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UNISU

UNIVERSITA’ TELEMATICA
NICCOLO’ CUSANO

Il Disturbo Autistico

Dott.ssa Donatella Visceglia


Indice
1. Storia dell’autismo e la sua definizione
1.1 Definizione autismo___________________________________________________________3
1.3 Cenni storici ________________________________________________________________5

2. Ipotesi eziologiche
2.1 Teorie psicodinamiche _______________________________________________________ 8
2.1 Teorie organicistiche o farmacologiche __________________________________________13
2.2 Teorie sistemico relazionali ___________________________________________________ 18
2.3 Teorie cognitive ____________________________________________________________ 19
2.5 Teorie cognitivo- comportamentali_____________________________________________ 21
2.6 Teorie etologiche____________________________________________________________22

3. Caratteristiche dell’autismo,classificazione e diagnosi


3.1 Anomalie delle interazioni sociali ______________________________________________ 25
3.2 Anomalie del linguaggio e della comunicazione non verbale _________________________ 26
3.3 Attività stereotipate _________________________________________________________ 27
3.4 Criteri diagnostici___________________________________________________________28

4. Trattamenti per i soggetti autistici


4.1 Il programma TEACCH______________________________________________________ 33
4.2 L’intervento precoce comportamentale di Lovaas _________________________________ 37
4.3 La comunicazione facilitata ___________________________________________________39
4.4 La therapie d’echenge et developpement (TED)____________________________________40
4.5 Terapie farmacologiche ______________________________________________________ 41
4.6 La pet therapy ______________________________________________________________42

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STORIA DELL'AUTISMO E LA SUA DEFINIZIONE

1.1 DEFINIZIONE DI AUTISMO

L'autismo non è una malattia ma un disturbo dello sviluppo della funzione cerebrale.
Le persone affette da autismo tipico mostrano tre tipi di sintomi: interazione sociale
alterata, problemi nella comunicazione verbale e non verbale e d’immaginazione, attività e
interessi insoliti o estremamente limitati. I sintomi dell’autismo di solito si manifestano
entro i primi tre anni di età, e perdurano per tutta la vita. Sebbene non ci sia una cura, un
trattamento appropriato può favorire uno sviluppo relativamente normale e ridurre i
comportamenti indesiderati. Le persone autistiche hanno un’aspettativa di vita normale.
L'incidenza dell'autismo è stimata dal 2 al 10/10000, a seconda dei criteri diagnostici
usati. La maggior parte delle stime che inducono i disturbi analoghi sono da due a tre volte
maggiori. L'autismo colpisce i maschi quattro volte più frequentemente delle femmine ed è
senza distinzione di razza o ambiente sociale. La gravità dell'autismo è molto variabile: i
casi più gravi sono caratterizzati da comportamenti estremamente ripetitivi, insoliti,
aggressivi. Questo comportamento può persistere nel tempo e diventare difficilissimo da
modificare, ponendo seri problemi a chi deve convivere o realizzare dei programmi
d’intervento per questi soggetti. Le forme più lievi assomigliano ai disturbi della
personalità associati a disabilità dell’apprendimento.

1.2. I segni caratteristici dell'autismo

La caratteristica più evidente dell'autismo è il disturbo dell'interazione sociale. I


bambini affetti da autismo possono non rispondere se chiamati per nome ed evitano il
contatto oculare. Hanno difficoltà nel comprendere le emozioni altrui e nell'interpretare il
tono della voce o le espressioni del viso, o non guardano gli altri in viso per adeguare il
proprio comportamento. Appaiono inconsapevoli dei sentimenti altrui nei propri confronti
e dell’impatto negativo del proprio comportamento sugli altri.
Molti bambini affetti da autismo si dedicano ad attività motorie ripetitive e stereotipate

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come dondolarsi o arrotolare ciocche di capelli sulle dita, o a manifestazioni di auto-
aggressività come, ad esempio, picchiettare con le dita o battere la testa.
I soggetti autistici sviluppano il linguaggio più tardivamente dei bambini normali e
possono riferirsi a se stessi con il nome proprio piuttosto che con "io" o "me". Qualcuno
parla con voce cantilenante di un numero ristretto di argomenti preferiti, con poco riguardo
per gli interessi delle persone con cui stanno parlando.
Le persone affette da autismo possono risultare ipersensibili ai suoni, al tatto o ad altri
stimoli sensoriali. Molti mostrano una ridotta sensibilità al dolore. Questa sensibilità
alterata può contribuire ai sintomi comportamentali, come la resistenza ad essere
abbracciati.

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1.2. CENNI STORICI

1.2.1 Primi quadri diagnostici

Fu Kanner, ad adottare ufficialmente il termine di autismo per indicare una specifica


Sindrome da lui osservata in undici bambini che chiamò autismo precoce infantile (in
realtà il termine autismo era già stato però utilizzato nel 1908 da Bleuler, in riferimento ad
una particolare forma di problema che egli descriveva in termini di "ritiro dal mondo").
(Kanner, 1943).
Kanner descrisse i suoi piccoli pazienti come tendenti all'isolamento,
"autosufficienti", "felicissimi se lasciati soli", "come in un guscio", poco reattivi in ambito
relazionale. Alcuni apparivano funzionalmente muti o con linguaggio ecolalico; altri
mostravano la caratteristica inversione pronominale (il "tu" per riferirsi a loro stessi e l’"io"
per riferirsi all'altro), facevano cioè uso dei pronomi così come li avevano sentiti.
Molti avevano una paura ossessiva che avvenisse qualche cambiamento nell'ambiente
circostante, mentre alcuni presentavano specifiche abilità molto sviluppate isolate
(memoria di date, ricostruzione di puzzle, ecc.) accanto però a un ritardo generale.
Kanner fece delle riflessioni anche attorno ai genitori dei bambini con autismo, che gli
sembrarono freddi, intellettuali e poco interessati alle persone.
Quasi contemporaneamente, ma indipendentemente da lui, anche Asperger (1944) utilizzò
un termine simile, autistichen psychopathen, per descrivere altri pazienti da lui osservati
sorprendentemente simili anche nella sintomatologia a quelli descritti da Kanner. Egli notò
tuttavia tre importanti differenze:
-Riguardo il linguaggio, la presenza di un eloquio scorrevole;
-Riguardo la motricità, la difficoltà nell'esecuzione di movimenti grossolani e non di quelli
fini come affermava Kanner;
-Riguardo la capacità di apprendere, Asperger definiva i pazienti "pensatori astratti",
mentre secondo Kanner essi apprendevano meglio in maniera meccanica.
A causa di ciò si configurarono due quadri diagnostici differenti: l'autismo di Kanner e
la Sindrome di Asperger, anche se le somiglianze tra le due posizioni sono talmente
notevoli che più tardi, Happé si chiede se per caso la Sindrome di Asperger non fosse
piuttosto da considerarsi un'etichetta assegnata a quei soggetti autistici con QI

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relativamente elevato piuttosto che ad un quadro sintomatologico distinto.(Happè, 1994).

1.2.2 Prevalenza dell'approccio psicodinamico

Grazie all'impostazione teorica di Kanner, venti anni dopo le sue osservazioni, il


principale punto di riferimento nello studio dell'autismo si sviluppò attorno alle teorie
psicodinamiche: si iniziò ad indagare sulla possibilità che vi fosse implicato un rapporto
madre-bambino alterato. Bettelheim sostenne che il proprio figlio avrebbe percepito nella
madre un desiderio reale o immaginario di annullamento nei suoi confronti, o perlomeno
che non fosse mai esistito. Questa percezione avrebbe fatto precipitare il bambino in una
paura di annientamento totale da parte del mondo, rappresentato interamente per il
bambino piccolo proprio dalla madre: l'autismo scaturirebbe come meccanismo difesa da
tutto ciò. Pur restando sempre alla base del modello psicodinamico, questo concetto subì
delle modifiche in relazione ai sempre crescenti indizi che sembravano implicare un
substrato di tipo biologico nella Sindrome. (Bettelheim, 1967).
Già nel 1959 Goldstein propose, infatti, di considerare l'autismo come un meccanismo
di difesa secondario ad un deficit organico, paragonabile alle reazioni di alcuni pazienti
cerebrolesi che mettono in atto passivamente meccanismi di protezione atti a salvaguardare
la propria esistenza in situazioni di pericolo e di angoscia insopportabili.

1.2.3 Verso un approccio organicista

Dagli anni '60 il modello psicodinamico fu sempre più accusato di colpevolizzare


ingiustamente i genitori dei bambini con autismo. Questi ultimi, infatti, non mostravano
tratti patologici o di personalità significativamente diversi dai genitori di bambini non
affetti da autismo.
Fu Rimland, direttore dell'Autism Research Institute, il primo a sostenere in modo
sistematico che la causa della Sindrome autistica non risiedesse nel rapporto con i genitori,
ma che il disturbo avesse piuttosto una base organica. Ne scaturì l'approccio organicista,
che cercava d'individuare alterazioni morfologiche e funzionali alla base della Sindrome.
Nonostante la varietà di elementi raccolti congruenti con quest'ipotesi, non ne è stato
ancora isolato uno in particolare che possa essere considerato come caratteristico di tutte le
forme di autismo, tanto che attualmente si è portati a credere che non esista un "unico
autismo", ma che in questa categoria siano invece comprese diverse patologie e

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manifestazioni sintomatiche provocate da diverse cause organiche.

1.2.4 Verso un accordo diagnostico

Il concetto di autismo ha subito nel corso di mezzo secolo notevoli modifiche, come il
passaggio da un'unica Sindrome, che poteva variare lungo un continuum di gravità
crescente, a uno spettro di disturbi indicante manifestazioni di sintomi molto diversi.
Ma il cambiamento più rilevante si può vedere confrontando le categorie di
classificazione del disturbo utilizzate attualmente dai manuali diagnostici con le precedenti
versioni. Precedentemente l'autismo, infatti, era compreso tra le psicosi precoci (ad
insorgenza prima dei tre anni). Nella nuova classificazione internazionale, invece,
l'autismo è compreso nei disturbi dello sviluppo, con una componente organica altamente
probabile, anche se non ancora individuata con sicurezza.
Data l'alta variabilità delle manifestazioni comportamentali ad esso associate, la
classificazione del disturbo è divenuta più generale. Nel 1987 per questo motivo già nel
DSM III-R, in relazione al modello di Wing e Gould, venivano distinte tre principali aree
di alterazione comportamentale: interazione sociale, comunicazione e repertorio di
interessi.
Ancora oggi l'eziologia dell'autismo rimane comunque perlopiù sconosciuta ed è per
questo motivo che i due manuali diagnostici più utilizzati continuano a basare i criteri di
riconoscimento su indicatori comportamentali.
Attualmente, le classificazioni maggiormente utilizzate nella psichiatria dell'infanzia e
dell'adolescenza sono: quella americana del DSM IV, quella dell' ICD 10, curata
dall’O.M.S. e quella francese (CFTMEA) sviluppata dal Centre A. Binet. Queste sono solo
in parte congruente con l'iniziale descrizione di Kanner e tengono conto di una migliore
conoscenza dello sviluppo relazionale del bambino normale e degli studi recenti sulla
"Teoria della mente" (Frith, 1989).

