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MARIO SAVINO

CAPITOLO I

1.1 CONCETTO DI MISURA E DI STRUMENTO

Spesso non si fa distinzione tra le parole misurazione e misura, anche se a rigore


per misurazione s’intende una serie di operazioni che hanno come fine la
determinazione di un valore di una quantità, in altre parole il processo che porta alla
quantificazione di una grandezza, mentre la misura è il risultato della misurazione.
La misurazione o più semplicemente, come si dirà nel seguito, la misura è quindi
un procedimento semplice o complesso, che permette di quantificare, assegnando dei
numeri, le proprietà degli oggetti e degli eventi del mondo reale. Misurare permette di
conoscere, di descrivere e quindi di controllare qualsiasi sistema fisico nel miglior modo
possibile.
La scienza delle misure è antica in quanto misurare è un'esigenza vitale dell'uomo.
Ciò si può evincere dalle parole sia di Galileo Galilei sia di Lord Kelvin.
Galileo Galilei affermò: "Contiamo ciò che è contabile, misuriamo ciò che è
misurabile e rendiamo misurabile ciò che non lo è".
Lord Kelvin scrisse: "Io spesso affermo che quando puoi misurare ciò di cui stai
parlando e lo puoi esprimere in numeri, tu conosci qualcosa di ciò, ma quando non puoi
esprimerlo in numeri, la tua conoscenza è povera e insoddisfacente".
Eseguire misure è vitale per una comprensione del mondo fisico nel quale
viviamo. In tutte le branche delle scienze fisiche e ingegneristiche si ha costantemente
da operare con dei numeri che derivano dalle osservazioni sperimentali.
Negli ultimi anni molte industrie, ma anche diversi governi, nell’ambito delle
nazioni più progredite, stanno dedicando sempre maggiore attenzione alla scienza delle
misure riconoscendone una notevole importanza nella formazione dei quadri dirigenti,
per le implicazioni che essa ha nelle transazioni commerciali.
Esiste un'unità metodologica nella scienza delle misure, purtroppo si deve
superare il ritardo causato dalla scarsa considerazione in cui si è tenuta questa realtà
anche nel mondo accademico. Infatti, fino a non molto tempo fa si è ritenuto che ogni
branca della tecnologia richiedesse l’esecuzione di misure specialistiche e che ogni
specialista di quella branca fosse in grado di eseguirle, anche in assenza di conoscenze
specifiche sui fondamenti della misurazione.
Le misure sono fondamentali per la verifica di un modello, di una teoria; se il
modello o la teoria sono errati, ciò sarà rivelato dalle misure. Viceversa se la misura è
errata, non si avrà conferma della validità o meno della teoria. È quindi necessario
imparare a capire se una misura è stata o meno eseguita correttamente e può essere
impiegata per i fini che si intendeva perseguire. Occorre un insegnamento propedeutico
di base in cui si apprendano i fondamenti della misurazione prima di poter affrontare
qualsiasi tipo di misura specialistica. I concetti fondamentali da apprendere riguardano i
principi base della scienza delle misure, come l’incertezza, l’analisi statistica dei dati,
l’interpretazione dei risultati, l'affidabilità, la certificazione, in specie quella di

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qualità, inoltre occorre imparare a conoscere la strumentazione di base che è
essenzialmente di tipo numerico.
Per eseguire una misura ci si serve di opportuni strumenti costruiti in modo da
rendere semplice l'esecuzione e facile la lettura. A questo scopo si sono molto diffusi in
tutti i campi gli strumenti elettrici, elettronici analogici e digitali. In particolare negli
ultimi trent'anni si è avuto uno straordinario impulso della strumentazione elettronica
digitale, con la diffusione di strumenti accurati, precisi, sensibili, dedicati, intelligenti ed
esperti. Gli strumenti digitali sono estremamente flessibili e questo ha determinato una
loro proliferazione e differenziazione. Inoltre l'avvento dei sensori intelligenti ha
notevolmente e ulteriormente espanso il loro campo di applicazione. In Fig. 1.1 è
mostrato uno schema a blocchi semplificato di un generico strumento digitale singolo. Il
primo elemento della catena di misura è un sensore, ovvero un elemento di un sistema
di misura che è direttamente soggetto all’azione di un fenomeno, di corpi o di sostanze
che trasmettono la grandezza da misurare. Come mostrato in figura il segnale in uscita
al sensore è condizionato prima di essere inviato al convertitore analogico digitale
(ADC) e a una memoria dalla quale poi sono trasmesse le informazioni al sistema di
visualizzazione, il tutto operato in modo automatico tramite un sistema di controllo.
Una misura deve iniziare con un’appropriata specificazione del misurando, del
metodo di misura e della procedura di misura. Per misurando si intende una quantità
soggetta a misura, valutata nello stato assunto dal sistema in osservazione durante la
stessa misura.
Per metodo di misura s’intende la sequenza logica di operazioni, descritte in
modo generico, impiegate nell’esecuzione delle misure.
Per procedura di misura s’intende l’insieme di operazioni, descritte in modo
specifico, utilizzate nell’esecuzione di particolari misure, in accordo a un metodo
prefissato.
Con lo strumento di figura si esegue una misura con metodo diretto. Spesso una
prova consiste nell'esecuzione di diverse misure dirette, ottenute mediante l'uso di
specifici strumenti. Un metodo diretto di misura permette di ottenere il risultato della
misura dalla lettura dello strumento senza necessità di conoscere esplicitamente valori
di altri parametri, eccetto quelli delle grandezze d’influenza, che saranno esaminate nel
capitolo terzo.

Fig. 1.1 Schema semplificato di uno strumento digitale singolo

Molto più diffusi sono sistemi che prevedono ingressi analogici e digitali multipli. I
sistemi di acquisizione dati hanno la peculiarità di facilità di adattamento al processo
industriale da controllare. Si va sempre più affermando una nuova filosofia di misura
che, partendo dal punto di vista classico di misurare solo una grandezza con uno
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strumento a ciò dedicato, si sta orientando verso un vero e proprio sistema di misura
basato su un calcolatore in grado di elaborare una gran quantità di dati provenienti da
più sensori. A volte dalla combinazione di risultati di misure dirette su parametri
funzionalmente legati al misurando si risale, mediante l'esecuzione di calcoli, al risultato
di una misura, in tal caso si parla di misure indirette o di metodo indiretto di misura.
Qualunque sia la strumentazione utilizzata, l'esecuzione corretta di una misura
richiede sempre la conoscenza dell'unità di misura, della metodologia seguita e di
alcune proprietà della variabile da misurare, oltre che esperienza da parte
dell'operatore. L'operatore nel fornire il risultato della misura dovrà essere sicuro di aver
operato correttamente ed esprimere in forma appropriata il numero, con le sue cifre
significative.

1.2 ERRORI E INCERTEZZA

La misurazione è definita dal VIM (International vocabulary of basic and general terms
in metrology) il processo per ottenere sperimentalmente uno o più valori che possono
essere ragionevolmente attribuiti ad una grandezza. Essa richiede teoricamente un
confronto tra una quantità incognita e una nota, assunta come campione. Nessun
risultato di una misura è esente da incertezza. Quando si fornisce il risultato di una
misura, occorre riportare un’indicazione quantitativa sulla qualità del risultato, in modo
che gli utilizzatori possano valutarne la sua attendibilità. Senza tale indicazione è
impossibile confrontare i risultati tra loro o con quelli forniti da uno strumento campione.
È stato quindi necessario standardizzare una procedura per valutare ed esprimere la
sua incertezza. L'incertezza di misura è il parametro, associato al risultato di una
misura, che caratterizza la dispersione dei valori che potrebbero essere
ragionevolmente attribuiti al misurando. Le cause, facilmente intuibili, alle quali
addebitare queste incertezze possono essere:
1. la imperfezione strutturale nei componenti degli strumenti utilizzati;
2. la inadeguatezza del campione di confronto;
3. la limitatezza della scala o del sistema numerico di visualizzazione dello
strumento;
4. fretta o eccessiva sicumera da parte dell'operatore.
D'altra parte il solo fatto di esser obbligati ad inserire uno strumento di misura in
un sistema altera le condizioni iniziali del sistema stesso e non consente la misura del
valore che il misurando assumeva prima dell'inserzione. Il processo di misura disturba il
sistema e altera il valore delle quantità fisiche da misurare. L'entità del disturbo varia
con il tipo di strumento usato per la misura. Lo studio dei mezzi per minimizzare questo
disturbo è uno tra i principali scopi della scienza delle misure.
In letteratura si incontrano correntemente le dizioni di valore vero o valore
convenzionalmente vero, valore atteso e valore teorico a significare il valore della
grandezza che si tende a misurare. La scelta dell'una o dell'altra dizione o di dizione
analoga è stata oggetto di discussioni e dispute filosofiche, che qui non è il caso di
esaminare; si preferirà nel prosieguo far riferimento a quanto riportato nella GUM
“Guide to the expression of uncertainty in measurement” dell’ISO (International
Organization for Standardization) stampata nel 1993, corretta nel 1995, nel seguito
indicata come “Guida”. La Norma europea ENV 13005 del 1999 recepisce l'articolato
della GUM dell'ISO e nel luglio del 2000 è diventata norma italiana sperimentale UNI
CEI ENV 13005 "Guida all'espressione dell'incertezza di misura". In tale Norma alla
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definizione di errore si afferma: "dato che un valore vero non si può determinare, in
pratica si usa un valore convenzionale". In essa si afferma che scopo di una misura è di
determinare il valore (non il valore vero) del misurando.
Oggi si assiste ad una netta distinzione tra un approccio classico (CA "Classical
Approach") alla teoria della misurazione, contrapposto a quello basato sull'incertezza
(UA "Uncertainty Approach"). Questa contrapposizione sta creando, tra quanti si
occupano di misurazioni, una pericolosa spaccatura, che vede da una parte i difensori
del CA e dall'altra i sostenitori dell'UA. Si rischia, proseguendo così le cose, sia di non
far progredire ed affermare i nuovi concetti metrologici, legati all'incertezza, sia di far
perdere un prezioso patrimonio di conoscenze, basato sugli sviluppi che negli anni
passati ha avuto la teoria degli errori. La teoria degli errori ha consentito lo sviluppo di
nuove metodologie scientifiche ed il raggiungimento di eccellenti risultati in diversi
campi del sapere. In particolare la tecnica di minimizzazione degli errori è uno
strumento di indubbia utilità, che continua ad essere giustamente ancora molto usato in
diversi settori della scienza e delle tecnologie.

1.3 ERRORI E LORO PROPAGAZIONE

Prima di eseguire una misura si può avere una stima, A, del valore del misurando.
Questa stima A può essere assunta come valore convenzionalmente vero del
misurando; la sua valutazione può derivare dalla disponibilità di un campione e dalla
conoscenza del suo valore e della sua incertezza, o anche dalla definizione
convenzionale a priori del valore del misurando, o dal valor medio di misure
precedentemente eseguite con cura sullo stesso misurando, o da una indagine
attraverso banche dati su risultati di misure eseguite da altri sullo stesso misurando, o
da altri casi ancora.
Allo scopo anche di operare alcune possibili correzioni alle misure eseguite, è
tradizionalmente risultato utile introdurre il concetto di errore. Il VIM definisce errore la
differenza tra il valore della grandezza misurata e quello di una grandezza di
riferimento, derivante ad esempio da un campione di misura. Gli errori di misura
possono essere espressi come: assoluto, relativo, percentuale.
Nel caso specifico esaminato precedentemente, l'errore assoluto, E, è definito
come la differenza fra il valore misurato, X, e il valore di una grandezza di riferimento
A:
E=X-A (1-1)

è evidente che essendo A solo una stima del valore del misurando, l’errore E è un
concetto idealizzato e non può essere mai conosciuto esattamente, quindi la
correzione non potrà mai essere completa.
Ne deriva che una misura sarà sempre affetta da incertezza. Occorre distinguere
le parole “errore” e “incertezza”, che non sono assolutamente dei sinonimi, ma
rappresentano concetti completamente differenti, come sarà chiarito in seguito. Essi
non devono essere confusi l’uno con l’altro, né scambiati tra loro.
L'errore relativo, e, è definito come il rapporto tra l'errore assoluto, E, e il valore
A:
X −A E
e= ≅ (1-2)
A X

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L'errore percentuale, e%, è definito come l'errore relativo, e, espresso in
percento:
X −A
e% = 100 (1-3)
A

Si vuole ora esaminare come si propagano gli errori in misure indirette. La


valutazione del modo in cui si propagano gli errori può risultare utile in una fase iniziale
di scelta del metodo più corretto per l’esecuzione di una misura e non va confusa con la
procedura necessaria all’indicazione del risultato finale di una misura indiretta, per cui
occorre far riferimento alla propagazione dell’incertezza, che sarà esaminata in seguito.
Si consideri una grandezza X= f(a,b,c,.....) funzione di diverse grandezze
misurabili: a, b, c, ....Gli errori da cui sono affette le misure di a, b, c, ... si propagano su
X e tale propagazione può essere studiata mediante semplici tecniche matematiche.
Nell'ipotesi che gli errori siano sufficientemente piccoli e che sia possibile
confondere l'errore assoluto, dato dall'Eq.1-1, con il differenziale totale della funzione X:

∂f ∂f ∂f
dX = da + db + dc + ............. (1-4)
∂a ∂b ∂c

si può scrivere la seguente relazione tra l'errore assoluto sulla X, Ex, e quelli sulle
grandezze misurabili, Ea, Eb, Ec, ......:

∂f ∂f ∂f
Ex = Ea + Eb + E + ............. (1-5)
∂a ∂b ∂c c

In base all'Eq.1-4 è facile esprimere l'errore relativo sulla X, in funzione degli errori
relativi su a,b,c,..... :
a ∂f b ∂f c ∂f
ex = ea + eb + ec + ............. (1-6)
X ∂a X ∂b X ∂c

La validità dell'Eq.1-6 può essere dimostrata con riferimento, ad esempio, al


prodotto di due grandezze: X=ab. In base all'Eq.1-2 è possibile esprimere il valore del
misurando della grandezza X in funzione del suo errore relativo:

Ax = X(1-ex) (1-7)

Considerando le espressioni dei valori dei misurandi delle grandezze misurabili, a


e b, in funzione degli errori relativi delle grandezze stesse, si ha:

Ax = AaAb = a(1-ea) b(1-eb) = ab(1-ea-eb) (1-8)

l'ultima uguaglianza deriva dal fatto che il prodotto eaeb risulta trascurabile rispetto ai
singoli fattori ea ed eb. Dal confronto tra l'Eq.1-7 e l'Eq.1-8 si ottiene la seguente
uguaglianza:

e x = ea + eb (1-9)
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Si può pertanto affermare che l'errore relativo di una grandezza X, ottenuta dal
prodotto di due grandezze misurabili a e b, è dato dalla somma degli errori relativi di a e
b. Lo stesso risultato poteva ottenersi dall'applicazione dell'Eq.1-6. Infatti:

ab ba
ex = ea + eb = ea + eb
X X

Il risultato ottenuto può essere facilmente esteso ad altri casi analoghi. Ponendo
a=b si ha che l'errore relativo su un quadrato è due volte l'errore relativo sulla base.
Se si considera X grandezza misurata e a grandezza incognita, si ha che l'errore
relativo su una radice quadrata è la metà dell'errore relativo sul radicando. Inoltre
l'errore relativo su un prodotto di più fattori è dato dalla somma degli errori relativi
sui singoli fattori. Così l'errore relativo su una potenza con esponente n è pari a n
volte l'errore relativo sulla base, il che è valido per valori di n sia positivi sia negativi.
Applicando l'Eq.1-6, ovvero il principio di sovrapposizione degli errori, al rapporto
X=a/b, si ha:
a ba
ex = ea − 2 eb = ea − eb (1-10)
Xb Xb

dalla quale si ricava che l'errore relativo su un rapporto è dato dalla differenza degli
errori relativi su dividendo e divisore. Poiché spesso accade in pratica che gli errori
relativi non siano noti con esattezza in entità e segno, se ne fissano i limiti che
delimitano la fascia di incertezza. Si preferisce quindi in genere fornire una stima del
valore massimo dell'errore relativo, ponendosi nell'ipotesi del "caso peggiore" e
sommando i moduli dei due errori relativi. Alternativo al criterio del "caso peggiore" è
quello del "valore più probabile", che consiste nel calcolo della radice quadrata della
1/2
somma dei quadrati dei valori più grandi degli errori relativi: (ea2+ eb2) . Questa
quantità è maggiore di ea o di eb, ma minore della loro somma.
Si consideri ora la somma di due grandezze X=a+b; dall'applicazione dell'Eq.1-6
si ha:
a ea + b eb
ex = (1-11)
a+b

questa uguaglianza diventa ex=ea nel caso in cui ea=eb.


Infine si consideri la differenza di due grandezze X=a-b; dall'applicazione
dell'Eq.1-6 si ha:

aea − beb
ex = (1-12)
a −b

L'Eq.1-12 si modifica nel caso in cui si applichi il criterio del caso peggiore nella
seguente espressione:
a ea + b eb
ex = (1-13)
a −b

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in base alla quale l'errore relativo su una grandezza ottenuta per differenza è tanto
maggiore quanto più le grandezze misurabili a e b sono vicine tra loro. Ne risulta che un
metodo di misura basato sulla differenza fra due grandezze misurabili va applicato solo
in casi particolari.

