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Heidegger

1. Martin Heidegger

1.1 Martin Heidegger ripropone nel Novecento la questione inaugurale della filosofia
occidentale, la domanda sul senso dell’essere. Ma per porre questa domanda nel modo
più radicale occorre interrogare l’ontologia (la dottrina dell’essere) e la metafisica (la
scienza dell’essere in quanto essere secondo Aristotele) per verificare se il senso
dell’essere che esse tramandano sia quello autentico, o se non sia sia un senso derivato
e fuorviante.
Interpretando per decenni in modo assolutamernte originale, in corsi e seminari ( e
di ciò è testimonianza la sua monumentale Opera completa), i luoghi principali del
pensiero occidentale (dai Presocratici a Nietzsche), Heidegger scopre che la
metafisica scambia continuamente l’essere con l’ente, oblia cioè la differenza fra
l’essere e l’ente, e arriva a concepire l’essere come presenza costante, fondamento
primo degli enti, identificando l’essere con un ente supremo, con Dio.
Questo “oblio dell’essere”, ovvero “oblio della differenza fra essere e ente”, non è
una dimenticanza occasionale, ma un tratto essenziale della storia dell’Occidente,
perché è a partire da questo scambio che si costituiscono le scienze, i saperi e le
pratiche. Alla fine, nell’epoca della tecnica dispiegata, del nichilismo, dell’essere
non ne è più nulla, perché l’uomo riconosce unicamente gli enti presenti, senza più
prestare ascolto a ciò che gli è più prossimo, all’essere che si sottrae mentre si
manifesta negli enti.
“Ciò che c’è di strano in questo pensiero dell’essere” - scrive Heidegger nella
Lettera sull’umanismo - “è la sua semplicità. Proprio questo ci allontana da esso”. Il
suo pensiero incide in modo essenziale sul Novecento filosofico: da Heidegger, o
attraverso di lui, si dipartono o si incrementano tendenze quali l’esistenzialismo
(sebbene egli abbia subito rifiutato di essere catalogato fra gli esistenzialisti), le
filosofie della differenza in Francia (Foucault, Derrida), le teologie a sfondo
esistenziale (Barth, Boenhoeffer) e soprattutto l’ermeneutica (Gadamer, Ricoeur,
Pareyson) che grazie alle meditazioni heideggeriane sul linguaggio come “casa
dell’essere”, è diventata una disciplina fondamentale della filosofia contemporanea.
In una lettera del 1973, scritta in occasione della preparazione del suo ultimo
seminario, Heidegger scrive a Rogier Munier: “Per mi si tratta prima di tutto di
praticare il vedere fenomenologico, di esercitarsi a una fenomenologia
dell’inapparente”.