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IPOTESI EZIOLOGICHE

2.1. TEORIE PSICODINAMICHE.

2.1.1. Il pensiero di Bettelheim

Fu Bettelheim uno dei primi autori a ricercare la causa dell'autismo in un'anomalia nel
rapporto madre-bambino, tanto che le descrizioni di genitori da lui fornite sono state
dipinte plasticamente dal concetto di madre frigorifero. Questo è il nucleo concettuale
attorno al quale ruota il modello psicodinamico nel tentativo di descrivere la natura
eziologica dell'autismo.
Tuttavia, all'interno di questo modello sono state proposte anche altre teorie che
indagavano cause differenti come carenza di contatto fisico, pratiche alimentari anomale,
difficoltà nel linguaggio e/o nel contatto oculare con il figlio, fino ad un'ipotesi di fantasia
deumanizzante proiettata sul proprio figlio.
Bettelheim nel suo libro “La fortezza vuota”, mette a confronto il comportamento di
persone affette da autismo con quello dei prigionieri nei campi di concentramento nazisti
(esperienza, questa, da lui vissuta in prima persona per due volte), notando come vi fossero
delle somiglianze. Secondo quest'ipotesi l'autismo, attraverso un processo di
"disumanizzazione" si configurerebbe come la reazione ad una "situazione estrema",
caratterizzata da una prolungata consapevolezza dell'imminenza della morte.
L'autore, confrontando i vissuti dei prigionieri nei lager, con quelli di chi è affetto da
autismo, ipotizza che alla base di quest’ultimo vi sia la percezione, nel neonato, di ostilità
con un'intenzione distruttiva nei suoi confronti da parte della madre (che per lui
rappresenta il mondo). Sebbene tali percezioni possano inizialmente non rispecchiare la
realtà, il neonato interpreta il risentimento della madre per il rifiuto incomprensibile di suo
figlio verso di lei, come conferme delle sue sensazioni. In questo modo sarebbe il desiderio
di annullamento del proprio figlio la causa principale dell'autismo che egli manifesterà
successivamente. (Bettelheim,1967).
Da ciò deriverebbero vissuti di impotenza e sensazioni di non poter né agire né fare

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previsioni sulla realtà esterna. Il bambino utilizzerebbe perciò delle difese, la preservazione
dell'identità (sameness) e la creazione di confini (boundares). Queste difese risulterebbero
adatte a tenersi fuori dal mondo e dai suoi pericoli, al prezzo però di un progressivo
svuotamento della fortezza eretta a difesa di un Io che si ritrova,così,sempre più indebolito
e impoverito.

2.1.2 Mahler

Secondo l'autrice Mahler, invece, il bambino giunge a quella che ha definito come
"nascita psicologica" attraverso un processo di graduale differenziazione tra Sé e non-Sé
che culmina nella percezione della propria madre come oggetto separato da sé.
Mahler sostiene che "l'isolamento e le altre manifestazioni della Sindrome psicotica
autistica richiamano alla mente quello stato di completa non differenziazione tra l'Io e l'Es,
tra il Sé e il mondo oggettuale, che si ritiene sia predominante nel neonato fino alla fine del
secondo mese di vita".
È a questa descrizione che corrisponde, secondo l'autrice, la cosiddetta fase autistica
normale, caratterizzata da una mancanza di consapevolezza dell'agente delle cure materne
nel bambino, con una conseguente incapacità di utilizzare l'oggetto d'amore primario
vivente. In seguito, tuttavia, il bambino si comporta con la propria madre come se fosse un
tutt'uno con lei stabilendo in questo modo una relazione simbiotica.
Secondo la Mahler quindi autismo infantile e psicosi simbiotiche, riferendosi a
differenti momenti del processo evolutivo, sarebbero da considerare entità distinte.
Un bambino con autismo infantile appare infatti "organizzato per mantenere e
consolidare la barriera allucinatoria negativa che caratterizza la prima settimana di vita,
quando si deve difendere da una stimolazione sensoriale troppo viva". Egli non sembra
vedere nella madre "un faro vivente di orientamento nel mondo della realtà".(Mahler,1968)
La psicosi simbiotica, sarebbe d'altro canto caratterizzata da una separazione reale
(viaggio, ricovero, ecc.) che metterebbe in discussione il rapporto madre-bambino in una
fase troppo precoce, favorendo così da parte di quest'ultimo meccanismi di difesa che lo
proteggano dalle proprie ansie di annientamento (introiezione, proiezione, negazione),
mantenendolo perciò in un illusorio legame simbiotico con sentimenti d'onnipotenza.

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2.1.3 Winnicott

Focalizzando l'attenzione sul deterioramento del funzionamento del Sé come


conseguenza dell'inadeguatezza dei genitori, Winnicott descrisse la psicosi come "un
disturbo da deficienza ambientale".
Lo psicoanalista inglese descrisse pertanto una fase transizionale, collocata fra il
termine della fase nella quale il bambino, per le sue ansie d'annientamento, non riesce
ancora ad accettare il mondo esterno e la realtà e l'inizio di quella in cui appare in grado di
utilizzare questa abilità.
Analizzando più a fondo i processi di separazione durante i primi mesi di vita,
Winnicott descrisse un primo momento durante il quale la madre, adattandosi ai bisogni
del figlio per mezzo della preoccupazione materna primaria, fornisce a quest'ultimo il
sentimento della continuità dell'essere, la cui rottura sarebbe però in seguito inevitabile a
causa della normale discontinuità delle cure materne. Se ciò non sarà vissuto dal bambino
come annullamento del Sé, gli consentirà di affrontare la disillusione e la separazione dalla
propria madre, per merito della quale egli potrà giungere alla coscienza del "Sé emergente"
e l'altro da Sé.
Se però la madre fosse carente nelle sue funzioni, il rischio di una psicosi infantile
sarebbe, in questo delicato momento di transizione, molto alto, a causa di una minaccia
d'annientamento percepita dal bambino, che potrebbe anche mostrarsi non in grado
d'instaurare una relazione col mondo esterno.

2.1.4 Meltzer

Meltzer, in linea con la scuola kleiniana, mette in evidenza per i bambini aspetti quali
l'essere "gettati" in uno spazio non proprio e alieno, l'estraneità, la vacuità, il dolore. Entro
questo singolare spazio-tempo e questa perpetuazione, i bambini con autismo vivono quel
fenomeno che Meltzer ha definito come "smantellamento", in virtù del quale un bambino
incapace di contenimento, perché mai contenuto, realizza una condizione in cui il suo
desiderio si traduce nella scomposizione dell'oggetto, così che una sola delle componenti di
quest'ultimo viene a catturare una sola di quelle della sensorialità smantellata del bambino.
Come conseguenza di un fallimento nella funzione primaria di contenimento, si hanno
quindi nell'autismo, a causa di un'incapacità di filtrare i dati sensoriali e della mancanza di

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uno spazio interno del Sé e dell'oggetto, problemi di differenziazione di uno spazio dentro
e fuori dal Sé e dagli oggetti, e una tendenza a fondersi con singole parti di essi.
Meltzer sostiene che il più grande ostacolo per instaurare una relazione con pazienti
affetti da autismo è costituito dalla difficoltà incontrata dal terapeuta di entrare in contatto
con il mondo unidimensionale privo di mente del proprio paziente, egli si trova cioè "ad
affrontare un problema emotivo, quello di abbandonare il proprio mondo a tre dimensioni,
di spogliarsi della propria esperienza per entrare in un mondo privo di significato e di
processi mentali.(Meltzer,1975).

2.1.5 Tustin

Secondo Tustin, appartenente alla Scuola Psicoanalitica Inglese, le psicosi infantili


come l'autismo sono da ricollegarsi sia all'incapacità del figlio di utilizzare la figura
materna, sia nella carenza di cure da parte di quest'ultima.
La rottura del legame viene vissuta dal bambino come perdita di una parte del proprio
corpo, poiché avvenuta troppo precocemente, in una fase in cui egli ancora non è pronto ad
affrontare una separazione. A protezione di se stesso il bambino costruisce un bozzolo
composto da quelli che Tustin definisce "oggetti autistici", ossia protezioni manipolatorie e
reattive, non concettualizzate e basate su sensazioni provenienti dal proprio corpo. Il
bambino, nell'inutile tentativo di trovare protezione in una continuità illusoria e di sfuggire
ad ansie per lui insostenibili, resta fuso con sua madre poiché non fa distinzione fra
l'utilizzo del corpo di lei o del proprio. (Tustin,1972).
Secondo un'ipotesi di Soriente(1993) , la mancanza di linguaggio in alcune psicosi
precoci sarebbe da ricercare nella compromissione o nell'assenza di alcuni prerequisiti
rilevanti per lo sviluppo del linguaggio preverbale: il pointing e la lallazione.
Pointing significa "indicare", gesto che, con intenzionalità comunicativa, si può
riscontrare nel bambino tra i 12 e i 18 mesi. Il puntare il dito è di notevole importanza, non
solo per l'acquisizione futura del linguaggio verbale, ma anche per lo sviluppo del Sé in
quanto, grazie al riconoscimento e all'accettazione della distanza tra sé e l'oggetto
desiderato, implica una diminuzione dell'onnipotenza infantili , tanto più se esso,
accompagnato da verbalizzazione, dà conto della capacità di distinguere tra sé e non sé.
Nel bambino con autismo, al posto del pointing, si può rilevare l'utilizzo della mano
dell'altro come fosse la propria. Il motivo, secondo Tustin, sarebbe da ricercarsi nel rifiuto
o nella mancanza di separazione tra il corpo del bambino e quello della madre, del quale

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utilizza parti come fossero proprie, quasi fosse "incollato" all'altro considerato come
appendice di sé.
L'acquisizione delle capacità attentive e di comprensione del discorso altrui si
estrinseca soprattutto dopo i 7-9 mesi, quando diviene manifesta nel bambino
l'appartenenza al sistema fonologico della propria lingua di riferimento dei suoni da lui
prodotti con la lallazione. Tustin sostiene che nei bambini psicotici questo "gioco" avviene
con suoni idiosincratici, creati dai bambini stessi e privi di un significato comprensibile,
piuttosto che con quelli che normalmente ci si aspetta dalle predisposizioni innate.

2.1.6 Modelli alternativi

Bick ha recentemente osservato direttamente le interazioni madre-bambino grazie al


metodo dell'infant observation, rilevando nel neonato un iniziale stadio di non-
integrazione, con vissuti di pervasiva impotenza e processi di scissione a difesa del proprio
sviluppo, come fosse in cerca di un oggetto "che possa svolgere la funzione di mantenere
unite le componenti della personalità non ancora differenziate dal corpo".
In una prospettiva kleiniana, l'oggetto si configurerebbe come una "pelle" necessaria
allo sviluppo dei processi di identificazione e successivamente di scissione primaria e
idealizzazione di Sé e dell'oggetto.
La "pelle" svolge perciò un'azione contenitiva della capacità di gestire uno spazio interno
al Sé differenziato dal resto del mondo esterno, pertanto risulta importante che né carenze
materne reali né attacchi fantasmatici ad essa (che ne impediscono l'introiezione) ne
mettano a repentaglio un adeguato sviluppo, con conseguenze negative sull'evoluzione
della personalità e confusione d'identità fino a giungere, come in alcuni casi di bambini
psicotici, allo sviluppo di una "seconda pelle" in cui una falsa dipendenza si sostituirebbe a
quella dall'oggetto a causa di un inadeguato uso delle funzioni mentali quali sostituti della
"pelle". (Bick, 1968)-.
Tustin ipotizza che l'incapsulamento autistico potrebbe derivare dallo sviluppo di una
"seconda pelle" in seguito a esperienze di separazione dal corpo della madre tanto forti da
far vivere ai bambini come feriti il loro stesso corpo e la pelle che lo avvolge.
La relazione madre-bambino riveste un ruolo centrale anche per Giannotti e De Astis
(1989), i quali indagano la possibilità di un arresto dello sviluppo prima dell'instaurarsi
dell'attaccamento alla figura materna, o in un momento successivo, attraverso una