1.4 CLASSIFICAZIONE DEGLI ERRORI E CORREZIONE

Normalmente si distinguono due categorie di errori: accidentali e sistematici. A


queste due categorie se ne può aggiungere una terza quella degli errori grossolani.
Gli errori grossolani sono quelli addebitabili a imperizia dell'operatore o a
sua distrazione. Essi possono derivare da letture errate o da un uso improprio degli
strumenti, da trascrizioni non corrette dei dati sperimentali, da errori nell’elaborazione
dei risultati. Questi errori sono assenti dagli esperimenti condotti con cura e attenzione:
possono essere eliminati ripetendo l'esperimento.
Gli errori non sistematici o accidentali , Ea, o "random" sono quelli che
permangono anche nell'ipotesi di essere riusciti a correggere tutti gli errori grossolani e
sistematici. Il VIM definisce errore aleatorio la componente dell’errore di misura che in
misure ripetute varia in maniera imprevedibile. Gli errori accidentali si calcolano come la
differenza tra il risultato di una misura e la media di una serie di misure ripetute. Essi
sono l'insieme di un gran numero di effetti. Le cause degli errori accidentali sono
prevalentemente imprevedibili fluttuazioni nelle condizioni operative, strumentali e
ambientali. Gli errori accidentali possono essere analizzati statisticamente, in quanto si
è trovato empiricamente che essi sono frequentemente distribuiti secondo leggi
semplici. Se si ipotizza che le cause di errore agiscano in modo completamente
aleatorio, esse determineranno scarti dal valore medio sia positivi sia negativi.
Globalmente è da attendersi che gli effetti mediamente si annullino, ovvero il valore
atteso degli errori accidentali è nullo. Quindi, al limite, se si sono corretti tutti gli errori
sistematici e gli errori accidentali seguono leggi simili di variazione, il valore del
misurando tende alla media aritmetica di un numero molto elevato di
osservazioni. Quanto più piccoli risultano gli errori accidentali, tanto più si dice che la
misura è precisa.
Gli errori sistematici sono quelli che si ripresentano sempre con lo stesso
segno e la stessa ampiezza, ripetendo la misura di una grandezza con la stessa
strumentazione quando siano immutate le condizioni operative e ambientali. Il VIM
definisce errore sistematico la componente dell’errore di misura che in misure ripetute
resta costante o varia in modo prevedibile. Gli errori sistematici si calcolano attraverso
la differenza tra il risultato della misura o il valor medio di una serie ripetuta di misure e
una stima nota del valore del misurando o il valore convenzionalmente vero del
misurando. Essi sono in genere dovuti ad una non corretta taratura o a difetti degli
strumenti. I difetti possono essere costruttivi, oppure derivare dall'avere sottoposto lo
strumento a particolari condizioni o ambientali od operative. Particolarmente temibili
sono elevate temperature, forti campi elettrostatici o elettromagnetici,
sovraccarichi. Gli errori strumentali possono essere ridotti attraverso una regolazione
della curva di taratura dello strumento, usandolo in modo appropriato, maneggiandolo
con cura e sottoponendolo a una frequente manutenzione. Gli errori sistematici
dipendono anche dall'ambiente in cui si esegue la misura. Infatti variazioni di
temperatura, la presenza di campi elettromagnetici possono influenzare in modo
continuativo sia la strumentazione sia il misurando. In tal caso si asserisce che esiste
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una interferenza esterna sul sistema di misura e gli errori prendono il nome anche di
condizionati. Gli errori sistematici sono difficili da valutare e solo un operatore esperto
può prevenirli o correggerli. Essi possono rivestire maggiore importanza di quelli
accidentali, in quanto essenzialmente da loro dipende l'accuratezza della misura.
Mentre la riduzione degli errori accidentali consente di migliorare la precisione,
quella degli errori sistematici permette di migliorare l'accuratezza.
Per evidenziare la presenza e l'entità degli errori sistematici è utile confrontare
i risultati utilizzando strumenti o metodi di misura più accurati. Si definisce correzione il
valore da aggiungere algebricamente al risultato non corretto di una misura per
compensarne l’errore sistematico. Indicata con C la correzione, pari al valore negativo
dell’errore sistematico stimato, ES:

C = - ES (1-14)

una stima corretta del valore del misurando si potrà ottenere dalla relazione:

A=X+C (1-15)

poiché non possono essere noti perfettamente né l’errore sistematico, né quindi la


correzione, la compensazione non può essere completa. Si definisce anche un fattore
di correzione CF, per il quale va moltiplicato il risultato, X, di una misura per
compensare un errore sistematico. In tal caso l’Eq.1-15 si modifica nel modo seguente:
A = CF X (1-16)

È ora opportuno sottolineare che l’incompleta conoscenza del valore richiesto per
la correzione contribuisce all’incertezza del risultato e che il risultato della misura, dopo
la correzione, è ancora solo una stima del valore del misurando a causa dell’incertezza,
dovuta sia all’imperfetta correzione, sia alla presenza degli effetti accidentali. Dopo la
correzione il risultato di una misura potrebbe essere molto vicino al valore del
misurando, ovvero l’errore sistematico residuo potrebbe essere molto piccolo, ma
l’incertezza di misura potrebbe essere molto grande, in quanto i fattori che la
determinano (come per esempio l'incertezza sulla correzione effettuata) non vanno
confusi con gli errori. Per dirla in altri termini, l’incertezza del risultato di una misura
non va confusa con l’errore sistematico residuo non corretto.

1.5 ACCURATEZZA E PRECISIONE

Qualsiasi misura è soggetta a limitazioni, quando si fornisce il risultato di una


misura è necessario dare anche un'indicazione sull'incertezza della misura stessa. In
letteratura per qualificare la bontà di una misura si incontrano diversi termini, come
quelli di accuratezza e precisione, sui quali non si è pervenuti a una definizione
univoca.
Molto spesso si usa un termine per l'altro, dando luogo a grande confusione. È
bene quindi chiarire l'uso che di questi due termini si farà nel seguito. Si intenderà per
accuratezza il grado di approssimazione fra un valore di una grandezza misurata e il
valore convenzionalmente vero di un misurando. In tal modo si riprende la
definizione, riportata nella maggior parte dei testi in lingua inglese, di "accuracy",
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termine che molti traducono in lingua italiana con la parola "precisione", favorendo in tal
modo la confusione. Le norme internazionali consigliano di considerare l’accuratezza
come un concetto qualitativo e non quantitativo. Spesso però sui cataloghi e su alcuni
testi si trova quantificata l’accuratezza. Si trova scritto o si sente dire che uno strumento
presenta un'accuratezza dello 0,5 %, il che, se preso alla lettera, starebbe a significare
che lo strumento fornisce delle pessime prestazioni. Probabilmente invece si voleva far
riferimento all'incertezza. Se così fosse, in modo del tutto qualitativo si dovrebbe dire
semplicemente che lo strumento presenta un’ottima accuratezza.
La precisione di una misura è intesa come il grado di approssimazione fra le
indicazioni o i valori della grandezza misurata ottenuti da misure ripetute sullo stesso
oggetto o su oggetti simili in condizioni specificate.
Il VIM riporta altri concetti simili come quelli di ripetibilità dei risultati delle misure
e di riproducibilità. La precisione di una misura a volte è espressa numericamente
attraverso l’imprecisione, quantificata mediante la deviazione standard (scarto tipo
nella norma italiana) o la varianza o un coefficiente di variazione, calcolati in condizioni
specificate delle misure ripetute. Il VIM associa al concetto di precisione quelli di
ripetibilità e di riproducibilità dei risultati delle misure. Si definisce ripetibilità la
precisione ottenuta operando in un insieme di condizioni ripetibili. Si intendono
condizioni ripetibili quelle che comprendono misure eseguite sullo stesso oggetto o su
oggetti simili in un breve periodo di tempo, nella stessa postazione e nelle stesse
condizioni operative, seguendo la stessa procedura, impiegando gli stessi operatori e lo
stesso sistema di misura. Si definisce inoltre riproducibilità la precisione ottenuta
operando in un insieme di condizioni riproducibili. Si intendono condizioni riproducibili
quelle che comprendono misure ripetute sullo stesso oggetto o su oggetti simili, in
diverse postazioni, utilizzando diversi sistemi di misura che possono seguire anche
procedure differenti, con l’impiego anche di vari operatori. Il VIM introduce inoltre la
definizione di precisione intermedia di misura, per cui le condizioni di misura
includono la stessa procedura, la stessa postazione e misure ripetute sullo stesso
oggetto o su oggetti simili, in un periodo di tempo esteso, ma che possono includere
altre condizioni, comprendenti anche variazioni, come nuove tarature, nuovi calibratori,
operatori o nuovi sistemi di misura.
È bene chiarire che l'accuratezza e la precisione di una misura sono concetti
qualitativi e si sono voluti distinguere per rimarcare, come sarà evidente in seguito, che
una bassa incertezza di misura si può ottenere solo quando entrambe queste
caratteristiche sono elevate.
Esse dipendono sia dalla qualità degli strumenti utilizzati, sia della cura esercitata
dall'operatore nell'esecuzione della misura.
La precisione, in una visione estensiva, implica sia ripetibilità di una serie di
misure, sia un sufficiente numero di cifre significative. Quanto maggiore è la
precisione della misura tante più cifre significative la rappresentano e gli scarti tra le
misure sono piccoli tra loro. Viceversa una misura non è precisa, anche se gli scarti tra
più misure sono piccoli, quando sono poche le cifre significative che la rappresentano.
Per esempio se si disponesse di uno strumento digitale che consentisse la lettura di
sole due cifre della grandezza da misurare, si avrebbe una serie di misure
probabilmente ripetibili, ma non precise.
Sorge ora il problema se una misura precisa è anche accurata e viceversa.
Ebbene si può affermare che la precisione è un requisito auspicabile ma non sufficiente
per assicurare accuratezza. Ovvero si auspica che una misura accurata sia anche
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precisa e rappresentabile con un sufficiente numero di cifre significative, ma una misura
precisa non è detto che sia anche accurata. Infatti si ipotizzi di avere uno strumento
digitale che permetta di leggere sei cifre della grandezza da misurare e inoltre di
eseguire diverse misure abbastanza vicine tra loro. Si può affermare di avere eseguito
una misura precisa, nell’ipotesi che più misure si scostino poco tra loro, ma non è detto
che essa sia accurata, potendo lo strumento risultare non correttamente tarato o
potendo aver perso le sue caratteristiche nel tempo a causa di degradazione di
componenti o per motivi accidentali. In alcune applicazioni, come per esempio nel
controllo di processo, spesso si richiede ripetibilità delle indicazioni, ovvero un’ottima
precisione, che risulta più importante dell’accuratezza.
Per una semplice comprensione della differenza tra accuratezza e precisione
spesso si fa riferimento al tiro con l’arco. Si pensi ad un bersaglio costituito da tante
corone circolari attorno al cerchio centrale, che simula il misurando, mentre i tiri sono le
misure. Quando si effettuano diversi tiri e le frecce si concentrano nel cerchio centrale
le misure sono accurate e precise, se invece sono sparse su tutte le corone circolari,
dalle più centrali alle più estreme, allora le misure non sono né accurate né precise.
Può però capitare che le frecce, pur essendo distanti dal cerchio centrale, siano molto
vicine tra loro, in tal caso le misure saranno precise, ma non accurate. Soffermiamoci
su questa condizione. Le frecce vicine tra loro lasciano supporre buona abilità da parte
del tiratore. Perché allora le frecce non sono finite nel cerchio centrale? Probabilmente
a causa di un effetto sistematico dell’arco, per esempio di un non corretto allineamento
del mirino (se l’arco ne dispone di uno) o della corda non tesa bene. Correggendo
questi effetti sistematici, ovvero nel caso di un sensore, effettuando una sua
regolazione, si potranno avere tiri, ovvero risultati, precisi ed accurati. D’altra parte il
costruttore dell’arco può anche aver evidenziato l’effetto sistematico nel foglio di
accompagnamento dello strumento, indicando la correzione da apportare, in termini di
scostamento del tiro dal cerchio centrale. L’arbitro della gara può allora accettare come
validi i tiri, se riscontrasse che, una volta apportata la correzione, i tiri risulterebbero tutti
nel cerchio centrale. Un’ultima condizione si può verificare quando il livello di
accuratezza richiesto non è elevato e si ritengono accettabili i tiri all’interno non solo del
cerchio centrale, ma anche della prima corona circolare vicina al cerchio centrale. Se le
frecce sono sparse lungo la circonferenza della suddetta corona circolare, ma ne
cadono all’interno, i tiri, ovvero i risultati, saranno accurati, ma non precisi. Questa
condizione permette di chiarire un aspetto importante della sensoristica in campo
industriale. Il fine del costruttore è certamente quello di realizzare sensori con le migliori
prestazioni possibili, tenendo sempre in conto il bilancio costi benefici. Tutto sta ad
intendersi su quali sono le prestazioni del sensore che lo rendono idoneo all’uso. Un
sensore è idoneo quando rispetti la sua classe di accuratezza (quasi sempre nei testi
italiani indicata come classe di precisione), indicata con un numero o un simbolo,
ovvero soddisfi requisiti metrologici stabiliti, tesi a mantenere gli errori di misura o le
incertezze strumentali entro limiti specificati in relazione a determinate condizioni
operative. Quindi è importante che il sensore rispetti le specifiche indicate dalla
normativa vigente per la particolare applicazione in cui esso sarà impiegato.
Riprendendo la metafora del tiro con l’arco, l’arco sarà idoneo se assicurerà ai tiri di
cadere nel cerchio centrale e nella prima corona ad esso adiacente, quando questo è
previsto dal regolamento della gara. È inutile perfezionare l’arco perché i tiri cadano nel
cerchio centrale, specie se ciò comporta una spesa aggiuntiva. Tale perfezionamento
sarà necessario solo se il regolamento della gara riterrà validi solo i tiri che raggiungono
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il cerchio centrale. Non va sottaciuta a questo punto la necessità di abilità, che deriva
dall’esperienza, da parte del tiratore. Un arco idoneo nelle mani di un inesperto non
fornirà risultati soddisfacenti. Un sensore nelle mani di chi non lo sa usare serve a molto
poco. Per passare da indicazioni prevalentemente qualitative sulla bontà di una misura,
ottenibili attraverso l’accuratezza e la precisione, a rappresentazioni quantitative del
risultato di una misura, occorre quantificare l’incertezza che è un parametro sia
qualitativo sia quantitativo.
La definizione dell'incertezza presuppone l'esistenza del misurando all'interno di
una fascia di valori, che dipende da una deviazione standard, stabilita in base ad un
ben preciso livello di confidenza. Ne deriva chiaramente che l'analisi dell'incertezza
richiede semplicemente il ricorso ai principi noti della probabilità e della statistica.
L'abbandono dell'approccio deterministico rende superata e inutile la definizione di
valore vero del misurando, che è un'entità inconoscibile, ma rende più difficile la
comprensione di come migliorare l'accuratezza di una misura. Infatti per accuratezza si
intende il grado di concordanza tra il risultato di una misurazione e il valore
convenzionalmente vero del misurando.
Normalmente si parte dal concetto di accuratezza per introdurre la taratura di uno
strumento e per far comprendere che ottenere una misura precisa, ovvero ripetibile non
fornisce assicurazioni sulla bontà della misurazione e dello strumento, se non è stata
regolata recentemente la sua curva di taratura e se la misura non è stata corretta,
ovvero depurata dagli errori sistematici.
Si è detto in precedenza che l’incertezza del risultato di una misura riflette la
mancanza dell’esatta conoscenza del valore del misurando e si è anche sottolineato
che il risultato di una misura dopo la correzione è solo una stima del valore del
misurando. Per poter quantificare l’incertezza occorre introdurre alcuni semplici concetti
di statistica, al che sono dedicati i successivi paragrafi.

1.6 TARATURA O CALIBRAZIONE

Per stabilire in modo compiuto il valore del segnale di uscita di uno strumento di misura,
di un sensore, in condizioni di regime stazionario del misurando occorre che sia nota
una serie di parametri che definiscono le caratteristiche metrologiche in regime
permanente. La più importante fra queste caratteristiche è la curva di taratura o
calibrazione. Purtroppo spesso si fa confusione tra taratura e regolazione della
caratteristica, per cui nel seguito si cercherà di chiarire la loro differenza. Per taratura o
calibrazione si intende l’operazione che, in condizioni specificate, in una prima fase
stabilisce una relazione tra i valori della grandezza misurata con dei campioni di misura
(tenendo conto delle loro incertezze di misura) e le corrispondenti indicazioni dello
strumento o del sensore, con associate le sue incertezze strumentali, e in una seconda
fase utilizza questa informazione per stabilire una relazione, che consenta di ottenere il
risultato di misura da un’indicazione dello strumento. Attraverso la taratura si determina
l’incertezza strumentale dello strumento o del sensore, valutata in genere come
semi ampiezza dell’intervallo di massimo scostamento tra i valori del misurando
corrispondenti ad una stessa indicazione dello strumento o del sensore. Perché la
taratura sia effettuata correttamente l’incertezza strumentale deve essere grande in
confronto con le incertezze di misura associate ai valori della grandezza ottenuti dai
campioni di misura. Il costruttore è tenuto ad indicare le condizioni operative di
riferimento definite come quelle prescritte per la valutazione delle prestazioni del
11
dispositivo o per il confronto dei risultati di misura. La specifica delle condizioni
operative durante la taratura richiede che siano forniti gli intervalli dei valori sia del
misurando sia delle grandezze d’influenza.
L’espressione grafica, per esempio su un piano cartesiano, della relazione tra
l’indicazione dello strumento, posta su un asse, e il corrispondente risultato di misura,
posto sull’altro asse, è definita come diagramma di taratura. In genere ad una stessa
indicazione dello strumento corrispondono diversi valori della grandezza misurata, i cui
valori limite superiori ed inferiori definiscono la fascia d’incertezza (a volte
erroneamente denominata banda d’errore) e permettono la valutazione dell’incertezza
strumentale dello strumento. Per eseguire la taratura si deve disporre di un generatore
variabile del misurando, in grado di fornire valori in tutto il campo di misura del
dispositivo, e di uno strumento di misura, assunto come campione e, quindi, con
un’incertezza strumentale molto minore di quella del dispositivo in prova. Si fa variare il
misurando entro tutto il campo di misura del dispositivo e si ripete il ciclo diverse volte,
registrando su un grafico e in una tabella per ogni indicazione del dispositivo la
corrispondente misura fornita dallo strumento assunto come campione. Per facilitare la
raccolta dei dati si possono fissare in genere da otto a dodici valori dell’indicazione del
dispositivo e si opera sul generatore variabile finché non si abbiano quelle indicazioni in
uscita al dispositivo, in corrispondenza delle quali si registrano le misure fornite dallo
strumento campione. Si eviti di fissare, in modo alternativo, i valori del misurando e di
registrare le corrispondenti indicazione del dispositivo, in quanto queste hanno meno
cifre significative dello strumento campione. Raccordando i punti superiori del grafico, in
corrispondenza delle diverse indicazioni del dispositivo precedentemente fissate, e i
punti inferiori, si delineano due curve che delimitano la fascia d’incertezza. All’interno di
tale fascia d’incertezza si può ricavare una relazione biunivoca, in modo tale che ad una
indicazione del dispositivo corrisponda uno ed un sol valore della grandezza misurata,
generalmente il valor medio fra quelli relativi ad ogni singola indicazione del dispositivo.
Questa curva è definita curva di taratura e non dà indicazioni sull’incertezza.
Pertanto quando si fornisce la curva di taratura ad essa va associata l’incertezza
strumentale del dispositivo o una tabella di taratura o una serie di funzioni che
consentano di delimitare la fascia d’incertezza. In realtà l’utente è interessato
principalmente a conoscere l’incertezza strumentale del dispositivo sull’intero campo di
misura. Il costruttore quindi in genere fornisce semplicemente il valor massimo della
semi ampiezza della fascia d’incertezza, esprimendo tale incertezza strumentale o in
valore assoluto o in valori percentuali riferiti alla portata o valore di fondo scala (%
FSO). Il diagramma e la curva di taratura forniscono informazioni sul comportamento
del dispositivo in condizioni di regime permanente. Quando la curva di taratura è
riconducibile ad una retta, il dispositivo è caratterizzato da un’unica costante che lega
ingresso e uscita, denominata costante di taratura del dispositivo.
Uno strumento e un sensore ideali presentano una relazione tra ingresso e uscita
ben definita data da una curva di taratura teorica, che, come si è detto, può essere
fornita dal costruttore in forma di equazione matematica, di grafico o di tabella di valori.
La curva teorica ideale è quella rappresentata da una linea retta. Lo scostamento della
curva reale da quella ideale è dovuto a varie cause di errore, le più frequenti fra le quali
sono la non linearità, la deviazione dallo zero e le variazioni di sensibilità. La
conoscenza degli effetti di queste cause di errore può consentire di effettuare la loro
correzione mediante un’opportuna regolazione e quindi di aumentare la veridicità delle
misure.
12
Si è detto che il legame y=f(x) tra il misurando x e l’indicazione dello strumento o
sensore y in condizioni di regime stazionario potrebbe essere rappresentato da una
costante, condizione auspicabile, in quanto presupporrebbe una relazione lineare tra i
segnali d’ingresso e di uscita, rendendo applicabile l’importante principio di
sovrapposizione degli effetti. L’importanza di avere una relazione lineare tra misurando
e indicazione è tale che, come sarà meglio evidenziato nel paragrafo successivo,
spesso gli strumenti o semplicemente i sensori sono dotati di una serie di componenti
aggiuntivi per la linearizzazione della caratteristica. Le relazioni fra i due segnali
possono essere scritte nel modo seguente:

