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Un natale in attesa

- Guarda dentro!

Mille anni prima gli aveva lasciato il braccino e lui si era avvicinato al
presepe.

Ora come allora le luci sono il fuoco di un camino dietro un coriandolo


rosso o, lasciate bianche, il calore di una stanza. Accanto al letto grande
quanto una scatola di minerva, sul comodino non più grande di un guscio
di nocciola, c’è un libro grande quanto un’unghia. La casa non è più grande
di un panettone. La via, quel San Gregorio Armeno, è proprio come te
l’aveva descritta prima di arrivarci parlandoti di decumani come si parla a
un grande e che ne sapevi tu di decumani che ancora eri bambino e non
andavi neanche a scuola. Ma lui tirava diritto.
Amici e amiche dell’età tua non ti erano mancati mai all’inizio ma lui
aveva finito per occupare tutta la scena, instancabile, irriducibile,
incurante: che ne potevi sapere tu di socialismo e marxismo, di lotte
operaie e di potere al popolo?
“Mai una disobbedienza”, si vantava, ti esibiva e si esibiva, “non ha
paura di niente, questo figlio mio!”, mentre tu già da un pezzo dovevi
vedertela coi tuoi fantasmi. Molto presto, troppo presto saresti diventato
un ex bambino. Anche se per concederti la prima bugia ti ci vollero altro
tempo e altri incontri e fu solo per non sentirti uno straniero con quelli
piccoli come te.

Hai vagato fino a consumarti le scarpe da un decumano all’altro nel


labirinto dei vicoli che è un paesaggio da fiabe. Hai vagato con il tuo scopo
miserabile. I piedi ti fanno un gran male, ma continuerai fino allo
sfinimento, che è l’ultima speranza. Insonne da mesi, con gli occhi sbarrati
e lucidi come se fossi strafatto di cocaina, passerai così, notte dopo notte,
anche le vacanze di natale in attesa. E non di Gesù bambino, non più: il
bimbo che pure è ancora sveglio e inquieto dentro di te quel tanto che
basta a farti ripetere gli stessi errori di sempre non è il tipo di bimbo che si
aspetta dei doni. E neanche tu ti aspetti più niente, perché non ti meriti più
niente.

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Ti sdrai sul fianco. Guardi i tarocchi sul comodino, li sfiori, li stendi a
ventaglio, fai per prenderne uno per un’ultima divinazione ma le dita non
si chiudono. Niente più appelli alla sorte. La mano lascia lenta il mazzo e si
leva fino al collo. Le dita sono artigli, li senti che stringono e stringono per
annullare quel poco di spazio d’aria ancora vitale. Non puoi farcela,
nessuno potrebbe. Ma proprio quando non ci speri più, i sensi ti mollano e
finalmente piombi in un sonno profondo.

Claudio Maioli

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