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regressione. Gli autori considerano quanto la nascita possa essere vissuta da entrambi i
protagonisti in maniera catastrofica e come in seguito sia di cruciale importanza la
modalità di contenimento materno delle primordiali angosce del figlio grazie alla quale le
potrà elaborare, riproponendogliele in una forma rassicurante, simile ad uno "schermo
protettivo" tra lui ed un ambiente troppo ricco di stimoli. Qualora ciò non dovesse
verificarsi, il bambino si difenderà dal bombardamento di stimoli per lui inaffrontabili con
rigidi meccanismi autistici (per es. isolamento, stereotipie ed ecolalia) che non gli
consentiranno un ulteriore sviluppo.
Altri approcci hanno considerato il ruolo centrale giocato dall'intera famiglia del
bambino psicotico nell'instaurarsi della sua patologia, in particolare per quanto riguarda le
interazioni verbali e non verbali fra genitori e figlio subito dopo la nascita.
Secondo tale prospettiva, Carratelli e altri autori prestano particolare attenzione al modo in
cui il padre partecipa attivamente alla funzione di maternage, nonostante la mancanza per
lui di un'esperienza di fusionalità durante la gravidanza paragonabile a quella della madre.
In questo modo sarebbe garantita un'unione più sintonica col bambino grazie alla
possibilità di "identificazioni crociate" nella coppia genitoriale.(Carratelli e al. 1993)
Sul versante della psicopatologia gli autori propongono che, oltre che per la madre,
anche per il padre si possa parlare dell'insuccesso del maternage come di "un'analoga
esperienza fallimentare, per cui, nel momento in cui il figlio lo convoca in quest'area di
funzionalità arcaica egli possa trovarsi a rivivere regressivamente una condizione in cui
l'attrazione e l'angoscia concomitante verso uno stato di indifferenziazione è quanto mai
intensa e dolorosa" e sarebbe questo il possibile processo alla base delle psicosi infantili.
Ci si troverebbe dunque di fronte ad un sistema triangolare nel quale, in seguito al
duplice fallimento di entrambe i genitori, il bambino rischia di reagire ad esso con modalità
autistiche.

2.2. TEORIE ORGANICISTICHE O FARMACOLOGICHE

Prima della pubblicazione dello studio di Wing e Gould (1979) era ancora aperto il
dibattito sulla diagnosi differenziale tra autismo e cerebrolesione, tanto che la diagnosi di
autismo veniva tendenzialmente attribuita solo a quei pazienti che non manifestavano
nessun altro sintomo, se non quelli strettamente correlati alla Sindrome. Nel caso in cui era
possibile individuare anche un disturbo organico si preferiva, infatti, la definizione di
"autismo secondario". Tuttavia sono ormai numerose le rassegne della letteratura che

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mostrano come sia elevata la probabilità che le cause dell'autismo abbiano una base
principalmente organica.
Nel campione esaminato da Steffenberg (35 bambini affetti da autismo e 17 con
comportamento di tipo autistico) si poteva riscontrare un'elevata frequenza di danni o
disfunzioni cerebrali.
Gillberg e Coleman elencarono 12 sindromi note che potevano manifestarsi anche
come Sindrome autistica: Cornelia de Lange Syndrome, Fetal Alcohol Syndrome,
Hypomelanosis of Ito, Joubert Syndrome, Lujan-Fryns Syndrome, Moebius Syndrome,
Neurofibromatosis, Rett Syndrome, Sotos Syndrome, Gilles de la Tourette Syndrome,
Tuberous Sclerosis, Williams Syndrome. (Gillberg,Coleman,1992)
Swillen e altri autori individuarono ulteriori disturbi sospettati d'essere correlati con
l'autismo: X-linked Mental Retardation with Marfenoid Habitus o Velo-cardio-facial
Syndrome.
Gillberg e Coleman hanno rilevato anche un'alta frequenza di epilessia fra gli
indicatori di danno cerebrale correlato con l'autismo.(Gillberg,Coleman,1992)
Allo stesso modo il ritardo mentale, frequentemente associato al Disturbo Autistico,
sembra indicare un'eziologia di tipo organico (non ancora individuata con certezza) che
spiegherebbe le anomalie nei test di abilità, dai quali si ottengono singolari profili
cognitivi, con migliori risultati nelle prove per la motricità fine piuttosto che per quella
grossa e con elevati punteggi nelle prove non verbali e di performance, ma punteggi molto
al di sotto della media in quelle verbali, che mostrano una compromissione maggiore della
comprensione piuttosto che della produzione di parole, mentre la memoria per cifre o
lettere senza significato appare in certi casi addirittura superiore alla norma.
Inoltre si possono trovare correlate all'autismo anche anomalie della vista e dell'udito.
Talvolta esso è comparso in seguito a Herpes Simplex Encephalitis.

2.2.1 Cervelletto

La conseguenza di un danno in quest'area consiste in incontrollabili manifestazioni


motorie dette paralisi cerebrali. Tuttavia recenti osservazioni sembrano attestare un
possibile ruolo del cervelletto anche nel linguaggio, nelle emozioni, nell'apprendimento e
nell'attenzione.
Grazie alle immagini ottenute dalla risonanza magnetica, nel corso degli anni '80
Courchesne(1988), analizzando il cervelletto di pazienti con autismo, ipotizzò un'ipoplasia

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dei lobuli VI e VII correlata in maniera apparente proporzionale alla gravità dei sintomi.
Tuttavia alcuni pazienti mostravano invece un'iperplasia degli stessi.
Visto che le persone con autismo necessitano di tempi più lunghi del normale per spostare
l'attenzione, questo autore, da ulteriori indagini, concluse che i lobuli VI e VII potessero
avere un ruolo in questo senso, con una conseguente perdita d'informazione su contesto e
contenuto, data la difficoltà di chi è affetto da autismo di passare dall'uno all'altro.
Le osservazioni di Courchesne non trovarono conferma nelle autopsie di persone con
autismo, che mostrarono invece altre anomalie come la scarsità di cellule del Purkinje,
importanti inibitori della produzione di serotonina i cui livelli ematici sono talvolta
effettivamente alterati.(1988).
Secondo Happé tre sono i limiti di queste ricerche: 1) i gruppi non sono pareggiati per
età mentale, perché i gruppi di controllo sarebbero dovuti essere composti da persone senza
autismo ma con difficoltà di apprendimento, piuttosto che da individui "normodotati"; 2)
non è possibile stabilire se le anomalie riscontrate siano cause o effetti del disturbo, visto
che le conseguenze di comportamenti di tipo autistico sul tessuto cerebrale non sono note;
3) seppure il cervelletto fosse implicato nelle funzioni cognitive, ciò non spiegherebbe
direttamente un quadro cognitivo-comportamentale così articolato come quello
dell'autismo.

2.2.2 Sistema limbico (amigdala e ippocampo)

Bauman e Kemper, nell'ipotesi di possibili implicazioni del sistema limbico nell'autismo,


hanno rilevato anomalie principalmente dell'ippocampo e dell'amigdala. I neuroni in queste
zone avrebbero dimensioni inferiori al normale e la loro densità sarebbe eccessiva. Ne sono
derivati studi sui possibili effetti di lesioni in queste aree.(Bauman e Kemper,1985).
L'amigdala ha un ruolo nel controllo dell'emotività e dell'aggressività. Similmente a
diversi pazienti affetti da autismo, che mostrano un'emotività "piatta" o comportamenti
auto o etero aggressivi, è possibile riscontrare in alcuni animali con lesione o rimozione
dell'amigdala attività compulsive, impedimento sociale, difficoltà nel recupero
d'informazioni dalla memoria, impossibilità d'imparare dalle situazioni pericolose, e
problemi nell'adattamento a situazioni nuove. L'amigdala risponde inoltre a stimoli legati
alla paura.
L'ippocampo sarebbe invece implicato nell'apprendimento e nella memoria. Secondo
Rimland le persone con autismo troverebbero delle difficoltà nel collegare nuove

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informazioni con quelle già immagazzinate. Ciò sembra concordare con l'osservazione che
da danni all'ippocampo deriva un'impossibilità di mantenere informazioni in memoria.
Animali con lesione o rimozione di quest'area esibiscono comportamenti stereotipati,
autostimolatori e iperattività.Lesioni provocate artificialmente ad animali da esperimento
non sono tuttavia direttamente confrontabili con la complessa sintomatologia dell'autismo.

2.2.3 Disfunzioni metaboliche e componenti biochimiche

Ricerche dell'ultimo decennio su possibili alterazioni biochimiche nell'autismo hanno


consentito l'individuazione di una disfunzione dopaminergica in diversi casi che,
considerato il ruolo del sistema dopaminergico in generale, potrebbe dar conto della
complessa sintomatologia dell'autismo.
Sono diverse,comunque,le disfunzioni metaboliche che possono essere correlate con
l'autismo e da esse sono scaturiti numerosi approcci che riscuotono al momento svariati
consensi, data la loro rilevanza "pratica".
Shattock , partendo dalla constatazione di Panksepp sulla somiglianza tra la sintomatologia
dovuta ad assunzione cronica di oppioidi e quella dell'autismo,(Panksepp 1979)ha
analizzato con la HPLC (Cromatologia Liquida ad Alta Resa) le urine di alcuni soggetti
affetti o con disturbi correlati, rilevando l'effettiva presenza di elevati livelli di oppioidi
(come la beta-endorfina) nel SNC, che potrebbero essere dovuti a un'incompleta scissione
del glutine e della caseina o al fatto che glutine e caseina potrebbero creare dei ligandi per
enzimi preposti alla scissione degli oppioidi naturali, con un conseguente accumulo di
endorfine per un tempo più lungo.(Shattock,1991)
Questo spiegherebbe anche le osservazioni di Reichelt, che mostrarono un elevato
tasso di prodotti della scissione del glucosio di alcuni cereali e prodotti caseari (glutine e
caseina, appunto).(Reichelt,1981).
Gli oppioidi sarebbero quindi responsabili dell'inibizione della trasmissione nei
principali sistemi di neurotrasmettitori esistenti. Agli oppioidi potrebbero anche essere
dovute alcune alterazioni del sistema immunitario nell'autismo.Dato il loro ruolo nei
processi di specializzazione neuronale nello sviluppo neonatale, ad un elevato tasso di
peptidi oppioidi potrebbe essere dovuta un'eccessiva riduzione di neuroni, come sembrano
dimostrare le anomalie rilevate nel SNC di persone con autismo.
L'autore ribadisce che il passaggio nel SNC di alcune sostanze ad esso nocive non è di
solito impedito del tutto dalla barriera ematoencefalica, che risulterebbe quindi

15
parzialmente permeabile ad alcune particelle dagli effetti trascurabili. Se la concentrazione
ematica di esse cresce, è possibile che la quantità di sostanze dannose che oltrepassano la
barriera, sia tanto grande da produrre effetti negativi. Ciò può accadere sia perché la
metabolizzazione di sostanze nocive per il SNC non è sufficiente, sia perché la
permeabilità delle pareti intestinali si rivela eccessiva.
Shattock ricorda che esistono livelli differenti di approccio all'autismo e pertanto un
modello del genere non esclude né è in contrasto con quello genetico o con un intervento
psicopedagogico. Un intervento sulla dieta infatti, più che una terapia potrebbe favorire la
creazione di un "ambiente interno" che favorisca il raggiungimento degli obiettivi di
crescita e di sviluppo che solo un adeguato intervento pedagogico è in grado di garantire.

