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Capitolo 1: Pubblicità e marca

1.Condizioni e condizionamenti del consumo

Il consumo è il motore principale della nostra società


La pubblicità è il carburante che permette al consumo di
funzionare
La marca è il comburente

Tutto ciò ci toglie una parte delle nostre libertà, come quella di non
consumare, e quando siamo obbligati al consumo, non abbiamo la
libertà di scegliere senza condizionamenti.
Da qui ne derivano tre tipi di condizionamenti;
. effetto valanga o bandowagon effect: è la considerazione
secondo cui le persone spesso compiono alcuni atti o credono in
alcune cose solo perché la maggioranza della gente crede o fa delle
stesse cose. L’effetto sorge quando l’interesse delle persone nei
confronti di un certo bene aumenta all’aumentare del numero di
persone che acquistano quello stesso bene. L’effetto Bandwagon
conferma che quasi tutto nel comportamenti delle masse dipende
da una questione di numeri, molte più persone assumono un
comportamento o accettano un credo, tanto più facile sarà che altre
persone si aggiungano “salendo sul carrozzone” a questa nuova
moda. Ha un effetto limitato perché le persone tendono ad
abbandonare “il carro della massa” quando si rendono conto della
discrepanza con il loro stile di vita o perche si rendono conto che in
questo modo non riusciranno a realizzare le loro aspettative
. effetto snobistico o snob effect si basa su motivazioni
opposte al precedente, dove le motivazioni sono anticonformiste.
Questo effetto rende un modello di consumo desiderabile se è poco
diffuso nel gruppo sociale di riferimento, e lo rende tale proprio
perché poco diffuso.
. effetto Veblen (economista e sociologo
statunitense) : Veblen riteneva che per i bene sono quelle merci
per cui il desiderio di acquistarle da parte del consumatore aumenta
al crescere del loro prezzo. Ne deriva che alcuni tipi di beni di
categoria superiore, siano beni Veblen in quanto una diminuzione
del loro prezzo non li farebbe più percepire come beni esclusivi o di
alta categoria e farebbe decrescere il desiderio della gente di
acquistarli. E’ una dimensione esplicativa del lusso. Si sottolinea
così come gli individui pongano in essere un processo di consumo
ostentativo al fine di segnalare la propria ricchezza e lo status di
appartenenza. Il brand di prestigio è visto come un segnale di
condizione sociale.

.
2.Pubblicità e marca

Anche se le nostre scelte sono sempre predeterminate a causa di


diversi tipi di condizionamento , resta la pubblicità il
condizionamento principale.
La pubblicità nasce negli anni ’30 a Madison Avenue NY. La
pubblicità ha vissuto un processo di evoluzione , tanto che se prima
era la madre e la marca la figlia, ora la pubblicità va dove la portano
le marche .
2.1. marca e prodotto

Esiste una sostanziale differenza tra marca e prodotto;


- Il prodotto non contiene mediazione mediatica , vale a dire che
non contiene messaggio pubblicitario
- La marca è il prodotto più la comunicazione pubblicitaria.
Quindi ne consegue che la comunicazione pubblicitaria è il delta
comunicativo che distingue la marca dal prodotto. Tra marca e
prodotto si inserisce poi il “valore di comunicazione che fa la
differenza qualitativa in termine di
- notorietà di marca (brand awareness)
- fedeltà di marca (brand loyalty)
- di immagine e identità di marca (brand image e brand identy)
- di posizionamento di marca (brand posirioning)
- di descrizione e profilo delle caratteristiche della marca (brand
profile<9
- di valore della marca (brand equity), la quale riassume tutti gli
aspetti precedenti e definisce l’insieme dei vari passi utili per
costruire e valorizzare una marca.
2.2. appunti per una storia della marca

Cinque fasi della marca :


.1 Una prima fase nasce in Italia negli anni ’50, mentre negli
>Stati uniti circa due decenni prima. In quegli anni in Europa ,si
inizia a parlare di società dei consumi, Negli Stati Uniti nascono i
centri commerciali, mentre in Italia è iniziato il periodo della
ricostruzione. L’intera nazione si è dovuta rimboccare le maniche
per ricostruire l’Italia uscita distrutta dalla seconda guerra
mondiale. In pochi anni la viglia di ricostruire e la ricerca di un
nuovo benessere, crea le condizioni per un importante sviluppo :
“boom economico”. E’ proprio in quel periodo che colloquiamo la
prima fase della marca moderna. Il settore alimentare è uno dei
primi promotori di questa fase con Pietro Barilla che tornato da un
viaggio in America con nuove idee per confezionare la pasta,
comincia a distribuirla dando inizio al primo caso moderno di marca.
Al suo rientro in Italia, Barilla, decide per prima cosa di confezionare
la pasta in maniera da preservare i requisiti di qualità che possiede
la pasta sfusa. Po chiama l’architetto Carboni per costruire
l’immagine della marca, disegnando il marchio, pensando alla
confezione, e studiando gli annunci pubblicitari. Carboni mette in
evidenza l’ingrediente principale che l’uovo, mettendolo nello
sfondo con racchiuso il nome “barilla”. Poi decide di usare
l’azzurrino ricordandosi che la carta oleosa che serve per
confezionare la pasta sfusa è di quel colore. Nasce cos’ il blu barilla.
Nello stesso momento avviene la trasformazione del sistema
distributivo che vede il cliente acquistare la pasta che trova in un
dispenser di ferro con tante scatole sua confezionate da Barikla di
pasta. Ecco che si da il via al rapporto diretto marca-consumatore
che è lo specifico della grande distribuzione.
.2 La seconda fase è caratterizzata dalle critiche al consumismo e
dallo spirito del ’68 che vede nelle marche la capacità di
manipolazione dei mezzi di comunicazione di massa. Herbert
Marcuse (filosofo, sociologo), il quale riteneva che l’uomo fosse
completamente assoggettato ai voleri di una società la quale ,
prima che omo libero, lo voleva consumatore. In quegli anni si era
raggiunto un certo benessere economico anche in Europa dove
emerge un nuovo soggetto sociale il giovane, il quale insofferente
alle regole del mondo e senza legami e preconcetti entra
prepotentemente nella vita sociale stravolgendo i vecchi clichè e
distruggendo le vecchie regole. La moda, la politica e la società ne
subiscono una torsione improvvisa sotto la spinta della beat
generation degli anni ’60 e ’70.
Anche la crisi petrolifera del 1973 che costringe le domeniche a
piedi , porta una concentrazione delle spese, con le marche che non
sembrano più in grado di attirare i consumatori. Ma il 1973 che
segna il declino della marca, è anche l’anno della sua riscossa.
Proprio in quest’anno all’interno di Brilla si pensa che se si riesce a
fare la pasta si possono fare anche i biscotti. Nasce così Mulino
Bianco . più precisamente nel 1976 esce il suo primo filmato.
Indichiamo quella data anche per individuare l’uscita dalla crisi e il
passaggio alla terza fase.
.3 La terza fase Prosegue per tutti gli anni ’80 la centralità delle
marche come asset importante per le aziende alimentari italiane.
Con la nascita delle radio libere e della TV private (1976), si ha una
aumento dei canali di comunicazione che sviluppano l’industria
pubblicitaria. Le marche ne hanno un immediato beneficio causato
proprio dall’aumento della spesa pubblicitaria e dalla crescita
economica grazie anche alla “locomotiva economica” americana
che di riflesso aumenta la capacità di spesa in tutto il mondo .
L’Italia diventa una società capitalista e in questo scenario svolge
un ruolo importante la grande distribuzione che grazie ad
alcune iniziative legislative inizia a prende piede anche in Italia.
.4 La quarta fase inizia negli anni ’90 e durerà con alti e bassi fino
al 2008 in cui la crisi finanziaria arriva in Italia. Nascono nuovi stili di
vita anche se non spariscono le vecchie classi sociali. Si sviluppano i
personal compute e si afferma Internet. Siamo sempre tutti
continuamente connessi con tutti. La quarta fase fase nasce si
sviluppa a partire da due fenomeni:
- da un lato lo sviluppo dell’insegna dei marca come Esselunga
Coop
- dall’altro la nascita delle grandi catene di discount che vendo
prodotti unbranded.. quindi le private label e i discount
portano un attacco diretto alla leva del prezzo e i prodotti
unbranded sfruttano con grande sagacia.
Da qui ne deriva una crisi della marca aggravata poi negli anni ’90
da una nuova critica sociale che attacca le grandi marche per le
politiche antiumanitarie e sfruttatrici. Es Nike (fanno lavorare i
bambini per pochi dollari in condizioni di lavoro estreme)
Oltre a questi momenti di crisi però emergono anche delle nuove
possibilità distributive fornite da Internet, nasce così un modello
distributivo basato sul “click and mortar” dove al negozio
tradizionale si affianca il sito internet (multichanel-omnichannel). Le
marche usufruiscono di questa possibilità finche la crisi dei mutui
nel 2008 americana sbarca anche in Europa. Inizia così la quinta
fase.
.5 La quinta fase – nasce come crisi finanziaria che vede le
banche senza soldi per i loro investimenti. Il mercato di
conseguenza si contrae e i consumatori scompaiono. A questo
punto la crisi da finanziaria diventa economica e anche sociale.
Vede le famiglie senza più soldi per pagare le fatture. Questo
scenario che dura fino a tutto il 2015 produce un cambiamento
nella società italiana. Si assottiglia la classe media, mentre si forma
un’abbondante classe di poveri e nuovi poveri. Le marche in questo
scenario devo cambiare filosofiae proporsi alla clientela proponendo
prezzi migliori. Molte in questo passaggio si rafforzano altre non ci
riescono e muoino

3. LA NATURA DELLA MARCA


Secondo Semprini la marca è dotata di tre nature : semiotica –
relazionale – evolutiva.
Semiotica – la marca nasce per comunicare e non si accontenta
del piano verbale ma sfrutta quello visivo con i suoi livelli plastico e
figurativo.
Ogni marca impiega infatti i canali di comunicazione del mass
media attraverso affissioni o annunci stampa sfruttando il piano
visivo e verbale, attraverso la radio con il piano verbale e sonoro o
spot televisivi piano verbale e visivo, piano corporeo e gestuale dei
testimonial e dei protagonisti dello spot.
La natura relazionale - risiede nella sua capacità di mettersi in
relazione on le persone sia su un piano empatico sia su un piano
contrattuale. La relazione che si aveva una volta con il
commerciante sotto casa che pubblicizzava lui stesso il prodotto, è
sostituita dalla marca presentando il prodotto stesso al
consumatore per farglielo conoscere. Questo processo però ha un
costo, tutte le emozioni che ne derivano sono a pagamento. La
marca esaudisce desideri, ma con una contropartita in denaro. Gli
elementi vivi e vitali di un essere umano costituisce la sua
Lebenswelt (mondo vivente), su cui la marca esercita il proprio
dominio.
La marca ha una natura evolutiva in quanto deve tenere il passo
con i cambiamenti che avvengono nel tessuto sociale. Grazie
proprio a questa natura evolutiva che la marca riesce ad attirare a
se il consumatore e di proporgli continuamente un set di valori
sempre aggiornati. Ed è proprio attraverso i mezzi di comunicazione
che la marca è in grado di rendere tali valori potenti e accattivanti
per il consumatore.
4 . I principali modelli di analisi
4.1 Il modello Aaker – ha elaboarto un modello fondato sulle
attività e sulle passività le quali operano in cinque contesti differenti
1. Fedeltà della marca (brand loyalty)

2. Notorietà della marca (brand awareness)


3. Qualità percepita

4. Valori associati alla marca


5. Brevetti, marchi registrati distribuzione in esclusiva
Lui sostiene che queste componenti quando vengono messe sotto la
voce “attività” aumentano il valore della marca permettendo - il
“premium price” (delta di prezzo che una marca in salute può
permettersi di imporre al consumatore).
L’insieme dei cinque ambiti (poi ridotti a quattro) costituisce il :
. BRAND IDENTITY:,unione delle risorse collegate alla marca che si
aggiungono a un prodotto/servizio per renderlo più appetibile in
grado di rendere bene quella che è l’anima della marca cioè il suo
nucleo centrale.
I quattro contesti entro cui opera la marca possono riassumersi in
un singolo concetto in grado di rendere bene l’anima della marca.
Me deriva che il nucleo centrale di una marca è la sua essenza la
quale viene seguita da un’identità centrale e da un’identità
allargata.
. centrale – qualità del servizio
. allargata – comprende il profilo della personalità e gli aspetti
estetico-simbolici
4.2 il modello Kapfere
Ha costruito uno tra i modelli più limpidi e riconosciuti sulla
marca riuscendo a rinchiudere molteplici aspetti in un prisma i
cui vertici ne esplicitano ciascuno un aspetto particolare. Il
prisma si intreccia con il “triangolo d’identità” di Brun e
Rasquinet dove veniva messa in evidenza il rapporto tra identità
sognata e identità attuale per concludersi con l’dentità accettata
e percepita.
il modello Kapferer è più completo. Si legge da sinistra verso
destra e prende in considerazione gli aspetti fisici della marca
come il :
. packing - confezione e progettazione della confezione.
Importante per la differenziazione del prodotto e la sua
riconoscibilità. Svolge anche ruolo di comunicazione favorendo il
ricordo e la brand loyalty, contribuendo all’immagine della marca
. lettering – individuazione e scelta dei caratteri tipografici più
adatti per un annuncio, una copertina, un manifesto un logo
Es. Coca-Cola : il packing è la particolare forma della
bottiglietta, l’etichetta, il particolare punto di colore rosso, il
lettering è lo stile di scrittura con cui il logo è scritto
Accanto agli aspetti fisici e concreti, troviamo l’aspetto della
marca che riguarda la personalità. Kapferer ritiene che ogni
marca, grazie al discorso pubblicitario, abbia una propria
personalità e un carattere definito.
Es. la BMW e più aggressiva della marca Mercedes, la quale ha
un carattere più esclusivo ed elitario.
Ne deriva che anche la marca possiede tratti della personalità
come gli esseri umani. Questi tratti appartengono alla
costruzione dell’emittente. Sono elementi progettati a tavolino
dai pubblicitari e dagli uomini del marketing. Per fare questo tipo
di costruzione pubblicitaria , è necessario che avvengano
all’interno di una cultura specifica e definita, dove “lo spazio
culturale” influenza sempre sia l’emittente sia il ricevente della
comunicazione di marca.. Kapfere afferma che il ricevente è un
destinatario costruito, cioè che i suoi gusti vengono previsti,
quindi fabbricati per poter essere il più possibile vicini a quelli
voluti dall’emittente.
Ne derivano tre processi:

