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Fondamenti Di Misurazione - Errori e Incertezza
Fondamenti Di Misurazione - Errori e Incertezza
CAPITOLO I
1
qualità, inoltre occorre imparare a conoscere la strumentazione di base che è
essenzialmente di tipo numerico.
Per eseguire una misura ci si serve di opportuni strumenti costruiti in modo da
rendere semplice l'esecuzione e facile la lettura. A questo scopo si sono molto diffusi in
tutti i campi gli strumenti elettrici, elettronici analogici e digitali. In particolare negli
ultimi trent'anni si è avuto uno straordinario impulso della strumentazione elettronica
digitale, con la diffusione di strumenti accurati, precisi, sensibili, dedicati, intelligenti ed
esperti. Gli strumenti digitali sono estremamente flessibili e questo ha determinato una
loro proliferazione e differenziazione. Inoltre l'avvento dei sensori intelligenti ha
notevolmente e ulteriormente espanso il loro campo di applicazione. In Fig. 1.1 è
mostrato uno schema a blocchi semplificato di un generico strumento digitale singolo. Il
primo elemento della catena di misura è un sensore, ovvero un elemento di un sistema
di misura che è direttamente soggetto all’azione di un fenomeno, di corpi o di sostanze
che trasmettono la grandezza da misurare. Come mostrato in figura il segnale in uscita
al sensore è condizionato prima di essere inviato al convertitore analogico digitale
(ADC) e a una memoria dalla quale poi sono trasmesse le informazioni al sistema di
visualizzazione, il tutto operato in modo automatico tramite un sistema di controllo.
Una misura deve iniziare con un’appropriata specificazione del misurando, del
metodo di misura e della procedura di misura. Per misurando si intende una quantità
soggetta a misura, valutata nello stato assunto dal sistema in osservazione durante la
stessa misura.
Per metodo di misura s’intende la sequenza logica di operazioni, descritte in
modo generico, impiegate nell’esecuzione delle misure.
Per procedura di misura s’intende l’insieme di operazioni, descritte in modo
specifico, utilizzate nell’esecuzione di particolari misure, in accordo a un metodo
prefissato.
Con lo strumento di figura si esegue una misura con metodo diretto. Spesso una
prova consiste nell'esecuzione di diverse misure dirette, ottenute mediante l'uso di
specifici strumenti. Un metodo diretto di misura permette di ottenere il risultato della
misura dalla lettura dello strumento senza necessità di conoscere esplicitamente valori
di altri parametri, eccetto quelli delle grandezze d’influenza, che saranno esaminate nel
capitolo terzo.
Molto più diffusi sono sistemi che prevedono ingressi analogici e digitali multipli. I
sistemi di acquisizione dati hanno la peculiarità di facilità di adattamento al processo
industriale da controllare. Si va sempre più affermando una nuova filosofia di misura
che, partendo dal punto di vista classico di misurare solo una grandezza con uno
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strumento a ciò dedicato, si sta orientando verso un vero e proprio sistema di misura
basato su un calcolatore in grado di elaborare una gran quantità di dati provenienti da
più sensori. A volte dalla combinazione di risultati di misure dirette su parametri
funzionalmente legati al misurando si risale, mediante l'esecuzione di calcoli, al risultato
di una misura, in tal caso si parla di misure indirette o di metodo indiretto di misura.
Qualunque sia la strumentazione utilizzata, l'esecuzione corretta di una misura
richiede sempre la conoscenza dell'unità di misura, della metodologia seguita e di
alcune proprietà della variabile da misurare, oltre che esperienza da parte
dell'operatore. L'operatore nel fornire il risultato della misura dovrà essere sicuro di aver
operato correttamente ed esprimere in forma appropriata il numero, con le sue cifre
significative.
La misurazione è definita dal VIM (International vocabulary of basic and general terms
in metrology) il processo per ottenere sperimentalmente uno o più valori che possono
essere ragionevolmente attribuiti ad una grandezza. Essa richiede teoricamente un
confronto tra una quantità incognita e una nota, assunta come campione. Nessun
risultato di una misura è esente da incertezza. Quando si fornisce il risultato di una
misura, occorre riportare un’indicazione quantitativa sulla qualità del risultato, in modo
che gli utilizzatori possano valutarne la sua attendibilità. Senza tale indicazione è
impossibile confrontare i risultati tra loro o con quelli forniti da uno strumento campione.
È stato quindi necessario standardizzare una procedura per valutare ed esprimere la
sua incertezza. L'incertezza di misura è il parametro, associato al risultato di una
misura, che caratterizza la dispersione dei valori che potrebbero essere
ragionevolmente attribuiti al misurando. Le cause, facilmente intuibili, alle quali
addebitare queste incertezze possono essere:
1. la imperfezione strutturale nei componenti degli strumenti utilizzati;
2. la inadeguatezza del campione di confronto;
3. la limitatezza della scala o del sistema numerico di visualizzazione dello
strumento;
4. fretta o eccessiva sicumera da parte dell'operatore.
D'altra parte il solo fatto di esser obbligati ad inserire uno strumento di misura in
un sistema altera le condizioni iniziali del sistema stesso e non consente la misura del
valore che il misurando assumeva prima dell'inserzione. Il processo di misura disturba il
sistema e altera il valore delle quantità fisiche da misurare. L'entità del disturbo varia
con il tipo di strumento usato per la misura. Lo studio dei mezzi per minimizzare questo
disturbo è uno tra i principali scopi della scienza delle misure.
In letteratura si incontrano correntemente le dizioni di valore vero o valore
convenzionalmente vero, valore atteso e valore teorico a significare il valore della
grandezza che si tende a misurare. La scelta dell'una o dell'altra dizione o di dizione
analoga è stata oggetto di discussioni e dispute filosofiche, che qui non è il caso di
esaminare; si preferirà nel prosieguo far riferimento a quanto riportato nella GUM
“Guide to the expression of uncertainty in measurement” dell’ISO (International
Organization for Standardization) stampata nel 1993, corretta nel 1995, nel seguito
indicata come “Guida”. La Norma europea ENV 13005 del 1999 recepisce l'articolato
della GUM dell'ISO e nel luglio del 2000 è diventata norma italiana sperimentale UNI
CEI ENV 13005 "Guida all'espressione dell'incertezza di misura". In tale Norma alla
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definizione di errore si afferma: "dato che un valore vero non si può determinare, in
pratica si usa un valore convenzionale". In essa si afferma che scopo di una misura è di
determinare il valore (non il valore vero) del misurando.
Oggi si assiste ad una netta distinzione tra un approccio classico (CA "Classical
Approach") alla teoria della misurazione, contrapposto a quello basato sull'incertezza
(UA "Uncertainty Approach"). Questa contrapposizione sta creando, tra quanti si
occupano di misurazioni, una pericolosa spaccatura, che vede da una parte i difensori
del CA e dall'altra i sostenitori dell'UA. Si rischia, proseguendo così le cose, sia di non
far progredire ed affermare i nuovi concetti metrologici, legati all'incertezza, sia di far
perdere un prezioso patrimonio di conoscenze, basato sugli sviluppi che negli anni
passati ha avuto la teoria degli errori. La teoria degli errori ha consentito lo sviluppo di
nuove metodologie scientifiche ed il raggiungimento di eccellenti risultati in diversi
campi del sapere. In particolare la tecnica di minimizzazione degli errori è uno
strumento di indubbia utilità, che continua ad essere giustamente ancora molto usato in
diversi settori della scienza e delle tecnologie.
Prima di eseguire una misura si può avere una stima, A, del valore del misurando.
Questa stima A può essere assunta come valore convenzionalmente vero del
misurando; la sua valutazione può derivare dalla disponibilità di un campione e dalla
conoscenza del suo valore e della sua incertezza, o anche dalla definizione
convenzionale a priori del valore del misurando, o dal valor medio di misure
precedentemente eseguite con cura sullo stesso misurando, o da una indagine
attraverso banche dati su risultati di misure eseguite da altri sullo stesso misurando, o
da altri casi ancora.
Allo scopo anche di operare alcune possibili correzioni alle misure eseguite, è
tradizionalmente risultato utile introdurre il concetto di errore. Il VIM definisce errore la
differenza tra il valore della grandezza misurata e quello di una grandezza di
riferimento, derivante ad esempio da un campione di misura. Gli errori di misura
possono essere espressi come: assoluto, relativo, percentuale.
Nel caso specifico esaminato precedentemente, l'errore assoluto, E, è definito
come la differenza fra il valore misurato, X, e il valore di una grandezza di riferimento
A:
E=X-A (1-1)
è evidente che essendo A solo una stima del valore del misurando, l’errore E è un
concetto idealizzato e non può essere mai conosciuto esattamente, quindi la
correzione non potrà mai essere completa.
