Biopsia tissutale
Si intende un prelievo di tessuto con lo scopo di allestire un preparato istologico o vetrino su cui
poter fare una diagnosi istologica, che si basa sul riconoscimento delle alterazioni morfologiche
che la malattia in questione causa nell’organo o nel tessuto interessato e offre un grado di certezza e
affidabilità maggiore di quello della diagnosi clinica che si basa, invece, sull’esame obiettivo, sulla
diagnostica per immagini e sui dati di laboratorio.
Diversi tipi di biopsia:
Ago biopsia: si raggiunge l’organo da studiare utilizzando un ago che penetra attraverso la
cute; la si utilizza per esami su fegato, rene, midollo osseo (es. per cirrosi ed epatiti),
prostata, polmone e mammella.
Biopsia endoscopica: si utilizza una pinza bioptica posta sulla punta di un endoscopio che
si introduce negli organi cavi per osservare eventuali alterazioni; ad es. per esami su
apparato digerente, respiratorio, vie urinarie e apparato genitale femminile.
Biopsia chirurgica: è necessario effettuare un intervento chirurgico per raggiungere il
tessuto che si intende prelevare. In alcuni casi, poi, l’intervento ha lo scopo di rimuovere
completamente la lesione (biopsia escissionale) o solo una parte della lesione per stabilirne
la natura con l’esame istologico (biopsia incisionale). Ad. es. per leucemie, linfomi e grossi
vasi.
Pezzi operatori
Ci si riferisce all’asportazione chirurgica di un organo in toto o di parti di esso. Nella maggior
parte dei casi l’asportazione si esegue durante un intervento chirurgico che ha scopo curativo e che
viene effettuato su organi interessati da una neoplasia maligna.
Fissazione
Ha la funzione di preservare la morfologia cellulare e tissutale.
Gli effetti consistono nel bloccare i processi autolitici che normalmente avvengono nei tessuti
privati da flusso sanguigno e nel mantenere il campione biologico in uno stato simile a quello che
avevano in vita.
Il fissativo più utilizzato è la formaldeide al 4% o la formalina al 10% che agisce stabilendo dei
ponti tra le proteine dei tessuti e quindi fissandole nella posizione originaria.
Diagnosi istologica
Detta anche diagnosi morfologica, identifica la presenza di una malattia sulla base di modificazioni
dell’aspetto (morfologia) e dell’organizzazione generale (architettura) di un tessuto e/o delle singole
cellule che lo compongono.
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Indicazioni:
Lo si effettua in tutti quei casi in cui l’esito sulla natura della lesione può modificare la
condotta del chirurgo o il tipo di intervento.
Serve per confermare la natura benigna o maligna della neoplasia. Nel caso di neoplasie
maligne l’intervento è più esteso ed interessa anche il tessuto sano circostante.
Serve per confermare l’operabilità della neoplasia, valutare l’eventuale presenza di metastasi
a distanza e studiare i margini di resezione dell’organo interessato per confermare che essi
non siano infiltrati da cellule tumorali.
Esami citologici
Distinguiamo:
Citologia esfoliativa: studio delle cellule che si staccano dagli epiteli di rivestimento e si
ritrovano libere nel lume o nella cavità dell’organo.
Diretta: si raccolgono le cellule esfoliate spontaneamente:
o Urine;
o Espettorato;
o Liquido pleurico;
o Liquido cefalo-rachidiano.
Indiretta: il distacco delle cellule è favorito da uno strumento:
o Abrasione;
o Lavaggio.
Citologia agoaspirativa: studia le cellule prelevate da una lesione tramite un ago sottile
collegato ad una siringa che permette l’aspirazione del materiale;
A mano libera: neoformazioni superficiali e palpabili;
TAC o ecoguidata: neoformazioni in organi profondi;
Ecoendoguidata: neoformazioni dell’apparato gastroenterico.