. mentalizzazione –

. il riflesso – è il lavoro esteriore, cioè il riflesso di marca è il


destinatario ideale i essa, colui al quale si rivolge, ciò che lo
identifica non solo nella scala sociale , ma anche nell’universo dei
consumo a cui appartiene
. la relazione – è il tipo di rapporto che la marca instaura con il
destinatario. La marca instaura con il concumatore un rapporto di
esclusività, di presiosità, di successo
4.3 Il modello Sèguèla
Pubblitario francese famosa per aver condotto con successo la
campagna pubblicitaria per l’elezione a presidente della Repubblica
di Mitterand con lo slogan “La forza tranquilla”. La sua visione
della marca era in sintonia con gli anni ’80 teorizzando che la marca
doveva essere trattata come una star, non solo quindi come una
persona. Dà vita così alla star strategy , modello semplice e
statico dove si trovano solo tre apsetti della marca:
. il fisico (elementi espressivi)
. lo stile (elementi espressivi)
In questo modello si esplorano parti interne e invisibili della marca
come il carattere e
parti esterne concrete e ben visibili (fisico, stile)
Bisognava ispirarsi alle grandi star hollywoodiane, sulle loro vite, sui
loro atteggiamenti. Ma la grande novità del modello sta nel porre la
marca su un piedistallo lontana dalla vita comune delle persone,
come è lontana la vita delle star da quelle delle persone normali. Il
paradosso consiste nel fatto che pur essendo così lontana e
all’apparenza irraggiungibile, la marca è allo stesso tempo
disponibile, consumabile con un semplice atto di acquisto.
.

4.4. Modello Semprini

E’un modello di analisi chiamato “progetto/manifestazioni”: prende


spunto dalla semiotica e dalle critiche mosse ai modelli precedenti.
Semprini ritiene che la marca sia troppo complessa e mobile per
essere fissata in un modello che la dissezioni, perchè ciò non tiene
conto dell’aspetto dinamico della marca. Bisogna considerare
l’insieme del processo della marca che si divide in due momenti:
. il progetto di marca, dove sono presenti volontà, visione e
intenzioni della marca, il suo programma e la sua presenza nel
territorio;
. la manifestazione della marca, che comprende tutti i momenti
concreti nei quali la marca si manifesta al consumatore (immagini ,
suoni, colori, frasi, gesti etc.).
Il modello progetto/manifestazioni è dunque dinamico e capace di
render conto del movimento e processo che costituiscono la
nascita, lo sviluppo e l’affermazione di una marca.
Il suo progetto è molto simile all’essenza di una marca di cui parla
Aaker. Semprini quando parla di progetto marca cita degli esempi:
L’Orèal, che rende orgogliose le donne di se stesse; Aiax che
libera le donne dalle fatiche domestiche; Nokia, che unisce e
mette in relazione le persone.
Tali concetti sono l’essenza della marca di cui parla Aaker.
Una volta che l’identità (identity) della marca è stata individuata si
può procedere con le manifestazioni della marca tramite la sua
narrazione che è divisa in tre parti:

Una prima più profonda che racchiude i valori (che serve ad


alimentare le narrazioni),
nella fiaba di Cenerentola è il valore del matrimonio che permette la
storia e le dà senso, in una società dove il valore del matrimonio
non ha un valore e non lo riconosce come tale, quella stessa storia
non avrebbe senso
Un secondo livello è dato dal racconto dove i valori si
organizzano in storie, episodi , racconti.
Un terzo livello è quello del discorso dove i racconti vengono
arricchiti dalle figure del mondo, suoni , colori, forme, oggetti,
persone ecc.
Questo ci permette di risalire all’identità della marca.
4.5. Identità/immagine di marca: un nuovo modello
(Ferraresi)

Per dare l’avvio alla comunicazione di marca di deve partire da un


processo noto come “COPY ANALYSIS” . questo processo parte
dalle varie manifestazioni di una marca, il modo in cui si presenta al
proprio pubblico (affissioni, annunci stampa, filmati pubblicitari),
come conseguenza di progetti che a tavolino hanno dato l’avvio al
complesso della comunicazione di marca, ovvero quello per cui è
possibile risalire dalla manifestazione espressiva di una marca fino
alla strategia di chi l’ha pensata.
Da una campagna pubblicitaria, con gli strumenti della lettura
pubblicitaria e semiotica, possiamo ricostruire qual’era la COPY
STRATEGY che ha prodotto le pubblicità. Questo avviene grazie
alla potenza della comunicazione con il suo “effetto tubo” (pipe
effect).
Il pipe effect è ciò che avviene quando in una comunicazione
quello che viene pensato e progettato (comunicazione prodotta),
giunge direttamente al ricevente, (comunicazione percepita),
come se fosse sparato direttamente attraverso un tubo che collega
le due estremità.
Il modello “identità/immagine” (Ferraresi) riprende proprio i
concetti di identità e immagine che formano l’ossatura portante
della marca, il suo patrimonio.
Identità e immagine fanno parte del valore della marca (brand
equity) e anche componenti principali della brand portfolio.
Per comprendere come funzionano identità e immagine nella
marca proviamo a considerarle , come la semiotica ci insegna,
come sintagma (parole in sequenza ordinata), e paradigma
(modello di riferimento). Ogni elemento di un processo
comunicativo come la marca, lo si può pensare come situato
all’intersezione di due assi: uno è l’asse del processo, dove
troviamo il sintagma, l’altro è l’asse del sistema dove troviamo il
paradigma. Sia l’identità che l’immagine di marca sono in continua
intersezione all’interno della comunicazione di marca e l’uno non
può esistere senza l’altro.
(leggi l’esempio a pag 35 di Vodafone)
Capitolo 2: Come funziona la pubblicità: teorie e
modelli

La pubblicità è un modo di comunicare. Per fare ciò


necessita di :
. qualcuno che parli
.qualcuno che ascolti
. qualcosa da dire
. qualcosa che unisca ciò che si vuole comunicare

Lasswell traduce tutto ciò in “ci dice che cosa a chi e con
quali effetti”
Egli introduce un fattore fondamente nell’ambito pubblicitario :
l’effetto.
La comunicazione non deve solo comunicare, ma deve persuadere,
indurre a un determinato comportamenti e quindi generare effetto.
In questo modo il destinatario sarà disposto a farsi influenzare.
Proprio sul tipo di ricettore del messaggio e sulla sua differenza che
si basano due grandi teorie:

.2 Teoria forte – Teoria debole (Jones)

La teoria forte ha un influsso decisivo sugli atteggiamenti e


sui comportamenti dei consumatori. Secondo questa ipotesi, la
comunicazione pubblicitaria ripetuta e martellante (hard selling) è
in grado di incidere oltre che sulle vendite di singole marche ,
anche di interi settori merceologici. Il consumatore ideale è un
ilota (persona in stato di soggezione passiva) passivo che
può essere manipolato.
Alla teoria forte si contrappone un teoria debole dove la
comunicazione pubblicitaria ha lo scopo di rafforzare le convinzioni,
ma non riesce a imporre una nuova opinione.
Bisogna quindi che si arrivi al giusto passaggio che è quello di
chiedersi cosa fa il consumatore della pubblicità e non solo
cosa fa la pubblicità al consumatore.

Nascono così due nuove teorie:


.3 La teoria razionalista: behaviorismo e riflessologia

Il razionalismo presuppone che l’individuo sia sempre


razionale tanto che la sua razionalità prenda il sopravvento e lo
porti a fare sempre una scelta corretta di fronte ad una quantità di
informazioni. Ne derivano, se guardiamo questo aspetto da un
punto di vista psicologico, il behaviorismo e la riflessologia.
La riflessologia si basa sugli studi condotti da Pavlon sui cani,
dove veniva dimostrata la potenza del riflesso condizionato:
associando ripetutamente il suono di un campanello (stimolo
neutro) all’odore della carne che provoca al carne salivazione
(stimolo incondizionato), dopo un certo numero di esposizioni al
cane verrà l’acquolina in bocca solo sentendo il suono del
campanello (stimolo incondizionato).
Ne consegue che il compito della pubblicità è proprio quello di
associare a uno stimolo neutro il prodotto da vendere, creando così
nel consumatore un sistema di riflessi condizionati per cui quando
insorge un bisogno, come la sete, esiste una sola bevanda in grado
di soddisfarla. (coca-cola).
Questa teoria viene ripresa da Watson (esponente del
comportamentismo – behavior significa comportamento), il quale
concentra la sua attenzione sul comportamento esterno
dell’individuo, affermando che il comportamento è frutto di stimoli
esterni a cui l’individuo è esposto. Ne consegue che gli unici aspetti
che possono essere osservati con metodo scientifico sono lo
stimolo (S) e la conseguente risposta (R) dell’individuo il quale
senterà di soddisfare i propri bisogni facendo delle prove fino a
quando troverà il prodotto che lo soddisferà in modo ideale. In
questo modo le volte successive, quando insorgerà il bisogno si
rivolgerà immediatamente a quel prodotto.
In termini pubblicitari questa concezione si traduce nell’equazione
che vede le vendite direttamente proporzionali alla quantità di
annunci pubblicitari (advertising, ADV) . La comunicazione
pubblicitaria per essere efficacie deve basarsi quindi sulla
ripetizione ossessiva dei messaggi che devono essere chiari e
spesso accompagnati da una musica riconoscibile (jingle).

La concezione di un consumatore passivo richiama un’altra teoria :

. 4 La teoria ipodermica (hypodermic needle theory)

Per spiegare questa teoria dobbiamo partire dal presupposto che i


media possono esercitare qualsiasi tipo di influenza sui singoli così
come una siringa ipodermica o una pallottola (“bullet theory “o”
magic bullet”) possono colpire un singolo anche se
Inserito in una massa di persone. Il messaggio viene inviato a una
massa di individui dove il singolo risponderà in maniera
incondizionata.

.5 La suggestione: il contributo della psicoanalisi le reali


motivazioni

Le teorie fin ora descritte non presuppongono nell’individuo che egli


abbia una coscienza. Invece la psicoanalisi considera l’inconscio
una guida anche nelle scelte di acquisto; ed è proprio nell’inconscio
che risiedono le reali motivazioni.
Le ricerche motivazionali partono proprio dall’inconscio, utilizzando
nella comunicazione pubblicitaria il richiamo a sogni e simboli che
corrispondono ai desideri più profondi.
Nella realtà nessuna ricerca motivazionale si è mai rilevata efficacie
sull’atto d’acquisto. La cosi detta PUBBLICITA’ SUBLIMINALE
non ha mai dimostrato la sua efficacia e tra le altre cose è vietata
dai codici deontologici pubblicitari.

.6 La persuasione

L’individuo che è dotato di carattere e che non è una tabula rasa


deve essere PERSUASO e non suggestionato dalla comunicazione
pubblicitaria che deve tener conto :
. delle sue motivazioni non solo inconsce ma che arrivano dalla
coscienza, teoria studiata da Lazarsfeld e Merton i quali sostengono
che il messaggio sarà compreso meglio se è in accordo con quanto
l’individuo già sente.
. che la pubblicità è più efficacie se pubblicizza prodotti che
soddisfano bisogni preesistenti
. che l’efficacia è meno se l’obbiettivo è quello di cambiare
opinione al destinatario
. che è meno ancora se si desidera far nascere dal nulla
un’opinione.
Le ricerche hanno dimostrato anche , che se il contenuto del
messaggio non era coerente con il vissuto del consumatore questi
metteva in atto MECCANISMI DI DIFESA.

. 6.1 Meccanismi di difesa del consumatore

I meccanismi di difesa sono tre:


.1 esposizione selettiva il consumatore è più propenso
a esporsi alle comunicazioni quando il contenuti è più coerente
rispetto agli atteggiamenti già presenti in lui. Così facendo rafforza
le proprie opinioni per evitare conflitti se le comunicazioni fossero
contrarie alle sue convinzioni. Le imprese per contrastare questa
tendenza agiscono con la ripetizione ossessiva dei messaggi e con
la pervasività (imporre valori e significati nuovi) della
comunicazione.
Es. Product Placement strumento che inserisce il prodotto
in un contesto diverso da quelli classici della pubblicità e la sua
efficacia è dovuta al fatto di non essere percepito subito.

