2.1 Lo yoga dell’azione (kriya) è costituito dalla volontà cosciente (tapas, motivazione),
dall’ auto-conoscenza (svadhiyaya, lo studio di sé, ma anche dei testi), l’abbandono al
tutto (isvara pranidhana).
In questo sutra vengono indicati i mezzi per l’evoluzione della coscienza e subito dopo 2.2
con grande chiarezza i risultati che si vogliono ottenere, possiamo notare un parallelismo
con il sutra 1.2, qui non si parla di stabilizzazione, caduta (nirhoda), ma di attenuazione
(tanu-karana, azione di rendere estremamente piccolo).
2.2 Esso (il krya yoga) comporta l’attenuazione (tanu-karana) delle afflizioni (klesa,
formazioni mentali dolorose) e permette la realizzazione della consapevolezza (samadhi).
Sutra di grande importanza, perché ci indica, che la consapevolezza (samadhi) si realizza
mediante l’azione, vedremo che quindi la pratica (sadhana) è orientata alla caduta dei klesa,
e che quindi essa stessa produce consapevolezza, si esercita quindi un processo che ha
mezzi concreti e una via di realizzazione.
2.3 Le cause del dolore, della sofferenza (klesa,maculazioni,ciò che macchia la coscienza)
sono l’ignoranzanza (avidya), l’ego (asmita), il desiderio (raga), l’avversione (dvesa),
l’attaccamento al vivere (abhinivesa, la paura della morte). L’esame di ciò che causa
sofferenza (klesa) sutra da 2.4 a 2.9
2.4 L’ignoranza è la fonte (la radice, la causa) della sofferenza (klesa) sia essa dormiente,
attenuata, intermittente o pienamente attiva.
2.5 L’ignoranza, è la mancanza di discriminazione (avidya khyaiter) tra ciò che è non
eterno (impermanente) per eterno (permanente), tra ciò che è impuro per puro, tra ciò che
arreca dolore per il piacere, il non sé per il sé. Vedremo in seguito come all’ignoranza
(avidya khyaiter) viene contrapposto il processo della discriminazione consapevole (viveka
khyaiter). Il sutra ci indica di osservare che è l’attaccamento ad una percezione errata della
realtà la fonte della sofferenza, che corrisponde ad una non comprensione della legge dell’
impermanenza dei fenomeni.
2.6 L’egoismo (asmita, il senso dell’io) è l’identificazione (sakti) di colui che vede (drg)
con la cosa vista (darsana), (drg sakti, l’energia del vedere)
2.7 Il desiderio (raga, l’amore possessivo) accompagna ciò che produce piacere.
2.9 Il forte desiderio di vivere (abhinivesa, anche la paura della morte), sostenuto
dall’energia vitale, è radicato anche nel saggio.
2.10 Questi stati mentali (citta) divengono sottili e possono essere portati a
dissoluzione. Una buona notizia !!
2.11 La loro attività (vrtti) può essere sospesa con la meditazione (dhyana). Primo evidente
riferimento alla pratica, in seguito si vedranno i passaggi che portano alla meditazione.
2.12 L’accumulo di azioni (Karma) ha la sua radice negli stati mentali di sofferenza (klesa)
lo si sperimenta nella vita attuale e in quelle future.
2.13 Finché esiste questo accumulo nella radice continueranno a maturare le condizioni di
nascita , la durata della vita e le esperienze relative.
2.14 A causa degli impulsi buoni o cattivi che li hanno generati producono frutti piacevoli
o spiacevoli.
2.15 Per colui che discrimina(vivekinah), è evidente l’universalità del dolore, la totalità
del dolore (duhkha: sofferenza, costrizione ristrettezza), a causa del conflitto della lotta
(vi-rhoda, si può notare l’ opposizione a ni-rhoda), che riguarda il movimento,vortice,
della realtà fenomenica (gunavrtti) si producono le sofferenze (duhkhair), si ha incapacità
ad accettare i cambiamenti, l’impermanenza, (parinama-duhkha), desideri non appagati,
le passioni (tapa-duhkha), i residui incosci, le cicatrici, i meccanismi dell’abitudine
(samskara-duhkha).
2.16 Si deve evitare la sofferenza futura.(anagata, ciò che non c’è ancora)
Possiamo trovare altri riferimenti al tempo nel sutra 3.16 e nel sutra 4.12
2.17 Ciò che si deve evitare è la sovrapposizione (l’identificazione) della coscienza (drastr)
con la ‘cosa’ vista (drsya).