y=kx x = kt y

Il parametro k è la sensibilità definita come il rapporto tra la variazione dell’indicazione


del dispositivo e la corrispondente variazione del valore della grandezza misurata. Essa
è legata alla pendenza della curva di taratura. Uno strumento è tanto più pregiato
quanto più è elevata la sua sensibilità, in quanto ciò implica che è sufficiente una
piccola variazione del misurando per avere un’elevata indicazione facilmente
misurabile. La sensibilità non va confusa con la risoluzione, definita come la minima
variazione del misurando che dà luogo a una variazione percettibile della
corrispondente indicazione. La risoluzione può essere espressa come valore assoluto o
percentuale, riferito alla massima indicazione (FSO) del sensore e in genere può avere
diversi valori in differenti parti del campo di misura. Il VIM precisa che per la
determinazione della sensibilità la variazione da dare al misurando deve essere
superiore a quella che serve a valutare la risoluzione. La risoluzione, a sua volta è
spesso confusa con la banda morta (termine molto diffuso tra i tecnici dell’industria),
definita come l’intervallo massimo all’interno del quale si può far variare il misurando in
entrambi i sensi senza che si produca una variazione rivelabile nella corrispondente
indicazione dello strumento. La sensibilità non va neanche confusa con la selettività,
definita come la proprietà del dispositivo, impiegato in una specifica procedura di
misura, nella quale esso fornisce i valori della grandezza da misurare, in presenza di
uno o più misurandi, in modo tale che i valori di ogni misurando siano indipendenti dagli
altri misurandi o da altre grandezze presenti nel fenomeno, nel corpo o nella sostanza
oggetto dell’esame. Per esempio se il dispositivo è impiegato per misurare una sola
componente di un segnale multifrequenziale, esso sarà tanto più selettivo quanto meno
la sua indicazione sarà disturbata dalle altre componenti o da altri segnali a frequenza
differente da quella che si vuole misurare.
Il parametro kt è la costante di taratura dello strumento o del solo sensore che è il
rapporto tra il segnale di ingresso e il segnale di uscita in risposta all'ingresso. Essa è
un parametro che ha dimensioni date dal rapporto delle unità di misura del misurando e
di quella di uscita (per esempio nel caso di un sensore di spostamento con in uscita una
tensione elettrica si ha che la costante di taratura è espressa in metri al volt o, con una
dizione preferita a livello internazionale, metri per volt). La costante di taratura è il
fattore per cui va moltiplicata l’indicazione dello strumento o del solo sensore al fine di
ottenere il valore del misurando e che, in base alle relazioni precedentemente scritte,
risulta l’inverso della sensibilità. Le relazioni scritte precedentemente presuppongono
che la curva di taratura non solo sia una retta, ma che passi anche per l’origine degli
assi cartesiani, caratterizzanti il piano (x,y). Questa condizione non sempre si verifica a
causa della presenza di soglie, grandezze note anche con il termine inglese molto
13
diffuso di offset. Il VIM definisce una soglia di discriminazione come la più grande
variazione del valore del misurando che non produce alcuna variazione rivelabile nella
corrispondente indicazione dello strumento o del solo sensore. In realtà le oscillazioni
della caratteristica intorno allo zero possono causare l’insorgere sia di una soglia sia di
un’indicazione del sensore presente anche in assenza di segnale in ingresso, in alcuni
testi inglesi indicato come piedistallo, che può essere sia positivo sia negativo.
L’insorgere di una soglia di discriminazione può essere causato dalla deriva
strumentale dello strumento o del solo sensore, ovvero da una variazione continua o
incrementale nel tempo di un’indicazione, dovuta ad alcune variazioni nelle proprietà
metrologiche dello strumento o del solo sensore.
Quando, come spesso accade, l’indicazione a esempio di un sensore è di natura
elettrica è possibile controllare la deriva e correggere gli effetti sistematici dovuti agli
offset, riportando la curva di taratura del sensore a ripartire dall’origine. Questo
aggiustamento rientra nella regolazione del sensore, definita come l’insieme di
operazioni eseguite sul sensore in modo che esso fornisca le indicazioni prescritte
corrispondenti a determinati valori del misurando. La regolazione non dovrebbe essere
confusa con la taratura, che è un suo prerequisito, anzi a rigore, dopo la regolazione il
sensore dovrebbe essere ritarato. Per effettuare la regolazione basterà aggiungere o
sottrarre, mediante un dispositivo sommatore-sottrattore, in uscita al sensore una
grandezza uguale ed opposta a quella di offset, in modo da riportare la retta nella
posizione iniziale. La deriva strumentale del sensore può causare non solo problemi di
offset, ma anche di variazioni della pendenza della retta con una conseguente modifica
della costante di taratura. Per comprendere come effettuare la correzione di questo
ulteriore effetto sistematico, si consideri la relazione y = k x. Quando l’indicazione del
sensore è di natura elettrica il contributo prevalente alla sensibilità k è dato dal
guadagno di un amplificatore o di una catena di amplificatori, posti a valle del sensore.
Sarà quindi sufficiente dotare tale catena di un amplificatore a guadagno variabile, in
modo che con una sua opportuna regolazione si riporti il valore della pendenza della
retta, ovvero della sensibilità e quindi della costante di taratura, che è il suo inverso, ai
valori iniziali o nominali, indicati nelle specifiche del sensore.
Quando il campo nominale del sensore non comprenda lo zero, la regolazione,
ovvero le correzioni da apportare in seguito alla deriva strumentale del sensore,
risultano leggermente più complesse. In tal caso è necessario conoscere i valori limite
del campo di misura e le corrispondenti indicazioni del sensore. Si indichino con (xmin,
ymin) e (xmax,ymax) le coordinate dei punti relativi ai suddetti valori. Per apportare la
correzione generalmente si applica all’ingresso del sensore il valore xmin del misurando
e si aggiunge o sottrae a monte dell’amplificatore una grandezza tale da render nullo il
segnale in ingresso all’amplificatore e quindi l’indicazione del sensore. Con questa
operazione si è fatta traslare la retta facendola passare per il punto di coordinate
(xmin,0). All’ingresso dell’amplificatore si ha tensione nulla che non influenza il valore del
suo guadagno. Poiché al valore del misurando xmin deve corrispondere l’indicazione
nota ymin del sensore, occorre attraverso un sommatore aggiungere in uscita
all’amplificatore una tensione pari proprio a ymin, in modo tale che al valore xmin del
misurando corrisponda l’indicazione ymin del sensore. A questo punto si applica al
sensore un valore del misurando pari a xmax e, agendo sull’amplificatore a guadagno
variabile, si fa assumere alla retta la pendenza corrispondente alla sua costante di
taratura nominale, condizione raggiunta quando la tensione in uscita all’amplificatore
risulta pari a ymax - ymin, in modo tale che la corrispondente indicazione del sensore sia
14
ymax, visto che all’uscita dell’amplificatore è sempre sommata una tensione pari a ymin.
Quindi, anche in questo caso, impiegando due semplici sommatori-sottrattori, uno a
monte e uno a valle dell’amplificatore, con una sola traslazione della caratteristica e una
sola variazione del guadagno si sono apportate le correzioni necessarie a riportare il
sensore all’interno delle sue specifiche. Al termine di queste operazioni il sensore è
stato regolato. Quando queste operazioni sono effettuate automaticamente, si dice che
il sensore è dotato della funzione di autoregolazione della curva di taratura. Spesso
questa operazione è detta impropriamente autotaratura. Poiché l’autoregolazione può
essere eseguita frequentemente e allo scopo di non sollecitare indebitamente il sensore
con il valore massimo del suo misurando si scelgono coppie di valori misurando-
indicazione differenti da quelle limiti del campo nominale. Ciò presuppone che la
caratteristica non si discosti da un andamento lineare, il che consente di considerare
due punti qualsiasi, purché non troppo vicini tra loro, per le inevitabili incertezze che
accompagnano tutti i processi di misura.
Un altro effetto sistematico più difficile da correggere è rappresentato dall’isteresi
che è la massima differenza tra le indicazioni dello strumento o del solo sensore
corrispondenti al medesimo misurando quando la misura è eseguita procedendo per
valori prima crescenti e poi decrescenti del misurando stesso nell’ambito del suo
intervallo di misura. Essa dà luogo ad un errore sistematico in genere espresso in per
cento del fondo scala, è presente in diversi componenti ed è causata da un ritardo
nell’azione di un elemento. Valori diversi dell’isteresi si presentano al variare del campo
di escursione del misurando. Essa è massima quando il misurando varia dall’inizio della
scala fino al fondo scala e viceversa. Un errore analogo a quello causato dalla presenza
dell’isteresi è quello di frizione, presente ad esempio nei potenziometri dove una
spazzola scorre su delle spire.
Al costruttore si richiede di assicurare la ripetibilità delle misure durante tutta la
vita utile dello strumento o del solo sensore, quali che siano le grandezze d’influenza
che su esso possano agire. La ripetibilità nel tempo è detta stabilità, definita come la
proprietà dello strumento o del solo sensore di conservare le sue caratteristiche
metrologiche costanti nel corso del tempo. Quanto più sarà stabile il dispositivo tanto
minore sarà nel tempo il numero di regolazioni da apportare alla curva di taratura.
Per ottenere la curva di taratura, una volta disponibile il diagramma di taratura, si
possono utilizzare diversi algoritmi matematici, il metodo più utilizzato è quello dei
minimi quadrati, noto anche con l’acronimo inglese LSM (least square method), che
sarà esaminato nell’ultimo paragrafo di questo capitolo. L’algoritmo LSM è ormai
disponibile non solo tra i pacchetti software di statistica, ma anche nelle calcolatrici
scientifiche tascabili. Si assume per ogni indicazione dello strumento o del solo sensore
il valor medio fra quelli del misurando relativi alla suddetta indicazione. Operando in tal
modo si ottengono tante coppie di coordinate, in numero n, quante sono le indicazioni
del dispositivo prefissate in sede di taratura (come si è detto in precedenza, in genere si
fissano da otto a dodici indicazioni), ottenendo altrettanti punti sperimentali sul piano
cartesiano. Si inizia con il fissare come curva teorica una retta di equazioni y=k1x+q,
dove k1 è la sensibilità di misura e q rappresenta il valore del possibile offset. Per il
calcolo dei due parametri k1 e q, si applica l’LSM, minimizzando la somma degli scarti
quadratici fra i punti sperimentali sul piano cartesiano e la retta di equazione data, tale
somma è definita funzione obiettivo, F. Si passa poi a fissare come curva teorica una
quadratica, per esempio del tipo y=k2x2+k1x+q, e si applica nuovamente l’LSM. Se il
minimo della nuova funzione obiettivo è inferiore a quello ottenuto per la retta vorrà dire
15
che la funzione quadratica raccorda i punti sperimentali meglio di quanto non avvenga
con la retta. Si passa quindi a fissare come curva teorica una cubica, per esempio del
tipo y=k3x3+k2x2+kx+q, e si applica nuovamente l’LSM. Se il minimo della nuova
funzione obiettivo è inferiore a quello ottenuto per la funzione quadratica vorrà dire che
la funzione cubica raccorda i punti sperimentali meglio di quanto non avvenga con le
due curve precedenti. Il processo si ferma non appena la curva di taratura rientra
all’interno della fascia di incertezza, specie se tale funzione è una retta, in quanto la
caratteristica rettilinea è particolarmente apprezzata negli strumenti di misura. Si può
anche verificare che lo scarto tipo o deviazione standard σ della funzione obiettivo,
calcolata come la radice quadrata della stessa funzione diviso per il numero n di punti
sperimentali, σ=(F/n)1/2, risulti minore della semi ampiezza del massimo scarto misurato
sulla fascia d’incertezza, ovvero dell’incertezza strumentale del dispositivo.
Quando si effettua la verifica della taratura si assume come curva teorica di
riferimento per l’applicazione per esempio dell’LSM quella fornita dal costruttore. La
verifica della taratura è positiva se l’ampiezza massima della fascia d’incertezza
misurata è inferiore al doppio dell’incertezza strumentale indicata dal costruttore. Tra i
dati della verifica che si forniscono vi è anche il massimo scarto tra la curva di taratura
sperimentale ricavata e quella fornita dal costruttore.
Quando la curva di riferimento è una retta si fornisce l’errore di linearità, che è
un’indicazione di quanto la curva di taratura si discosti dall'andamento rettilineo. A
significare la sua rilevanza si fa presente che l’errore di linearità è una delle
caratteristiche indicate dal costruttore nel foglio illustrativo o nel manuale di
accompagnamento dello strumento o del sensore. L’errore di linearità, indicato molto
spesso semplicemente come linearità, è espresso in funzione del valor massimo dello
scostamento dei singoli punti della curva di taratura da una retta di riferimento
opportunamente definita.
Esistono tanti tipi di linearità quanti sono i modi di stabilire la retta di riferimento. La
linearità riferita alla retta teorica è relativa ad una retta di equazione y=kx, che passa
per lo zero e per il punto che ha coordinate prefissate, senza alcun riferimento a valori
misurati. Se queste coordinate corrispondono al cento per cento del fondo scala sia del
misurando sia dell’indicazione dello strumento o del sensore, si ha la cosiddetta
linearità terminale. La linearità riferita agli estremi è relativa alla retta che si ottiene
congiungendo i punti estremi ottenuti durante la taratura dello strumento o del sensore.
In tal caso in genere si richiede che siano fornite le incertezze con cui sono stati ottenuti
questi punti estremi. La linearità indipendente è riferita alla retta “migliore” ottenuta
come linea media tra due rette parallele il più vicino possibile tra loro e in grado di avere
al loro interno tutti i valori misurati nel corso della taratura. La linearità secondo i
minimi quadrati fa riferimento alla retta ottenuta applicando il metodo dei minimi
quadrati, ovvero minimizzando la somma dei quadrati degli scostamenti. Si trovano
anche altri tipi di linearità ottenute imponendo il passaggio della retta da punti prefissati,
come ad esempio quello corrispondente al misurando nullo (linearità riferita allo zero),
ma quelle precedentemente esaminate sono le più utilizzate.
1.7 LINEARIZZAZIONE DELLA CURVA DI TARATURA

Da quanto esposto precedentemente è evidente la rilevanza che assume la linearità


nella definizione delle caratteristiche dello strumento o del sensore. Con una funzione
lineare è possibile sia applicare il principio di sovrapposizione degli effetti, sia risalire al
valore del misurando dall’indicazione del dispositivo attraverso facili operazioni di
16
prodotti o divisioni e somme o sottrazioni, tutte disponibili in semplici strutture
elettroniche o nelle prestazioni di un elaboratore numerico. Purtroppo raramente la
funzione y=f(x) che lega il misurando x all’indicazione y dello strumento o del sensore è
di tipo lineare. In molti casi, però, con opportuni accorgimenti è possibile ricondurre la
curva di taratura ad una retta o, per meglio dire, far rientrare una retta all’interno della
fascia d’incertezza e fornire l’errore di linearità in funzione dello scostamento massimo
tra tale retta e la reale curva di taratura. Si pensi, per fare semplici esempi, a funzioni
quadratiche o esponenziali, è possibile effettuare l’operazione descritta in zone limitate
delle curve rappresentative di tali funzioni. Ne scaturiscono due possibili soluzioni per la
linearizzazione o considerare un intervallo di misura limitato o linearizzare a tratti la
caratteristica, suddividendo il campo in tanti intervalli di misura ciascuno caratterizzato
da una diversa costante di taratura. Questa soluzione attualmente è la più adottata per
la facilità di realizzazione attraverso l’elaborazione numerica. Infatti, in genere molti
strumenti e sensori sono dotati di un sistema automatico di scelta della portata. Il
microprocessore in corrispondenza della portata scelta ricava il valore del misurando x
in genere da un’equazione del tipo y=kx+q, avendo memorizzati in corrispondenza di
quella portata i corrispondenti valori di k e q.
Molti dispositivi hanno un segnale in uscita di tipo elettrico ed integrano al loro
interno circuiti elettronici che presentano caratteristiche non lineari. Nei dispositivi
integrati, molto spesso, per ridurre l’errore di linearità si utilizzano diverse soluzioni di
tipo analogico che permettono la linearizzazione delle caratteristica stazionaria. Una
tecnica molto semplice consiste nel porre un derivatore in parallelo o un resistore
addizionale in serie al dispositivo o al componente non lineare all’interno di un
trasduttore, in modo tale che, a parità di indicazione, circoli nel dispositivo o nel
componente non lineare una corrente inferiore, nel caso di derivatore in parallelo, o
superiore, nel caso di resistore in serie, rispetto a quella che circolerebbe in assenza
della resistenza. La scelta del derivatore in parallelo è operata quando il componente
presenta una buona linearità a bassi valori di corrente e la perde con il superamento di
una soglia di corrente, condizione detta di saturazione. Si fa in modo che il derivatore
assorba una corrente tale che nel campo di misura del dispositivo questo non raggiunga
mai la condizione di saturazione. In genere quando si opera la linearizzazione con
derivatore in parallelo i dispositivi sono schematizzati con un generatore equivalente di
corrente. Nel caso si predisponga il sensore addizionale in serie al componente non
lineare, la tecnica funziona a condizione che il segnale di uscita sia prelevato ai capi del
resistore addizionale ed è analoga a quella impiegata per la linearizzazione della
caratteristica di un diodo, come mostrato nella Fig. 1.2. La scelta del resistore
addizionale in serie si opera quando, come nel caso del diodo, la non linearità del
componente è relativa al primo tratto della caratteristica, per cui si fa in modo che la
prima indicazione del dispositivo si abbia quando la corrente che in esso circola supera
il valore da cui inizia la caratteristica lineare. In genere quando si opera la
linearizzazione con resistore addizionale in serie i dispositivi sono schematizzati con un
generatore equivalente di tensione.
In Fig 1.2 è mostrato come l’inserimento del resistore di resistenza RS1 migliora
la linearità del diodo. Durante la semionda positiva il diodo D1 non conduce e
l’amperometro A, di resistenza interna Rm, sarà attraversato da una corrente
caratterizzata solo dalle semionde positive, per effetto dell’azione raddrizzatrice del
diodo D2. Durante la semionda negativa il diodo D1 conduce, in modo che ai capi del
circuito a valle sia applicata una tensione trascurabile. Come risultato si ha che si riduce
17
considerevolmente l'effetto della corrente inversa e inoltre non vi è possibilità di scarica
del diodo D2. Lo scopo del resistore addizionale RS1 in serie al diodo è quello di far sì
che durante la semionda positiva circoli nel diodo D2 una corrente superiore rispetto a
quella misurata dall'amperometro. In tal modo il diodo D2 potrà operare in zona lineare
della sua caratteristica, anche in corrispondenza di bassi valori di tensione e quindi di
corrente.
È bene evidenziare che la presenza del derivatore in parallelo o del resistore
addizionale in serie degrada sia la risoluzione sia la sensibilità del dispositivo in quanto
aumenterà la variazione del misurando che dia luogo a una variazione percettibile della
corrispondente indicazione del dispositivo ed inoltre per avere la stessa variazione
dell’indicazione del dispositivo, che si aveva prima dell’inserimento del resistore,
occorrerà una maggiore variazione del valore della grandezza misurata. La resistenza
del derivatore in parallelo o del resistore addizionale in serie deve essere scelta in
modo da rendere piccolo l’errore di linearità rispetto all’incertezza strumentale del
dispositivo senza che ciò comporti un degrado eccessivo della risoluzione e della
sensibilità.