1. 2 Vita e opere

Heidegger nasce a Messkirch, in Germania, nel Baden-Württemberg, il 26


Settembre 1889 da genitori di confessione cattolica e di modeste condizioni
economiche (il padre era sacrestano). Nel 1906 si trasferisce a Friburgo, in Brisgovia,
la città che sarà il centro di tutta la sua attività: studia dapprima al ginnasio e nel 1911
si iscrive all’Università dove frequenta i corsi di teologia e filosofia, diventando
allievo del neokantiano Heinrich Rickert, con cui si addottora nel 1913 con una tesi
su La teoria del giudizio nello psicologismo, in cui critica la concezione
psicologistica della logica. I suoi primi interessi filosofici si indirizzano verso lo
studio del pensiero aristotelico e della fenomenologia di Husserl; in seguito
affronterà la lettura di Kierkegaard, Nietzsche, Dilthey. Non c’è però solo la
filosofia tra i suoi interessi, ma anche ia le opere letterarie e poetiche di Hölderlin,
Dostoevskij, Rilke e Trakl. Nel 1915 ottiene la libera docenza con la dissertazione
su La dottrina delle categorie e del significato in Duns Scoto. Nel 1916 diventa
assistente di Husserl; lo rimarrà fino al 1923, anno in cui ottiene una cattedra a
Marburgo, dove insegnerà fino al 1927: nel contesto marburghese ha modo di
conoscere direttamente importanti esponenti della scuola neokantiana, come Nicolai
Hartmann e Paul Natorp. Nel 1927 pubblica Essere e tempo: l’opera è dedicata a
Husserl, il quale però la interpreta nei termini di una antropologia esistenzialista che
sferra un attacco diretto alla sua fenomenologia trascendentale e al suo ideale di
filosofia come scienza rigorosa.
Tra il maestro e l’allievo si verifica una rottura dottrinale e personale che non si
sanerà più. Nel 1928 Heidegger succede a Husserl alla cattedra di filosofia
dell’Università di Friburgo. Nel 1933 viene nominato rettore dell’Università di
Friburgo e aderisce per breve tempo al nazionalsocialismo; si tratta di un episodio
che segnerà profondamente il corso della vita di Heidegger e che tutt’oggi apre
sempre dei nuovi dibattiti sul suo coinvolgimento col regime nazista. Nel 1934 si
dimette dalla carica di Rettore e si astiene da qualsiasi coinvolgimento pubblico,
continuando la sua attività di studio e di ricerca.
Alla caduta del nazismo, nel 1945, le truppe alleate occupano Friburgo: Heidegger
è escluso dall’insegnamento e cade in preda ad una grave forma di depressione.
Questa situazione di ostracismo nei suoi confronti dura fino al 1951, anno in cui
grazie all’aiuto di Karl Jaspers e di Eugen Fink, ritorna ad insegnare, dapprima
dirigendo dei seminari privati (il Colloquio sulla dialettica, tenuto assieme a Fink),
e poi tenendo dei corsi ufficiali.
Nel 1955 decide di abbandonare definitivamente l’insegnamento e si ritita nella sua
baita nella Foresta Nera, a Todtnauberg, che diviene ben presto meta di
pellegrinaggio da parte di filosofi e letterari di tutto il mondo. Nel semestre invernale
1966-67 tiene assieme a Eugen Fink il suo ultimo seminario ufficiale all’Università
di Freiburg, dedicato al pensiero di Eraclito. Negli anni seguenti, il poeta René Char
lo invita a Le Thor, in Provenza, a tenere dei seminari su Hegel, Eraclito e Parmenide.
L’ultimo seminario è del 1973, il Seminario di Zähringen, così intitolato dal nome
del quartiere di Friburgo dove abitava, in cui torna a occuparsi di Husserl e delle loro
differenti modulazioni del concetto di fenomenologia. Il 26 maggio 1976 muore a
Messkirch.

Opere: l’opera completa di Heidegger è in corso di pubblicazione dal 1975; finora


sono stati editi più di 80 tomi. Fra le opere principali ricordiamo: Essere e tempo
(1927); Che cos’è metafisica? (1929); Kant e il problema della metafisica (1929);
L’essenza del fondamento (1929), Introduzione alla metafisica (1935), La dottrina
platonica della verità (1942), Lettera sull’“umanismo” (1947), Saggi e discorsi
(1954), Identità e differenza (1957), In cammino verso il linguaggio (1959),
Nietzsche (1961), La tecnica e la svolta (1962), La questione del pensiero (1969),
Segnavia (1976).

