità è quella di
introdurre un oggetto inanimato asessuato che attribuisca al corpo della madre il
fallo che esso non ha. Il feticcio è l’oggetto, l’artefatto che permette di attribuire al
corpo materno ciò che il corpo materno non ha e cioè il fallo. E dunque di riparare
il corpo dalla castrazione. E dunque di riparare il soggetto dall’angoscia di
castrazione. Feticismo come provvedimento del soggetto contro l’angoscia di
castrazione. Nel feticismo l’oggetto feticcio può essere una parte del corpo o un
oggetto del mondo. Daccapo riprendiamo il film di Freud; il bambino davanti al

163
corpo nudo della madre, davanti all’assenza del fallo dove guarda? Se guarda su
vede i seni. L’uomo cercherà il seno che diventerà il feticcio del fantasma
soggettivo, che diventerà l’oggetto piccolo (a) che causa il desiderio. La condizione
del suo desiderio. Se guarda in giù: gambe, caviglie, piedi, diventano pezzi del
puzzle feticista. Ma, continua Freud può anche non andare né su né giù, ma andare
di lato, lasciare il corpo e vedere l’oggetto feticcio (le scarpe, la biancheria
intima…). Nel film di Freud l’oggetto su cui si deposita lo sguardo, appena dopo
l’attimo dell’incontro con il terrificante, diventa l’oggetto feticcio. L’oggetto feticcio
ricopre il buco della castrazione reale della madre e diventa la condizione perché vi
sia soddisfacimento sessuale, la condizione perché vi sia godimento pulsionale e
mostra come la presenza del desiderio sia subordinata alla presenza dell’oggetto.
Lacan nel Seminario X precisa: l’importante è che il soggetto ce l’abbia in testa il
seno, nella fantasia. Un uomo può anche stare con una donna che non ha seno.
Dove si vede l’elemento feticistico? Che la sua fantasia è il seno e convoca
costantemente questa fantasia nel momento del rapporto. Seminario X pag 112 :
che "il seno può essere nella testa" e non è detto che lei lo sappia! La cosa
importante è che deve esserci la presenza dell’oggetto. Il fatto che sia
immaginaria o reale è secondaria. Afferma Lacan "È il feticcio che causa il
desiderio" e"Il desiderio si aggrappa dove può". Il seno può essere nella testa. È la
condizione che sostiene il desiderio. Non bisogna andare a cercare nella realtà
l’oggetto feticcio, può essere nella testa. Il mondo delle immagini è maschile; c’è
bisogno di vedere e immaginare la presenza dell’oggetto che scongiura la
castrazione.

04. Feticismo

La riflessione sul feticismo oggi è di grande attualità se però scorporiamo il


feticismo dall’erotismo. Il feticismo è la condizione del desiderio .Oggi invece
siamo di fronte, nella clinica contemporanea, ad un feticismo senza erotismo, dove
ciò che conta è l’uso dell’oggetto con una finalità anti-angoscia.Oggi il feticismo è
un oggetto che ripara dalla castrazione ma senza erotismo. Mentre per Freud il
feticismo è la condizione del desiderio, oggi il feticcio (oggetto droga, oggetto cibo)
è un oggetto che ripara dall’angoscia di castrazione ma senza erotismo. Questa è
una differenza importante tra la perversione generalizzata del nostro tempo e il
tratto di perversione feticistico di cui parla Freud.