.2 percezione selettiva Avviene quando il


consumatore non è riuscito a sfuggire a tutte le comunicazioni
discordanti e in qualche modo ne deformi il contenuto affinchè più
coerente con le proprie convinzioni.
Es. comunicazione ambigua in cui la comunicazione lascia
al consumatore volutamente una libera interpretazione

.3 memorizzazione selettiva avviene quando il


consumatore dimentica rapidamente la comunicazione pubblicitaria
(fenomeno di rimozione)

I meccanismi di difesa entrano in gioco sulla base di “una


dissonanza cognitiva” (Festinger) quando il destinatario
della comunicazione rileva un’inconsistenza fra due o più elementi
cognitivi.
Più l’individuo è coinvolto in quello che crede, pensa o fa, maggiore
sarà la dissonanza se fra gli elementi non ci sarà accordo.
Es. “dissonanza post acquisto” quando un prodotto e un
servizio non si rivela all’altezza delle aspettative.
Per ridurre la dissonanza il consumatore cercherà:
liberarsi del prodotto
di esporsi a comunicazioni che ne rafforzano la sua scelta
cercare informazioni che screditino le marche concorrenti.

.7 L’influenza

La persuasione porta all’influenza . questo processo avviene a


seguito di nuovi componenti:
. La Fonte importante perché le grandi imprese sono più
credibili rispetto alle piccole come la logica del prodotto di
marca ci insegna.
. Il messaggio importanti per l’influenza sono il contenuto e la
sua struttura.
. Le variabili sociali l’individuo fa spesso parte di un gruppo
e ha una sua collocazione sociale intrattenendo relazioni, questo
modifica la sua percezione della comunicazione pubblicitaria.
Questo fenomeno è oggetto di studio e consiste nello studiare le
reazioni del singolo che si uniformano a quelle de gruppo.
Es. i giovani sono sensibili all’influenza del gruppo.

.8 Modelli classici sul funzionamento della pubblicità

Modello Aida Attention-Interest-Desire-Attention


Il tutto si concretizza con l’acquisto
L’annuncio pubblicitario deve:
. attirare l’attenzione del destinatario
. suscitarne l’interesse
. stimolarne il desiderio
. indurre all’azione
Tutto ciò riporta alla Persuasione

Sale Model Modelli vendite


Vi è un utilizzo di motivazioni razionali che devono convincere
all’acquisto (i venditori)

Modello Dagmar Defining Advertising Goals for


Measured Advertising Results
Qui si passa dai livelli cognitivi a quelli affettivi a quelli
conativi(tentativi).
Si compone di quattro fasi
. La conoscenza capacità del messaggio di convincere il
consumatore a considerare il prodotto o il servizio pubblicizzato.
. La comprensione il messaggio deve essere
sufficientemente chiaro da essere decodificato
. La convinzione capacità del messaggio di far condividere
al consumatore quanto afferma
. L’azione ultimo gradino di responsabilità del marketing

.9.1 I modelli più evoluti

FCB GRID è uno strumento analitico che si presta ad


essere utilizzato per fotografare una realtà e poi decidere se è
quella ideale per la nostra marca o se non sia il caso di cambiarlo.
Immaginiamo uno schema cartesiano :
alto coinvolgimento
SX
DX
Si posizionano prodotti ad alto Si posizionano
sempre prodotti ad
Coinvolgimento di tipo razionale alto coinvolgimento
ma ad un livello
Ma costosi con la sequenza : più affettivo con la
sequenza:
conoscere-sentire-agire sentire-conoscere-
agire
auto, computer …. Abbigliamento,
moda, cosmetici…

Razionalità
emozioni

Prodotti a basso coinvolgimento Piccoli piaceri della vita


dettati da acquisti
Dove l’esborso di denaro è minore d’impulso
Detersivi, prodotti ad uso quotidiano caramelle, patatine,
prodotti ludici…

Basso coinvolgimento
Da questo schema ne può comunque derivare che il consumatore in
seguito alla comunicazione pubblicitaria può mentalmente collocare
il prodotto in un quadrante
Diverso.
Es. Apple “Think different” , colloca nel secondo quadrante più
emotivo il suo prodotto.

Un altro modello è quello di Rossiter e Percy

Alto coinvolgimento
Motivazioni funzionali
Motivazioni emotive
elettrodomestici, assicurazioni … vacanze, auto….

Informazioni (si ha bisogno di un Trasformazioni (il


prodotto migliora
Prodotto perché risolve un problema) la situazione personale ,
gratifica, aiuta
In questo caso è di tipo negativo a soddisfare bisogni più
elevati), di tipo
Perché abolisce il problema positivo perché
aumentano il piacere

Detersivi, medicine…. Dolci, birra…..

Basso coinvolgimento

Ultimo modello di Petty e Cacioppo elaboration


likelihood model (ELM, “modello della probabilità di elaborazione).
Si parte dal presupposto che esistono due strade per persuadere:
. una centrale che prevede un destinatario interessato al
prodotto e una strada
. periferica che presuppone un destinatario parzialmente
interessato da cui ne consegue un’elaborazione appunto periferica.
Il grado di elaborazione dipenderà dalla motivazione cioè dal
coinvolgimento.
Lo stesso messaggio potrà così avere effetti diversi.
Es. una campagna di sensibilizzazione contro le pellicce indurrà a
un’elaborazione centrale gli animalisti e a una elaborazione
periferica coloro che non hanno mai preso una posizione , un rifiuto
in coloro che la usano.

Modello 4I – 4C
Il messaggio deve suscitare
. Impatto
. Interesse
. Informazione
. Identificazione

. Comprensione
. Credibilità
. Coerenza
. Convinzione
Questo modello è percettivo e non categorico/descrittivo

.10 Come funziona la pubblicità internet

In pochi anni la pubblicità in internet ha subito una straordinaria


evoluzione, dai semplici banner agli annunci pop up, alle campagne
sponsorizzate.
Si tratta di uno scenario in continuo cambiamento. Che ha spostato
l’attenzione da una comunicazione push, che cerca il consumatore,
ad una comunicazione pull, che attira il consumatore sul sito, sulla
pagina Facebook, su una community.
Le parole chiave sono ITERATTIVITA’ e ENGAGEMET , capacità di
coinvolgere il navigatore e di spingerlo a compiere precise azioni in
direzione del prodotto / servizio.
Paradossalmente è molto più facile verificare l’efficacia di una
pubblicità sul web che in televisione. La reazione sul web è
immediata.
CAPITOLO 3 : L’AZIENDA E LA COMUNICAZIONE

.1 Ruoli e figure aziendali

I ruoli che si occupano della comunicazione sono numerosi e si


inseriscono a vari livelli nella struttura gerarchica dell’azienda. Sono
parecchi e diversi a seconda dei diversi obiettivi che le tipologie di
comunicazione si prefiggono e a seconda della dimensione
dell’azienda stessa.

. 2.1 Dal responsabile di prodotto all’amministratore


delegato

. Product manager responsabile del conto economico di un


prodotto o di una linea limitata di prodotti
. Brand manager responsabile di marchio o di linee di
prodotti più estese
. assistant PM

