Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
1. Martin Heidegger
1.1 Martin Heidegger ripropone nel Novecento la questione inaugurale della filosofia
occidentale, la domanda sul senso dell’essere. Ma per porre questa domanda nel modo
più radicale occorre interrogare l’ontologia (la dottrina dell’essere) e la metafisica (la
scienza dell’essere in quanto essere secondo Aristotele) per verificare se il senso
dell’essere che esse tramandano sia quello autentico, o se non sia sia un senso derivato
e fuorviante.
Interpretando per decenni in modo assolutamernte originale, in corsi e seminari ( e
di ciò è testimonianza la sua monumentale Opera completa), i luoghi principali del
pensiero occidentale (dai Presocratici a Nietzsche), Heidegger scopre che la
metafisica scambia continuamente l’essere con l’ente, oblia cioè la differenza fra
l’essere e l’ente, e arriva a concepire l’essere come presenza costante, fondamento
primo degli enti, identificando l’essere con un ente supremo, con Dio.
Questo “oblio dell’essere”, ovvero “oblio della differenza fra essere e ente”, non è
una dimenticanza occasionale, ma un tratto essenziale della storia dell’Occidente,
perché è a partire da questo scambio che si costituiscono le scienze, i saperi e le
pratiche. Alla fine, nell’epoca della tecnica dispiegata, del nichilismo, dell’essere
non ne è più nulla, perché l’uomo riconosce unicamente gli enti presenti, senza più
prestare ascolto a ciò che gli è più prossimo, all’essere che si sottrae mentre si
manifesta negli enti.
“Ciò che c’è di strano in questo pensiero dell’essere” - scrive Heidegger nella
Lettera sull’umanismo - “è la sua semplicità. Proprio questo ci allontana da esso”. Il
suo pensiero incide in modo essenziale sul Novecento filosofico: da Heidegger, o
attraverso di lui, si dipartono o si incrementano tendenze quali l’esistenzialismo
(sebbene egli abbia subito rifiutato di essere catalogato fra gli esistenzialisti), le
filosofie della differenza in Francia (Foucault, Derrida), le teologie a sfondo
esistenziale (Barth, Boenhoeffer) e soprattutto l’ermeneutica (Gadamer, Ricoeur,
Pareyson) che grazie alle meditazioni heideggeriane sul linguaggio come “casa
dell’essere”, è diventata una disciplina fondamentale della filosofia contemporanea.
In una lettera del 1973, scritta in occasione della preparazione del suo ultimo
seminario, Heidegger scrive a Rogier Munier: “Per mi si tratta prima di tutto di
praticare il vedere fenomenologico, di esercitarsi a una fenomenologia
dell’inapparente”.
1. 2 Vita e opere
a) Nella comprensione ontologica del problema della verità, Heidegger mostra come
già per Aristotele la predicazione o apofansi (enunciazione o dimostrazione nel
giudizio), abbia la propria precondizione nell’attività disvelante della vita cosciente e
dunque nella determinazione ontologicamente veritativa della verità.
b) Nella determinazione fondamentale della vita cosciente, ovvero nel modo di essere
dell’esserci, Heidegger fa sue le determinazioni pratiche che Aristotele prospetta nel
VI libro dell’Etica Nicomachea attorno all’ideale della phronesis (saggezza pratica,
contrapposta alla sophia, la saggezza teoretica): da un lato, Heidegger corregge così
l’intellettualismo husserliano, ma nello stesso tempo (e ciò è tipico della riflessione
heideggeriana) estranea le determinazioni aristoteliche dal contesto di una teoria
dell’agire facendole divenire caratteristiche fondamentali dell’esserci.
1. 5 Logica. Il problema della verità
Nell’ambito di questa appropriazione aristotelica occorre ricordare un corso tenuto
da Heidegger a Marburgo nel 1925-26, Logica. Il problema della verità, in quanto
permette di introdurci ad Essere e tempo: non solo alla questione fondamentale
dell’opera (ripetere la domanda sul senso dell’essere) ma alla particolare estraniazione-
trasformazione dell’ermeneutica dal suo contesto di disciplina del comprendere.