164
La perversione sarebbe la modalità con cui il soggetto tratta terapeuticamente
l’angoscia di castrazione. Perché questa modalità è maschile? Perché la donna ha a
disposizione il feticcio incarnato nel fallo.Il gioco feticistico della donna è centrato
sul fallo dell’uomo. È quello il suo feticcio. Feticismo realizzato nel corpo. Sarà
eventualmente una sovrastimazione del fallo dell’uomo, non solo in quanto pene,
ma come fallo in quanto potenza immaginaria dell’uomo; valore sociale, prestigio,
ecc.
Lacan nel Seminario IV riprende questa teoria freudiana del feticcio quando
definisce la funzione del feticcio come funzione di velo. Il feticcio svolge una
funzione di velatura della castrazione, è un velo che lascia intravedere la
castrazione e allo stesso tempo la ricopre. Come la doppia percezione che
caratterizza la scissione dell’Io. Il velo è niente. Ciò che causa il desiderio è niente,
è un pezzo di corpo, è una scarpina, è un seno della testa. Vi è una
dematerializzazione dell’oggetto. Nel Seminario IV l’oggetto feticcio, evapora. C’è
ma è senza consistenza. Nel Seminario X l’oggetto assume invece una certa
consistenza. Il desiderio dipende dall’oggetto. L’oggetto non è più solo una
velatura ma diventa qualcosa di più.
Il feticcio mette in luce la dimensione strutturale dell’oggetto piccolo (a) in quanto
oggetto causa del desiderio. Il feticcio è un’illustrazione della funzione dell’oggetto
piccolo (a). Illustra in che modo il desiderio dipende da un oggetto. Il feticista è
attratto dall’oggetto feticcio. Il feticcio non si appoggia sulle matrici pregenitali
della libido mentre l’oggetto piccolo (a); poggia su queste matrici. Il feticcio come
l’oggetto piccolo a è un modo per coprire la mancanza dell’Altro. C’è un nesso
importante tra feticcio e oggetto piccolo (a); ogni oggetto piccolo (a) ha una natura
feticista perché copre la castrazione e causa il desiderio.
Quando Lacan interroga la definizione del desiderio perverso in quanto puro non
ha come riferimento il feticismo ma il masochismo e il sadismo.Il feticismo resta un
tratto perverso della nevrosi. Anche tutte le forme di collezionismo sono
feticistiche. Il collezionismo è feticismo, ma in sé non è necessariamente perverso.
Il feticismo puro, esasperando i termini, lo possiamo trovare nella dialettica
sadomasochista dove però l’oggetto feticcio coincide con il soggetto.
Nell’uomo prevale il feticismo come struttura del desiderio. L’oggetto e la
conformazione dell’oggetto hanno una consistenza forte. Da qui scaturisce la
critica isterica che rivendica la sua unicità. Come posso essere l’unica se ti
piacciono tutte quelle con i seni grossi? Nel Seminario XX il desiderio femminile si

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manifesta non nel feticismo ma nell’erotomania. La donna vuole essere amata sino
al delirio. E’ il feticismo maschile che vuole il pezzo. Tra queste due domande c’è
uno sfasamento che genera l’inesistenza del rapporto sessuale. Spesso troviamo
nelle donne la fantasia dell’essere picchiata, dell’essere presa e utilizzata come
oggetto del godimento . Non è una perversione perché questa posizione accentua
l’essere oggetto della donna che è la condizione strutturale del desiderio femminile
per accedere al godimento. Per una donna il godimento si può raggiungere per la
via dell’essere oggetto. La donna è subordinata anatomicamente al fallo, riceve il
fallo in posizione di oggetto. Il momento della penetrazione la obbliga a una
posizione di oggetto. Quello che chiamiamo perversione masochistica in una
donna non è altro che l’accentuazione di questa posizione strutturale di oggetto.
Saper godere della posizione di oggetto è per Lacan una condizione di sanità nella
donna. L’isterica si ribella, si rivolta nell’essere messa nella posizione d’oggetto.
Non gode mai nell’essere messa nella posizione di oggetto.
Il problema della donna, se ragioniamo freudianamente, è ricevere il fallo. Il
problema dell’uomo è coprire il fallo dove non c’è. Culto maschile della bellezza
come ciò che rivela e copre la castrazione. Il feticismo è mettere il velo al posto di
ciò che non c’è. Per la donna è prelevare da dove c’è. La donna si deve autorizzare
a prelevare da dove c’è. Il problema di molte donne è quello di scegliere uomini
castrati cui dare la propria presenza. L’isteria illustra questa modalità di andare a
colmare la mancanza dell’Altro scegliendo uomini castrati, inadeguati. Una donna
sceglie invece l’uomo che ha il fallo ma che sa anche mostrare la sua mancanza e
dare il segno d’amore. Oscillazione tra il fallo e la mancanza. Ma la donna che
sceglie la castrazione, la mancanza senza il fallo, è più sul lato dell’isterica.
Ricordiamo come Lacan affronta la problematica fallica dopo Freud. Le due
categorie centrali attraverso cui pensare il fallo non sono la presenza e l’assenza
ma l’avere e l’essere. La condizione per poter godere del fallo è averlo sul lato
dell’uomo o esserlo sul lato della donna . Ma per averlo bisogna non-esserlo
(bisogna aver scorticato la propria identificazione narcisistica al fallo materno) e
per la donna, per riceverlo bisogna giocare ad esserlo per catturare il desiderio
dell’uomo. Accettare la mascarade. Giocare con la grazia femminile, riuscire a
rendere sublime il niente.
Lo schema a pag 113 del Seminario X è lo schema del desiderio sadico che è lo
schema con cui Lacan individua la perversione come struttura e non più come
tratto della nevrosi come era nel pensiero di Freud.