Fig. 1.2 - Linearizzazione della caratteristica di un diodo raddrizzatore


Non va neanche sottaciuto che la tecnica analogica di linearizzazione esposta è
applicabile quando, come nel caso del diodo, la caratteristica y=f(x) presenta una
concavità verso il basso. Nel caso la concavità fosse verso l’alto infatti occorrerebbe
una resistenza negativa, che richiede il ricorso a circuiti elettronici più complessi di
quelli rappresentati da un semplice resistore. Un altro sistema di linearizzazione della
caratteristica con tecniche analogiche è quello di ricorrere a sistemi con controreazione
negativa, infatti è noto che una controreazione negativa consente di limitare le
distorsioni e di linearizzare la risposta. Anche in questo caso si ha una riduzione della
sensibilità che è tanto più accentuata quanto maggiore è il fattore di reazione.
Molto spesso si impiegano blocchi analogici con caratteristica inversa a quella
del dispositivo. Per esempio sono ampiamente impiegati amplificatori logaritmici con
caratteristiche esponenziali. Un metodo più recente che si è molto diffuso negli smart
sensor è quello di impiegare un convertitore analogico digitale, ADC, con caratteristica
non lineare tale da compensare la non linearità del sensore, in questo modo la
conversione e la linearizzazione sono effettuate contemporaneamente utilizzando
un’unica unità fisica. Sono stati proposti al riguardo diversi schemi di conversione che in
genere si basano sul principio di adattare la conversione alle caratteristiche non lineari
del sensore. Un’altra tecnica è quella di realizzare un ADC con una caratteristica che a
tratti approssimi la caratteristica inversa del sensore.
Come si è accennato inizialmente le tecniche che si vanno più diffondendo per la
linearizzazione della caratteristica stazionaria dei dispositivi sono quelle di tipo
18
numerico. La più semplice è realizzata col memorizzare in una ROM (read only
memory) la caratteristica inversa del dispositivo con associati gli errori di linearità e di
indirizzare l’uscita dell’ADC in quella zona di memoria per apportare la correzione.
Tecniche più evolute si basano su un approccio adattativo costituito da due fasi. La
prima delle quali consiste nell’invertire la caratteristica del sensore e nel suddividerla in
diversi tratti, a questo scopo è molto usato lo schema iterativo di Newton-Raphson. La
seconda fase consiste nella implementazione di un algoritmo iterativo in grado di
migliorare con continuità la linearità dei tratti in cui è stata suddivisa la caratteristica
inversa di uno strumento o del semplice sensore, utilizzando una procedura basata
sulla minimizzazione dell’errore di linearità relativo ai diversi tratti. L’algoritmo inoltre
aggiorna continuamente la tabella delle correzioni, rendendo trascurabile nei risultati
forniti l’errore di linearità.

1.8 MEDIA POLARIZZAZIONE E DEVIAZIONE

Se si considera un insieme Xi di n misure, dove con Xi si è indicato il risultato della


i-esima misura, si definisce media aritmetica, X , delle n misure:

1 n
X= ∑ Xi
n i =1
(1-17)

Nel calcolo della media a volte può essere conveniente attribuire maggiore rilievo
a delle misure più attendibili o maggiormente significative. Allo scopo si moltiplica
ciascuna misura per un appropriato fattore peso, wi, e si divide la somma di questi
prodotti per la somma dei fattori peso ottenendo una media pesata , X p:

∑w X i i
Xp = i =1
n
(1-18)
∑w
i =1
i

Si noti che l'Eq.1-18 coinciderebbe con l'Eq.1-17 nel caso in cui tutti i pesi fossero
uguali. Si può utilizzare come i-esimo peso la quantità 1/2ui2, dove ui è l'incertezza
relativa della i-esima misura.
In base alle considerazioni fatte sugli errori, prescindendo momentaneamente
dall’incertezza di misura, indicati con Esi e Eai gli errori sistematici e accidentali relativi
alla i-esima misura, questa potrebbe essere scritta nel modo seguente:

Xi = A + Esi + Eai (1-19)

che sostituita nell'Eq.1-17 consente di esprimere la media nella forma seguente:

1 n 1 n
X = A+ ∑ si n ∑
n i =1
E +
i =1
Eai (1-20)

19
Gli errori accidentali Eai rappresentano una tipica variabile aleatoria con valor
medio che si approssima a zero per n che tende all'infinito.
Dall'Eq.1-20 si ricava quindi che la media aritmetica di un insieme di misure è una
stima del valore del misurando, tanto migliore quanto maggiore è il numero di misure e
quanto più sono stati corretti gli errori sistematici.
Si noti inoltre che l'Eq.1-20 si può esprimere anche nella forma:

1 n
X −A= ∑ Esi
n i =1
(1-21)

La differenza fra il valor medio e la stima A del misurando si definisce "bias", che
ha una difficile traduzione in italiano, da alcuni è tradotto come polarizzazione, da altri
distorsione ed è un indice dell'inaccuratezza di una misura.
La polarizzazione rappresenta la media degli errori sistematici e sarà tanto più
piccola, quanto migliori saranno le correzioni apportate alle misure. Essa è detta anche
errore sistematico e con il segno meno rappresenta la correzione totale da apportare
alle misure per migliorarne l’accuratezza. Tale correzione è sempre accompagnata da
una propria incertezza.
La dispersione delle misure intorno al valor medio si può valutare introducendo la
definizione di deviazione della misura Xi come la seguente differenza:

di = Xi - X (1-22)

essa è denominata anche residuo e a volte è definita come la somma tra Xi e la


media.
Per quantificare la dispersione dell'insieme delle misure si potrebbe pensare di
valutare la media delle deviazioni, ma, in base alla definizione data di deviazione, la sua
media è sempre zero:

1 n 1 n 1 n
∑ i n∑
n i =1
d =
i =1
( X i − X ) = ∑ Xi − X = 0
n i =1
(1-23)

e quindi non può essere un indice della dispersione. Si può ovviare a ciò considerando
la deviazione media come la media dei valori assoluti delle deviazioni:
1 n 1 n
α = ∑ di = ∑ X i − X (1-24)
n i =1 n i =1

anche se non utilizzata tanto quanto la deviazione standard.

1.9 DEVIAZIONE STANDARD VARIANZA E MOMENTO CENTRALE

La più importante misura della dispersione è la deviazione standard,


normalmente indicata con σ. La deviazione standard del campione di dati in esame è
definita in termini dei quadrati delle deviazioni della media nel modo seguente:

20
1 n 2 1 n
σ≅ ∑
n i =1
d i = ∑
n i =1
( X i − X )2 (1-25)

Si definisce invece come varianza del campione delle misure il quadrato della
deviazione standard, ovvero la somma delle deviazioni quadratiche delle misure dal loro
valor medio diviso per il numero delle misure:

1 n 2 1 n
σ2 ≅ ∑ di = n ∑
n i =1 i =1
( X i − X )2
(1-26)

la presenza del segno di all’incirca uguale presente nelle Eq.1-25 e Eq.1-26 deriva dal
fatto che la varianza di un campione di una popolazione così come la deviazione
standard, definite dalle precedenti equazioni, rappresentano stime distorte dei loro
valori attesi. Infatti il numero di deviazioni indipendenti ovvero il grado di libertà non
è ν=n bensì ν=n -1, in quanto per il calcolo della deviazione standard e della varianza
occorre valutare la media, servendosi dello stesso insieme di dati. I gradi di libertà di
una variabile aleatoria o di una statistica in genere, esprimono il numero di dati
effettivamente disponibili per valutare la quantità d'informazione contenuta nella
statistica. Infatti, quando un dato non è indipendente, l'informazione che esso fornisce è
già contenuta implicitamente negli altri. È possibile quindi calcolare le statistiche
utilizzando soltanto il numero di osservazioni indipendenti, consentendo in questo modo
di ottenere stime non distorte dei risultati. Il concetto di gradi libertà fu introdotto in
statistica da Ronald Fisher negli anni 1920. Stime non distorte della deviazione
standard e della varianza sono date dalle seguenti espressioni:

1 n
s= ∑ ( X i − X )2
n − 1 i =1
(1-27)
1 n
s2 = ∑ ( X i − X )2
n − 1 i =1

Esse sono note anche come stime corrette di Bessel. La sostituzione di n con n-1
non ha importanza pratica, in quanto, per avere una buona precisione, n deve essere
abbastanza grande, come in genere accade. È bene sottolineare, in base all'Eq.1-27,
che sia la deviazione standard sia la varianza decrescono al ridursi degli errori
accidentali, il che chiarisce l'importanza dell'approccio statistico per la minimizzazione di
questi errori e per ridurre l'incertezza
La varianza è anche comunemente indicata come scarto quadratico medio.
Si definisce momento centrale di ordine q la media aritmetica della potenza q-
esima della differenza tra i valori misurati e la loro media:

1 n

n i =1
( X i − X )q (1-28)

21
È evidente in base alle equazioni precedenti che il momento centrale di ordine 1 è
uguale a zero e che la varianza di un campione di misure è il momento centrale di
ordine 2 del campione stesso.

1.10 CONCETTI DI FREQUENZA E DI PROBABILITA'

La comprensione di un fenomeno fisico può essere facilitata da un esame visivo dei


risultati di misure ripetute di una grandezza o più in generale di dati statistici. Sorge il
problema sul modo migliore di rappresentare graficamente i dati disponibili. Un ausilio
può rivenire dalla frequenza, Fi, delle misure, ovvero dal numero di volte che si ripete la
generica misura Xi delle n eseguite. Si definisce inoltre, frequenza relativa, fi, la
frequenza, Fi, divisa per il numero n di prove eseguite. Nel caso in cui tutte le misure
fossero diverse le une dalle altre, la frequenza relativa risulterebbe uguale per tutte e
pari a 1/n. Ad evitare ciò è preferibile raggruppare le misure in k gruppi o classi. La
frequenza relativa è allora rappresentata dal numero di misure che cadono in ogni
classe, diviso per n. In un istogramma la frequenza relativa rappresenta l'area di un
generico intervallino, in quanto si assume unitaria l'ampiezza delle singole classi in cui
sono suddivise le misure, come mostrato in Fig.1.3. Inoltre l'area sottesa
dall'istogramma è unitaria, in quanto la somma di tutte le frequenze relative è l'unità:
k
1 k

i =1
fi = ∑ ni = 1
n i =1
dove con ni si è indicato il numero di risultati che cadono nella generica classe o
intervallino ΔXi =(Xmax - Xmin)/K, dove con Xmax e Xmin si sono indicati rispettivamente i
valori massimo e minimo dell’insieme dei risultati e con k il numero di classi. Nel caso
sia difficile porre uguale ad 1 ΔX, si definisce una frequenza specifica data da fi diviso
per l’ampiezza dell’i-esimo intervallino, in modo che fi sia sempre uguale all’area dell’i-
esimo rettangolo costituente l’istogramma. L'istogramma di Fig.1.3 si modifica in quello
di Fig.1.4, nel caso in cui i risultati delle n prove si ripetano singolarmente, come
avviene, per esempio, quando si considerino i risultati del lancio di due dadi (intero
compreso tra due e dodici). La media degli eventi è ottenibile dalla somma dei prodotti
fra i risultati delle prove e il numero delle volte che essi possono verificarsi, ni=nfi, diviso
per il numero delle prove eseguite, pari a n:
1 k k
X = ∑ X ic nf i = ∑ X ic f i (1-29)
n i =1 i =1

dove Xic è il valor medio delle misure nell'intervallino ΔXi. La media risulta pertanto
indipendente dal numero n di prove eseguite. In base all'Eq.1-29 si può affermare che la
media di una serie di eventi ripetibili è una media pesata i cui pesi sono rappresentati
dalle frequenze relative fi. Nel caso in cui i risultati siano raggruppati in classi, si
assumerà per Xic, da porre nell'Eq.1-29, come si è detto il valor medio dei risultati
relativi alla generica classe o intervallino ΔXi. La deviazione media, la deviazione
standard e la varianza assumono le seguenti espressioni:
k k
α ≅ ∑ f i X ic − X σ≅ ∑ f i ( X ic − X ) 2 σ 2 ≅ ∑ f i ( X ic − X ) 2 (1-30)
i i =1 i =1

22
In genere le frequenze relative variano con il numero delle prove eseguite e
tendono ad assumere valori sempre più stabili quanto più n aumenta, fino ad un valore
limite ben definito detto probabilità dell'evento.
Indicato con X un evento qualsiasi dell'insieme S di eventi aleatori, la probabilità
che si verifichi l'evento X è sempre compresa tra 0 e 1. La probabilità di tutti gli eventi è
la certezza:
0< Pr(X) < 1 Pr(S) = 1 (1-31)

In genere se pr è la probabilità che l'evento X assuma il risultato xr si scriverà:


pr = Pr(X=xr)

Fig.1.3 Istogramma dei risultati Fig.1.4 Probabilità relative al lancio


di una prova di due dadi

TABELLA 1-1
x pi xpi
1/36 1/18
1/18 3/18
1/12 1/3
1/9 5/9
5/36 5/6
1/6 7/6
5/36 10/9
1/9 1
1/12 5/6
1/18 11/18
1/36 1/3

Si consideri ora la variabile discreta xi e siano pi le corrispondenti probabilità, per


cui Pr(X=xi)=pi. Si definisce funzione di probabilità di massa di X la seguente
funzione:

23
⎧⎪ p quando x = xi ( i = 1, 2,3,...., n )
p ( x) = ⎨ i (1-32)
⎪⎩0 altrove

per cui risulta in base alla seconda dell'Eq.1-31:


∑ p( x ) = 1
i =1
i (1-33)

In Tabella 1-1 sono riportate le probabilità relative ai risultati del lancio di due dadi. Si
può verificare facilmente che la somma di tutte le probabilità è pari ad 1.

1.11 LEGGI DI DISTRIBUZIONE DI PROBABILITA'

Per introdurre il concetto di distribuzione di probabilità si consideri una serie di prove


molto estesa, i cui risultati numerici siano rappresentati dall'insieme xi di n elementi.
Esisterà una certa probabilità Pr(X≤x), tale che la variabile X, non necessariamente
discreta, assuma qualsiasi valore più piccolo o uguale a x. Questa funzione prende il
nome di funzione di distribuzione cumulativa della variabile X e sarà indicata nel
seguito con F(x):
F(x) = Pr(X≤x) (1-34)

Se ora si considerano due numeri reali a e b si avrà:


Pr(a<X≤b) = P(X≤b) - P(X≤a) = F(b) - F(a) (1-35)

Si ipotizzi ora che X sia una variabile aleatoria continua, in tal caso è necessario
introdurre una nuova funzione, la densità della distribuzione di probabilità o,
brevemente, funzione densità di probabilità, definita come la derivata della funzione
di distribuzione: p(x)=dF(x)/dx, per cui:
x
F ( x) = ∫ p( x)dx
−∞
(1-36)

la funzione densità di probabilità è indicata a volte anche con f(x). In base all'Eq.1-36 si
ha:

∫ p( x)dx = 1
−∞
(1-37)

Se è soddisfatta l'Eq.1-37 si dice che la funzione p(x) è normalizzata. Nota la p(x)


è possibile calcolare ad esempio la probabilità che x cada nell'intervallo (x, x+Δx)
mediante il seguente integrale:
x +Δx
Pr ( x < X < x + Δx) = F ( x + Δx) − F ( x) = ∫
x
p( x)dx (1-38)

la probabilità è uguale all'area sottesa dalla curva della densità p(x) compresa tra x e
x+ Δx.
La funzione densità di probabilità, se nota a priori completamente o parzialmente,
può essere utilizzata per migliorare la precisione della misura e anche per ridurre
l'incertezza.
24
Essa è stata considerata una funzione continua, in cui la variabile x può
assumere tutti i valori nel campo ⎪−∞, ∞⎪, il che contrasta con il campione limitato da
cui si è partiti.
In realtà un numero finito di osservazioni può essere considerato solo un
campione di un insieme infinito che presenta una certa funzione densità di probabilità.
L'istogramma delle probabilità di occorrenza degli eventi relativi al campione è una
approssimazione della curva p(x) e il grado di approssimazione dipende dal numero di
prove e dall'ampiezza in cui i risultati sono raggruppati.
Per distinguere i risultati ottenuti con un piccolo numero di prove da quelli relativi ad
un numero molto grande, si usa considerare i risultati derivanti da un numero limitato di
prove come una stima di queste funzioni.
In termini statistici il valore atteso, o speranza matematica, o semplicemente
l’aspettazione, o la media statistica di una variabile aleatoria discreta {xi} si esprime
simbolicamente come E[xi]. A tale funzione si applicano le stesse proprietà della
sommatoria per le variabili discrete e dell'integrale per le variabili continue:
k
μ x = E [ X ] = ∑ pi xi (1-39)
i =1

la grandezza μx prende anche il nome di media della distribuzione della variabile


aleatoria.
Nel caso di variabili aleatorie continue qualora sia nota la funzione densità di
probabilità p(x) della variabile continua X, l’aspettazione se esiste è:


μx = E [ X ] = ∫ xp( x)dx (1-40)
−∞

la deviazione media, la deviazione standard e la varianza della distribuzione assumono


le seguenti espressioni:

∞ ∞ ∞
α= ∫ x − μ p( x)dx σ= ∫ ( x − μ ) p( x)dx σ2 = ∫ (x − μ) (1-41)
2 2
p( x)dx
−∞ −∞ −∞

Si noti quindi che per il calcolo delle aspettazioni è necessario conoscere, per
variabili aleatorie discrete, la funzione di probabilità di massa, per variabili aleatorie
continue, la funzione densità di probabilità.
Si è detto che la media aritmetica rappresenta una stima del valore del
misurando quando siano stati corretti gli errori sistematici correggibili. È bene precisare
che mentre la media aritmetica è una stima dell’aspettazione μ, la grandezza A, che
compare nell’Eq.1.1, è una stima dell’aspettazione del misurando.