Valutazione dei criteri citologici di benignità e malignità
Distinguiamo:
Benigno: si definisce tale un campione adeguato che non mostra evidenze di malignità.
Criteri di benignità:
Fondo pulito: non vi sono elementi cellulari estranei (es. cellule
dell’infiammazione);
Coesione di cellule tipiche;
Fenotipo cellulare facilmente riconoscibile (es. epiteliale o mesenchimale);
Bordi citoplasmatici ben demarcati;
Nucleo con trama cromatinica;
Membrana nucleare regolare;
Nucleoli piccoli e regolari;
Rapporto nucleo/citoplasma a favore del citoplasma.
Maligno: si definisce tale un campione adeguato che contiene cellule diagnostiche di
malignità. Criteri di malignità:
Fondo sporco:
o Necrotico1: vi è presenza di materiale granulare acellulare o costituito da
frammenti di cellule che sono detriti di residui nucleari;
o Infiammatorio:
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Necrosi: morte prematura per cause non naturali.
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Infiammazione acuta: è caratterizzata dalla presenza di granulociti
neutrofili dal nucleo segmentato;
Infiammazione cronica: prevalgono cellule mononucleate, es.
linfociti, monociti e plasmacellule.
Infiammazione granulomatosa: caratterizzata da cellule epitelioidi e
cellule giganti con o senza necrosi (es. tubercolosi e sarcoidosi).
Dissociazione cellulare: cioè diminuita coesione tra le cellule e presenza di cellule
singole;
Fenotipo cellulare che si discosta dalla cellula di origine, perdendo, quindi, la
differenziazione (anaplasia);
Bordi cellulari sfrangiati;
Nucleo di forma e volume irregolare: spesso la cromatina è distribuita a zolle o
concentrata, conferendo al nucleo ipercromasia;
Nucleolo evidente;
Mitosi visibili e anche atipiche.
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e scuro (si parla di displasia, caratterizzata da un elevato rischio evolutivo
verso una neoplasia invasiva).
Metaplasia: si intende la trasformazione di un tessuto in un tessuto diverso, ma sempre
nell’ambito della stessa linea germinale. Dunque, non si trasformano cellule differenziate in
altre cellule differenziate, ma cambia il programma differenziativo delle cellule staminali
adulte presenti nel tessuto. I segnali per questa riprogrammazione possono essere fattori di
crescita, citochine o componenti della matrice extracellulare.
Iperplasia e metaplasia, comunque, sono quasi sempre processi fisiologici o espressione di
una patologia benigna. Qualche volta, però, possono rappresentare momenti importanti
nella patogenesi del cancro. Infatti, il processo di iperplasia è alla base della formazione di
tutti i carcinomi, mentre il processo di iperplasia-metaplasia è alla base di specifici tumori
(es. bronchi, esofago e cervice uterina).
Atrofia: riduzione della massa di tessuti ed organi causata dalla diminuzione del numero
di cellule o delle loro dimensioni. A livello cellulare l'atrofia si caratterizza per la riduzione
degli organelli cellulari alle dimensioni minime compatibili con la sopravvivenza.
Eventualmente le cellule atrofiche possono attivare l'apoptosi (morte cellulare
programmata). Può essere:
Fisiologica: es- invecchiamento;
Patologica: es. ridotto utilizzo (arto ingessato), perdita di innervazione (lesione di
un nervo), insufficiente apporto di sangue (ischemia cronica).
Ipotrofia: riduzione delle dimensioni di un organo o di un tessuto per diminuzione di
volume, ma non di numero, degli elementi cellulari che lo compongono.
Aplasia: mancanza o arresto di sviluppo di un organo o di una sua parte.
Alterazioni elementari flogistiche
L'infiammazione, o flogosi, è un meccanismo di difesa non specifico innato, che costituisce una
risposta protettiva, in seguito all'azione dannosa di agenti fisici, chimici e biologici, il cui obiettivo
finale è l'eliminazione della causa iniziale di danno cellulare o tissutale, nonché l'avvio del
processo riparativo.
