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UNIVERSITA’ TELEMATICA
NICCOLO’ CUSANO
Il Disturbo Autistico
2. Ipotesi eziologiche
2.1 Teorie psicodinamiche _______________________________________________________ 8
2.1 Teorie organicistiche o farmacologiche __________________________________________13
2.2 Teorie sistemico relazionali ___________________________________________________ 18
2.3 Teorie cognitive ____________________________________________________________ 19
2.5 Teorie cognitivo- comportamentali_____________________________________________ 21
2.6 Teorie etologiche____________________________________________________________22
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STORIA DELL'AUTISMO E LA SUA DEFINIZIONE
L'autismo non è una malattia ma un disturbo dello sviluppo della funzione cerebrale.
Le persone affette da autismo tipico mostrano tre tipi di sintomi: interazione sociale
alterata, problemi nella comunicazione verbale e non verbale e d’immaginazione, attività e
interessi insoliti o estremamente limitati. I sintomi dell’autismo di solito si manifestano
entro i primi tre anni di età, e perdurano per tutta la vita. Sebbene non ci sia una cura, un
trattamento appropriato può favorire uno sviluppo relativamente normale e ridurre i
comportamenti indesiderati. Le persone autistiche hanno un’aspettativa di vita normale.
L'incidenza dell'autismo è stimata dal 2 al 10/10000, a seconda dei criteri diagnostici
usati. La maggior parte delle stime che inducono i disturbi analoghi sono da due a tre volte
maggiori. L'autismo colpisce i maschi quattro volte più frequentemente delle femmine ed è
senza distinzione di razza o ambiente sociale. La gravità dell'autismo è molto variabile: i
casi più gravi sono caratterizzati da comportamenti estremamente ripetitivi, insoliti,
aggressivi. Questo comportamento può persistere nel tempo e diventare difficilissimo da
modificare, ponendo seri problemi a chi deve convivere o realizzare dei programmi
d’intervento per questi soggetti. Le forme più lievi assomigliano ai disturbi della
personalità associati a disabilità dell’apprendimento.
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come dondolarsi o arrotolare ciocche di capelli sulle dita, o a manifestazioni di auto-
aggressività come, ad esempio, picchiettare con le dita o battere la testa.
I soggetti autistici sviluppano il linguaggio più tardivamente dei bambini normali e
possono riferirsi a se stessi con il nome proprio piuttosto che con "io" o "me". Qualcuno
parla con voce cantilenante di un numero ristretto di argomenti preferiti, con poco riguardo
per gli interessi delle persone con cui stanno parlando.
Le persone affette da autismo possono risultare ipersensibili ai suoni, al tatto o ad altri
stimoli sensoriali. Molti mostrano una ridotta sensibilità al dolore. Questa sensibilità
alterata può contribuire ai sintomi comportamentali, come la resistenza ad essere
abbracciati.
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1.2. CENNI STORICI
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relativamente elevato piuttosto che ad un quadro sintomatologico distinto.(Happè, 1994).
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manifestazioni sintomatiche provocate da diverse cause organiche.
Il concetto di autismo ha subito nel corso di mezzo secolo notevoli modifiche, come il
passaggio da un'unica Sindrome, che poteva variare lungo un continuum di gravità
crescente, a uno spettro di disturbi indicante manifestazioni di sintomi molto diversi.
Ma il cambiamento più rilevante si può vedere confrontando le categorie di
classificazione del disturbo utilizzate attualmente dai manuali diagnostici con le precedenti
versioni. Precedentemente l'autismo, infatti, era compreso tra le psicosi precoci (ad
insorgenza prima dei tre anni). Nella nuova classificazione internazionale, invece,
l'autismo è compreso nei disturbi dello sviluppo, con una componente organica altamente
probabile, anche se non ancora individuata con sicurezza.
Data l'alta variabilità delle manifestazioni comportamentali ad esso associate, la
classificazione del disturbo è divenuta più generale. Nel 1987 per questo motivo già nel
DSM III-R, in relazione al modello di Wing e Gould, venivano distinte tre principali aree
di alterazione comportamentale: interazione sociale, comunicazione e repertorio di
interessi.
Ancora oggi l'eziologia dell'autismo rimane comunque perlopiù sconosciuta ed è per
questo motivo che i due manuali diagnostici più utilizzati continuano a basare i criteri di
riconoscimento su indicatori comportamentali.
Attualmente, le classificazioni maggiormente utilizzate nella psichiatria dell'infanzia e
dell'adolescenza sono: quella americana del DSM IV, quella dell' ICD 10, curata
dall’O.M.S. e quella francese (CFTMEA) sviluppata dal Centre A. Binet. Queste sono solo
in parte congruente con l'iniziale descrizione di Kanner e tengono conto di una migliore
conoscenza dello sviluppo relazionale del bambino normale e degli studi recenti sulla
"Teoria della mente" (Frith, 1989).
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IPOTESI EZIOLOGICHE
Fu Bettelheim uno dei primi autori a ricercare la causa dell'autismo in un'anomalia nel
rapporto madre-bambino, tanto che le descrizioni di genitori da lui fornite sono state
dipinte plasticamente dal concetto di madre frigorifero. Questo è il nucleo concettuale
attorno al quale ruota il modello psicodinamico nel tentativo di descrivere la natura
eziologica dell'autismo.
Tuttavia, all'interno di questo modello sono state proposte anche altre teorie che
indagavano cause differenti come carenza di contatto fisico, pratiche alimentari anomale,
difficoltà nel linguaggio e/o nel contatto oculare con il figlio, fino ad un'ipotesi di fantasia
deumanizzante proiettata sul proprio figlio.
Bettelheim nel suo libro “La fortezza vuota”, mette a confronto il comportamento di
persone affette da autismo con quello dei prigionieri nei campi di concentramento nazisti
(esperienza, questa, da lui vissuta in prima persona per due volte), notando come vi fossero
delle somiglianze. Secondo quest'ipotesi l'autismo, attraverso un processo di
"disumanizzazione" si configurerebbe come la reazione ad una "situazione estrema",
caratterizzata da una prolungata consapevolezza dell'imminenza della morte.