1.12 DISTRIBUZIONE UNIFORME

25
Si consideri un intervallo (a,b) della variabile aleatoria X, si dice che la funzione di
distribuzione è uniforme se la probabilità Pr(X≤x) aumenta in modo uniforme al
crescere di x tra a e b:
⎧0 x<a
⎪x−a

F ( x) = ⎨ a< x≤b (1-42)
⎪ b − a
⎪⎩1 x>b
e presenta quindi una funzione densità di probabilità data da:
⎧0 x<a
⎪ 1

p ( x) = ⎨ a< x≤b (1-43)
⎪b − a
⎪⎩0 x>b
In Fig.1.5 è riportato l'andamento di tale funzione

Fig.1.5 Funzione di distribuzione di probabilità con legge uniforme

La media e la varianza di tale distribuzione sono pari a:

b2 − a 2 a + b
b
1
b − a ∫a
μ= xdx = =
2(b − a ) 2
b b−μ
1 1
σ = ∫ ( x − μ ) 2 dx = ∫ x12 dx1 =
2

b−a a b − a a−μ
(1-44)
(b − μ ) − (a − μ )
3 3
1 ⎡⎛ b − a ⎞3 ⎛ b − a ⎞3 ⎤
= = ⎢⎜ ⎟ +⎜ ⎟ ⎥
3(b − a ) 3(b − a ) ⎣⎢⎝ 2 ⎠ ⎝ 2 ⎠ ⎦⎥
(b − a ) 2
=
12

1.13 DISTRIBUZIONE DI GAUSS

La distribuzione detta normale fu derivata da Demoivre nel 1733 studiando i


problemi associati con il lancio di monete.

26
Più tardi, in modo autonomo, essa fu ricavata da Laplace e da Gauss, dal quale
prende il nome. Fu Gauss che l'applicò per primo alla distribuzione degli errori
accidentali su dati astronomici e scientifici in genere.
La distribuzione di Gauss ha grande importanza pratica, nel campo della teoria
degli errori e delle incertezze, per diverse ragioni. In particolare essa descrive, in molti
gruppi di misure effettuate in diversi campi, la distribuzione degli errori aleatori e
permette la valutazione di tipo A delle incertezze.
Per questo motivo essa prende anche il nome di funzione errore normale.
La distribuzione di Gauss da alcuni è considerata un risultato derivato
matematicamente da considerazioni elementari, da altri una formula empirica che bene
si raccorda con la teoria degli errori aleatori. Questo secondo punto di vista appare, pur
se pragmatico, sostenuto dal fatto che molti insiemi di osservazioni sperimentali
presentano una distribuzione degli errori aleatori che è bene approssimata dalla curva
di Gauss.
D'altra parte è bene sottolineare che una distribuzione binomiale approssima
molto bene la curva di errore normale quando n è molto grande, anche se vi è la
differenza sostanziale che la distribuzione binomiale è discreta, mentre quella normale
è continua.
La distribuzione di Gauss ha per funzione densità:
p( x) = ke− h ( x − m )2
2
(1-45)

dove k, h e m sono delle costanti.


In Fig.1.6 è riportata tale funzione che ha un valor massimo pari a k, in
corrispondenza di x=m.
Inoltre la curva è simmetrica rispetto alla retta x=m.
Per x=m±1/h la funzione assume lo stesso valore pari a k/e.
La costante h fornisce un'indicazione della maggiore o minore larghezza della
curva a forma di campana. Un valore elevato di h corrisponde a una curva appuntita
con un picco pronunciato, mentre un piccolo valore di h dà luogo a una curva più piatta
con una maggiore dispersione dei risultati intorno alla media. Per questo h prende il
nome di costante o indicatore di precisione della distribuzione.
Perché la distribuzione sia normalizzata deve risultare verificata l'Eq.1-37,
dalla cui applicazione è possibile ricavare il valore della costante k:

∞ ∞
k
∫ ke dx = ∫ e − z dz = 1
− h2 ( x − m )2 2

−∞
h −∞

dove si è introdotta la variabile z=h(x-m). Ricordando che:


∫ e dz = π
−z 2

−∞
si ricava:
h
k= (1-46)
π

27
Per la simmetria della curva tracciata in Fig.1.6 è ovvio che m coincide con la
media della distribuzione, ma ciò può essere verificato matematicamente, in base
all’Eq.1-40:
∞ ∞ ∞
h 1 z
μ= ∫ ∫ ∫ h
− h 2 ( x − m )2 − z2
xp ( x)dx = xe dx = ( + m ) e dz =
−∞ π −∞ π −∞
∞ ∞
1
z − z2 m m
∫h ∫ e dz = π =m
−z
= +
2
e dz
π −∞ π −∞ π
Nell'equazione precedente l'integrale

∫ z e − z dz = 0
2

−∞

è nullo per la simmetria della funzione p(x) rispetto a m. Il calcolo della varianza
procede in modo analogo; in base alla terza espressione dell'Eq.1-41 si ha:

∞ ∞
h
∫ ( x − μ ) p( x)dx = ∫ (x − μ) e
− h 2 ( x − μ )2
σ2 = 2 2
dx =
−∞ π −∞

1 1 π 1
= ∫ z 2 e − z dz = =
2

h 2
π −∞ h 2
π 2 2h 2
da cui si ricava:
1
σ= (1-47)
h 2

La deviazione standard è inversamente proporzionale alla costante di precisione


h, quindi quanto più σ è piccolo tanto più la curva è appuntita e minore è la dispersione
intorno alla media.
Ciò è evidenziato nella Fig.1-6 dove sono mostrate diverse curve della p(x) al
variare della deviazione standard.
In base alle equazioni precedenti la funzione densità di probabilità, data dall'Eq.1-
45, può essere scritta nella seguente forma:

1
p( x) = e − ( x − μ ) / 2σ
2 2

(1-48)
σ 2π
Questa funzione è rappresentativa di una distribuzione normale della variabile x
la cui deviazione standard è σ.

28
Fig.1.6 Funzione di densità di probabilità Fig.1.7 Curve di densità di probabilità

1.14 CALCOLO DELLA FUNZIONE DI DISTRIBUZIONE DI GAUSS

In base all'Eq.1-36 ed Eq.1-48 è possibile calcolare la funzione di distribuzione


normale:
x
1
∫e
− ( x − μ ) 2 / 2σ 2
F ( x) = dx (1-49)
σ 2π −∞

e quindi la probabilità che una misura cada nell’intervallo compreso tra due valori x1 e
x2:

x2
1
∫e
− ( x − μ ) 2 / 2σ 2
Pr( x1 < X ≤ x2 ) = F ( x2 ) − F ( x1 ) = dx (1-50)
σ 2π x1

pari all'area sottesa dalla curva p(x) fra le suddette ascisse. L'integrale presente
nell'Eq.1-49 ed Eq.1-50 non può essere calcolato con i metodi elementari, ma può
essere espresso come differenza di due integrali del seguente tipo:

z z2
1 −
Φ( z ) =

∫e
−∞
2
dz (1-51)

29
che è la funzione di distribuzione normale standard ovvero la distribuzione normale
con media 0 e varianza 1, le cui soluzioni, ottenute mediante approssimazioni
numeriche, sono tabulate. In base all'Eq.1-50 ed Eq.1-51, posto z1=(x1-μ)/σ e z2= (x2-
μ)/σ, si può verificare che sussiste l'importante relazione:

Pr(x1<X≤ x2) = F(x2) - F(x1) = Φ(z2) - Φ(z1) (1-52)

La funzione di distribuzione normale standard è mostrata in Fig.1.8. In Tabella 1-3


sono riportate le soluzioni dell'integrale nell'Eq.1-78 per diversi valori di z, i dati forniti si
intendono preceduti dalla virgola decimale.
È interessante notare anche dalla Fig.1.8 che la funzione distribuzione
normale gode la seguente proprietà: Φ (-z) =1- Φ (z). Inoltre quando x1=μ-σ si ha z1=-1
e quando x2 =μ+σ si ha z2=1; più in generale quando x1=μ-kσ si ha z1=-k e quando
x1=μ+kσ si ha z2=k e pertanto si può scrivere:
k z2
1 −
Pr ( μ − kσ < X ≤ μ + kσ ) =

∫e
−k
2
dz = 2Φ (k ) − 1 (1-53)

In base alla precedente e ai dati riportati in Tabella 1-2 si possono calcolare


alcune probabilità di particolare interesse:

Pr (μ-σ<x< μ+σ) = 2 Φ (1)-1 =0,683 1- Pr(μ-σ<x< μ+σ) = 0,317


Pr(μ-2σ<x< μ+2σ) = 2 Φ (2) -1 = 0,954 1- Pr(μ-2σ<x< μ+2σ)= 0,046
Pr(μ-3σ<x< μ+3σ) = 2 Φ (3) -1 = 0,997 1- Pr(μ-3σ<x< μ+3σ) = 0,003

Quindi la probabilità che le misure cadano nell'intervallo di confidenza x=μ±σ,


ovvero il livello di confidenza, è circa il 68%, nell'intervallo x=μ±2σ è circa il 95%,
mentre la probabilità che le misure cadano al di fuori dell'intervallo x=μ±3σ è solo dello
0,3%.

Fig.1.8 Grafico della funzione distribuzione normale standard

30
TABELLA 1-2

z Φ(z) z Φ(z) z Φ(z) z Φ(z) z Φ(z)

0.01 5040 0.61 7291 1.21 8869 1.81 9649 2.41 9920
0.02 5080 0.62 7324 1.22 8888 1.82 9656 2.42 9922
0.03 5120 0.63 7357 1.23 8907 1.83 9664 2.43 9925
0.04 5160 0.64 7389 1.24 8925 1.84 9671 2.44 9927
0.05 5199 0.65 7422 1.25 8944 1.85 9678 2.45 9929
0.06 5239 0.66 7454 1.26 8962 1.86 9686 2.46 9931
0.07 5279 0.67 7486 1.27 8980 1.87 9693 2.47 9932
0.08 5319 0.68 7517 1.28 8997 1.88 9699 2.48 9934
0.09 5359 0.69 7549 1.29 9015 1.89 9706 2.49 9936
0.1 5398 0.7 7580 1.3 9032 1.9 9713 2.5 9938
0.11 5438 0.71 7611 1.31 9049 1.91 9719 2.51 9940
0.12 5478 0.72 7642 1.32 9066 1.92 9726 2.52 9941
0.13 5517 0.73 7673 1.33 9082 1.93 9732 2.53 9943
0.14 5557 0.74 7704 1.34 9099 1.94 9738 2.54 9945
0.15 5596 0.75 7734 1.35 9115 1.95 9744 2.55 9946
0.16 5636 0.76 7764 1.36 9131 1.96 9750 2.56 9948
0.17 5675 0.77 7794 1.37 9147 1.97 9756 2.57 9949
0.18 5714 0.78 7823 1.38 9162 1.98 9761 2.58 9951
0.19 5753 0.79 7852 1.39 9177 1.99 9767 2.59 9952
0.2 5793 0.8 7881 1.4 9192 2 9772 2.6 9953
0.21 5832 0.81 7910 1.41 9207 2.01 9778 2.61 9955
0.22 5871 0.82 7939 1.42 9222 2.02 9783 2.62 9956
0.23 5910 0.83 7967 1.43 9236 2.03 9788 2.63 9957
0.24 5948 0.84 7995 1.44 9251 2.04 9793 2.64 9959
0.25 5987 0.85 8023 1.45 9265 2.05 9798 2.65 9960
0.26 6026 0.86 8051 1.46 9279 2.06 9803 2.66 9961
0.27 6064 0.87 8078 1.47 9292 2.07 9808 2.67 9962
0.28 6103 0.88 8106 1.48 9306 2.08 9812 2.68 9963
0.29 6141 0.89 8133 1.49 9319 2.09 9817 2.69 9964
0.30 6179 0.90 8159 1.50 9332 2.10 9821 2.70 9965
0.31 6217 0.91 8186 1.51 9345 2.11 9826 2.71 9966
0.32 6255 0.92 8212 1.52 9357 2.12 9830 2.72 9967
0.33 6293 0.93 8238 1.53 9370 2.13 9834 2.73 9968
0.34 6331 0.94 8264 1.54 9382 2.14 9838 2.74 9969
0.35 6368 0.95 8289 1.55 9394 2.15 9842 2.75 9970
0.36 6406 0.96 8315 1.56 9406 2.16 9846 2.76 9971
0.37 6443 0.97 8340 1.57 9418 2.17 9850 2.77 9972
0.38 6480 0.98 8365 1.58 9429 2.18 9854 2.78 9973
0.39 6517 0.99 8389 1.59 9441 2.19 9857 2.79 9974
0.40 6554 1.00 8413 1.60 9452 2.20 9861 2.80 9974
0.41 6591 1.01 8438 1.61 9463 2.21 9864 2.81 9975
0.42 6628 1.02 8461 1.62 9474 2.22 9868 2.82 9976
0.43 6664 1.03 8485 1.63 9484 2.23 9871 2.83 9977
0.44 6700 1.04 8508 1.64 9495 2.24 9875 2.84 9977
0.45 6736 1.05 8531 1.65 9505 2.25 9878 2.85 9978
0.46 6772 1.06 8554 1.66 9515 2.26 9881 2.86 9979
0.47 6808 1.07 8577 1.67 9525 2.27 9884 2.87 9979
0.48 6844 1.08 8599 1.68 9535 2.28 9887 2.88 9980
0.49 6879 1.09 8621 1.69 9545 2.29 9890 2.89 9981
0.5 6915 1.1 8643 1.7 9554 2.3 9893 2.9 9981
0.51 6950 1.11 8665 1.71 9564 2.31 9896 2.91 9982
0.52 6985 1.12 8686 1.72 9573 2.32 9898 2.92 9982
0.53 7019 1.13 8708 1.73 9582 2.33 9901 2.93 9983
0.54 7054 1.14 8729 1.74 9591 2.34 9904 2.94 9984
0.55 7088 1.15 8749 1.75 9599 2.35 9906 2.95 9984
0.56 7123 1.16 8770 1.76 9608 2.36 9909 2.96 9985
0.57 7157 1.17 8790 1.77 9616 2.37 9911 2.97 9985
0.58 7190 1.18 8810 1.78 9625 2.38 9913 2.98 9986
0.59 7224 1.19 8830 1.79 9633 2.39 9916 2.99 9986
0.6 7257 1.2 8849 1.8 9641 2.4 9918 3 9987

31
1.15 DEVIAZIONE STANDARD DELLA MEDIA

In genere, come si è accennato in precedenza, un insieme finito di dati è considerato un


campione di una popolazione molto più numerosa.
Così n misure di una quantità fisica possono essere considerate come un
campione limitato di un numero molto grande di misure, rappresentanti la popolazione.
Sorge ora il problema di stabilire quale sia la precisione della media e della
deviazione standard del campione di n misure. Ovvero ci si può chiedere se valori più
attendibili della media e della deviazione standard si possano ottenere considerando
altri campioni della popolazione.
Per due insiemi di n misure, in genere, le medie e le deviazioni standard non
coincideranno. Quindi per m insiemi di n misure sarà possibile calcolare la deviazione
standard delle medie, che è un indicatore della attendibilità della media. Tenendo
conto che il numero totale delle misure è nm, si indichi con:

X ji la i-esima misura dell’insieme j-esimo


n
1
Xj= ∑ X ji
n i =1
la media dell'insieme j-esimo

la aspettazione della media di tutte le misure


dji = X ji - μ la deviazione della misura X ji
Dm = X j - μ la deviazione della media X j

La varianza dell'insieme delle misure è data da:

1 m n 2
σ2 = ∑∑ d ji
mn j =1 i =1
(1-54)

mentre la varianza delle medie risulta:

1 m 2
σ = ∑ Dm j
2
m (1-55)
m j =1

La deviazione Dmj può essere espressa in funzione di dji:

1 n 1 n 1 n
Dm j = X j − μ = ∑ X ji − μ = ∑ ( X ji − μ ) = ∑ d ji (1-56)
n i =1 n i =1 n i =1

In base all'Eq.1-56, se s’ipotizza che la variabile aleatoria discreta X presenti i


valori di Xji mutuamente incorrelati, l'Eq.1-55 diventa:

32
1 m ⎛⎜ 1 n ⎞2 1 m⎛ n ⎞2 1 m n 2 s2
σ 2m = ∑ ⎜ ∑ d ji ⎟ =
⎟ ∑ ∑ d = mn 2 ∑ ∑ d ji = n
⎜ ⎟ (1-57)
m j= 1⎝ n i=1 ⎠ mn2 j= 1⎜⎝ i =1 ji ⎟⎠ j= 1i= 1

La penultima uguaglianza nell'espressione precedente deriva dalla possibilità di


ritenere il quadrato della sommatoria degli scarti coincidente con la sommatoria dei
quadrati degli scarti.
Questa condizione è facilmente comprensibile nel caso della distribuzione
normale, infatti per la sua simmetria, nell'ipotesi che il numero mn sia molto elevato, i
termini a prodotto di differenti dij tenderanno a cancellarsi vicendevolmente e la loro
somma risulterà pertanto uguale a zero.
In base all'ultima uguaglianza si ottiene il seguente risultato:

σ
σm = (1-58)
n

ovvero la deviazione standard della media di m campioni di n misure è uguale alla


deviazione standard di tutta la popolazione diviso per il numero n di misure.
La misura appropriata dell’incertezza del risultato di una misura è proprio legata
alla varianza della media delle osservazioni σm, piuttosto che alla varianza delle
singole osservazioni σ.
L'esame dell'Eq.1-58 induce a ritenere che sia preferibile aumentare il numero di
misure relative ad un solo campione di una popolazione invece del numero m di
campioni. Solo che con riferimento ad un solo campione si avranno delle stime sia della
media, sia della deviazione standard o incertezza. In particolare il valore teorico della
varianza della media fornito dall'Eq.1-58 non è noto, in quanto non è nota l’aspettazione
μ, e di esso si può ricavare una stima dalla varianza sperimentale della media
aritmetica delle n misure indipendenti:

s2 ( X i ) 1 n
s2 ( X ) =
n
= ∑ ( X i − X )2
n(n − 1) i =1
(1-59)

La radice quadrata dell’Eq.1-59 è la deviazione standard sperimentale della


media e costituisce anche una stima dell'attendibilità della media aritmetica di n misure
come stima della media della popolazione dei risultati della grandezza misurata:

n
s( X i ) 1
s( X ) =
n
=
n ( n − 1)

i =1
( X i − X )2 (1-60)

33
1.16 DEFINIZIONE E CALCOLO DELL’INCERTEZZA

Si è detto precedentemente che le parole accuratezza e precisione sono dei


parametri qualitativi e stanno a rappresentare il grado di approssimazione di misure
ripetute rispettivamente al valore del misurando e alla media aritmetica dell’insieme di
misure. L’incertezza invece è un parametro sia qualitativo sia quantitativo.
Qualitativamente essa rappresenta il grado di dubbio sulla validità del risultato di una
misura, quando invece essa deve fornire un’indicazione quantitativa va accompagnata
dall’aggettivo appropriato.
Il risultato di una misura dovrebbe essere la migliore stima del valore del
misurando e va sempre accompagnato dall’indicazione dell’incertezza, che, come
si è detto, caratterizza la dispersione dei risultati ragionevolmente attribuibili al
misurando.
L’incertezza di misura in generale comprende più componenti ed è data da una
deviazione standard o dalla semi-ampiezza di un intervallo, avente un livello
d’incertezza stabilito, come sarà chiarito in seguito. Essa, in alcuni casi particolari, può
anche essere espressa, in modo tradizionale, semplicemente dall’errore possibile da cui
è affetto il valore stimato del misurando o da una stima di una fascia di valori in cui è
presumibile che cada il valore del misurando.
Si definisce incertezza standard (o tipo) quella espressa come deviazione
standard.
Il modo di valutazione dell’incertezza può essere di due Tipi “A” e “B”, il che non
significa che le incertezze siano classificabili in questo modo.