Il corso vuole cogliere il luogo originario della verità come struttura fondante del
logos e mostrare come la caratteristica fondamentale del discorso apofantico, cioè
l’essere vero o falso, non è la determinazione originaria della verità. Questa è invece
fondata in un momento ontologicamente anteriore, nell’atto disvelante dell’esserci.
Attraverso la determinazione ontologica della verità come carattere dell’ente stesso,
Heidegger vuole ripristinare il significato originario dell’alétheia greca, ovvero della
verità come disvelamento dell’essere.
1. 6 Essere e tempo
Con questo giungiamo a Essere e tempo (1927), ovvero ad una delle principali opere
filosofiche del Novecento e il principale contributo alla trasformazione
dell’ermeneutica.
In Essere e tempo l’ermeneutica non ha per fine una metodica generale
dell’interpretazione riferibile a questo o quel campo del sapere storicamente
determinato, ma la costituzione di una fenomenologia del senso ontologico
dell’interpretare inteso come tratto distintivo dell’esserci. Si tratta cioè per Heidegger
di determinare il senso dell’essere (ontologia) attraverso una ricerca condotta secondo
il metodo fenomenologico, dove fenomenologia significa la ricerca “di ciò che si mostra
in se stesso”, cioè l’essere del fenomeno in quanto fenomeno dell’essere.
Per attuare questa ricerca occorre anzitutto operare una “distruzione
fenomenologica” dell’ontologia tradizionale, per la quale l’essere si caratterizza come
fondamento perenne, presenza costante che regge gli enti mutevoli e temporali. Invece
per Heidegger l’essere è tempo.
1. 7 L’ontologia fondamentale
Lo stesso Heidegger definisce la sua ricerca filosofica iniziale come ontologia
fondamentale (scienza dell’essere), ma non nel senso di un’ontologia metafisica, bensì
come ermeneutica fenomenologica dell’esserci, cioè studio dell’essere per come esso
si manifesta (diventa fenomeno) nell’esistenza dell’uomo, Quindi all’interno della
questione dell’essere un ente determinato, l’esserci, gioca un ruolo fondamentale
perché attraverso la comprensione che lo relaziona all’essere nella sua esistenza ne va
dell’essere stesso.
1. 8 Il problema dell’esistenza
Esistere significa per Heidegger “ex-sistere”, “stare-fuori”, ovvero oltrepassare
continuamente il reale in direzione del possibile, progettare l’ente in direzione del
futuro. Ora, questa non è una caretteristica puramente teorica dell’uomo, ma il suo
stesso atto di esistere, posto in relazione inseparabile con la temporalità, con il
mutamento, il divenire.
L’esistenza umana è oggetto di investigazione fenomenologica da parte di
Heidegger, ma proprio questo esclude ogni esistenzialismo fine a se stesso. È vero che
l’esistenzialismo deriva molte delle sue nozioni dal pensiero heideggeriano (l’esistenza
come contingenza in L’essere e il nulla di Sartre), ma già nei seminari heideggeriani
dei primi anni Trenta è espresso un chiaro rifiuto di ogni interpretazione esistenzialista
di Essere e tempo, da leggere invece in chiave di ermeneutica fenomenologica
dell’esserci finalizzata alla riproposizione del senso dell’essere nella sua intersezione
col tempo.
1. 9 “Ontico-ontologico”, esistentivo-esistenziale”
Ontica è qualsiasi forma di considerazione teorico-pratica che si arresta alle
caratteristiche dell’ente in quanto tale, senza mettere in questione il suo essere;
ontologica è la considerazione o l’analisi dell’ente che interroga l’essere dell’ente. Ma
poiché ogni conoscenza dell’ente presuppone una certa “precomprensione” dell’essere
dell’ente, per Heidegger ogni verità ontica è fondata su di una verità ontologica.
Circolo
Esistenziale è in certo modo nozione omologa a quella di “ontologica”: esistentivo è
la questione dell’esistenza che si pone all’interno dei problemi concreti dell’esistenza,
esistenziale è l’esistenza a livello riflesso. Pertanto l’analitica esistenziale di Essere e
tempo ha valenza esistenziale e non esistensiva.