L'autore, confrontando i vissuti dei prigionieri nei lager, con quelli di chi è affetto da
autismo, ipotizza che alla base di quest’ultimo vi sia la percezione, nel neonato, di ostilità
con un'intenzione distruttiva nei suoi confronti da parte della madre (che per lui
rappresenta il mondo). Sebbene tali percezioni possano inizialmente non rispecchiare la
realtà, il neonato interpreta il risentimento della madre per il rifiuto incomprensibile di suo
figlio verso di lei, come conferme delle sue sensazioni. In questo modo sarebbe il desiderio
di annullamento del proprio figlio la causa principale dell'autismo che egli manifesterà
successivamente. (Bettelheim,1967).
Da ciò deriverebbero vissuti di impotenza e sensazioni di non poter né agire né fare
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previsioni sulla realtà esterna. Il bambino utilizzerebbe perciò delle difese, la preservazione
dell'identità (sameness) e la creazione di confini (boundares). Queste difese risulterebbero
adatte a tenersi fuori dal mondo e dai suoi pericoli, al prezzo però di un progressivo
svuotamento della fortezza eretta a difesa di un Io che si ritrova,così,sempre più indebolito
e impoverito.
2.1.2 Mahler
Secondo l'autrice Mahler, invece, il bambino giunge a quella che ha definito come
"nascita psicologica" attraverso un processo di graduale differenziazione tra Sé e non-Sé
che culmina nella percezione della propria madre come oggetto separato da sé.
Mahler sostiene che "l'isolamento e le altre manifestazioni della Sindrome psicotica
autistica richiamano alla mente quello stato di completa non differenziazione tra l'Io e l'Es,
tra il Sé e il mondo oggettuale, che si ritiene sia predominante nel neonato fino alla fine del
secondo mese di vita".
È a questa descrizione che corrisponde, secondo l'autrice, la cosiddetta fase autistica
normale, caratterizzata da una mancanza di consapevolezza dell'agente delle cure materne
nel bambino, con una conseguente incapacità di utilizzare l'oggetto d'amore primario
vivente. In seguito, tuttavia, il bambino si comporta con la propria madre come se fosse un
tutt'uno con lei stabilendo in questo modo una relazione simbiotica.
Secondo la Mahler quindi autismo infantile e psicosi simbiotiche, riferendosi a
differenti momenti del processo evolutivo, sarebbero da considerare entità distinte.
Un bambino con autismo infantile appare infatti "organizzato per mantenere e
consolidare la barriera allucinatoria negativa che caratterizza la prima settimana di vita,
quando si deve difendere da una stimolazione sensoriale troppo viva". Egli non sembra
vedere nella madre "un faro vivente di orientamento nel mondo della realtà".(Mahler,1968)
La psicosi simbiotica, sarebbe d'altro canto caratterizzata da una separazione reale
(viaggio, ricovero, ecc.) che metterebbe in discussione il rapporto madre-bambino in una
fase troppo precoce, favorendo così da parte di quest'ultimo meccanismi di difesa che lo
proteggano dalle proprie ansie di annientamento (introiezione, proiezione, negazione),
mantenendolo perciò in un illusorio legame simbiotico con sentimenti d'onnipotenza.
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2.1.3 Winnicott
2.1.4 Meltzer
Meltzer, in linea con la scuola kleiniana, mette in evidenza per i bambini aspetti quali
l'essere "gettati" in uno spazio non proprio e alieno, l'estraneità, la vacuità, il dolore. Entro
questo singolare spazio-tempo e questa perpetuazione, i bambini con autismo vivono quel
fenomeno che Meltzer ha definito come "smantellamento", in virtù del quale un bambino
incapace di contenimento, perché mai contenuto, realizza una condizione in cui il suo
desiderio si traduce nella scomposizione dell'oggetto, così che una sola delle componenti di
quest'ultimo viene a catturare una sola di quelle della sensorialità smantellata del bambino.
Come conseguenza di un fallimento nella funzione primaria di contenimento, si hanno
quindi nell'autismo, a causa di un'incapacità di filtrare i dati sensoriali e della mancanza di
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uno spazio interno del Sé e dell'oggetto, problemi di differenziazione di uno spazio dentro
e fuori dal Sé e dagli oggetti, e una tendenza a fondersi con singole parti di essi.
Meltzer sostiene che il più grande ostacolo per instaurare una relazione con pazienti
affetti da autismo è costituito dalla difficoltà incontrata dal terapeuta di entrare in contatto
con il mondo unidimensionale privo di mente del proprio paziente, egli si trova cioè "ad
affrontare un problema emotivo, quello di abbandonare il proprio mondo a tre dimensioni,
di spogliarsi della propria esperienza per entrare in un mondo privo di significato e di
processi mentali.(Meltzer,1975).
2.1.5 Tustin
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utilizza parti come fossero proprie, quasi fosse "incollato" all'altro considerato come
appendice di sé.
L'acquisizione delle capacità attentive e di comprensione del discorso altrui si
estrinseca soprattutto dopo i 7-9 mesi, quando diviene manifesta nel bambino
l'appartenenza al sistema fonologico della propria lingua di riferimento dei suoni da lui
prodotti con la lallazione. Tustin sostiene che nei bambini psicotici questo "gioco" avviene
con suoni idiosincratici, creati dai bambini stessi e privi di un significato comprensibile,
piuttosto che con quelli che normalmente ci si aspetta dalle predisposizioni innate.
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regressione. Gli autori considerano quanto la nascita possa essere vissuta da entrambi i
protagonisti in maniera catastrofica e come in seguito sia di cruciale importanza la
modalità di contenimento materno delle primordiali angosce del figlio grazie alla quale le
potrà elaborare, riproponendogliele in una forma rassicurante, simile ad uno "schermo
protettivo" tra lui ed un ambiente troppo ricco di stimoli. Qualora ciò non dovesse
verificarsi, il bambino si difenderà dal bombardamento di stimoli per lui inaffrontabili con
rigidi meccanismi autistici (per es. isolamento, stereotipie ed ecolalia) che non gli
consentiranno un ulteriore sviluppo.
Altri approcci hanno considerato il ruolo centrale giocato dall'intera famiglia del
bambino psicotico nell'instaurarsi della sua patologia, in particolare per quanto riguarda le
interazioni verbali e non verbali fra genitori e figlio subito dopo la nascita.
Secondo tale prospettiva, Carratelli e altri autori prestano particolare attenzione al modo in
cui il padre partecipa attivamente alla funzione di maternage, nonostante la mancanza per
lui di un'esperienza di fusionalità durante la gravidanza paragonabile a quella della madre.