Ne deriva che una misura sarà sempre affetta da incertezza. Occorre distinguere
le parole “errore” e “incertezza”, che non sono assolutamente dei sinonimi, ma
rappresentano concetti completamente differenti, come sarà chiarito in seguito. Essi
non devono essere confusi l’uno con l’altro, né scambiati tra loro.
L'errore relativo, e, è definito come il rapporto tra l'errore assoluto, E, e il valore
A:
X −A E
e= ≅ (1-2)
A X
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L'errore percentuale, e%, è definito come l'errore relativo, e, espresso in
percento:
X −A
e% = 100 (1-3)
A
∂f ∂f ∂f
dX = da + db + dc + ............. (1-4)
∂a ∂b ∂c
si può scrivere la seguente relazione tra l'errore assoluto sulla X, Ex, e quelli sulle
grandezze misurabili, Ea, Eb, Ec, ......:
∂f ∂f ∂f
Ex = Ea + Eb + E + ............. (1-5)
∂a ∂b ∂c c
In base all'Eq.1-4 è facile esprimere l'errore relativo sulla X, in funzione degli errori
relativi su a,b,c,..... :
a ∂f b ∂f c ∂f
ex = ea + eb + ec + ............. (1-6)
X ∂a X ∂b X ∂c
Ax = X(1-ex) (1-7)
l'ultima uguaglianza deriva dal fatto che il prodotto eaeb risulta trascurabile rispetto ai
singoli fattori ea ed eb. Dal confronto tra l'Eq.1-7 e l'Eq.1-8 si ottiene la seguente
uguaglianza:
e x = ea + eb (1-9)
5
Si può pertanto affermare che l'errore relativo di una grandezza X, ottenuta dal
prodotto di due grandezze misurabili a e b, è dato dalla somma degli errori relativi di a e
b. Lo stesso risultato poteva ottenersi dall'applicazione dell'Eq.1-6. Infatti:
ab ba
ex = ea + eb = ea + eb
X X
Il risultato ottenuto può essere facilmente esteso ad altri casi analoghi. Ponendo
a=b si ha che l'errore relativo su un quadrato è due volte l'errore relativo sulla base.
Se si considera X grandezza misurata e a grandezza incognita, si ha che l'errore
relativo su una radice quadrata è la metà dell'errore relativo sul radicando. Inoltre
l'errore relativo su un prodotto di più fattori è dato dalla somma degli errori relativi
sui singoli fattori. Così l'errore relativo su una potenza con esponente n è pari a n
volte l'errore relativo sulla base, il che è valido per valori di n sia positivi sia negativi.
Applicando l'Eq.1-6, ovvero il principio di sovrapposizione degli errori, al rapporto
X=a/b, si ha:
a ba
ex = ea − 2 eb = ea − eb (1-10)
Xb Xb
dalla quale si ricava che l'errore relativo su un rapporto è dato dalla differenza degli
errori relativi su dividendo e divisore. Poiché spesso accade in pratica che gli errori
relativi non siano noti con esattezza in entità e segno, se ne fissano i limiti che
delimitano la fascia di incertezza. Si preferisce quindi in genere fornire una stima del
valore massimo dell'errore relativo, ponendosi nell'ipotesi del "caso peggiore" e
sommando i moduli dei due errori relativi. Alternativo al criterio del "caso peggiore" è
quello del "valore più probabile", che consiste nel calcolo della radice quadrata della
1/2
somma dei quadrati dei valori più grandi degli errori relativi: (ea2+ eb2) . Questa
quantità è maggiore di ea o di eb, ma minore della loro somma.
Si consideri ora la somma di due grandezze X=a+b; dall'applicazione dell'Eq.1-6
si ha:
a ea + b eb
ex = (1-11)
a+b
aea − beb
ex = (1-12)
a −b
L'Eq.1-12 si modifica nel caso in cui si applichi il criterio del caso peggiore nella
seguente espressione:
a ea + b eb
ex = (1-13)
a −b
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in base alla quale l'errore relativo su una grandezza ottenuta per differenza è tanto
maggiore quanto più le grandezze misurabili a e b sono vicine tra loro. Ne risulta che un
metodo di misura basato sulla differenza fra due grandezze misurabili va applicato solo
in casi particolari.
C = - ES (1-14)
una stima corretta del valore del misurando si potrà ottenere dalla relazione:
A=X+C (1-15)
È ora opportuno sottolineare che l’incompleta conoscenza del valore richiesto per
la correzione contribuisce all’incertezza del risultato e che il risultato della misura, dopo
la correzione, è ancora solo una stima del valore del misurando a causa dell’incertezza,
dovuta sia all’imperfetta correzione, sia alla presenza degli effetti accidentali. Dopo la
correzione il risultato di una misura potrebbe essere molto vicino al valore del
misurando, ovvero l’errore sistematico residuo potrebbe essere molto piccolo, ma
l’incertezza di misura potrebbe essere molto grande, in quanto i fattori che la
determinano (come per esempio l'incertezza sulla correzione effettuata) non vanno
confusi con gli errori. Per dirla in altri termini, l’incertezza del risultato di una misura
non va confusa con l’errore sistematico residuo non corretto.
Per stabilire in modo compiuto il valore del segnale di uscita di uno strumento di misura,
di un sensore, in condizioni di regime stazionario del misurando occorre che sia nota
una serie di parametri che definiscono le caratteristiche metrologiche in regime
permanente. La più importante fra queste caratteristiche è la curva di taratura o
calibrazione. Purtroppo spesso si fa confusione tra taratura e regolazione della
caratteristica, per cui nel seguito si cercherà di chiarire la loro differenza. Per taratura o
calibrazione si intende l’operazione che, in condizioni specificate, in una prima fase
stabilisce una relazione tra i valori della grandezza misurata con dei campioni di misura
(tenendo conto delle loro incertezze di misura) e le corrispondenti indicazioni dello
strumento o del sensore, con associate le sue incertezze strumentali, e in una seconda
fase utilizza questa informazione per stabilire una relazione, che consenta di ottenere il
risultato di misura da un’indicazione dello strumento. Attraverso la taratura si determina
l’incertezza strumentale dello strumento o del sensore, valutata in genere come
semi ampiezza dell’intervallo di massimo scostamento tra i valori del misurando
corrispondenti ad una stessa indicazione dello strumento o del sensore. Perché la
taratura sia effettuata correttamente l’incertezza strumentale deve essere grande in
confronto con le incertezze di misura associate ai valori della grandezza ottenuti dai
campioni di misura. Il costruttore è tenuto ad indicare le condizioni operative di
riferimento definite come quelle prescritte per la valutazione delle prestazioni del
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dispositivo o per il confronto dei risultati di misura. La specifica delle condizioni
operative durante la taratura richiede che siano forniti gli intervalli dei valori sia del
misurando sia delle grandezze d’influenza.
L’espressione grafica, per esempio su un piano cartesiano, della relazione tra
l’indicazione dello strumento, posta su un asse, e il corrispondente risultato di misura,
posto sull’altro asse, è definita come diagramma di taratura. In genere ad una stessa
indicazione dello strumento corrispondono diversi valori della grandezza misurata, i cui
valori limite superiori ed inferiori definiscono la fascia d’incertezza (a volte
erroneamente denominata banda d’errore) e permettono la valutazione dell’incertezza
strumentale dello strumento. Per eseguire la taratura si deve disporre di un generatore
variabile del misurando, in grado di fornire valori in tutto il campo di misura del
dispositivo, e di uno strumento di misura, assunto come campione e, quindi, con
un’incertezza strumentale molto minore di quella del dispositivo in prova. Si fa variare il
misurando entro tutto il campo di misura del dispositivo e si ripete il ciclo diverse volte,
registrando su un grafico e in una tabella per ogni indicazione del dispositivo la
corrispondente misura fornita dallo strumento assunto come campione. Per facilitare la
raccolta dei dati si possono fissare in genere da otto a dodici valori dell’indicazione del
dispositivo e si opera sul generatore variabile finché non si abbiano quelle indicazioni in
uscita al dispositivo, in corrispondenza delle quali si registrano le misure fornite dallo
strumento campione. Si eviti di fissare, in modo alternativo, i valori del misurando e di
registrare le corrispondenti indicazione del dispositivo, in quanto queste hanno meno
cifre significative dello strumento campione. Raccordando i punti superiori del grafico, in
corrispondenza delle diverse indicazioni del dispositivo precedentemente fissate, e i
punti inferiori, si delineano due curve che delimitano la fascia d’incertezza. All’interno di
tale fascia d’incertezza si può ricavare una relazione biunivoca, in modo tale che ad una
indicazione del dispositivo corrisponda uno ed un sol valore della grandezza misurata,
generalmente il valor medio fra quelli relativi ad ogni singola indicazione del dispositivo.
Questa curva è definita curva di taratura e non dà indicazioni sull’incertezza.