2.18 Il visibile (drsya) consiste nei fenomeni (guna) e dagli organi di senso ha quindi la
natura della luminosità, dell’azione, dell’inerzia e permette alla coscienza di essere
condizionata esposta al suo influsso oppure al piacere (apavarga) della sua fruizione
(bogha)
2.19 Le tre essenze (guna) stabilità, l’azione, e l’inerzia hanno quattro stadi: il definito,
l’indefinito, il dissolubile e il non manifesto (indissolubile).
2.20 La coscienza (drasta colui che vede) è pura consapevolezza, sebbene pura sembra
vedere attraverso la mente.
Magnifico sutra dove si esplicita la confusione, ciò che vede è la coscienza profonda, la
confusione nasce dal ‘vedere’ con citta, il mentale, ma non è così perchè anche il mentale
può essere visto, questo aspetto viene approfondito da Patanjali nel quarto libro, si può per
esempio leggere i sutra da 4.18 a 4.26. La coscienza è in funzione della percezione, la cosa
vista.
2.22 Per colui che ha raggiunto lo scopo, la liberazione la cosa vista è inesistente, tuttavia
per gli altri dalla percezione comune essa è esistente. Attenzione lo yoga non nega la
realtà, ma afferma che gli oggetti non hanno esistenza propria, non esistono di per sé, non
hanno esistenza separata, la loro natura è vuota, cioè i fenomeni sono impermanenti e
interdipendenti.
2.23 La confusione (samyoga) tra la natura della coscienza e la natura della cosa vista
deve essere sperimentata in modo che sia possibile comprenderle.
2.24 La confusione (cioè la differenza fra colui che vede e la cosa vista) non appare
chiaramente a causa dell’ignoranza (avidya)
2.26 Il mezzo per ottenere la scomparsa della confusione è usare in modo incessante la
consapevolezza discriminante (vivekakhyati). Ecco l’indicazione preziosa per la caduta
dell’ ignoranza la consapevolezza discriminante, la nuda consapevolezza, si intende non
giudicante. Naturalmente non basta citarla bisogna apprenderla, farne esperienza di vita,
non intellettuale, la si frequenta come vedremo in seguito mediante la pratica.
2.28 Praticando lo yoga, si distruggono le impurità, sorge la luce di una nuova conoscenza
che culmina nella consapevolezza discriminante (viveka-khyati) di ciò che è. ( Il sé, la
realtà, il tutto )
29. Le otto membra sono :1) la relazione con il prossimo, non imporre, l’astenersi (yama,
ciò da qui è bene astenersi), 2) la relazione con se stessi (niyama, ciò che è bene
osservare), 3) posture (asana), 4) il controllo dell’energia (pranayama), 5)
l’interiorizzazione dei sensi 6) la concentrazione (dharana), 7) la meditazione (dhyana), 8)
la coscienza profonda ‘raccolta’ (samadhi)
2.30 Le astinenze (voti) sono : non violenza (ahimsa), vivere nella verità, non mentire
(satya), abbandonare il desiderio di prendere (asteya), la moderazione (bramacharya),
non possessività (aparigraha).
Ahimsa,non farsi del male, non fare del male, essere consapevoli quindi del ferire e del
ferirsi.
Satya, essere sinceri, non recitare, non avere un’immagine, non essere in rappresentazione,
la relazione con la realtà è semplice non artefatta.
Asteya,il processo della coscienza che non divide, sente la realtà indivisa, non(a-)
rubare(steya) alla realtà, la realtà non ci appartiene.
Aparigraha, non accumulare, non acquisire, non creare fardelli pesi che appesantiscono la
coscienza, si ha l’intuizione dell’essere come bambini, freschi, senza paura, con ‘mente
principiante’.
Questa lettura è più profonda del semplice non rubare, non possedere oggetti materiali,
perché riguarda la percezione e l’interiorità.
2.31 Quando le astinenze sono universali non condizionate dalla nostra origine (casta),
dal luogo, dall’epoca, dalle circostanze costituiscono il grande voto.