1.16.1 Valutazione Tipo A (o di categoria A) dell’incertezza


La valutazione Tipo A dell’incertezza è ottenuta utilizzando i metodi dell’analisi
statistica di serie di osservazioni. Per esempio la valutazione Tipo A di un’incertezza
standard è ottenuta prendendo la radice quadrata della varianza valutata
statisticamente.
Come si è detto in molti casi la migliore stima x disponibile del valore atteso di
una grandezza X, che varia casualmente, e della quale sono state ottenute n
osservazioni indipendenti nelle stesse condizioni sperimentali è la media aritmetica X o
valor medio delle n osservazioni, dato dall’Eq.1-8, come dimostrato nel paragrafo 1.9.
Le singole osservazioni differiscono a causa di effetti aleatori o variazioni casuali
delle grandezze d’influenza, ovvero di grandezze che non sono il misurando, ma che
alterano il risultato della misura.
La varianza sperimentale delle osservazioni, che stima la varianza della
distribuzione di probabilità di x è data da s2 espresso nell’Eq.1-27. Questa stima della
varianza e la sua radice quadrata positiva s, denominata deviazione standard
sperimentale, caratterizzano la variabilità dei valori osservati Xi o, più specificamente la
loro dispersione intorno alla media X . La migliore stima della varianza di X è data
dall’Eq.1-59, che insieme con la sua radice, ovvero con la deviazione standard della
media, data dall’Eq.1-60, quantificano quanto bene X stimi il valore dell’aspettazione di
x, ed entrambi possono essere adottati come incertezza della misura di X :

34
n
s( X i ) 1
u ( x) = s ( X ) =
n
=
n ( n − 1)

i =1
( X i − X )2
(1-61)
s2 ( X i ) 1 n
u 2 ( x) = s 2 ( X ) =
n
= ∑
n(n − 1) i =1
( X i − X )2

le quantità u(x) e u2(x) sono spesso chiamati deviazione standard di Tipo A e


varianza di Tipo A.
Sebbene la grandezza primitiva fondamentale sia la varianza, la deviazione
standard è più conveniente nell’uso pratico in quanto ha la stessa dimensione di x e il
suo valore è più facilmente interpretabile di quello della varianza.
Quando si forniscono valutazioni di tipo A dell’incertezza occorre sempre indicare
il numero di gradi di libertà.
Si ricorda che per una variabile discreta il numero dei gradi di libertà è quello
degli addendi di una somma meno il numero dei vincoli sugli addendi della somma.
Quindi i gradi di libertà della media aritmetica ottenuta da n osservazioni indipendenti
sono ν=n-1.
La trattazione precedente non intende essere esauriente, in quanto esistono molte
situazioni, alcune molto complesse, che possono essere trattate con metodi statistici e
che dovranno essere esaminate di volta in volta.

1.16.2 Valutazione Tipo B (o di categoria B) dell’incertezza


La valutazione Tipo B dell’incertezza è ottenuta utilizzando metodi diversi da quelli
dell’analisi statistica di serie di osservazioni. Per esempio la valutazione tipo B di
un’incertezza standard è ottenuta valutando per via non statistica una deviazione
standard equivalente e calcolando la varianza equivalente, elevando tale deviazione al
quadrato.
Per una stima x di una grandezza X non ottenuta da osservazioni ripetute, le
incertezze, valutate come deviazione standard e varianza stimate u(x) e u2(x), chiamate
anche deviazione standard di Tipo B e varianza di Tipo B sono ottenute attraverso
un giudizio scientifico basato su tutte le informazioni disponibili sulla possibile variabilità
di X. L’insieme delle informazioni può comprendere:
• dati di misure precedenti;
• esperienza o conoscenza generale del comportamento e delle proprietà dei
materiali e degli strumenti d’interesse;
• specifiche tecniche del costruttore;
• dati forniti in certificati di taratura o altri;
• incertezze assegnate a valori di riferimento presi da manuali o da banche dati.
Quando x è ottenuta da una distribuzione a priori, la varianza associata è scritta
in modo appropriato come u2(X), ma si può anche indicare normalmente come u2(x).
L’uso delle informazioni disponibili per una valutazione Tipo B dell’incertezza standard
richiede notevole esperienza da parte dell’operatore.
L’attendibilità di una valutazione di Tipo B può essere analoga a quella di Tipo A,
specie se quest’ultima si basa su un numero relativamente ridotto di osservazioni.
Se la stima x è ottenuta da una specifica del costruttore dello strumento impiegato,
da un certificato di taratura, da un manuale o da una fonte simile e se la sua incertezza

35
è definita come un particolare multiplo di una deviazione standard, l’incertezza standard
u(x) si calcola semplicemente dal valore dichiarato diviso il moltiplicatore della
deviazione standard, mentre la varianza stimata u2(x) è il quadrato di tale rapporto.
A volte l’incertezza indicata nelle specifiche che accompagnano uno strumento è
data da un intervallo con il suo livello di confidenza. Qualora non sia dichiarato il tipo di
distribuzione si può ipotizzare che questa sia di tipo normale e quindi ricostruire
l’incertezza standard, dividendo l’incertezza dichiarata per il fattore appropriato relativo
alla distribuzione normale, riportato in Tab.1.3.
Così, se per esempio si afferma in un foglio di accompagnamento dello strumento
che la grandezza X può cadere con uguale probabilità all’interno o all’esterno
dell’intervallo compreso tra a e b (ovvero che la probabilità che X giaccia all’interno
dell’intervallo è del 50%) e si ritiene che la distribuzione dei valori possibili di X sia
normale, si può prendere come migliore stima x di X il punto medio dell’intervallo
x=(a+b)/2 e come incertezza standard u(x)=1,49(b-a)/2 (infatti per una distribuzione
normale un intervallo di confidenza μ±0,67σ, ha un livello di confidenza del 50%,
pertanto: a=μ-0,67σ; b=μ+0,67σ; σ =(1/0,67)(b-a)/2 ).
Un altro caso che si può presentare frequentemente è quello in cui siano noti
semplicemente i limiti superiore, b, e inferiore, a, dell’intervallo nel quale la probabilità
che il valore di X cada è pari a 1, ai fini pratici, mentre è praticamente zero quella che
ne cada al di fuori. Se non vi è altra informazione sulla distribuzione di X all’interno
dell’intervallo si può solo ipotizzare una distribuzione uniforme o rettangolare. In tal
caso la stima x coincide con l’aspettazione o speranza di X ed è il punto medio
dell’intervallo, mentre il quadrato dell’incertezza è dato dalla varianza secondo l’Eq.1-
70:

a+b (b − a) 2
x= u 2 ( x) = (1-62)
2 12

Un esempio di questo tipo di distribuzione può essere dato nel caso della
risoluzione di un’indicazione digitale. Se s’ipotizza che misure ripetute fossero tutte
identiche, l’incertezza della misura attribuibile alla ripetibilità non sarebbe zero, in
quanto vi è un insieme di segnali d’ingresso, all’interno di un intervallo noto, che
produce la stessa indicazione in uscita.
Se la risoluzione dello strumento è Δx, il valore della sollecitazione che produce
un’indicazione data X può giacere con uguale probabilità in qualunque punto
dell’intervallo compreso tra i valori X-Δx/2 e X+Δx/2. La sollecitazione è allora descritta
da una distribuzione di probabilità rettangolare di ampiezza Δx con varianza
2
u2(x)=(Δx) /12 e incertezza standard u(x)=0,29Δx per qualsiasi indicazione.
Un altro esempio si ha nel caso di arrotondamento o troncamento di numeri che si
verifica nell’elaborazione automatica dei dati su calcolatore. Se per esempio un
calcolatore ha una lunghezza di parola di 16 bit e nel corso dell’elaborazione un numero
è sottratto da un altro da cui differisce solo nel sedicesimo bit, resta un solo bit
significativo.

36
1.16.3 Raccomandazioni sull’incertezza
È importante sottolineare che le incertezze non possono essere classificate come
gli errori in sistematiche e accidentali (o aleatorie), né si può associare a un errore
sistematico una valutazione di Tipo B dell’incertezza, né a un errore accidentale una
valutazione di Tipo A dell’incertezza. Infatti l’incertezza associata all’effettuazione di una
correzione e quindi a un errore sistematico può essere valutata con i metodi
caratteristici di Tipo A o anche con quelli di Tipo B. Così viceversa l’incertezza
associata a un errore accidentale può essere valutata con i metodi tipici di Tipo B,
invece che con quelli di Tipo A.
Proprio allo scopo di evitare queste possibili fonti di confusione, si classificano i
metodi per valutare le componenti dell’incertezza piuttosto che le componenti stesse.
È bene sottolineare che la classificazione delle modalità di valutazione
dell’incertezza in due tipi ha solo utilità didattica, non essendoci differenza nella natura
dell’incertezza calcolata nei due modi sopra indicati, infatti come si è visto entrambi i tipi
di valutazione sono basati su distribuzioni di probabilità e le componenti dell’incertezza
risultanti da ambedue i metodi sono quantificate mediante varianze o deviazioni
standard.
Un’incertezza con valutazione di Tipo A è ottenuta da una funzione densità di
probabilità derivata da una distribuzione di frequenza osservata, mentre un’incertezza
con valutazione di Tipo B è ottenuta da una funzione densità di probabilità ipotizzata
sulla base del grado di fiducia nel verificarsi di un evento, sovente chiamata probabilità
soggettiva. Ambedue i metodi utilizzano le conoscenze statistiche precedentemente
esaminate ed altre note in letteratura.
Nell’ipotesi che per il calcolo dell’incertezza della stima x di una misura ci si sia
avvalsi di valutazioni sia di Tipo A sia di Tipo B, si deve procedere alla loro
combinazione in un unico valore di incertezza standard u(x), a volte con l’indicazione di
una stima della sua incertezza.
Indicati per semplicità di trattazione con uA(x) e uB(x) le incertezze standard con
valutazioni di Tipo A e B e le varianze con i quadrati delle stesse grandezze,
l’incertezza totale sulla stima x sarà data da:

u ( x) = u A2 + u B2 (1-63)

Per mostrare un possibile esempio, si può far riferimento al classico caso di n


misure ripetute dello stesso misurando, X, che ha media aritmetica X , e speranza
matematica o aspettazione μX. X rappresenta il risultato della misurazione e si
avvicinerà tanto più alla sua aspettazione, μX, quanto maggiore è il numero delle
misure; esso va accompagnato dall'indicazione dell'incertezza: X= X ±u(X).
Si può avere un miglioramento dell'accuratezza della misura e quindi della stima
del misurando rappresentata da X mediante l'effettuazione della correzione. Si
supponga di conoscere una stima, A, del valore del misurando, o, ancora meglio, della
sua speranza matematica, o della sua aspettazione, μA. Infatti, avendo abbandonato il
concetto di valore vero, il misurando va considerato appartenente ad un intervallo di
valori, all'interno di una distribuzione di probabilità, e la sua migliore stima è data proprio

37
dalla media aritmetica, X , che è il valore più prossimo all'aspettazione, μX, di
quell'insieme di misure effettuate sullo stesso misurando.
La stima del misurando, X , sarà tanto migliore quanto più saranno stati corretti gli
errori sistematici, in quanto in tal caso essa si avvicinerà ad A e quindi a μA. Cioè si
hanno due valori conoscibili X ed A appartenenti entrambi a due distribuzioni di
probabilità con medie statistiche rispettivamente μX e μA.
Nel caso specifico, in base a quanto precedentemente esposto, l'errore assoluto,
E, si può definire come la differenza fra il valore misurato, X, e la stima A: E = X - A; è
evidente che essendo A solo una stima del valore del misurando, la correzione
dell'errore E potrà semplicemente portare ad avvicinarsi alla migliore stima del
misurando, o alla sua aspettazione, μA, ovvero la correzione non potrà mai essere
completa, ma contribuirà alla quantificazione dell'incertezza con una sua componente
che si indicherà con us(X).
Indicati con Esi e Eai gli errori sistematici e accidentali relativi alla i-esima misura,
questa può essere scritta come: Xi = A + Esi + Eai, che consente di esprimere la media
aritmetica nella forma seguente:
1 n 1 n
X = A + ∑ Esi + ∑ Eai
n i =1 n i =1
Gli errori accidentali Eai rappresentano una tipica variabile aleatoria con valor medio
che si approssima a zero per n che tende all'infinito. L'errore sistematico è assimilabile
ad un'interferenza e quello aleatorio a un rumore, il che permette di considerare la
tecnica dell'averaging o della media, come strumento elementare per ridurre gli effetti
del rumore.
Anche gli errori aleatori non sono completamente eliminabili e contribuiscono
all'incertezza con una componente ur(X). Ipotizzando l'esistenza delle sole due
incertezze precedentemente indicate l'incertezza tipo, complessiva sarà data da:

u ( X ) = us2 ( X ) + ur2 ( X )

La valutazione delle componenti dell'incertezza us(X) e ur(X) può essere di tipo A o


B indifferentemente per l'una o per l'altra, in base alla metodologia di misura seguita.
L’incertezza, come l’errore, può essere espressa in valori assoluto, dato dall’Eq.1-
63, relativo u(x)/x o percentuale [u(x)/x] 100.
È importante sottolineare un’ultima raccomandazione riportata nella Guida:
essa è da considerarsi un quadro di riferimento generale per la valutazione
dell’incertezza, ma non può sostituirsi al pensiero critico, all’onesta intellettuale, alla
capacità e, aggiungerei, alla deontologia professionale dell’operatore.
La valutazione dell’incertezza non è un compito di routine, né un esercizio
puramente matematico, ma dipende dalla conoscenza approfondita della natura del
misurando e del metodo di misura. Le capacità di analisi critica e l’onesta di chi è
chiamato ad assegnare il valore dell’incertezza determinano la qualità e l’utilità
dell’incertezza attribuita al risultato di una misura.

38
1.17 INCERTEZZA STANDARD COMBINATA E PROPAGAZIONE DELLE
INCERTEZZE

Si definisce incertezza standard combinata di un risultato di una misura, quando


questa è ottenuta in funzione di altre grandezze misurabili, come avviene nei metodi di
misura indiretti, la radice quadrata positiva di una somma di addendi, rappresentati dalle
varianze o covarianze delle grandezze stesse, pesate in base alla variazione del
risultato della misura al variare delle grandezze stesse. Essa è indicata con uc(x) e si
basa sulla legge di propagazione dell’incertezza.
Si consideri un misurando

Y = f(X1, X2, X3...., XN) (1-64)

funzione di diverse quantità misurabili: X1, X2, X3...., XN, le quali prendono il nome di
grandezze d’ingresso e in genere dipendono da altre quantità, incluse tutte le
correzioni e i fattori di correzione, che possano originare sul risultato della misura una
componente d’incertezza significativa.
Le incertezze da cui sono affette le misure delle grandezze X1, X2, X3...., XN si
propagano su Y, che prende il nome di grandezza d’uscita, e tale propagazione può
essere studiata mediante semplici tecniche matematiche.
Le grandezze d’ingresso possono, con le loro incertezze, essere determinate
direttamente da misure effettuate sul misurando. Possono essere ottenute da una
singola osservazione, o da misure ripetute, o da un giudizio basato sull’esperienza.
Tra le grandezze d’ingresso e le loro incertezze possono essere incluse anche
informazioni esterne, come grandezze associate con campioni di misura tarati, materiali
di riferimento certificati, dati di riferimento ricavati da manuali o da banche dati.
Una stima del misurando Y, indicata con y, può essere facilmente ricavata dalle
stime x1, x2, x3...., xN delle N grandezze X1, X2, X3...., XN:

y = f(x1, x2, x3...., xN ) (1-65)

In alcuni casi la stima y può essere ottenuta dalla media aritmetica di n misure
indipendenti di Y, basate su un insieme completo di valori osservati delle N grandezze
d’ingresso:

1 n 1 n
y = Y = ∑ Yi = ∑ f ( X 1,i , X 2,i ,......, X N ,i ) (1-66)
n i =1 n i =1

Questo modo di ottenere la stima in genere, quando f è una funzione non lineare
delle grandezze d’ingresso, è preferito all’altro, basato sul calcolo delle medie
aritmetiche delle singole grandezze d’ingresso:

y = f ( X 1 , X 2 ,......, X N ) (1-67)

I due metodi sono identici quando f è funzione lineare delle grandezze d’ingresso.

39
L’incertezza standard combinata, indicata con uc(y), è determinata dalla
deviazione standard stimata, associata a ciascuna delle stime d’ingresso xi,
denominate incertezze standard e indicate con u(xi). Ciascuna stima delle grandezze
d’ingresso xi e ciascuna incertezza standard u(xi) sono ricavate da una distribuzione di
valori possibili delle grandezze d’ingresso Xi.
Queste distribuzioni di probabilità possono essere basate su valutazioni Tipo A,
ovvero su una serie di osservazioni e sulle relative distribuzioni di frequenza, o su
valutazioni Tipo B, ovvero su distribuzioni a priori.
Nel paragrafo 1.3 si è considerata la propagazione dell'errore su misure
indirette, si vuole ora mostrare come sia possibile calcolare la incertezza standard
combinata di grandezze misurate indirettamente quando siano note sia le stime x1,
x2, x3...., xN delle N grandezze X1, X2, X3...., XN misurate, sia le incertezze standard
u(x1), u(x2), u(x3),...., u(xN).
L’incertezza standard combinata uc(y) della stima y del misurando è la radice
quadrata positiva della varianza standard combinata. Lo sviluppo dell’Eq.1-65 in serie di
Taylor intorno ai valori di aspettazione delle xi, E[xi]=μi, troncato al primo ordine,
consente di confondere la differenza con il differenziale. Quindi per piccoli scostamenti
di y intorno alla μy in funzione di piccoli scostamenti delle xi intorno alle μi è possibile
scrivere:
2 2
⎡N ∂f ⎤ ⎛∂ f ⎞ N −1 N
∂f ∂f
(y−μ )
N
= ⎢∑ ( xi − μi ) ⎥ = ∑ ⎜ ∑ ∑
2
⎟ i
( x − μ ) 2
+ 2 ( xi − μi )( x j − μ j ) (1-68)
⎣ i =1 ∂ xi i =1 ⎝ ∂ xi ⎠ i =1 j = i +1 ∂ xi ∂ x j
y i

2
Passando dal quadrato dello scostamento (y- μy) al suo valore atteso, che è la
2 2 2 2
varianza di y σy =E[(y- μy) ], indicando con σi =E[(xi- μi) ] la varianza di xi e con covij=
E[(xi- μi)(xj- μj)] la covarianza di xi e xj, dall'Eq.1-68 si ha:

2
⎛∂ f ⎞ 2
N N −1 N
∂f ∂f
σ = ∑⎜
2
⎟ σ i + 2∑ ∑ σ iσ j ρij (1-69)
i =1 ⎝ ∂ xi ⎠ i =1 j =i +1 ∂ xi ∂ x j
y

dove ρij=covij/σiσj è il coefficiente di correlazione in funzione della covarianza covij di


xi e xj,. Dall’Eq.1-69 si ricava come si vedrà in seguito la legge di propagazione delle
incertezze.