In questo modo sarebbe garantita un'unione più sintonica col bambino grazie alla
possibilità di "identificazioni crociate" nella coppia genitoriale.(Carratelli e al. 1993)
Sul versante della psicopatologia gli autori propongono che, oltre che per la madre,
anche per il padre si possa parlare dell'insuccesso del maternage come di "un'analoga
esperienza fallimentare, per cui, nel momento in cui il figlio lo convoca in quest'area di
funzionalità arcaica egli possa trovarsi a rivivere regressivamente una condizione in cui
l'attrazione e l'angoscia concomitante verso uno stato di indifferenziazione è quanto mai
intensa e dolorosa" e sarebbe questo il possibile processo alla base delle psicosi infantili.
Ci si troverebbe dunque di fronte ad un sistema triangolare nel quale, in seguito al
duplice fallimento di entrambe i genitori, il bambino rischia di reagire ad esso con modalità
autistiche.
Prima della pubblicazione dello studio di Wing e Gould (1979) era ancora aperto il
dibattito sulla diagnosi differenziale tra autismo e cerebrolesione, tanto che la diagnosi di
autismo veniva tendenzialmente attribuita solo a quei pazienti che non manifestavano
nessun altro sintomo, se non quelli strettamente correlati alla Sindrome. Nel caso in cui era
possibile individuare anche un disturbo organico si preferiva, infatti, la definizione di
"autismo secondario". Tuttavia sono ormai numerose le rassegne della letteratura che
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mostrano come sia elevata la probabilità che le cause dell'autismo abbiano una base
principalmente organica.
Nel campione esaminato da Steffenberg (35 bambini affetti da autismo e 17 con
comportamento di tipo autistico) si poteva riscontrare un'elevata frequenza di danni o
disfunzioni cerebrali.
Gillberg e Coleman elencarono 12 sindromi note che potevano manifestarsi anche
come Sindrome autistica: Cornelia de Lange Syndrome, Fetal Alcohol Syndrome,
Hypomelanosis of Ito, Joubert Syndrome, Lujan-Fryns Syndrome, Moebius Syndrome,
Neurofibromatosis, Rett Syndrome, Sotos Syndrome, Gilles de la Tourette Syndrome,
Tuberous Sclerosis, Williams Syndrome. (Gillberg,Coleman,1992)
Swillen e altri autori individuarono ulteriori disturbi sospettati d'essere correlati con
l'autismo: X-linked Mental Retardation with Marfenoid Habitus o Velo-cardio-facial
Syndrome.
Gillberg e Coleman hanno rilevato anche un'alta frequenza di epilessia fra gli
indicatori di danno cerebrale correlato con l'autismo.(Gillberg,Coleman,1992)
Allo stesso modo il ritardo mentale, frequentemente associato al Disturbo Autistico,
sembra indicare un'eziologia di tipo organico (non ancora individuata con certezza) che
spiegherebbe le anomalie nei test di abilità, dai quali si ottengono singolari profili
cognitivi, con migliori risultati nelle prove per la motricità fine piuttosto che per quella
grossa e con elevati punteggi nelle prove non verbali e di performance, ma punteggi molto
al di sotto della media in quelle verbali, che mostrano una compromissione maggiore della
comprensione piuttosto che della produzione di parole, mentre la memoria per cifre o
lettere senza significato appare in certi casi addirittura superiore alla norma.
Inoltre si possono trovare correlate all'autismo anche anomalie della vista e dell'udito.
Talvolta esso è comparso in seguito a Herpes Simplex Encephalitis.
2.2.1 Cervelletto
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dei lobuli VI e VII correlata in maniera apparente proporzionale alla gravità dei sintomi.
Tuttavia alcuni pazienti mostravano invece un'iperplasia degli stessi.
Visto che le persone con autismo necessitano di tempi più lunghi del normale per spostare
l'attenzione, questo autore, da ulteriori indagini, concluse che i lobuli VI e VII potessero
avere un ruolo in questo senso, con una conseguente perdita d'informazione su contesto e
contenuto, data la difficoltà di chi è affetto da autismo di passare dall'uno all'altro.
Le osservazioni di Courchesne non trovarono conferma nelle autopsie di persone con
autismo, che mostrarono invece altre anomalie come la scarsità di cellule del Purkinje,
importanti inibitori della produzione di serotonina i cui livelli ematici sono talvolta
effettivamente alterati.(1988).
Secondo Happé tre sono i limiti di queste ricerche: 1) i gruppi non sono pareggiati per
età mentale, perché i gruppi di controllo sarebbero dovuti essere composti da persone senza
autismo ma con difficoltà di apprendimento, piuttosto che da individui "normodotati"; 2)
non è possibile stabilire se le anomalie riscontrate siano cause o effetti del disturbo, visto
che le conseguenze di comportamenti di tipo autistico sul tessuto cerebrale non sono note;
3) seppure il cervelletto fosse implicato nelle funzioni cognitive, ciò non spiegherebbe
direttamente un quadro cognitivo-comportamentale così articolato come quello
dell'autismo.
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informazioni con quelle già immagazzinate. Ciò sembra concordare con l'osservazione che
da danni all'ippocampo deriva un'impossibilità di mantenere informazioni in memoria.
Animali con lesione o rimozione di quest'area esibiscono comportamenti stereotipati,
autostimolatori e iperattività.Lesioni provocate artificialmente ad animali da esperimento
non sono tuttavia direttamente confrontabili con la complessa sintomatologia dell'autismo.
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parzialmente permeabile ad alcune particelle dagli effetti trascurabili. Se la concentrazione
ematica di esse cresce, è possibile che la quantità di sostanze dannose che oltrepassano la
barriera, sia tanto grande da produrre effetti negativi. Ciò può accadere sia perché la
metabolizzazione di sostanze nocive per il SNC non è sufficiente, sia perché la
permeabilità delle pareti intestinali si rivela eccessiva.
Shattock ricorda che esistono livelli differenti di approccio all'autismo e pertanto un
modello del genere non esclude né è in contrasto con quello genetico o con un intervento
psicopedagogico. Un intervento sulla dieta infatti, più che una terapia potrebbe favorire la
creazione di un "ambiente interno" che favorisca il raggiungimento degli obiettivi di
crescita e di sviluppo che solo un adeguato intervento pedagogico è in grado di garantire.