2.2.4 Genetica

Diversi indizi portano attualmente a ipotizzare che la componente genetica abbia un


ruolo rilevante nella Sindrome autistica. La maggior incidenza del disturbo nei maschi si
potrebbe per esempio attribuire ad anomalie dei cromosomi sessuali, tanto più che le
manifestazioni sintomatiche nelle femmine sono più gravi.
Anche i dati ottenuti da ricerche sui familiari di soggetti con autismo depongono a
favore di un'eziologia genetica del disturbo: da una ricerca della UCLA (Utah), negli anni
'80, su 44 nati in 11 famiglie dove il padre aveva una diagnosi di autismo, emerse che 25
ricevevano in seguito la medesima diagnosi, in accordo con l'osservazione che un genitore
trasmette al proprio figlio circa metà dei suoi geni. Il fatto che chi effettuò le diagnosi era a
conoscenza dei problemi del genitore, potrebbe però incidere negativamente sulla validità
dei risultati.
Comportamenti autistici si possono anche osservare in persone con cromosoma X
fragile, nelle quali vi è un'anomalia cromosomica accertata, e in quelle con Disturbo di
Rett, con tutta probabilità dovuto ad un carattere recessivo sul cromosoma X, dato che solo
le femmine ne risultano affette.
Di difficile verifica risulta una teoria secondo la quale potrebbero intervenire
mutazioni genetiche occasionali nel passaggio di cromosomi da una generazione all'altra.
È stata anche ipotizzata una predisposizione genetica ai danni cerebrali causati da
agenti accidentali, conseguentemente all'osservazione di alcune correlazioni tra
l'esposizione al virus della rosolia in gravidanza e l'autismo alla nascita, che non esclude
tuttavia un'ipotesi alternativa per cui l'autismo, più che da una predisposizione,

16
dipenderebbe da quale area del cervello entra per caso in contatto con l'agente nocivo.
È stato anche osservato che fratelli di persone affette da autismo, oltre ad una
probabilità più elevata del resto della popolazione d'essere a loro volta affetti, sono
significativamente più esposti al rischio di ritardo mentale, disturbi del linguaggio o della
socializzazione. Non si può comunque escludere con certezza che ciò sia da attribuire al
tipo di ambiente familiare "più a rischio", come ipotizzato dai sostenitori del modello
psicodinamico.
Un'incidenza maggiore di comportamenti autistici è stata anche osservata in pazienti
affetti da disturbi a base genetica accertata, quali l'X fragile, la sclerosi tuberosa e la
fenilchetonuria.
Risultati più interpretabili si sono ottenuti da una ricerca condotta su coppie di
gemelli, dalla quale è emersa un'elevata probabilità di una diagnosi di autismo anche per
gemello monozigote di una persona affetta, molto maggiore di quella di un gemello
dizigote. È tuttavia quasi certa un'interazione tra fattori genetici e ambientali, poiché non
necessariamente il gemello omozigote di un paziente con autismo riceve la stessa diagnosi.
Da una ricerca di Folstein e Rutter(1977) è risultata per esempio importante l'influenza dei
fattori perinatali, dato che se nelle coppie di gemelli omozigoti solo uno dei due era affetto,
si trattava quasi sempre di quello che era incorso in maggiori difficoltà durante il parto.
Secondo i sostenitori di modelli psicogeni dell'autismo, tali risultati si potrebbero però
interpretare alla luce di una somiglianza caratteriale tra gemelli omozigoti da cui
deriverebbero le stesse risposte da parte dell'ambiente per entrambi e quindi anche uguali
interazioni patogene.

2.3 TEORIE SISTEMICO-RELAZIONALI.

Nonostante gli autori appartenenti all'approccio sistemico-relazionale, più interessati


ai processi psicotici rispetto ai disturbi generalizzati dello sviluppo, non affrontino il tema
in maniera diretta, è possibile tentare un inquadramento dell'autismo nelle interazioni
triadiche familiari.
Il sintomo si configurerebbe come una risposta attiva del figlio, così da manifestare la
sua resistenza ad essere educato, a causa delle dinamiche relazionali della coppia
genitoriale, caratterizzata da un gioco di stallo di poco precedente alla nascita del bambino,
e che avrebbe fatto sentire la madre vuota, rendendola incapace di far fronte ai bisogni del
figlio.

17
Secondo Selvini Palazzoli il gioco di stallo consiste nel coinvolgimento del figlio in
un'immaginaria partita dei genitori in cui egli si trova ad essere schierato con uno dei due
contro l'altro.Alle grandiose aspettative di gratificazione affettiva del matrimonio,
seguirebbe per la coppia la delusione di un rapporto coniugale basato sulla dipendenza ed
un'attribuzione di colpa reciproca riguardo la malattia del "paziente designato", e tutto ciò
contribuisce alla patologia del figlio.Caratteristici della madre di un bambino con autismo,
risultano i tratti di inadeguatezza riguardo i bisogni di un figlio dotato di particolare
sensibilità.Il ruolo del padre sarebbe quello di figura buona, un "mammo ipertollerante"
che ripara in qualche modo alle carenze materne.
L'incapacità di comunicare del bambino si spiegherebbe come un tentativo di alleanza col
padre "buono" contro una madre "cattiva", mente i fratelli non entrerebbero in questa
relazione triadica.Il quadro sarebbe anche complicato dall'interferenza della nonna
materna, nel suo tentativo di supplire alle carenze materne della figlia immatura, ma
principalmente per evitare il biasimo sociale.(Selvini Palazzoli,1988)

2.4 TEORIE COGNITIVE

2.4.1 Teoria della mente di Uta Frith

Sul finire degli anni '80 fu proposto anche un modello cognitivo basato sulla teoria
della mente, proposta da Uta Frith(1989), la quale ipotizza che nell'autismo la disfunzione
cognitiva da cui deriverebbero gli altri sintomi consista in un'incapacità di rendersi conto
del pensiero altrui, sarebbe cioè carente o assente proprio la teoria della mente. La mente è
ciò che è posto tra cervello e comportamento, ed è a questo che fa riferimento il termine
"cognitivo".
Nel 1979 Wing e Gould distinsero tre diverse tipologie di persone affette da autismo:
aloof (isolati), abbastanza simili ai pazienti descritti da Kanner; passive, cioè passivi,
soprattutto nei confronti dell'ambiente circostante; e odd (bizzarri), socialmente attivi, ma
con comportamenti incongruenti e inconsueti.
Da uno studio degli stessi autori è emerso che disturbi della socializzazione, della
comunicazione e dell'immaginazione hanno la tendenza ad apparire insieme piuttosto che
isolatamente. Essendo questa caratteristica particolarmente evidente nell'autismo, da allora
si preferì diagnosticarlo in base a queste tre aree sintomatiche.
Questo metodo di classificazione rischia però di non tener conto di altri aspetti peculiari

18
del disturbo, se pure non presenti nella totalità dei pazienti, quali le "savant abilities", le
stereotipie, i comportamenti autostimolatori (come dondolarsi) e la preoccupazione
ossessiva per il mantenimento dell'immutabilità degli ambienti o delle abitudini.
Secondo una teoria di Benda l'apparente mancanza di affettività dei bambini con autismo
sarebbe piuttosto da attribuire ad un'incapacità di astrazione da cui deriverebbero le
difficoltà di contatto con l'ambiente e nella manipolazione di simboli.
Più recentemente, a suscitare un certo interesse nel mondo accademico, è stata la
teoria della mente che le persone con autismo si costruiscono riguardo gli altri, ossia il loro
modo di immaginare cosa essi pensano, proposta nuovamente da Frith, secondo la quale un
malfunzionamento del cervello si rispecchia in un malfunzionamento della mente, da esso
prodotta e produttrice a sua volta del comportamento. L'autrice ricorda quanto sia difficile
stabilire se a cambiamenti nei comportamenti osservabili in base ai quali si definisce
l'autismo corrispondano poi effettivamente cambiamenti nella sfera cognitiva o
neurologica, pertanto risulta ardua la determinazione di un comune denominatore di tutti i
casi di autismo, obiettivo che invece si pone lo studio della teoria della mente in persone
affette.
L'approccio si fonda sull'ipotesi di un'incapacità, negli individui con autismo, di
attribuire correttamente all'altro stati mentali come conoscenze o credenze, probabilmente
a causa di un danno della facoltà metarappresentazionale, con una conseguente
compromissione dei processi di mentalizzazione, forse innati, da cui risulta un pensiero
concreto, basato esclusivamente su eventi della realtà direttamente
osservabili.Quest'ipotesi risale ad un'iniziale proposta di Leslie di considerare il gioco di
ruolo nei bambini in generale come se fosse basato su un meccanismo cognitivo che
permettesse loro di immagazzinare separatamente eventi fisici (reali) e mentali (di ruolo).
Visto che nei bambini affetti da autismo il gioco di ruolo appare in effetti molto più
povero, in confronto a bambini con handicap differenti, Leslie e Frith(1985) indagarono la
possibilità dell'esistenza di una reale incapacità dei bambini con autismo di registrare gli
stati mentali separatamente da quelli fisici.
La ricerca si svolgeva sotto forma di gioco in cui ai soggetti erano presentate due bambole:
una, Sally, portava un cestino e l'altra, Ann, aveva una scatola. Sally usciva a passeggio
dopo aver messo una biglia nel proprio cestino e averlo coperto con un panno. Intanto Ann
prendeva la biglia dal cestino e la nascondeva nella propria scatola. A questo punto Sally
tornava, con l'intenzione di giocare con la biglia e la domanda che veniva posta era: dove
avrebbe guardato Sally per prendere la biglia? L'elemento fondamentale di cui avrebbero

19
dovuto tener conto i soggetti era che Sally non poteva essere a conoscenza di quanto Ann
aveva fatto in sua assenza.
Erano in grado di rispondere al quesito sia bambini normali di quattro anni che
bambini affetti da Sindrome di Down, i quali, su richiesta, erano anche in grado di spiegare
che Sally era ignara delle azioni di Ann durante la sua assenza, dimostrando così, grazie
alla comprensione che qualcuno può avere una "credenza errata" (false belief) su una
situazione, d'essere capaci di attribuire uno stato mentale ad un altro, in modo da aver
maggiori possibilità di prevederne il comportamento: nella storia proposta è plausibile
aspettarsi che Sally, dopo aver inizialmente cercato la biglia nel cestino non la trovi.
Secondo gli autori dalla comprensione di un'errata credenza deriva quella di una "credenza
vera" (true belief), ossia è possibile capire emozioni sentimenti e desideri dell'altro.
Bambini affetti da autismo, di età anche molto superiore ai 4 anni, incorsero invece in
grosse difficoltà nel tentativo di rispondere alla domanda, affermando per esempio,
nonostante il ricordo corretto della sequenza degli eventi, che Sally avrebbe cercato nella
scatola di Ann, così da dimostrare quindi di non riuscire a cogliere il senso di quanto
accaduto e comprendere che Sally ha una falsa credenza. Il comportamento di Sally
diventa imprevedibile se non vi è comprensione dei suoi pensieri poiché, secondo gli
autori, il non inferire una falsa credenza significa non essere in grado di conoscere gli stati
mentali altrui. Nell'esempio sarebbe inspiegabile che Sally vada a cercare la biglia nel
posto sbagliato, cosa che invece accade nelle persone con autismo, proprio perché potrebbe
mancare in loro una teoria della mente.