Capitolo 4: L’agenzia di pubblicità


1. L’agenzia di pubblicità: struttura e figure professionali
Cos’è la pubblicità: la definizione dipende dall’approccio che si ha con essa. In linea di
massima
però, è un messaggio a pagamento, eseguito da un soggetto chiaramente identificato,
con finalità
persuasive/commerciali; quindi, è la finalità commerciale quella che meglio definisce e
spiega la
pubblicità. In altre parole, la pubblicità è una comunicazione rivolta ad un pubblico
definito (target),
pagata da un soggetto identificabile, attraverso molteplici canali (media) per
promuovere la
conoscenza di un bene o un servizio e stimolarne l’acquisto e l’uso (profitto).
- Ieri, le attività delle agenzie erano definite in ATL (above the
line) con tutti i metodi
convenzionali, classici di comunicazione (tv, radio, stampa, affissione, cinema) e BTL
(below the
line) cioè pr, promozioni, eventi, sponsorizzazione, packaging, etc.
- Oggi si parla di comunicazione integrata (mezzi di comunicazione online - legate
ad internet
e alle nuove tecnologie - più quelle sopraelencate, dette offline).
1.1. Struttura dell’agenzia pubblicitaria
Agenzia di pubblicità: impresa che produce comunicazione con l’obiettivo di
promuovere la
conoscenza e/o l’acquisto di un bene o servizio. La struttura di un’agenzia varia a
seconda delle
sue dimensioni e della necessità di servizi che l’agenzia deve garantire ai propri
clienti.
I reparti essenziali di un’agenzia sono:
1.1.1. Reparto ACCOUNT: è quello che ha più a che fare con il cliente, si occupa di
lui e che cerca
di offrirgli il migliore e più efficiente servizio, ed il meglio remunerato per l’agenzia.
Figure
professionali:
- Account director e supervisor: sono le figure che hanno il compito di gestire il
comparto dei
servizi al cliente. Occorre avere una forte capacità di leadership, un’ottima visione
strategica per gli
obiettivi dell’agenzia, lo sviluppo di nuovi clienti e il potenziamento di quelli esistenti.
- Account executive: figura chiave per l’agenzia perchè ha un contatto quotidiano
con il cliente, e
che quindi rappresenta l’agenzia ai suoi occhi. Per diventare un account executive è
necessario
avere tante capacità e caratteristiche, come la capacità di scegliere un team di lavoro
e saperlo
gestire, presentare le proposte strategiche in modo impeccabile, saper porre dei limiti
al cliente; o
ancora, deve avere buone conoscenze di marketing, capacità di sintesi, criterio
estetico,
personalità, curiosità e flessibilità.
- Junior o assistente account: è l’apprendista, spesso neolaureato in stage. É il
braccio destro
dell’executive e partecipa alle presentazioni raccogliendo tutti gli interventi del cliente
(= ottime
capacità di apprendere ed ascoltare). La sua aspirazione è quella di poter diventare un
executive.
1.1.2. Reparto CREATIVO: É qui che nasce il prodotto dell’agenzia, dove viene
ideato e
confezionato, in quanto si ritiene che il mestiere del pubblicitario sia artigianale; una
pubblicità ha
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bisogno di originalità e creatività, non può essere un prodotto industrializzato!
Le figure che si occupano di copywriting & art direction sono:
- Direttore creativo (CD): è colui che coordina, gestisce, e spesso lavora con l’art
director o con il
copywriter, a seconda della propria mansione; dà le linee guida e trasmette il brief . É
responsabile
del progetto presentato al cliente, ed è in grado di modificarlo e correggerlo prima di
consegnarglielo. A lui fa riferimento anche il reparto di produzione; partecipa al
working progress
(WP) settimanale assieme agli account e al direttore di produzione; - Art director
(AD): si occupa
di tutto ciò che riguarda la parte visiva della comunicazione e di ogni messaggio; è
responsabile
dell’ideazione e/o scelta del visual, dell’impaginazione e dell’uso di un determinato
carattere;
- Copywriter (CW): sovrintende alla parte concettuale: scrive i titoli (headline) ed i
testi (bodycopy)
di ogni campagna. AD & CW costituiscono la coppia creativa, fondamentale nella
produzione dei
messaggi. A volte capita che i ruoli si invertano e che l’AD si occupi del testo o
viceversa, in quanto
il lavoro del gruppo propende a mettere in secondo piano la “proprietà” dell’idea: ciò
che è
importante è che esca qualcosa di efficace ed originale. I primi passi del processo
producono
diversi bozzetti e idee (rough), che vengono poi valutati e scelti; la coppia creativa
porta a termine
le idee solo dopo aver confrontato e scelto le idee con il DC e l’ Account che segue
quel progetto.
1.1.3. Reparto PRODUZIONE e TRAFFICO: Una volta scelta la proposta creativa e
approvata
l’impostazione della campagna essa entra nella sua fase di produzione. Generalmente
esiste un
dipartimento di produzione stampa, che trasforma i layout dei creativi in
“esecutivi”, ovvero i
supporti che costituiscono gli originali da stampare (PDF supporto più frequente,
Photoshop e
Illustrator i programmi di grafica più diffusi). Gli esecutivisti (figure tecniche)
producono gli
esecutivi per la stampa, mettendo assieme tutto il materiale necessario. Questo
reparto gestisce i
costi e la realizzazione di ogni veicolazione della comunicazione prodotta dall’agenzia.
Il TV
Producer (interno o freelance) si occupa di trovare soluzioni tecniche per lo spot
televisivo o di
proporre registi e case di produzione al miglior costo possibile. Suo compito anche
seguire tutta la
produzione dal PPM (Pre Production Meeting: è una riunione che si svolge prima della
presentazione di un’idea di campagna: si decide tutto nei dettagli e una volta
confermato il modello
si cerca di non modificarlo più perchè ciò implicherebbe costi notevoli per l’agenzia),
fino alla
consegna dei materiali per la messa in onda. Compito di questo reparto è anche la
gestione del
traffico: controllo dei diversi passi della campagna, i movimenti effettivi delle diverse
parti
componenti, il tutto nei tempi previsti dal piano media.
1.1.4. STRATEGIC PLANNING: questo reparto si occupa di trovare tutte le info
necessarie per
capire la situazione del prodotto/marca in diversi ambiti: concorrenza, consumatori
attuali e
potenziali, mercato etc. Deve poi comprendere e rielaborare tutte le info, così come
interpretare la
strategia di marketing ed elaborare una strategia di comunicazione.
1.1.5 Reparto MEDIA: Decisa e avviata la produzione della campagna,
parallelamente al
processo del lavoro creativo inizia il lavoro del reparto media. La pianificazione e
l’acquisto dei
mezzi - media planning e media buying - sono affidati a un centro medio esterno. I
centri media
offrono i propri servizi ad agenzie concorrenti tra di loro.
1.1.6. Servizi AMMINISTRATIVI e FINANZIARI: Questi reparti sono equivalenti a
quelli di
qualsiasi impresa/azienda che deve occuparsi di pagamenti, dei rapporto con le
banche, degli
stipendi, della gestione del personale, amministrativa e contabile.
1.2. Protagonisti e mestieri nella comunicazione: Ci sono numerose figure
esterne all’agenzia,
che collaborano con essa in modalità “freelance” a seconda delle necessità:
visualizer, illustratori
e typewriters che disegnano storyboard e layout sotto la guida del reparto creativo;
il tv producer
di cui abbiamo già parlato e l’art buyer, colui che si occupa di tutti gli elementi della
fotografia in
modo tecnico. Vi sono i creativi freelance che si uniscono al gruppo di lavoro
dell’agenzia. Ci sono
poi gli studi fotografici, specializzati in un’area determinata della fotografia. Esistono
inoltre le
seconde agenzie, strutture legate ad una grande agenzia o appartenenti ad un
gruppo
multinazionale, di solito pensate per lavorare in un campo specifico (es. pubblicità
medica).
Un’agenzia non può occuparsi di due prodotti o servizi concorrenti.
1.3. Le fasi di lavoro di una campagna
Lo studio di una campagna parte da una richiesta del cliente, che avviene in una
riunione
(briefing) con l’agenzia di pubblicità, nella quale analizza la situazione dal punto di
vista della
marca e del mercato per poi definire l’obiettivo della campagna. Vi partecipano
sempre l’account, o
tutto il team del reparto clienti dell’agenzia; nei casi di campagne impegnative è
presente anche il
direttore creativo. Il briefing varia di complessità e di tempistiche a seconda che il
cliente sia
“abituale” o appena acquisito. Il cliente dovrebbe anche consegnare un documento di
brief, ma ciò
spesso non accade in quanto non è abbastanza competente da riuscire a redigerlo. Le
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informazioni fondamentali perché l’agenzia possa attivarsi rapidamente e nel modo
migliore sono:
prodotto, mercato, scenario dei consumi, marca, concorrenti, consumatore, obiettivi e
strategie di
marketing, budget. A distanza di pochi giorni dal briefing inizia il lavoro interno
all’agenzia:
inizialmente si fa un debriefing (si rincontra il cliente per esternare le prime
riflessioni, ma ciò
spesso non avviene); l’account prepara un timetable partendo dal giorno in cui la
campagna ha
inizio (on air), mentre contemporaneamente lo strategic planner legge i documenti
ricevuti dal
cliente e verifica se siano necessarie altre info: in questo caso si attivano dei focus
group (ricerca
qualitativa) che consentono di ricavare info rilevanti in modo rapido che non si
otterrebbero tramite
ricerche quantitative. Queste ricerche, sommate ad una fase estensiva, si chiamano
qualiquantitative,
ed aiutano a capire il rapporto dei clienti con la marca o i posizionamenti pubblicitari
(positioning). La strategia preparata dallo strategic planner viene presentata ai
creativi durante
una riunione di briefing creativo, dove viene discusso appunto il brief creativo. (In
certi casi la
strategia viene presentata al cliente prima dell’avvio del lavoro creativo). Dal
momento in cui il brief
creativo viene approvato, la coppia creativa inizia il proprio lavoro: CW e AD
lavorano in modalità
di brainstorming (le idee vengono espresse da entrambi come in una sorta di ping
pong). (Prima
della realizzazione di proposte creative possono essere sviluppati dei concept dagli
strategic
planner o studiati di comune accordo). Inizialmente i creativi preparano dei rough,
sempre meno
presenti in quanto il lavoro viene sempre più spesso svolto al pc; gli account e lo
strategic planner
fanno considerazioni, preferenze e apportano eventuali modifiche: mediamente si
presentano al
cliente 3 proposte. I rough degli annunci stampa vengono convertiti in layout da
illustratori esterni
o tramite pc con immagini d’archivio; importante presentare il layout al cliente con
headline e
payoff così da ottenere un risultato simile a quello finale. Uno spot viene spesso
presentato con
uno script, che si divide in parte visiva e verbale; può essere accompagnata da
disegni, foto, o
key visual (immagini guida) rappresentativi. Lo storyboard è una versione più
completa di questo
lavoro: una sequenza di immagini (spesso disegnate) dove viene riportato ciò che sarà
detto dagli
attori. Con i disegni che servono per uno storyboard si può preparare un animatic
(ripresa di varie
immagini accompagnate dal parlato e da un’eventuale musica) o di un rubamatic
(versione più
sofisticata, che utilizza scene ricavate da spot esteri o altri film) col rischio però che si
alzino le
aspettative del cliente per il risultato finale. Tra la presentazione interna e quella del
cliente nel
frattempo sono avvenuti altri incontri tra il team creativo, l’ account e lo strategic
planner. É raro
che una proposta venga accettata al primo incontro con il cliente, anche perchè
all’inizio alcuni
elementi non sono ancora finalizzati (es. bodycopy con finto testo). Sia il cliente che
l’agenzia
hanno interesse a svolgere il lavoro nel modo più rapido possibile perchè il tempo
impiegato
spesso rappresenta un costo notevole. Quando si tratta di acquisizione di budget
sostanziosi
(telefonia/automobili) vengono girati dei veri e propri film di prova per capire se
l’annuncio è
efficace, cioè se attiva una persuasione o una propensione all’acquisto nel cliente;
spesso si
decide di verificarne l’efficacia attraverso un copy test (ricerca) con focus group o
interviste
individuali, dove è necessario che la proposta sia finalizzata al meglio per apparire il
più possibile
uguale a quella finale (= finished layout). Questo approccio non funziona quando si
intende
contrapporre una campagna tradizionale ad una innovativa, perchè spesso le novità
provocano
reazioni negative nei consumatori a primo impatto. Una volta scelta la proposta
creativa, vengono
coinvolti specialisti interni ed esterni all’agenzia; in strutture di grandi dimensioni l’art
buyer tiene i
rapporti con i fornitori esterni (es. reparto cinema, che tiene i contatti con le case di
produzione tv e
radio). Dopo aver deciso a chi affidare lo spot, si organizza il PPM (Pre Production
Meeting)
durante il quale vengono definiti tutti i dettagli relativi alla produzione della
campagna: vi
partecipano il cliente, i creativi, gli account e a seconda della campagna il fotografo,
l’art buyer, il
producer dell’agenzia (in adp di grandi dimensioni), ed eventualmente altri
professionisti come lo
stylist (outfit attori). Nel PPM vengono definiti lo shooting, la scelta degli attori
attraverso un
casting, l’eventuale musica da utilizzare, la location e i props (oggetti di scena).
Dopo il PPM il
regista prepara uno shooting board (storyboard di produzione più specifico dello
storyboard; alle
riprese di uno spot assistono il team creativo (o l’art director), l’account e spesso il
cliente. Il
prodotto finito viene poi presentato al cliente, che lo approva o apporta eventuali
piccole modifiche:
mentre per uno spot la finalizzazione è affidata alla casa di produzione supervisionata
dall’adp, gli
scatti fotografici vengono finalizzati dall’agenzia nel reparto di produzione. In
concomitanza al
progetto di strategia creativa, il centro media si occupa del media planning, cioè
della scelta dei
media per raggiungere al meglio il target group, ed in seguito il piano economico e il
calendario
con le uscite, il tutto svolto prima di dare il briefing ai creativi. In seguito si effettua il
media buying,
cioè la trattativa di acquisto degli spazi, condizionato dai rapporti esistenti tra il centro
media e le
concessionarie degli spazi. Chi si occupa di media planning e buying prosegue il lavoro
anche
dopo l’inizio della campagna. I materiali prodotti vengono inviati alle concessionarie di
pubblicità,
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che si occupano di consegnarle agli editori. Le ricerche più utili (quantitative) sono
quelle effettuate
a distanza di alcuni mesi dal lancio della campagna, per valutare il ricordo e vedere se
la brand
awarness (conoscenza della marca) è aumentata. Mentre l’atteggiamento nei