2.2.4 Genetica
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dipenderebbe da quale area del cervello entra per caso in contatto con l'agente nocivo.
È stato anche osservato che fratelli di persone affette da autismo, oltre ad una
probabilità più elevata del resto della popolazione d'essere a loro volta affetti, sono
significativamente più esposti al rischio di ritardo mentale, disturbi del linguaggio o della
socializzazione. Non si può comunque escludere con certezza che ciò sia da attribuire al
tipo di ambiente familiare "più a rischio", come ipotizzato dai sostenitori del modello
psicodinamico.
Un'incidenza maggiore di comportamenti autistici è stata anche osservata in pazienti
affetti da disturbi a base genetica accertata, quali l'X fragile, la sclerosi tuberosa e la
fenilchetonuria.
Risultati più interpretabili si sono ottenuti da una ricerca condotta su coppie di
gemelli, dalla quale è emersa un'elevata probabilità di una diagnosi di autismo anche per
gemello monozigote di una persona affetta, molto maggiore di quella di un gemello
dizigote. È tuttavia quasi certa un'interazione tra fattori genetici e ambientali, poiché non
necessariamente il gemello omozigote di un paziente con autismo riceve la stessa diagnosi.
Da una ricerca di Folstein e Rutter(1977) è risultata per esempio importante l'influenza dei
fattori perinatali, dato che se nelle coppie di gemelli omozigoti solo uno dei due era affetto,
si trattava quasi sempre di quello che era incorso in maggiori difficoltà durante il parto.
Secondo i sostenitori di modelli psicogeni dell'autismo, tali risultati si potrebbero però
interpretare alla luce di una somiglianza caratteriale tra gemelli omozigoti da cui
deriverebbero le stesse risposte da parte dell'ambiente per entrambi e quindi anche uguali
interazioni patogene.
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Secondo Selvini Palazzoli il gioco di stallo consiste nel coinvolgimento del figlio in
un'immaginaria partita dei genitori in cui egli si trova ad essere schierato con uno dei due
contro l'altro.Alle grandiose aspettative di gratificazione affettiva del matrimonio,
seguirebbe per la coppia la delusione di un rapporto coniugale basato sulla dipendenza ed
un'attribuzione di colpa reciproca riguardo la malattia del "paziente designato", e tutto ciò
contribuisce alla patologia del figlio.Caratteristici della madre di un bambino con autismo,
risultano i tratti di inadeguatezza riguardo i bisogni di un figlio dotato di particolare
sensibilità.Il ruolo del padre sarebbe quello di figura buona, un "mammo ipertollerante"
che ripara in qualche modo alle carenze materne.
L'incapacità di comunicare del bambino si spiegherebbe come un tentativo di alleanza col
padre "buono" contro una madre "cattiva", mente i fratelli non entrerebbero in questa
relazione triadica.Il quadro sarebbe anche complicato dall'interferenza della nonna
materna, nel suo tentativo di supplire alle carenze materne della figlia immatura, ma
principalmente per evitare il biasimo sociale.(Selvini Palazzoli,1988)
Sul finire degli anni '80 fu proposto anche un modello cognitivo basato sulla teoria
della mente, proposta da Uta Frith(1989), la quale ipotizza che nell'autismo la disfunzione
cognitiva da cui deriverebbero gli altri sintomi consista in un'incapacità di rendersi conto
del pensiero altrui, sarebbe cioè carente o assente proprio la teoria della mente. La mente è
ciò che è posto tra cervello e comportamento, ed è a questo che fa riferimento il termine
"cognitivo".
Nel 1979 Wing e Gould distinsero tre diverse tipologie di persone affette da autismo:
aloof (isolati), abbastanza simili ai pazienti descritti da Kanner; passive, cioè passivi,
soprattutto nei confronti dell'ambiente circostante; e odd (bizzarri), socialmente attivi, ma
con comportamenti incongruenti e inconsueti.
Da uno studio degli stessi autori è emerso che disturbi della socializzazione, della
comunicazione e dell'immaginazione hanno la tendenza ad apparire insieme piuttosto che
isolatamente. Essendo questa caratteristica particolarmente evidente nell'autismo, da allora
si preferì diagnosticarlo in base a queste tre aree sintomatiche.
Questo metodo di classificazione rischia però di non tener conto di altri aspetti peculiari
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del disturbo, se pure non presenti nella totalità dei pazienti, quali le "savant abilities", le
stereotipie, i comportamenti autostimolatori (come dondolarsi) e la preoccupazione
ossessiva per il mantenimento dell'immutabilità degli ambienti o delle abitudini.
Secondo una teoria di Benda l'apparente mancanza di affettività dei bambini con autismo
sarebbe piuttosto da attribuire ad un'incapacità di astrazione da cui deriverebbero le
difficoltà di contatto con l'ambiente e nella manipolazione di simboli.
Più recentemente, a suscitare un certo interesse nel mondo accademico, è stata la
teoria della mente che le persone con autismo si costruiscono riguardo gli altri, ossia il loro
modo di immaginare cosa essi pensano, proposta nuovamente da Frith, secondo la quale un
malfunzionamento del cervello si rispecchia in un malfunzionamento della mente, da esso
prodotta e produttrice a sua volta del comportamento. L'autrice ricorda quanto sia difficile
stabilire se a cambiamenti nei comportamenti osservabili in base ai quali si definisce
l'autismo corrispondano poi effettivamente cambiamenti nella sfera cognitiva o
neurologica, pertanto risulta ardua la determinazione di un comune denominatore di tutti i
casi di autismo, obiettivo che invece si pone lo studio della teoria della mente in persone
affette.
L'approccio si fonda sull'ipotesi di un'incapacità, negli individui con autismo, di
attribuire correttamente all'altro stati mentali come conoscenze o credenze, probabilmente
a causa di un danno della facoltà metarappresentazionale, con una conseguente
compromissione dei processi di mentalizzazione, forse innati, da cui risulta un pensiero
concreto, basato esclusivamente su eventi della realtà direttamente
osservabili.Quest'ipotesi risale ad un'iniziale proposta di Leslie di considerare il gioco di
ruolo nei bambini in generale come se fosse basato su un meccanismo cognitivo che
permettesse loro di immagazzinare separatamente eventi fisici (reali) e mentali (di ruolo).