1. 3 La formazione filosofica di Heidegger


Heidegger fu anzitutto influenzato da Husserl (di cui fu assistente dal 1916 al 1923)
e dal primato della descrizione sull’esplicazione: nel saggio su La dottrina del giudizio
nello psicologismo (1914), l’influsso di Husserl si misura nell’intenzione di voler
mostrare che il senso (inteso non solo logicamente ma ontologicamente come uno dei
modi del reale) non può essere dedotto da qualche cosa di superiore, ma può essere
mostrato all’interno di una descrizione pura. Più in generale, la questione relativa alla
costituzione e declinazione del senso come essere non può andare oltre la descrizione
per non cadere nell’aporia di una esplicazione psicologistica che riduce la conoscenza
del reale a quella dei meccanismi psichici, risolvendosi così in un empirismo e in un
dualismo.
Per il giovane Heidegger si tratta di conciliare la sua versione della fenomenologia
con il suo interesse per la storia reale, effettiva, e con il suo interesse per l’ermeneutica
dell’effettività (titolo di un seminario da lui tenuto nel 1923) che gli proveniva da
Dilthey, da Kierkegaard e dalla teologia cristiana, per poi trasferire tanto la sua
embrionale versione della fenomenologia quanto la sua meditazione sull’esperienza
effettuale della vita all’interno di una nuova dottrina metafisica dell’essere.

1. 4 L’importanza di Aristotele nel primo Heidegger.


La rilevanza di Aristotele per Heidegger non si manifesta solo nell’interpretazione
di questo o quel testo aristotelico ma in una vera e propria ripresa e radicalizzazione di
alcune determinazioni aristoteliche. I temi principali dell’appropriazione
heideggeriana di tematiche aristoteliche sono:

a) Nella comprensione ontologica del problema della verità, Heidegger mostra come
già per Aristotele la predicazione o apofansi (enunciazione o dimostrazione nel
giudizio), abbia la propria precondizione nell’attività disvelante della vita cosciente e
dunque nella determinazione ontologicamente veritativa della verità.
b) Nella determinazione fondamentale della vita cosciente, ovvero nel modo di essere
dell’esserci, Heidegger fa sue le determinazioni pratiche che Aristotele prospetta nel
VI libro dell’Etica Nicomachea attorno all’ideale della phronesis (saggezza pratica,
contrapposta alla sophia, la saggezza teoretica): da un lato, Heidegger corregge così
l’intellettualismo husserliano, ma nello stesso tempo (e ciò è tipico della riflessione
heideggeriana) estranea le determinazioni aristoteliche dal contesto di una teoria
dell’agire facendole divenire caratteristiche fondamentali dell’esserci.
1. 5 Logica. Il problema della verità
Nell’ambito di questa appropriazione aristotelica occorre ricordare un corso tenuto
da Heidegger a Marburgo nel 1925-26, Logica. Il problema della verità, in quanto
permette di introdurci ad Essere e tempo: non solo alla questione fondamentale
dell’opera (ripetere la domanda sul senso dell’essere) ma alla particolare estraniazione-
trasformazione dell’ermeneutica dal suo contesto di disciplina del comprendere.
Il corso vuole cogliere il luogo originario della verità come struttura fondante del
logos e mostrare come la caratteristica fondamentale del discorso apofantico, cioè
l’essere vero o falso, non è la determinazione originaria della verità. Questa è invece
fondata in un momento ontologicamente anteriore, nell’atto disvelante dell’esserci.
Attraverso la determinazione ontologica della verità come carattere dell’ente stesso,
Heidegger vuole ripristinare il significato originario dell’alétheia greca, ovvero della
verità come disvelamento dell’essere.

1. 6 Essere e tempo
Con questo giungiamo a Essere e tempo (1927), ovvero ad una delle principali opere
filosofiche del Novecento e il principale contributo alla trasformazione
dell’ermeneutica.
In Essere e tempo l’ermeneutica non ha per fine una metodica generale
dell’interpretazione riferibile a questo o quel campo del sapere storicamente
determinato, ma la costituzione di una fenomenologia del senso ontologico
dell’interpretare inteso come tratto distintivo dell’esserci. Si tratta cioè per Heidegger
di determinare il senso dell’essere (ontologia) attraverso una ricerca condotta secondo
il metodo fenomenologico, dove fenomenologia significa la ricerca “di ciò che si mostra
in se stesso”, cioè l’essere del fenomeno in quanto fenomeno dell’essere.
Per attuare questa ricerca occorre anzitutto operare una “distruzione
fenomenologica” dell’ontologia tradizionale, per la quale l’essere si caratterizza come
fondamento perenne, presenza costante che regge gli enti mutevoli e temporali. Invece
per Heidegger l’essere è tempo.