confronti della
pubblicità erogata e la brand image vengono testati attraverso indagini quali-
quantitative.
2. Struttura dell’agenzia digitale
L’era digitale ha cambiato radicalmente la relazione tra brand e consumatori;
generando nuove
richieste alle agenzie di comunicazione da parte delle aziende. Compito dell’agenzia
digitale:
colmare questo gap coinvolgendo il consumatore che non accetta più il ruolo passivo
al quale
l’aveva costretto la pubblicità del ‘900; sviluppare talenti e infrastrutture tecnologiche
per catturare
l'attenzione e la partecipazione attiva dei potenziali consumatori e costruire una nuova
relazione
duratura. Le principali esigenze per soddisfare questa sfida sono: capacità di analisi
dei dati e dei
comportamenti dei consumatori, capacità creativa, creazione di contenuti in tempo
reale, crm.
L’agenzia digitale può coprire una vasta serie di mansioni, può offrire servizi di
pubblicità digitale,
servizi di digital marketing e di marketing non convenzionale all’organizzazione di
eventi.
Struttura: orizzontale e multidisciplinare che tende a lavorare come un team
ben specifico.
Figure: esperto di analisi dei dati, un esperto in nuove tecnologie digitali, un esperto di
marketing e
vendite, un creativo di formazione art o copy, un esperto di strategia e chi si occuperà
dell'operatività da portare avanti, un esperto in connected retail. Nel punto vendita
avviene il
contatto tra brand e consumatore; i negozi inoltre devono formare i propri dipendenti
e farli
diventare difensori del brand.
Capitolo 5: La retorica in pubblicità
La retorica è l’arte del dire, cioè lo studio delle forme espressive; la retorica del
pubblicitario
include sia figure linguistiche che strumenti di poetica. La pubblicità di oggi è un
messaggio breve
ideato per essere eclatante e memorabile, attraverso lo slogan, che cerca di emergere
tra gli altri:
la sua struttura è spesso una figura retorica, ma con una forma poetica e musicale,
che mira a
stimolare il ricordo attraverso il suono e il visivo. Il linguaggio figurativo (=
figuratività) è un
elemento fondamentale della retorica-poetica: trasporta un concetto via dal suo solito
uso per
applicarlo ad un altro contesto, con l’obiettivo di creare con delle parole un’immagine
in grado di
trasportare l’individuo verso un’idea/immagine del prodotto (= benefit): beneficio che
il soggetto
trarrà dal consumo di un prodotto/servizio
- Imperativo come forma perentoria: l’uso di pronomi personali o di forme verbali
dirette
comunica al consumatore il suo ruolo di oggetto-target della comunicazione; in alcuni
slogan storici
(“Drink Coca Cola”), l’esortazione è diretta e il comando assume un tono perentorio; a
volte
l’intimazione si riduce a qualcosa di semplice ed essenziale, intimando un’urgenza
(“Pepsi, now!”):
la formula diventa nota e l’azione verbale è sottintesa.
- Uso della seconda persona: Il tono intimistico è un modo per avvicinare il
consumatore; l’uso
del pronome “tu” in italiano comunica familiarità e complicità (“La Coop sei tu”),
mentre in inglese si
fa ricorso ad altri mezzi (“Because you are worth it”) : sono tutte strategie
comunicative non nuove,
ma che mirano a coinvolgere il target con un approccio più intimo.
- Narrazione: è il mezzo di coinvolgimento più efficace: si basa su un doppio senso
malizioso
(“Toglietemi tutto ma non il mio Breil”). L’uso dell’ “io” può introdurre una narrazione
compressa in
una frase, che accentua il benefit soggettivo (“I’m lovin’ it”); anche quando
apparentemente non ci
sono trame o personaggi, ci può essere una narrazione (es. esortazione diretta “Just do
it”, grido di
battaglia per il consumatore che, se lo adotta, si erige eroe del testo). Il testo
pubblicitario
combatte per farsi notare in un contesto pieno di messaggi; elementi che rendono il
messaggio
non lineare possono confondere il ricevente e nuocere il marchio: molte volte gli spot
sono costituiti
da messaggi bivettoriali.
- Bodycopy come testo lungo: la bodycopy è un testo lungo, in prosa; viene letta
da consumatori
pre-purchase, cioè già interessati all’acquisto del prodotto (prospects seri). La lettura
della
bodycopy è anche un post-purchase behaviour, perchè letta da acquirenti recenti che
cercano
rassicurazione sull’acquisto compiuto, che possono inoltre diventare dei repeat
purchase e dei
potenziali influencers.
- Testo multistrato: una pubblicità può contenere più testi rivolti a più target (es.
uno chiaro,
diretto alla maggioranza delle persone, accompagnato da un altro diretto ad un target
più ristretto -
cultura/sottocultura: word of mouth effect).
- Puzzle verbale: serve a coinvolgere il target in funzione di aumentare il ricordo del
prodotto/
brand. La forma più comune è il doppio senso - pun of words (Es: “O è una Lacoste
presa qui, o è
una presa in giro”), serve ad aggiungere un elemento ludico.
- Richiami letterari: vengono utilizzati elementi o strutture che alludono a formule
non conosciute
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da tutti; es. richiami eruditi (Philips: “Sense and Simplicity” - rimando al libro di Austen
“Sense and
Sensibility”). Sono elementi di cultura e sottocultura equivalenti ad inserti subliminali
che innescano
indirettamente una reazione nel target, lo colpiscono.
- Struttura trittica: struttura retorica molto semplice, composta dalla ripetizione di
un termine tre
volte (“Altissima, purissima, Levissima”).
- Stili e formule: la pubblicità tende a riprendere frasi conosciute (richiami
intertestuali: da altri
testi esistenti) perchè innescano un richiamo nell’individuo e attirano la sua
attenzione. Possono
essere di tipo letterario, della cultura di massa (es. testi canzoni) o della cultura
popolare e
gergale: il sogno del copywriter è quello di creare un catchphrase di successo, che
entri a far parte
del linguaggio comune.
2. Le figure retoriche
L’uso delle figure retoriche in pubblicità è raddoppiato negli ultimi 50 anni. Le funzioni
principali
delle figure retoriche sono:
- amplificazione orizzontale del discorso
- chiarificazione semantica di un messaggio
- dilatazione del senso della comunicazione
- sinterizzazione del messaggio
Le figure retoriche si possono distinguere in 4 categorie:
2.1. Figure morfologiche: strumenti retorici che trasformano la forma della parola e
la sua
sostanza fonetica; aggiungono enfasi e struttura al testo, facilitando il ricordo.
- Rima: identità di suono nella parte finale di due o più parole a partire dall’ultima
vocale tonica
(Es.”Peperlizia, il contorno che ti vizia”). Il brand name appare per primo, ancorato a
un termine
familiare con cui fa rima. Essa funziona come strumento mnemonico.
- Assonanza: due o più parole con vocali diverse e consonanti uguali, o viceversa
(Es”amore/
amaro”). Effetto vicino a quello di una rima, meno precisa.
- Allitterazione: ripetizione del suono consonantico iniziale della prima vocale tonica in
due o più
parole (Es. “Fiesta ti tenta tre volte tanto”). Essa dà enfasi e crea una connessione tra
gli elementi.
2.2. Figure sintattiche: figure retoriche che incidono sulla struttura della frase,
provocando
alterazioni nell’interpretazione dei significati. Chiamate anche figure dell’ordine.
- Anafora: ripetizione di parola/frase all’ inizio di versi successivi (Es. “più lo mandi giù,
più ti tira
su”); lo scopo è quello di amplificare, enfatizzare e insistere su un concetto o parola al
fine di
richiamarne l’attenzione.
- Chiasmo: struttura retorica a forma di croce che consiste nell’inversione dell’ordine
totale delle
parole (Es “mangiare per vivere, non vivere per mangiare”)
- Ellissi: omissione di una parte di frase, creando più enfasi ed efficacia all’enunciato.
La riduzione
del numero dei termini incrementa l’impatto e dà rilievo agli elementi rimanenti.(Es
“Bella giornata!”
anzichè “Oggi è una bella giornata”).
2.3. Figure semantiche: strumenti retorici che intervengono sui contenuti delle
espressioni
modificandone in vario modo il significato. Questi provocano la sostituzione di un
messaggio
proprio con uno improprio, figurato, traslato alterandone il significato.
- Antonomasia: nome proprio di cosa/persona che sostituisce un nome comune o
viceversa. (Es. É
un Maradona - per specificare le abilità che possiede a giocare a calcio).
- Metafora: designa un oggetto trasportando una parola/frase dal suo solito contesto a
un altro;
implica un trasferimento di significato. Ha il pregio di materializzare i valori astratti del
prodotto e di
sorprendere il destinatario (Es “Metti una tigre nel motore” -Esso- potenza e
aggressività
all’automobile- “Quattro salti in padella” -Findus- immagine della danza trasportata in
contesto
culinario).
- Similitudine: paragone che usa un termine di comparazione esplicito (Es “La vita è
come/simile a
un viaggio”).
- Metonimia: consiste nella sostituzione di un termine vicino a quello cui ci si riferisce
in base a una
relazione di contiguità spaziale, temporale e causale (Es.“Mi faccio un bicchiere”); il
rapporto tra gli
elementi può essere di vario tipo.
- Sineddoche: simile alla metonimia, si usa il nome di una parte per indicare il tutto
(Es. “Fuga di
cervelli”).
2.4. Figure logiche: agiscono sulla logica complessiva dell’enunciato, il cui
significato si modifica
operando al di là del significato letterale.
- Iperbole: esagerazione, amplificazione, riduzione del significato (per difetto o
eccesso)(Es.
“Facciamo 4 passi”/“ti amo da morire”). In pubblicità: propense all’esagerazione.
_11
- Ironia: affermazione che sottintende l’opposto, in tono umoristico (Es.“non vedo
l’ora”).
- Litote: consiste nell’affermare una cosa, negando l’opposto (Es. “non stupido, non mi
dispiacerebbe, non ha chiuso bocca”).
- Ossimoro: combinazione di termini opposti/antitetici nella stessa frase per rafforzare
il significato
(Es. “Un caldo inverno”).
- Paradosso: affermazione contraria alla logica comune (Es.“Less is more” )
- Ambiguità: generica incertezza nel significato (Es. British Airways “World’s favorite
airline non
spiega perchè lo è). - Doppio
senso: parola/frase con doppio significato denotativo; entrambi i significati devono
essere
plausibili.
Capitolo 6: La creatività
1. Che cos’è: definizione e studi
La creatività ha cambiato e ampliato da poco il senso proprietario. Il dibattito su essa
parte dal fatto
che non c’è una precisa e condivisa definizione.
- definizione di De Mauro: creatività accostata a una capacità, lasciando aperta la
possibilità che
possa essere acquisita, sviluppata e migliorata attraverso la pratica.
- definizione di Galimberti: creatività come un carattere del comportamento umano,
può essere
applicata con regole.
- definizione di Poincarè: creatività come la capacità di associare elementi esistenti in
nuove
combinazioni utili C = N+U.
- definizioni di Gardner, Guilford e Torrance: 1) sostiene che essere creativi significa
fare
qualcosa di insolito 2) sostiene che la personalità creativa è materia di quei modelli dei
tratti che
sono caratteristiche della persona creativa 3) conferma che la creatività è una
caratteristica
distintiva dell’eccellenza umana in ogni area del comportamento.
- definizione di Rhodes: egli raggruppa le definizioni riconducendole a un prisma con
4 facce,
ognuna con un’identità propria, ma solo lavorando insieme l’intero processo funziona:
un lato si
occupa di identificare le caratteristiche della persona creativa; un altro i componenti
del processo
creativo, il terzo studia gli aspetti del prodotto creativo e il quarto le caratteristiche
dell’ambiente
(press) che favorisce la creatività.
- definizioni di Amadori e Piepoli: creatività come capacità del cervello e della
personalità umana
di dare vita a produzioni mentali o materiali, astratte o concrete.
- definizioni di Sternberg e Lubart: creatività è l’abilità di produrre un lavoro che sia
nuovo,
inaspettato e originale, appropriato, utile e adattivo.
- definizione di Young e Osborn: 1) formula che il processo creativo è come una sorta
di catena di
montaggio 2) plasma la tecnica di brainstorming e modella il CPS process.
Differenza tra immaginazione (l’atto di portare a un livello conscio cose che non sono
presenti) e
creatività (presuppone il fare, il mettere in pratica).
2. Le teorie del cervello dx e sx
R. Sperry teorizzò che gli emisferi del cervello svolgono compiti differenti: quello sx
governa le
funzioni logiche, razionali, verbali, mentre al dx appartiene la sfera dell’emotività. La
parte centrale
mette in relazione i due sistemi e li fa interagire. La parte destra potremmo chiamarla
creativa,
sviluppa libere associazioni ricercando la diversità e dando vita a molteplici soluzioni.
Quella
sinistra sarebbe preposta alle scelte. Una delle principali ipotesi è che lo sviluppo
dell'idea abbia
un vero “percorso”: dopo le prime impressioni fornite da un’intuizione, un’idea, la
mente cerca di
trovare delle convalide razionali e accomoda l’idea alla situazione per poterla mettere
in pratica.
Emergono due tipi di pensiero: creativo/divergente e razionale/convergente.
3. Misurare la creatività
Vi sono diversi strumenti utilizzati ancora oggi per misurare il livello dell’abilità
creativa posseduta
da un individuo. La misurazione viene effettuata per valutare tre capacità:
1) flexibility: generare una varietà di idee/risposte e vedere le cose da differenti pdv
2) fluency: generare un gran numero di idee/risposte e continuare a crearne
3) originality: uscire dagli schemi ovvi per creare novità nelle idee/risposte.
4. Creatività vs. Intelligenza
Intelligenza e creatività sembrano essere concetti distinti anche se correlati. Può
essere vero che a
volte l'intelligenza costituisca una barriera d'espressione creativa, dando spazio ai
freni inibitori.
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6. Il processo creativo
La creazione di una nuova idea, soluzione, invenzione segue un vero e proprio
“processo” naturale
produttivo. La prima teoria, quella di Wallas, descrive 5 fasi del processo creativo: 1)
preparation
2) incubation 3) intimation 4) insight 5) test.
Young considera il processo creativo come una catena di montaggio e ne ipotizza 5
fasi:
1) raccolta delle materie prime 2) elaborazione mentale 3) incubazione 4)
ideazione, intuizione
5) adattamento e messa in pratica dell’idea.
7. Metodi di creatività deliberata
Per creatività deliberata si intende un processo volontario, deliberato di ricerca di una
soluzione
innovativa a un problema dato. I metodi più usati e le tecniche di strumenti più diffusi
sono:
7.1. TRIZ: il concetto di contraddizione e i 40 principi: TRIZ è traducibile come
“teoria per la
soluzione dei problemi inventivi”; diventa una metodologia per lo sviluppo di
innovazioni e il
miglioramento di vecchie invenzioni. L’inventore (Altshuller) tentò di capire come le
invenzioni
