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Alcuni aspetti dell’opera di Seneca

1) Un modello di comportamento

Il fine che si propone Seneca è quello di dare ai membri della classe dirigente un modello
di comportamento, una teoria e pratica del vivere, che metta ordine nell’esistenza del
singolo e che contribuisca a migliorare la società dal punto di vista etico. L’uomo che
aspira alla tranquillitas animi deve saper distinguere ciò che è male da ciò che è bene,
deve cioè riconoscere i veri valori; inoltre deve eliminare le passioni che gli impediscono di
praticare la virtù. L’uomo che intraprende il cammino della sapienza deve raggiungere il
controllo delle proprie passioni, deve fare un cammino verso la propria interiorità, deve
riuscire ad essere libero dai condizionamenti esterni che gli fanno trascorrere una vita
superficiale, deve distaccarsi da interessi che non lo aiutano a realizzare l’humanitas
ovvero l’impegno a svolgere un’attività di aiuto verso gli altri. Seneca usa spesso la
metafora del soldato che si allena ogni giorno per rafforzare se stesso ma soprattutto per
prestare servizio a tutta la collettività. Nel De brevitate vitae, nel De otio, nel De
tranquillitate animi, nelle sue Epistulae ad Lucilium Seneca sottolinea la necessità di usare
bene il tempo che l’uomo ha a sua disposizione : « Si vita uti scias, vita longa est »(se ti
sai servire della vita, la vita è lunga), « protinus vive » (vivi adesso). Occorre vivere la vita
ogni giorno con la coscienza di saperla vivere con la constantia sapientis(la costanza del
saggio) fondata sulla securitas a differenza di coloro che trascorrono le ore del giorno e
della notte ansiosi. Il sapiens come un soldato si allena riuscendo a padroneggiare il
proprio tempo e ad ottenere la tranquillitas e la securitas. Questo ideale di sapiens
corrisponde al modello del saggio proposto dalla filosofia stoica. Il sapiente inoltre riesce
non solo a controllare il tempo presente ma è in grado di sfruttare le conoscenze ereditate
dai maestri del passato. Nel De tranquillitate animi, dialogo rivolto all’amico Sereno,
Seneca affronta il tema del « fastidio di sé », del disagio esistenziale e afferma che il
primo passo per guarire da questa malattia è la consapevolezza di essere malati. Il vivere
nell’inconsapevolezza di ciò che si fa giornalmente e di ciò che si dovrebbe fare genera la
mancanza di tranquillitas e ne cadono vittima sia gli iperattivi frenetici sia i pigri inerti,
entrambi scontenti di sé e in fuga da se stessi. L’opera è di grande modernità, ricollegabile
al concetto di nevrosi.

2) Il rapporto con gli schiavi

Per Seneca occorre avere con gli schiavi un rapporto basato sulla humanitas, gli schiavi
vanno considerati come possibili amici e quindi occorre evitare atteggiamenti crudeli verso
di loro e punizioni eccessivamente severe. Inoltre come esiste una schiavitù dovuta alla
condizione sociale per Seneca esiste anche il problema della schiavitù morale, infatti
esistono uomini che pur essendo civilmente liberi sono schiavi delle loro passioni (Epistula
ad Lucilium, 47)

3) Riflessioni sul dolore nel mondo attraverso la lettura di alcuni brani di Seneca