Pertanto quando si fornisce la curva di taratura ad essa va associata l’incertezza
strumentale del dispositivo o una tabella di taratura o una serie di funzioni che
consentano di delimitare la fascia d’incertezza. In realtà l’utente è interessato
principalmente a conoscere l’incertezza strumentale del dispositivo sull’intero campo di
misura. Il costruttore quindi in genere fornisce semplicemente il valor massimo della
semi ampiezza della fascia d’incertezza, esprimendo tale incertezza strumentale o in
valore assoluto o in valori percentuali riferiti alla portata o valore di fondo scala (%
FSO). Il diagramma e la curva di taratura forniscono informazioni sul comportamento
del dispositivo in condizioni di regime permanente. Quando la curva di taratura è
riconducibile ad una retta, il dispositivo è caratterizzato da un’unica costante che lega
ingresso e uscita, denominata costante di taratura del dispositivo.
Uno strumento e un sensore ideali presentano una relazione tra ingresso e uscita
ben definita data da una curva di taratura teorica, che, come si è detto, può essere
fornita dal costruttore in forma di equazione matematica, di grafico o di tabella di valori.
La curva teorica ideale è quella rappresentata da una linea retta. Lo scostamento della
curva reale da quella ideale è dovuto a varie cause di errore, le più frequenti fra le quali
sono la non linearità, la deviazione dallo zero e le variazioni di sensibilità. La
conoscenza degli effetti di queste cause di errore può consentire di effettuare la loro
correzione mediante un’opportuna regolazione e quindi di aumentare la veridicità delle
misure.
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Si è detto che il legame y=f(x) tra il misurando x e l’indicazione dello strumento o
sensore y in condizioni di regime stazionario potrebbe essere rappresentato da una
costante, condizione auspicabile, in quanto presupporrebbe una relazione lineare tra i
segnali d’ingresso e di uscita, rendendo applicabile l’importante principio di
sovrapposizione degli effetti. L’importanza di avere una relazione lineare tra misurando
e indicazione è tale che, come sarà meglio evidenziato nel paragrafo successivo,
spesso gli strumenti o semplicemente i sensori sono dotati di una serie di componenti
aggiuntivi per la linearizzazione della caratteristica. Le relazioni fra i due segnali
possono essere scritte nel modo seguente:
y=kx x = kt y
1 n
X= ∑ Xi
n i =1
(1-17)
Nel calcolo della media a volte può essere conveniente attribuire maggiore rilievo
a delle misure più attendibili o maggiormente significative. Allo scopo si moltiplica
ciascuna misura per un appropriato fattore peso, wi, e si divide la somma di questi
prodotti per la somma dei fattori peso ottenendo una media pesata , X p:
∑w X i i
Xp = i =1
n
(1-18)
∑w
i =1
i
Si noti che l'Eq.1-18 coinciderebbe con l'Eq.1-17 nel caso in cui tutti i pesi fossero
uguali. Si può utilizzare come i-esimo peso la quantità 1/2ui2, dove ui è l'incertezza
relativa della i-esima misura.
In base alle considerazioni fatte sugli errori, prescindendo momentaneamente
dall’incertezza di misura, indicati con Esi e Eai gli errori sistematici e accidentali relativi
alla i-esima misura, questa potrebbe essere scritta nel modo seguente:
1 n 1 n
X = A+ ∑ si n ∑
n i =1
E +
i =1
Eai (1-20)
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Gli errori accidentali Eai rappresentano una tipica variabile aleatoria con valor
medio che si approssima a zero per n che tende all'infinito.
Dall'Eq.1-20 si ricava quindi che la media aritmetica di un insieme di misure è una
stima del valore del misurando, tanto migliore quanto maggiore è il numero di misure e
quanto più sono stati corretti gli errori sistematici.
Si noti inoltre che l'Eq.1-20 si può esprimere anche nella forma:
1 n
X −A= ∑ Esi
n i =1
(1-21)
La differenza fra il valor medio e la stima A del misurando si definisce "bias", che
ha una difficile traduzione in italiano, da alcuni è tradotto come polarizzazione, da altri
distorsione ed è un indice dell'inaccuratezza di una misura.
La polarizzazione rappresenta la media degli errori sistematici e sarà tanto più
piccola, quanto migliori saranno le correzioni apportate alle misure. Essa è detta anche
errore sistematico e con il segno meno rappresenta la correzione totale da apportare
alle misure per migliorarne l’accuratezza. Tale correzione è sempre accompagnata da
una propria incertezza.
La dispersione delle misure intorno al valor medio si può valutare introducendo la
definizione di deviazione della misura Xi come la seguente differenza:
di = Xi - X (1-22)
1 n 1 n 1 n
∑ i n∑
n i =1
d =
i =1
( X i − X ) = ∑ Xi − X = 0
n i =1
(1-23)
e quindi non può essere un indice della dispersione. Si può ovviare a ciò considerando
la deviazione media come la media dei valori assoluti delle deviazioni:
1 n 1 n
α = ∑ di = ∑ X i − X (1-24)
n i =1 n i =1
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1 n 2 1 n
σ≅ ∑
n i =1
d i = ∑
n i =1
( X i − X )2 (1-25)
Si definisce invece come varianza del campione delle misure il quadrato della
deviazione standard, ovvero la somma delle deviazioni quadratiche delle misure dal loro
valor medio diviso per il numero delle misure:
1 n 2 1 n
σ2 ≅ ∑ di = n ∑
n i =1 i =1
( X i − X )2
(1-26)
la presenza del segno di all’incirca uguale presente nelle Eq.1-25 e Eq.1-26 deriva dal
fatto che la varianza di un campione di una popolazione così come la deviazione
standard, definite dalle precedenti equazioni, rappresentano stime distorte dei loro
valori attesi. Infatti il numero di deviazioni indipendenti ovvero il grado di libertà non
è ν=n bensì ν=n -1, in quanto per il calcolo della deviazione standard e della varianza
occorre valutare la media, servendosi dello stesso insieme di dati. I gradi di libertà di
una variabile aleatoria o di una statistica in genere, esprimono il numero di dati
effettivamente disponibili per valutare la quantità d'informazione contenuta nella
statistica. Infatti, quando un dato non è indipendente, l'informazione che esso fornisce è
già contenuta implicitamente negli altri. È possibile quindi calcolare le statistiche
utilizzando soltanto il numero di osservazioni indipendenti, consentendo in questo modo
di ottenere stime non distorte dei risultati. Il concetto di gradi libertà fu introdotto in
statistica da Ronald Fisher negli anni 1920. Stime non distorte della deviazione
standard e della varianza sono date dalle seguenti espressioni:
1 n
s= ∑ ( X i − X )2
n − 1 i =1
(1-27)
1 n
s2 = ∑ ( X i − X )2
n − 1 i =1
Esse sono note anche come stime corrette di Bessel. La sostituzione di n con n-1
non ha importanza pratica, in quanto, per avere una buona precisione, n deve essere
abbastanza grande, come in genere accade. È bene sottolineare, in base all'Eq.1-27,
che sia la deviazione standard sia la varianza decrescono al ridursi degli errori
accidentali, il che chiarisce l'importanza dell'approccio statistico per la minimizzazione di
questi errori e per ridurre l'incertezza
La varianza è anche comunemente indicata come scarto quadratico medio.
Si definisce momento centrale di ordine q la media aritmetica della potenza q-
esima della differenza tra i valori misurati e la loro media:
1 n
∑
n i =1
( X i − X )q (1-28)
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È evidente in base alle equazioni precedenti che il momento centrale di ordine 1 è
uguale a zero e che la varianza di un campione di misure è il momento centrale di
ordine 2 del campione stesso.
dove Xic è il valor medio delle misure nell'intervallino ΔXi. La media risulta pertanto
indipendente dal numero n di prove eseguite. In base all'Eq.1-29 si può affermare che la
media di una serie di eventi ripetibili è una media pesata i cui pesi sono rappresentati
dalle frequenze relative fi. Nel caso in cui i risultati siano raggruppati in classi, si
assumerà per Xic, da porre nell'Eq.1-29, come si è detto il valor medio dei risultati
relativi alla generica classe o intervallino ΔXi. La deviazione media, la deviazione
standard e la varianza assumono le seguenti espressioni:
k k
α ≅ ∑ f i X ic − X σ≅ ∑ f i ( X ic − X ) 2 σ 2 ≅ ∑ f i ( X ic − X ) 2 (1-30)
i i =1 i =1
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In genere le frequenze relative variano con il numero delle prove eseguite e
tendono ad assumere valori sempre più stabili quanto più n aumenta, fino ad un valore
limite ben definito detto probabilità dell'evento.