2.32 Le osservanze: la purezza, essere in accordo con se stessi (sauca),la gioia naturale, la
contentezza (samtosa), la volontà cosciente (tapas), lo studio di sé (svadhyaya),
l’abbandono al tutto, (isvara pranidhana). Di fatto principalmente Patanjali ci propone di
praticare il Krya yoga vedi sutra 2.2
2.33 Quando si è turbati dalle inclinazioni nocive si mediti(vitarka) sui loro opposti.
2.34 E’ necessario meditare(vitarka) sugli opposti poiché i pensieri nocivi, sia che siano
deboli, medi o intensi,come il desiderio di fare del male, hanno come risultato
l’ignoranza e un’intensa infelicità senza fine (infinita), sia che essi siano compiuti
volontariamente o involontariamente, causati o determinati dall’avidità e dalla rabbia.
2.35 Allorché lo yogin è radicato nella non-violenza, coloro che sono in sua presenza
cessano ogni ostilità.
2.36 Quando la verità è radicata in lui, egli consegue i frutti dell’azione senza agire.
2.37 Quando non desidera più appropriarsi è stabile nell’onestà, le ricchezze interiori si
presentano spontaneamente.
2.38 Quando si è radicati nella non dualità si ottiene il vigore, non si disperde energia.
2.39 Quando si è radicato nella non possesso ha la conoscenza del come e del perché della
sua esistenza.
2.40 A causa della purezza (Saucha, essere in accordo con se stessi) si percepisce il proprio
corpo come protetto, difeso, non toccato dal contatto per quanto spiacevole con gli altri. Si
rimane quindi in armonia con il corpo anche se il contatto con il corpo degli altri può
provocare una reazione di avversione. La versione normalmente accettata è quella di Vyasa,
che scrive diversi secoli dopo nella quale prevale una visione della purezza di tipo
ascetico, della rinuncia : 2.40 Dal conseguire la purezza del corpo esteriore sorge nello yogin
un disgusto (jugupsa) del proprio corpo e si evita il contatto fisico con gli altri. Difficile
pensare al disgusto come traduzione perché lo yogin coltiverebbe un Klesa, l’avversione. Si
preferisce qui adottare la traduzione proposta come opzione da Jan Varenne, sanscritista,
che propone la radice gup- come proteggere, difendere.
2.41. Dalla purezza mentale (corpo interiore) sorge allegria, concentrazione, controllo dei
sensi e la capacità di realizzare il sé.
2.43 Dalla distruzione delle impurità mediante la volontà cosciente (tapas) si ottiene la
perfezione degli organi di senso e del corpo.
2.47 Si pratica la postura rilassandosi dallo sforzo e rimanendo nella coscienza (samapatti)
in uno stato di equilibrio e infinità. Abbiamo incontrato samapatti nel sutra1.41
Importante Patanjali ci dice che l’esperienza del samadhi si incontra in asana. Cioè asana ci
permette di esercitare la consapevolezza, praticando senza ego, senza la volontà di ottenere.
2.51 Un quarto stadio va al di la del controllo dell’energia,è passivo, si realizza una pausa
spontanea alla fine dell’inspiro alla fine dell’espiro.
2.54 Quando i sensi si rifiutano di afferrare (pratyahara) i loro oggetti, assumono la natura
propria della coscienza.
Questa diversità di mappe, di traduzione è vera in generale per tutti e quattro i libri ma
per vibhuti pada esiste una difficoltà in più legata all’ argomento che pone delle difficoltà
nel scegliere una traduzione, e ho la sensazione che sarà comunque parziale e poco
soddisfacente. Su questo tema molto complesso, non mi pare ci sia un significativo
approfondimento, ma naturalmente rispetto e guardo con attenzione a tutto ciò che la
tradizione e quindi la pratica potrà manifestare durante la ricerca. Comunque questo
argomento produce grande confusione, ed è di difficile comprensione per la cultura
occidentale: cercherò di offrire qualche riflessione.
Per alcuni autori i poteri sono stati alterati, cioè non ordinari, della coscienza.
La lettura che prevale nei commentari di yogasutra però non è orientata a stati
straordinari della psiche o a processi naturali che possono produrre una conoscenza, ma
vere e proprie capacità materiali dello yogin, usate meccanicamente, in pratca "applico il
samyama a questo o a quell’oggetto e ottengo un risultato", ma questo provoca in me un
naturale scetticismo.