L'infiammazione consiste in una sequenza di fenomeni che presentano caratteristiche
relativamente costanti, nonostante l'infinita varietà di agenti lesivi, in quanto non sono determinati
soltanto dall'agente lesivo, quanto soprattutto dalla liberazione di sostanze endogene: i mediatori
chimici della flogosi (es. prostaglandine, leucotrieni e citochine). I fenomeni elementari, che
costituiscono la risposta infiammatoria, comprendono vasodilatazione e aumento di permeabilità,
che portano al passaggio di liquidi dal letto vascolare al tessuto leso (edema) ed
infiltrazione leucocitaria nell'area di lesione. L'infiammazione serve, dunque, a distruggere, diluire e
confinare l'agente lesivo, ma allo stesso tempo mette in moto una serie di meccanismi che
favoriscono la riparazione o la sostituzione del tessuto danneggiato.
L'infiammazione viene classificata secondo un criterio temporale in infiammazione acuta e
infiammazione cronica. Quest'ultima può, poi, essere distinta secondo un criterio spaziale in diffusa
(infiammazione cronica interstiziale) oppure circoscritta (infiammazione cronica
granulomatosa).
Flogosi acuta: L'infiammazione acuta è una risposta immediata e precoce a uno stimolo
lesivo. È una reazione vascolare e cellulare al danno tissutale. Si caratterizza per:
Modificazioni vascolari;
Passaggio dei leucociti dal letto capillare al tessuto leso;
Migrazione dei leucociti all'interno del tessuto soggetto al processo flogistico, in
seguito a stimoli chemiotattici.
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Queste fasi portano alla formazione di un essudato, fluido ricco di sostanze proteiche e cellule, con
la finalità di contrastare, nell'area lesa, l'agente lesivo.
Flogosi cronica: L'infiammazione cronica è un processo flogistico di lunga durata in cui
coesistono l'infiammazione attiva, la distruzione tissutale e i tentativi di riparazione. Le
infiammazioni croniche possono derivare da una persistenza degli antigeni flogistici, in
seguito ad un'infiammazione acuta non completamente risolta; è possibile che tali agenti non
siano raggiungibili da parte dei sistemi di difesa, oppure che le sostanze litiche non siano in
grado di digerirli. L'indice di cronicità dell'infiammazione è dato dalla quantità di tessuto di
granulazione2 che è stato formato dai fibroblasti e dal livello della linfocitosi sviluppatasi.
Necrosi cellulare non neoplastica
Con il termine necrosi si indica l'insieme dei fenomeni morfologicamente osservabili cui
la cellula va incontro in seguito a morte prematura per cause non naturali nei tessuti viventi. Le
possibili cause di necrosi sono molte: ipossia, temperature estreme, tossine prodotte da
batteri, virus lisogeni infettanti, traumi. Questo fenomeno è diverso dall'apoptosi che è una causa
naturale della morte cellulare. Inoltre, mentre l'apoptosi fornisce spesso effetti benefici per
l'organismo, la necrosi è quasi sempre dannosa e può anche rivelarsi fatale.
Le cellule che muoiono a causa di necrosi solitamente inviano segnali chimici al sistema
immunitario, cosa che invece non accade quando si verifica l'apoptosi. Durante la necrosi, infatti, la
membrana cellulare viene danneggiata e gli enzimi lisosomiali entrano nel citoplasma e digeriscono
i componenti cellulari. A causa della rottura della membrana cellulare i contenuti della cellula
fuoriescono dalla stessa e si spostano quindi nello spazio extra cellulare, dove innescano una
reazione infiammatoria. Questa situazione permette ai fagociti nelle vicinanze di localizzare e
inghiottire le cellule morte e così avviene un accumulo di tessuto necrotico e detriti cellulari in
corrispondenza o in prossimità del sito della morte cellulare. Per questa ragione si rende spesso
necessaria l'asportazione chirurgica del tessuto necrotico.