Indicato con X un evento qualsiasi dell'insieme S di eventi aleatori, la probabilità
che si verifichi l'evento X è sempre compresa tra 0 e 1. La probabilità di tutti gli eventi è
la certezza:
0< Pr(X) < 1 Pr(S) = 1 (1-31)
TABELLA 1-1
x pi xpi
1/36 1/18
1/18 3/18
1/12 1/3
1/9 5/9
5/36 5/6
1/6 7/6
5/36 10/9
1/9 1
1/12 5/6
1/18 11/18
1/36 1/3
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⎧⎪ p quando x = xi ( i = 1, 2,3,...., n )
p ( x) = ⎨ i (1-32)
⎪⎩0 altrove
∑ p( x ) = 1
i =1
i (1-33)
In Tabella 1-1 sono riportate le probabilità relative ai risultati del lancio di due dadi. Si
può verificare facilmente che la somma di tutte le probabilità è pari ad 1.
Si ipotizzi ora che X sia una variabile aleatoria continua, in tal caso è necessario
introdurre una nuova funzione, la densità della distribuzione di probabilità o,
brevemente, funzione densità di probabilità, definita come la derivata della funzione
di distribuzione: p(x)=dF(x)/dx, per cui:
x
F ( x) = ∫ p( x)dx
−∞
(1-36)
la funzione densità di probabilità è indicata a volte anche con f(x). In base all'Eq.1-36 si
ha:
∞
∫ p( x)dx = 1
−∞
(1-37)
la probabilità è uguale all'area sottesa dalla curva della densità p(x) compresa tra x e
x+ Δx.
La funzione densità di probabilità, se nota a priori completamente o parzialmente,
può essere utilizzata per migliorare la precisione della misura e anche per ridurre
l'incertezza.
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Essa è stata considerata una funzione continua, in cui la variabile x può
assumere tutti i valori nel campo ⎪−∞, ∞⎪, il che contrasta con il campione limitato da
cui si è partiti.
In realtà un numero finito di osservazioni può essere considerato solo un
campione di un insieme infinito che presenta una certa funzione densità di probabilità.
L'istogramma delle probabilità di occorrenza degli eventi relativi al campione è una
approssimazione della curva p(x) e il grado di approssimazione dipende dal numero di
prove e dall'ampiezza in cui i risultati sono raggruppati.
Per distinguere i risultati ottenuti con un piccolo numero di prove da quelli relativi ad
un numero molto grande, si usa considerare i risultati derivanti da un numero limitato di
prove come una stima di queste funzioni.
In termini statistici il valore atteso, o speranza matematica, o semplicemente
l’aspettazione, o la media statistica di una variabile aleatoria discreta {xi} si esprime
simbolicamente come E[xi]. A tale funzione si applicano le stesse proprietà della
sommatoria per le variabili discrete e dell'integrale per le variabili continue:
k
μ x = E [ X ] = ∑ pi xi (1-39)
i =1
∞
μx = E [ X ] = ∫ xp( x)dx (1-40)
−∞
∞ ∞ ∞
α= ∫ x − μ p( x)dx σ= ∫ ( x − μ ) p( x)dx σ2 = ∫ (x − μ) (1-41)
2 2
p( x)dx
−∞ −∞ −∞
Si noti quindi che per il calcolo delle aspettazioni è necessario conoscere, per
variabili aleatorie discrete, la funzione di probabilità di massa, per variabili aleatorie
continue, la funzione densità di probabilità.
Si è detto che la media aritmetica rappresenta una stima del valore del
misurando quando siano stati corretti gli errori sistematici correggibili. È bene precisare
che mentre la media aritmetica è una stima dell’aspettazione μ, la grandezza A, che
compare nell’Eq.1.1, è una stima dell’aspettazione del misurando.
25
Si consideri un intervallo (a,b) della variabile aleatoria X, si dice che la funzione di
distribuzione è uniforme se la probabilità Pr(X≤x) aumenta in modo uniforme al
crescere di x tra a e b:
⎧0 x<a
⎪x−a
⎪
F ( x) = ⎨ a< x≤b (1-42)
⎪ b − a
⎪⎩1 x>b
e presenta quindi una funzione densità di probabilità data da:
⎧0 x<a
⎪ 1
⎪
p ( x) = ⎨ a< x≤b (1-43)
⎪b − a
⎪⎩0 x>b
In Fig.1.5 è riportato l'andamento di tale funzione
b2 − a 2 a + b
b
1
b − a ∫a
μ= xdx = =
2(b − a ) 2
b b−μ
1 1
σ = ∫ ( x − μ ) 2 dx = ∫ x12 dx1 =
2
b−a a b − a a−μ
(1-44)
(b − μ ) − (a − μ )
3 3
1 ⎡⎛ b − a ⎞3 ⎛ b − a ⎞3 ⎤
= = ⎢⎜ ⎟ +⎜ ⎟ ⎥
3(b − a ) 3(b − a ) ⎣⎢⎝ 2 ⎠ ⎝ 2 ⎠ ⎦⎥
(b − a ) 2
=
12
26
Più tardi, in modo autonomo, essa fu ricavata da Laplace e da Gauss, dal quale
prende il nome. Fu Gauss che l'applicò per primo alla distribuzione degli errori
accidentali su dati astronomici e scientifici in genere.
La distribuzione di Gauss ha grande importanza pratica, nel campo della teoria
degli errori e delle incertezze, per diverse ragioni. In particolare essa descrive, in molti
gruppi di misure effettuate in diversi campi, la distribuzione degli errori aleatori e
permette la valutazione di tipo A delle incertezze.
Per questo motivo essa prende anche il nome di funzione errore normale.
La distribuzione di Gauss da alcuni è considerata un risultato derivato
matematicamente da considerazioni elementari, da altri una formula empirica che bene
si raccorda con la teoria degli errori aleatori. Questo secondo punto di vista appare, pur
se pragmatico, sostenuto dal fatto che molti insiemi di osservazioni sperimentali
presentano una distribuzione degli errori aleatori che è bene approssimata dalla curva
di Gauss.
D'altra parte è bene sottolineare che una distribuzione binomiale approssima
molto bene la curva di errore normale quando n è molto grande, anche se vi è la
differenza sostanziale che la distribuzione binomiale è discreta, mentre quella normale
è continua.
La distribuzione di Gauss ha per funzione densità:
p( x) = ke− h ( x − m )2
2
(1-45)
∞ ∞
k
∫ ke dx = ∫ e − z dz = 1
− h2 ( x − m )2 2
−∞
h −∞
∫ e dz = π
−z 2
−∞
si ricava:
h
k= (1-46)
π
27
Per la simmetria della curva tracciata in Fig.1.6 è ovvio che m coincide con la
media della distribuzione, ma ciò può essere verificato matematicamente, in base
all’Eq.1-40:
∞ ∞ ∞
h 1 z
μ= ∫ ∫ ∫ h
− h 2 ( x − m )2 − z2
xp ( x)dx = xe dx = ( + m ) e dz =
−∞ π −∞ π −∞
∞ ∞
1
z − z2 m m
∫h ∫ e dz = π =m
−z
= +
2
e dz
π −∞ π −∞ π
Nell'equazione precedente l'integrale
∞
∫ z e − z dz = 0
2
−∞
è nullo per la simmetria della funzione p(x) rispetto a m. Il calcolo della varianza
procede in modo analogo; in base alla terza espressione dell'Eq.1-41 si ha:
∞ ∞
h
∫ ( x − μ ) p( x)dx = ∫ (x − μ) e
− h 2 ( x − μ )2
σ2 = 2 2
dx =
−∞ π −∞
∞
1 1 π 1
= ∫ z 2 e − z dz = =
2
h 2
π −∞ h 2
π 2 2h 2
da cui si ricava:
1
σ= (1-47)
h 2
1
p( x) = e − ( x − μ ) / 2σ
2 2
(1-48)
σ 2π
Questa funzione è rappresentativa di una distribuzione normale della variabile x
la cui deviazione standard è σ.