Ho la sensazione che gli insegnanti e gli studiosi di yoga di fronte a questo argomento
dimostrino un certo imbarazzo oppure un atteggiamento di chi sposa il miracolismo senza
nessun senso critico
Quello che appare possibile è che Patanjali comprenda nelle siddhi (realizzazioni) anche
darhana, dyana e il samadhi (samyama) da qui forse la spiegazione del perché riportarle
nel quarto libro quando poteva sembrare più naturale concludere le otto braccia della
pratica nel terzo, ma d’altra parte lui stesso ci dice nel sutra 3.7 che i tre insieme hanno una
qualità diversa maggiore delle cinque precedenti.
Aggiunge nel sutra 3.38 che rivolgere questa capacità all’esterno cioè sul mondo manifesto
può essere di ostacolo, perché non si focalizza il processo della consapevolezza rivolto
agli stati interiori.
Quindi nel secondo libro e prima parte del terzo dettaglia la pratica che conduce a nuove
possibilità della coscienza (samadhi), se questa viene rivolta a conoscere ‘l’esterno’ si
hanno le realizzazioni, sviluppate nel terzo libro, se rivolta ‘all’interno’ l’evoluzione della
coscienza, primo libro, e successivamente gli effetti finali Kaivalya, la liberazione, nel
quarto libro.
Quindi il samyama (E’ necessario leggere i primi sutra del terzo libro) è la precondizione,
la qualità necessaria per ottenere profondi cambiamenti, ma il samyama deve essere
rivolto al conseguimento del kaivalya, la liberazione e dedica tutto il quarto libro a questo
aspetto basilare, anzi avverte in sutra 3.51 e 3.52 è necessario non attaccarsi a ciò che si è
conseguito, altrimenti non si può accedere alla liberazione. Si può dire che l’insorgere delle
realizzazioni può dare un senso di superiorità che rinforza l’ego.
Gli ultimi quattro sutra del terzo libro sono splendidi e indicano chiaramente ciò che
Patanjali considera fondamentale, in particolare la consapevolezza del presente. Si può
dire che per Patajali le siddhi non siano necessarie alla realizzazione tranne il samyama e
questo giustamente orientato alla ricerca interiore senza quell’aura di mistero e di magia
che alla pratica e alla ricerca seria non fanno bene e rischiano di confondere le persone che
si avvicinano o perché giustamente scettiche nei confronti del miracolismo o perché
affamate di straordinario.
Credo che per una buona ricerca interiore sia ‘sufficiente’ guardare la realtà ordinaria con
l’immenso stupore che essa merita.
Cercherò ora di dare alcuni esempi credo interessanti e porterò alcune testimonianze di
maestri sulle siddhi, i poteri.
Vorrei iniziare con la tradizione buddista con un piccolo racconto che riporterò dal libro
di Desjardin “alla ricerca del Sé” ed. Mediterranee.
“Ah si? Che valore ha?”. “Non sono in grado di dirtelo ora, te lo dirò tra poco”. Quando la
barca ha raggiunto l’altra riva, il Buddha chiede al traghettatore: “Quanto ti debbo?” E
costui risponde: “Venticinque centesimi a persona. Il Buddha dice allora al discepolo:
“Ecco, quel potere miracoloso vale venticinque centesimi”.
Mel (discepola di Suzuki) sosteneva che chi era alla ricerca di miracoli o poteri
straordinari, era completamente fuori strada.”La magia di sensi è l’ordinario.”
VIBHUTI PADA
Il terzo libro: delle realizzazioni
Il risultato dell’azione (Krya yoga) produce una nuova, più intensa, approfondita capacità,
di percezione.
3.3 La meditazione quando assume solo la forma essenziale (svarupa sunyam, la natura
vuota) dell’oggetto e non quella della sua rappresentazione mentale dicesi
consapevolezza (samadhi).
3.7 I tre presi insieme sono più profondi, interni, intimi, dei precedenti.
3.8 Tuttavia sono esterni rispetto alla consapevolezza senza semi. (nirbja samadhi).
3.11 Questa condizione evolve nella consapevolezza (samadhi parinam) per l’assestarsi
graduale delle distrazioni e l’instaurarsi della concentrazione su un unico oggetto.
3.14 L’oggetto si fonda su qualità essenziali che sono sia sopite, sia non ancora
manifestate.
3.15 La diversità delle forme (varietà delle trasformazioni) dipende dalla percezione e
segue un destino un ordine naturale.
3.16 Grazie al samyama sui tre tipi di trasformazione (parinama) la conoscenza del
passato (atita) e del futuro (anagata).