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05. La struttura del desiderio perverso

Qual è la struttura del desiderio perverso? Non ha a che fare con il feticismo e non
c’entra nemmeno con la dialettica tra legge-desiderio tipica del fantasma
nevrotico. Nella nevrosi la trasgressione della Legge anima il desiderio Legge e
desiderio Lacan sono due facce della stessa medaglia. Nel senso positivo in cui la
Legge della castrazione istituisce il desiderio, ma anche nel senso "perverso" in cui
il desiderio gode della trasgressione. Come per esempio accade per l’isterica che si
innamora del compagno dell’amica con cui ha una relazione clandestina. L’oggetto
proibito assume un valore speciale. La Legge potenzia il desiderio per l’oggetto
dell’interdizione. Quando Lacan parla della struttura del desiderio sadico non si
riferisce a questa dialettica legge-desiderio, non si riferisce alla dimensione della
trasgressione.
La problematica della trasgressione implica la problematica della Legge. È un
capitolo ’interno della problematica della Legge. La perversione non è una
trasgressione. Perché la trasgressione implica la colpa come ritorno della legge sul
soggetto e il senso di colpa è ciò che divide il soggetto e che mostra
l’appartenenza del desiderio alla Legge. Il soggetto della colpa è un soggetto
diviso.Invece nella perversione non c’è senso di colpa. Non c’è esperienza della
colpa. La perversione esclude il senso di colpa.
Qual è la struttura del desiderio perverso? Consiste nel riunificare, agendo contro
l’Altro un (l’Altro della Legge), il corpo con il godimento. Questo è il punto centrale
del desiderio perverso per Lacan: fare in modo che il luogo del godimento e il
luogo del corpo coincidano. Fare in modo di rendere compatibili il corpo e il
godimento. Il punto è che c’è un’incompatibilità strutturale tra corpo e godimento.
Dove c’è il corpo umano c’è perdita di godimento, c’è negativizzazione di
godimento. Il corpo umano è un deserto di godimento. Il linguaggio è il vero
trauma, secondo Lacan, di cui patisce l’essere umano è un trauma che produce un
buco nel corpo. Il corpo tagliato dal linguaggio è un corpo dove il godimento si

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stacca, si separa, si separtisce dal corpo. Gli oggetti piccoli (a) sono oggetti
staccati, separtiti, caduti. Questa separazione del godimento dal corpo è un effetto
dell’azione del grande Altro; è l’Altro che castra il godimento e trasforma il corpo in
un deserto con poche oasi. Le oasi della metafora della moltitudine di Freud. Il
godimento si localizza solo nelle zone erogene. In questo senso c’è
un’incompatibilità tra il grande Altro e il godimento.
Il corpo è il luogo del grande Altro,fabbricato dai significanti dell’Altro (interdetto al
godimento; pulito vestito, profumato). La vita umana è senza vita, è una vita priva
di vita animale, è una vita mortificata dal simbolo. Il simbolo uccide la Cosa, il
luogo dell’Altro desertifica il corpo. L’Altro bonifica il corpo; il godimento è staccato
dal corpo.
La perversione è quel tentativo estremo di riportare il godimento nel corpo. Di
opporsi all’azione del grande Altro che separa il godimento dal corpo. Restituire la
vita al corpo contro le leggi della castrazione, contro gli interdetti dell’Altro. E qui
acquista un valore speciale il riferimento di Sade alla Natura. Lo scopo di Sade, ma
anche di Rousseau e di Pasolini, è quello di recuperare il godimento naturale, il
corpo come essere di natura. Per Pasolini era il corpo degli africani, il corpo dei
meridionali. Per Rousseau era il corpo dei selvaggi. Per il pedofilo è il corpo dei
bambini. Allora il corpo africano, il corpo del selvaggio, il corpo del bambino
sarebbero corpi compatibili con il godimento. Corpi pieni di godimento, corpi non
desertificati dal godimento. Sarebbero corpi non corrotti dal significante. Corpi
naturali. Per il perverso il significante corrompe i corpi, corrompe la natura e
bisogna invece ritornare alla natura. In questo senso il mito della perversione è un
mito dell’origine. Ritornare all’originario perché l’originario è l’incesto. Il mito della
perversione è il mito dell’incesto. Fare l’amore con un bambino, realizzare l’incesto,
realizzare la compatibilità perfetta tra il corpo e il godimento facendo in modo che
tramite il corpo innocente, il corpo africano, il corpo del meridionale, il corpo
selvaggio raggiunga un godimento non castrato. È il perverso che porta il corpo a
godere senza castrazione. Il perverso è colui che si propone come un maestro del
godimento. È colui che possiede le tecniche di godimento, un sapere speciale sul
godimento. La perversione è il rifiuto del traumatismo del linguaggio. La Cosa del
godimento uccide il simbolo. È per questo che per il perverso la verità non esiste. Il
perverso non ha alcun rapporto con la verità. Per il perverso le parole sono
insignificanti. L’unica realtà che conta è quella del godimento. Il perverso tenta di
recuperare la Cosa del godimento al di qua del linguaggio. Un esempio di