28
Fig.1.6 Funzione di densità di probabilità Fig.1.7 Curve di densità di probabilità
e quindi la probabilità che una misura cada nell’intervallo compreso tra due valori x1 e
x2:
x2
1
∫e
− ( x − μ ) 2 / 2σ 2
Pr( x1 < X ≤ x2 ) = F ( x2 ) − F ( x1 ) = dx (1-50)
σ 2π x1
pari all'area sottesa dalla curva p(x) fra le suddette ascisse. L'integrale presente
nell'Eq.1-49 ed Eq.1-50 non può essere calcolato con i metodi elementari, ma può
essere espresso come differenza di due integrali del seguente tipo:
z z2
1 −
Φ( z ) =
2π
∫e
−∞
2
dz (1-51)
29
che è la funzione di distribuzione normale standard ovvero la distribuzione normale
con media 0 e varianza 1, le cui soluzioni, ottenute mediante approssimazioni
numeriche, sono tabulate. In base all'Eq.1-50 ed Eq.1-51, posto z1=(x1-μ)/σ e z2= (x2-
μ)/σ, si può verificare che sussiste l'importante relazione:
30
TABELLA 1-2
0.01 5040 0.61 7291 1.21 8869 1.81 9649 2.41 9920
0.02 5080 0.62 7324 1.22 8888 1.82 9656 2.42 9922
0.03 5120 0.63 7357 1.23 8907 1.83 9664 2.43 9925
0.04 5160 0.64 7389 1.24 8925 1.84 9671 2.44 9927
0.05 5199 0.65 7422 1.25 8944 1.85 9678 2.45 9929
0.06 5239 0.66 7454 1.26 8962 1.86 9686 2.46 9931
0.07 5279 0.67 7486 1.27 8980 1.87 9693 2.47 9932
0.08 5319 0.68 7517 1.28 8997 1.88 9699 2.48 9934
0.09 5359 0.69 7549 1.29 9015 1.89 9706 2.49 9936
0.1 5398 0.7 7580 1.3 9032 1.9 9713 2.5 9938
0.11 5438 0.71 7611 1.31 9049 1.91 9719 2.51 9940
0.12 5478 0.72 7642 1.32 9066 1.92 9726 2.52 9941
0.13 5517 0.73 7673 1.33 9082 1.93 9732 2.53 9943
0.14 5557 0.74 7704 1.34 9099 1.94 9738 2.54 9945
0.15 5596 0.75 7734 1.35 9115 1.95 9744 2.55 9946
0.16 5636 0.76 7764 1.36 9131 1.96 9750 2.56 9948
0.17 5675 0.77 7794 1.37 9147 1.97 9756 2.57 9949
0.18 5714 0.78 7823 1.38 9162 1.98 9761 2.58 9951
0.19 5753 0.79 7852 1.39 9177 1.99 9767 2.59 9952
0.2 5793 0.8 7881 1.4 9192 2 9772 2.6 9953
0.21 5832 0.81 7910 1.41 9207 2.01 9778 2.61 9955
0.22 5871 0.82 7939 1.42 9222 2.02 9783 2.62 9956
0.23 5910 0.83 7967 1.43 9236 2.03 9788 2.63 9957
0.24 5948 0.84 7995 1.44 9251 2.04 9793 2.64 9959
0.25 5987 0.85 8023 1.45 9265 2.05 9798 2.65 9960
0.26 6026 0.86 8051 1.46 9279 2.06 9803 2.66 9961
0.27 6064 0.87 8078 1.47 9292 2.07 9808 2.67 9962
0.28 6103 0.88 8106 1.48 9306 2.08 9812 2.68 9963
0.29 6141 0.89 8133 1.49 9319 2.09 9817 2.69 9964
0.30 6179 0.90 8159 1.50 9332 2.10 9821 2.70 9965
0.31 6217 0.91 8186 1.51 9345 2.11 9826 2.71 9966
0.32 6255 0.92 8212 1.52 9357 2.12 9830 2.72 9967
0.33 6293 0.93 8238 1.53 9370 2.13 9834 2.73 9968
0.34 6331 0.94 8264 1.54 9382 2.14 9838 2.74 9969
0.35 6368 0.95 8289 1.55 9394 2.15 9842 2.75 9970
0.36 6406 0.96 8315 1.56 9406 2.16 9846 2.76 9971
0.37 6443 0.97 8340 1.57 9418 2.17 9850 2.77 9972
0.38 6480 0.98 8365 1.58 9429 2.18 9854 2.78 9973
0.39 6517 0.99 8389 1.59 9441 2.19 9857 2.79 9974
0.40 6554 1.00 8413 1.60 9452 2.20 9861 2.80 9974
0.41 6591 1.01 8438 1.61 9463 2.21 9864 2.81 9975
0.42 6628 1.02 8461 1.62 9474 2.22 9868 2.82 9976
0.43 6664 1.03 8485 1.63 9484 2.23 9871 2.83 9977
0.44 6700 1.04 8508 1.64 9495 2.24 9875 2.84 9977
0.45 6736 1.05 8531 1.65 9505 2.25 9878 2.85 9978
0.46 6772 1.06 8554 1.66 9515 2.26 9881 2.86 9979
0.47 6808 1.07 8577 1.67 9525 2.27 9884 2.87 9979
0.48 6844 1.08 8599 1.68 9535 2.28 9887 2.88 9980
0.49 6879 1.09 8621 1.69 9545 2.29 9890 2.89 9981
0.5 6915 1.1 8643 1.7 9554 2.3 9893 2.9 9981
0.51 6950 1.11 8665 1.71 9564 2.31 9896 2.91 9982
0.52 6985 1.12 8686 1.72 9573 2.32 9898 2.92 9982
0.53 7019 1.13 8708 1.73 9582 2.33 9901 2.93 9983
0.54 7054 1.14 8729 1.74 9591 2.34 9904 2.94 9984
0.55 7088 1.15 8749 1.75 9599 2.35 9906 2.95 9984
0.56 7123 1.16 8770 1.76 9608 2.36 9909 2.96 9985
0.57 7157 1.17 8790 1.77 9616 2.37 9911 2.97 9985
0.58 7190 1.18 8810 1.78 9625 2.38 9913 2.98 9986
0.59 7224 1.19 8830 1.79 9633 2.39 9916 2.99 9986
0.6 7257 1.2 8849 1.8 9641 2.4 9918 3 9987
31
1.15 DEVIAZIONE STANDARD DELLA MEDIA
1 m n 2
σ2 = ∑∑ d ji
mn j =1 i =1
(1-54)
1 m 2
σ = ∑ Dm j
2
m (1-55)
m j =1
1 n 1 n 1 n
Dm j = X j − μ = ∑ X ji − μ = ∑ ( X ji − μ ) = ∑ d ji (1-56)
n i =1 n i =1 n i =1
32
1 m ⎛⎜ 1 n ⎞2 1 m⎛ n ⎞2 1 m n 2 s2
σ 2m = ∑ ⎜ ∑ d ji ⎟ =
⎟ ∑ ∑ d = mn 2 ∑ ∑ d ji = n
⎜ ⎟ (1-57)
m j= 1⎝ n i=1 ⎠ mn2 j= 1⎜⎝ i =1 ji ⎟⎠ j= 1i= 1
σ
σm = (1-58)
n
s2 ( X i ) 1 n
s2 ( X ) =
n
= ∑ ( X i − X )2
n(n − 1) i =1
(1-59)
n
s( X i ) 1
s( X ) =
n
=
n ( n − 1)
∑
i =1
( X i − X )2 (1-60)
33
1.16 DEFINIZIONE E CALCOLO DELL’INCERTEZZA
34
n
s( X i ) 1
u ( x) = s ( X ) =
n
=
n ( n − 1)
∑
i =1
( X i − X )2
(1-61)
s2 ( X i ) 1 n
u 2 ( x) = s 2 ( X ) =
n
= ∑
n(n − 1) i =1
( X i − X )2
35
è definita come un particolare multiplo di una deviazione standard, l’incertezza standard
u(x) si calcola semplicemente dal valore dichiarato diviso il moltiplicatore della
deviazione standard, mentre la varianza stimata u2(x) è il quadrato di tale rapporto.
A volte l’incertezza indicata nelle specifiche che accompagnano uno strumento è
data da un intervallo con il suo livello di confidenza. Qualora non sia dichiarato il tipo di
distribuzione si può ipotizzare che questa sia di tipo normale e quindi ricostruire
l’incertezza standard, dividendo l’incertezza dichiarata per il fattore appropriato relativo
alla distribuzione normale, riportato in Tab.1.3.
Così, se per esempio si afferma in un foglio di accompagnamento dello strumento
che la grandezza X può cadere con uguale probabilità all’interno o all’esterno
dell’intervallo compreso tra a e b (ovvero che la probabilità che X giaccia all’interno
dell’intervallo è del 50%) e si ritiene che la distribuzione dei valori possibili di X sia
normale, si può prendere come migliore stima x di X il punto medio dell’intervallo
x=(a+b)/2 e come incertezza standard u(x)=1,49(b-a)/2 (infatti per una distribuzione
normale un intervallo di confidenza μ±0,67σ, ha un livello di confidenza del 50%,
pertanto: a=μ-0,67σ; b=μ+0,67σ; σ =(1/0,67)(b-a)/2 ).