Per Seneca la morte è un passaggio, un ritorno alle origini: dopo la morte, all’anima sarà
concessa la visione di Dio. La consapevolezza che la morte, dovuta alla legge della natura,
non sia una pena ma il passaggio ad un’altra vita, ci porta a cercare di vivere con pienezza,
dedicandoci alla sapientia e alla virtù. Le sofferenze, il dolore non devono essere imputati alla
malvagità degli dei, ma alla legge della natura. Soltanto i folli e coloro che ignorano la verità
imputano agli dei le avversità climatiche, le catastrofi, le malattie. La divinità, pur non avendo
creato il mondo solo a beneficio dell’uomo, secondo Seneca, ha però tenuto conto
dell’umanità. Nel De beneficiis Seneca dice: “Gli dei quando disponevano l’universo hanno
previsto la nostra sorte e hanno tenuto conto dell’uomo. Il sole, la luna, i corpi celesti non
sono per noi, ma comunque ci giovano.” Nel II libro dell’opera filosofica De ira Seneca dice
che il dolore serve a rafforzare il carattere degli uomini, concetto che si trova anche nel
dialogo De Providentia, dedicato all’amico Lucilio (lo stesso a cui sono indirizzate le Epistole).
All’inizio (Capitolo 1, paragrafi 1-6), Seneca, immaginando di rispondere alla domanda
dell’amico Lucilio relativamente alla presenza del male nel mondo e al dolore che tocca agli
uomini buoni come a quelli malvagi, comincia la sua argomentazione a difesa degli dei che
governano il mondo non abbandonato a se stesso ma secondo un ordine armonioso,
secondo un destino provvidenziale; infatti gli dei non possono nuocere e non vogliono fare del
male agli uomini ma le avversità renderanno gli uomini buoni più forti. Così nell’incipit del De
Providentia si esprime Seneca: “ Nihil accidere bono viro mali potest”(Nessun male può
capitare a un uomo buono). Più oltre il filosofo fa un paragone con gli atleti che si battono con
rivali molto forti e chiedono all’allenatore di essere addestrati duramente per essere preparati
alla competizione. Seneca dice”Il valore si infiacchisce senza un avversario”. Dunque per
volontà divina la sorte quando è segnata dal dolore, ha nei confronti dei buoni la stessa
funzione che gli atleti richiedono ai loro allenatori. Il male, il dolore serve per forgiare il
carattere degli uomini e per stimolarne il valore. Dunque l’uomo, e soprattutto il sapiens,
intraprende quotidianamente una lotta contro il male per mettere alla prova la sua virtù.

Brano tratto dal De Providentia, Capitolo I- paragrafi 1-6:

1. Quaesisti a me, Lucili, quid ita, si providentia mundus ageretur, multa bonis viris mala
acciderent. Hoc commodius in contextu operis redderetur, cum praeesse universis
providentiam probaremus et interesse nobis deum; sed quoniam a toto particulam revelli
placet et unam contradictionem manente lite integra solvere, faciam rem non difficilem,
causam deorum agam.

2. Supervacuum est in praesentia ostendere non sine aliquo custode tantum opus stare nec
hunc siderum coetum discursumque fortuiti impetus esse, et quae casus incitat saepe turbari
et cito arietare, hanc inoffensam velocita tem procedere aeternae legis imperio tantum rerum
terra marique gestantem, tantum clarissimorum luminum et ex disposito relucentium; non
esse materiae errantis hunc ordinem nec quae temere coierunt tanta arte pendere ut terrarum
gravissimum pondus sedeat inmotum et circa se properantis caeli fugam spectet, ut infusa
vallibus maria molliant terras nec ullum incrementum fluminum sentiant, ut ex minimis
seminibus nascantur ingentia.

3. Ne illa quidem quae videntur confusa et incerta, pluvias dico nubesque et elisorum
fulminum iactus et incendia ruptis montium verticibus effusa, tremores labantis soli aliaque
quae tumultuosa pars rerum circa terras movet, sine ratione, quamvis subita sint, accidunt,
sed suas et illa causas habent non minus quam quae alienis locis conspecta miraculo sunt, ut
in mediis fluctibus calentes aquae et nova insularum in vasto exilientium mari spatia.

4. Iam vero si quis observaverit nudari litora pelago in se recedente eademque intra exiguum
tempus operiri, credet caeca quadam volutatione modo contrahi undas et introrsum agi, modo
erumpere et magno cursu repetere sedem suam, cum interim illae portionibus crescunt et ad
horam ac diem subeunt ampliores minoresque, prout illas lunare sidus elicuit, ad cuius
arbitrium oceanus exundat. Suo ista tempori reserventur, eo quidem magis quod tu non
dubitas de providentia sed quereris.

5. In gratiam te reducam cum dis adversus optimos optimis. Neque enim rerum natura patitur
ut umquam bona bonis noceant; inter bonos viros ac deos amicitia est conciliante virtute.
Amicitiam dico? immo etiam necessitudo et similitudo, quoniam quidem bonus tempore
tantum a deo differt, discipulus eius aemulatorque et vera progenies, quam parens ille
magnificus, virtutum non lenis exactor, sicut severi patres, durius educat.

6. Itaque cum videris bonos viros acceptosque dis laborare sudare, per arduum escendere,
malos autem lascivire et voluptatibus fluere, cogita filiorum nos modestia delectari,
vernularum licentia, illos disciplina tristiori contineri, horum ali audaciam. Idem tibi de deo
liqueat: bonum virum in deliciis non habet, experitur indurat, sibi illum parat.