Morfologicamente esistono i seguenti tipi distinti di necrosi:
Necrosi coagulativa: si verifica di solito in un ambiente povero di ossigeno.
Necrosi colliquativa o liquefativa: avviene per digestione delle cellule morte. Il tessuto
normale lascia spazio ad una massa liquida viscosa, contenente un accumulo di leucociti ed
enzimi con formazione di pus (leucociti morti), come nella polmonite.
Necrosi grassa o steatonecrosi: è causata dall'azione degli enzimi lipasi sui tessuti grassi
(come nella pancreatite acuta).
Necrosi fibrinoide: è causata da danni vascolari immuno-mediati. Si distingue per i depositi di
materiale proteico simile alla fibrina sulle pareti delle arterie.
Necrosi asettica o osteonecrosi: è causata dalla scarsa circolazione sanguigna che può
determinare la "morte" della parte ossea colpita (es. astragalo, testa del femore).
Necrosi caseosa: un misto di necrosi coagulativa e colliquativa, per esempio nella tubercolosi, e
ha aspetto di muco.
Necrosi cancrenosa: termine utilizzato in clinica per indicare situazioni quali un arto non
perfuso e corrisponde ad una necrosi coagulativa su più strati tissutali. La causa diretta è un
insufficiente apporto di sangue al tessuto, che spesso viene rapidamente invaso da batteri
(infiammazione batterica superimposta) dando "cancrena umida".
Necrosi suppurativa: costituita da cellule distrutte ed elementi infiammatori migrati nell'area
interessata. Viene a formarsi un pus ricco di detriti cellulari, acidi nucleici liberi e
plasmaproteine.
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Tessuto di granulazione: modificazione istologica del tessuto connettivo. Il tessuto appare come granulato, dove i
granuli rappresentano gli abbozzi dei vasi sanguigni.
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Apoptosi: il termine indica una forma di morte cellulare programmata. Si tratta di un processo
ben distinto rispetto alla necrosi cellulare e in condizioni normali contribuisce al mantenimento del
numero di cellule di un sistema.
Al contrario della necrosi, che è una forma di morte cellulare risultante da un acuto stress o trauma
cellulare, l'apoptosi è portata avanti in modo ordinato e regolato, richiede consumo di energia
(ATP) e generalmente porta a un vantaggio durante il ciclo vitale dell'organismo.
Oltre alla sua importanza come fenomeno biologico, ha acquisito un enorme valore medico:
infatti, processi difettosi di apoptosi riguardano numerose malattie. Es. un'eccessiva attività
apoptotica può causare disordini da perdita di cellule (esempio alcune malattie neurodegenerative,
come la malattia di Parkinson), mentre un'apoptosi carente può implicare una crescita cellulare
incontrollata, meccanismo alla base delle neoplasie.
L'apoptosi può avvenire quando una cellula è danneggiata oltre le proprie capacità di riparazione
oppure infettata da un virus. Il segnale apoptotico può venire dalla cellula stessa, dal tessuto
circostante o da cellule del sistema immunitario.
Ma se la capacità apoptotica di una cellula è danneggiata, per esempio a causa di una mutazione,
oppure se la cellula è stata infettata da un virus in grado di bloccare efficacemente l'inizio della
cascata apoptotica, la cellula danneggiata continuerà a dividersi senza limiti, trasformandosi in
un cellula cancerosa.
Per esempio, il papillomavirus umano (HPV), esprime due oncogeni: E6, che stimola la
degradazione della proteina p53, che è una chiave fondamentale della linea apoptotica, ed E7,
che si lega, invece, a Rb (gene soppressore tumorale), inibendola. In questo modo si ha lo sviluppo
del carcinoma cervicale.
Infatti, la prima classe di patologie che può trarre beneficio dall'induzione del processo apoptotico
sono i tumori. Per definizione, le cellule tumorali sono afinalistiche e immortali. Sfuggono alla
morte per soppressione dell'apparato apoptotico, grazie allo stato oncogenico in cui si trovano.
