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di Federico Petroni
Dal canto suo, Londra ha proposto di dotare il confine fra le due Irlande – il
principale oggetto del contendere – di soluzioni tecnologiche e quello fra la
Gran Bretagna e l’Ulster di agenti britannici per controllare il commercio e
assicurarsi che rispetti gli standard europei. E soprattutto per evitare di
mantenere il solo Ulster nell’unione doganale europea. Come sarebbe avvenuto
in caso di mancato accordo con l’Ue. Bruxelles appare aperta all’idea e sta
cercando di ottenere il consenso di Dublino.
Il punto è non reintrodurre un limes “duro” fra le due Irlande: la porosità della
frontiera è servita a preservare gli accordi del Venerdì santo del 1998 che hanno
congelato gli scontri nell’isola. Accettare la permanenza di un pezzo del
proprio Stato in un’unione doganale da cui si sta uscendo significherebbe per
Londra staccare ulteriormente l’Irlanda del Nord da sé. Viceversa, ripristinare i
controlli in toto lungo il confine manderebbe in tilt i vigorosi scambi fra le due
entità.
Le sfide non sono solo interne. La Spagna reclama un capitolo sul contenzioso
di Gibilterra all’interno dell’accordo di uscita del Regno Unito dall’Ue.
Inoltre, il Brexit sta rimescolando le carte dell’estroversione dell’economia
britannica. Lo dimostrano due notizie recenti. La prima riguarda Deutsche
Bank, che ritireràdalla City di Londra tre quarti del suo portfolio da 600 miliardi
di euro. La seconda la Cina, la cui UnionPay sceglie il Regno Unito come testa
di ponte per fare concorrenza in tutta Europa ai colossi statunitensi Visa e
Mastercard.