2.5. TEORIE COGNITIVO- COMPORTAMENTALI.

Centro d'interesse di questo approccio è l'acquisizione di abilità, per l'autonomia, in


quanto l'autismo viene considerato come una carenza o un eccesso di comportamenti, che è
possibile modificare.
Meazzini ricorda come il rapporto persona-ambiente sia basato su una circolarità
reciproca che, in un contesto ecologico comportamentale, troverebbe forma nel concetto di
Determinismo Circolare di tipo interazionistico, secondo la prospettiva di un individuo-
sistema a sua volta costituito da diversi sottosistemi integrati (repertorio affettivo-
motivazionale, cognitivo, e socio-interpersonale).
Il comportamento di una persona con handicap è visto quindi come la risultante di
molteplici cause come disturbi organici di origine genetica, ambiente, stato fisico attuale e

20
il tipo di repertori in possesso dell'individuo derivati dalla sua teoria di apprendimento.
Focalizzando l'attenzione sulle determinanti ambientali dei comportamenti
problematici nell'autismo, i sostenitori del modello comportamentale ipotizzano una
carenza di rinforzi per i comportamenti adattivi del bambino ed un loro eccesso per quanto
riguarda invece alcuni comportamenti autostimolatori e ripetitivi.

2.6 TEORIE ETOLOGICHE

Le teorie etodinamiche partono dall'osservazione etologica del comportamento sia del


soggetto con disturbo Autistico sia delle persone con le quali interagisce e si articolano
secondo le sequenze con le quali si svolge lo sviluppo relazionale normale, in particolare la
intersoggettività primaria e secondaria di cui abbiamo parlato in precedenza.
I principi etologici presi in considerazione possono riguardare quelle attività che si
svolgono in un contesto di avvicinamento all'altro: per esempio, i modi affettuosi,
amichevoli, esplorativi dell'altro che possono essere particolarmente ridotti in alcuni
soggetti autistici. In questi casi vi sono delle modalità di rapporto, soprattutto basate sul
rapporto di reciprocità faccia a faccia che, specie nei bambini più piccoli, possono essere
utili sia nel migliorare questo tipo di relazione diretta sia quella collaborativa.
Le modalità relazionali vanno di pari passo: per esempio, un bambino di tre anni che
ha avuto in precedenza una regressione di tipo autistico spesso ha perso molti dei modi di
rapporto che sono propri della intersoggettività primaria: per questa ragione la relazione
con lui deve riproporsi con modi di reciprocità corporea e verbale che in un bambino più
piccolo favoriscono la comprensione e l'espressione del linguaggio. Uno degli obiettivi
principali é quello di creare nel bambino una motivazione positiva sia a interagire che a
collaborare: é per questa ragione che spesso é utile far uso di varie forme di attivazione,
verbale e motoria, come prendere per mano e far correre o saltare il bambino, mettendolo
in uno stato di disponibilità e di contentezza per cui, subito dopo, diventa pronto a
collaborare per vari obiettivi cognitivi

21
CARATTERISTICHE DELL’AUTISMO, CLASSIFICAZIONE E DIAGNOSI

L'autismo è caratterizzato dall'alterazione dalle aree di sviluppo rappresentate dalla


reciprocità sociale, dalla capacità comunicativa e dalla presenza di modalità ripetitive e
stereotipate di comportamento.
Si delineano tre domini principali in cui si riscontrano alterazioni, atipie e
deviazioni che, considerate nel loro insieme, configurano il disturbo autistico.

Le anomalie delle interazioni sociali sono il nucleo principale dello spettro autistico e
sono le più importanti ai fini diagnostici.
Le alterazioni delle competenze comunicative, associate a comportamenti ripetitivi,
guidano la diagnosi nelle fasi precoci.

Le manifestazioni cliniche si osservano per definizione entro i tre anni di vita,


solitamente insorgono nel secondo anno di vita, manifestando talvolta segni di disfunzione
e regressione dello sviluppo già evidenti nel primo anno di vita (Tanguay, Robertson e
Derrik 1998).

22
23
3.1 ANOMALIE DELLE INTERAZIONI SOCIALI

L'aspetto principale e specifico è dato dalla compromissione qualitativa delle


competenze sociali e relazionali.
L'isolamento, la scarsa iniziativa nel rapporto diretto, l'indifferenza alle relazioni
sociali, sono le componenti maggiormente distintive e specifiche dell'autismo.
È presente una tendenza del bambino ad isolarsi dall'ambiente, spesso in attività
scarsamente finalizzate; ciò avviene sia rispetto alle figure affettive primarie, come
genitori, parenti, sia rispetto a persone sconosciute.
I comportamenti affettivi ed emotivi nei confronti delle figure di attaccamento sono
scarsi, è presente l'attaccamento nei confronti della madre, ma è instabile e frammentario.
Non sono evidenti l'iniziativa la reciprocità affettiva, osservabili nello sviluppo
normale; Nelle fasi precoci del disturbo, la ricerca dell'altro è quasi totalmente legata alla
soddisfazione dei bisogni; La chiusura autistica si manifesta nell'indifferenza al contesto
relazionale; La ricerca spontanea di interazione con i coetanei è molto scarsa, se non del
tutto assente. Lo sguardo è raramente diretto verso l'interlocutore.
I bambini autistici prediligono in generale la solitudine e manifestano disappunto ai
tentativi di interazione diretta che vengono proposti.
Nelle fasi successive è frequente che queste anomalie del comportamento sociale si
modifichino e si manifestino maggiore interesse e disponibilità al contesto sociale.
All'età di 5-6 anni l'attaccamento nei confronti della madre diviene progressivamente
più stabile ed intenso, che si manifesta con reazioni anche marcate alla separazione e
ricerca del rapporto diretto.Si attenua cosi l'isolamento affettivo che nelle fasi iniziali
dominava, con maggiori possibilità per i genitori di svolgere un ruolo attivo nella vita del
bambino. Anche in queste epoche l'interesse per i coetanei permane scarso, sia nella
condivisione del gioco sia nelle relazioni dirette.
Il successivo passaggio all'adolescenza non causa cambiamenti di rilievo nelle
competenze sociali: permane scarsa iniziativa, le abitudini bizzarre presenti nelle fasi
precedenti si mantengono stabili.
La difficoltà nel comprendere le emozioni ed i sentimenti altrui è uno dei fattori di
maggiore importanza all'origine della distorsione dello sviluppo relazionale; l'incapacità di
interpretare il punto di vista degli altri ostacola il rapporto empatico e lo sviluppo di
relazioni affettive stabili con i coetanei.
È importante sottolineare che i ragazzi con disturbo autistico possiedono un

24
patrimonio emotivo spesso ricco e vario, hanno le loro preferenze, provano simpatie e
antipatie,ma hanno spiccate difficoltà a comprendere la rete di scambio comunicativo in
cui è necessario interpretare le intenzioni e I sentimenti altrui e comprendere I messaggi
non verbali ed impliciti nella comunicazione.Tutto ciò limita la possibilità di sostenere e
approfondire le relazioni umane, impedisce verosimilmente l'accesso a forme più
complesse di relazione e preclude lo sviluppo di capacità mature di rapporto sociale.

3.2 ANOMALIE DEL LINGUAGGIO E DELLA COMUNICAZIONE NON


VERBALE

Le anomalie della comunicazione verbale e non verbale hanno notevole importanza e


probabilmente sono in relazione con le difficoltà relazionali descritte, anche se non sono
ancora chiari in rapporti fra queste due aree sintomatiche.
Si possono osservare disturbi del linguaggio molto diversi: dal ritardo dello sviluppo,
allo sviluppo atipico sia delle componenti formali sia di quelle strutturali, fino alle
condizioni di assenza di linguaggio espressivo con marcata alterazione delle comprensione.
Nelle maggioranza dei casi la produzione verbale è solitamente deficitaria. La
comprensione verbale risulta anch'essa frequentemente inadeguata, pur essendo meno
evidente nelle prime fasi del disturbo.
La mancanza di intenzionalità comunicativa è un altro aspetto specifico: la situazione
paradigmatica del disturbo autistico è rappresentata dall'uso del linguaggio solo in
condizioni di necessità con parole singole; l'uso dichiarativo e narrativo del linguaggio è
molto carente. Nel caso si presenti un buon livello espressivo sono frequenti l'alterazione
della prosodia, le ecolalie, le inversioni pronominali e le sostituzioni e omissioni lessicali
fonologiche.
Le ecolalie possono essere immediate con ripetizioni di quanto detto dall'interlocutore
contestualmente o differite quando la ripetizione avviene successivamente.L'uso dei gesti a
scopo dichiarativo è fortemente deficitario; l'assenza del gesto è considerata un segno
patognomonico in epoca molto precoce, già al primo anno.La sua assenza si riscontra
specificatamente nel disturbo autistico, riflette la mancanza di attenzione congiunte ovvero
di condivisione di eventi emotivamente significativi.Non viene manifestato l'interesse per
condividere oggetti, situazioni contingenti, emozioni.Il gioco simbolico e di finzione è
assente come conseguenza della carenza nelle attività rappresentative, l'uso di oggetti è di
tipo meccanico, le capacità immaginative sono spesso carenti.

25
3.3 ATTIVITA’ STEREOTIPATE

Le modalità ripetitive di comportamento si manifestano con stereotipie motorie,


interessi ristretti, uso degli oggetti poco funzionale ed anomalo, rigidità nelle abitudini di
vita che si espandono, quindi, da semplici movimenti ripetitivi a complessi rituali.Le
stereotipie rappresentano una problematica di rilievo, interferiscono con lo svolgimento
delle attività finalizzate, hanno una possibile componente di autostimolazione e si
manifestano in risposta a diversi eventi ambientali. Sono movimenti ripetitivi afinalistici,
spesso con caratteri bizzarri, con ricorrenza di alcuni pattern tipici, come lo sfarfallio delle
mani, deviazione dello sguardo, andatura sulla punta dei piedi. Le stereotipie non sono
specifiche dell'autismo perché sono frequenti anche in bambini con ritardo cognitivo e con
gravi disturbi sensoriali. I comportamenti autoaggressivi sono la forma più grave di
stereotipia: i bambini con autismo possono presentare diverse forme di autolesività, si
picchiano e si mordono provocandosi lesioni e ferite. Le condotte autoaggressive
costituiscono una problematica maggiore perché sono rischiose per il benessere generale e
sono destabilizzanti per il contesto sociale.È necessario pianificare le misure adeguate per
prevenirle ed affrontale; l'analisi funzionale del comportamento può far individuare i fattori
scatenanti su cui poter intervenire, le difficoltà di comunicazione e le frustrazioni sono
spesso all'origine di queste manifestazioni.
L'uso degli oggetti è spesso improprio; gli oggetti non vengono utilizzati per la loro
funzione; si osservano aspetti idiosincratici e bizzarri; spesso i giochi vengono sbattuti per
cercare lo stimolo sonoro. È importante sottolineare che l'uso inappropriato degli oggetti è
funzione del livello cognitivo: gli aspetti più accentuati prevalgono, infatti, nei bambini
con maggiore ritardo.
Sono inoltre presenti interessi spiccati per tematiche settoriali e bizzarre come numeri
di telefono, mappe, date di nascita.
È presente la tendenza a mantenere rigidamente alcune abitudini di vita che diventano
dei veri e propri rituali, attuati con modalità ripetitive strutturate. Alcuni esempi sono:
seguire lo stesso percorso per raggiungere un luogo, usare gli stessi vestiti, non cambiare la
disposizione degli oggetti in una stanza. La resistenza al cambiamento è marcata, possono,
infatti, scaturire crisi di ansia e di collera intensa in conseguenza a cambiamenti inaspettati.
Altre problematiche cliniche di frequente riscontro sono le reazioni d'ansia e le crisi di
agitazione anche nei bambini in età prescolare, mentre nei bambini più grandi possono

26
creare difficoltà significative nel controllo delle crisi. Sono di comune osservazione
numerosi disturbi comportamentali che richiedono attenzione specifica, ad esempio
l'iperattività è spesso intensa e persistente ed è associata a notevole labilità attentiva che
ostacola l'attuazione di interventi rieducativi. I disturbi del sonno sono spesso ostinati e le
difficoltà di adattamento generale provocano anomalie del comportamento di difficile
gestione.