Numerosi oncogeni3 sono direttamente soppressori dell'apoptosi, come c-Myc, e possono agire sia
riducendo la sintesi di componenti cellulari necessari all'apoptosi o stimolare la sintesi di
soppressori dell'apoptosi.
Neoplasie
Cause del cancro: numerosi fattori sono in grado di causare il cancro, attivando i geni oncogeni o
oncosoppressori, causandone cioè mutazioni patogene:
Sostanze chimiche (es. idrocarburi aromatici);
Radiazioni (es. raggi ultravioletti);
Agenti microbiologici
Processo di invecchiamento;
Ereditarietà di mutazioni patogene;
Condizioni di infiammazione cronica.
Aspetti morfologici del cancro: il tessuto neoplastico subisce importanti modificazioni
morfologiche che riguardano sia l’aspetto delle singole cellule sia l’architettura generale del tessuto.
Caratteristiche delle cellule trasformate: le cellule neoplastiche perdono regolarità morfologica.
Alterazioni sono presenti nel:
Nucleo: che cambia
Dimensioni: in genere aumentate a causa del progressivo incremento della quantità
di DNA;
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Oncogeno: gene responsabile della sintesi delle proteine che si occupano della trasduzione del segnale e che
potenzialmente indirizza la cellula verso lo sviluppo di un fenotipo neoplastico.
Oncosoppressore: gene che agisce negativamente sulla progressione del ciclo cellulare, proteggendo in tal modo la
cellula dall'accumulo di mutazioni potenzialmente tumorali.
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Forma: diventa irregolare;
Colorabilità: cioè la capacità delle sue molecole di legarsi ai coloranti usati in
istologia, che si accentua a causa delle modificazioni della struttura nucleare.
Citoplasma: queste alterazioni riguardano i suoi rapporti di dimensione con il nucleo;
infatti, nelle cellule neoplastiche il rapporto nucleo citoplasma si sposta a favore del nucleo,
non solo perché il nucleo aumenta di dimensione, ma anche perché il citoplasma si riduce a
causa della minore capacità differenziativa delle cellule neoplastiche.
Alterazioni dell’architettura del tessuto: l’aumentata capacità proliferativa insieme alla diminuita
capacità differenziativa causano quello che si definisce un sovvertimento dell’architettura del
tessuto. Ad es. negli epiteli squamosi le cellule neoplastiche si limitano a proliferare e non danno
luogo ad alcun disegno architettonico, e ciò dipende dalla perdita di capacità differenziativa, che
impedisce un’interazione tra cellule vicine.
Transizione morfologica dalla cellula normale a quella neoplastica
Il processo di trasformazione neoplastica richiede comunque che più alterazioni genetiche si
instaurino nelle stesse cellule e ciò richiede un lungo periodo di tempo.
Inoltre, nei tumori epiteliali si distinguono:
Fase preinvasiva della neoplasia: in cui le cellule neoplastiche occupano l’epitelio, ma
sono ancora separate dallo stroma sottostante dalla membrana basale;
Fase invasiva: in cui le cellule neoplastiche sono diventate infiltranti, superano la
membrana basale ed invadono il tessuto connettivo sottostante.
Carcinoma in situ
È una fase in cui le cellule morfologicamente atipiche prendono il sopravvento e occupano
l’intero spessore dell’epitelio. In questo stadio, però, le cellule tumorali non sono ancora in grado
di infiltrarsi nei tessuti circostanti a causa della membrana basale dell’epitelio in questione.
Una neoplasia, quindi, si definisce in situ fino a quando non supera la membrana basale.
Quindi, l’asportazione di questo tipo di carcinoma comporta la guarigione completa.