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perversione applicata: il famoso esperimento di Federico II che vuole sapere quale
sarebbe la lingua primaria che un essere umano, non condizionato dai modelli
culturali e alfabetici, parlerebbe spontaneamente. Per rispondere a questa
domanda costringe dieci bambini a venire allevati da balie silenziose. Per vedere
poi in questi dieci bambini qual è la lingua che spontaneamente si sarebbe
sviluppata. Trovare la lingua incorrotta al di qua del linguaggio. Quale sarebbe la
lingua che prescinde dai condizionamenti del linguaggio? Risultato
dell’esperimento: tutti morti. Questo giustifica l’idea di Lacan secondo cui il
bambino si nutre del desiderio dell’Altro che si esprime attraverso la parola. Ma
l’idea folle di Federico II è: qual è la lingua che non patisce il linguaggio? Qual è la
Cosa del godimento che non subisce la corruzione del linguaggio? E’ un’idea
perversa.
Riunificare il godimento al corpo, riportare il godimento indietro, al di qua del
linguaggio è impossibile ma questo è lo sforzo del perverso. Per questo i bambini
nella pedofilia sono delle figure cruciali della perversione. Godere del corpo di un
bambino è godere di un corpo che è ancora pieno di godimento, un corpo naturale,
senza freni, senza limiti. Il godimento perverso è un godimento senza castrazione,
senza limiti, è godimento della Cosa. Ma qui Lacan diventa ancora più preciso e
tocca il punto dell’angoscia. Per Freud il tratto perverso è un modo per ripararsi
dall’angoscia mentre Lacan ci porta ad interrogare la natura dell’essere umano. Lo
scopo del perverso è generare l’angoscia in Dio. Questo è il punto più estremo.
Mentre per Freud la perversione è una difesa dall’angoscia (il velo, il feticcio), per
Lacan il desiderio perverso punta a generare l’angoscia. Punta non a cancellare
l’angoscia ma a generarla nell’Altro, a scaricare l’angoscia del soggetto verso
l’Altro. Ma qual è l’Altro dell’Altro? Qual è l’Altro che dovrebbe essere per principio
puro, assoluto, incontaminato dall’angoscia? E’ Dio. Quindi bisogna riuscire a
generare l’angoscia in Dio, a far cadere, a corrompere il grande Altro. Mostrare che
nel luogo puro della Legge, nel luogo dell’assenza di godimento, nel luogo di Dio
(come immagine simbolica del grande Altro della Legge) ci sia il godimento.
Possiamo generare il godimento in quel luogo e dunque generando il godimento
possiamo generare l’angoscia. Questo è il principio della corruzione perversa: fare
in modo di produrre l’angoscia, cioè il godimento, dove non dovrebbe mai apparire.
Mostrare che il luogo dell’Altro è un luogo sbarrato, corrotto. Perché sbarrare il
luogo dell’Altro, mostrare che è corrotto, significa completarlo. Significa
aggiungere il godimento al significante. Questo significa coprire la mancanza