Un altro caso che si può presentare frequentemente è quello in cui siano noti
semplicemente i limiti superiore, b, e inferiore, a, dell’intervallo nel quale la probabilità
che il valore di X cada è pari a 1, ai fini pratici, mentre è praticamente zero quella che
ne cada al di fuori. Se non vi è altra informazione sulla distribuzione di X all’interno
dell’intervallo si può solo ipotizzare una distribuzione uniforme o rettangolare. In tal
caso la stima x coincide con l’aspettazione o speranza di X ed è il punto medio
dell’intervallo, mentre il quadrato dell’incertezza è dato dalla varianza secondo l’Eq.1-
70:
a+b (b − a) 2
x= u 2 ( x) = (1-62)
2 12
Un esempio di questo tipo di distribuzione può essere dato nel caso della
risoluzione di un’indicazione digitale. Se s’ipotizza che misure ripetute fossero tutte
identiche, l’incertezza della misura attribuibile alla ripetibilità non sarebbe zero, in
quanto vi è un insieme di segnali d’ingresso, all’interno di un intervallo noto, che
produce la stessa indicazione in uscita.
Se la risoluzione dello strumento è Δx, il valore della sollecitazione che produce
un’indicazione data X può giacere con uguale probabilità in qualunque punto
dell’intervallo compreso tra i valori X-Δx/2 e X+Δx/2. La sollecitazione è allora descritta
da una distribuzione di probabilità rettangolare di ampiezza Δx con varianza
2
u2(x)=(Δx) /12 e incertezza standard u(x)=0,29Δx per qualsiasi indicazione.
Un altro esempio si ha nel caso di arrotondamento o troncamento di numeri che si
verifica nell’elaborazione automatica dei dati su calcolatore. Se per esempio un
calcolatore ha una lunghezza di parola di 16 bit e nel corso dell’elaborazione un numero
è sottratto da un altro da cui differisce solo nel sedicesimo bit, resta un solo bit
significativo.
36
1.16.3 Raccomandazioni sull’incertezza
È importante sottolineare che le incertezze non possono essere classificate come
gli errori in sistematiche e accidentali (o aleatorie), né si può associare a un errore
sistematico una valutazione di Tipo B dell’incertezza, né a un errore accidentale una
valutazione di Tipo A dell’incertezza. Infatti l’incertezza associata all’effettuazione di una
correzione e quindi a un errore sistematico può essere valutata con i metodi
caratteristici di Tipo A o anche con quelli di Tipo B. Così viceversa l’incertezza
associata a un errore accidentale può essere valutata con i metodi tipici di Tipo B,
invece che con quelli di Tipo A.
Proprio allo scopo di evitare queste possibili fonti di confusione, si classificano i
metodi per valutare le componenti dell’incertezza piuttosto che le componenti stesse.
È bene sottolineare che la classificazione delle modalità di valutazione
dell’incertezza in due tipi ha solo utilità didattica, non essendoci differenza nella natura
dell’incertezza calcolata nei due modi sopra indicati, infatti come si è visto entrambi i tipi
di valutazione sono basati su distribuzioni di probabilità e le componenti dell’incertezza
risultanti da ambedue i metodi sono quantificate mediante varianze o deviazioni
standard.
Un’incertezza con valutazione di Tipo A è ottenuta da una funzione densità di
probabilità derivata da una distribuzione di frequenza osservata, mentre un’incertezza
con valutazione di Tipo B è ottenuta da una funzione densità di probabilità ipotizzata
sulla base del grado di fiducia nel verificarsi di un evento, sovente chiamata probabilità
soggettiva. Ambedue i metodi utilizzano le conoscenze statistiche precedentemente
esaminate ed altre note in letteratura.
Nell’ipotesi che per il calcolo dell’incertezza della stima x di una misura ci si sia
avvalsi di valutazioni sia di Tipo A sia di Tipo B, si deve procedere alla loro
combinazione in un unico valore di incertezza standard u(x), a volte con l’indicazione di
una stima della sua incertezza.
Indicati per semplicità di trattazione con uA(x) e uB(x) le incertezze standard con
valutazioni di Tipo A e B e le varianze con i quadrati delle stesse grandezze,
l’incertezza totale sulla stima x sarà data da:
u ( x) = u A2 + u B2 (1-63)
37
dalla media aritmetica, X , che è il valore più prossimo all'aspettazione, μX, di
quell'insieme di misure effettuate sullo stesso misurando.
La stima del misurando, X , sarà tanto migliore quanto più saranno stati corretti gli
errori sistematici, in quanto in tal caso essa si avvicinerà ad A e quindi a μA. Cioè si
hanno due valori conoscibili X ed A appartenenti entrambi a due distribuzioni di
probabilità con medie statistiche rispettivamente μX e μA.
Nel caso specifico, in base a quanto precedentemente esposto, l'errore assoluto,
E, si può definire come la differenza fra il valore misurato, X, e la stima A: E = X - A; è
evidente che essendo A solo una stima del valore del misurando, la correzione
dell'errore E potrà semplicemente portare ad avvicinarsi alla migliore stima del
misurando, o alla sua aspettazione, μA, ovvero la correzione non potrà mai essere
completa, ma contribuirà alla quantificazione dell'incertezza con una sua componente
che si indicherà con us(X).
Indicati con Esi e Eai gli errori sistematici e accidentali relativi alla i-esima misura,
questa può essere scritta come: Xi = A + Esi + Eai, che consente di esprimere la media
aritmetica nella forma seguente:
1 n 1 n
X = A + ∑ Esi + ∑ Eai
n i =1 n i =1
Gli errori accidentali Eai rappresentano una tipica variabile aleatoria con valor medio
che si approssima a zero per n che tende all'infinito. L'errore sistematico è assimilabile
ad un'interferenza e quello aleatorio a un rumore, il che permette di considerare la
tecnica dell'averaging o della media, come strumento elementare per ridurre gli effetti
del rumore.
Anche gli errori aleatori non sono completamente eliminabili e contribuiscono
all'incertezza con una componente ur(X). Ipotizzando l'esistenza delle sole due
incertezze precedentemente indicate l'incertezza tipo, complessiva sarà data da:
u ( X ) = us2 ( X ) + ur2 ( X )
38
1.17 INCERTEZZA STANDARD COMBINATA E PROPAGAZIONE DELLE
INCERTEZZE
funzione di diverse quantità misurabili: X1, X2, X3...., XN, le quali prendono il nome di
grandezze d’ingresso e in genere dipendono da altre quantità, incluse tutte le
correzioni e i fattori di correzione, che possano originare sul risultato della misura una
componente d’incertezza significativa.
Le incertezze da cui sono affette le misure delle grandezze X1, X2, X3...., XN si
propagano su Y, che prende il nome di grandezza d’uscita, e tale propagazione può
essere studiata mediante semplici tecniche matematiche.
Le grandezze d’ingresso possono, con le loro incertezze, essere determinate
direttamente da misure effettuate sul misurando. Possono essere ottenute da una
singola osservazione, o da misure ripetute, o da un giudizio basato sull’esperienza.
Tra le grandezze d’ingresso e le loro incertezze possono essere incluse anche
informazioni esterne, come grandezze associate con campioni di misura tarati, materiali
di riferimento certificati, dati di riferimento ricavati da manuali o da banche dati.
Una stima del misurando Y, indicata con y, può essere facilmente ricavata dalle
stime x1, x2, x3...., xN delle N grandezze X1, X2, X3...., XN:
In alcuni casi la stima y può essere ottenuta dalla media aritmetica di n misure
indipendenti di Y, basate su un insieme completo di valori osservati delle N grandezze
d’ingresso:
1 n 1 n
y = Y = ∑ Yi = ∑ f ( X 1,i , X 2,i ,......, X N ,i ) (1-66)
n i =1 n i =1
Questo modo di ottenere la stima in genere, quando f è una funzione non lineare
delle grandezze d’ingresso, è preferito all’altro, basato sul calcolo delle medie
aritmetiche delle singole grandezze d’ingresso:
y = f ( X 1 , X 2 ,......, X N ) (1-67)
I due metodi sono identici quando f è funzione lineare delle grandezze d’ingresso.
39
L’incertezza standard combinata, indicata con uc(y), è determinata dalla
deviazione standard stimata, associata a ciascuna delle stime d’ingresso xi,
denominate incertezze standard e indicate con u(xi). Ciascuna stima delle grandezze
d’ingresso xi e ciascuna incertezza standard u(xi) sono ricavate da una distribuzione di
valori possibili delle grandezze d’ingresso Xi.
Queste distribuzioni di probabilità possono essere basate su valutazioni Tipo A,
ovvero su una serie di osservazioni e sulle relative distribuzioni di frequenza, o su
valutazioni Tipo B, ovvero su distribuzioni a priori.
Nel paragrafo 1.3 si è considerata la propagazione dell'errore su misure
indirette, si vuole ora mostrare come sia possibile calcolare la incertezza standard
combinata di grandezze misurate indirettamente quando siano note sia le stime x1,
x2, x3...., xN delle N grandezze X1, X2, X3...., XN misurate, sia le incertezze standard
u(x1), u(x2), u(x3),...., u(xN).