Diplasia
Indica alterazione qualitativa, quantitativa o morfologica della struttura cellulare di un tessuto
o di un organo e rappresenta la fase intermedia tra una condizione definita ancora normale e una
chiaramente neoplastica. Può essere di:
Grado lieve: non rappresenta necessariamente l’inizio di un processo neoplastico e non
sempre progredisce verso i gradi successivi;
Grado moderato: presenta le stesse caratteristiche citologiche del primo, ma interessa
l’epitelio in modo più diffuso;
Grado severo: è sinonimo di carcinoma in situ, quindi, si tratta di una lesione composta da
cellule atipiche che occupano l’intero spessore dell’epitelio.
La fase di evoluzione successiva è un carcinoma invasivo microinfiltrante che potrà anche creare
metastasi. Quindi, in caso di displasie epiteliali gravi, l’indicazione terapeutica prevede la
rimozione chirurgica completa.
Inoltre, il termine invasività di solito è riferito alla capacità che acquisiscono le cellule tumorali
di digerire la membrana basale e di penetrare nel tessuto connettivo sottostante.
Tuttavia, le cellule tumorali di un carcinoma in situ possono staccarsi dal tumore primitivo e
migrare all’interno dello strato epiteliale prima di acquisire la capacità invasiva nei confronti del
tessuto connettivo (si parla di invasività intraepiteliale). E dato che all’interno dello strato
epiteliale non sono presenti né vasi ematici né linfatici, ciò che significa che una cellula tumorale in
grado di spostarsi solo all’interno dell’epitelio non può dare metastasi linfonodali o a distanza, ma
può, invece, dare luogo ad una nuova crescita tumorale (si parla di recidiva del tumore).
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Modificazioni dello stroma nell’invasività
I fibroblasti attivati dal tumore producono una matrice extracellulare che favorisce la
diffusione delle cellule tumorali;
La vascolarizzazione dello stroma tumorale:
È aumentata a causa della produzione di sostanze proangiogenetiche da parte del
tumore. Inoltre, si è visto che uno dei principali stimoli che attivano la
neoangiogenesi è l’ipossia in cui si vengono a trovare le cellule tumorali troppo
distanti dai vasi dell’ospite. Infatti, è proprio l’ipossia che attiva la trascrizione di
una molecola in grado di indurre la migrazione e la proliferazione delle cellule
endoteliali e, quindi, la neoangiogenesi, che la si osserva nello stroma circostante di
tutti i tipi di proliferazione, a prescindere dalla natura neoplastica. Anche se si assiste
ad un incremento della neoangiogenesi a mano a mano che dall’iperplasia si
progredisce verso il carcinoma infiltrante.
I vasi sono necessari per la sopravvivenza e la proliferazione delle cellule tumorali;
infatti, nel caso in cui la vascolarizzazione è insufficiente, si ha necrosi, cioè morte
del tessuto tumorale;
Inoltre, i vasi permettono alle cellule tumorali di creare metastasi a distanza.
Un infiltrato infiammatorio è spesso presente nello stroma tumorale:
Le cellule dell’infiammazione (es. macrofagi, cellule NK e linfociti T) possono
attaccare e distruggere le cellule neoplastiche ostacolando la crescita tumorale;
Allo stesso tempo, le cellule dell’infiammazione possono produrre fattori che
favoriscono la crescita e l’invasività tumorale (es. fattori di crescita, fattori
angiogenetici ed enzimi proteolitici che digeriscono la matrice extracellulare);
Il bilancio finale dipende dal tipo di tumore e dalla risposta immunitaria dell’ospite.
Formazione delle metastasi
Via ematica:
La cellula tumorale entra nel vaso ematico e sopravvive in circolo;
Fuoriesce nell’organo bersaglio: se incontra un ambiente favorevole;
Si ferma nell’organo bersaglio: in quanto è il primo filtro capillare che incontra e o:
o Muore: se incontra condizioni ambientali ostili;
o Rimane dormiente;
o Prolifera: se incontra condizioni ambientali favorevoli => Metastasi a
distanza.