40
1.17.1 Grandezze d’ingresso non correlate

In una prima analisi si ipotizzi che le grandezze d’ingresso siano tutte indipendenti.
In tal caso le variabili casuali associate alle grandezze d’ingresso possono essere
ritenute scorrelate.
Ciò può accadere quando le grandezze d’ingresso siano state misurate
ripetutamente, ma non simultaneamente in esperimenti indipendenti distinti, o perché
rappresentano grandezze risultanti da valutazioni distinte fatte indipendentemente, o se
le grandezze d’ingresso possono essere trattate come costanti, o se vi è informazione
insufficiente per valutare la covarianza associata alle stime delle grandezze d’ingresso.
Nei casi esemplificati l’Eq.1-69 si semplifica nella seguente:
2
N
⎛∂ f ⎞ 2
σ = ∑⎜
2
⎟ σi (1-70)
i =1 ⎝ ∂ xi ⎠
y

L'Eq.1-70 fornisce la relazione tra la deviazione standard della grandezza misurata


indirettamente e le deviazioni standard delle grandezze d’ingresso indipendenti di cui
essa è funzione.
È importante sottolineare l’esistenza del teorema del limite centrale che afferma
la possibilità di approssimare la distribuzione di Y a quella normale anche se le
2
distribuzioni delle X non risultino perfettamente normali, qualora la varianza σy sia
2 2
molto più grande di ogni singola componente della varianza ci σi delle grandezze
d’ingresso con distribuzioni che si discostino da quella normale, dove ci è il coefficiente
di sensibilità, derivata parziale della funzione rispetto a xi.
Poiché si è detto che le incertezze standard sono calcolate ricorrendo alle
varianze, o meglio l’incertezza standard combinata uc(y) della stima y del misurando è
la radice quadrata positiva della varianza standard combinata, questa per grandezze
d’ingresso non correlate, in base all’Eq.1-108 si può scrivere:
2
N
⎛∂ f ⎞ 2
u ( y) = ∑ ⎜
2
⎟ u ( xi ) (1-71)
i =1 ⎝ ∂ xi ⎠
c

Ciascuna incertezza u(xi) è standard ottenuta con valutazioni sia di tipo A sia di
Tipo B. Le derivate parziali presenti nell’Eq.1-71 sono pari alle derivate parziali rispetto
alle grandezze d’ingresso, valutate nei valori di aspettazione delle Xi, anche se si
calcolano per X1= x1:
∂f ∂f
ci = = (1-72)
∂ xi ∂ X i x1 , x2 ,......., xN

Le derivate presenti nell’Eq.1-72 sono chiamate anche coefficienti di sensibilità,


indicati con ci, e descrivono come la stima della grandezza d’uscita y varia al variare dei
valori delle stime delle grandezze d’ingresso x1, x2, x3...., xN. La incertezza combinata

41
quadrata può pertanto essere scritta come la seguente somma di termini costituiti dalle
incertezze quadrate delle grandezze d’ingresso:
N N N
u ( y ) = ∑ ci u ( xi ) = ∑ [ ci u ( xi ) ] = ∑ ui2 ( y )
2
2
c
2 2
(1-73)
i =1 i =1 i =1

dove si sono indicate con ui(y)=|ci|u(xi) le incertezze standard della stima y generate
dalle incertezze standard delle stime xi. Ciò è valido in quanto nelle ipotesi di piccole
variazioni di xi, cui corrisponda una variazione di y, si ha (Δy)i= ciΔxi. Pertanto, in base
all’Eq.1-73, la incertezza combinata quadrata può essere vista come la somma delle
incertezze della stima d’uscita y generate dalle incertezze quadrate stimate associate
alle stime d’ingresso xi.
I coefficienti di sensibilità, ci, a volte invece di essere calcolati in base alla
conoscenza della funzione f, possono essere valutati sperimentalmente. In tal caso si
misura la variazione prodotta su Y da una variazione di una specifica grandezza
d’ingresso Xi, mantenendo costanti le altre grandezze d’ingresso: ci=Δy/Δxi (costanti
tutte le grandezze d’ingresso diverse da xi).

1.17.2 Grandezze d’ingresso correlate

L’Eq.1-71 e le sue derivate sono valide solo se le grandezze d’ingresso, Xi, sono
indipendenti o scorrelate.
Se alcune delle Xi sono correlate in misura significativa, bisogna tener conto delle
correlazioni e in base all’Eq.1-11 l’espressione della varianza combinata risulta:
2
⎛∂ f ⎞ 2
N N −1 N
∂f ∂f
u ( y) = ∑ ⎜
2
⎟ u ( x ) + 2 ∑ ∑ u ( xi , x j ) =
i =1 ⎝ ∂ xi ⎠ i =1 j = i +1 ∂ xi ∂ x j
c i

2
N
⎛∂ f ⎞ 2 N −1 N
∂f ∂f
= ∑⎜ ⎟ u ( xi ) + 2∑ ∑ u ( xi )u ( x j )r ( xi , x j ) = (1-74)
i =1 ⎝ ∂ xi ⎠ i =1 j =i +1 ∂ xi ∂ x j
N N −1 N
= ∑ ci2u 2 ( xi ) + 2∑ ∑ c c u ( x )u ( x )r ( x , x )
i j i j i j
i =1 i =1 j =i +1

dove u(xi, xj)=u(xj, xi) è la covarianza stimata associata a xi e a xj.


Il grado di correlazione è caratterizzato dal coefficiente di correlazione r(xi,xj)=r(xj,
xi), compreso tra -1 e 1.
Nel caso le stime xi e xj siano indipendenti r(xi, xj)=0, se invece si presenti il caso
particolarissimo di tutti i coefficienti di correlazione pari a r(xi, xj)=1, la precedente
equazione si ridurrebbe alla seguente:

42
2
⎡ N ⎛∂ f ⎞ ⎤ ⎡N
2

u ( y) = ⎢∑ ⎜
2
⎟ u ( xi ) ⎥ = ⎢ ∑ ci u ( xi ) ⎥ (1-75)
⎣ i =1 ⎝ ∂ xi ⎠
c
⎦ ⎣ i =1 ⎦

La covarianza stimata di due grandezze d’ingresso (Xi, Xj) correlate, stimate dalle
medie determinate da n coppie indipendenti di osservazioni simultanee ripetute è data
da:
n
1
u ( xi , x j ) = s ( X i , X j ) = ∑ ( X ik − X i )( X jk − X j )
n(n − 1) k =1
(1-76)

dove la coppia (Xik, Xjk) è la k-esima delle n coppie di osservazioni.


Le correlazioni esistenti e significative tra grandezze d’ingresso possono essere
valutate sia sperimentalmente (valutazione di Tipo A della covarianza), sia
teoricamente, utilizzando l’insieme di informazioni disponibili sulla variabilità correlata
delle grandezze in questione (valutazione di tipo B della covarianza).
Una formula semplificata per il calcolo del coefficiente di correlazione con
valutazione di tipo A è la seguente:

u ( xi )δ j
r ( xi , x j ) ≈ (1-77)
u ( x j )δ i

dove δi è la variazione in xi che produce una variazione δj in xj.


L’Eq.1-77 può anche essere usata per calcolare la variazione approssimata
indotta su una stima d’ingresso da una variazione di un’altra, quando sia noto il loro
coefficiente di correlazione.
Quando si deve valutare la correlazione tra una grandezza d’ingresso e una
grandezza d’influenza, come la temperatura ambiente, la pressione atmosferica e
l’umidità, occorre molta esperienza da parte dell’operatore.
Fortunatamente spesso tali correlazioni sono trascurabili, se così non fosse, si può
evitare di introdurre le correlazioni se le grandezze d’influenza sono considerate come
grandezze d’ingresso indipendenti aggiuntive, note che siano le loro incertezze
standard indipendenti.

1.18 INCERTEZZA ESTESA

Nel campo industriale e commerciale, così come in quello sanitario o lì dove siano
coinvolte la salute e la sicurezza pubbliche, è preferibile introdurre l’incertezza estesa
U, ottenuta moltiplicando l’incertezza standard combinata uc per un fattore di
copertura k:

U = kuc ( y ) (1-78)

43
L’incertezza estesa è quella grandezza che definisce un intervallo, intorno al
risultato della misura, che ci si aspetta contenga una frazione rilevante della
distribuzione di valori, ragionevolmente attribuibili al misurando.
La scelta del fattore k, di solito compreso tra 2 e 3, è basata sulla probabilità di
copertura o livello di confidenza richiesto all’intervallo. Tale fattore deve essere
dichiarato, in modo che si possa ricavare l’incertezza standard della grandezza
misurata, da usarsi nel calcolo dell’incertezza standard combinata di altri risultati di
misure eventualmente dipendenti da quella grandezza.
Il risultato di una misura è espresso in modo appropriato come:

Y = y ±U (1-79)

L’Eq.1-79 sta a significare che la migliore stima del valore attribuibile al misurando
Y è y e che ci si aspetta che l’intervallo [y-U, y+U] comprenda una gran parte della
distribuzione di valori ragionevolmente attribuibili a Y. Un intervallo di questo tipo è
anche espresso come:

y −U ≤ Y ≤ y +U (1-80)

Il termine livello di confidenza sarebbe appropriato solo se le incertezze fossero


ottenute con valutazioni di tipo A, poiché l’incertezza estesa non fa riferimento specifico
a un tipo di valutazione dell’incertezza, è più corretto parlare di grado di confidenza. Si
può quindi affermare che U definisce, intorno al risultato della misura, un intervallo che
comprende una gran parte p della distribuzione di probabilità caratterizzata dal risultato
stesso e dalla sua incertezza standard combinata, dove p è la probabilità di copertura o
grado di confidenza dell’intervallo. È chiaro che dovrebbe essere buona norma nella
dichiarazione della incertezza estesa indicare anche il grado di confidenza p associato
alla fascia d’incertezza definita da ±U .
Nel caso in cui la distribuzione di probabilità delle stime del misurando e delle
incertezze standard combinate siano di tipo normale, o approssimativamente tali, e il
numero di gradi di libertà sia sufficientemente elevato, si può ritenere che per k=2
p≅95percento e per k=3 p≅99percento.
Spesso la definizione di p non è facile, in quanto non si riesce ad avere una
conoscenza approfondita della distribuzione di probabilità delle stime del misurando.

1.19 LIVELLI E INTERVALLI DI CONFIDENZA

L'intervallo di confidenza sta a indicare una fascia di valori entro la quale si può
presumere che cadano i risultati di misure di una stessa grandezza, ottenuti anche con
metodi diversi, una volta prefissata una certa probabilità di occorrenza o livello di
confidenza.
Così, per esempio, nel caso particolare di una distribuzione gaussiana si è trovato
che, fissato un livello di confidenza del 99,73 percento, i risultati sono contenuti in una
fascia di valore con scarti da quello centrale non superiori a 3σ.
Nella Tabella 1.3 sono riportati i valori del fattore di copertura k che produce un
intervallo avente un livello di confidenza p, nell’ipotesi di distribuzione normale.

44
TABELLA 1.3

Livello o grado di Fattore di copertura


confidenza k
p (percento)
68,27 1
90 1,645
95 1,960
95,45 2
99 2,576
99,73 3

In modo analogo si può definire un fattore di copertura per una qualsivoglia


distribuzione.
Così per esempio nel caso di una distribuzione di probabilità rettangolare si ricorda
che fissato un intervallo (a,b) la deviazione standard risulta σ=c/√3, dove c=(b-a)/2 è la
mezza ampiezza della distribuzione. Il livello di confidenza p è: 57,74 percento per k=1;
95 percento per k=1,65; 99 percento per k=1,71; 100 percento per k≥√3. Il valor
massimo k=√3=1,735 deriva dall'uguaglianza μ+kσ=b od anche dalla μ-kσ=a. Si dice
che la distribuzione rettangolare è più stretta di quella normale, nel senso che essa è di
estensione finita e non ha code.
Nell'intervallo di confidenza dovrebbe rientrare, con un prefissato grado di
confidenza, il parametro da stimare o misurando.

1.20 PRESENTAZIONE DEI RISULTATI

Il risultato di una misura, ovvero il valore attribuito a un misurando ottenuto dalla


misura, va inteso come un’approssimazione o una stima del valore del misurando e
quindi è completo solo quando è accompagnato dall’indicazione dell’incertezza di
quella stima.
Nella presentazione del risultato di una misura le cifre riportate devono contenere
tutte le informazioni che possono correttamente essere utilizzate.
È compito dell'operatore escludere le cifre che non contengano utili indicazioni e
che appesantirebbero inutilmente un’eventuale successiva elaborazione dei dati.
L'operatore inoltre è la persona più qualificata a stabilire l'accuratezza del risultato
ottenuto, ovvero quanto esso si avvicini al valore del misurando. Il risultato della misura
è generalmente scritto come somma e differenza di due grandezze: il valore centrale y
della fascia di incertezza del misurando e la metà U dell’ampiezza di tale fascia:

Y=y± U

l'incertezza estesa U è riportata con una o preferibilmente, se possibile, due cifre


significative, sebbene sia talvolta opportuno nel calcolo delle componenti
dell’incertezza conservare ulteriori cifre per evitare errori di arrotondamento nei calcoli
successivi.

45
I coefficienti di correlazione dovrebbero essere scritti con tre cifre significative
se i loro valori assoluti sono prossimi a uno.
Esistono delle convenzioni sulle cifre significative da riportare nella presentazione
di un risultato. Anche se non vi è un accordo internazionale ben definito, alcune scelte
sono accettate da tutti. Normalmente l'ultima cifra significativa di un risultato è quella
su cui ricade l'incertezza della misura. Inoltre nell'arrotondamento di un numero,
l'ultima cifra che si conserva è aumentata di una unità se la prima cifra eliminata è
maggiore di 5 o è 5. Ovvero l'ultima cifra non è variata solo quando la prima cifra
eliminata è inferiore a 5. Nella presentazione dell’incertezza si può in alcuni casi
arrotondare per eccesso anche quando la prima cifra eliminata è inferiore a 5.

TABELLA 1-5
ELENCO DI PREFISSI

Simbolo Nome Potenza Esempi

Y yotta 1024
Z zetta 1021
E exa 1018
P peta 1015 PHz
T tera 1012 TWh
G giga 109 GHz
M mega 106 MW
k kilo 103 kV
h etto 102 hg
da deca 10
d deci 10-1 dm
c centi 10-2 crad
m milli 10-3 mA
μ micro 10-6 μs
n nano 10-9
p pico 10-12 pF
f femto 10-15
a atto 10-18
z zepto 10-21
y yocto 10-24

Nota: Sono vietati i prefissi composti, formati mediante giustapposizione di più prefissi

Un'altra convenzione correntemente accettata è quella relativa agli zeri


significativi. Nella presentazione di un numero non si considerano significativi quegli
zeri che hanno la sola funzione di indicare l'entità numerica del dato presentato, ovvero
la corretta posizione delle cifre significative alla destra o alla sinistra degli zeri. I numeri
512 000 e 0,003 18 hanno, ad esempio, solo tre cifre significative, mentre 0,051 300 ne
ha cinque, in quanto gli ultimi due zeri sarebbero superflui se servissero a posizionare
le cifre 513 e quindi sono riportati unicamente per stabilire la precisione della misura.
Ad evitare incomprensioni nella presentazione di risultati di esperienze
scientifiche, si è convenuto di non riportare alla destra delle cifre significative zeri che
46
non siano anch'essi significativi, utilizzando opportuni prefissi che rappresentano
determinate potenze del 10 e che sono riportati in Tabella 1-5.
Un modo molto utilizzato per la presentazione delle misure eseguite e dei risultati
ottenuti è quello delle tabelle. Una tabella di misure e di calcoli dovrebbe rispettare
determinate regole.
Essa deve avere un titolo esplicativo dei dati presentati.
Ogni colonna di cifre dovrebbe far riferimento a risultati, ottenuti da misure dirette
o indirette, associati ad una sola quantità, essa inoltre in testa deve riportare un titolo
che consenta di identificare i dati contenuti nella colonna stessa.
È importante anche non dimenticare di riportare sotto il titolo della colonna l'unità
di misura dei dati, racchiusa in parentesi tonde o quadre.
Il titolo della tabella e i titoli delle colonne con le unità di misura vanno separati tra
loro e dai dati numerici mediante linee orizzontali.
È buona norma infine associare ad ogni colonna di dati le incertezze da cui essi
sono affetti, con la loro denominazione, o utilizzando una colonna aggiuntiva o facendo
riferimento solo al valor massimo della fascia d’incertezza e in tal caso questo si
riporterà in coda alla rispettiva colonna.
A volte la presentazione dei dati avviene in forma grafica, anche se si perdono
inevitabilmente informazioni dettagliate sull’accuratezza dei risultati. Vi sono degli
innegabili vantaggi di tale presentazione su quella tabellare.
In particolare i grafici forniscono una rappresentazione visiva dei risultati che
consente una comprensione più immediata del fenomeno fisico. Inoltre è possibile
verificare in modo immediato e sintetico il tipo di relazione esistente fra due variabili.
Come per il caso della compilazione di tabelle, esistono determinate regole per
una rappresentazione appropriata dei dati in forma grafica.
Il grafico deve innanzi tutto contenere indicazioni, attraverso un’intestazione, un
titolo, una didascalia, sul tipo di misure eseguite, sulla apparecchiatura in prova e
sulle condizioni nelle quali sono state eseguite le misure.
Le curve vanno tracciate con cura scegliendo in modo opportuno le scale. Su uno
stesso grafico si possono tracciare più curve e in tal caso su ciascuna sinteticamente va
indicata la grandezza rappresentata.
La scelta delle scale sia in ascisse sia in ordinate deve essere fatta in modo da
rendere facile la lettura dei valori relativi a un determinato punto della curva, nel senso
che la grandezza sia letta direttamente senza che venga richiesta alcuna operazione
ausiliaria di moltiplicazione o divisione.
È importante non dimenticare l'indicazione, attraverso il simbolo, racchiuso in
parentesi tonde o quadre, delle unità di misura sia sull'asse delle ascisse sia su quella
o quelle delle ordinate.
La scala inoltre deve consentire la lettura dei dati con l’approssimazione
derivante dall'incertezza di misura associata a quella grandezza.
Così per esempio se i risultati di una misura sono conosciuti con un’incertezza
dell'un per cento non è corretto scegliere una scala che consenta una lettura con
un'approssimazione intorno a frazioni dell'unità per cento o a decine per cento.
La scala non va riportata a margine del grafico, ma deve essere comprensibile
dalla lettura dei valori numerici riportati sugli assi. Questi valori numerici devono
essere possibilmente interi, equispaziati sull'asse e in numero di tre o quattro per
ragioni estetiche.