1. 7 L’ontologia fondamentale
Lo stesso Heidegger definisce la sua ricerca filosofica iniziale come ontologia
fondamentale (scienza dell’essere), ma non nel senso di un’ontologia metafisica, bensì
come ermeneutica fenomenologica dell’esserci, cioè studio dell’essere per come esso
si manifesta (diventa fenomeno) nell’esistenza dell’uomo, Quindi all’interno della
questione dell’essere un ente determinato, l’esserci, gioca un ruolo fondamentale
perché attraverso la comprensione che lo relaziona all’essere nella sua esistenza ne va
dell’essere stesso.

1. 8 Il problema dell’esistenza
Esistere significa per Heidegger “ex-sistere”, “stare-fuori”, ovvero oltrepassare
continuamente il reale in direzione del possibile, progettare l’ente in direzione del
futuro. Ora, questa non è una caretteristica puramente teorica dell’uomo, ma il suo
stesso atto di esistere, posto in relazione inseparabile con la temporalità, con il
mutamento, il divenire.
L’esistenza umana è oggetto di investigazione fenomenologica da parte di
Heidegger, ma proprio questo esclude ogni esistenzialismo fine a se stesso. È vero che
l’esistenzialismo deriva molte delle sue nozioni dal pensiero heideggeriano (l’esistenza
come contingenza in L’essere e il nulla di Sartre), ma già nei seminari heideggeriani
dei primi anni Trenta è espresso un chiaro rifiuto di ogni interpretazione esistenzialista
di Essere e tempo, da leggere invece in chiave di ermeneutica fenomenologica
dell’esserci finalizzata alla riproposizione del senso dell’essere nella sua intersezione
col tempo.

1. 9 “Ontico-ontologico”, esistentivo-esistenziale”
Ontica è qualsiasi forma di considerazione teorico-pratica che si arresta alle
caratteristiche dell’ente in quanto tale, senza mettere in questione il suo essere;
ontologica è la considerazione o l’analisi dell’ente che interroga l’essere dell’ente. Ma
poiché ogni conoscenza dell’ente presuppone una certa “precomprensione” dell’essere
dell’ente, per Heidegger ogni verità ontica è fondata su di una verità ontologica.
Circolo
Esistenziale è in certo modo nozione omologa a quella di “ontologica”: esistentivo è
la questione dell’esistenza che si pone all’interno dei problemi concreti dell’esistenza,
esistenziale è l’esistenza a livello riflesso. Pertanto l’analitica esistenziale di Essere e
tempo ha valenza esistenziale e non esistensiva.

1. 10 Il primato dell’esserci nella questione del’essere.


Si tratta di un triplice primato dell’esserci:
1) fra tutti gli enti, l’esserci possiede un primato ontico perché è determinato
attraverso una relazione all’essere che è la sua esistenza;
2) a partire da tale determinazione attraverso l’esistenza, l’esserci possiede un
primato ontologico perché rivolto a comprendere l’essere nella sua esistenza;
3) muovendo dalla comprensione, l’esserci comprende sé e gli enti non conformi
all’esserci; pertanto l’esserci è la condizione di possibilità ontico-ontologica di tutte le
ontologie.
Occorre fare una notazione importante. E’ evidente il distacco da Husserl: per
Heidegger la condizione di ogni ontologia non è la coscienza pura e assoluta del suo
maestro, ma l’esserci, nella sua effettiva esistenza, la cui analitica trascendentale è il
luogo su cui elaborare un’ontologia fondamentale.
Il senso di questa effettività e della situazione storico-concreta in cui l’esserci si trova
ad operare, ad agire gettato nel mondo (l’esserci è “il progetto gettato”), ad interpretare,
permette a Heidegger di operare una storicizzazione del soggetto trascendentale di
Kant e di trasformare contemporaneamente la fenomenologia trascendentale in
ermeneutica fenomenologica.
1. 11 L’ ermeneutica fenomenologica: gli esistenziali
L’esserci è il punto necessario di ogni riflessione ontologica, poiché il suo esistere,
in quanto oltrepassamento del già dato, mostra già una certa precomprensione
dell’essere. Ma se l’atto di esistere è precomprensione, allora la questione ermeneutica
deve essere trascritta all’interno di una analitica esistenziale che mostri come i tratti
costitutici dell’esserci - gli esistenziali individuati da Heidegger: la situazione emotiva,
il comprendere e il discorso – articolino il problema del “senso” in quanto esistenziale.
La situazione emotiva ha come referente il senso dell’impressione percettiva e fisica,
la comprensione è il senso in cui si radica ogni interpretare, il discorso la sua
elaborazione logico-semantica.