venissero generate a livello di pensiero. TRIZ deriva da un approccio sperimentale e
fondato
sull'esperienza diretta ed è utile nell’invenzione o sviluppo di nuovi prodotti più che
nella soluzione
di problemi organizzativi o di marketing. Le soluzioni dei problemi sono più efficaci
quando sanno
superare le contraddizioni tecniche insite in essi. TRIZ si svolge attraverso 5 fasi: 1.
Definizione del
problema 2. Formulazione del problema 3. Categorizzazione del problema 4. Sviluppo
delle
soluzioni 5. Scelta delle priorità e implementazione delle soluzioni. Questa teoria e le
sue
dimostrazioni hanno rivelato come le invenzioni migliori siano emerse dal
superamento delle
contraddizioni. Il problema che vogliamo risolvere è stato già affrontato da altri e o
in altre
situazioni o applicazioni. TRIZ evidenza che per generare idee innovative, l’ ispirazione
non è
casuale ma ha carattere scientifico: si avvale di un meccanismo organizzato attraverso
40 principi
detti “di contraddizione” formulati dallo stesso inventore. Essi sono stati ripresi e
modificati da molti
studiosi negli ultimi anni.
7.2. Synectis e le analogie: il termine significa “tecnica dell’unione di elementi
diversi” e si fonda
sull’impiego di analogie e metafore. Il modello è stato sviluppato da Gordon e Prince e
parte dal
presupposto che ogni individuo possegga una natura creativa che crescendo si va
spegnendo: ciò
è dovuto all'inibizione generata dai vari: questo non si fa, questo non si dice, questo
non si tocca;
ne deriva una perdita di originalità e flessibilità. Utilizzando la sinettica si ricercano
somiglianze fra
campi diversi per trovare soluzioni innovative. La persona viene deliberatamente
portata ad
allontanarsi dal problema proprio per liberarsi dai condizionamenti e dal “solito”. Il
processo si basa
sui concetti di rendere familiare ciò che è estraneo e rendere estraneo ciò che è
familiare. Il
processo della sinettica prevede 5 fasi: 1. definizione del problema 2.
chiarificazione 3.
risoluzione del problema 4. creazione di connessioni 5. proposte e intervento. Il
problema da
affrontare viene messo in relazione con un’analogia; si sviluppa al massimo
quest’analogia anche
allontanandosi dal problema iniziale; si adatta infine l'analogia incrociandola con il
problema. Nelle
sessioni di synectics è fondamentale la presenza di un “esperto” che conosca a fondo
il problema
affrontato e i fatti a esso collegato.
- Receptive Visual Thinking: teoria recente: nell’emisfero sx del cervello, la velocità
di
elaborazione istantanea = 1 concetto, mentre nell’emisfero dx si elaborano = 10.000
immagini.
Nella parte posteriore del cervello la velocità di elaborazione istantanea =
100.000.000 immagini.
Serve a sfruttare e a trovare la soluzione al problema.
7.3. Il pensiero laterale (lateral thinking): concetto inventato da De Bono e
antagonista del
pensiero verticale, basato sulla logica. Egli sostiene che il nostro cervello veda solo ciò
che è
abituato a vedere. Non è un modello a fasi, ma un'attitudine mentale di pensiero
non
convenzionale e osservando il problema da diverse angolazioni, tentando nuovi
approcci,
consente di generare nuove idee, di trovare soluzioni diverse. Il principio del pensiero
laterale è
simile a quello del pensiero divergente: per ogni problema è sempre possibile
individuare diverse
soluzioni, alcune delle quali emergono solo: prescindendo da quello ciò che pare
l'unico percorso
possibile e cercando elementi, idee, intuizioni, fuori dal dominio di conoscenza e dalla
rigida
catena logica. Il laterale thinking si basa su 4 principi guida: 1. identificare le idee
dominanti 2.
usare nuovi metodi di indagine 3. Affrancarsi dal controllo del pensiero verticale 4.
utilizzare il caso
e l'errore che giocano un ruolo da protagonista per formulare nuove idee. È
importante disporre di
strumenti che facilitino i processi di pensiero, come le mappe creative, che consentono
di fermare
le idee e di registrarle, predisponendole per essere poi rielaborate. Tra queste si
collocano anche
_13
le mappe mentali o le solution map, che possono essere usate per facilitare lo
svolgimento di
sessioni creative basate su tecniche, come i sei cappelli per pensare.
Metodo “sei cappelli per pensare” (six thinking hats): incorpora il concetto di
pensiero laterale,
il cappello identifica un ruolo preciso, utile allo sviluppo del processo creativo. Avere
l’intenzione di
pensare in un determinato modo è il primo passo verso la produzione creativa. I sei
capelli sono
strumenti che ci aiutano a interpretare; hanno colori diversi e sono sei modi di pensare
a seconda
del colore del cappello che si decide di indossare: cappello bianco (neutralità-dati,
fatti),
rosso (emotività-intuizioni, emozioni), nero (critica-giudizio), giallo (positività), verde
(creativitàinnovazione),
blu (controllo-).
7.4. Creative Problem Solving (CPS Osborn-Parnes): Intento di Osborn era quello
di costruire
un modello pratico da seguire per migliorare la propria creatività; assieme al dottor
Sidney Parnes,
elabora il processo di CPS, oggi conosciuto come modello Osborn Parnes; consente di
lavorare in
modo più creativo ed efficace, aumentando la capacità dei gruppi, ma anche dei
singoli individui, di
trovare soluzioni innovative e non convenzionali ai problemi che si stanno discutendo.
Il metodo di
CPS si basa sul processo naturale che ognuno di noi usa per risolvere i problemi:
1. Analisi dei problemi da affrontare: Nell’affrontare i problemi siamo abituati a
ragionare su
come risolverli. Per sviluppare un pensiero creativo e non convenzionale, prima di
ragionare sulle
soluzioni è opportuno analizzare i problemi per quello che sono, raccogliendo il
maggior numero di
dati disponibili. Acquisendo una conoscenza approfondita dei problemi e del contesto
in cui si
manifestano, è possibile aumentare il numero delle possibili soluzioni.
2. Definizione dei problemi e generazione di idee: Il modo in cui un problema è
definito influisce
sulle soluzioni che si vengono a proporre. Per questo, una volta raccolte tutte le info
disponibili, si
procede alla sua riformulazione. In questo modo si creano le condizioni per sviluppare
soluzioni
creative ed innovative per risolverlo. Una volta riformulato il problema, si propongono
idee progetto
che possano risolverlo.
3. Mettere a punto la soluzione: Questa attività è cruciale nell’approccio CPS,
perché è quella in
cui concretamente si sviluppano le soluzioni creative ed innovative. Ciascuna idea
proposta viene
successivamente analizzata per valutarne efficacia e fattibilità, giungendo a
selezionare le idee
progetto su cui il gruppo intende continuare a lavorare.
4. Fare un piano d’azione e mettere in pratica la soluzione: Selezionate le idee si
va a definire in
concreto come svilupparle, ragionando su obiettivi, risultati attesi, responsabilità e
scadenze da
rispettare per la loro realizzazione. Alla base dell’approccio CPS c’è l’idea che, per
migliorare la
creatività di un gruppo, sia necessario dare più spazio all’immaginazione e ai
contributi di ognuno.
Per questo ciascuna attività è caratterizzata da due diverse fasi di lavoro:
- Fase divergente: è la fase di esplorazione e ricerca. Si sviluppa da un solo punto di
partenza,
esplodendo verso tutte le dimensioni possibili: si combinano idee, non ci si preoccupa
della realtà
e di ciò che effettivamente è possibile creare: esplora la quantità. Serve ad ampliare il
modo di
guardare e pensare, aiutando un gruppo a prendere in considerazione un numero più
elevato di
possibili alternative. Nella fase divergente: °si sospende il giudizio, °si cerca la
quantità, °si
cercano idee pazze e inusuali/wild, °si combinano le idee, °si annota tutto.
- Fase convergente: è la fase di scelte e decisioni. A partire dall’analisi dei dati
raccolti nella fase
divergente, attraverso la progressiva semplificazione del ragionamento ed
identificazione degli
elementi più rilevanti, porta il gruppo a individuare la soluzione al problema: lavora
sulla qualità.
Dall’equilibrio di queste due forze nascono risultati nuovi, utili e originali; utilizzare al
meglio questi
due processi è la chiave verso un miglioramento continuo. Nella fase convergente:
°si migliorano
le idee, °si usano giudizi affermativi, °si cerca di essere decisi e risoluti, °si considera
l’originalità,
°si resta in tema e coerenti.
I principi fondamentali del CPS:
- ognuno è creativo in qualche modo
- le capacità creative possono essere insegnate
- l’ambiente deve essere caratterizzato da apertura mentale e attitudine al rischio
- l’atmosfera è aperta, gioiosa, vivace, dinamica, propositiva
- clima di sicurezza di pensiero deve pervadere l’ambiente
- utilizza il pensiero divergente e convergente in modo equilibrato e dinamico
Il modello di CPS è suddiviso in 6 fasi:
——>> fasi implicano la definizione del problema
1. Objective finding (obiettivo) 2. Fact finding (info) 3. Problem finding (problema)
_14
——>> altre fasi
4. Idea finding (idee) 5. Solution finding (soluz) 6. Acceptance finding (piano
azione)
8. Alcuni dei tool più usati
8.1. Tecniche DIVERGENTI:
1. Brainstorming: Alex Osborn dell’agenzia di pubblicità BBDO, crea il termine
brainstorming
(tempesta di cervelli): una tecnica creativa di gruppo per far emergere idee, opzioni
volte alla
risoluzione di un problema. Consiste, dato un problema, nel proporre liberamente
soluzioni di ogni
tipo, senza che nessuna di esse venga minimamente censurata. La critica ed
eventuale selezione
interverrà solo in un secondo tempo, terminata la seduta di brainstorming. Appendere
i fogli con le
idee alle pareti.
2. Post-it brainstorming: simile al brainstorming classico, ma ogni partecipante
possiede un
blocchetto di post-it e pennarello sul quale scriverà la propria idea.
3. Brainwriting: foglio con tabella da 12 caselle, partecipanti devono scrivere tre
idee e far
circolare il foglio, continuare a scambiarli finché non son state riempite tutte le caselle.
4. Cambiare prospettiva: trovare nuove idee guardando alla situazione con gli occhi
di un’altra
persona, animale, mestiere.
5. Lista degli attributi: si tratta di prendere un qualsiasi oggetto e fare una lista di
tutte le parti,
funzioni, caratteristiche e usi.
6. Connessioni forzate: studiare tutti gli aspetti di un immagine o oggetto, facendo
delle
connessioni con l’obiettivo/problema.
7. Rovesciare la prospettiva: consiste nell’invertire la domanda, creando l’opposto.
8. Scamper: tecnica che prevede di fare alcune delle seguenti domande sulle idee già
trovate:
“che altro puoi usare?”, “come si può modificare?”, “cosa puoi togliere?”, “si può
invertire l’idea?”,
“a cosa assomiglia quest’idea?”
8.2. Tecniche CONVERGENTI:
1. Highlighting: consiste nel rivedere le idee e scegliere quelle più interessanti,
rilevanti, intriganti
che ci ispirano.
2. Clustering: si tratta di cercare le cose nella lista che sono simili, in relazione tra di
loro o che
possono essere combinate, al fine di riunirle per farne un cluster.
3. PPC: per le migliori idee bisogna elencare i plus (3 punti di forza), i potenziali (3
potenzialità
inespresse) e i concern (3 dubbi sull’idea e 3 modi per superare l’ostacolo).
4. Power Dots: procedimento valido quando si ha un gruppo ampio di persone che
devono
lavorare insieme per trovare consenso intorno all’idea migliore (bollini colorati su
quelle migliori da
3 a 5)
5. TRIZ
6. CAI
9. Il mind mapping e il radial thinking: è un modo non lineare per organizzare e
presentare
idee, dati, informazioni. É una tecnica di divergenza che facilita il processo creativo,
forzando il
cervello a lavorare come un organismo unico. Le mappe mentali che ne derivano
organizzano e
raffigurano le idee in modo visivo e interconnesso.
10. Design thinking e visual thinking: è un metodo di azione creativa che
viene diffuso e
applicato al mondo aziendale professionale; è un metodo solution based che inizia
con il
desiderio di un futuro e di una realtà nuovi e migliori. Questo metodo promuove la
creazione di
idee in modo aperto e ampio. Vengono utilizzate le analogie visive come tecnica di
generazioni di
idee, si usano immagini, foto per stimolare il visual thinking.
11. Hermann e la whole brain theory: Hermann, nella sua whole brain theory,
teorizza l’esistenza
nel cervello di 4 parti distinte specializate; da esse identifica 4 corrispondenti tipi di
distinti di
pensiero. I quattro stili di pensiero risultanti dal modello sono: - analytical (logico-
tecnico) -
practical (controllato) - relational (creativo) - experimental (artistico).
12. FourSight e le thinking preference: nome composto da “four preferences” e
“insight”; è una
società di Chicago. FS è un test che rivela la preferenza delle persone nelle quattro fasi
del
processo creativo; serve a identificare come ognuno di noi pensa quando era di
risolvere un
problema o si trova di fronte a una sfida. Rivela le fasi del processo creativo in cui
ognuno di noi
può dare il meglio di sé e quelle in cui siamo più deboli.
_15
Capitolo 7: Gli stili creativi
1. Premessa storica
Per molti la pubblicità è stata una vera rivoluzione culturale, caratteristica del ‘900,
momento
fondamentale per l’aggiornamento delle persone in fatto di abitudini di consumo, stili
di vita e
innovazione tecnologica.
- Quando e perchè nacque l’esigenza di un messaggio commerciale?
La prima forma di “protopubblicità” è quella dei venditori di strada, che intendevano
portare i
potenziali acquirenti a conoscere la loro offerta; parallelamente allo sviluppo delle
botteghe si
sviluppano forme di pubblicità più simili a quelle moderne. Nelle economie di
produzione
artigianale la pubblicità esisteva solo nelle vicinanze del punto vendita, simile al
volantinaggio di
oggi, che ha lo scopo di avvicinare la domanda all’offerta. Nel tempo le tecniche si
sono affinate:
con l’invenzione della stampa (XV secolo) nascono i primi manifesti moderni; nel ‘600
nasce la
réclame (annunci commerciali nelle pagine delle gazzette): il boom della réclame
avviene in
Inghilterra con la prima rivoluzione industriale (‘700), dove nascono la figura
dell’agente
pubblicitario e le prime concessionarie specializzate nella raccolta di annunci sui
giornali. Nel ‘900
la pubblicità diventa un sistema industriale che determina la nascita della società dei
consumi, in
particolare modo negli USA dove il livello di industrializzazione era più avanzato (boom
economico
- offerta superiore alla domanda). Si iniziava a voler sperimentare nuovi prodotti e
godere della
propria ricchezza: era indispensabile fornire al pubblico delle motivazioni di acquisto
arricchendo i
prodotti di significati simbolici: nasce il marketing, e fin da subito la pubblicità ne è
parte
integrante. La comunicazione pubblicitaria diventa più strategica che artistica:
l’obiettivo diventa
mostrare le capacità delle merci di semplificare la vita degli individui. Dalla seconda
