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A proposito di ‘tradizione e modernità’

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Paolo Pastori

A PROPOSITO DI ‘TRADIZIONE E MODERNITÀ’

I. L’introduzione al quesito del rapporto fra i due termini di ‘tra-


dizione’ e ‘modernità’ richiede alcune precisazioni preliminari a
qualsiasi risposta nel senso di un nesso di vicendevole implicazio-
ne oppure di reciproca esclusione. Intanto, la nozione di ‘moderni-
tà’ appare relativa ad una creduta o quanto meno data per certa to-
tale priorità del momento attuale, convinzione che induce a conce-
pire tutta la realtà contemporanea come auto-referente, come cioè
un prodotto di auto-produzione del momento presente, vissuto co-
me assoluta sconnessione ed estraneità da vicende, acquisizioni e
creazioni del passato. Si tratta di un modo di sentire del tutto super-
ficiale e frettoloso di vivere la società e di viversi in essa senza al-
cuna consapevolezza del debito che anche solo in termini di legami
familiari e più in generale sociali si ha nei confronti dell’umanità
che ci ha preceduti.
Qui, evidentemente, l’individualismo ed il ‘solipsismo’ si pon-
gono come il vero volto di una modernità’ vissuta nel totale distac-
co dal passato. In definitiva, siamo in presenza dell’ultima e più
recente risultanza dell’atteggiamento di pensiero per cui – a partire
dalle punte estreme del razionalismo e del naturalismo specifici di
tanta parte dell’illuminismo francese – si è cominciato a credere
che davvero ‘ratio’ e ‘natura’ coincidessero istintualmente, secon-
do un automatismo naturalistico che toglierebbe finalmente la ma-
schera a tante inutili, ma perentorie e quindi dispotiche, imposizio-
ni di un senso piuttosto che un altro ad una realtà che, invece, si
paleserebbe – una volta liberata da tali interposizioni - in tutta la
suddetta coincidenza istintuale fra natura e razionalità.
Che bisogno avrebbe l’individuo attuale – se l’abbandono natura-
listico all’istinto gli dettasse tutto - di ricercare se stesso nella me-
moria delle passate vicende dell’umanità anteriore, incamminata da

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secoli e millenni sulla via di una faticosa, drammatica, mai defini-


tiva e quindi precaria, evoluzione verso una razionalità di rapporti
con il mondo fisico ed all’interno di un altrettanto tragicamente ac-
quisito ordine umano?
D’altro canto, a nostra volta, non potremmo, senza gravi frain-
tendimenti ed errori, ridurre la ‘modernità’ a questo modo superfi-
ciale e distratto di concepire l’innegabile priorità relativa che il
tempo che attualmente viviamo ha per noi e la società contempora-
nea. La ‘modernità’ correttamente intesa è il ‘modus’, il ‘ritmo, il
‘periodo’ attuale di un più complesso processo nel quale si concre-
ta – pur fra mille crisi e cesure (di guerre, rivoluzioni, di deviazioni
e degenerazioni) – quella innegabile relativa ‘continuità’ che ci
permette in ogni generazione di evitare – malgrado erramenti e
colpe imperdonabili e sempre letali – il dramma di un totale ‘rico-
minciamento’ nel suddetto percorso di lenta e graduale evoluzione
verso il progresso culturale e civile.
Il problema è quello di regolare questo allineamento al ‘ritmo’ di
una processione quasi circolare dell’esperienza umana attorno ai
medesimi fraintesi, eccessi, squilibri. E dunque ‘modernità’ come
un ‘riallineamento’ alle precondizioni ed alle implicazioni di una
continuità della vita da ritrovare malgrado le continue cesure e gli
eccessi compiuti ad ogni generazione. Per un verso si dovrà andare
al di là degli effetti di tante pulsioni centrifughe che se non fossero
costantemente arginate e corrette sospingerebbero l’umanità verso
il vuoto di una galassia senza possibilità di ordine razionale e di
inserimento delle nostre esigenze di vita. Per altro verso, non ci si
può sottrarre al dovere di affrontare e risolvere i molti quesiti di
trovare i ‘modi’, i ‘ritmi’, i ‘tempi’ ed i ‘contenuti’ di questa rinno-
vata sintonizzazione appunto della ‘modernità’, dell’‘attualità’ e
del ‘progresso’ con quello che nella fraintesa priorità del presente
si configura del tutto a torto come completamente estraneo se non
addirittura avverso ed ostile, cioè la ‘tradizione’.
Una nozione, quest’ultima, - per un verso - altrettanto, se non di
più, distorta ed addirittura osteggiata dai troppo superficiali apolo-
geti della fraintesa ‘modernità’. E per altro verso nozione enfatiz-
zata in positivo, anche qui con soverchio e frettoloso entusiasmo,
da discussi ed auto-referenziali interpreti della ‘tradizione’, ridotta