1. 12 Il circolo ermeneutico heideggeriano


Nell’antichità il circolo ermeneutico significava che le singole parti di un testo
potessero essere comprese solo alla luce del tutto e viceversa, cioè che il tutto fosse
comprensibile solo dalla comprensione delle parti. Heidegger trasforma questo
principio esegetico in tratto ontologico costitutivo dell’esserci.
La comprensione, in quanto esistenziale si radica nell’elemento della possibilità che
rappresenta “la determinazione ontologica positiva dell’esserci, la prima e la più
originaria”; questa connessione tra comprensione e possibilità è data dal progettare,
con cui l’esserci nella sua esistenza possibilizza le cose del mondo.
Ogni comprensione si trova iscritta in un orizzonte situazionale in cui è gettata: solo
muovendo da questa posizione esistenziale le cose diventano oggetti, percepibili,
conoscibili. Lo stesso ideale ermeneutico, l’atto di interpretare una cosa, se usarla come
strumento o lasciarla nella sua datità materiale, diviene possibile articolando
un’anticipazione comprensiva, in cui, come dice Heidegger, si è: “l’interpretazione si
fonda esistenzialmente sulla comprensione: non è dunque questa a derivare da quella.
L’interpretazione non consiste nell’assunzione del compreso, ma nell’elaborazione
delle possibilità progettate nella comprensione”.
Si tratta di un’acquisizione fondamentale: ogni conoscenza possibile, anche quelle
della vita pratica, muove da una comprensione progettante che rende “cose” i dati
materiali e, correlativamente l’interpretazione non trova più gli oggetti separati da sé,
ma implicati entro una stessa circolarità comprensiva, di cui essa è l’elaborazione
conoscitiva.

1. 13 La determinazione esistenziale fondamentale dell’esserci


L’essere-nel-mondo, a partire dal quale l’esserci si relaziona agli altri enti sulla base
della sua esistenza. Questa sua condizione si realizza come un costante prendersi cura
delle cose e di utilizzarle per i propri bisogni, in quanto per prendersi cura delle cose
l’uomo oltrepassa se stesso e il dato naturale inerte.
L’uomo però non si relaziona solo alle cose, ma anche agli altri uomini. Come si
prende cura delle cose, così l’uomo può prendersi cura degli altri. Questo avviene
attraverso due modalità: nella prima l’uomo può assumere su di sé le loro cure, e questa
è il modo inautentico della coesistenza; nel secondo, l’uomo l’uomo lascia agli altri le
loro cure, cioè la possibilità di realizzare il proprio essere e questa è la modalità
autentica di coesistenza.

1. 14 Esistenza autentica e inautentica


Nell’esistenza autentica l’esserci vive consapevolmente il suo carattere progettuale
che lo spinge all’oltrepassamento, al futuro e al possibile, e all’accettazione attiva della
propria finitezza. L’esistenza inautentica è quella che rifiuta tali caratteri, li soffoca,
vivendo nell’anonimato, nel “si dice, “si fa”, nelle consuetudini consolidate, nei
progetti di altri.
Possiamo dire che il discrimine fra le due forme di esistenza è in relazione con la
capacità di autoappropriarsi del proprio destino, di slanciarsi o meno verso il futuro, di
essere cioè “configuratore di mondo”.