metà del ‘900
in Europa ed USA si affermano i principali protagonisti della storia della pubblicità
moderna,
pionieri in grado di creare dei veri e propri stili creativi:
2. Leo Burnett
Nasce nel Michigan, arriva a Chicago e fonda un’adp con il suo nome, dove trasferisce
le proprie
esperienze precedenti e molti aspetti del suo carattere. Il suo stile è il “common
touch”(tocco
dell’uomo comune), con tratti tipici della mentalità americana dell’epoca, genuino,
diretto, e in un
certo senso contrapposto alla creatività dei pubblicitari newyorkesi. Prediligeva un
linguaggio
semplice e utilizzava soggetti simili alle persone comuni/ordinarie; per lui era rilevante
che ogni
annuncio riflettesse le motivazioni che avevano spinto il produttore a creare un
determinato
prodotto, e che di conseguenza avrebbero indotto il consumatore ad acquistarlo. Era
minuzioso
nella raccolta di info sul prodotto, il target e il mercato quando si trovava ad avere a
che fare con
un nuovo cliente, per poi concentrarsi sulla creatività e nella fase creativa. Invitava il
suo staff a
ricercare il “dramma intrinseco delle cose” , cioè l’elemento chiave che giustifica la
persistenza di
un prodotto sul mercato, per poi enfatizzarlo in modo chiaro e deciso rimanendo il più
possibile
neutrali. Introduce inoltre un elemento innovativo nella pubblicità: il personaggio
antropomorfo,
con la funzione di creare colore e calore attorno all’immagine della marca e di rendere
facilmente
riconoscibile il prodotto, dotandolo di un’anima e un corpo (Tigre Kellogg’s). La sua
case history di
maggior pregio è quella per le sigarette Marlboro negli anni’60: si decise di
riconsiderare il
posizionamento della marca, che aveva un target prettamente femminile (filtro rosso
per
nascondere le sbavature di rossetto). Burnett riposiziona il prodotto su un target
maschile
introducendo la figura del cowboy, sinonimo di virilità e durezza. Inizialmente non
ottiene successo
in quanto troppo vaga (utilizza anche altri personaggi), così decide di creare un mondo
immaginario intorno al personaggio del Marlboro Man, rappresentato in una serie di
situazioni
tipiche. Ottiene così un enorme successo, anche grazie alla situazione storico-politica
del periodo
(movimenti di rivolta studenteschi che si identificano nell’immagine del cowboy duro e
sicuro di sé).
Una delle maggiori ragioni di successo è quindi la capacità di suggestionare il
consumatore, che
consumando una sigaretta Marlboro ha la sensazione di incarnare le caratteristiche dei
personaggi
della campagna.
3. Rosser Reeves
Nasce nel sud degli Stati Uniti, dove povertà, tradizioni e amore per la schiettezza e la
semplicità
sono di casa: Reeves porterà tutti questi elementi all’interno dei suoi messaggi
pubblicitari, in
contrasto con l’atmosfera patinata di New York, dove fonda la sua adp. Per Reeves la
pubblicità è
qualcosa di scientifico e non di artistico, e il compito di un pubblicitario è quello di
valorizzare i
pregi di un prodotto, più che rendere le campagne originali. Introduce la unique selling
proposition,
costituita da un chiaro ed unico elemento forte che la concorrenza non può offrire
(dev’essere
unico ed esclusivo), ripetuto senza variazioni nel corso del tempo, che dovrebbe
spingere il
consumatore ad acquistare un determinato prodotto. Teoria del martellamento,
secondo cui il
compito della pubblicità è quello di ripetere incessante il benefit distintivo del prodotto
e predilige la
_16
modalità “hard selling” cioè uno stile creativo scientifico, asciutto e concreto (soft
selling: creativo,
artistico, emozionale). Fu il primo ad introdurre il formato da 30’’ per gli spot, che fino
a quel
momento duravano anche più di un minuto. Le sue campagne più celebri sono quella
per
l’analgesico Anacin e per le M&M’s; erano considerate “brutte” campagne proprio
perchè prive di
creatività, nonostante ciò grazie ad esse le vendite dei produttori aumentarono in
modo
consistente così come il fatturato della sua azienda. Oggi questo tipo di campagna non
funzionerebbe, ma Reeves ha avuto successo proprio perchè negli anni ’50/’60 in
America il
cittadino si riconosceva molto in valori come il realismo e la concretezza.
4. William “Bill” Bernbach
Figura più influente nella storia della pubblicità del xx sec. Nasce a New York nei primi
del ‘900 da
famiglia ebraica; si laurea in letteratura inglese ed in seguito avviene il suo approccio
con la
pubblicità: fonda con due soci la Doyle Dane Bernbach (DDB), una delle agenzie più
floride del
‘900 e tutt’ora tra le prime nel mondo. Non teorizza e non lascia testi scritti: Bernbach
era un
creativo puro, geniale, istintivo, e al contempo lucidamente razionale. Creatore della
coppia
creativa: è il primo a capire le potenzialità della fusione tra parole e immagini che
ritroviamo nelle
sue campagne, piene di ingranaggi persuasivi. Intuì per primo la necessità di ricorrere
ad elementi
creativi in grado di attrarre ed incuriosire il cliente, informandolo sul prodotto al tempo
stesso. In
ogni annuncio cerca la cooperazione attiva dell’interlocutore, in quanto cercava di
ricompensarlo
del “disturbo” dell’irruzione dell’annuncio nel contenuto editoriale. L’ironia e il
negative approach
sono i tratti distintivi dello stile di Bernbach, da lui considerati essenziali per il
successo di una
campagna. Si serviva dell’ironia per attrarre consumatori in grado di capirla e di
sentirsi soddisfatti
nell’identificarsi come destinatari del messaggio; l’approccio negativo aveva invece il
compito di
prevenire le eventuali obiezioni dei consumatori, anticipando ed enfatizzando i punti di
debolezza
del prodotto, rendendoli così più caratteristiche/virtù che difetti. La prima campagna
creata dalla
DDB è quella per il pane ebreo Levy’s: l’obiettivo era quello di allargare la fascia di
consumatori.
Viene pianificata su un giornale popolare con una creatività semplice e diretta: i
manifesti
riportavano vari personaggi della multietnica New York intenti a mangiare il pane;
l’headline
entrava nella memoria del consumatore in quanto ricca di allitterazioni e assonanze:
“You don’t
have to be Jewish to love Levy’s”. Un’altra campagna storica fu quella per la società di
autonoleggio Avis, dove è evidente l’adozione del negative approach: gli annunci
evidenziavano
come Hertz, concorrente di Avis e leader di mercato, fosse migliore di Avis, e di come
questa
puntasse sull’obiettivo di migliorarsi e mettere il massimo dell’impegno proprio perchè
seconda
nella concorrenza. Il meccanismo persuasivo cerca la complicità nel lettore. La
campagna più
celebre di Bernbach è quella per il Beatle (maggiolino) della Volkswagen: l’obiettivo
era quello di
valorizzare i punti di forza del veicolo e di mutare le valutazioni solitamente fatte dai
consumatori
sulle auto. Qui usa sia l’ironia che il negative approach. Nella bodycopy vengono
sintetizzate le
ragioni per cui quell’auto così diversa dall’immaginario statunitense, potesse essere
considerata
affidabile e dai consumi contenuti. Bernbach ribalta gli schemi pubblicitari: adotta un
approccio di
sincerità, in quanto si cercava più di celebrare un prodotto che di attenersi al vero
(“think small”).
5. David Ogilvy
Nasce in Inghilterra nei primi del ‘900, frequenta l’Università di Oxford e in seguito si
cimenta nei
mestieri più disparati, diventando infine un pubblicitario di successo. Fu il primo ad
intuire
l’importanza del brand per costruire comunicazioni efficaci e un’immagine di marca
solida,
durevole e coerente attorno ai prodotti; tra i primi anche a utilizzare i concetti di brand
image e
brand personality: il consumatore non acquista solo un prodotto, ma i benefici fisici e
psicologici
che gli trasmette. Il suo stile celebra il prodotto e le sue caratteristiche, ma lo fa
costruendo un
mondo di marca unico, in grado di rendere riconoscibile l’oggetto dell’annuncio
rispetto alla
concorrenza: intuisce che in un mercato in cui i prodotti si somigliano la scelta del
consumatore è
spesso determinata da aspetti legati all’emotività, ed è dunque su questi che il
pubblicitario deve
lavorare. Per le sue campagne utilizzava spesso personaggi di prestigio o i proprietari
delle
aziende-committenti; scriveva lunghe bodycopy in cui raccontava storie affascinanti di
personaggi
accattivanti; credeva nell’essere onesti con il consumatore fornendogli dettagli sul
prodotto.
Disprezza le pubblicità tattiche e di breve periodo, mentre predilige le “story
appeal”(fascino del
racconto), campagne di racconti a puntate: nei suoi annunci parte visiva e verbale si
fondono in
un’istantanea che rappresenta un momento di una storia più lunga, il cui svolgimento
è affidato al
pubblico. Tra le più note campagne: quella delle camicie Hathaway, della bevanda
gasata
Schweppes e della Rolls-Royce. La prima rappresentava un personaggio con indosso la
camicia
Hathaway e una benda su un occhio, che gli conferiva un aria da uomo comune e al
contempo
misteriosa, inoltre la benda attirava l’attenzione dei lettori che si incuriosivano e si
chiedevano
come mai quell’uomo avesse una benda, che cosa gli fosse successo. Ebbe un grande
successo:
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venne pubblicata per quasi 20 anni su un giornale, la bodycopy perse sostanza nel
tempo fino a
lasciare spazio al visual: la personalità della marca era costruita, bastava alimentarla.
6. Jaques Séguéla
Parigino, dopo una carriera giornalistica decide di dedicarsi alla pubblicità, fondando
l’agenzia
Roux-Séguéla (in seguito RSCG, una delle principali europee). La filosofia pubblicitaria
dell’agenzia va contro lo stile statunitense; inventore della “pubblicità spettacolo”,
adotta nuovi
termini in riferimento a concetti già esistenti con nomi americani, esempio la passion
why (reason
why in americano) e la star strategy (la copy strategy in usa), dove una marca
dev’essere gestita
come una persona, con l’obiettivo di farne una celebrità/star. É una comunicazione di
grande
impatto e spesso provocatoria; Séguéla riteneva infatti che l’unico modo per rendere
unico e
spettacolare il prodotto fosse la comunicazione; per lui il prodotto doveva avere
“fisico” (essenza
ed immagine del prodotto per il pubblico), un “carattere” (distintivo e desiderabile) e
uno
“stile” (unico e inimitabile). Se lo stile e il fisico potevano mutare a seconda delle
esigenze, il
carattere del prodotto-star doveva restare sempre coerente a se stesso. Le sue
campagne più
conosciute sono quelle per il Club Méditerranée, di Carrefour e di Citroën, per la
quale creò il
primo annuncio pubblicitario dell’agenzia, in un momento in cui i concorrenti
comunicavano in
modo freddo e tecnico: lui propose invece uno spot-capolavoro, dando l’idea che il
prodotto fosse
qualcosa di straordinario, e raggiunse perfettamente l’obiettivo di rilanciare il marchio.
7. Armando Testa
Torinese, a 14 anni inizia a lavorare per una tipografia e qui nasce la sua passione per
il mondo
della creatività; fotografo dell’aviazione nella 2GM, in seguito fonda lo studio grafico
Armando
Testa, oggi la più importante agenzia pubblicitaria in Italia. Ha realizzato campagne
indimenticabili,
dando vita a personaggi senza tempo. Nel 1960 vince la gara per il manifesto delle
Olimpiadi di
Roma e realizza il suo annuncio più celebre per l’aperitivo Punt e Mes della
Carpano, che viene
esposto anche al MOMA di NY. In questo annuncio sono presenti tutti i tratti
caratteristici del suo
stile: fondo bianco, uso dei colori primari e forme semplici, ma di grande impatto
comunicativo;
nell’immagine astratta si manifestano le cosiddette “ossessioni” dell’autore da un pdv
eidetico
(punto di dolce e mezzo di amaro). Ha avuto una carriera trasversale: lavora per
manifesti
pubblicitari, confezioni di prodotti, loghi aziendali e copertine. Case history postuma a
Testa della
sua agenzia, affidata al figlio, è quella per Esselunga, dove ritroviamo gli elementi
stilistici chiave:
ironia, colore, sfondo bianco, estrema sintesi dell’headline e immediatezza del
messaggio.Campagna accattivante, capace di conferire una personalità ai prodotti.
8. Emanuele Pirelli
Laureato a Bologna in lettere moderne, è stato il fondatore e il presidente dell'agenzia
pubblicitaria
Lowe Pirella. Tra i creativi più brillanti del secondo 900, ha dato origine a numerose e
celebri idee
pubblicitarie che appartengono ancora oggi alla memoria collettiva: dai jeans Jesus
(“Chi mi ama
mi segua”) al lancio del quotidiano “La Repubblica” al tormentone di “Che morbido, è
nuovo? No,
lavato con Perlana”. È stato presidente dell'Art Directors Club Italiano ed è
considerato tra i
pubblicitari più longevi in Italia. La sua campagna del cuore era una campagna open;
consisteva
in una serie di manifesti affissi in metropolitana, su cui era scritto: “Scrivi qui cosa
pensi della
politica, scrivi qui cosa pensi della droga …”. Questi manifesti erano affissi al mattino e
ciascuno
scriveva un proprio pensiero. In questo modo il visual lo facevano i fruitori. Per quanto
riguarda la
pubblicità italiana egli preferiva: l’understatement, l'implicito, la leggerezza che
portava a dover
cercare il senso nascosto, a rintracciare l’allusione.
9. Gavino Sanna
È tra i nomi più noti della comunicazione creativa in campo internazionale visti
numerosi e
prestigiosi premi ricevuti. Si occupò a Milano di pubblicità e di satira. Convinto che un
pubblicitario
deve riuscire nell’intento di inventarsi la personalità del prodotto. Con la celebre
campagna per la
Barilla - campagna dei buoni sentimenti e delle semplicità- darà avvio a una saga che
durerà 14
indimenticabili storie: da ricordare il celebre claim “Dove c'è Barilla c'è casa”.
Altrettanto
riconoscibile è la sua invenzione creativa nelle campagne Mulino Bianco. Tra i lanci
promozionali
di maggior successo si ricordano quelli per Giovanni Rana, FIAT, Coca-Cola. Segreto di
una
comunicazione vincente: inseguire e trovare la genuinità delle storie.
Capitolo 8: La strategia creativa
1. Strategia e strateghi
Il termine “strategia” ha origini militari, così come molti altri termini del linguaggio
pubblicitario; lo
stratega, nell’antica Grecia, era colui che conduceva l’esercito. Una delle ultime figure
professionali
inserite nelle strutture più innovative è quella dello strategic planner, cioè colui che
si occupa
della fase creativa della campagna, figura nata in due agenzie londinesi nel 1968 da
Politt e King, i
_18
primi a capire che nelle adp mancava qualcuno che si occupasse esclusivamente degli
aspetti
strategici della comunicazione, che avesse il tempo di concentrarsi sulle sempre più
numerose
ricerche. Nel giro di pochi anni le agenzie britanniche inserirono questa figura nelle
loro adp, che
successivamente si diffuse a livello internazionale: all’estero questo personaggio viene
chiamato