3.17 Il suono e lo scopo e l’idea che vi stanno alle spalle sussistono insieme nella
mente, in uno stato confuso. Grazie al samyama sul suono avviene una separazione e
sorge la comprensione dei significati dei suoni prodotti dagli esseri viventi.
3.21 Grazie al samyama applicato alla forma del corpo, in modo da interrompere la
ricezione, come pure il contatto tra l’occhio e la luce, si ottiene l’invisibilità.
Difficile capire se si riferisce alla capacità di svanire alla vista o alla comprensione
profonda delle proprietà della luce.
3.23 Grazie al samyama applicato al karma oppure su segni premonitori si può intuire
l’esatto momento della propria morte.
3.27 Grazie al samyama sul sole si consegue la conoscenza del sistema solare.
3.28 Grazie al samyama sulla luna si consegue la conoscenza della posizione delle stelle.
3.31 Grazie al samyama sulla gola (vishudha) conosciamo il centro che controlla la fame
e la sete.
3.33 Grazie al samyama sulla luce sotto la corona del capo (sahasrara chakra), si
acquista la capacità di entrare in contatto con gli esseri perfetti.
3.35 Grazie al samyama sul cuore (anahata chakra) la natura della mente.
3.36 Nella esperienza ordinaria non c’è distinzione tra la pura consapevolezza e la
percezione pura grazie al samyama si conosce la loro distinzione.
3.38 Questi sono poteri se la mente è rivolta all’esterno, ma sono ostacoli sul cammino
della consapevolezza, della realizzazione (Samadhi).
3.39 Grazie al samyama mediante lo scioglimento dei legami e la conoscenza della
mente si può ‘possedere’ entrare nel corpo dell’altro.
Anche qui due interpretazioni, la prima più straordinaria, entrare , la possessione, il poter
esercitare azioni o influenze trasferendosi in un altro corpo. L’altra usare il potere delle
realizzazioni per influenzare, condizionare l’altro sia in termini positivi che negativi.
3.42 Esercitando il samyama sulla relazione esistente tra l’organo dell’udito e l’etere si
ottiene un udito senza limiti.
3.43 Con il samyama con la relazione che esiste tre etere e corpo, e identificandosi con la
condizione di leggerezza propria del cotone, si ottiene il potere di muoversi attraverso
lo spazio.
3.44 La ‘grande disincarnazione’ (maha videha,il fatto di essere al di fuori del proprio
corpo),è un’attività inconcepibile, grazie ad essa cade il velo che copriva la luce.
3.46 A causa di ciò si attua la manifestazione di poteri come diventare piccoli come un
atomo, altri poteri di questo tipo, così come la perfezione del corpo e l’indistruttibilità
delle sue qualità.
3.48 Grazie al samyama che si esercita sulle facoltà sensoriali sulla sostanza dell’essere
(svarupa) sul sentimento dell’io (asmita),sulla relazione tra soggetto e oggetto si ottiene
il dominio degli organi sensoriali e motori.
3.49 Grazie a ciò (il dominio degli organi sensoriali e motori) si ottiene anche la facoltà
di spostarsi veloci come il pensiero, lo sviluppo della facoltà di agire senza strumenti
d’azione e il dominio del segreto della natura.
I sutra che seguono sono fondamentali perché ribadiscono i punti essenziali per Patanjali.
Tutti i libri (pada) tranne il secondo finiscono con sutra essenziali che parlano di uno stato
profondo di coscienza, nel primo libro il Nirbjah samadhi, il secondo ha una
continuazione naturale nel terzo dove si prospetta il Samyama, ma il terzo ci conduce nella
sua parte finale dal sutra 3.50 al sutra 3.56 al kaivalya e il quarto gli è totalmente dedicato.
3.50. Soltanto nella consapevolezza della distinzione tra pensiero e consapevolezza
(purusa) si ottiene la conoscenza e il controllo di tutte le forme di percezione.
3.51 Quando poi si è liberi da attaccamento rispetto a tutti questi poteri si distrugge il
seme che imprigiona. A quel punto segue la liberazione (kaivalya).
3.52 Si dovrebbe evitare qualsiasi attaccamento o orgoglio nei confronti delle tentazioni
delle entità divine che governano i vari livelli esistenziali, poiché questo porterebbe
con se la possibilità di risveglio del male.