Ma proprio in questo slancio perenne l’esserci scopre che manca sempre di qualcosa,
della propria fine, cioè della propria morte. La morte non è però la conclusione
dell’esistenza, perché l’unica esperienza che l’esserci ha di essa è il morire degli altri
(e sebbene ognuno si può togliere la vita o togliere la vita di un altro, nessuno può
togliere all’altro il suo morire). La morte è una “possibilità insormontabile”, l’unica
certa delle possibilità dell’esserci, la possibilità estrema dell’esistenza capace di
sospenderne ogni altra e pertanto possibilità di accesso all’esistenza autentica che si
rivela un “vivere-per-la-morte”.

1. 15 L’interruzione di Essere e tempo


L’analitica esistenziale di Heidegger doveva essere, nei progetti del Filosofo,
l’introduzione a una ricerca sul senso dell’essere in generale. L’indagine però si è
arrestata all’analisi di quel determinato ente che è l’Esserci, che tra i vari enti è il solo
che porta inscritto nel suo esistere la questione dell’essere. Dell’Esserci Heidegger ha
indicato il senso del suo fondamento nella temporalità. Rimaneva da rispondere alla
questione decisiva del rapporto fra essere e tempo. Infatti l’opera del 1927 si chiudeva
ponendo la questione che la “costituzione ontologico-esistenziale della totalità
dell’Esserci si fonda nella temporalità” e che “il tempo stesso si rivela come l’orizzonte
dell’Essere”. Ma a tali questioni Heidegger non ha risposto, perché come dirà
successivamente, il linguaggio della metafisica era inadatto a sviluppare la questione
del senso dell’essere in generale nel suo vincolo col tempo.
Un punto però rimane fondamentale nella produzione immediatamente successiva
all’opera del 1927: la nullità o finitezza costitutiva dell’esserci è il luogo in cui l’essere
come tale si attua e si rivela come differenza dall’ente.

2. La differenza ontologica
Sebbene il tema della differenza ontologica percorre sotterraneamente l’intera opera
del 1927, la designazione in questione compare per la prima volta in Heidegger in un
seminario che tiene a Marburgo qualche mese dopo la pubblicazione di Essere e tempo.
La tematica primeggia nella riflessione heideggeriana in una fase, grosso modo dal
1927 al 1935, quando subentra la problematica dell’essere come evento - problematica
che non abbandona la differenza ontologica ma la orienta in altro modo.
La differenza ontologica è la differenza tra ente ed essere: l’essere si fenomenizza
solo perché non coincide con l’apparire dell’ente in quanto tale e con l’apparire della
totalità degli enti. E non coincide perché eccede il manifestarsi dell’ente.
L’essere non si dà che nella differenza: il suo manifestarsi è il nulla di ente che “lascia
essere l’ente”nella sua finitezza essenziale.
Da un lato l’essere non è che l’essere di questo o quell’ente, e non esiste fuori di esso
come una potenza divina, anzi l’esistere è l’attributo proprio dell’esserci. Ma se l’essere
non sta al di sopra dell’ente non significa che gli stia accanto.
L’essere è quella apertura-differenza che si cancella nel costituire l’ente come
orizzonte di possibilità. Detto nel linguaggio “poetante” dell’ultimo Heidegger:
“l’essere si sottrae mentre si illumina nell’ente”.

2. 1 L’essere come disvelamento


Heidegger abbandona l’analisi dell’esistenza per rivolgere la sua meditazione al tema
dell’essere come disvelamento di sé al fenomeno che si manifesta.
Negli anni Trenta si afferma in Heidegger l’idea dell’essere come non-nascondimento
e verità che si mostra solo nel suo differire dall’ente. Egli rileva come solo nel pensiero
presocratico questa concezione sia stata in qualche modo adombrata: per questi
pensatori la verità alétheia, ovvero “ciò che non è nascosto” (parola composta da
alpha privativo e da lethe “nascosto”). La verità dell’essere non è dunque
l’adeguazione della cosa e del pensiero, la correttezza del calcolare, ma l’essere stesso
come orizzonte che consente agli enti di manifestarsi e che al ocntenpo si sottrae da
questa manifestazione. Questa dinamica di manifestazione-occultamento in quanto
tratto dell’essere-verità ha portato uno degli interpreti più accreditati di Heidegger,
Hans Georg Gadamer, a parlare di una “dialettica misteriosa” del suo pensiero.