Traduzione del brano tratto dal De Providentia, Capitolo I- paragrafi 1-6:

1. Tu mi hai chiesto, Lucilio, perché se il mondo è governato dalla provvidenza, possano accadere
così molte cattive cose (sventure) agli uomini buoni.1 Questo problema in una trattazione organica
sarebbe esposto, dimostrando noi che la provvidenza governa tutto e che un dio partecipa della
nostra vita ; ma poiché vogliamo che si distacchi una particella dal complesso2 e risolvere una sola
obiezione pur restando impregiudicata la questione generale, farò la questione non difficile, parlerò a
difesa degli dei.

2. E’ superfluo nelle circostanze presenti dimostrare che un’opera così grandiosa non può sussistere
senza un qualche custode e che queste costellazioni e queste orbite non possono derivare da impulsi
casuali e che ciò che il caso mette in moto è sottoposto a perturbazioni e urta violentamente, che
questa velocità può avanzare liberamente sotto la guida di una legge eterna sostenendo tanta
immensità di elementi per terra e per mare, tanta immensità di stelle che brillano in una determinata
disposizione; che questo ordine non è di una materia vagante e che non possono restare sospese
quelle entità che si sono aggregate insieme per un mero caso con arte così mirabile tanto che il peso
enorme della terra sta immobile e la terra può osservare lo scorrere del cielo che gli si muove intorno
rapidamente, tanto che i mari riversatisi nelle vallate inondano la superficie terrestre e non avvertono
alcun incremento dei fiumi, tanto che nascono grandi elementi da elementi piccolissimi.

3. Neppure quei fenomeni che sembrano disordinati ed incerti, mi riferisco alla pioggia, alle nubi e allo
scatenarsi delle folgori lanciate dalle nubi e alle fiamme che erompono dai crateri e ai movimenti del
suolo che slitta (ai movimenti tettonici) e agli altri fenomeni, che la parte instabile degli elementi muove
intorno alla terra, accadono senza un motivo razionale, per quanto siano improvvisi, ma quelli hanno
delle cause proprie non meno di quei fenomeni che osservati in luoghi diversi dai loro sono di
meraviglia, come le correnti di acqua calda e le emergenti isole di nuova formazione nel vasto mare.

1
interr.indir.apodosi di periodo ipotetico della realtà la cui protasi è si regeretur.I tempi sono richiesti dalla consecutio
temporum
2
cioè che dall’argomento generale si isoli una questione particolare
4. Se qualcuno vedrà che le coste si scoprono a causa della bassa marea e che poi si ricoprono entro
poco tempo, crederà che per una specie di inspiegabile rivolgimento ora le onde si raccolgano e si
muovano all’interno, ora fluiscano e raggiungano con rapido corso la propria sede, e intanto quelle(le
onde) in parti proporzionate crescono e alla stessa ora e nello stesso giorno scorrono di più e di meno
a seconda di come la luna possa influenzarle, per la cui attrazione l’oceano espande le sue onde.
Queste questioni saranno riservate al momento opportuno3 , tanto più che tu non dubiti riguardo alla
provvidenza ma te ne lamenti.

5. Ti riconcilierò con le divinità nei riguardi degli uomini migliori. Infatti la natura non consente che le
cose buone possano arrecare del male ai buoni; tra gli uomini virtuosi e gli dei esiste l’amicizia grazie
alla comune virtù. Dico amicizia ? Anzi affinità e somiglianza, poiché soltanto in rapporto al tempo il
buono si differenzia dalla divinità, l’uomo buono , suo discepolo e suo emulatore e sua autentica
stirpe, che il magnifico creatore educa in modo piuttosto severo, come un vigile amministratore delle
virtù, come dei padri intransigenti.

6. Pertanto quando vedrai che gli uomini buoni e graditi agli dei faticano, si affannano, salgono
attraverso le asperità, invece gli uomini malvagi vivono licenziosamente e grondano di piaceri, rifletti al
fatto che noi godiamo sia della modestia dei figli sia della sfrontatezza degli schiavi di casa, considera
che quelli(i figli) sono controllati da una regola più dura, che la spigliatezza di costoro (gli schiavi)
viene alimentata. Parimenti ti sia chiaro sulla divinità ciò : il dio non tiene l’uomo virtuoso nei piaceri, lo
mette alla prova, lo tempra, lo prepara a diventare simile a se stesso.

Docente : A. Pagnanelli

3
cioè alla trattazione delle Naturales quaestiones in cui è collegata all’esistenza della divinità la trattazione dei fenomeni
della natura

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