3.53 Praticando la concentrazione sul momento presente, sul momento passato e sul
momento che verrà, si ottiene la conoscenza nata dalla consapevolezza della realtà
suprema.
3.54 Da qui nasce la capacità di distinguere tra oggetti simili che non possono essere
indicati da specie, carattere o posizione.
Questo libro è splendido e non richiede quasi alcuna indicazione di lettura anche perché
molti termini sanscriti sono stati introdotti in precedenza. Kaivalya sta per isolamento,
stato della coscienza, non c’è più confusione con il mentale, l’ignoranza sulla nostra vera
natura è caduta, la liberazione.
4.1 Le realizzazioni (siddhi) sono il risultato della nascita, delle droghe, del mantra,
della consapevolezza (samadhi).
4.3 Il fluire avviene perché rimovendo gli ostacoli come fa il contadino che smuove la
diga per far fluire l’acqua nei campi. La trasformazione ci dice Patanjali avviene
rimovendo l’identificazione con il principale ostacolo l’ego. Cioè esercitando la
consapevolezza (samadhi) sull’ostacolo si realizza (siddhi) il kaivalya (la liberazione).
4.7 L’azione (karma) dello yiogin non è ne bianca ne nera è triplice (bianca, nera, grigia)
negli altri.
Le cause sono le klesa (avidya, asmita, dvesha, raga, abhinivesha) vedi sutra 2.3, gli effetti
sono le Vasana il loro deposito nella memoria smrti crea i samskara.
Le vasana sono quindi l’espressione del desiderio, dell’avversione, movimenti della psiche
che si depositano, movimenti del corpo, delle emozioni, del pensiero, quando da semi
depositati nell’inconscio samskara, si realizzeranno le giuste condizioni questi da latenti
germineranno e diventeranno nuovamente dinamiche della psiche, azioni. Si formano
vere proprie strutture, rigidità della memoria, abitudini a ripetere ad entrare nello stesso
schema, condizionamenti. I klesa creano circoli viziosi che mantengono e rafforzano la
sofferenza. Il movimento dell’energia che gli corrisponde è citta-vrtti.
4.12 Il passato e il futuro sono espressione della vera natura della realtà (il presente) e si
esprimono a seconda delle condizioni (dharma).
4.14 L’essenza dell’oggetto, unicità, consiste nel suo continuo cambiamento. La realtà
esiste ma è in continuo cambiamento.
4.15 L’oggetto è medesimo (così com’è) sembra differente a causa delle diversità delle
cognizioni, sentieri, seguiti dalle menti. (citta).
4.16 Un oggetto non dipende da una sola mente allora cosa ne accadrebbe se non fosse
conosciuto?
4.17 Il conoscitore e il conosciuto sono la realtà vivente (vastu) si conoscono quando ‘la
passione naturale’ (uparaga)li unisce( la gioia di essere uniti).
4.19 La mente (citta) non è auto illuminante ( non si rischiara da sola) poiché è
percepibile.
4.20 E’ impossibile che sia ambedue (avidya) ciò che percepisce e il percepito
contemporaneamente.
4.23 La coscienza comprende ogni cosa, perché è in grado di vedere il soggetto, l’oggetto
il conosciuto, la percezione la colorazione.
4.24 La coscienza, sebbene colorata da numerose impressioni (vasana), comprende il
mentale a causa della loro associazione.
4.25 In colui che vede la distinzione tra la coscienza, il sé, e la natura del mentale, si
arresta il movimento del mentale che cerca il sé.
4.26 Allora la coscienza incline alla discriminazione (viveka) protende alla liberazione
(kaivalya).
4.28 Queste impressioni possono essere eliminate con gli stessi mezzi descritti a
proposito delle formazioni mentali negative (klesa).
I mezzi vengono descritti dal sutra 2.11 al sutra 2.25, può essere interessante ritornare alla
lettura di questi sutra.
4.29 Quando non vi è più interesse nemmeno per gli stati più elevati di grazia (prasam)
ottenuti con la meditazione dalla discriminazione sorge la consapevolezza profonda
delle proprietà (dharma).
4.30 Segue allora la liberazione (nivrtti) dalle afflizioni (Klesa, maculazioni) e dal
deposito karmico (karma).
4.32 Allora la percezione dei fenomeni (guna) (abituale) giunge a termine, si esaurisce il
loro scopo (permettere la dualità).