3.4 CRITERI DIAGNOSTICI

La definizione di categorie per la classificazione del disagio mentale e dei disturbi di


sviluppo che si manifestano in età precoce è di fondamentale importanza per numerose
ragioni:
 Un sistema di classificazione fornisce ai clinici e ai ricercatori un valido strumento
per organizzare le loro osservazioni;
 Un sistema di classificazione può essere di aiuto ai clinici nella valutazione e nella
formulazione di piani di intervento o per il monitoraggio dei casi;
 Un sistema di classificazione fornisce ai clinici e ai ricercatori un linguaggio
comune che può essere utilizzato per lo scambio di informazioni, per la raccolta di
dati sistematici sui diversi tipi di disturbi; in questo modo, esso contribuisce, con
l’andar del tempo, a migliorare la comprensione delle patologie, dei fattori che
influenzano il loro decorso e della natura ed efficacia degli interventi messi in atto.
La disquisizione sulle categorie diagnostiche possono risultare più fruttuose se queste
servono ad individuare le difficoltà di adattamento e di sviluppo che l’individuo è chiamato
a risolvere. Conoscere sia le capacità adattive sia gli ostacoli da superare è un prerequisito
essenziale per la programmazione e la messa in atto di un intervento efficace.
Diversi sono i possibili approcci alla creazione di un sistema di classificazione. In
medicina, tuttavia, le diagnosi tendono a configurasi come descrizioni di un gruppo di
sintomi o pattern di comportamento. Nel momento in cui si giunge a una comprensione dei
meccanismi fisiologici disfunzionali, le categorie descrittive divengono via via più
funzionali: una volta individuati i fattori eziologici, le categorie diagnostiche rifletteranno i
fattori che causano la patologia.

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Le principali classificazioni sono:

 La Classificazione Americana del DSM IV

 La Classificazione dell'organizzazione mondiale

3.4.1 La Classificazione Americana

Il DSM, come è noto, è una classificazione diagnostica e statistica curata


dall’American Psychiatric Association, giunta alla sua quarta edizione, che riguarda
soprattutto i disturbi mentali dell'adulto e ha una parte dedicata a quelli che insorgono
nell'infanzia e nell'adolescenza.
Le psicosi dell’infanzia sono definite sotto la categoria Disturbi generalizzati dello
sviluppo che comprende:
 Disturbo autistico;

 Disturbo di Asperger;

 Disturbo disintegrativo della fanciullezza;

 Disturbo di Rett;

 Disturbo generalizzato dello sviluppo non altrimenti specificato.

Il Disturbo autistico corrisponde a quello che in altre classificazioni viene chiamato


autismo infantile precoce e autismo di Kanner. I criteri diagnostici per il Disturbo
autistico, secondo il DSM IV sono un totale di sei (o più) voci da 1), 2), e 3), con
almeno due da 1), e uno ciascuno da 2) e da 3):

1. Compromissione qualitativa dell’interazione sociale, manifestata con almeno 2 dei


seguenti:
 Marcata compromissione nell’uso di svariati comportamenti non verbali,
come lo sguardo diretto, l’espressione mimica, le posture corporee e i gesti
che regolano l’interazione sociale;
 Incapacità di sviluppare relazioni con i coetanei adeguate al livello di
sviluppo;

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 Uso di linguaggio stereotipato e ripetitivo o linguaggio eccentrico;
 Mancanza di ricerca spontanea nella condivisione di gioie, interessi o
obiettivi con altre persone (per esempio non mostrare, portare, né richiamare
l'attenzione su oggetti di proprio interesse).

2. Compromissione qualitativa della comunicazione come manifestato da almeno 1 dei


seguenti:
 Ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio parlato (non
accompagnato da un tentativo di compenso attraverso modalità alternative
di comunicazione come gesti o mimica);
 In soggetti con linguaggio adeguato, marcata compromissione della capacità
di iniziare o sostenere una conversazione con altri;
 Mancanza di giochi di simulazione vari e spontanei, o di giochi di
imitazione sociale adeguati al livello di sviluppo.

3. Modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati, come


manifestato da almeno 1 dei seguenti:
 Dedizione assorbente ad uno o più tipi di interessi ristretti e stereotipati
anomali o per intensità o per focalizzazione;
 Sottomissione del tutto rigida ad inutili abitudini o rituali specifici;
 Manierismi motori stereotipati e ripetitivi (battere o torcere le mani o il
capo, o complessi movimenti di tutto il corpo);
 Persistente ed eccessivo interesse per parti di oggetti;

B. Ritardi o funzionamento anomalo in almeno una delle seguenti aree, con esordio
prima dei 3 anni di età:

 interazione sociale
 Linguaggio usato nella comunicazione sociale;
 Gioco simbolico o di immaginazione.

29
3.4.2 Classificazione dell'Organizzazione Mondiale

L'International Classification of Disease è una classificazione internazionale di tutte le


malattie curata dall’O.M.S., che contiene una sezione, la quinta, dedicata ai disturbi
psichiatrici.
Le psicosi infantili vengono classificate nella categoria delle Sindromi da alterazione
globale dello sviluppo psicologico che comprende:
 Autismo infantile;

 Autismo atipico;

 Sindrome disintegrativa dell'infanzia di altro tipo;

 Sindrome iperattiva associata a ritardo mentale e movimenti stereotipati;

 Sindrome di Rett;

 Sindrome di Asperger;

 Altre sindromi da alterazione globale dello sviluppo psicologico;

 Sindrome non specificata da alterazione globale dello sviluppo psicologico.

Molte delle categorie utilizzate per le Sindromi da alterazione globale dello sviluppo
sono completamente sovrapponibili a quelle dei Disturbi Generalizzati dello Sviluppo
descritte dal DSM IV. Ciò vale in particolare per l’Autismo Infantile definito come il
Disturbo autistico del DSM IV, la Sindrome di Rett (Disturbo di Rett), la Sindrome
disintegrativa dell’infanzia di altro tipo (Disturbo disintegrativo della fanciullezza),
Sindrome di Asperger (Disturbo di Asperger), la Sindrome non specificata da alterazione
globale dello sviluppo psicologico (sovrapponibile al Disturbo generalizzato dello sviluppo
N.A.S. del DSM IV, in cui però è compreso anche il quadro dell’Autismo atipico).

Il Disturbo disintegrativo della fanciullezza è una categoria diagnostica che viene


denominata, all'interno di altre classificazioni, come Sindrome di Heller o psicosi
disintegrativa. Circa la prevalenza non ci sono dati epidemiologici chiari, anche se si
ritiene che questo disturbo sia molto raro e più presente nei maschi. A differenza del
Disturbo autistico, questo disturbo esordisce dopo un periodo di sviluppo apparentemente
normale nei primi due anni a cui segue:
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A. Perdita clinicamente significativa di capacità di prestazione già acquisite in
precedenza (prima dei 10 anni) in almeno due delle seguenti aree:
 Espressione o ricezione del linguaggio
 Capacità sociali o comportamento adattivo
 Controllo della defecazione e della minzione
 Gioco
 Abilità motorie

B. Anomalie del funzionamento in almeno due delle seguenti aree:


 Compromissione qualitativa dell'interazione sociale (per es., compromissione dei
comportamenti non verbali, incapacità di sviluppare relazioni con i coetanei,
mancanza di reciprocità sociale o emotiva);
 Compromissioni qualitative della comunicazione (per es., ritardo o mancanza del
linguaggio parlato, incapacità di iniziare o sostenere una conversazione, uso
stereotipato e ripetitivo del linguaggio, mancanza di giochi vari di imitazione);
 Modalità di comportamento, interessi ed attività ristretti, ripetitivi e stereotipati,
incluse stereotipie motorie e manierismi.
L’Autismo Atipico viene differenziato dall'Autismo infantile perché pur essendoci una
compromissione dello sviluppo, anomalie nell'interazione sociale e nella comunicazione e
stereotipie di comportamento, queste si evidenziano anche dopo i tre anni (Atipicità nell'età
di esordio), oppure, pur evidenziandosi prima dei tre anni, non soddisfano completamente
tutti i tre gruppi di sintomi principali (Atipicità nella sintomatologia), analoghi a quelli
indicati al punto B. dei criteri per il Disturbo Autistico del DSM IV.
Un’altra categoria che compare nell'ICD 10 e non nel DSM IV è quella della Sindrome
iperattiva associata a ritardo mentale e movimenti stereotipati, che descrive bambini con
ritardo mentale grave e medio (Q.I. inferiore a 50), gravi problemi di iperattività, deficit
attentivo e, molto spesso, comportamenti stereotipati. Questa sindrome si associa con vari
deficit dello sviluppo, globali o specifici. Viene tuttavia considerata dallo stesso ICD 10,
come mal definita, di incerta validità nosologica.

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TRATTAMENTI PER I SOGGETTI AUTISTICI

Attualmente non esiste un’unica cura per l'autismo: le terapie o gli interventi vengono
scelti in base ai sintomi individuali. Le terapie meglio studiate comprendono interventi
educativi/comportamentali in ambiente strutturato adattato alle difficoltà specifiche
dell'autismo e farmacologici.
Sebbene questi interventi non curino l'autismo, spesso portano ad un miglioramento
sostanziale.

4.1 IL PROGRAMMA TEACCH

Con il termine "Programma TEACCH", acronimo di Treatment and Education of


Autistic and Communication Handicaped Children si intende indicare I' organizzazione dei
servizi per persone autistiche realizzato nella Carolina dei Nord, che prevede una presa in
carico globale dei soggetti autistici. Ideato e progettato da Eric Schopier negli anni '60,
venne sperimentato nella Carolina dei Nord per un periodo di 5 anni con l'aiuto dell'Ufficio
all'Educazione e dell'Istituto Nazionale della Sanità. Dati i risultati estremamente positivi
raggiunti, dagli anni '70 il programma TEACCH è ufficialmente adottato e finanziato dallo
Stato.
In Europa la maggior parte delle scuole o delle classi specializzate per bambini autistici
e dei centri di inserimento al lavoro o residenziali per adulti sono attualmente organizzati
su modello dei programma TEACCH. L'Olanda e i paesi scandinavi hanno realizzato
strutture di presa in carico globale e continuativa sul modello dalla Carolina dei Nord.
Il programma TEACCH è concepito in funzione della definizione di Autismo collane
disturbo generalizzato dello sviluppo caratterizzato dalla triade sintomatologica descritta
nel DSM (Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders, Associazione psichiatrica
Americana) III e IV, e nell'ICD (International Classification of Deseases and disorders,
Organizzazione Mondiale della Sanità) 10: la diagnosi di Autismo si deve quindi basare su
test appropriati che evidenzino un disturbo nell'area della comunicazione e della
socializzazione, e la presenza di interessi limitati e ripetitivi. Poiché l'educazione è
essenzialmente comunicazione, in presenza di un disturbo della comunicazione, un'attività
educativa non potrà non avvalersi di strategie specifiche. Inoltre, se l'integrazione nella
società non può avvenire spontaneamente nel bambino normale, tanto più il bambino

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autistico, portatore di un disturbo congenito della capacità di comprensione sociale, dovrà
poter usufruire di strategie educative appropriate
I principi di base dei TEACCH sono del tutto innovativi rispetto alla concezione
psicogenetica del disturbo autistico: l'autismo non viene più considerato una malattia
mentale, ma un handicap della comunicazione, della socializzazione e della immaginazione
ed il bambino autistico viene visto come un soggetto svantaggiato che dovrà essere aiutato
a sviluppare le sue capacità sfruttando i suoi punti di forza.
Di conseguenza le caratteristiche di approccio sono altrettanto innovativi: viene sentita la
necessità di una collaborazione attiva da parte dei familiari per consentire la
generalizzazione delle competenze acquisite e per garantire una coerenza di approccio in
ogni attività di vita della persona autistica, ma anche per garantire una valutazione
oggettiva delle capacità e del livello di sviluppo di questa.
Sarà inoltre molto importante che durante l'apprendimento il bambino possa essere
gratificato da frequenti successi: una volta valutate le sue capacità, i compiti proposti
saranno quindi scelti non fra le attività in cui fallisce, ma fra le abilità "emergenti", cioè fra
le prestazioni che il bambino riesce a portare a termine con l'aiuto dell'adulto. Per lo stesso
motivo le buone capacità visuo-spaziali delle persone autistiche sono alla base della scelta
di utilizzare strategie comunicative e strutturazione di tipo visivo.
La variabilità estrema della sintomatologia e dei livello di sviluppo nell'ambito della
sindrome autistica richiedono infine una elaborazione strettamente individuale dei
programma educativo, con continue e frequenti rivalutazioni e aggiustamenti; se il
bambino dispone di un buon programma, apprende in un tempo ragionevole; se
l'apprendimento non avviene a breve termine, è il programma che non funziona e che deve
essere rivisto.