Ma proprio in questo slancio perenne l’esserci scopre che manca sempre di qualcosa,
della propria fine, cioè della propria morte. La morte non è però la conclusione
dell’esistenza, perché l’unica esperienza che l’esserci ha di essa è il morire degli altri
(e sebbene ognuno si può togliere la vita o togliere la vita di un altro, nessuno può
togliere all’altro il suo morire). La morte è una “possibilità insormontabile”, l’unica
certa delle possibilità dell’esserci, la possibilità estrema dell’esistenza capace di
sospenderne ogni altra e pertanto possibilità di accesso all’esistenza autentica che si
rivela un “vivere-per-la-morte”.
2. La differenza ontologica
Sebbene il tema della differenza ontologica percorre sotterraneamente l’intera opera
del 1927, la designazione in questione compare per la prima volta in Heidegger in un
seminario che tiene a Marburgo qualche mese dopo la pubblicazione di Essere e tempo.
La tematica primeggia nella riflessione heideggeriana in una fase, grosso modo dal
1927 al 1935, quando subentra la problematica dell’essere come evento - problematica
che non abbandona la differenza ontologica ma la orienta in altro modo.
La differenza ontologica è la differenza tra ente ed essere: l’essere si fenomenizza
solo perché non coincide con l’apparire dell’ente in quanto tale e con l’apparire della
totalità degli enti. E non coincide perché eccede il manifestarsi dell’ente.
L’essere non si dà che nella differenza: il suo manifestarsi è il nulla di ente che “lascia
essere l’ente”nella sua finitezza essenziale.
Da un lato l’essere non è che l’essere di questo o quell’ente, e non esiste fuori di esso
come una potenza divina, anzi l’esistere è l’attributo proprio dell’esserci. Ma se l’essere
non sta al di sopra dell’ente non significa che gli stia accanto.
L’essere è quella apertura-differenza che si cancella nel costituire l’ente come
orizzonte di possibilità. Detto nel linguaggio “poetante” dell’ultimo Heidegger:
“l’essere si sottrae mentre si illumina nell’ente”.
2. 3 Il linguaggio
A questo pensiero che calcola, Heidegger contrappone il “pensiero poetante”, il
“pensiero rimemorante” che si manifesta soprattutto nel linguaggio poetico. Il
linguaggio, si legge nella Lettera sull’umanismo, è “la casa del’essere”, un tema che
attraversa gli ultimi due decenni di meditazione del Filosofo (per esempio nei saggi di
In cammino verso il linguaggio)
2. 4 L’eredità di Heidegger
Dopo Nietzsche è sicuramente Heidegger a segnare le tappe di una crisi che
coinvolge:
a) il soggetto costituente (cartesiano e kantiano) che diviene esistenza e trascendenza
finita;
b) l’essere come presenza, fondamento, causa prima e ultima, sostanza
immodificabile o condizione trascendentale;
c) la storia come affermazione di un senso progressivo;
d) la teologia come ontoteologia (che pensa l’essere quale essente-presente supremo,
quindi come Dio) - crisi quest’ultima che, tra i suoi effetti, registra il fatto che buona
parte della teologia contemporanea pensa la morte di Dio, come autentica possibilità
della religione.
Nello stesso tempo, la sua eredità non ha solo valenza distruttiva (come non l’aveva
la distruzione della storia dell’ontologia progettata in Essere e tempo).
Il suo pensiero ha infatti una fondamentale importanza per il Novecento filosofico:
da Heidegger, o attraverso di lui, si dipartono o si irrobustiscono tendenze quali
l’esistenzialismo (sebbene egli rifiuti da subito di essere catalogato fra gli
esistenzialisti), le filosofie della differenza in Francia, le teologie a sfondo esistenziale
e soprattutto l’ermeneutica, che grazie alle meditazioni heideggeriane sul linguaggio,
è divenuta disciplina fondamentale nel panorama filosofico (ma anche per le scienze
umane in generale) di fine Novecento.