Visto che nei bambini affetti da autismo il gioco di ruolo appare in effetti molto più
povero, in confronto a bambini con handicap differenti, Leslie e Frith(1985) indagarono la
possibilità dell'esistenza di una reale incapacità dei bambini con autismo di registrare gli
stati mentali separatamente da quelli fisici.
La ricerca si svolgeva sotto forma di gioco in cui ai soggetti erano presentate due bambole:
una, Sally, portava un cestino e l'altra, Ann, aveva una scatola. Sally usciva a passeggio
dopo aver messo una biglia nel proprio cestino e averlo coperto con un panno. Intanto Ann
prendeva la biglia dal cestino e la nascondeva nella propria scatola. A questo punto Sally
tornava, con l'intenzione di giocare con la biglia e la domanda che veniva posta era: dove
avrebbe guardato Sally per prendere la biglia? L'elemento fondamentale di cui avrebbero
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dovuto tener conto i soggetti era che Sally non poteva essere a conoscenza di quanto Ann
aveva fatto in sua assenza.
Erano in grado di rispondere al quesito sia bambini normali di quattro anni che
bambini affetti da Sindrome di Down, i quali, su richiesta, erano anche in grado di spiegare
che Sally era ignara delle azioni di Ann durante la sua assenza, dimostrando così, grazie
alla comprensione che qualcuno può avere una "credenza errata" (false belief) su una
situazione, d'essere capaci di attribuire uno stato mentale ad un altro, in modo da aver
maggiori possibilità di prevederne il comportamento: nella storia proposta è plausibile
aspettarsi che Sally, dopo aver inizialmente cercato la biglia nel cestino non la trovi.
Secondo gli autori dalla comprensione di un'errata credenza deriva quella di una "credenza
vera" (true belief), ossia è possibile capire emozioni sentimenti e desideri dell'altro.
Bambini affetti da autismo, di età anche molto superiore ai 4 anni, incorsero invece in
grosse difficoltà nel tentativo di rispondere alla domanda, affermando per esempio,
nonostante il ricordo corretto della sequenza degli eventi, che Sally avrebbe cercato nella
scatola di Ann, così da dimostrare quindi di non riuscire a cogliere il senso di quanto
accaduto e comprendere che Sally ha una falsa credenza. Il comportamento di Sally
diventa imprevedibile se non vi è comprensione dei suoi pensieri poiché, secondo gli
autori, il non inferire una falsa credenza significa non essere in grado di conoscere gli stati
mentali altrui. Nell'esempio sarebbe inspiegabile che Sally vada a cercare la biglia nel
posto sbagliato, cosa che invece accade nelle persone con autismo, proprio perché potrebbe
mancare in loro una teoria della mente.
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il tipo di repertori in possesso dell'individuo derivati dalla sua teoria di apprendimento.
Focalizzando l'attenzione sulle determinanti ambientali dei comportamenti
problematici nell'autismo, i sostenitori del modello comportamentale ipotizzano una
carenza di rinforzi per i comportamenti adattivi del bambino ed un loro eccesso per quanto
riguarda invece alcuni comportamenti autostimolatori e ripetitivi.
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CARATTERISTICHE DELL’AUTISMO, CLASSIFICAZIONE E DIAGNOSI
Le anomalie delle interazioni sociali sono il nucleo principale dello spettro autistico e
sono le più importanti ai fini diagnostici.
Le alterazioni delle competenze comunicative, associate a comportamenti ripetitivi,
guidano la diagnosi nelle fasi precoci.
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3.1 ANOMALIE DELLE INTERAZIONI SOCIALI
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patrimonio emotivo spesso ricco e vario, hanno le loro preferenze, provano simpatie e
antipatie,ma hanno spiccate difficoltà a comprendere la rete di scambio comunicativo in
cui è necessario interpretare le intenzioni e I sentimenti altrui e comprendere I messaggi
non verbali ed impliciti nella comunicazione.Tutto ciò limita la possibilità di sostenere e
approfondire le relazioni umane, impedisce verosimilmente l'accesso a forme più
complesse di relazione e preclude lo sviluppo di capacità mature di rapporto sociale.
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3.3 ATTIVITA’ STEREOTIPATE
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creare difficoltà significative nel controllo delle crisi. Sono di comune osservazione
numerosi disturbi comportamentali che richiedono attenzione specifica, ad esempio
l'iperattività è spesso intensa e persistente ed è associata a notevole labilità attentiva che
ostacola l'attuazione di interventi rieducativi. I disturbi del sonno sono spesso ostinati e le
difficoltà di adattamento generale provocano anomalie del comportamento di difficile
gestione.
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Le principali classificazioni sono:
Disturbo di Asperger;
Disturbo di Rett;
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Uso di linguaggio stereotipato e ripetitivo o linguaggio eccentrico;
Mancanza di ricerca spontanea nella condivisione di gioie, interessi o
obiettivi con altre persone (per esempio non mostrare, portare, né richiamare
l'attenzione su oggetti di proprio interesse).
B. Ritardi o funzionamento anomalo in almeno una delle seguenti aree, con esordio
prima dei 3 anni di età:
interazione sociale
Linguaggio usato nella comunicazione sociale;
Gioco simbolico o di immaginazione.
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3.4.2 Classificazione dell'Organizzazione Mondiale
Autismo atipico;
Sindrome di Rett;
Sindrome di Asperger;
Molte delle categorie utilizzate per le Sindromi da alterazione globale dello sviluppo
sono completamente sovrapponibili a quelle dei Disturbi Generalizzati dello Sviluppo
descritte dal DSM IV. Ciò vale in particolare per l’Autismo Infantile definito come il
Disturbo autistico del DSM IV, la Sindrome di Rett (Disturbo di Rett), la Sindrome
disintegrativa dell’infanzia di altro tipo (Disturbo disintegrativo della fanciullezza),
Sindrome di Asperger (Disturbo di Asperger), la Sindrome non specificata da alterazione
globale dello sviluppo psicologico (sovrapponibile al Disturbo generalizzato dello sviluppo
N.A.S. del DSM IV, in cui però è compreso anche il quadro dell’Autismo atipico).