47
I punti sperimentali vanno evidenziati sul grafico, senza l'indicazione dei valori
delle coordinate, e nel caso si riportino più curve sullo stesso grafico è bene distinguere
i punti relativi a ciascuna di loro con segni differenti.
Poiché i fenomeni macroscopici sono continui, i punti sperimentali vanno
raccordati con curve continue, salvo quando si tratti di caratteristiche discontinue,
nel qual caso si può ricorrere anche a una spezzata o a un istogramma.
Quando il raccordo dei diversi punti risulta difficoltoso è necessario interpolarli, il
che lo si può fare ad occhio o ricorrendo a particolari algoritmi ai quali si accennerà in
seguito.
È importante sottolineare al riguardo che ogni linea che raccordi i punti
sperimentali è matematicamente accettabile come una rappresentazione grafica del
fenomeno fisico in esame se la massima deviazione dei punti sperimentali dalla
curva è inferiore ai valori limite delle possibili incertezze di misura. Tuttavia fra le varie
curve che si possono tracciare ve ne è una che risulta la migliore, in grado di
minimizzare la somma algebrica degli scarti tra i punti sperimentali e quelli
corrispondenti giacenti sulla curva stessa. Il miglior accordo tra curva e punti
sperimentali si ottiene mediante opportune tecniche di regressione.

1.21 PROVA DEL CHI-QUADRO

Uno speciale tipo di prova, spesso utilizzata per verificare la equivalenza tra una
funzione di densità di probabilità di dati, relativi a un campione di una popolazione, e
una funzione teorica di densità di probabilità, è la prova del χ2 o della bontà
dell'approssimazione. Un esempio può chiarire il significato della prova.
Al paragrafo 1-8, in Tabella 1-1, sono stati forniti i dati relativi alla legge di
probabilità, pi, relativa al lancio di due dadi.
La validità di tale legge è legata all'ipotesi di perfetta realizzazione dei dadi. Nel
caso si esegua un gran numero di lanci e i risultati siano tali da non rispettare la
suddetta legge di probabilità, sorge il dubbio che i dadi siano truccati.
Il problema è quello di stabilire un criterio per quantificare il disaccordo tra le due
leggi. Con riferimento alle variabili discrete, la funzione di probabilità è in genere
espressa in termini di frequenze dei vari eventi F(x).
In particolare si consideri un campione di n misure della variabile x e si presuma di
conoscere la funzione di probabilità p(x) (nel caso di variabili continue si farà riferimento
alla densità di probabilità).
Le n misure si raggruppino in k intervalli, o classi, di prefissata ampiezza Δx, che
insieme formano un istogramma delle frequenze. Il numero di misure che cadono
all'interno dell'i-esima classe è chiamato la frequenza misurata nell'i-esima classe e
sarà indicata con Fi(Δx).
Il numero di osservazioni, che si attenderebbe cadere entro la i-esima classe in
base alla funzione di probabilità attesa, sarà dato dal prodotto del numero di
osservazioni n per la probabilità che la misura cada nell'intervallo i-esimo, detta
frequenza attesa: npi(Δx).

48
TABELLA 1-7

ν χ2 Pr ν χ2 Pr ν χ2 Pr

1 .003157 .99 2 .0201 .99 3 .115 .99


1 .003628 .98 2 .0404 .98 3 .185 .98
1 .00393 .95 2 .103 .95 3 .352 .95
1 .0158 .90 2 .211 .90 3 .584 .90
1 .0642 .80 2 .446 .80 3 1.005 .80
1 1.642 .20 2 3.219 .20 3 4.642 .20
1 2.706 .10 2 4.605 .10 3 6.251 .10
1 3.841 .05 2 5.991 .05 3 7.815 .05
1 5.412 .02 2 7.824 .02 3 9.837 .02
1 6.635 .01 2 9.210 .01 3 11.341 .01
1 10.827 .001 2 13.815 .001 3 16.268 .001
4 .297 .99 5 .554 .99 6 .872 .99
4 .429 .98 5 .752 .98 6 1.134 .98
4. 711 .95 5 1.145 .95 6 1.635 .95
4 1.064 .90 5 1.61 .90 6 2.204 .90
4 1.649 .80 5 2.343 .80 6 3.07 .80
4 5.989 .20 5 7.289 .20 6 8.558 .20
4 7.779 .10 5 9.236 .10 6 10.645 .10
4 9.488 .05 5 11.07 .05 6 12.592 .05
4 11.668 .02 5 13.388 .02 6 15.033 .02
4 13.277 .01 5 15.086 .01 6 16.812 .01
4 18.465 .001 5 20.517 .001 6 22.457 .001
7 1.239 .99 8 1.646 .99 9 2.088 .99
7 1.564 .98 8 2.032 .98 9 2.532 .98
7 2.167 .95 8 2.733 .95 9 3.325 .95
7 2.833 .90 8 3.49 .90 9 4.168 .90
7 3.822 .80 8 4.594 .80 9 5.38 .80
7 9.803 .20 8 11.03 .20 9 12.242 .20
7 12.017 .10 8 13.362 .10 9 14.684 .10
7 14.067 .05 8 15.507 .05 9 16.919 .05
7 16.622 .02 8 18.168 .02 9 19.679 .02
7 18.475 .01 8 20.09 .01 9 21.666 .01
7 24.322 .001 8 26.125 .001 9 27.877 .001
10 2.558 .99 11 3.053 .99 12 3.571 .99
10 3.059 .98 11 3.609 .98 12 4.178 .98
10 3.940 .95 11 4.575 .95 12 5.226 .95
10 4.865 .90 11 5.578 .90 12 6.304 .90
10 6.179 .80 11 6.989 .80 12 7.807 .80
10 13.442 .20 11 14.631 .20 12 15.812 .20
10 15.987 .10 11 17.275 .10 12 18.549 .10
10 18.307 .05 11 19.675 .05 12 21.026 .05
10 21.161 .02 11 22.618 .02 12 24.054 .02
10 23.209 .01 11 24.725 .01 12 26.217 .01
10 29.588 .001 11 31.264 .001 12 32.909 .001
13 4.107 .99 14 4.660 .99 15 5.229 .99
16 5.812 .99 17 6.408 .99 18 7.015 .99
19 7.633 .99 20 8.26 .99 21 8.897 .99
22 9.542 .99 23 10.196 .99 24 10.856 .99
25 11.524 .99 26 12.198 .99 27 12.897 .99
28 13.565 .99 29 14.256 .99 30 14.953 .99

49
La differenza tra la frequenza attesa e quella misurata è data da npi(Δx)-Fi(Δx)
per la i-esima classe. Un indicatore della differenza totale, relativa a tutte le classi, è il
χ2 definito nel modo seguente:

[ npi (Δx) − Fi (Δx)]


2
k
χ =∑
2
(1-81)
i =1 npi ( Δx)

Si tratta ora di interpretare il risultato della prova. Chiaramente, al limite, se la


funzione di probabilità relativa al campione preso in esame riproponesse esattamente
quella attesa, si avrebbe χ2=0, il che è estremamente improbabile, ma fornisce
l'indicazione di massima che la discrepanza fra le distribuzioni cresce all'aumentare del
χ2.
Un criterio per stabilire la bontà di approssimazione delle distribuzioni è quello di
verificare che il χ2 sia inferiore al numero k di classi, ma per meglio quantificare il
risultato della prova conviene introdurre il concetto di grado di libertà ν della
distribuzione fornita dall'Eq.1-81. Esso è definito dal numero di quadrati indipendenti
che sono presenti nell'Eq.1-81 ed è dato da k meno il numero di vincoli lineari
indipendenti imposti sulle misure.
Un vincolo è dato dal fatto che la frequenza relativa alla classe k-esima è nota una
volta raggruppati i dati nelle rimanenti k-1 classi, essendo noto n. Nel caso in cui la
densità di probabilità attesa sia quella normale, con media e varianza incognita, vi
saranno altri due vincoli in quanto i dati dovranno essere utilizzati per il calcolo della
media e della deviazione standard. Pertanto, nel caso molto comune in cui la prova del
χ2 sia utilizzata per una verifica di normalità della funzione di distribuzione, i gradi di
libertà risultano ν = k-3.
In Tabella 1-7 sono riportati i valori delle probabilità dell'evenienza che χ2 superi
un determinato valore, riportato in tabella, in funzione di ν, con probabilità variabile tra
0,99 e 0,001. Ad esempio per ν=25 la probabilità che χ2 abbia un valore maggiore o
uguale a 11,524 è pari a 0,99.

1.22 METODO DEI MINIMI QUADRATI

Il principio dei minimi quadrati fu formulato inizialmente da Legendre il quale


affermò che il valore più probabile di qualunque quantità misurata è tale che la
somma dei quadrati delle deviazioni delle misure da questo valore è minimo.
Assegnato quindi un insieme di n misure il valore più probabile x della variabile è
quello che minimizza la seguente sommatoria:
n

∑( x − x )
2
i (1-82)
i =1

il che si ottiene imponendo la condizione:

50
d n
∑ ( x − xi ) = 0
2
(1-83)
dx i =1

L'Eq.1-83 può essere considerata come una procedura di minimizzazione della


varianza, da essa si ha:
n n n
d
∑ ( x − xi ) = 2∑ ( x − xi ) = 2nx − 2∑ xi = 0
2

i =1 dx i =1 i=1
da cui:
1 n
x= ∑ xi
n i =1
(1-84)

Dall'applicazione del principio dei minimi quadrati deriva dunque, in modo


conforme a quanto esaminato in precedenza, che il valore più probabile di una
quantità misurata è la media aritmetica delle misure.
Legendre applicò il metodo dei minimi quadrati alle equazioni lineari in due
variabili. Si consideri l'equazione:

y = mx + q (1-85)

e si supponga di aver eseguito diverse misure delle variabili x e y per aumentare la


precisione nell'identificazione parametrica dell'Eq.1-140. Il numero n di misure deve
essere maggiore di 2, in questo caso in cui le incognite m ed q sono in numero di 2. Le
n equazioni trovate in genere non saranno consistenti e quindi esisteranno delle
deviazioni che, con riferimento alla generica coppia (xi,yi), possono essere espresse
come segue:

di = mxi + q - yi (1-86)

Se i punti sperimentali sono raccordabili con una retta, l'esistenza di valori non
nulli delle deviazioni deriva dalla presenza di errori sperimentali sulle variabili x e y. I
valori più probabili di m e q, ovvero quelli che consentono di individuare la retta che
meglio raccordi i punti sperimentali, sono ottenibili dalla minimizzazione della seguente
quantità:
n n

∑d = ∑ ( mxi + q − yi )
2
i
2
(1-87)
i =1 i =1

Per minimizzare la funzione a due variabili si possono uguagliare a zero le


derivate parziali della funzione rispetto a ciascuna delle incognite:

∂ n 2 ∂ n 2
∑d = 0
∂ m i =1 i
∑d = 0
∂ q i =1 i
(1-88)

Si ottengono in tal modo due equazioni che risolte simultaneamente forniscono i


valori attesi di m e q. Dall'Eq.1-88 si ottiene il seguente sistema:
51
⎧ n ∂ 2 n
⎪∑ di = ∑ 2 xi (mxi + q − yi ) ⎧ n 2 n

⎪ i =1 ∂ m i =1 ⎪ ∑ i
m x + qnx = ∑ xi yi
⎨ n ⎨ i =1 i =1 (1-89)
⎪ ∂ 2 n ⎪
⎪⎩∑
di = ∑ 2(mxi + q − yi ) ⎩mx + q = y
i =1 ∂ q i =1

le cui soluzioni sono:


⎧ n n

⎪ ∑ x i y i − nx y ∑ xi yi − nx y
⎪m = n i =1
= i =1

⎪ nσ x2

2
xi − nx
2
⎪⎪ i =1
⎨ n n n n
(1-90)
⎪ y ∑ xi2 − x ∑ xi yi y ∑ xi2 − x ∑ xi yi

⎪q = = i =1
i =1 i =1 i =1
n
nσ x2
⎪ ∑
2
xi2 − nx
⎪⎩ i =1

Il metodo dei minimi quadrati può essere generalizzato al caso in cui la relazione
tra le variabili x e y non sia lineare. Questa per esempio può avere una relazione del
tipo:
2
y = ao+a1x+a2x + ....... + amxm (1-91)

che comporta la determinazione di m+1 incognite. In tal caso le coppie di misure (xi,yi)
devono essere in numero n maggiore di m+1. Le costanti ak possono essere valutate
imponendo che sia minima la somma delle seguenti deviazioni:

∑ di2 = ∑ ( yi − a0 − a1 xi − a2 xi2 − ....... − am xim )


n n 2
(1-92)
i =1 i =1

La procedura comporta la soluzione di m+1 equazioni ottenute uguagliando a zero


le derivate parziali della somma delle deviazioni al quadrato rispetto a ognuna delle
incognite ak. I tempi di calcolo possono essere lunghi, anche utilizzando dei calcolatori
numerici, quando il numero delle incognite risulti elevato.
Ciò ha portato alla messa a punto di una serie di algoritmi che consente di
accelerare la minimizzazione di funzioni obiettivo del tipo di quelle date dall'Eq.1-92.
Queste procedure vanno sotto il nome di tecniche di ottimizzazione mediante l'LSM
(acronimo delle parole inglesi "Least Squares Method").
È sempre possibile considerare, al solito, opportuni pesi che possono servire sia
ad accelerare la convergenza del metodo, sia a dare maggiore risalto ad alcuni risultati
che si ritengano più attendibili di altri.

52
1.23 RETTE DI REGRESSIONE E COEFFICIENTE DI CORRELAZIONE

Nel paragrafo precedente si è ipotizzato di conoscere a priori il legame funzionale


tra x e y, a volte si può non essere certi su questa relazione funzionale.
Allo scopo di trovare la legge che meglio raccordi i punti sperimentali sono state
concepite procedure iterative di identificazione.
Si ricorre in particolare a tecniche di regressione che consistono nel ricercare
una relazione matematica fra le misure di due variabili, in modo tale che il valore di una
variabile possa essere predetto dalla misura dell'altra variabile.
Senza entrare nel merito delle tecniche di regressione, si sottolinea che la verifica
più semplice è quella della correlazione lineare. Per questa verifica si procede al solito
ipotizzando la validità dell'Eq.1-85. In genere si preferisce esprimere questa in altra
forma, tenendo conto, come è facile verificare, che la coppia di punti, costituiti dalle
medie dei dati sperimentali, cade sulla retta di Eq.1-85 per cui si può scrivere:

y = mx + q (1-93)

Sottraendo l'Eq.1-93 dall'Eq.1-85 si ha l'equazione:

y − y = m( x − x ) (1-93)

che prende anche il nome di retta di regressione di y su x. L'Eq.1-93 può anche essere
posta nella forma:
x−x =
m
1
( )
y − y = m' y − y ( ) (1-94)

che fornisce la retta di regressione di x su y.


Dal confronto tra l'Eq.1-93 e l'Eq.1-94 dovrebbe risultare verificata la uguaglianza
mm'=1, nel caso di perfetta correlazione.
La relazione lineare in genere è vera solo approssimativamente. Si definisce
1/2
pertanto come coefficiente di correlazione la quantità r=(mm') .
Nel caso in cui questo coefficiente risulti pari a 1 vi è perfetta correlazione tra x e
y. Nel caso in cui r sia uguale a zero, dovrà essere nullo o m o m'. Nel primo caso
dall'Eq.1-149 si ha y= y , ovvero non vi è correlazione tra i punti e la retta di regressione
è parallela all'asse delle x, nel secondo caso, in base all'Eq.(1-96) si ha x= x e la retta di
regressione è parallela all'asse delle y.
In genere r (compreso tra 0 e 1) non è mai perfettamente uguale a 1, per cui le
due rette, le cui equazioni sono date dall'Eq.1-93 e Eq.1-95, non coincideranno, ma
passeranno ambedue per il punto di coordinate ( x , y ). Si assume come retta che
meglio approssima i dati sperimentali la bisettrice dell'angolo acuto fra le suddette rette.
Allo scopo di fornire un'espressione per il calcolo del coefficiente di
correlazione si minimizzi la somma degli scarti al quadrato calcolati in base all'Eq.1-94
per il calcolo di m’, che consente di ottenere la seguente espressione di r:

53
n

∑ x y − nx y
i i
r = mm ' = i =1
(1-95)
nσ xσ y

A volte le rette di regressione sono espresse in funzione del coefficiente di


correlazione e in tal caso è facile che assumono la seguente forma:

y− y x−x x−x y− y
=r =r (1-96)
σy σx σx σy

Purtroppo in molti casi l'esame su un grafico dei punti sperimentali mostra che non
esiste una relazione lineare tra i punti sperimentali. Tuttavia la conoscenza delle leggi
fisiche che governano il processo possono spesso suggerire trasformazioni tali da
ottenere una rappresentazione grafica approssimabile con una relazione lineare.
Tipico è il caso in cui le due variabili siano legate da una legge di tipo
esponenziale, in quanto diagrammando, sui due assi cartesiani, i logaritmi delle due
variabili si ottiene una relazione lineare che può essere stimata da una regressione
lineare ai minimi quadrati.
Quando non è nota la legge fisica che lega le due variabili e la
rappresentazione grafica mostra che i dati non siano raccordabili con una retta, le
tecniche di regressione vanno applicate stimando i parametri di polinomi di ordine
superiore, finché si ottiene una curva che approssimi i dati sperimentali in modo
soddisfacente.
Uno dei requisiti fondamentali nelle tecniche di regressione è che la massima
deviazione fra i diversi dati e la curva calcolata sia inferiore all’incertezza di misura
calcolata e che determina la fascia di incertezza. Questa condizione non sempre è
soddisfatta, per cui occorre un criterio che consenta di stabilire quale curva approssimi
meglio di un’altra i dati sperimentali. Si tratta anche in questo caso di trovare un
opportuno coefficiente di correlazione o qualcosa di analogo. Le cosiddette prove di
confidenza, tese a questo scopo, sono diverse, una di queste consiste nel calcolare la
somma S delle deviazioni quadratiche relative ad un dato polinomio, che leghi le due
variabili x e y e con il quale si è tentato di raccordare i dati, e nel confrontarlo con il
valore di S calcolato per la curva di regressione di un ordine superiore. La curva che si
riterrà raccordare meglio delle altre i dati sperimentali sarà quella che presenterà il
valore di S, tale che tutti i dati cadano all’interno della fascia d’incertezza. Esistono altre
prove di confidenza che vanno oltre gli scopi del corso.

54

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