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dell’Altro, significa colmarlo. E’ un movimento complesso da un lato il perverso
vuole mostrare che il luogo dell’Altro è un luogo corrotto, vuole generare l’angoscia
in Dio, mostrare che il luogo dell’Altro è pieno di godimento, dall’altro in questo
modo riconcilia il luogo dell’Altro con il godimento dunque lo completa, lo riempie
lo fa esistere tutto pieno. È per questo che Lacan dice che il perverso è l’unico vero
cavaliere della fede. Cosa fa un perverso con l’analista? Un perverso entra in
analisi cercando di costruire una scena, cercando cioè di porre il suo Altro (che in
quel momento è incarnato nell’analista) come sguardo sulla scena. Proiettare un
film, la corruzione della propria vita, e sentire che l’Altro guarda . Lo fa entrare
nella scena cercando di generare l’angoscia nell’Altro.
In un caso riportato da Dior un perverso va da un analista di esperienza e gli parla
della sua frequentazione di orge sadomasochiste estreme. In particolare con una
donna . L’analista di fronte a questo film che ripetutamente il paziente proietta
prende la via che Lacan consiglia cioè quella di non voler vedere, di non prestarsi
ad essere lo sguardo sulla scena e dopo un po’ il perverso che punta a generare
l’angoscia nell’Altro si scoraggia e lascia l’analisi. Un anno dopo si ripresenta per
una sola seduta; sufficiente per spiegargli che ha voluto incontrare una volta il suo
analista per rivelargli l’identità della partner delle sue prestazioni e cioè che era la
figlia dell’analista. In quel momento c’è un effetto di angoscia nell’analista che, tra
l’altro , smetterà di fare questo mestiere. Qui si vede bene come si può fare cadere
il grande Altro introducendo nel grande Altro un effetto di angoscia, cioè un effetto
di godimento. Generare un brivido che scuote la neutralità senza godimento
dell’analista. Questo vuol dire farlo cadere e, mentre lo si fa cadere, completarlo
introducendo il godimento nel luogo asettico, simbolico, neutro dell’Altro. Generare
l’angoscia, ma nella misura in cui si genera l’angoscia, si completa l’Altro con il
godimento. Potremmo fare anche l’esempio dell’anoressia. Un soggetto anoressico
grave può finalmente, attraverso il proprio corpo, vedere che lo sguardo dei
genitori è uno sguardo che mostra l’angoscia , è uno sguardo attraversato dal
brivido. E dunque in questo modo completa l’Altro che è un Altro del significante
introducendo accanto l’Altro del godimento. E quindi negando l’incompatibilità tra
significante e godimento.
Il desiderio sadico è il desiderio che provoca l’angoscia nell’Altro ponendosi
attivamente come macchinista della scena. Il godimento rientra nel corpo nel
momento in cui il luogo dell’Altro è diviso e non è più un luogo neutro ma è
percorso dal godimento: Il soggetto si fa oggetto e pone l’analista come

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spettatore.
Per Freud sadismo e masochismo sono uno il rovescio dell’altro. Nel sadismo c’è
attività, nel masochismo passività. Nel sadismo ci sarebbe godimento
nell’infliggere il dolore, nel masochismo godimento nel sentire il dolore. Per Lacan
il sadismo e il masochismo hanno un radice perversa comune. Non sono uno il
rovescio dell’altro. E questa radice comune la si intende bene analizzando la
posizione masochista. Il desiderio perverso per eccellenza è il desiderio
masochista che consiste nel farsi oggetto (colpito, massacrato ecc.) per generare
la divisione dell’Altro che viene ridotto a soggetto diviso. Angosciare Dio. La
divisione nella perversione non è più nel soggetto come è nella nevrosi, ma la
divisione deve essere generata nel luogo dell’Altro (analista) perché sia l’Altro ad
angosciarsi. Questa divisione dell’Altro ridotto a soggetto ( l’analista che non è più
l’analista ma è il padre angosciato per il destino di sua figlia, ridotto a soggetto
diviso) produce l’effetto di completamento per cui Altro e godimento non sono più
in alternativa ma diventano compatibili. Far godere l’Altro lo angoscia e lo
completa.
Il soggetto perverso non va in analisi per analizzarsi ma per una ragione esterna
all’analisi. Pazienti anoressiche con un tratto perverso molto forte non venivano nel
gruppo per analizzarsi ma per esibirsi e angosciare le altre e realizzare l’angoscia
nell’Altro mostrando il loro corpo pelle e ossa. Nella perversione la divisione deve
essere messa sull’Altro. Vedere l’angoscia sul volto dell’analista. C’è un punto in
cui viene inclusa la questione della Legge. Il perverso vuole mostrare che la Legge,
i giudici, la magistratura, tutto ciò che ha a che fare con l’ordine simbolico, è
corrotto e falso. Però non c’è Altro che può fermare il perverso se non
l’introduzione di una Legge. La posizione dell’analista con la perversione è la
posizione di Soggetto Supposto Non Vedere. Non rispondere con il voyeurismo là
dove il perverso fa di tutto per attivarlo. Il ragionamento perverso è: "perché no?"
il ragionamento perverso parte dal fatto che l’unica Legge che vale è quella del
godimento.

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