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TRATTAMENTI PER I SOGGETTI AUTISTICI
Attualmente non esiste un’unica cura per l'autismo: le terapie o gli interventi vengono
scelti in base ai sintomi individuali. Le terapie meglio studiate comprendono interventi
educativi/comportamentali in ambiente strutturato adattato alle difficoltà specifiche
dell'autismo e farmacologici.
Sebbene questi interventi non curino l'autismo, spesso portano ad un miglioramento
sostanziale.
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autistico, portatore di un disturbo congenito della capacità di comprensione sociale, dovrà
poter usufruire di strategie educative appropriate
I principi di base dei TEACCH sono del tutto innovativi rispetto alla concezione
psicogenetica del disturbo autistico: l'autismo non viene più considerato una malattia
mentale, ma un handicap della comunicazione, della socializzazione e della immaginazione
ed il bambino autistico viene visto come un soggetto svantaggiato che dovrà essere aiutato
a sviluppare le sue capacità sfruttando i suoi punti di forza.
Di conseguenza le caratteristiche di approccio sono altrettanto innovativi: viene sentita la
necessità di una collaborazione attiva da parte dei familiari per consentire la
generalizzazione delle competenze acquisite e per garantire una coerenza di approccio in
ogni attività di vita della persona autistica, ma anche per garantire una valutazione
oggettiva delle capacità e del livello di sviluppo di questa.
Sarà inoltre molto importante che durante l'apprendimento il bambino possa essere
gratificato da frequenti successi: una volta valutate le sue capacità, i compiti proposti
saranno quindi scelti non fra le attività in cui fallisce, ma fra le abilità "emergenti", cioè fra
le prestazioni che il bambino riesce a portare a termine con l'aiuto dell'adulto. Per lo stesso
motivo le buone capacità visuo-spaziali delle persone autistiche sono alla base della scelta
di utilizzare strategie comunicative e strutturazione di tipo visivo.
La variabilità estrema della sintomatologia e dei livello di sviluppo nell'ambito della
sindrome autistica richiedono infine una elaborazione strettamente individuale dei
programma educativo, con continue e frequenti rivalutazioni e aggiustamenti; se il
bambino dispone di un buon programma, apprende in un tempo ragionevole; se
l'apprendimento non avviene a breve termine, è il programma che non funziona e che deve
essere rivisto.
4.1.1. La strutturazione
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In passato si pensava che i bambini autistici soffrissero per rifiuto di sentimenti e
desideri: sbagliato. Si sa ora che la persona autistica, a causa dei deficit di comunicazione e
della "cecità sociale" alla base dei disturbo autistico, ha bisogno di una strutturazione
dell'ambiente per rassicurarsi, e che l'ansia diminuisce quando sa esattamente che cosa ci si
aspetta da lui in un certo momento e in un certo luogo, che cosa succederà in seguito,
come, dove e con chi. Un quadro spazio-temporale molto strutturato,comprensibile e
prevedibile, nel quale i punti da reperire siano visibili e concreti, costituisce il primo passo
per poter impostare un lavoro educativo con il bambino autistico. La strutturazione tuttavia
non deve significare rigidità, ma deve essere flessibile, costruita in funzione dei bisogni e
dei livello di sviluppo dei singolo bambino e soggetta a modifiche in ogni momento; né
deve essere fine a se stessa, ma rappresentare un mezzo per aiutare una persona in
difficoltà a causa della propria impossibilità a comunicare.
La strutturazione è suddivisa in:
Strutturazione dello spazio: strutturare lo spazio significa rispondere alla domanda
"Dove?".
Strutturazione del tempo: organizzare il tempo significa rispondere alla domanda
"Quando? Per quanto tempo?"
Strutturazione del materiale di lavoro: strutturare il materiale di lavoro significa rispondere
in modo chiaro e concreto alla domanda "Che cosa?"
Quello che è importante sottolineare è che la struttura di tempo e spazio non è fine a se
stessa, nè un obiettivo da raggiungere, bensì uno strumento evolutivo, un mezzo per aiutare
la persona autistica a raggiungere una migliore padronanza dei proprio ambiente e della
propria vita.
4.1.2. Il rinforzo
Il rinforzo risponde in modo chiaro e concreto alla domanda "Perché?" Infatti può
essere difficile per il bambino all'inizio di un programma educativo comprendere per quale
motivo deva eseguire dei compiti. Egli ha dunque bisogno di motivazioni concrete
strettamente collegate nel tempo all’esecuzione del compito.Una ricompensa alimentare è
il rinforzo più semplice: spesso tuttavia si può ben presto sostituire con il rinforzo sociale,
costituito da lodi e complimenti. Anche il permesso di dedicarsi ad una attività preferita,
non importa se stereotipata, può costituire un rinforzo adeguato.
4.1.3. L'aiuto
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L'aiuto risponde in modo chiaro e concreto alla domanda "come?". Se infatti non
possiamo utilizzare efficacemente le istruzioni verbali per spiegare il compito, un aiuto
fisico o visuale costituirà il modo più semplice per illustrare al bambino autistico come
dovrà eseguire il suo compito.
Il grado maggiore di aiuto è costituito dall'aiuto fisico: l'educatore cioè accompagna con la
sua la mano del bambino nell’esecuzione dei compito. In questo caso è importante che il
gesto sia dosato in modo da comunicare un incoraggiamento e che abbia una valenza
esplicativa che il bambino è perfettamente in grado di capire; non deve costituire una
costrizione.
Un altro tipo di aiuto può essere di tipo visuale: è un aiuto di questo tipo indicare con il
dito, o anche, ad esempio, una dimostrazione pratica di come eseguire il compito, purché
naturalmente da parte del bambino ci sia la necessaria attenzione; anche l'aiuto verbale
naturalmente può essere utilizzato.
Anche nel caso dell'aiuto è importante valutare la forma più efficace per ogni singolo caso.
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4.2 L'INERVENTO PRECOCE COMPORTAMENTALE DI LOVAAS
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minimo).
Bisogna spostare al più presto possibile la ricompensa dal cibo ad altri tipi più normali
e naturali, come quelli sociali ("bravo", "bene"); poi si passa da una ricompensa continua
ad una parziale, ricompensando solo una volta ogni tanto.
Le risposte problematiche (capricci, stereotipie, comportamenti autoaggressivi, ritiro) non
vengono rinforzate.