Via linfatica:
La cellula tumorale entra nel vaso linfatico e sopravvive in circolo;
Si ferma nel linfonodo regionale e o:
o Muore;
o Prolifera => Metastasi linfonodale.
Terminologia utilizzata nella classificazione dei tumori
La terminologia prende in considerazione il tipo di tessuto da cui origina il tumore e il carattere
benigno o maligno che manifesta.
Inoltre, si distinguono tumore che derivano dalle cellule somatiche da quelli che originano dalle
cellule germinali.
Quanto ai tumori maligni, distinguiamo tra quelli di origine epiteliale, che si definiscono carcinomi,
da quelli di origine mesenchimale, che si definiscono, invece, sarcomi.
Quanto ai tumori benigni, invece, la terminologia prevede di aggiungere al nome del tessuto di
origine il suffisso –oma, senza fare distinzione tra tessuto epiteliale o mesenchimale (es. adenoma
da un tessuto ghiandolare e fibroma da tessuto fibroso).
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Concetto di benignità e malignità
Tumore benigno: raramente causa morte, cresce localmente, di solito in modo lento, non è in
grado di infiltrare i tessuti circostanti e, di conseguenza, non metastatizza mai.
Inoltre, il termine benigno si riferisce sia ai tumori benigni propriamente detti, cioè che
rimangono costantemente tali, sia ai tumori che hanno un’elevata probabilità di trasformarsi in un
tumore maligno (es. polipi adenomatosi del colon).
Manifestazioni cliniche: un tumore benigno può provocare sintomatologia quando produce
sostanze specifiche, es. ormoni, in grado di interferire con la normale fisiologia dell’organismo o
quando raggiunge dimensioni tali da esercitare una compressione nei confronti dei tessuti
circostanti.
Caratteristiche istologiche:
Struttura tipica simile al tessuto di origine;
Margini regolari;
Necrosi e ulcerazioni rare;
Cellule con normale rapporto nucleo/citoplasma;
Crescita lenta;
Sintomi locali;
Assenza di metastasi;
Tumore maligno: neoformazione tissutale dotata di autonomia di crescita rispetto ai normali tessuti
dell’organismo, in grado di invadere i tessuti circostanti e di dare metastasi, cioè di diffondersi nel
resto dell’organismo o per via ematica o per via linfatica, creando neoformazioni secondarie in
organi e tessuti distanti dalla sede di origine.
Le neoplasie maligne vengono classificate secondo 3 criteri:
Istologico: in base al tipo di tessuto da cui originano.
Distinguiamo 3 categorie fondamentali:
Carcinomi: che originano negli epiteli di derivazione ectodermica o endodermica
e rappresentano circa l’80-90% di tutti i casi di neoplasia maligna;
Sarcomi: che originano dalle cellule di derivazione mesodermica (tessuti
connettici, es. osso, tendini e cartilagini, muscoli e grasso);
Neoplasie ematologiche: es. leucemie e linfomi, che originano da cellule
mesenchimali i cui precursori sono normalmente mobili. In particolare, le leucemie
originano nel midollo osseo, sede della produzione delle cellule ematiche; i linfomi
si sviluppano negli organi centrali (midollo osseo e timo) e periferici (linfonodi,
milza, tonsille e tessuti linfoidi associati alle mucose) del sistema linfatico.
Di sede: a seconda dell’organo in cui originano;
Caratteristiche molecolari: cioè culla base delle anomalie genetiche associate.
Valutazione del grado di malignità
Il grado di malignità di una neoplasia rappresenta un sistema di valutazione per graduare la
differenziazione della neoplasia a fini prognostici e si basa sulla valutazione dell’entità delle
anomalie morfologiche della cellula e dell’architettura tissutale rilevate all’esame microscopico.
Ogni neoplasia, poi, è graduata utilizzando uno specifico sistema di graduazione e il grado della
neoplasia, assieme ad altri fattori, può influenzare la scelta terapeutica.