L’incertezza standard combinata uc(y) della stima y del misurando è la radice
quadrata positiva della varianza standard combinata. Lo sviluppo dell’Eq.1-65 in serie di
Taylor intorno ai valori di aspettazione delle xi, E[xi]=μi, troncato al primo ordine,
consente di confondere la differenza con il differenziale. Quindi per piccoli scostamenti
di y intorno alla μy in funzione di piccoli scostamenti delle xi intorno alle μi è possibile
scrivere:
2 2
⎡N ∂f ⎤ ⎛∂ f ⎞ N −1 N
∂f ∂f
(y−μ )
N
= ⎢∑ ( xi − μi ) ⎥ = ∑ ⎜ ∑ ∑
2
⎟ i
( x − μ ) 2
+ 2 ( xi − μi )( x j − μ j ) (1-68)
⎣ i =1 ∂ xi i =1 ⎝ ∂ xi ⎠ i =1 j = i +1 ∂ xi ∂ x j
y i
⎦
2
Passando dal quadrato dello scostamento (y- μy) al suo valore atteso, che è la
2 2 2 2
varianza di y σy =E[(y- μy) ], indicando con σi =E[(xi- μi) ] la varianza di xi e con covij=
E[(xi- μi)(xj- μj)] la covarianza di xi e xj, dall'Eq.1-68 si ha:
2
⎛∂ f ⎞ 2
N N −1 N
∂f ∂f
σ = ∑⎜
2
⎟ σ i + 2∑ ∑ σ iσ j ρij (1-69)
i =1 ⎝ ∂ xi ⎠ i =1 j =i +1 ∂ xi ∂ x j
y
40
1.17.1 Grandezze d’ingresso non correlate
In una prima analisi si ipotizzi che le grandezze d’ingresso siano tutte indipendenti.
In tal caso le variabili casuali associate alle grandezze d’ingresso possono essere
ritenute scorrelate.
Ciò può accadere quando le grandezze d’ingresso siano state misurate
ripetutamente, ma non simultaneamente in esperimenti indipendenti distinti, o perché
rappresentano grandezze risultanti da valutazioni distinte fatte indipendentemente, o se
le grandezze d’ingresso possono essere trattate come costanti, o se vi è informazione
insufficiente per valutare la covarianza associata alle stime delle grandezze d’ingresso.
Nei casi esemplificati l’Eq.1-69 si semplifica nella seguente:
2
N
⎛∂ f ⎞ 2
σ = ∑⎜
2
⎟ σi (1-70)
i =1 ⎝ ∂ xi ⎠
y
Ciascuna incertezza u(xi) è standard ottenuta con valutazioni sia di tipo A sia di
Tipo B. Le derivate parziali presenti nell’Eq.1-71 sono pari alle derivate parziali rispetto
alle grandezze d’ingresso, valutate nei valori di aspettazione delle Xi, anche se si
calcolano per X1= x1:
∂f ∂f
ci = = (1-72)
∂ xi ∂ X i x1 , x2 ,......., xN
41
quadrata può pertanto essere scritta come la seguente somma di termini costituiti dalle
incertezze quadrate delle grandezze d’ingresso:
N N N
u ( y ) = ∑ ci u ( xi ) = ∑ [ ci u ( xi ) ] = ∑ ui2 ( y )
2
2
c
2 2
(1-73)
i =1 i =1 i =1
dove si sono indicate con ui(y)=|ci|u(xi) le incertezze standard della stima y generate
dalle incertezze standard delle stime xi. Ciò è valido in quanto nelle ipotesi di piccole
variazioni di xi, cui corrisponda una variazione di y, si ha (Δy)i= ciΔxi. Pertanto, in base
all’Eq.1-73, la incertezza combinata quadrata può essere vista come la somma delle
incertezze della stima d’uscita y generate dalle incertezze quadrate stimate associate
alle stime d’ingresso xi.
I coefficienti di sensibilità, ci, a volte invece di essere calcolati in base alla
conoscenza della funzione f, possono essere valutati sperimentalmente. In tal caso si
misura la variazione prodotta su Y da una variazione di una specifica grandezza
d’ingresso Xi, mantenendo costanti le altre grandezze d’ingresso: ci=Δy/Δxi (costanti
tutte le grandezze d’ingresso diverse da xi).
L’Eq.1-71 e le sue derivate sono valide solo se le grandezze d’ingresso, Xi, sono
indipendenti o scorrelate.
Se alcune delle Xi sono correlate in misura significativa, bisogna tener conto delle
correlazioni e in base all’Eq.1-11 l’espressione della varianza combinata risulta:
2
⎛∂ f ⎞ 2
N N −1 N
∂f ∂f
u ( y) = ∑ ⎜
2
⎟ u ( x ) + 2 ∑ ∑ u ( xi , x j ) =
i =1 ⎝ ∂ xi ⎠ i =1 j = i +1 ∂ xi ∂ x j
c i
2
N
⎛∂ f ⎞ 2 N −1 N
∂f ∂f
= ∑⎜ ⎟ u ( xi ) + 2∑ ∑ u ( xi )u ( x j )r ( xi , x j ) = (1-74)
i =1 ⎝ ∂ xi ⎠ i =1 j =i +1 ∂ xi ∂ x j
N N −1 N
= ∑ ci2u 2 ( xi ) + 2∑ ∑ c c u ( x )u ( x )r ( x , x )
i j i j i j
i =1 i =1 j =i +1
42
2
⎡ N ⎛∂ f ⎞ ⎤ ⎡N
2
⎤
u ( y) = ⎢∑ ⎜
2
⎟ u ( xi ) ⎥ = ⎢ ∑ ci u ( xi ) ⎥ (1-75)
⎣ i =1 ⎝ ∂ xi ⎠
c
⎦ ⎣ i =1 ⎦
La covarianza stimata di due grandezze d’ingresso (Xi, Xj) correlate, stimate dalle
medie determinate da n coppie indipendenti di osservazioni simultanee ripetute è data
da:
n
1
u ( xi , x j ) = s ( X i , X j ) = ∑ ( X ik − X i )( X jk − X j )
n(n − 1) k =1
(1-76)
u ( xi )δ j
r ( xi , x j ) ≈ (1-77)
u ( x j )δ i
Nel campo industriale e commerciale, così come in quello sanitario o lì dove siano
coinvolte la salute e la sicurezza pubbliche, è preferibile introdurre l’incertezza estesa
U, ottenuta moltiplicando l’incertezza standard combinata uc per un fattore di
copertura k:
U = kuc ( y ) (1-78)
43
L’incertezza estesa è quella grandezza che definisce un intervallo, intorno al
risultato della misura, che ci si aspetta contenga una frazione rilevante della
distribuzione di valori, ragionevolmente attribuibili al misurando.
La scelta del fattore k, di solito compreso tra 2 e 3, è basata sulla probabilità di
copertura o livello di confidenza richiesto all’intervallo. Tale fattore deve essere
dichiarato, in modo che si possa ricavare l’incertezza standard della grandezza
misurata, da usarsi nel calcolo dell’incertezza standard combinata di altri risultati di
misure eventualmente dipendenti da quella grandezza.
Il risultato di una misura è espresso in modo appropriato come:
Y = y ±U (1-79)
L’Eq.1-79 sta a significare che la migliore stima del valore attribuibile al misurando
Y è y e che ci si aspetta che l’intervallo [y-U, y+U] comprenda una gran parte della
distribuzione di valori ragionevolmente attribuibili a Y. Un intervallo di questo tipo è
anche espresso come:
y −U ≤ Y ≤ y +U (1-80)
L'intervallo di confidenza sta a indicare una fascia di valori entro la quale si può
presumere che cadano i risultati di misure di una stessa grandezza, ottenuti anche con
metodi diversi, una volta prefissata una certa probabilità di occorrenza o livello di
confidenza.
Così, per esempio, nel caso particolare di una distribuzione gaussiana si è trovato
che, fissato un livello di confidenza del 99,73 percento, i risultati sono contenuti in una
fascia di valore con scarti da quello centrale non superiori a 3σ.
Nella Tabella 1.3 sono riportati i valori del fattore di copertura k che produce un
intervallo avente un livello di confidenza p, nell’ipotesi di distribuzione normale.
44
TABELLA 1.3
Y=y± U
45
I coefficienti di correlazione dovrebbero essere scritti con tre cifre significative
se i loro valori assoluti sono prossimi a uno.
Esistono delle convenzioni sulle cifre significative da riportare nella presentazione
di un risultato. Anche se non vi è un accordo internazionale ben definito, alcune scelte
sono accettate da tutti. Normalmente l'ultima cifra significativa di un risultato è quella
su cui ricade l'incertezza della misura. Inoltre nell'arrotondamento di un numero,
l'ultima cifra che si conserva è aumentata di una unità se la prima cifra eliminata è
maggiore di 5 o è 5. Ovvero l'ultima cifra non è variata solo quando la prima cifra
eliminata è inferiore a 5. Nella presentazione dell’incertezza si può in alcuni casi
arrotondare per eccesso anche quando la prima cifra eliminata è inferiore a 5.