account planner. Il planner è considerato “il rappresentante del consumatore”
all’interno
dell’agenzia: cerca tra le mille ricerche il vero problema della marca, essenziale per poi
arrivare ad
una soluzione; il suo compito è quello di fornire ai creativi gli stimoli necessari per il
loro lavoro,
andando anche oltre il brief creativo. La strategia si occupa della definizione degli
obiettivi di
comunicazione e del “che cosa dire” per raggiungerli: spetterà poi ai creativi il “come
dirlo” e ai
media planner “dove dirlo”.
2. Il brief del cliente
La nascita di una campagna dovrebbe essere successiva alla consegna di un brief
fornito dal
cliente, cioè dopo la definizione di un piano di marketing, per poter essere coerenti con
gli obiettivi
e la strategia; il brief va analizzato ed eventualmente integrato e corretto.
Brief/Briefing: il brief è
un documento scritto e conciso, mentre il briefing è la riunione durante la quale il brief
viene
consegnato, letto e discusso. Non tutti i clienti consegnano un brief, il che è un errore
perchè
informazioni passate a voce potrebbero essere male interpretate e quindi provocare
inesattezze
nel lavoro della campagna.
3. Il ciclo della pianificazione
Il ciclo della pianificazione strategica, o planning cycle, inizia dal momento in cui il
cliente invita
l’agenzia a compiere lo studio e la realizzazione di una campagna pubblicitaria. La
pianificazione
comprende diverse fasi, ed ognuna corrisponde ad una domanda alla quale occorre
fornire una
serie di risposte:
3.1. Dove siamo e perchè siamo qui?
La risposta alla prima dovrebbe essere piuttosto chiara per le aziende che operano in
chiave di
marketing: i tabulati di vendita dicono come la marca e i concorrenti si comportano
all’interno del
mercato, cosa pensa il consumatore del brand e dei competitor.
Più complesso è comprendere perchè ad esempio c’è un problema di vendite della
nostra marca;
compito dell’agenzia è quello di intervenire nell’area della comunicazione e del
branding, non
dell’intero marketing mix. L’agenzia deve quindi comprendere il problema della marca,
della sua
immagine e dell’eventuale disaffezione col cliente. Nella comunicazione è importante
porsi le
domande giuste per poi darsi le risposte corrette, utili a delineare una strategia
precisa e una
grande creatività. L’abilità del lavoro strategico consiste anche nel prevedere i
problemi con
anticipo, cogliendo i segnali deboli e cercando di capire se hanno la forza di poter
crescere; a volte
non si tratta di problemi da affrontare (negativo), ma di opportunità da cogliere al volo
(positivo),
prima che lo faccia la concorrenza. Le priorità sono l’ascolto e la comprensione di
come il prodotto
e la marca siano visti dai consumatori attuali e potenziali; alcune domande utili da
porsi dopo aver
esaminato i dati di mercato sono:
- dove si colloca il prodotto nella mente del consumatore?
- dove si colloca la marca nella mente del consumatore?
- dove si collocano le marche dei nostri concorrenti?
- quali sono i punti di forza e di debolezza?
- quali sono quelli dei concorrenti?
Dopodichè, avremo lo scenario ideale per poter rispondere alla domanda “dove
siamo?”, e subito
dopo inizierà il lavoro per comprendere il secondo step“perchè siamo qui?”:
- perchè la marca si trova in quella posizione?
- quali fattori hanno contribuito a creare punti di forza e debolezza della marca?
- perchè il consumatore si è disaffezionato alla marca?
E cosi via, fino ad arrivare al cuore del problema e a capire quale sarà il punto di
partenza della
strategia creativa.
3.1.1. Analisi dei punti di forza e debolezza: Alcune agenzie dispongono di
strumenti di indagine
(costosi) per valutare una marca: solo i maggiori investitori in pubblicità possono
permettersi
l’utilizzo di ricerche sofisticate. Uno dei modi per affrontare il problema disponendo di
un budget
limitato è il focus group, strumento di ricerca qualitativa attuabile prima, durante o
dopo la
campagna.
3.1.2. Il processo d’acquisto: conoscere le fasi del processo di acquisto di un bene
è importante
per capire in quale fase dovrà intervenire la pubblicità, come dovrà essere utilizzata e
quali
strumenti del mix di comunicazione si dovranno utilizzare per essere più persuasivi.
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Fasi del processo: - emergere del bisogno (desiderio di avere quella cosa) -
riflessione
(valutiamo se è indispensabile) - ricerca (ci informiamo su quel bene) - scelta
(scegliere la
cosa che più ci piace) - acquisto - post acquisto (parlar bene/male dell’acquisto) -
nuovo
bisogno —> re-inizio del ciclo del processo di acquisto.
Spesso la pubblicità interviene come stimolo, ma quando ad esempio compara due o
più marche
induce alla riflessione. Bisogna tener conto che nella scelta d’acquisto possono
intervenire altri
elementi, ad esempio le offerte promozionali.
3.1.3. Monitorare la concorrenza: è importante conoscere ciò che fa la
concorrenza in termini di
comunicazione: impedisce di copiare idee involontariamente e serve a comprendere
meglio lo
scenario competitivo. La conoscenza delle campagne della concorrenza è
fondamentale per chi si
occupa del processo strategico di una marca. Lo studio dei messaggi della concorrenza
si chiama
copy analysis, che può essere svolta in diversi modi, l’importante è che porti alla
preparazione di
una mappa dei posizionamenti. Le mappe servono a comprendere dove si
posizionano i
concorrenti e dove ci posizioniamo noi. Per costruire delle mappe tradizionali occorre
lavorare su
assi cartesiani, tenendo presente che tra i due punti contrapposti vanno collocati
sostantivi,
aggettivi o frasi che costituiscano delle dicotomie (piccolo/grande per tv, forte/delicato
detersivo,
costoso/economico scarpe). Consentono di avere una panoramica completa dei
positioning dei
brand presenti in comunicazione in un certo mercato; inoltre, ci aiutano a riflettere sul
futuro della
marca, se è il caso di restare in una determinata posizione o se bisogna cambiare e
perchè. Si
passa così alla fase successiva del ciclo della pianificazione strategica.
3.2. Dove potremmo essere?
Gli obiettivi di comunicazione sono una conseguenza degli obiettivi di marketing:
aumentare le
vendite o incrementare la quota di mercato sono obiettivi di marketing e non
pubblicitari. Gli
obiettivi devono essere realistici, a meno che l’azienda-cliente non abbia un prodotto
rivoluzionario
da lanciare sul mercato. Come già detto, l’utilizzo delle mappe è molto utile, così come
la grid di
Vaughn detta anche FCB grid, strumento efficace per rispondere sia al “dove siamo?”
che al “dove
potremmo essere?”: facilita il lavoro di analisi per arrivare a far cambiare posizione
alla marca.
Identificare un obiettivo per la nostra marca significa anche definirne un positioning,
espresso sia
visivamente su una mappa o descritto con una frase che ne evidenzia le
caratteristiche; dovrebbe
evidenziare non tanto ciò che vogliamo dire al consumatore, ma quello che vorremmo
pensasse
della marca.
3.3. Come possiamo arrivarci?
In questa fase viene finalizzata la strategia e il piano media, e si svolge lo sviluppo
creativo, che
proseguirà con la produzione e terminerà con l’inizio della campagna. Nell’ultima fase
“ci stiamo
arrivando?” si valuta il lavoro svolto tramite ricerche dopo la messa in onda della
campagna.
3.3.1. Scala dei ruoli della pubblicità
Stephen King è considerato uno dei padri dello strategic planning, che attraverso il
suo modello
“scala dei ruoli della pubblicità”, presenta 6 differenti tipi di reazione
all’esposizione di un
messaggio pubblicitario. Se la pubblicità fornisce uno stimolo, la conseguenza
dovrebbe essere
una risposta. Le possibili risposte sono posizionate sulla scala a seconda che siano
più o meno
dirette (rapidità o complessità). Si parla ovviamente di reazioni/risposte ideali;
l’indifferenza o il
rifiuto date dal sovraccarico di pubblicità non sono contemplate:
- Reazione diretta: “Corro a comprarlo!”: reazione tipica di fronte ad offerte o
promozioni
commerciali in tempi brevi;
- Cercare informazioni: “Sembra interessante, devo saperne di più”: solitamente con
prodotti che
non si acquistano d’impulso perchè richiedono una riflessione ponderata (vacanze,
auto);
- Correlare ai propri bisogni/desideri: “Che bella idea, fa proprio per me!”: un
prodotto che già si
utilizza, ma con un’innovazione in più;
- Portare in cima ai propri pensieri: “Ah, questo mi fa ricordare che devo..”: si
parla di un
problema che si tende a rimandare in quanto non grave o immediato, e la pubblicità ci
fa ricordare
che prima o poi bisognerà risolverlo;
- Modificare atteggiamenti: “Non l’avevo mai vista così”: si usa quando si lavora
con un prodotto/
marca su cui esistono prevenzioni o ci sono luoghi comuni che giocano contro (es.
carriera
militare);
- Rinforzare atteggiamenti: “Sto facendo la cosa giusta”: stimolo rivolto ai
consumatori di una
determinata marca, affinché vi restino fedeli; si cercano di dare ulteriori motivi per cui
ci si convinca
del tutto della scelta fatta. Spesso un solo messaggio pubblicitario può ottenere più di
una di
queste risposte.
3.3.2. Copy strategy (copy platform, creative brief): espressioni diverse, ma
significano tutte la
stessa cosa; è la parte che conclude una serie di riflessioni sulla situazione attuale
della marca e
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sulle sue prospettive future, e precede la presentazione delle proposte creative; non
c’è una regola
precisa su come scrivere questo documento, ma ci sono dei punti di cui si deve tenere
conto:
- Premessa; - Background; - Sintesi di quanto emerso dalle ricerche più recenti; -
Analisi dei
messaggi dei competitor; - Mappa dei posizionanti pubblicitari; - Creative brief;
- Concept. Questa è una delle tante possibilità di scrivere una strategia creativa per un
cliente,
come anche un documento per un brand review board (riunione interna all’agenzia).
Le domande base per formulare la copy strategy sono: “A chi? Che cosa? Come?” a cui
corrispondono: Target group, Obiettivo&Strategia (promessa), Tone of Voice e Format
creativo.
Il modello base di copy strategy è costituito quindi da: target group (dati
sociodemografici);
basic promise (il vantaggio che offre il prodotto); reason why (supporto alla
promessa); talvolta
anche tone of voice (modo in cui si esprime verbalmente la pubblicità). Agenzie
(soprattutto)
internazionali, utilizzano dei format per redigere la copy strategy. Il primo format noto
è lo Y&R
Creative Work Plan, nato 30 anni fa e tutt’ora in uso; i punti sui quali viene costruito
sono:
1. Key fact about the product or service: fatto chiave che definisce la causa del
problema che la
pubblicità deve risolvere; 2. Problem the advertising must solve:
bisogno/problema nella mente
del consumatore; 3. Advertising objective: effetto che s’intende ottenere da parte
del
consumatore; 4. Creative strategy: - prime prospects (target primario); - positioning
(distinzione
rispetto ai concorrenti); - promise - reason why (il beneficio promesso) 5. Any legal or
client
policy limitations: (problemi legati a policy aziendali di cui si deve tener conto).
Il reparto planning della Thompson di Londra, guidato da King, rielabora i modelli
precedenti
aggiungendo 2 punti fondamentali per il lavoro dei creativi: 1. ai creativi serve sapere
che tipo di
persona è quella a cui verrà indirizzata la campagna, come si relaziona con il prodotto
e con la
marca in questione; 2. tenere conto della reazione che si desidera ottenere dal
consumatore. Da
qui nasce il modello T-Plan (target plan) con i seguenti punti: - target group; -
reazioni sensoriali;
- reazioni razionali; - reazioni emotive. La prima novità sta nella descrizione del
target (come una
persona e non come un numero asettico): si cerca di pensare al comportamento del
target e al suo
rapporto con la marca (questo è il metodo attuale). Altra novità del modello è il fatto di
concentrarsi
non su ciò che la pubblicità deve dire, ma su ciò che il consumatore dovrebbe
comprendere.
Problemi del T-Plan: facile distinguere reazioni razionali da quelle emotive, ma non
altrettanto tra
le emotive e le sensoriali; è stato quindi un modello importante per fornire nuovi
elementi che sono
serviti successivamente, con la sintesi strategica JWT (J. Walter Thompson), e i
punti del format
erano: - qual è il problema di base della marca? - qual è l’opportunità? - che cosa può
fare la
pubblicità? - Quale tipo di persone vogliamo stimolare? - qual è la reazione che
vogliamo
suscitare? - che tipo di stimoli vogliamo utilizzare? - è utile sapere che… É sempre
meglio
procedere in modo ordinato ma, piuttosto che incagliarsi, è meglio accantonare un
ostacolo e
tornarci successivamente quando il resto sarà completato. La novità sta nel fatto che
si mira a
descrivere le persone, si parla di opportunità e non solo di problemi, e soprattutto il
punto in cui si
cercava di capire la reazione chiave che la pubblicità doveva suscitare nel
consumatore.
Voci per preparare un proprio format di copy strategy: il principale problema
della marca;
l’opportunità per la marca; il consumer insight (aspettativa, opinione del
consumatore che
emerge da una ricerca); la brand essence (promessa della marca, fondamentale non
contraddirla); il target group (descrizione di una persona); l’obiettivo (risposta al
problema);
basic promise (affermare una cosa sola); reason why (motivo o motivi che
sostengono la
promessa); la supporting evidence (elemento visivo); la risposta desiderata dal
destinatario; il
tone of voice; altre considerazioni/info necessarie (mezzi, formati, richieste
specifiche del cliente).
Fondamentale è che qualsiasi format risponda alle domande: “A chi? Che cosa?
Come?” (Al
“Dove? e Quando?” risponderà la pianificazione media).
3.3.3. Il consumer insight
Questo termine corrisponde a una verità del consumatore, verità che che
presuppone a una
grande capacità ascolto unita a un forte intuito. Non è facile trovare un insight. Nella
formulazione
di una strategia pubblicitaria ci interessano solo gli insigni preziosi per le marche.
3.3.4. Uso del pensiero laterale nella strategia creativa
La preparazione di una strategia creativa dovrebbe svilupparsi sia con un processo
razionale, che
con uno creativo, detto laterale: alle volte uno schema rigido non può che portare a
risultati banali.
Bisogna rendere creativo il brief creativo.
4. Riunione di briefing con i creativi
É importante che il briefing con i creativi sia un momento di discussione e di
riflessione: il gruppo di
lavoro dev’essere allineato su ciò che è stato svolto dal planner e/o dall’account, e sul
lavoro che
dovrà essere fatto in seguito dai creativi. La coppia creativa dev’essere stimolata a
fare il lavoro;
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