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indebitamente a categoria unica, a personificazione onnivalente di


ogni altra ‘tradizione’. Beninteso, qui, con esclusione perentoria di
ogni tradizione che non collimasse con il paradigma tanto asserti-
vamente posto da questi sedicenti ‘tradizionalisti’.
Sotto questo profilo, forse ancor più pericolosamente della ‘mo-
dernità’, la nozione di ‘tradizione’ è stata bistrattata - ed in ultima
analisi squalificata - proprio da coloro che pretendevano di riferir-
visi appunto come categoria unica ed onniesclusiva. E qui i molti
‘peregrinamenti’ intellettualistici, culturali, ideologici, per cui la
‘tradizione’ è stata indebitamente confusa - tout-court, da suoi ne-
mici e dagli stessi suoi ‘amici’ - con il ‘conservatorismo’ ed il ‘tra-
dizionalismo’.
In questa prospettiva, si capisce benissimo perché il referente alla
‘tradizione’ abbia caratterizzato in positivo ed in negativo tanta
parte del versante teoretico (prima ancora che ideologico) della fi-
losofia politica fra la fine del XVIII secolo ed i primi quattro de-
cenni del XX. In positivo, una simile enfasi posta sulla ‘tradizione’
è scaturita ‘rebus ipsis dictantibus’, cioè dall’esigenza di sopravvi-
venza delle proprie persone, famiglie e del proprio ruolo sociale a
fronte del radicalismo ‘ordinovista’ degli approdi giacobini del
troppo veemente ed assolutistico ingresso sulla scena politica della
‘borghesia’, del ‘Terzo stato’, che all’improvviso ritenne di potersi
porre come il primo ed unico protagonista della storia moderna.
In altre parole, i primi due ‘ordini’ sociali (o ‘stati’), il clero e la
nobiltà, si trovarono nell’emergenza di riaffermare il primato della
tradizione (sia religiosa che politico-istituzionale) per sopravvive-
re, di contro alla radicale negazione ‘rivoluzionaria’ di ogni conti-
nuità non solo con le forme, ma ancor prima con la sostanza etico-
politica dell’ordine tradizionale. Su di un fronte, si ridusse ideolo-
gicamente tutto il passato a negatività ed errore, andando oltre la
critica e l’opposizione, come pure si doveva, alle molte, troppe, ri-
duzioni della giuridicità alla legalità formale e della religione alla
ritualità tutta esteriore. Sull’altro fronte si reagì a questa negazione
radicale con un’altrettanto ideologica riaffermazione dell’antico
regime, di tutto il ‘passato’, anche quello di errori, pregiudizi e pri-
vilegi che contrastavano con la sostanza della ‘tradizione’ politica,
giuridica, etica. Da qui, su questo versante, la riaffermazione acri-

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tica, apologetica, anch’essa auto-referenziale, della ‘tradizione’,


con i suoi correlati di staticizzazioni ed integralismi incompatibili
sia con la sostanziale dinamicità della ‘tradizione’ che con i suoi
ineludibili, necessari, vitali, aggiustamenti secondo il ritmo, i tem-
pi, le esigenze e le istanze dell’attualità.
In questa prospettiva si aprì uno iato immotivato fra ‘tradizione’
e ‘modernità’, che, del resto, sin da quegli inizi alla svolta del
XVIII-XIX secolo, personalità di ampie vedute e carattere capirono
di dover in qualche modo annullare in una riproposizione in ‘veste
nuova’ del necessario nesso fra passato e presente, fra ‘tradizione’
e ‘modernità’. Un nesso di vicendevole implicazione fra due termi-
ni della vicenda umana che si rivelano ad ogni sguardo meno pre-
venuto e pregiudiziale altamente significativi sul piano sia
dell’indagine storica che su quello della riflessione filosofica e, non
ultimo, sul piano stesso delle scienze e della razionalità, che solo
un riduttivismo ideologico ha potuto credere surrogatorie ed anta-
goniste nei riguardi della tradizione.