4.1.1. La strutturazione

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In passato si pensava che i bambini autistici soffrissero per rifiuto di sentimenti e
desideri: sbagliato. Si sa ora che la persona autistica, a causa dei deficit di comunicazione e
della "cecità sociale" alla base dei disturbo autistico, ha bisogno di una strutturazione
dell'ambiente per rassicurarsi, e che l'ansia diminuisce quando sa esattamente che cosa ci si
aspetta da lui in un certo momento e in un certo luogo, che cosa succederà in seguito,
come, dove e con chi. Un quadro spazio-temporale molto strutturato,comprensibile e
prevedibile, nel quale i punti da reperire siano visibili e concreti, costituisce il primo passo
per poter impostare un lavoro educativo con il bambino autistico. La strutturazione tuttavia
non deve significare rigidità, ma deve essere flessibile, costruita in funzione dei bisogni e
dei livello di sviluppo dei singolo bambino e soggetta a modifiche in ogni momento; né
deve essere fine a se stessa, ma rappresentare un mezzo per aiutare una persona in
difficoltà a causa della propria impossibilità a comunicare.
La strutturazione è suddivisa in:
Strutturazione dello spazio: strutturare lo spazio significa rispondere alla domanda
"Dove?".
Strutturazione del tempo: organizzare il tempo significa rispondere alla domanda
"Quando? Per quanto tempo?"
Strutturazione del materiale di lavoro: strutturare il materiale di lavoro significa rispondere
in modo chiaro e concreto alla domanda "Che cosa?"
Quello che è importante sottolineare è che la struttura di tempo e spazio non è fine a se
stessa, nè un obiettivo da raggiungere, bensì uno strumento evolutivo, un mezzo per aiutare
la persona autistica a raggiungere una migliore padronanza dei proprio ambiente e della
propria vita.

4.1.2. Il rinforzo

Il rinforzo risponde in modo chiaro e concreto alla domanda "Perché?" Infatti può
essere difficile per il bambino all'inizio di un programma educativo comprendere per quale
motivo deva eseguire dei compiti. Egli ha dunque bisogno di motivazioni concrete
strettamente collegate nel tempo all’esecuzione del compito.Una ricompensa alimentare è
il rinforzo più semplice: spesso tuttavia si può ben presto sostituire con il rinforzo sociale,
costituito da lodi e complimenti. Anche il permesso di dedicarsi ad una attività preferita,
non importa se stereotipata, può costituire un rinforzo adeguato.
4.1.3. L'aiuto
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L'aiuto risponde in modo chiaro e concreto alla domanda "come?". Se infatti non
possiamo utilizzare efficacemente le istruzioni verbali per spiegare il compito, un aiuto
fisico o visuale costituirà il modo più semplice per illustrare al bambino autistico come
dovrà eseguire il suo compito.
Il grado maggiore di aiuto è costituito dall'aiuto fisico: l'educatore cioè accompagna con la
sua la mano del bambino nell’esecuzione dei compito. In questo caso è importante che il
gesto sia dosato in modo da comunicare un incoraggiamento e che abbia una valenza
esplicativa che il bambino è perfettamente in grado di capire; non deve costituire una
costrizione.
Un altro tipo di aiuto può essere di tipo visuale: è un aiuto di questo tipo indicare con il
dito, o anche, ad esempio, una dimostrazione pratica di come eseguire il compito, purché
naturalmente da parte del bambino ci sia la necessaria attenzione; anche l'aiuto verbale
naturalmente può essere utilizzato.
Anche nel caso dell'aiuto è importante valutare la forma più efficace per ogni singolo caso.

4.1.4 La generalizzazione del compito

Bisogna infine ricordare che il bambino autistico tende ad associare l'apprendimento


con una data situazione o ad un ambiente, mentre ha difficoltà a generalizzare il suo
comportamento: sarà quindi necessario sviluppare dei programmi di generalizzazione
attiva delle acquisizioni. l'apprendimento in ambiente scolastico è solo l'inizio dei
programma educativo, perché è altrettanto importante estendere le competenze acquisite
all'ambiente familiare o in altre situazioni.
La difficoltà di generalizzazione comporta anche la necessità di provvedere in anticipo
a dotare il bambino delle competenze che gli serviranno da adulto per un inserimento
lavorativo.

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4.2 L'INERVENTO PRECOCE COMPORTAMENTALE DI LOVAAS

Intervento Comportamentale precoce di Lovaas e i suoi collaboratori (1987) affermano


che l’intervento comportamentale precoce e intensivo eseguito a casa, utilizzando i metodi
della Applied Behavior Analysis (A.B.A.) consente a molti bambini autistici di arrivare ad
avere una vita normale.
O. I. Lovaas ritiene che il trattamento dei soggetti autistici è migliore se viene effettuato
nel loro ambiente di vita senza una ospedalizzazione. Lo scopo più importante è aiutare i
bambini a vivere e funzionare in un mondo reale e non in uno artificiale; per questo motivo
il luogo del trattamento è quello naturale del bambino (casa, scuola), e il modo di
intervenire consiste nell’insegnamento affidato ai genitori ed ai parenti (" L’autismo.
Psicopedagogia speciale per autistici", O.I. Lovaas, 1990)
La Applied Behavior Analysis usa metodi basati su principi comportamentali
scientificamente stabiliti (apprendimento operante) al fine di costruire repertori
comportamentali socialmente utili e ridurre quelli problematici (Cooper, Heron & Heward,
1987). L’enfasi è posta nell’insegnare al bambino come imparare dall’ambiente normale.
Il trattamento analitico comportamentale per l'autismo si focalizza sull’insegnamento
sistematico di unità di comportamento piccole e misurabili; ogni abilità è suddivisa in
piccoli passi, ognuno dei quali è insegnato separatamente mediante la presentazione di una
serie specifica di istruzioni (esplicite e chiare).
La regola per iniziare ad insegnare un comportamento è sceglierne uno semplice
(prefissato) come, ad esempio, i pasti.
L’allievo arriva così a padroneggiare all’inizio le prime unità che poi vengono coordinate e
messe insieme fino a formare un tutto unico più avanti.
A volte viene aggiunto un aiuto (ad esempio un aiuto fisico) per iniziare, che poi viene
progressivamente diminuito per impedire che il bambino ne diventi dipendente.
Le risposte appropriate sono seguite da conseguenze che funzionano da rinforzo :
quando un bambino fa qualcosa di buono lo si ricompensa immediatamente: appena si
verifica il comportamento corretto il bambino va ricompensato all’istante, comportamento
e ricompensa dovrebbero essere quasi contemporanei.
All’inizio le ricompense (che devono durare solo da 3 a 5 secondi ed essere varie)
possono essere notevoli e concrete (gelati, baci, parole di elogio), ed occorre essere enfatici
nel tono della voce per rendere l’apprendimento divertente, poi via via che il bambino si
sviluppa tali ricompense diventano più sottili (un’occhiata, un riconoscimento anche

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minimo).
Bisogna spostare al più presto possibile la ricompensa dal cibo ad altri tipi più normali
e naturali, come quelli sociali ("bravo", "bene"); poi si passa da una ricompensa continua
ad una parziale, ricompensando solo una volta ogni tanto.
Le risposte problematiche (capricci, stereotipie, comportamenti autoaggressivi, ritiro) non
vengono rinforzate.
Uno scopo prioritario è insegnare al bambino a discriminare tra differenti stimoli (colori,
forme, lettere, numeri, comportamenti appropriati e non).
Le prove di insegnamento sono ripetute molte volte, inizialmente in rapida
successione, finché il bambino dà una risposta facilmente e senza l’aiuto dell’adulto.
Il tempo e la velocità delle sessioni di insegnamento, le opportunità pratiche, e le
conseguenze sono determinate precisamente per ogni bambino e per ogni abilità, le
istruzioni sono altamente personalizzate e adattate allo stile e alla velocità di
apprendimento di ogni bambino.
I risultati delle ricerche condotte da Lovaas e collaboratori (1987) sull’intervento
comportamentale precoce per l’autismo mostrerebbero:
Efficacia: l’intervento precoce basato sui principi della Applied Behavior Analysis
produrrebbe grandi, durevoli, e significativi miglioramenti in molti importanti domini e la
riduzione dei comportamenti problematici; per alcuni questi miglioramenti possono
arrivare al raggiungimento di un normale e completo funzionamento intellettivo, sociale,
accademico, comunicativo e adattivo.
Età per un’efficacia ottimale: l’età ottimale per iniziare un intervento
comportamentale precoce è prima dei 5 anni di età; i migliori risultati sono stati riportati
per bambini che hanno cominciato il trattamento a 2 o 3 anni;
Natura dell’intervento: l’intervento comportamentale è un "pacchetto" di trattamenti
che vengono applicati in modo intensivo e sostenuto (con opportunità di apprendimento
attentamente pianificate). Una importante caratteristica della A.B.A. è che è altamente
individualizzata;
Intensità: i migliori risultati si otterrebbero per quei bambini che hanno seguito
l’intervento comportamentale per almeno 30 ore a settimana, tutti i giorni.
Durata: i migliori esiti si avrebbero con i bambini che hanno praticato questo
intervento intensivo per almeno 2 anni consecutivi, se non di più (Anderson et al., 1987).
Ambiente: in generale si privilegiano per le prime volte ambienti tranquilli e senza
distrazioni, poi il trattamento deve essere esteso ad altri ambienti per produrre effetti

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durevoli e generalizzati. Inoltre, il coinvolgimento dei genitori nel trattamento può essere
una componente cruciale per l’intervento su bambini piccoli, soprattutto se esso ha luogo
in casa (Lovaas, 1987).