TABELLA 1-5
ELENCO DI PREFISSI
Y yotta 1024
Z zetta 1021
E exa 1018
P peta 1015 PHz
T tera 1012 TWh
G giga 109 GHz
M mega 106 MW
k kilo 103 kV
h etto 102 hg
da deca 10
d deci 10-1 dm
c centi 10-2 crad
m milli 10-3 mA
μ micro 10-6 μs
n nano 10-9
p pico 10-12 pF
f femto 10-15
a atto 10-18
z zepto 10-21
y yocto 10-24
Nota: Sono vietati i prefissi composti, formati mediante giustapposizione di più prefissi
47
I punti sperimentali vanno evidenziati sul grafico, senza l'indicazione dei valori
delle coordinate, e nel caso si riportino più curve sullo stesso grafico è bene distinguere
i punti relativi a ciascuna di loro con segni differenti.
Poiché i fenomeni macroscopici sono continui, i punti sperimentali vanno
raccordati con curve continue, salvo quando si tratti di caratteristiche discontinue,
nel qual caso si può ricorrere anche a una spezzata o a un istogramma.
Quando il raccordo dei diversi punti risulta difficoltoso è necessario interpolarli, il
che lo si può fare ad occhio o ricorrendo a particolari algoritmi ai quali si accennerà in
seguito.
È importante sottolineare al riguardo che ogni linea che raccordi i punti
sperimentali è matematicamente accettabile come una rappresentazione grafica del
fenomeno fisico in esame se la massima deviazione dei punti sperimentali dalla
curva è inferiore ai valori limite delle possibili incertezze di misura. Tuttavia fra le varie
curve che si possono tracciare ve ne è una che risulta la migliore, in grado di
minimizzare la somma algebrica degli scarti tra i punti sperimentali e quelli
corrispondenti giacenti sulla curva stessa. Il miglior accordo tra curva e punti
sperimentali si ottiene mediante opportune tecniche di regressione.
Uno speciale tipo di prova, spesso utilizzata per verificare la equivalenza tra una
funzione di densità di probabilità di dati, relativi a un campione di una popolazione, e
una funzione teorica di densità di probabilità, è la prova del χ2 o della bontà
dell'approssimazione. Un esempio può chiarire il significato della prova.
Al paragrafo 1-8, in Tabella 1-1, sono stati forniti i dati relativi alla legge di
probabilità, pi, relativa al lancio di due dadi.
La validità di tale legge è legata all'ipotesi di perfetta realizzazione dei dadi. Nel
caso si esegua un gran numero di lanci e i risultati siano tali da non rispettare la
suddetta legge di probabilità, sorge il dubbio che i dadi siano truccati.
Il problema è quello di stabilire un criterio per quantificare il disaccordo tra le due
leggi. Con riferimento alle variabili discrete, la funzione di probabilità è in genere
espressa in termini di frequenze dei vari eventi F(x).
In particolare si consideri un campione di n misure della variabile x e si presuma di
conoscere la funzione di probabilità p(x) (nel caso di variabili continue si farà riferimento
alla densità di probabilità).
Le n misure si raggruppino in k intervalli, o classi, di prefissata ampiezza Δx, che
insieme formano un istogramma delle frequenze. Il numero di misure che cadono
all'interno dell'i-esima classe è chiamato la frequenza misurata nell'i-esima classe e
sarà indicata con Fi(Δx).
Il numero di osservazioni, che si attenderebbe cadere entro la i-esima classe in
base alla funzione di probabilità attesa, sarà dato dal prodotto del numero di
osservazioni n per la probabilità che la misura cada nell'intervallo i-esimo, detta
frequenza attesa: npi(Δx).
48
TABELLA 1-7
ν χ2 Pr ν χ2 Pr ν χ2 Pr
49
La differenza tra la frequenza attesa e quella misurata è data da npi(Δx)-Fi(Δx)
per la i-esima classe. Un indicatore della differenza totale, relativa a tutte le classi, è il
χ2 definito nel modo seguente:
∑( x − x )
2
i (1-82)
i =1
50
d n
∑ ( x − xi ) = 0
2
(1-83)
dx i =1
i =1 dx i =1 i=1
da cui:
1 n
x= ∑ xi
n i =1
(1-84)
y = mx + q (1-85)
di = mxi + q - yi (1-86)
Se i punti sperimentali sono raccordabili con una retta, l'esistenza di valori non
nulli delle deviazioni deriva dalla presenza di errori sperimentali sulle variabili x e y. I
valori più probabili di m e q, ovvero quelli che consentono di individuare la retta che
meglio raccordi i punti sperimentali, sono ottenibili dalla minimizzazione della seguente
quantità:
n n
∑d = ∑ ( mxi + q − yi )
2
i
2
(1-87)
i =1 i =1
∂ n 2 ∂ n 2
∑d = 0
∂ m i =1 i
∑d = 0
∂ q i =1 i
(1-88)
⎪ i =1 ∂ m i =1 ⎪ ∑ i
m x + qnx = ∑ xi yi
⎨ n ⎨ i =1 i =1 (1-89)
⎪ ∂ 2 n ⎪
⎪⎩∑
di = ∑ 2(mxi + q − yi ) ⎩mx + q = y
i =1 ∂ q i =1
⎪ ∑ x i y i − nx y ∑ xi yi − nx y
⎪m = n i =1
= i =1
⎪ nσ x2
∑
2
xi − nx
2
⎪⎪ i =1
⎨ n n n n
(1-90)
⎪ y ∑ xi2 − x ∑ xi yi y ∑ xi2 − x ∑ xi yi
⎪
⎪q = = i =1
i =1 i =1 i =1
n
nσ x2
⎪ ∑
2
xi2 − nx
⎪⎩ i =1
Il metodo dei minimi quadrati può essere generalizzato al caso in cui la relazione
tra le variabili x e y non sia lineare. Questa per esempio può avere una relazione del
tipo:
2
y = ao+a1x+a2x + ....... + amxm (1-91)
che comporta la determinazione di m+1 incognite. In tal caso le coppie di misure (xi,yi)
devono essere in numero n maggiore di m+1. Le costanti ak possono essere valutate
imponendo che sia minima la somma delle seguenti deviazioni:
52
1.23 RETTE DI REGRESSIONE E COEFFICIENTE DI CORRELAZIONE
y = mx + q (1-93)
y − y = m( x − x ) (1-93)
che prende anche il nome di retta di regressione di y su x. L'Eq.1-93 può anche essere
posta nella forma:
x−x =
m
1
( )
y − y = m' y − y ( ) (1-94)
53
n
∑ x y − nx y
i i
r = mm ' = i =1
(1-95)
nσ xσ y
y− y x−x x−x y− y
=r =r (1-96)
σy σx σx σy
Purtroppo in molti casi l'esame su un grafico dei punti sperimentali mostra che non
esiste una relazione lineare tra i punti sperimentali. Tuttavia la conoscenza delle leggi
fisiche che governano il processo possono spesso suggerire trasformazioni tali da
ottenere una rappresentazione grafica approssimabile con una relazione lineare.
Tipico è il caso in cui le due variabili siano legate da una legge di tipo
esponenziale, in quanto diagrammando, sui due assi cartesiani, i logaritmi delle due
variabili si ottiene una relazione lineare che può essere stimata da una regressione
lineare ai minimi quadrati.
Quando non è nota la legge fisica che lega le due variabili e la
rappresentazione grafica mostra che i dati non siano raccordabili con una retta, le
tecniche di regressione vanno applicate stimando i parametri di polinomi di ordine
superiore, finché si ottiene una curva che approssimi i dati sperimentali in modo
soddisfacente.
Uno dei requisiti fondamentali nelle tecniche di regressione è che la massima
deviazione fra i diversi dati e la curva calcolata sia inferiore all’incertezza di misura
calcolata e che determina la fascia di incertezza. Questa condizione non sempre è
soddisfatta, per cui occorre un criterio che consenta di stabilire quale curva approssimi
meglio di un’altra i dati sperimentali. Si tratta anche in questo caso di trovare un
opportuno coefficiente di correlazione o qualcosa di analogo. Le cosiddette prove di
confidenza, tese a questo scopo, sono diverse, una di queste consiste nel calcolare la
somma S delle deviazioni quadratiche relative ad un dato polinomio, che leghi le due
variabili x e y e con il quale si è tentato di raccordare i dati, e nel confrontarlo con il
valore di S calcolato per la curva di regressione di un ordine superiore. La curva che si
riterrà raccordare meglio delle altre i dati sperimentali sarà quella che presenterà il
valore di S, tale che tutti i dati cadano all’interno della fascia d’incertezza. Esistono altre
prove di confidenza che vanno oltre gli scopi del corso.
54