2. 2 La questione dell’essenza della tecnica


La questione della tecnica è uno dei temi principali che attraversa la meditazione
heideggeriana dagli anni Trenta in poi. L’“essenza della tecnica non è nulla di tecnico”,
dice il Filosofo.
La tesi di Heidegger è ardita e si pone al di fuori di qualsiasi critica spiritualistica
della tecnica: il mondo della tecnica moderna, invece di essere la negazione del
pensiero umanistico, della filosofia, è piuttosto il compimento della metafisica
occidentale, che a partire dalla sua concezione dell’essere come fondamento
immutabile, presenza costante che regge gli enti, separa un soggetto che predomina
sugli enti, il cui essere viene determinato in funzione del significato ceh il soggetto
assegna loro.
“Oblio dell’essere” e “”primato della tecnica” sono per Heidegger gli aspetti di
un’unica vicenda storico-destinale. Il “pensiero calcolante” tecnico scientifico, con la
sua esattezza e il suo rigore, non è che il risultato di quello scambio proprio della
metafisica greca, platonico-aristotelica, che riduce l’essere all’ente: invece di essere la
negazione del pensiero umanistico, della filosofia, la civiltà della tecnica che domina
il mondo contemporaneo è un’estremizzazione del pensiero metafisico classico, in cui
vi è un soggetto (l’uomo) che intende dominare, con la sua volontà di potenza sulle
cose, degli oggetti che sono altro da sé. L’essere degli enti si identifica allora con il
ruolo e la funzione che vengono loro assegnati all’interno del sistema della tecnica.

2. 3 Il linguaggio
A questo pensiero che calcola, Heidegger contrappone il “pensiero poetante”, il
“pensiero rimemorante” che si manifesta soprattutto nel linguaggio poetico. Il
linguaggio, si legge nella Lettera sull’umanismo, è “la casa del’essere”, un tema che
attraversa gli ultimi due decenni di meditazione del Filosofo (per esempio nei saggi di
In cammino verso il linguaggio)

2. 4 L’eredità di Heidegger
Dopo Nietzsche è sicuramente Heidegger a segnare le tappe di una crisi che
coinvolge:
a) il soggetto costituente (cartesiano e kantiano) che diviene esistenza e trascendenza
finita;
b) l’essere come presenza, fondamento, causa prima e ultima, sostanza
immodificabile o condizione trascendentale;
c) la storia come affermazione di un senso progressivo;
d) la teologia come ontoteologia (che pensa l’essere quale essente-presente supremo,
quindi come Dio) - crisi quest’ultima che, tra i suoi effetti, registra il fatto che buona
parte della teologia contemporanea pensa la morte di Dio, come autentica possibilità
della religione.
Nello stesso tempo, la sua eredità non ha solo valenza distruttiva (come non l’aveva
la distruzione della storia dell’ontologia progettata in Essere e tempo).
Il suo pensiero ha infatti una fondamentale importanza per il Novecento filosofico:
da Heidegger, o attraverso di lui, si dipartono o si irrobustiscono tendenze quali
l’esistenzialismo (sebbene egli rifiuti da subito di essere catalogato fra gli
esistenzialisti), le filosofie della differenza in Francia, le teologie a sfondo esistenziale
e soprattutto l’ermeneutica, che grazie alle meditazioni heideggeriane sul linguaggio,
è divenuta disciplina fondamentale nel panorama filosofico (ma anche per le scienze
umane in generale) di fine Novecento.

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