4.3. LA COMUNICAZIONE FACILITATA

La tecnica della Comunicazione Facilitata (CF) è stata messa a punto alla fine degli
anni ‘80 da Charley e Biklen e diffusa in seguito soprattutto negli Stati Uniti ed in
Australia.
Per Comunicazione Facilitata si intende un metodo per facilitare la comunicazione in cui
un terapista abilitato - il facilitatore- offre un sostegno alla mano o al braccio di un
individuo con un deficit nella comunicazione per aiutarlo ad indicare delle immagini o
lettere o ad usare una tastiera per digitare un testo. Il presupposto di ciò è che questo
metodo aiuterebbe le persone autistiche o con un grave ritardo mentale a
comunicare.Secondo i sostenitori di questa tecnica, infatti, l'individuo autistico troverebbe
difficoltà a comunicare non perché non vuole o non sa farlo, ma perché non riesce ad
ordinare in sequenza ciò che ha da dire, e non riesce a fare il movimento giusto per
indicare o scrivere quello che avrebbe da dire ma non riesce. In questa difficoltà l'autismo
viene accomunato all'aprassia, ovvero la difficoltà di comunicazione sarebbe causata
dall'aprassia di cui soffrono gli individui autistici.
A sostegno di questa ipotesi viene fatto notare che basta un periodo di addestramento
ad associare parole-immagini, indicare o battere su una tastiera fatto offrendo un sostegno
al braccio della persona sottoposta a tale addestramento, dopodichè l'aiuto viene
progressivamente diminuito fino a toccare soltanto la mano della persona che intanto ha
imparato a comunicare usando sempre più parole ed un linguaggio sempre più strutturato.
L’aiuto successivamente viene ulteriormente ridotto passando ad una facilitazione fatta
ponendo la mano sulla spalla o sulle ginocchia (Bicklen, 1999).
Il metodo ha raccolto numerose critiche ed obiezioni, tra cui da sottolineare è quella
dell'American Psychological Association, i quali obiettano che il metodo è privo di validità
scientifica, che è stato provato che il prodotto della comunicazione facilitata è spesso
diretto o sistematicamente determinato dal facilitatore, e che non sono stati fatti studi
scientifici volti a determinare se i terapisti o facilitatori sono consapevoli del loro grado di
influenza. Per questi motivi, l'APA si oppone all'uso della comunicazione facilitata in
quanto costituirebbe una minaccia di prevaricare i diritti dei pazienti che vengono trattati in

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questo modo.
A favore della Comunicazione Facilitata, viene invece considerato il fatto che essa è
stata utile per molte persone perché ha permesso loro di comunicare, e che se le basi
teoriche e di ricerca non sono del tutto salde, questo non è un motivo sufficiente per
eliminarla completamente senza offrire comunque altre alternative

4.3. LA THERAPIE D'ECHENGE ET DEVELOPPEMENT (TED)

La base di partenza della TED è rappresentata da alcune ricerche neurofisiologiche


che hanno indagato fenomeni come la associazione sensoriale crociata, l’acquisizione e
l’imitazione libera. Da queste ricerche gli studiosi Barthelemy, Hameury e Lelord (1995)
hanno tratto i principi ispiratori della TED, finalizzati a sviluppare le diverse funzioni
psico-fisiologiche: la "tranquillità", la "disponibilità" e la "reciprocità" (Barthelemy et al.,
1995).
Con tranquillità si intende definire in particolare il setting in cui ci svolge l’intervento.
Questo è, in genere, costituito da una stanza di dimensioni limitate, spoglia, in cui sono
presenti un tavolo e due sedie; è spesso presente uno specchio. In questa stanza domina la
calma: così la principale fonte di interesse per il bambino diviene il terapeuta che
solitamente propone lui un’attività o un gioco alla volta. Questa organizzazione del setting
ha lo scopo di favorire al massimo l’attenzione del bambino e la sua decodifica dei
messaggi, riducendo al minimo la presenza di stimolazioni distraenti o confusive.
La disponibilità del terapeuta è finalizzata a facilitare l’apertura del bambino verso il
mondo esterno e a favorire la sua naturale curiosità.
I tentativi del bambino di rompere il suo isolamento sono incoraggiati e si cerca di
sviluppare la sua iniziativa spontanea.
La reciprocità si esplica attraverso giochi ed attività che comportano uno scambio di
oggetti, di gesti, di vocalizzazioni, di emozioni ecc., tra terapeuta e bambino.
Lo scopo della reciprocità è quello di stimolare la comunicazione.
Le attività che vengono proposte al bambino sono quelle contenute nel Progetto
educativo individuale, basato sull’analisi funzionale: riguardano l’attenzione, la
percezione, l’associazione, l’intenzione, la motricità, la capacità di contatto e la
comunicazione.
Il progetto terapeutico complessivo, che può prevedere anche cure mediche e interventi di
operatori diversi, viene definito da tutti i membri dell’équipe che hanno partecipato alla

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valutazione, e concordato con la famiglia.
Il coinvolgimento attivo della famiglia è un’altra delle caratteristiche fondamentali
della TED.
Vi sono casi in cui l’intervento può anche essere condotto con due bambini
contemporaneamente: ciò avviene nel caso in cui lo scopo principale sia di favorire la
socializzazione. Queste situazioni, in genere, vengono attivate qualora i singoli soggetti
abbiano completato una TED classica risultata non particolarmente efficiente nell’area
della socializzazione. Al bambino viene affiancato un altro bambino con analoghe
capacità, bisognoso di sviluppare la comunicazione, ma più calmo.

4.4 TERAPIE FARMACOLIGICHE

L'intervento terapeutico nei disturbi pervasivi dello sviluppo deve essere tipicamente
intensivo, prolungato ed integrato, con associazione di interventi educativi riabilitativi
funzionali, psicologi, sociali, familiari e farmacologici. Le scarse conoscenze sulle basi
neurofisiologiche dell'autismo fanno sì che l'approccio farmacologico a questa patologia
sia ancora principalmente sintomatico, volto a favorire comportamenti più adeguati e
socialmente accettabili, oppure sia mirato a contenere manifestazioni associate in
comorbidità.
I dati attuali indicano che l'intervento farmacologico incide in modo molto marginale
sulla storia naturale del disturbo autistico. La molteplicità fenomenica dei "quadri autistici"
e le scarse conoscenze circa la patogenesi di tale disturbo giustificano i molteplici tentativi
terapeutici con sostanze farmacologicamente anche molto diverse tra di loro di cui si è
cercato di volta in volta di sfruttare l'attività specifica su un sintomo.
Obiettivo prevalente dell'intervento farmacologico diviene quindi quello del controllo
di manifestazioni sintomatiche che possono negativamente influenzare la qualità della vita
e gli altri interventi terapeutici.
Il trattamento deve essere preceduto da una attenta analisi funzionale che evidenzi i
sintomi bersaglio, che possono essere molto diversi nei vari soggetti (stereotipie e condotte
aggressive, disturbi dell'attenzione, alterazioni dell'umore, disturbi del sonno). L'impiego
di queste sostanze in età evolutiva richiede particolare attenzione per l'insorgenza di
possibili effetti collaterali.
Alcuni esempi:
 Nel caso di stereotipie e aggressività: Neurolettici; neurolettici atipici; farmaci che
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agiscono sul sistema degli oppiodi endogeni; nuovi farmaci antipilettici (ancora
poco conosciuti.)
 Disturbi dell'umore: Antidepressivi quali farmaci serotoninergici, triciclici. (I dati
disponibili sono favorevoli rispetto agli effetti collaterali). (Minori conoscenze si
hanno sugli effetti collaterali in corso di trattamenti prolungati, per cui si rende
necessario un attento monitoraggio del farmaco).
 Terapie Vitaminiche ed Altri Supplementi Nutrizionali: vitamina B6 (a
15mg/kg/die), associata o meno a magnesio (5mg/kg/die), e dimetilglicina.
(Attualmente l'efficacia terapeutica é molto criticata) (rischi tossici, quali
neuropatie sensoriali, di trattamenti incongrui con iperdosaggi vitaminici).

4.5 PET THERAPY

Nata negli Stati Uniti, solo da pochi anni viene praticata anche in alcuni centri del
nostro Paese. Letteralmente significa terapia con animali, viene chiamata anche terapia
dolce e prevede l'utilizzo degli animali per migliorare la qualità di vita delle persone e mira
a seguire il soggetto problematico e non tanto il problema o la malattia, in tal modo
l'animale diventa il ponte invisibile tra operatore e soggetto seguito.
La Pet Therapy si suddivide in:
 Attività Assistita con Animali (A.A.T.), che risulta essere una terapia vera e propria
rivolta a persone con problemi fisici e/o psichici, da affiancare ad altre cure, dove
viene precedentemente fatto un progetto individualizzato da seguire, che prevede
la scelta dell'animale adatto in base allo scopo da raggiungere e la presenza di
un'équipe multidisciplinare che collabori a tale progetto (compresa la stesura e la
verifica del progetto stesso);
 Attività Assistite con Animali (A.A.A.) che mirano a migliorare la qualità di vita
delle persone in situazione di disagio, in quanto l'animale risulta, essere un perfetto
tramite per lo sviluppo delle relazioni. La Pet Teraphy viene utilizzata anche a
livello ludico (gioco), per la socializzazione, per favorire la comunicazione e per lo
sviluppo e/o potenziamento della responsabilità e dell'autostima.L'animale in sé è
un "catalizzatore" sociale capace di creare situazioni positive e rilassanti; cane,
gatto, cavallo, delfino (e non solo) sono gli animali più conosciuti che svolgono un
importante ruolo nei confronti di persone con disabilità psicofisica.
Il cane, in particolar modo, è il soggetto preferito dai seguaci della Pet Therapy;
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come cane sociale per migliorare le condizioni psichiche e/o fisiche di bambini,
adulti, anziani; come cane di servizio per aumentare la mobilità delle persone con
limitazioni fisiche, come cani da passeggio per persone cieche o sorde.
La Delfinoterapia è un’attività predicate negli Stati Uniti da oltre 15 anni, in Italia è
giunta verso il 1993 e viene svolta nei mesi estivi, nei delfinari di Rimini e Brindisi. È una
terapia indicata nei casi di autismo infantile, negli stati depressivi degli adulti e per taluni
disturbi psichici. I benefici di tale attività sono dati dal rilassamento e da un completo
benessere psico-fisico che si basa su contatti spontanei tra i delfini e le persone che
nuotano e giocano con loro. Per tale attività viene richiesta una buona acquaticità (e
purtroppo è problematico parteciparvi perché vi sono liste di attesa lunghissime, di oltre sei
mesi).
L'Ippoterapia, detta anche Riabilitazione Equestre, è destinata a chi presenta disturbi
neuromotori, motori sensoriali e relazionali, (e quindi adattissima anche ai soggetti
Autistici), Il cavallo stimola il proprio "cavaliere" nell'equilibrio, nel coordinamento
motorio, nel processo Spazio-temporale. Si ha, inoltre, un forte beneficio psicologico con
conseguente aumento dell'autostima.
Gli scopi della Riabilitazione Equestre sono la conservazione degli arti sani, lo
sfruttamento dei gruppi muscolari colpiti da alterazioni invalidanti e miglioramento della
situazione statica e dinamica, ottenendo dei miglioramenti sulle condizioni psichiche.
Elemento fondamentale di tale attività è il cavallo che mette a disposizione una
ricchezza di strumenti naturali quali il ritmo, la sua corporeità, le sensazioni. Provocate dal
suo movimento, non statiche ma in continuo mutamento, che scatenano delle reazioni in
chi ci sta sopra risvegliando in loro capacità che in altro modo difficilmente avrebbero
potuto sperimentare, data la particolarità dello "strumento" utilizzato. Gli animali in
quest'ottica, diventano co-terapeuti, sono il mezzo per raggiungere lo scopo.
L'animale prima dì tutto offre la possibilità di stabilire una relazione, non fa domande,
accetta incondizionatamente chi ha di fronte qualsiasi sia la sua patologia o problematica
sociale. In questo senso l'amicizia che si stabilisce con un'animale non è solo terapia, ma
anche prevenzione e protezione dell'equilibrio psico-fisico dell'individuo. Molto
importante è l'elemento ludico, il bambino in particolar modo attraverso il gioco raggiunge
risultati difficilmente ottenibili con attività imposte prettamente terapeutiche e/o
riabilitative. Agli animali si può insegnare, dagli animali si può imparare.

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