II. I testi che qui presentiamo si collocano appunto nel contesto


critico di un ripensamento dei nessi fra ‘tradizione’ e ‘modernità’.
Prescindendo dallo studio di chi scrive (La ricerca di una tradi-
zione politica fra XVIII e XIX secolo. Vincenzo Cuoco fra rivolu-
zione radicale e reazione restauratrice), il saggio di Paolo Armel-
lini (L’idea di Risorgimento in Augusto Del Noce) prende a riferi-
mento l’interpretazione sull’idea di nazione di Croce e Gentile, da
cui Del Noce trae il concetto di ‘tradizione nazionale’, attentamen-
te distinguendola dalla categoria di ‘Risorgimento’ troppo caricata
di quell’enfasi retorica prodottasi all’epoca del neoidealismo. Il
successivo confronto con Gioberti e Rosmini condurrà Del Noce –
come giustamente sottolinea Armellini – a rinnovare
l’interpretazione del ‘Risorgimento’ ed a fondare le basi del suo
liberalismo democratico.
Il saggio di Sandro Ciurlia (Tempo, memoria e storia. Il contri-
buto dell’ermeneutica filosofica di Gadamer per una teoria teore-
tico-politica della tradizione) – prendendo spunto dal dibattito sul-
lo statuto dell’ermeneutica come filosofia del dialogo tra punti di
vista differenti – intende ricostruire i termini della riflessione ga-

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dameriana sul tema della tradizione come orizzonte di princìpi e di


valori da ‘ascoltare’, onde trarne indicazioni per operare nel pre-
sente e progettare il futuro. Sotto tale angolazione, l’A. non esita a
discutere i limiti ‘relativistici’ e ‘nichilistici’ che insidiano la pro-
spettiva filosofica ermeneutica. E, soprattutto, Ciurlia mette in ri-
lievo gli esiti di natura etico-politica di tale indirizzo critico. Esiti
che conducono alla determinazione di una forma di liberalismo
pluralistico, inteso a promuovere la libertà dell’individuo nella so-
cietà della comunicazione di massa.
Dal canto suo, Antonio Quarta (La cultura italiana e la scienza:
tradizioni filosofiche a confronto) focalizza l’attenzione sul ruolo
che lo studio delle immagini filosofiche della scienza ebbe nelle
vicende della cultura italiana di fine Ottocento. Analizzando le fi-
gure di Cuoco, di Gioberti e di Cattaneo, l’A. dimostra in quale mi-
sura la riflessione sulla scienza abbia contribuito a determinare
l’insorgenza di una compiuta e storicamente coerente idea di na-
zione.
Nella seconda sezione della Rivista, intitolata Forum: le vie del
pensare, ancora Ciurlia (“Come la spada di Odino lacera e poi
guarisce …”: le persistenti ragioni dello storicismo) trae spunto da
un recente studio di Giuseppe Galasso per riflettere sull’attualità
dello storicismo. Pur ribadendo la consunzione delle grandi metafi-
siche dello storia, emerge un’idea di storicismo come prospettiva
critica dinamica e flessibile, in grado di rendere conto della com-
plessità della tradizione storica di cui si è parte, senza più indulgere
in pregiudiziali liquidazioni. Così, lo storicismo assume una veste
critica, fa i conti con la metafisica e consente di aprire solidi oriz-
zonti progettuali di ordine teoretico ed etico-politico.
Il proposito che muove Salvo D’Agostino (La riflessione critica
in Europa e la fisica teorica) è di analizzare le vicende critiche che
condussero alla trasformazione del paradigma della fisica teorica
tardo-ottocentesca in un’immagine della scienza tale da privilegia-
re il ruolo della tecnologia come scienza applicata.
Un utile ausilio agli studi su Nifo e l’aristotelismo padovano u-
manistico-rinascimentale è offerto da Ennio De Bellis (La biblio-
grafia di Nifo secondo l’analisi bibliometrica delle opere pubblica-
te), che introduce ad un censimento delle opere pubblicate dal

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Suessano e ad un quadro della loro diffusione in Italia ed all’estero.


Il concetto di ‘oggetto’ in Wittgenstein è esaminato da Pasquale
Frascolla (Sugli oggetti come sostanza del mondo), con particolare
attenzione rivolta al Tractatus. Prendendo spunto dalla nota con-
vinzione wittgensteiniana che il linguaggio è l’immagine logica dei
fatti del mondo, l’A. giunge ad affrontare temi-chiave del pensiero
di Wittgenstein quali: il solipsismo, il ruolo del soggetto e le fun-
zioni della metafisica.
Da segnalare lo studio di Maria Nigro (Il “grande errore” di Li-
se Meitner) che pubblica, nell’originale tedesco ed in traduzione,
una lettera del giugno 1945 di Lise Meitner ad Otto Hahn, nella
quale la scienziata riflette sulle vicende storiche che hanno portato
alla sconfitta della Germania nazista ed al proprio esilio. Vi si co-
glie non soltanto l’atto d’accusa contro la cultura scientifica tede-
sca, responsabile di una tacita connivenza con il regime hitleriano,
ma anche l’esortazione a risollevarsi dalle umilianti condizioni in
cui è stata ridotta dalle sofferenze della guerra.
Infine, Luana Rizzo (Qualche riflessione su Matteo Tafuri) e-
sprime una serie di considerazioni e di precisazioni sulla figura e
sull’opera dell’umanista salentino Matteo Tafuri.

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