Uno scopo prioritario è insegnare al bambino a discriminare tra differenti stimoli (colori,
forme, lettere, numeri, comportamenti appropriati e non).
Le prove di insegnamento sono ripetute molte volte, inizialmente in rapida
successione, finché il bambino dà una risposta facilmente e senza l’aiuto dell’adulto.
Il tempo e la velocità delle sessioni di insegnamento, le opportunità pratiche, e le
conseguenze sono determinate precisamente per ogni bambino e per ogni abilità, le
istruzioni sono altamente personalizzate e adattate allo stile e alla velocità di
apprendimento di ogni bambino.
I risultati delle ricerche condotte da Lovaas e collaboratori (1987) sull’intervento
comportamentale precoce per l’autismo mostrerebbero:
Efficacia: l’intervento precoce basato sui principi della Applied Behavior Analysis
produrrebbe grandi, durevoli, e significativi miglioramenti in molti importanti domini e la
riduzione dei comportamenti problematici; per alcuni questi miglioramenti possono
arrivare al raggiungimento di un normale e completo funzionamento intellettivo, sociale,
accademico, comunicativo e adattivo.
Età per un’efficacia ottimale: l’età ottimale per iniziare un intervento
comportamentale precoce è prima dei 5 anni di età; i migliori risultati sono stati riportati
per bambini che hanno cominciato il trattamento a 2 o 3 anni;
Natura dell’intervento: l’intervento comportamentale è un "pacchetto" di trattamenti
che vengono applicati in modo intensivo e sostenuto (con opportunità di apprendimento
attentamente pianificate). Una importante caratteristica della A.B.A. è che è altamente
individualizzata;
Intensità: i migliori risultati si otterrebbero per quei bambini che hanno seguito
l’intervento comportamentale per almeno 30 ore a settimana, tutti i giorni.
Durata: i migliori esiti si avrebbero con i bambini che hanno praticato questo
intervento intensivo per almeno 2 anni consecutivi, se non di più (Anderson et al., 1987).
Ambiente: in generale si privilegiano per le prime volte ambienti tranquilli e senza
distrazioni, poi il trattamento deve essere esteso ad altri ambienti per produrre effetti
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durevoli e generalizzati. Inoltre, il coinvolgimento dei genitori nel trattamento può essere
una componente cruciale per l’intervento su bambini piccoli, soprattutto se esso ha luogo
in casa (Lovaas, 1987).
La tecnica della Comunicazione Facilitata (CF) è stata messa a punto alla fine degli
anni ‘80 da Charley e Biklen e diffusa in seguito soprattutto negli Stati Uniti ed in
Australia.
Per Comunicazione Facilitata si intende un metodo per facilitare la comunicazione in cui
un terapista abilitato - il facilitatore- offre un sostegno alla mano o al braccio di un
individuo con un deficit nella comunicazione per aiutarlo ad indicare delle immagini o
lettere o ad usare una tastiera per digitare un testo. Il presupposto di ciò è che questo
metodo aiuterebbe le persone autistiche o con un grave ritardo mentale a
comunicare.Secondo i sostenitori di questa tecnica, infatti, l'individuo autistico troverebbe
difficoltà a comunicare non perché non vuole o non sa farlo, ma perché non riesce ad
ordinare in sequenza ciò che ha da dire, e non riesce a fare il movimento giusto per
indicare o scrivere quello che avrebbe da dire ma non riesce. In questa difficoltà l'autismo
viene accomunato all'aprassia, ovvero la difficoltà di comunicazione sarebbe causata
dall'aprassia di cui soffrono gli individui autistici.
A sostegno di questa ipotesi viene fatto notare che basta un periodo di addestramento
ad associare parole-immagini, indicare o battere su una tastiera fatto offrendo un sostegno
al braccio della persona sottoposta a tale addestramento, dopodichè l'aiuto viene
progressivamente diminuito fino a toccare soltanto la mano della persona che intanto ha
imparato a comunicare usando sempre più parole ed un linguaggio sempre più strutturato.
L’aiuto successivamente viene ulteriormente ridotto passando ad una facilitazione fatta
ponendo la mano sulla spalla o sulle ginocchia (Bicklen, 1999).
Il metodo ha raccolto numerose critiche ed obiezioni, tra cui da sottolineare è quella
dell'American Psychological Association, i quali obiettano che il metodo è privo di validità
scientifica, che è stato provato che il prodotto della comunicazione facilitata è spesso
diretto o sistematicamente determinato dal facilitatore, e che non sono stati fatti studi
scientifici volti a determinare se i terapisti o facilitatori sono consapevoli del loro grado di
influenza. Per questi motivi, l'APA si oppone all'uso della comunicazione facilitata in
quanto costituirebbe una minaccia di prevaricare i diritti dei pazienti che vengono trattati in
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questo modo.
A favore della Comunicazione Facilitata, viene invece considerato il fatto che essa è
stata utile per molte persone perché ha permesso loro di comunicare, e che se le basi
teoriche e di ricerca non sono del tutto salde, questo non è un motivo sufficiente per
eliminarla completamente senza offrire comunque altre alternative
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valutazione, e concordato con la famiglia.
Il coinvolgimento attivo della famiglia è un’altra delle caratteristiche fondamentali
della TED.
Vi sono casi in cui l’intervento può anche essere condotto con due bambini
contemporaneamente: ciò avviene nel caso in cui lo scopo principale sia di favorire la
socializzazione. Queste situazioni, in genere, vengono attivate qualora i singoli soggetti
abbiano completato una TED classica risultata non particolarmente efficiente nell’area
della socializzazione. Al bambino viene affiancato un altro bambino con analoghe
capacità, bisognoso di sviluppare la comunicazione, ma più calmo.
L'intervento terapeutico nei disturbi pervasivi dello sviluppo deve essere tipicamente
intensivo, prolungato ed integrato, con associazione di interventi educativi riabilitativi
funzionali, psicologi, sociali, familiari e farmacologici. Le scarse conoscenze sulle basi
neurofisiologiche dell'autismo fanno sì che l'approccio farmacologico a questa patologia
sia ancora principalmente sintomatico, volto a favorire comportamenti più adeguati e
socialmente accettabili, oppure sia mirato a contenere manifestazioni associate in
comorbidità.