I parametri citologici utilizzati per valutare il grado di una neoplasia sono:
Dimensioni delle cellule: con progressiva inversione del rapporto nucleo/citoplasma, che
nelle cellule normali è di norma a favore del citoplasma;
Aumento del contenuto di DNA;
Irregolarità del nucleo e della disposizione della cromatina;
Aumento della mitosi.
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In particolare, per quanto riguarda il grado di differenziazione, questo viene espresso come G, con
un valore numerico crescente, in cui il numero 4, cioè il numero più alto, indica totale perdita di
differenziazione o anaplasia e le cellule di questo grado tendono a crescere, moltiplicarsi
rapidamente e a diffondersi più velocemente delle altre.
Esempi:
Sistema di gradazione per il carcinoma della mammella secondo Bloom-Richardson: è
basato su criteri sia istologici sia citologici, che comprendono la percentuale di cellule
aggregate a formare strutture simili a quelle della mammella normale e il numero di mitosi.
Sistema di gradazione per le neoplasie renali secondo Fuhrman: si basa, invece, solo
sull’aspetto citologico e, in particolare, sulla valutazione della dimensione e della forma dei
nuclei e della disposizione della cromatina.
Stadiazione delle neoplasie
La stadio di una neoplasia descrive la diffusione di una singola neoplasia basandosi
sull’estensione in loco della neoplasia primitiva e sulla sua diffusione nell’organismo ed è utile
per stimare la prognosi, cioè il probabile decorso della malattia, e formulare un piano terapeutico.
Ad es., si possono fare previsioni sulla probabilità di essere guariti dalla sola chirurgia, sul tipo di
chirurgia o sui trattamenti addizionali (es. radio o chemioterapia).
I vari sistemi di stadiazione si sono evoluti nel tempo e presentano elementi comuni, quali:
Sede del tumore primitivo;
Dimensione del tumore e numero di lesioni;
Profondità di invasione ed estensione a tessuti limitrofi;
Coinvolgimento dei linfonodi locoregionali;
Presenza di metastasi a distanza sia linfonodali sia nei vari organi.
Sistema TNM
Sistema di stadiazione riconosciuto ed accettato dall’Unione Internazionale Contro il Cancro è
basato sull’estensione del tumore (T), il coinvolgimento linfonodale locoreginale (N) e la
presenza di metastasi (M). inoltre, nei casi in cui la dimensione del tumore è irrilevante, es. nei
carcinomi di organi cavi o nel melanoma, essa è sostituita dalla misurazione della profondità
dell’invasione.
Il sistema prevede poi di valutare anche l’invasione dei vasi linfatici (L) o ematici (V) e la
presenza o assenza di neoplasia sui margini di resezione chirurgica (R).
Linfonodo sentinella
Si tratta del primo linfonodo che una cellula neoplastica proveniente da un tumore primitivo
incontra. Dunque, la metodica del linfonodo sentinella, tecnica mininvasiva utilizzata ad es. per il
carcinoma della mammella e per il melanoma, permette di predire lo stato istologico dei linfonodi
locoregionali attraverso l’esame del linfonodo che per primo riceve la linfa dall’area in cui è situato
il tumore e che, per questo, è definito sentinella.
Le tecniche per individuare il linfonodo sentinella prevedono l’utilizzo di un tracciante che viene
iniettato nella sede del tumore primitivo il giorno prima dell’intervento chirurgico. Il primo
linfonodo drenante l’area del tumore costituisce proprio il linfonodo sentinella.
Il tessuto adiposo contenente i linfonodi ottenuti dalla linfoadenectomia vengono, poi, fissati in
formalina 10% e inclusi in paraffina, secondo la tecnica standard.
Se, poi, viene evidenziata una metastasi, si programma l’intervento per la dissezione completa del
comparto linfonodale. Se, invece, il linfonodo è negativo, il paziente seguirà l’iter terapeutico
proprio della sua neoplasia.
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