I dati attuali indicano che l'intervento farmacologico incide in modo molto marginale
sulla storia naturale del disturbo autistico. La molteplicità fenomenica dei "quadri autistici"
e le scarse conoscenze circa la patogenesi di tale disturbo giustificano i molteplici tentativi
terapeutici con sostanze farmacologicamente anche molto diverse tra di loro di cui si è
cercato di volta in volta di sfruttare l'attività specifica su un sintomo.
Obiettivo prevalente dell'intervento farmacologico diviene quindi quello del controllo
di manifestazioni sintomatiche che possono negativamente influenzare la qualità della vita
e gli altri interventi terapeutici.
Il trattamento deve essere preceduto da una attenta analisi funzionale che evidenzi i
sintomi bersaglio, che possono essere molto diversi nei vari soggetti (stereotipie e condotte
aggressive, disturbi dell'attenzione, alterazioni dell'umore, disturbi del sonno). L'impiego
di queste sostanze in età evolutiva richiede particolare attenzione per l'insorgenza di
possibili effetti collaterali.
Alcuni esempi:
Nel caso di stereotipie e aggressività: Neurolettici; neurolettici atipici; farmaci che
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agiscono sul sistema degli oppiodi endogeni; nuovi farmaci antipilettici (ancora
poco conosciuti.)
Disturbi dell'umore: Antidepressivi quali farmaci serotoninergici, triciclici. (I dati
disponibili sono favorevoli rispetto agli effetti collaterali). (Minori conoscenze si
hanno sugli effetti collaterali in corso di trattamenti prolungati, per cui si rende
necessario un attento monitoraggio del farmaco).
Terapie Vitaminiche ed Altri Supplementi Nutrizionali: vitamina B6 (a
15mg/kg/die), associata o meno a magnesio (5mg/kg/die), e dimetilglicina.
(Attualmente l'efficacia terapeutica é molto criticata) (rischi tossici, quali
neuropatie sensoriali, di trattamenti incongrui con iperdosaggi vitaminici).
Nata negli Stati Uniti, solo da pochi anni viene praticata anche in alcuni centri del
nostro Paese. Letteralmente significa terapia con animali, viene chiamata anche terapia
dolce e prevede l'utilizzo degli animali per migliorare la qualità di vita delle persone e mira
a seguire il soggetto problematico e non tanto il problema o la malattia, in tal modo
l'animale diventa il ponte invisibile tra operatore e soggetto seguito.
La Pet Therapy si suddivide in:
Attività Assistita con Animali (A.A.T.), che risulta essere una terapia vera e propria
rivolta a persone con problemi fisici e/o psichici, da affiancare ad altre cure, dove
viene precedentemente fatto un progetto individualizzato da seguire, che prevede
la scelta dell'animale adatto in base allo scopo da raggiungere e la presenza di
un'équipe multidisciplinare che collabori a tale progetto (compresa la stesura e la
verifica del progetto stesso);
Attività Assistite con Animali (A.A.A.) che mirano a migliorare la qualità di vita
delle persone in situazione di disagio, in quanto l'animale risulta, essere un perfetto
tramite per lo sviluppo delle relazioni. La Pet Teraphy viene utilizzata anche a
livello ludico (gioco), per la socializzazione, per favorire la comunicazione e per lo
sviluppo e/o potenziamento della responsabilità e dell'autostima.L'animale in sé è
un "catalizzatore" sociale capace di creare situazioni positive e rilassanti; cane,
gatto, cavallo, delfino (e non solo) sono gli animali più conosciuti che svolgono un
importante ruolo nei confronti di persone con disabilità psicofisica.
Il cane, in particolar modo, è il soggetto preferito dai seguaci della Pet Therapy;
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come cane sociale per migliorare le condizioni psichiche e/o fisiche di bambini,
adulti, anziani; come cane di servizio per aumentare la mobilità delle persone con
limitazioni fisiche, come cani da passeggio per persone cieche o sorde.
La Delfinoterapia è un’attività predicate negli Stati Uniti da oltre 15 anni, in Italia è
giunta verso il 1993 e viene svolta nei mesi estivi, nei delfinari di Rimini e Brindisi. È una
terapia indicata nei casi di autismo infantile, negli stati depressivi degli adulti e per taluni
disturbi psichici. I benefici di tale attività sono dati dal rilassamento e da un completo
benessere psico-fisico che si basa su contatti spontanei tra i delfini e le persone che
nuotano e giocano con loro. Per tale attività viene richiesta una buona acquaticità (e
purtroppo è problematico parteciparvi perché vi sono liste di attesa lunghissime, di oltre sei
mesi).
L'Ippoterapia, detta anche Riabilitazione Equestre, è destinata a chi presenta disturbi
neuromotori, motori sensoriali e relazionali, (e quindi adattissima anche ai soggetti
Autistici), Il cavallo stimola il proprio "cavaliere" nell'equilibrio, nel coordinamento
motorio, nel processo Spazio-temporale. Si ha, inoltre, un forte beneficio psicologico con
conseguente aumento dell'autostima.
Gli scopi della Riabilitazione Equestre sono la conservazione degli arti sani, lo
sfruttamento dei gruppi muscolari colpiti da alterazioni invalidanti e miglioramento della
situazione statica e dinamica, ottenendo dei miglioramenti sulle condizioni psichiche.
Elemento fondamentale di tale attività è il cavallo che mette a disposizione una
ricchezza di strumenti naturali quali il ritmo, la sua corporeità, le sensazioni. Provocate dal
suo movimento, non statiche ma in continuo mutamento, che scatenano delle reazioni in
chi ci sta sopra risvegliando in loro capacità che in altro modo difficilmente avrebbero
potuto sperimentare, data la particolarità dello "strumento" utilizzato. Gli animali in
quest'ottica, diventano co-terapeuti, sono il mezzo per raggiungere lo scopo.
L'animale prima dì tutto offre la possibilità di stabilire una relazione, non fa domande,
accetta incondizionatamente chi ha di fronte qualsiasi sia la sua patologia o problematica
sociale. In questo senso l'amicizia che si stabilisce con un'animale non è solo terapia, ma
anche prevenzione e protezione dell'equilibrio psico-fisico dell'individuo. Molto
importante è l'elemento ludico, il bambino in particolar modo attraverso il gioco raggiunge
risultati difficilmente ottenibili con attività imposte prettamente terapeutiche e/o
riabilitative. Agli animali si può insegnare, dagli animali si può imparare.
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